eJournals Vox Romanica 80/1

Vox Romanica
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
10.2357/VOX-2021-020
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2021
801 Kristol De Stefani

Pietro G. Beltrami, Amori cortesi. Scritti sui trovatori, Firenze (Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini) 2020, xxxv + 800 p. (Collana Archivio Romanzo 37).

2021
Caterina Menichetti
351 DOI 10.2357/ VOX-2021-020 Vox Romanica 80 (2021): 351-365 Besprechungen - Comptes rendus maticales, il est important de remarquer que la perspective transphrastique, une contribution majeure du travail de Goux, ne devrait pas concerner seulement la rhétorique et la stylistique, mais aussi la linguistique en général. Grâce à ce regard au-delà du cadre de la phrase et de l'immanence des formes grammaticales, Mathieu Goux a réussi à contester la remarque traditionnelle, souvent répétée sans critique, pour conclure que la spécialisation fonctionnelle de lequel «doit s’établir indépendamment d’une désambiguïsation de l’énoncé et de la ‹levée des équivoques›» (p.-323). Elena Carmona Yanes (Universidad de Sevilla) https: / / orcid.org/ 0000-0002-0427-2770 ★ Pietro G. Beltrami, Amori cortesi. Scritti sui trovatori, Firenze (Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini) 2020, xxxv + 800 p. (Collana Archivio Romanzo 37). Con i suoi oltre duemila testi conservati, la poesia trobadorica costituisce, per forme, temi e modalità espressive, uno dei più importanti elementi di novità del Medioevo romanzo. Datata ad un arco di tempo relativamente ristretto --tra il 1100 e il 1300 circa-- questa tradizione lirica ha avuto un impatto cruciale sulla letteratura occidentale, partecipando in maniera determinante alla costruzione di un immaginario e di un orizzonte di valori la cui eredità si è estesa ben oltre i confini cronologici del Medioevo. Non a caso, dunque, gli studi trobadorici hanno giocato un ruolo essenziale nella formalizzazione teorica e di metodo alle origini della filologia romanza, e hanno poi partecipato in maniera determinante al dibattito critico che, tra anni Sessanta e Ottanta del Novecento, ha prodotto rinnovamenti assolutamente cruciali tanto nel campo dell’interpretazione dei testi quanto nel campo dell’indagine filologica. Anche in ragione di un notevole affinamento degli strumenti di indagine e delle acquisizioni di natura erudita e prosopografica, nonché dell’aumento delle risorse disponibili on-line, negli ultimi trent’anni le ricerche dedicate ai trovatori sono state marcate da un evidente incremento del coefficiente ‘tecnico’. Il versante filologico-editoriale della disciplina, da sempre vivacissimo, ha abbastanza chiaramente preso il sopravvento sull’indirizzo critico-interpretativo; e l’abbondante produzione scientifica di natura strettamente specialistica non sembra, almeno al momento, bilanciata da contributi di carattere più generale e manualistico, in grado di presentare le nuove acquisizioni e i nuovi sviluppi di metodo degli studi occitanici ad un pubblico di non-specialisti 1 . 1 Questo testo è scaturito da una comunicazione al seminario di Filologia romanza della Fondazione Ezio Franceschini di Firenze («Gli Amori cortesi di Pietro Beltrami: filologia e interpretazione dei trovatori»), tenuta assieme a Stefano Asperti il 17 novembre 2020, e ne ricalca in larga parte la struttura. Colgo l’occasione per ringraziare gli organizzatori del seminario dell’invito. Per un’analisi, più dettagliata e da un punto di vista leggermente diverso da quello qui adottato, della situazione attuale degli studi occitanici, rimando al consuntivo proposto da Chambon, J.-P. 2010: «Développement et problèmes actuels des études occitanes», Comptes rendus des séances de 352 DOI 10.2357/ VOX-2021-020 Vox Romanica 80 (2021): 351-365 Besprechungen - Comptes rendus In un panorama degli studi così configurato, non si può che accogliere con grande piacere la pubblicazione, presso le Edizioni del Galluzzo, del bel volume Amori cortesi, che raccoglie i contributi trobadorici di Pietro Beltrami, professore di Filologia romanza all’Università di Pisa. L’iniziativa consente di percorrere per la prima volta in modo completo scritti apparsi in sedi molto disparate e non sempre di facile accesso; e, quel che più conta, di apprezzare il procedere della riflessione di Beltrami lungo quarant’anni di studio, verificandone costanti e linee di evoluzione, e di analizzare le proposte interpretative dei singoli contributi nel quadro allargato di questa riflessione 2 . Amori cortesi, così, non testimonia solo di un lungo amore e di una lunga fedeltà di Beltrami alla poesia provenzale, frequentata con assiduità accanto ad importanti iniziative editoriali, di studi metrici e di scrittura manualistica; si pone anche come un’importante occasione di ripensamento degli studi di filologia e letteratura trobadorica degli ultimi decenni, e di valutazione delle prospettive future dell’occitanistica. Gli articoli sono ripartiti in sei macrosezioni, organizzate in funzione tematico-cronologica e che corrispondono ai principali percorsi di indagine svolti dall’autore: ad un contributo generale, seguono i capitoli su: 1. i trovatori antichi (Guglielmo, Jaufre, Marcabru, Cercamon, Peire d’Alvernhe); 2. Giraut de Borneill; 3. Bertran de Born; 4. Arnaut Daniel; 5. i trovatori del Duecento; 6. questioni di metrica 3 . Non serve insistere sulla diversificazione tematica e di metodo che lo studio di autori tanto diversi e importanti, e dai corpora spesso molto consistenti, necessariamente implica. Data anche la difficoltà di rendere conto in maniera dettagliata delle singole acquisizioni apportate in merito ad autori e tipologie testuali molto lontani gli uni dagli altri, mi sembra utile, in questa sede, concentrarmi su alcuni elementi ricorrenti, che sono nei singoli lavori enunciati en passant --perché sono gli strumenti e non il fine dell’analisi-- ma che ad una lettura continuativa della raccolta emergono come essenziali. Spero che questa linea di approccio si riveli utile a meglio definire ed apprezzare l’orizzonte critico di Pietro Beltrami, e in prospettiva ad apportare spunti di riflessione significativi per gli studi trobadorici, e di lirica romanza, nel loro insieme. Nelle pagine che seguono tenterò di procedere, per così dire, dal generale al particolare, cominciando cioè la mia analisi dagli aspetti che mi paiono rilevanti per la comprensione della poesia lirica medievale, per passare poi agli elementi significativi per l’interpretazione di singoli autori o di nuclei di testi, venendo infine alle considerazioni metodologiche di natura più tecnica - linguistiche e filologiche. 1. Il fenomeno letterario della lirica trobadorica presenta, come noto, condizionamenti sociali, e quindi pragmatici, molto particolari. Beltrami è molto attento alla loro considerazione, pur non permettendo mai che tale attenzione sfoci nell’anteposizione delle questioni l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres 154: 877-89, le cui osservazioni, a dieci anni di distanza, mi paiono ancora pienamente valide. 