eJournals Vox Romanica 72/1

Vox Romanica
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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Questa ricerca muove da dati dialettologici, tratti da atlanti e integrati da rilevazioni ad hoc, adottando un approccio tipologico. L’idea è che la dialettologia offra una trama di variazione a maglia molto più fine di quanto non avvenga per la variazione interlinguistica, il che può contribuire a raffinare lo studio della gamma di variazione tipologica e ad individuare ulteriori correlazioni fra fenomeni linguistici. L’ambito d’indagine è quello non molto frequen - tato dei numerali cardinali e della relativa flessione, con particolare attenzione alla variazione dialettale nell’Italia settentrionale. La peculiarità dei numerali cardinali corrispondenti a ‘due’ e a ‘tre’, che in molti dialetti presentano flessione in base al genere, verrà analizzata in relazione alla distribuzione geografica delle varianti e ai diversi contesti d’uso (in particolare attributivi e non attributivi).
2013
721 Kristol De Stefani

Variazione dialettale e tipologia

2013
Silvia  Dal Negro
Vox Romanica 72 (2013): 138-150 Variazione dialettale e tipologia La flessione dei numerali cardinali nell’Italia settentrionale Abstract: Questa ricerca muove da dati dialettologici, tratti da atlanti e integrati da rilevazioni ad hoc, adottando un approccio tipologico. L’idea è che la dialettologia offra una trama di variazione a maglia molto più fine di quanto non avvenga per la variazione interlinguistica, il che può contribuire a raffinare lo studio della gamma di variazione tipologica e ad individuare ulteriori correlazioni fra fenomeni linguistici. L’ambito d’indagine è quello non molto frequentato dei numerali cardinali e della relativa flessione, con particolare attenzione alla variazione dialettale nell’Italia settentrionale. La peculiarità dei numerali cardinali corrispondenti a ‘due’ e a ‘tre’, che in molti dialetti presentano flessione in base al genere, verrà analizzata in relazione alla distribuzione geografica delle varianti e ai diversi contesti d’uso (in particolare attributivi e non attributivi). Keywords: numerali, tipologia, Italia settentrionale, flessione, genere 1. Introduzione La presente ricerca prende le mosse dall’osservazione, in sé certamente non nuova (vedi ad esempio Rohlfs 1969: §971) sebbene forse mai affrontata con la sistematicità che meriterebbe, della flessione in base al genere dei numerali cardinali, in particolare di ‘due’, nel paesaggio dialettale italiano. Lo scopo del lavoro è di documentarne la distribuzione geografica nelle parlate settentrionali odierne (e in rapporto alla situazione documentata dall’AIS) e di individuare modelli sistematici nella flessione di ‘due’ e di ‘tre’ che abbiano rilevanza tipologica 1 . Com’è noto, in italiano la flessione (per genere e caso) sui numerali (presente in latino per ‘uno’, ‘due’ e ‘tre’) è del tutto venuta meno 2 dopo un lungo periodo di variazione motivata su vari piani (morfologico, sintattico, prosodico, metrico). Tale variazione è ben documentata nei testi dalle origini fino almeno al XVII secolo 3 , 1 Risultati parziali di questa ricerca sono stati presentati al Colloque δια II «Les variations diasystémiques et leurs interdépendances», Copenaghen, 19-21. 11. 2012. Sono grata ai partecipanti al panel per i commenti e i suggerimenti che mi hanno stimolata a rivedere alcuni aspetti della ricerca. Un ringraziamento particolare per avere letto e discusso con me versioni precedenti di questo lavoro va però soprattutto a Matteo Rivoira e Andrea Scala. Ringrazio infine il revisore anonimo per i commenti puntuali volti a migliorare la stesura definitiva di questo articolo. Resto naturalmente la sola responsabile del testo qui pubblicato. 