2 Il primo articolo, La canzone «Belhs m’es l’estius» di Jaufre Rudel, è del 1979; il più recente, Note su «Ans que venha», del 2018. 3 Sarà utile segnalare che la riflessione di Ancora su Guglielmo IX e i trovatori antichi, secondo articolo della raccolta, è stata proseguita nell’ugualmente importante «Remarques sur les premiers troubadours» (non inserito nel volume, ma pubblicato in Lecturae Tropatorum, 2018, accessibile on-line all’indirizzo www.lt.unina.it/ Beltrami-2018S.pdf). 353 DOI 10.2357/ VOX-2021-020 Vox Romanica 80 (2021): 351-365 Besprechungen - Comptes rendus sociologiche alle questioni letterarie. Beltrami, cioè, mira a inquadrare i testi, in quanto atti comunicativi, entro il contesto che è loro proprio; e poi a valutare la mutazione della funzione letteraria dei testi stessi e del sistema letterario --la tradizione-- che essi costruiscono in funzione della mutazione del contesto comunicativo 4 . L’indagine letteraria, così, non tralascia mai di mettere a fuoco i fattori sociali che hanno ricadute sulla comunicazione: la posizione dell’autore (professionista, non professionista; nobile di alto rango, di basso rango…), il tipo di personaggio che l’autore costruisce, il pubblico di riferimento della comunicazione, le finalità --più orientate sul versante dell’immediatezza o su quello della distanza- - che la comunicazione si propone. L’esame dei testi, d’altra parte, non perde mai di vista le ricadute e le implicazioni della poesia trobadorica rispetto alla costruzione di un sistema di valori, in grado di porsi come cruciale per i meccanismi identitari interni alla civiltà di corte, e poi di influenzare un complesso di pratiche socio-culturali che, partendo dagli ambienti dell’aristocrazia del Midi, hanno guadagnato altri ambienti geografici e sociali. Beltrami è interessato ad analizzare quali temi e quali forme si siano rivelati più longevi all’interno della tradizione trobadorica propriamente occitanica, e si siano, ancora, maggiormente prestati ad essere acquisiti ed adattati a contesti differenti da quello meridionale. Senza negare la necessità di un confronto con l’approccio di Erich Köhler, e poi di Mario Mancini --non a caso, uno dei saggi raccolti in Amori cortesi è una lunga discussione di Metafora feudale 5 --, e riprendendone anzi molti spunti, Beltrami ne rinnova profondamente la prospettiva. Köhler e Mancini, infatti, hanno orientato le loro indagini in direzione dei nessi tra invarianti, tematiche o formali, della lirica trobadorica, da un lato, e la società che l’ha espressa, dall’altro - concependo cioè il nesso fra testi e contesti nel senso di un condizionamento monodirezionale che dal contesto si esercita sul testo. Beltrami, dal canto suo, riflette piuttosto in termini di legame biunivoco che intercorre fra testi e contesti. Nella lettura delle poesie, gli elementi che vengono messi in rilievo sono dunque innanzitutto quelli che non sono costanti, che variano, in funzione dei quali si è costruita l’identità artistica dei singoli autori e che possono, a loro volta, aver contribuito al rinnovamento del sistema. Per spiegare questi elementi, Beltrami non tralascia mai di interrogarsi sulla marcatura pragmatica dei testi. Al contempo, e soprattutto nel caso dei percorsi critici di più ampio respiro, Beltrami ha sempre ben chiara la necessità di verificare, in prospettiva, quali declinazioni della poesia di un certo autore o di una certa epoca abbiano conosciuto una più lunga posterità, venendo quindi adattati a nuovi contesti sociali, a nuove forme di cultura, a nuove funzioni comunicative. Questo orizzonte di analisi è dispiegato nel modo più completo nei lavori su Giraut de Borneill o Bertran de Born; ma non manca di influenzare altri saggi raccolti in Amori cortesi. 4 Non andrà dimenticato che, per la lirica trobadorica, queste mutazioni sono state di notevole rapidità, e nei fatti sono avvenute a monte della stessa tradizione diretta dei canzonieri: la condizione di vita originale e originaria dei testi è, cioè, se non inattingibile, certo sfuggente - particolarmente sfuggente per le generazioni di poeti attivi entro il 1170. 5 Mancini, M. 1993: Metafora feudale. Per una storia dei trovatori, Bologna, Il Mulino; il saggio di Beltrami in questione è Per la storia dei trovatori: una discussione. 354 DOI 10.2357/ VOX-2021-020 Vox Romanica 80 (2021): 351-365 Besprechungen - Comptes rendus Beltrami pone così in evidenza come le differenti possibilità stilistiche praticate da Giraut de Borneill possano essere spiegate in funzione dei differenti contesti di attività del trovatore e delle differenti finalità dei testi da lui composti, e ancora in ragione di una diversa implicazione delle liriche sui versanti della prossimità o della distanza comunicativa. Cardalhac, per un sirventes, così come la tenzone di Giraut con Raimbaut d’Aurenga, ad esempio, sono componimenti pensati per situazioni performative molto ben individuate, per una comunicazione letteraria ‘ristretta’, in cui è essenziale non solo la presenza di un pubblico ben determinato, ma anche la collaborazione di Giraut con un altro poeta - e quindi l’interazione fra due distinte istanze autoriali, che si costruiscono assieme e l’una in funzione dell’altra. Nei contributi sui trovatori tardi, d’altra parte, emerge chiaramente come la poesia di Sordello, pure di saldissimo ancoraggio trobadorico, sia stata profondamente influenzata da alcuni nuclei di pensiero caratteristici della cultura e della società nord-italiana dei decenni centrali del Duecento, che hanno inciso tanto sulla maniera di concepire l’esperienza d’amore quanto sui valori e i referenti del discorso morale del trovatore mantovano. L’esperienza lirica di Sordello risulta essere stata, a sua volta, un punto di riferimento cruciale per l’elaborazione di una cultura di corte italiana, e per poi per la formazione poetica degli autori italiani delle generazioni di Guittone e Chiaro Davanzati. Le mutazioni, apportate da Sordello, cioè, sono state un canale di mediazione essenziale prima per l’acquisizione della cultura cortese di ascendenza trobadorica negli ambienti --in primo luogo, ma non solo, aristocratici-- dell’Italia settentrionale, e poi per la rielaborazione della tradizione lirica occitanica nella lirica in volgare di sì. 2. La domanda ‘perché leggere i trovatori’, che è sottesa al titolo del contributo di apertura del volume (Leggere i trovatori oggi (e domani? )), serpeggia in realtà lungo tutto Amori cortesi, e ne costituisce forse l’asse portante. Una delle risposte che Beltrami dà a questa domanda passa attraverso la riflessione sui ‘parametri’ che vanno considerati come determinanti per l’interpretazione dei testi lirici provenzali, e medievali in genere. Due orizzonti di riflessione, complementari, mi sembrano segnalarsi come particolarmente rilevanti: il primo insiste sulla necessità di depotenziare il valore ermeneutico dei cosiddetti generi lirici, che non possono assurgere a categoria primaria in funzione della quale provare a collocare, e quindi a interpretare, un componimento trobadorico. Il secondo è invece incentrato sulle categorie, ancora al contempo linguistiche e letterarie, di discorso e di registro. Parto dai generi. Non credo che serva, in questa sede, ritornare sull’importanza che il sistema dei generi, come già formalizzato nei repertori (la Bibliographie der Troubadours di Pillet, e poi soprattutto il Répertoire di Frank) 6 e poi messo in opera da Köhler, ha avuto nel fornire un primo paradigma, o una ‘griglia’ iniziale, per l’interpretazione dei testi. Negli ultimi anni, molti studiosi, a partire da Stefano Asperti, hanno riflettuto sulle categorie, antiche e moderne, di genere, sulla loro insorgenza storica negli studi trobadorici, e sugli aspetti 6 Bibliographie der Troubadours, von Dr. A. Pillet ergänzt, weitergeführt und herausgegeben von Dr. H. Carstens, Halle a. S., Niemeyer, 1933; Frank I. 1953-1957: Répertoire métrique de la poésie des troubadours, Paris, Champion. 