2 Con la parziale esclusione di ‘uno’ (marcato per genere), che è però un caso a sé per il suo sovrapporsi con l’articolo indeterminativo e con altri usi non cardinali (ad esempio: gli uni, le une). 3 Oltre al già citato Rohlfs 1969: §971, ne dà ampia documentazione, seguendone l’evoluzione nelle sue diverse fasi, Migliorini 1991. Variazione dialettale e tipologia 139 soprattutto per quanto riguarda ‘due’; ne diamo qualche esempio in (1), senza alcuna pretesa di esaustività. Si osservi in particolare l’uso latineggiante di Petrarca che oppone con sistematicità duo maschile a due femminile, mentre gli esempi successivi di Ariosto e Galilei presentano una maggiore varietà di forme, fra le quali dua, che tende ad occorrere con i plurali in -a (come dita), e i maschili dui o duoi, da ricondurre al latino tardo dui, costruito analogicamente sui plurali maschili in -i (cf. Tekav Č i Ć 1972: 260). (1) e ’l volger de’ duo lumi honesti et belli [Petrarca, Canzoniere: 59, v. 13] hebeno i cigli, et gli occhi eran due stelle [Petrarca, Canzoniere: 157, v. 10] i dui cavallieri a faccia a faccia [Ariosto, Orlando Furioso, Canto II] quanto in due volte si può trar con mano [Ariosto, Orlando Furioso, Canto II] Fra duo guerrieri in terra et uno in cielo [Ariosto, Orlando Furioso, Canto II] e nel capo a Ruggiero entrò dua dita [Ariosto, Orlando Furioso, Canto XXX] e li duoi primi chiama semplici [Galilei, Dialogo . . ., Giornata I] Io non ho detto che la Terra non abbia principio né esterno né interno al moto circolare, ma dico che non so qual de’ dua ella si abbia [Galilei, Dialogo . . ., Giornata II] per esser questi due moti contrarii [Galilei, Dialogo . . ., Giornata III] Si noti invece come nella prima edizione del Vocabolario della Crusca (vedi es. 2) venga normato l’uso invariabile di due, recuperando (probabilmente su modello del Petrarca) il tipo duo come forma dotta specializzata agli ambiti poetici. In questo modo viene reinterpretata un’opposizione dotata in origine di valore morfologico come opposizione stilistica, dipendente dal tipo testuale. (2) due. Nome di numero, che seguita immediatamente all’uno: sanza distinzion d’alcun genere, sempre, nella prosa, si scrive due, e nel verso, duo, d’una sola sillaba. [Vocabolario degli accademici della Crusca, 1 a ed. (1612)] La flessione di ‘due’, infine, è attestata nelle varietà standard di diverse lingue romanze, ad esempio in rumeno (doi m. / dou ă f.), in catalano (dos m. / dues f.), in portoghese (dois m. / duas f.), oltre che, naturalmente, in numerose altre lingue, come riportato ad esempio da Hurford 2003 nella sua rassegna sulle lingue d’Europa. Assicurando uno studio della variazione a grana più fine, l’inclusione di dati dialettali 4 arricchisce ulteriormente il quadro facendo potenzialmente emergere schemi di variazione non visibili limitandosi ai dati delle sole lingue standard 5 . 4 Certo non a caso, infatti, Hurford 2003 prende in considerazione anche diverse lingue non standard e dialetti (ad esempio lo zurighese, accanto al tedesco standard). 