355 DOI 10.2357/ VOX-2021-020 Vox Romanica 80 (2021): 351-365 Besprechungen - Comptes rendus della scrittura lirica provenzale che, nei testi, appaiono come direttamente e concretamente condizionati da vincoli riportabili al ‘genere’ 7 . Beltrami non rifiuta in toto l’utilità della categoria ‘genere tematico’ come strumento interpretativo. La lettura estensiva dei suoi contributi mi sembra però fare emergere una duplice linea di approccio, sincronica da un lato, diacronica dall’altro. La prospettiva diacronica è quella che procede dal particolare per arrivare al generale: riflettendo sulla distinzione fra varianti e invarianti, Beltrami individua gli elementi che, modificandosi, hanno determinato l’evoluzione del codice tematico e formale (il sistema dei generi) della lirica trobadorica. Questa è quindi la linea di approccio sintetica che consente la costruzione di una storia letteraria a partire dall’analisi di singoli testi. Nell’analisi dei testi e nella loro interpretazione --cioè nel momento analitico--, Beltrami però non mi sembra far mai valere considerazioni di tipo diacronico, preferendo piuttosto adottare una prospettiva in cui il testo è contestualizzato non alla luce delle manifestazioni precedenti o (peggio ancora) delle evoluzioni successive del genere cui appartiene, bensì nella sua contemporaneità. Provo a spiegarmi mediante un paio di esempi. Data anche l’indiscutibile bellezza di molti testi, e in particolare dei testi più antichi, le pastorelle trobadoriche sono state oggetto di moltissimi approfondimenti, nel contesto dei quali è spesso centrale la questione delle origini del genere (cioè la questione che incide sulle invarianti date come tali ab ovo) e il rapporto tra la tradizione provenzale --come noto più antica e al contempo più eccentrica-- e la tradizione francese - notevolmente più omogenea quanto alle situazioni messe in scena e al tipo di marcatura retorica dei testi, ma parecchio più recente. Analizzando Lo dolz chans d’un auzel di Giraut de Borneill 8 , Beltrami non evita di confrontarsi anche con L’autrier, jost’una sebissa di Marcabru 9 , la più antica pastorella romanza a noi nota, precedente di vari decenni il componmento di Giraut. Beltrami osserva che i due autori perseguono, nei loro testi, finalità argomentative distinte, che non devono essere interpretate nel senso di deviazioni, o addirittura infrazioni, a regole fissate e necessariamente vincolanti, ma nel senso di variazioni libere, perfettamente ammissibili data l’assunzione di un numero sostanzialmente limitato di elementi fissi. I due poeti, cioè, sviluppano due istanze comunicative diverse a partire da un medesimo schema formale, che è riconoscibile al pubblico come categoria di discorso appunto grazie a quei pochi elementi fissi che lo contraddistinguono - la narrazione, l’incontro fra personaggi di sesso diverso, il dialogo alternato. In Marcabru, così, la convenzione che prevede un dialogo dell’io maschile con un personaggio femminile è messa al servizio di un discorso morale che si realizza attraverso la sottrazione dell’istanza morale (e moralizzatrice) alla prima persona del poeta. In Lo dolz chans d’un auzel, Giraut de Borneill opera altre variazioni: il personaggio maschile che dice io incontra non una ma tre donne; e sono le donne, e non l’uomo, a ingaggiare il dibattito. Questo semplice escamotage fa sì che il dialogo non viri, come tipico delle pastorelle, al tentativo di seduzione della donna da parte del cavaliere, ma che il personaggio maschile abbia 7 Cf. in particolare Asperti, S. 2013: «Per un ripensamento della ‹teoria dei generi lirici› in antico provenzale», Studi mediolatini e volgari 49: 67-107. 8 BEdT 242,46. 9 BEdT 293,30. 356 DOI 10.2357/ VOX-2021-020 Vox Romanica 80 (2021): 351-365 Besprechungen - Comptes rendus modo di dare sfogo alle sue pene d’amore - rimanendo cioè allineato, nonostante la sofferenza, alla posizione del perfetto amante cortese; il tentativo di seduzione, anzi, non si dà proprio, nemmeno dalla parte femminile, e pastora e cavaliere procedono insieme, a due voci, ad una riflessione attorno ai temi intrecciati dell’amore per una dama di alto rango e della decadenza del mondo cortese. Il bel testo di Bertran de Born noto come domna soisebuda è, per i parametri moderni, una canzone, ma è qualificato di sirventes nelle razos. Beltrami sottolinea che l’etichetta assegnata al testo dagli estensori delle biografie non fa necessariamente capo ad un errore, ma ha delle possibili giustificazioni storiche. Il discorso di Domna, puois de mi no·us cal 10 non è, infatti, pienamente allineato al codice della canzone d’amore trobadorica, si allontana cioè dal registro della sottomissione amorosa (tornerò oltre sulle nozioni di discorso e di registro) e mette in scena un personaggio-poeta per molti aspetti molto lontano da quello consustanziale alla lirica d’amore, ovvero alla canso, e prossimo al personaggio-poeta ‘Bertran de Born’ che si manifesta nei sirventesi di tematica guerresco-politica. La domna soiseubuda, quindi, è un testo che gioca --come vari altri componimenti di Betran de Born-- sul margine di indeterminatezza o sui lembi di sovrapposizione della lirica d’amore e della lirica d’occasione. Non contravviene ad un sistema dei generi fisso e immutabile, ma ne sollecita l’elasticità. In termini generali, quindi, il metodo di Beltrami si fonda sulla convinzione --chiara anche se non teorizzata-- che i testi vanno valutati all’interno del sistema ma senza far prevalere il sistema sul testo. Il significato di ciascun componimento, cioè, si dà innanzitutto all’interno del componimento stesso (come atto di comunicazione compiuto e finito), e solo a partire da questo primo livello di significazione interviene l’interazione con le altre unità di cui il sistema si compone. Anche in una tradizione letteraria dalle maglie strette, e in certi casi strettissime, come quella trobadorica, deviazione e rottura non vanno d’altra parte considerate come equivalenti, e va soprattutto tenuto presente che il sistema stesso è più o meno elastico in funzione delle ‘maglie’ su cui la pressione viene esercitata: la canso, nel momento in cui sembra isolarsi in maniera chiara e definitiva come tipologia tematico-formale nettamente individuata, è certamente il segmento di maggior resistenza del sistema, quello rispetto al quale le deviazioni sono, se non rifiutate, certo più fortemente e immediatamente percepite; altre tipologie di testo, invece, sicuramente erano più atte alla sperimentazione di deviazioni. 