5 Cf. anche Dal Negro 2013 per una prima ricognizione del fenomeno su parlate romanze e germaniche di area alpina. Silvia Dal Negro 140 2. I numerali come categoria linguistica La categoria dei numerali occupa generalmente una posizione marginale sia nelle descrizioni grammaticali sia all’interno della teoria linguistica, marginalità dovuta a più fattori, non da ultimo alla difficoltà di rendere conto dell’apparente contrasto fra un alto grado di idiosincrasia da una parte e di serialità e ricorsività (dovuta alla natura stessa del referente) dall’altra 6 . In realtà, quello dei numerali può rivelarsi un ambito di grande interesse, particolarmente fecondo per studiare l’intersecarsi di aspetti linguistici (le parole per contare, cioè i numerali), cognitivi (il concetto stesso di numero nelle sue diverse articolazioni), per cui si veda ad es. Wiese 2006, e culturali. A questo proposito, infatti, gli studi di taglio tipologico sui sistemi numerali si sono occupati soprattutto di lingue «esotiche», in particolare di lingue caratterizzate da sistemi estremamente limitati (cf. Greenberg 1978; 2000) 7 , più recentemente per contribuire alla vivace discussione sulle costrizioni culturali nell’evoluzione della grammatica (cf. fra l’altro Everett 2005). Delle diverse proprietà dei numerali, quella rilevante in questa sede è la più basica e centrale della categoria, la cardinalità, con la quale si intende il riferimento alla quantità esatta di individui compresi in un insieme (cf. ad es. Hurford 2002). Nella lingua comune, tuttavia, molti numerali (significativamente non tutti) ricorrono anche nell’espressione sia dell’intensità sia dell’approssimazione (dunque distaccandosi diametralmente dalla cardinalità), come ampiamente documentato in Bazzanella 2011. In particolare l’approssimazione si basa su un aspetto universale del senso del numero, ovvero sul suo uso non simbolico, caratteristico soprattutto dei bambini piccoli, di culture meno sofisticate sul piano dell’elaborazione scientifica, e probabilmente condiviso (in alcuni suoi aspetti più basici) anche da alcuni primati. Un uso non simbolico, dunque, ben attestato nella lingua quotidiana, al quale si oppone l’uso simbolico e aritmetico, tipico delle società complesse e di parlanti adulti e acculturati (cf. Bazzanella 2011 e bibliografia ivi citata). Centrali per la discussione che seguirà sono anche le considerazioni di Dehaene et al. 2008, i quali postulano l’universalità delle scale logaritmiche, basate sull’idea che il grado di approssimazione nel definire la cardinalità di un insieme aumenta proporzionalmente alla numerosità di individui appartenenti all’insieme stesso, in contrasto alle scale aritmetico-lineari. Tutto questo sembra avere un riscontro diretto nella frequenza relativa con la quale i numerali ricorrono nell’uso linguistico, frequenza che è inversamente pro- 6 Emblematiche in questo senso le parole di Jakob Grimm: «Die zahlwörter aller sprachen, namentlich auch unserer, stecken voll anomalien und störungen der laute, bildungen und flexionen» (Grimm 1856: 18). Per quanto riguarda nello specifico le lingue romanze, già Schmid 1964 sottolineava come serialità e, viceversa, autonomia lessicale fossero principi costitutivi dei numerali e ne spiegassero le idiosincrasie nel mutamento linguistico. 7 Si ricordi, a latere, che i numerali sono comunque, in ogni lingua, limitati, mentre non lo sono i numeri; con il crescere o mutare delle esigenze (culturali, scientifiche, economiche, ecc.), i sistemi linguistici possono infatti arricchirsi di nuove basi (cf. Greenberg 1978; von Mengden 2010). Variazione dialettale e tipologia 141 porzionale alla grandezza rappresentata dal numerale stesso, con l’eccezione delle basi decimali e di parole come milione, cento e mille, usate più spesso con significato approssimativo o intensivo che non per esprimere un valore matematico esatto 8 . Si veda a questo proposito la tabella seguente (tab. 1) nella quale si riportano i numerali che ricorrono con maggiore frequenza (cf. il numero assoluto di occorrenze riportato per ciascun numerale) nel corpus LIP 9 . Tab. 1. Numerali e frequenza nel corpus LIP ‘due’ 1094 ‘cento’ 240 ‘quaranta’ 107 ‘tre’ 546 ‘sei’ 224 ‘undici’ 78 ‘uno’ 438 ‘otto’ 179 ‘mille’ 77 ‘cinque’ 336 ‘venti’ 166 ‘dodici’ 67 ‘quattro’ 285 ‘trenta’ 151 ‘novanta’ 58 ‘milione’ 261 ‘nove’ 144 ‘ottanta’ 58 ‘sette’ 254 ‘cinquanta’ 113 ‘diciotto’ 56 ‘dieci’ 246 ‘quindici’ 109 ‘sessanta’ 55 Dal punto di vista strettamente linguistico, la categoria dei numerali cardinali si definisce in base a un insieme di criteri semantici (appunto la cardinalità) e morfosintattici. Particolarmente rilevante per le considerazioni che seguiranno è il lavoro di Corbett 1978, volto all’individuazione di proprietà nominali o aggettivali sulla base di caratteristiche intrinseche al numerale stesso 10 . Nello specifico, se i numerali presentano differenze morfosintattiche al loro interno, allora tipicamente i numerali più bassi presentano analogie con gli aggettivi (per esempio nell’accordo con la testa nominale, nella posizione rispetto a essa) e quelli più alti con i nomi (si pensi all’italiano milione). Universale 152: The syntactic behaviour of simple cardinal numerals will always fall between that of adjectives and nouns. If the simple cardinal numerals of a given language vary in their syntactic behaviour, the numerals showing nounier behaviour will denote higher numerals than those with less nouny behaviour. [The Universals Archive, http: / / typo.uni-konstanz.de/ archive/ ] (Corbett 1978) Diverse proprietà linguistiche dei numerali sono dunque dipendenti dalla loro cardinalità. Inoltre, i numerali presentano spesso idiosincrasie morfologiche e, più in 8 Si vedano, a titolo puramente esemplificativo, due esempi tratti dal LIP: quest’ accessorio<? > che vi permettera’ di risolvere mille e mille problemi (MA10); si’ e me l’ha dato cento volte me l’hai detto (MB36). 9 Una verifica poco più che casuale sul web attraverso il motore di ricerca Google (selezionando le sole pagine in italiano ed evitando i casi di omonimia), conferma sostanzialmente questi dati, con due, tre e quattro caratterizzati da frequenze d’uso molto elevate, seguiti, ad una certa distanza, da cinque, mille, dieci, cento. 10 Va però detto che Corbett 1978 considera nel suo lavoro solo i numerali semplici, cioè le unità e le basi che servono per costruire numerali complessi. Silvia Dal Negro 142 generale, una condivisione solo parziale delle proprietà morfologiche e sintattiche di altre categorie lessicali, in primis degli aggettivi, ma anche di altri modificatori del nome, quali articoli, dimostrativi, indefiniti. Per questi motivi, un autore che di recente si è occupato estesamente della questione, von Mengden 2010, propende piuttosto per una categorizzazione dei numerali come classe lessicale autonoma, caratterizzata al suo interno da variazione motivata da proprietà intrinseche alla classe stessa (ovvero la cardinalità e la sequenzialità). 