3. Passo alle nozioni di discorso e registro. A seconda dei contesti e delle epoche, la poesia trobadorica è influenzata da e si fa latrice di sollecitazioni differenti. Queste sollecitazioni insistono, chiaramente, sia su degli elementi tematici sia su delle opzioni di tipo retorico - ferma restando l’estrema difficoltà di distinguere, in una poesia di altissima formalizzazione, fra piano della forma e piano del contenuto. Per analizzare queste sollecitazioni, Beltrami si avvale delle categorie di discorso e di registro. La prima categoria è chiamata in causa soprattutto nei lavori dedicati ai testi in cui tematica amorosa e tematica morale interagiscono e si compenetrano - quindi, va da sé, innanzitutto, ma non solo, nei contributi su Giraut de Borneill. Beltrami sottolinea in primo luogo --in maniera al contempo semplice e raffinatissima-- come la tradizione occitanica sia mar- 10 BEdT 80,12. 357 DOI 10.2357/ VOX-2021-020 Vox Romanica 80 (2021): 351-365 Besprechungen - Comptes rendus cata da una svolta sostanziale, che si verifica relativamente presto nell’ambito della tradizione che ci è documentata e che appare, nei suoi esiti, irreversibile: l’integrazione di contenuti morali ai campi di espressione della lirica volgare 11 . Per quello che ci è dato sapere grazie al corpus testuale giunto fino a noi, questa trasformazione ha luogo attorno al 1130-1140 e va associata al nome di Marcabru. Il trovatore -- che nei fatti è anche il primo professionista della poesia d’oc di cui abbiamo conoscenza-- ha influito in modo determinante sul sistema trobadorico non perché le sue posizioni di moralista cristiano abbiano avuto largo seguito presso gli autori a lui contemporanei e successivi --la maggior parte degli autori provenzali rimane fedele ad una poesia legata ai temi dell’amore terreno e, per quanto sublimato, passionale--, ma perché ha immesso nella lirica d’oc un discorso morale impostato sulle categorie di bene e di male, alle quali nessuno pare essere rimasto estraneo. Nessuno degli autori maggiori successivi a Marcabru, cioè, ha potuto o voluto prescindere dall’orizzonte del giudizio morale e dalla discussione di categorie valoriali. Chi ha rifiutato la prospettiva cristiana ortodossa di Marcabru, quindi, ha elaborato un altro discorso, latore di un’‘altra morale’, alternativa a quella di emanazione clericale, ma da essa in ogni caso influenzata. Questa considerazione è cruciale anche da un punto di vista di storia letteraria, o, per dirla altrimenti, sotto il profilo dell’interazione fra prospettiva sincronica e prospettiva diacronica cui accennavo in precedenza. Dal momento che la ‘svolta valoriale’ avviene con Marcabru, o quanto meno all’epoca di Marcabru, Beltrami rileva che non è lecito proiettare sulla lirica precedente il 1130-1140, e in particolare su Guglielmo IX, le categorie valoriali, discorsive, e quindi interpretative che risultano attive e valide dopo il 1140. La poesia di Guglielmo, infatti, appare fedele a un punto di vista maschile che è fortemente ridimensionato già nella generazione a lui immediatamente successiva. Questo punto di vista maschile si manifesta innanzitutto nei contenuti e nelle scelte di registro operate dal poeta, ma con ogni probabilità è connesso in maniera determinante all’orizzonte comunicativo dei suoi testi 12 . Il discorso amoroso, va da sé, è quello più caratteristico della lirica trobadorica, e anche quello che, in prospettiva, si è rivelato di maggior successo. Accanto ad esso, esistono altri discorsi: quello morale appena ricordato, ma anche quello encomiastico, più sistematicamente influenzato dall’ideologia laica e nobiliare. Beltrami mostra efficacemente come questi discorsi ‘altri’ siano costruiti a partire da sollecitazioni e da presupposti comunicativi diversi da quelli che definiscono l’orizzonte della tradizione cortese d’amore (dove cortese e d’amore vanno intesi come fattori che si determinano reciprocamente - intendendo, cioè, i discorsi di argomento amoroso concepiti secondo i condizionamenti interni agli e caratteristici degli ambienti di corte). Il discorso morale, eventualmente ma non necessariamente di ispirazione religiosa, e il discorso encomiastico si rifanno, nella fattispecie, ad orizzonti di contenuto e a sistemi valoriali meno ‘chiusi’ ed autoreferenziali del sistema valoriale che si costruisce e, costruendosi, si mette in scena (i due fenomeni si producono all’unisono) nei testi di argomento amoroso. I discorsi non d’amore mettono quindi in opera presupposti valoriali e con- 11 Cf. in particolare p.-40 s. 12 Cf. cap. 2, ma anche le allusioni meno sistematiche che percorrono l’insieme della raccolta, es. p.-400. 358 DOI 10.2357/ VOX-2021-020 Vox Romanica 80 (2021): 351-365 Besprechungen - Comptes rendus tenuti non esclusivi agli ambienti delle corti laiche, o addirittura in parte estranei ad esse; dal punto di vista dell’assetto comunicativo, essi depotenziano l’importanza della comunicazione --se non fattuale, almeno potenziale-- con il pubblico femminile, che è cruciale per la canso d’amore ma che in alcuni segmenti del corpus trobadorico sembrerebbe invece non essere stata contemplata. (La cosa mi sembra possibile, ad esempio, per Marcabru, oltre che per i sirventesi). Se si viene ai materiali socioculturali che sono alla base di queste ‘altre retoriche’, è evidente che per il discorso morale deve aver contato la tradizione moralistica, soprattutto di ascendenza cristiana, e più nello specifico, almeno per il XII sec., monastica; per il discorso encomiastico e per il suo rovescio, che è il discorso d’insulto dei sirventesi, deve essere stata cruciale la cultura, fondamentalmente maschile e ‘di gruppo’, dell’aristocrazia e della cavalleria feudali 13 . L’escussione tra diverse tipologie di discorso non si dà solo da un testo all’altro: anche al loro interno, i componimenti trobadorici fanno infatti molto spesso coesistere discorsi diversi e registri differenti. Il dato smentisce nettamente l’idea difesa, ma nei fatti costruita, da Dante nel De vulgari eloquentia, e che dalla teorizzazione dantesca sembra essere stata acquisita da non pochi critici moderni, dell’unità tematica della canzone - che può parlare o di amore, o di virtù, o della salus, ma non di tutte e tre le cose contemporaneamente 14 . Dal punto di vista del contenuto, cioè, i trovatori non applicano affatto l’unità tematica formulata da Dante all’altezza del De vulgari eloquentia, e dal punto di vista formale praticano, soprattutto nei testi non d’amore, scarti stilistici e di tono anche molto forti. Nel