3. La distribuzione diatopica del fenomeno in area alto-italiana Per una prima verifica della distribuzione diatopica della flessione dei numerali cardinali (di fatto solo di ‘due’) in funzione attributiva si è preso in considerazione l’AIS, in particolare confrontando punto per punto le forme attestate nelle carte «due uomini» e «due donne» (rispettivamente le carte 47 e 48 del vol. 1) nelle parlate romanze dell’Italia settentrionale 11 . Come si può osservare dalla fig. 1, elaborata a partire dal confronto fra le due serie di dati, i segnaposto arrotondati (che indicano presenza di variazione formale in base al genere) risultano prevalenti in tutta l’area in esame, con l’esclusione di buona parte dei dialetti veneti e trentini, di alcune parlate ladine (Canazei e Selva di Gardena) e di pochissimi punti del lombardo orientale (indicati invece da segnaposti a forma di croce). Quello della flessione di ‘due’ è dunque un fenomeno tutt’altro che marginale, ben attestato ad 11 Si sono considerati i dialetti gallo-italici e veneti, oltre a francoprovenzale, provenzale alpino, ladino e friulano. Fig. 1. Opposizione formale di ‘due’ per il maschile e il femminile (elaborata dalle carte 47-48, vol. 1, dell’AIS) Variazione dialettale e tipologia 143 esempio nei dialetti cittadini e centrali, trasversale ai sotto-gruppi linguistici (gallo-romanzo, gallo-italico e reto-romanzo), dal quale si escludono, come si è detto, i dialetti veneti, le aree di transizione e alcuni dialetti periferici. Vale la pena accennare subito agli aspetti formali che stanno alla base di tale opposizione morfologica. Semplificando molto, possiamo distinguere un tipo gallo-italico per il quale l’opposizione va ricondotta a doi ~ dui in contrasto a due, dove la desinenza -i del maschile può provocare diversi effetti metafonetici ed eventualmente cadere, dai tipi gallo-romanzi e reto-romanzi caratterizzati anche dalla conservazione della forma (in origine) accusativa -(a)s per il femminile. Si veda nella tab. 2 il dialetto di Premia, in Ossola e quello di Bergamo come esempi del primo tipo, contro le varianti occitana di Ostana e ladina di San Vigilio di Marebbe in rappresentanza del secondo tipo. Risultano invece meno diffusi altri tipi con femminile in -a (qui rappresentati dall’ampezzano) o, più distanti dal tipo prevalente, i casi di femminile in -i presenti nell’alto bresciano (vedi qui Sonico), che peraltro corrispondono alla presenza della marca -i/ -e sul plurale dei nomi femminili, tratto ben attestato proprio in quella zona 12 . In sintesi: nella maggior parte dei dialetti dell’Italia settentrionale si mantiene l’opposizione funzionale (accordo di genere) su ‘due’ ma si rinnovano le forme per analogia con altri settori della morfologia nominale. Tab. 2. Tipi di marcatura del genere su ‘due’ (fonte: AIS) Punto AIS ‘due’ maschile ‘due’ femminile tipo 246 Bergamo du d  u / o 109 Premia d  y d  -i / ø 274 Sant’Angelo Lodigiano dü d ū ü / u 187 Zoagli dúy d  -i / -e 161 Ostana düy dú ṣ -i / -as 305 San Vigilio di Marebbe dúy d ǜ ṣ -i / -as 316 Cortina d’Ampezzo d  y d  a -i / -a 229 Sonico du d  y ø / -i La fig. 2 illustra lo stesso fenomeno (flessione di ‘due’ in contesto attributivo) sulla base di una campagna di rilevazioni ad hoc condotta grazie alla collaborazione di numerosi colleghi e amici 13 , e successivamente integrata con i dati dell’atlante 12 Ciò vale naturalmente solo se si considera la variazione su un livello strettamente sincronico, di distribuzione delle varianti nello spazio. In particolare i casi con femminile in -a rientrerebbero, considerandone lo sviluppo in diacronia, nel tipo più nutrito con desinenza -(a)s. 13 Ringrazio per la pazienza, la prontezza nel rispondere e la disponibilità: Karin Battisti, Massimo Bonfadini, Marica Brazzo, Massimo Cerruti, Loredana Corrà, Nicola Duberti, Davide Filiè, Ilaria Fiorentini, Federica Guerini, Paola Inzoli, Martina Irsara, Chiara Meluzzi, Daniela Moncalvo, Riccardo Regis, Theo Rifesser, Matteo Rivoira, Andrea Scala, Elena Sorrenti, Lorenzo Spreafico, Cristiana Telch, Irene Tinti, Mina Tomella, Monica Valenti, Ada Valentini, Federico Vicario, Paul Videsott. Silvia Dal Negro 144 VIVALDI disponibili online. Pur lasciando diverse aree del tutto o parzialmente scoperte (e altre invece iper-rappresentate), la carta riprodotta nella fig. 2 può essere facilmente messa a confronto con quella precedente (fig. 1, basata sull’AIS), verificando così alcune linee di tendenza. In particolare si osserva la maggiore compattezza del Veneto come area di mancata flessione del numerale (simboli a croce) e un ampliamento sempre del tipo non flesso verso l’area centrale e occidentale, seppure più sporadicamente. Sfortunatamente né l’AIS né il VIVALDI permettono di verificare la diffusione della flessione su altri numerali, in particolare su ‘tre’, per il quale invece anche opere lessicografiche importanti come il DELI e il GDLI, oltre naturalmente a Rohlfs 1969, riportano una considerevole varietà di forme indicate come dialettali e arcaiche, fra cui spicca trei, probabilmente formazione analogica su dui (cf. anche Rohlfs 1969: §971), e comunque innovazione romanza per quanto riguarda l’opposizione di genere. Pur dovendo necessariamente limitare l’analisi ai dati raccolti tramite questionario - e dunque lacunosi per ampie zone del territorio - è evidente come il fenomeno della flessione presenti una distribuzione molto più limitata rispetto a quello che si può riscontrare per ‘due’, facilmente localizzabile in una fascia centrale del territorio indagato (segnaposti arrotondati) e che sembra avere il suo cuore nei dialetti lombardi ed emiliani (cf. fig. 3) 14 . Dal punto di vista delle forme rilevate, infine, per ‘tre’ lo spazio di variazione è più limitato e può essere riassunto, in sincronia, nel contrasto fra tri e tre, o fra tre 14 In mancanza di altri punti di riferimento risultano particolarmente significativi gli esempi di veneziano e padovano arcaici citati da Rohlfs 1969: §971, in un’area dove, come si è visto, la flessione sui numerali sembra oggi (ma già ai tempi delle rilevazioni AIS) mancare del tutto. Fig. 2. Opposizione formale di ‘due’ per il maschile e il femminile (dati V IVALDI e questionario) Variazione dialettale e tipologia 145 e tr ɛ , comunque sempre da ricondurre ad una desinenza -i per il maschile. Anche per ‘tre’ si segnala l’eccezione di pochi casi marginali: alto bresciano e piacentino che presentano trèi al femminile (con la consueta -i del femminile plurale, cf. sopra) contro tré o tri al maschile. Infine, a chiusura di questa sezione vanno brevemente considerati i casi di mancata opposizione di genere, particolarmente interessanti in quanto la forma unica attestata, dialetto per dialetto, non coincide necessariamente con quella dell’italiano o con tipi ad essa riconducibili (né per ‘due’ né per ‘tre’). Con l’esclusione delle parlate venete, per le quali è difficile parlare di marca di genere tout court, la forma che si è imposta altrove corrisponde a quella del maschile, caratterizzata da desinenza -i o dagli effetti metafonetici da questa provocati. Per fare un esempio, dunque, si ha do  e tre  nel dialetto di Faver in val di Cembra (TN) e du e tri nel dialetto di Ardesio in Val Seriana, come illustrato negli esempi (3-4): (3) i du ka i ɛ bja ŋ k e i du ˈ gate i ɛ ˈ negre (Ardesio) ‘i due cani sono bianchi e le due gatte sono nere’ (4) tr ɛ fjøi; tr ɛ ˈ volte (Faver) ‘tre figli; tre volte’ Dal punto di vista del mutamento linguistico ciò naturalmente non stupisce, poiché il maschile, come genere non marcato, prevale generalmente