contesto di un sistema complessivamente statico come quello della lirica trobadorica, Beltrami osserva come la sovrapposizione di discorsi diversi e l’alternanza fra registri sia anzi essenziale alla variazione, cioè al rinnovamento dei codici, e alla costruzione di figure autoriali dai tratti ben individuati: strategie entrambe cruciali, dal punto di vista dei poeti, a guadagnare l’interesse e l’apprezzamento del pubblico e a garantirsi le condizioni per una carriera di successo. La commistione di temi e intonazioni retoriche differenti si concretizza soprattutto sotto la forma di una pressione del registro d’amore sui testi di argomento non amoroso. Beltrami mostra infatti che sirventesi e vers contengono spesso strofe d’amore (dislocate di norma in 13 E potrebbe allora essere interessante chiedersi se la scarsa pratica del sirventese al di fuori degli ambienti meridionali, e in particolare in Italia, non sia interpretabile solo in termini di mutato contesto di esistenza della poesia lirica, ma anche come difficoltà, da parte di un pubblico non aristocratico, di cogliere i contenuti e i fondamenti valoriali di questi discorsi, anche al fine di aggiornarli. 14 Su questo aspetto, che ricorre in effetti in molti dei saggi di Beltrami, soprattutto delle sezioni su Giraut de Borneill, Bertran de Born e i trovatori tardi, cf. per es. p.-442. Sul rapporto tra teorizzazione dantesca e prassi concreta delle Rime dantesche per quanto riguarda la divisione fra i tre magnalia, cf. quanto osservato da Marco Grimaldi (in Alighieri, D. 2015: Vinta Nuova/ Rime, a c. di D. Pirovano e M. Grimaldi, introduzione di E. Malato, tomo 1, Vita Nuova/ Le Rime della Vita Nuova e altre Rime del tempo della Vita Nuova, in Nuova Edizione Commentata delle Opere di Dante, Roma, Salerno Editrice, p.-299): «Benché nel De vulgari si stabiliscano dei confini abbastanza precisi tra quelle che possiamo considerare diverse tipologie della poesia volgare, nelle Rime si ha infatti l’impressione di una mescolanza dei due magnalia più importanti (venus e virtus) […]. Nella produzione giovanile […] affiorano con una certa sistematicità questioni etiche, pur strettamente legate al tema amoroso». 359 DOI 10.2357/ VOX-2021-020 Vox Romanica 80 (2021): 351-365 Besprechungen - Comptes rendus posizione abbastanza avanzata, ovvero una volta che il quadro di riferimento retorico del testo è saldamente impostato), e sottolinea come queste strofe non vadano giudicate ‘fuori luogo’, o addirittura responsabili del sovvertimento stilistico dei componimenti. Al contrario, esse assolvono ad un’importante funzione retorica, assicurando l’ancoraggio dei testi morali o latu sensu d’occasione (politico-guerreschi, encomiastici o d’insulto) a quel campo dell’espressione alta che, in provenzale, è pertinenza specifica della tematica amorosa. I passaggi d’amore nei testi che d’amore non sono, quindi, non rompono un’unità tematico-stilistica che i trovatori, almeno entro la metà del XIII sec., non hanno mai perseguito, ma servono a riconnettere anche i testi non d’amore alla lirica alta e alle specifiche marcature stilistiche che in essa si realizzano. L’attenzione per i discorsi ed i registri si connette certamente al fatto che Beltrami ha dedicato molti dei suoi studi a Giraut de Borneill e a Bertran de Born, ovvero due degli autori provenzali che hanno saputo meglio modulare e intrecciare modalità di discorso diverse e registri differenti, componendo una poesia ‘non pura’, e per ciò stesso tanto più bisognosa di essere interpretata e mediata. Mi limito ad esemplificare la prospettiva che ho appena cercato di analizzare a partire dal contributo dedicato a Domna, puois de mi no·us cal, la già ricordata canzone della domna soisebuda. Beltrami rileva come il testo intrecci discorso encomiastico e discorso amoroso, e come questo intreccio comporti un gioco molto sofisticato di ‘entrata e uscita’ dal registro della sottomissione amorosa. Nella prima strofa, l’io lirico dichiara di aver subito, contro la sua volontà, il distacco dalla donna amata, e che la gioia potrà essere recuperata solo per il tramite di una donna che valga tanto quanto la donna perduta. Segue la costruzione di una ‘donna immaginaria’, che scaturisce dalla combinazione delle qualità, fisiche e sociali, di una serie di figure femminili dell’aristocrazia meridionale. Beltrami rileva che «[l]a ‹passeggiata galante› attraverso le corti delle belle dame mostra […] un personaggio che si esprime ben al di fuori del registro della sottomissione» (p.-398). Il secondo registro, encomiastico è gestito da un personaggio che tratta alla pari le interlocutrici, nel quale la superiorità femminile del ‹mondo alla rovescia› trobadorico è bilanciata da un punto di vista maschile che tende a riprendere il sopravvento. […] i due poli sono orientati l’uno dalla parte dei personaggi femminili non nominati [cioè le donne ‘richieste d’amore’, le destinatarie del discorso amoroso], l’altro dalla parte di quelli nominati [ovvero le donne di cui si celebrano le grazie]. […] Bertran non ritorna all’atteggiamento della poesia di Guglielmo IX, così fortemente orientata dal punto di vista maschile, né contesta la figura della donna-signore feudale superiore all’uomo: il suo personaggio vi introduce, invece, un elemento di parodia e di distacco, cercando la complicità delle dame reali per allentare la tensione del discorso amoroso rivolto alle dame ideali, o dimostrando, in complicità con le dame reali, che quel discorso e quella tensione riguardano dame ideali. Ma, per converso, il discorso tutt’altro che sottomesso rivolto alle dame reali, come la loro stessa complicità che il testo mette in scena, presuppongono la formalizzazione del linguaggio amoroso trobadorico ‘cortese’, entro la cui finzione è lecita la richiesta d’amore dell’innamorato alla donna 360 DOI 10.2357/ VOX-2021-020 Vox Romanica 80 (2021): 351-365 Besprechungen - Comptes rendus sposata, del vassallo alla moglie del suo signore, e Bertran può lodare Elena-Matilde fingendosene innamorato (p.-399-400) 15 . 4. Come ho accennato in precedenza, nei contributi su Bertran de Born e Giraut de Borneill Beltrami rileva che la copresenza di diverse tipologie di discorso ha un ruolo essenziale per la costruzione di figure autoriali munite di auctoritas e caratterizzate da un ancoraggio referenziale maggiore rispetto a quanto abitualmente avvenga nella lirica d’amore, e quindi in grado di garantire l’affermazione e dunque il successo degli autori reali da cui le figure autoriali promanano. La riflessione di Beltrami sullo statuto autoriale di Giraut e Bertran scaturisce, evidentemente, dalle specificità dell’io poetico (o io lirico) che si esprime nei testi trobadorici, e soprattutto nella canzone d’amore. L’io poetico della poesia medievale, sottolinea Beltrami --non è constatazione nuova-- è sostanzialmente privo di individuazione, fatta salva l’individuazione che gli deriva dalle scelte retoriche operate nei testi. Per usare le parole di Beltrami: «l’autore, in questo genere di poesia, non è uno che prova sentimenti e li esprime, ma uno che li deve far provare a chi ascolti il suo canto» (p.-101); e ancora «la poesia dei trovatori si fonda su una percezione dell’individuo in cui, più che l’interiorità del singolo come prodotto di una sua esperienza privata, è essenziale il sistema di relazioni, nel quale la singola personalità ha valore oppositivo, in quanto gioca un ruolo che si oppone ad altri ruoli possibili» (p.-396). L’assunto, romantico per origine storica e romantico anche in senso astorico, secondo il quale la poesia dovrebbe essere la rappresentazione di un «sentimento individuale, che si traduce in testo, tanto più poetico quanto più il sentimento è personale e quanto più tale traduzione è immediata e avvertita come necessaria» (ibid.), va di conseguenza assolutamente rifuggito e rigettato. Rispetto all’istanza locutrice che dice io nella poesia medievale, la posizione dell’autore -- come referente esterno al testo (autore reale) ma anche, per traslato, come detentore di auctoritas-- è dunque tutt’altro che assodata. Nella poesia di Giraut de Borneill e di Bertran de Born, però, l’opzione in favore del discorso d’occasione (politico-guerresca o encomiastica) e morale comporta l’immissione di alcune sensibili variazioni rispetto all’istanza locutrice ‘tradizionale’ della lirica trobadorica degli anni 1150-1220. In maniere diverse, le opere dei due trovatori --sia nei testi più sbilanciati sul versante d’occasione che, ed è ciò che più conta, nei testi di argomento amoroso-- chiamano in causa in modo insistente e continuativo il poeta nella sua dimensione di individuo, e quindi di personaggio. Giraut, in particolare, insiste sulle proprie capacità di analisi e di giudizio al fine di fondare la propria autorità in materia di virtù e vizi cortesi, e quindi di sostenere la legittimità della propria rivendicazione a ruolo di arbiter delle corti. Il costante richiamo a queste capacità implica, necessariamente, il riferimento ad un individuo se non storico almeno indivi- 15 Elena-Matilde è Matilde di Sassonia, figlia di Enrico II di Inghilterra, variamente implicata nei testi coevi a Domna, puois de mi no ·us cal e ad esso affini quanto a soluzioni tematico-retoriche. A questo gruppo di componimenti sono dedicati i tre contributi: La canzone della «domna soiseubuda», Giochi di corte per Betran de Born («Chazutz sui de mal en pena») e Note su «Ges no mi desconort». 361 DOI 10.2357/ VOX-2021-020 Vox Romanica 80 (2021): 351-365 Besprechungen - Comptes rendus duato (mi si perdoni il bisticcio), vale a dire associabile da parte del pubblico ad un’entità extralinguistica, dalle caratteristiche e dai contorni ben più definiti dell’‘istanza locutrice’ di cui sopra. Dal canto suo, Bertran costruisce un personaggio poetico il cui tratto saliente è quello di «personalizza[re] fortemente la prospettiva» (p.-441) --che polarizza, cioè, tutto il proprio universo poetico in funzione del proprio sguardo e del proprio giudizio. In termini retorici, questo personaggio si contraddistingue- - rompendo nettamente le convenzioni dell’io poetico ‘usuale’ della lirica d’amore - in ragione della frequenza con cui nomina sé stesso e gli altri. Parlando «con nomi veri di eventi reali» (p.-453), per dirla con le parole di Beltrami, il personaggio-Bertran perviene così ad ancorare il discorso lirico ad un contesto referenziale ben determinato. La pratica del nominare, va da sé, ha la sua massima manifestazione nel sirventese, di cui è legittimo dire che struttura l’orizzonte retorico. Nei molti articoli che ha dedicato ai testi encomiastici o d’amore del trovatore di Hautafort, ad ogni modo, Beltrami ha rilevato come il personaggio-poeta Bertran (che è quello su cui, non a caso, hanno poi costruito le loro narrazioni gli estensori delle razos) rivenga anche al di fuori del corpus dei sirventesi, e assicuri anzi una notevolissima unitarietà all’opera poetica del trovatore, quali che siano i codici tematico-formali prescelti per i singoli componimenti. È appunto dalla sovrapposizione e dalla tensione --dal gioco, cioè, fra convergenza e divergenza-- di io poetico della lirica amorosa (l’io amante) e io personaggio della lirica d’occasione che scaturiscono testi di grandissimo valore estetico come la già ricordata domna soisebuda o Cazutz sui de mal en pena o ancora Ges de disnar 16 . Tutti questi componimenti si iscrivono entro la dimensione del gioco di corte […], mescolando, per il piacere del pubblico e della destinataria, discorso encomiastico, finzione dell’innamoramento, verità del discorso amoroso, che esprime immagini e concetti riferibili idealmente ad un amore reale, e qualche audacia che s’iscrive nella situazione della festa cortese (p.-452). La grande efficacia poetica di un passaggio come la descrizione, molto sensuale, della donna ‘spogliata con gli occhi’ della str. III di Cazutz sui è assicurata anche dall’ambiguità che la donna in questione sia la donna amata (quindi, tutto sommato, un’ipostasi) o la destinataria del discorso encomiastico, Matilde di Sassonia; vale a dire dalla tensione che si instaura fra il codice amoroso -- in cui il vagheggiamento del corpo della donna amata, indeterminata, è ammesso-- e il codice encomiastico - in cui il vagheggiamento, riguardando una donna localizzata e riconoscibile, non è concesso. La coerenza del personaggio Bertran lungo tutto il corpus poetico di Bertran de Born ha un’importante implicazione di natura macrotestuale, che Beltrami non manca di rilevare - sottolineando oltretutto come essa sia stata colta già dai lettori medievali del poeta 17 . Dal momento che il referente esterno e gli attributi interni (tematico-retorici) che contraddistinguono questo personaggio poeta rimangono molto stabili da un testo all’altro, il canzoniere 16 BEdT 80,9 e 80,21 rispettivamente. È attorno a questi tre testi che ruotano i due articoli La canzone della ‘domna soisebuda’ e Giochi di corte per Betran de Born. 17 Cf., su questi aspetti, in particolare p.-474 s. 362 DOI 10.2357/ VOX-2021-020 Vox Romanica 80 (2021): 351-365 Besprechungen - Comptes rendus di Bertran -- laddove considerato nella sua interezza-- rivela una serie di spunti potenzialmente orientati, o almeno orientabili, alla narrazione. Sono spunti che Bertran non sembra aver sfruttato in modo esplicito: anche i connettori intertestuali che potrebbero collegare alcuni testi fra loro, cioè, non sono mai portati al livello di vere e proprie connessioni macrotestuali. I compilatori dei canzonieri, dal canto loro, non paiono aver colto il potenziale di questi spunti - che non risultano aver influenzato l’organizzazione interna delle sezioni dedicate al trovatore; ma questo potenziale di narratività è pienamente assunto, e volto in vera e propria narrazione, nell’ampio corpus biografico che ha come protagonista Bertran de Born. Non a caso, dunque, il personaggio poeta meglio determinato della lirica trobadorica è anche quello che si vede dedicato il più ampio e interessante ciclo di biografie. 