in caso di neutralizzazione 15 e sta a indicare il probabile percorso evolutivo. Si tratta cioè dello sviluppo di una forma chiaramente maschile in opposizione ad altre non maschili 15 Analogamente in tedesco hanno prevalso le forme neutre zwei e drei su quelle del maschile e del femminile. Fig. 3. Opposizione formale di ‘tre’ per il maschile e il femminile (questionario) Silvia Dal Negro 146 che verrebbero poi meno in seguito a processi di neutralizzazione. Si noti che tale effetto si verifica anche nella funzione astratta dei numerali per le espressioni aritmetiche: nei dialetti che marcano il genere è la forma del maschile a essere usata per i calcoli (v. es. 5). (5) tri pjy dy fa sik (Pandino) ‘tre più due fa cinque’ 4. Individuazione di schemi di variazione Da quanto si è visto, dunque, quello della flessione dei numerali cardinali è un fenomeno tutt’altro che marginale nel paesaggio dialettale dell’Italia settentrionale 16 . Inoltre, almeno per il caso di ‘due’ che permette di documentare il fenomeno in diacronia, la distribuzione attestata dall’AIS sembra essere sostanzialmente confermata dalle rilevazioni più recenti, secondo le quali il fenomeno non sembra presentare sostanziale regressione, sebbene non trovi un parallelismo in italiano, la lingua di prestigio a più stretto contatto. Infine, come si può osservare anche dalla tab. 3 che riassume i dati ordinandoli, un gruppo più limitato di dialetti, fra quelli per i quali si dispone di dati raccolti tramite questionario, presenta flessione anche per ‘tre’. Si conferma così la tendenza generale secondo la quale se una lingua presenta flessione su un numerale cardinale, la presenterà anche sui numerali corrispondenti a valori numerici inferiori (Hurford 2003: 564-66). Gli esempi (6-7) riportati qui rappresentano proprio l’implicazione enunciata sopra: mentre in valsesiano (dialetto di Cellio, bassa valle) si ha accordo su ‘due’ ma non su ‘tre’, in cremasco (lombardo orientale) si ha accordo sia su ‘due’ che su ‘tre’; il caso opposto (accordo su ‘tre’ ma non su ‘due’ 17 ) non è attestato in nessuno dei dialetti presi in considerazione. (6) i do  ken; i due ˈ gate (Cellio) ‘i due cani; le due gatte’ tr ɛ ma ˈ ta  ; tr ɛ ˈ vote ‘tre ragazzi; tre volte’ (7) du ka; d ɔ ˈ gate (Crema) ‘due cani; due gatte’ g ˈ era na ˈɔ lta tri fra ˈ d ɛ [. . .]; tr ɛ ˈ fjole [. . .] ‘c’era una volta tre fratelli; tre figlie’ 16 Ma probabilmente su buona parte del territorio: un controllo a campione sull’AIS sembra attestare la flessione di ‘due’ quasi ovunque con l’eccezione del Meridione estremo e di parte della Toscana e della fascia dialettale mediana. 17 Come avviene invece, ad esempio, in albanese standard: dy ‘due’, tre (m.) vs. tri (f.) ‘tre’. Variazione dialettale e tipologia 147 Osservando ora con maggiore attenzione i dati relativi ai dialetti che non presentano flessione sui numerali nei contesti attributivi presi in considerazione fino a questo punto, emergono alcuni fatti interessanti se si confrontano i contesti nei quali il numerale non è seguito dalla testa nominale ma è usato in funzione predicativa (le donne sono due), pronominale (due sono anziane), in isolamento (Quante sono? Due) o in altri contesti analoghi 18 . Si possono riconoscere almeno tre tipi diversi: (a) I dialetti che nei contesti non attributivi presentano una forma del numerale diversa (generalmente caratterizzata da corpo fonico più consistente), pur continuando a non marcare il genere (vedi l’esempio 8): questo tipo è attestato in un’area relativamente compatta che tocca alcuni dialetti