5. Torno indietro, per approfondire un elemento cui ho in parte già alluso parlando della questione dei generi - la ‘tecnica’ dell’interpretazione dei testi trobadorici. Ho osservato che Beltrami preferisce leggere i testi ‘dall’interno verso l’esterno’, partendo dalla ‘lettera’ per arrivare a una collocazione del singolo oggetto testuale all’interno del sistema di comunicazione che lo inquadra - sistema che è chiamato in causa, quindi, solo in un secondo momento, e in ogni caso mai in modo da prendere il sopravvento sul significato primo, intratestuale, del singolo componimento. Se valutate nel contesto allargato della critica trobadorica degli ultimi cinquanta o sessant’anni, che ha insistito soprattutto sulle connessioni intertestuali intercorrenti fra un testo dato e una serie più o meno ampia di altri testi ad esso precedenti o contemporanei, le letture di Beltrami appaiono così relativamente semplici. La scelta è chiaramente ben meditata e fondata sulla precisa volontà di depotenziare l’armamentario, tendenzialmente esoterico, della filologia occitanica. Non che le connessioni intertestuali non siano rilevanti, e non possano contribuire a meglio inquadrare il contesto di produzione o ricezione di un componimento. Esse devono però essere compatibili con il significato primo dei testi, e soprattutto ammettere che i testi abbiano un significato linguistico comprensibile e che, al momento della loro composizione, essi siano stati accessibili a un pubblico cortese generico non necessariamente avvertito dei riferimenti ‘densi’ frequentemente (e forse troppo spesso) isolati dai critici come gli elementi fondanti della significazione della poesia trobadorica. È quest’ordine di considerazioni, credo, che ispira una serie di notazioni, cursorie ma importanti, come ad esempio quella della p.-106: «i testi, com’è giusto, sono aperti ad ogni utilizzazione, anche fantastica, ma non condivido questo modo (tutt’altro che raro) di trattare l’intertestualità entro il discorso filologico». È perfettamente rappresentativa di questa posizione scientifica la contestazione della proposta di Luciano Rossi circa l’identificazione di Eble de Ventadorn con Cercamon. Beltrami osserva che il planh di Cercamon per Guglielmo X d’Aquitania è dedicato ad un Eble, comunemente identificato dalla critica con il visconte di Ventadorn che importanti poeti attivi nel secondo quarto del XII sec. (Marcabru e Bernart de Ventadorn) indicano essere stato un punto di riferimento per la lirica di argomento amoroso. Come noto, in alcuni contributi di fine anni ’90 e inizio anni 2000 e al fine di difendere appunto l’ipotesi che Eble e Cercamon siano la stessa persona, Rossi è stato incline a identificare l’Eble del planh con un personaggio distinto dal visconte di Ventadorn; nell’edizione critica apparsa nel 2009, però, Rossi è tornato all’interpretazione tradizionale. L’invio del planh per Guglielmo d’Aquitania ad Eble andrebbe quindi inter- 363 DOI 10.2357/ VOX-2021-020 Vox Romanica 80 (2021): 351-365 Besprechungen - Comptes rendus pretato nei termini di un autore che scrive un testo sotto l’identità letteraria di Cercamon e poi lo dedica alla propria identità reale, Eble de Ventadorn. Beltrami osserva a riguardo che Rossi gli [al lettore] impone di seguirlo in un complesso discorso […] sul particolare statuto di ‘autore’ nella letteratura medievale, ‘istanza autoriale’ e non persona determinata, e sull’eteronimia, che nella storia della letteratura ha avuto numerose manifestazioni, ma in questo caso particolare si dovrebbe dire piuttosto schizofrenia. Non si tratterebbe, infatti, di un poeta che assume diversi nomi e ci gioca sopra, ma di uno che nel contesto assolutamente piatto di una dedica, e alla fine di un discorso funebre retorico quanto si vuole, ma concreto […] sulle circostanze storiche che danno senso ai riferimenti ai popoli che piangono Guglielmo X morto e a quelli cui la sua morte fa comodo, si rivolge improvvisamente a sé stesso sotto altro nome senza il minimo segnale (p.-98). La discussione della posizione di Rossi, come si vede, non porta sugli argomenti riguardanti l’eteronimia e lo statuto autoriale presupposto dalla lirica del Medioevo. In maniera più semplice, ma non per questo meno importante, Beltrami si interroga sull’applicabilità dell’ipotesi di Rossi ad una tipologia di testo --il compianto funebre-- che doveva esercitare innanzitutto una funzione collettiva, e quindi non poteva essere indirizzato alla cerchia, più o meno ristretta, degli amatori e degli esperti di poesia lirica, ma era certamente pensato per una circolazione pubblica ben più ampia - potenzialmente, almeno, tutti i sudditi del conte. 6. Qualche ultima considerazione, dedicata alle questioni di metodo dell’edizione e di storia della tradizione. Il fatto che, nell’ambito degli studi trobadorici, interpretazione letteraria e indagine filologica non siano svincolabili l’una dall’altra è, direi, un dato acquisito - e non di poco peso, a mio avviso, quando si tratta di valutare lo scarso appeal della disciplina presso gli ambienti accademici diversi da quello italiano, spagnolo e dalla scuola di Leslie Topsfield in Inghilterra. I contributi di Beltrami non fanno eccezione: molte delle nuove proposte interpretative avanzate in Amori cortesi nascono dalla riconsiderazione di singoli passaggi problematici della tradizione manoscritta; non poche delle considerazioni di ordine più generale e, mi si passi il termine, più letterarie, d’altra parte, hanno spesso ricadute non trascurabili su singole questioni filologiche: scelta fra adiafore, identificazione di lectiones difficiliores, questioni legate all’ordine strofico. Non credo abbia senso dare conto nel dettaglio di questo orizzonte di problematiche affrontate da Beltrami: lascio ai lettori di Amori cortesi il piacere di scoprire queste dimostrazioni e di valutarle nei percorsi interpretativi più ampi ai quali appartengono. Riallacciandomi anche alle considerazioni che ho avanzato poco sopra circa i modi e i metodi dell’interpretazione trobadorica, mi sembra invece utile rilevare che in vari passaggi, poco appariscenti, di Amori cortesi la filologia ‘dura’ diviene strumento di bilanciamento degli approcci eruditi incentrati sull’intertestualità. Mi limito ad un esempio: la riconsiderazione della data di Be·m plaira, seigner en reis --avanzata già da Harvey-Paterson e ripresa da Beltrami alle p.- 374-75- - rende semplicemente impossibile che A mon vers dirai chanso di Raimbaut d’Aurenga possa rispondere al primo testo: il componimento di Raimbaut d’Aurenga è infatti, osserva Beltrami, precedente alla tenzone. Dalla valutazione minuta del fatto filologico in sé --ovvero, quello apparentemente aridissimo degli eruditi occitanisti-- scaturisce una considerazione più ampia, e di grande portata generale: «si dovrebbe ammettere che 364 DOI 10.2357/ VOX-2021-020 Vox Romanica 80 (2021): 351-365 Besprechungen - Comptes rendus abbastanza spesso le prese di posizione dei trovatori su argomenti interessanti per il pubblico cortese non siano discussioni dirette, ma momenti di un dialogo più impersonale, interdiscorsivo più che intertestuale, per usare termini invalsi» (p.-375). Altre importanti riflessioni tecniche con implicazioni di carattere generale riguardano la questione della lingua trobadorica. Beltrami ragiona, a questo riguardo, dal punto di vista dell’editore di testi, e si sofferma quindi sui due problemi --chiaramente interconnessi-- della lingua dell’autore e della lingua del testo edito. Si interroga quindi, da un lato, sulla possibilità di recuperare singoli tratti fonetici o singoli elementi lessicali riportabili con un margine di probabilità relativamente alto all’autore; dall’altro, e soprattutto, sulla lingua secondo la quale pubblicare di volta in volta i testi. A questo riguardo, mi pare importante ricordare la proposta avanzata nell’articolo Appunti per una nuova edizione di Giraut de Borneill, e concretamente messa in atto in Note su «Ans que venha» 18 , di allineare tutti i testi di un’edizione monografica di un trovatore (nel caso specifico, Giraut de Borneill) alla prassi grafico-fonetica di un solo manoscritto (nel caso specifico, C). La proposta è motivata da ragioni pragmatiche, di chiarezza e leggibilità del testo critico, e non comporta alcun pregiudizio positivo nei confronti del manoscritto prescelto come ‘ms. de surface’: il testo di C non dà garanzie di risalire, se non all’originale, alla fase più antica della tradizione più di quello di qualsiasi altro ms., anzi probabilmente ne dà di meno, e […] un’edizione deve, per quanto riguarda la sostanza, basarsi sempre sull’esame critico di tutta la tradizione […]. La cura editoriale di C permette, per quanto riguarda la forma, di dare un testo relativamente uniforme dal punto di vista della patina linguistica, in una variante certo non prossima all’autore, ma almeno certamente occitanica […]. Con la consequenzialità che gli è propria, Beltrami porta la propria proposta a quelle che potremmo definire estreme conseguenze nel contributo su Ans que venha, dove il testo del componimento, trasmesso dal solo V, è ‘transcodificato’ secondo le abitudini grafico-fonetiche di C. È, se si vuole, un’operazione radicale, che richiede una saldissima conoscenza delle tradizioni di scrittura dei canzonieri trobadorici, occitanici, italiani e catalani. Se quella di Ans que venha può essere, in qualche modo, letta come una provocazione rispetto alla pratica editoriale attualmente invalsa in filologia trobadorica --ma certo è una provocazione con solidi precedenti, se si pensa alla tradizione editoriale dei testi, in particolare letterari, italiani del Medioevo- -, l’indicazione metodologica di Beltrami non può essere ignorata laddove entrano in causa gli interventi sul ms. base (o, forse meglio, de surface) 19 . Non è infatti infrequente imbattersi in edizioni trobadoriche in cui l’adozione di una lezione da un ramo della tradizione diverso rispetto a quello cui appartiene il ms. base avviene senza alcun intervento sulla forma grafico-fo- 18 Il saggio dal titolo Appunti per una nuova edizione (2016) è collocato in coda alla sezione su Giraut de Borneill, di cui costituisce il coronamento. Le Note su «Ans que venha» (2018), immediatamente precedenti, gli sono però cronologicamente successive, e di fatto mettono in opera le proposte avanzate nel contributo di carattere più generale. 19 Per la nozione di manuscrit de surface --formula di Jacques Monfrin-- cf. almeno le osservazioni di Leonardi L. 2011: «Il testo come ipotesi (critica del manoscritto base)», Medioevo romanzo 35: 5-34. 365 DOI 10.2357/ VOX-2021-020 Vox Romanica 80 (2021): 351-365 Besprechungen - Comptes rendus netica della lezione stessa, lezione che fa quindi ‘macchia’ rispetto ad un contesto caratterizzato da una marcatura grafico-linguistica anche profondamente diversa. In questo caso, direi, l’intervento non è facoltativo ma obbligatorio, pena la totale incoerenza del testo edito. In Amori cortesi, inoltre, si possono rimarcare varie osservazioni, quasi sempre cursorie, che insistono sulle questioni relative alla stratigrafia linguistica della tradizione trobadorica. Sono, ancora, note di grande spessore, che mi sento di poter dire hanno alla base una riflessione molto approfondita, e che meriterebbero certamente di essere ulteriormente sviluppate. Mi limito a segnalarne una. Beltrami parla della tradizione dei canzonieri come di una ‘tradizione tritacarne’, dalla quale pochissime indicazioni sono derivabili circa gli usi linguistici dei singoli trovatori e sul rapporto tra questi usi e la varietà dialettale materna del trovatore (e, mi sentirei di aggiungere, ancora meno indicazioni circa il rapporto fra Schriftsprache e lingua dell’uso): solo gli indizi positivi e testualmente garantiti possono dire qualcosa sulla lingua effettivamente usata da un trovatore (dalla quale non è ancora ovvio il passaggio alla sua origine), e non dice nulla la mancanza di indizi in trovatori antichi i cui testi sono passati al tritacarne di una tradizione che ha fortemente agito su grafia, fonetica, morfologia, e talvolta anche sul lessico (p.-100). 7. Spero che le considerazioni che ho provato ad avanzare in questa sede possano essere utili alla lettura, continuativa e ancor più per segmenti, di Amori cortesi, e anche all’individuazione di alcune piste di ricerca percorribili per i futuri studi trobadorici. Va da sé che le mie note non esauriscono gli spunti contenuti nei lavori di Beltrami. Fra le molte linee di indagine ancora da sviluppare, si potrà ricordare quella, interessantissima, relativa agli scambi letterari fra dominio d’oc e dominio d’oïl - elemento che meriterebbe ulteriori approfondimenti e che consentirebbe di riallacciare alcune delle connessioni ormai cadute fra studi occitanici e studi francesi. Beltrami rimarca infatti che alcuni passaggi delle poesie di Giraut de Borneill e di Bertran de Born sembrerebbero attestare la conoscenza e il reimpiego da parte dei due trovatori di due grandi successi della narrativa francese come, rispettivamente, la Charrette di Chrétien de Troyes e il Roman de Troyes di Bénoît de Sainte-Maure, in anni verosimilmente a ridosso la composizione dei due romanzi 20 . Non si potrà concludere senza ricordare che gli scritti di Beltrami, oltre che di grande rilievo scientifico, si segnalano anche per la piacevolezza del loro stile e per l’affetto che sanno dimostrare tanto al loro oggetto di studio quanto ai loro potenziali lettori. Caterina Menichetti (Université de Genève/ Université de Lausanne) ★ 20 Cf. p.-299-301, dove si ipotizza che «la menzione dell’anello salvifico donato dalla domna» della str. III di Quan lo fregz e·l glatz e la neus (BEdT 242) sia riportabile alla Charrette di Chrétien de Troyes, la cui precoce circolazione presso i trovatori è per altro attestata da BEdT 80,33 Puois Ventadorns e Conborns ab Segurs di Betran de Born; e p.-391 per l’ascendenza alla materia troiana, e particolarmente al Roman de Troie di Bénoît de Sainte-Maure, del modulo di Elena come paradigma di bellezza messo in opera da Betran de Born.