trentini (fra cui il capoluogo Trento) e il feltrino-bellunese. La presenza di forme più lunghe (bisil- 18 Ma non necessariamente nei cosiddetti costrutti ellittici, per i quali non dispongo di dati sufficienti, costrutti spiegati da von Mengden 2010: 192-94 come casi nei quali la testa nominale viene cancellata (in quanto già espressa precedentemente) mentre la funzione del numerale resta sostanzialmente la stessa di quantificatore esatto del referente. Esempio adattato: c’erano Pietro, Tommaso, Giacomo e Giovanni e altri due i cui nomi l’Evangelista non riporta. Tab. 3. Marcatura del genere su ‘due’ e ‘tre’ (questionario) Località ‘tre’ at- ‘due’ at- Località ‘tre’ at- ‘due’ attributivo tributivo tributivo tributivo Toscolano Maderno m ≠ f m ≠ f Udine m = f m ≠ f (BS) Val Germanasca (TO) m = f m ≠ f Bedizzole (BS) m ≠ f m ≠ f Marebbe (BZ) m = f m ≠ f Rovato (BS) m ≠ f m ≠ f Pontechianale (CN) m = f m ≠ f Ostiano (CR) m ≠ f m ≠ f Rorà (TO) m = f m ≠ f Crema (CR) m ≠ f m ≠ f Torino m = f m ≠ f Pandino (CR) m ≠ f m ≠ f Cellio (VC) m = f m ≠ f Dalmine (BG) m ≠ f m ≠ f Chiaverano (TO) m = f m ≠ f Stezzano (BG) m ≠ f m ≠ f Treviso m = f m = f Lugagnano (PC) m ≠ f m ≠ f Godega (TV) m = f m = f Bobbio (PC) m ≠ f m ≠ f Besenello (TN) m = f m = f Milano m ≠ f m ≠ f Feltre (BL) m = f m = f Gordona (SO) m ≠ f m ≠ f Monastier (TV) m = f m = f Serravalle Scrivia (AL) m ≠ f m ≠ f Mattarello (TN) m = f m = f Omegna (VCO) m ≠ f m ≠ f Gardena (BZ) m = f m = f Ceranesi (GE) m ≠ f m ≠ f Albiano (TN) m = f m = f Acceglio (CN) m = f m ≠ f Ardesio (BG) m = f m = f Alba (CN) m = f m ≠ f Borgo S. Dalmazzo m = f m = f Badia (BZ) m = f m ≠ f (CN) Bellino (CN) m = f m ≠ f Faver (TN) m = f m = f Entraque (CN) m = f m ≠ f Peveragno (CN) m = f m = f Frabosa Soprana (CN) m = f m ≠ f Vigo di Fassa (TN) m = f m = f San Daniele (UD) m = f m ≠ f Silvia Dal Negro 148 labiche) nei contesti non attributivi (inclusa la conta in sequenza) per i numerali più bassi è ben attestata anche nei dialetti tirolesi, sebbene in questo caso la forma estesa interessi molti più numerali (in genere quelli compresi fra il ‘tre’ e il ‘dodici’, raggiungendo in certi casi addirittura il ‘diciannove’). Questi casi potrebbero rientrare nel tipo toscano caratterizzato da apocope (con du’ attributivo prenominale e due predicativo) di cui rende conto Marotta 1995: la prospettiva risulterebbe però rovesciata rispetto a quanto sostenuto fino a questo punto, nel senso che la forma base sarebbe quella del contesto predicativo e pronominale, mentre in contesto attributivo avremmo a che fare con una forma più breve, appunto apocopata. (8) do ˈ toze e an to ˈ zat; ˈ kwante ˈ ele le ˈ toze? do  . (Feltrino-bellunese) ‘due ragazze e un ragazzo; quante sono le ragazze? due’ (b) I dialetti che, in questi contesti non attributivi, presentano forme caratterizzate da corpo fonico più consistente delle forme attributive, ma anche marcate per genere (vedi l’esempio 9). Il fenomeno sembra tipico dei dialetti trentini (incluso il ladino gardenese dell’esempio) e, anche in questo caso, trova riscontro in alcuni dialetti tedeschi meridionali (alemannici in questo caso) nei quali si sono sviluppate marche di genere per i numerali (anche fino a 19), ma solo nei contesti pronominali o predicativi. Nell’esempio gardenese citato si vede bene come il rapporto tra forma attributiva e forma predicativa non possa essere qui spiegato in termini di apocope come per il caso toscano cui si è fatto riferimento sopra, ma vadano presi in considerazione anche altri fattori. (9) do  mu ˈ tans i un mut; tan de mu ˈ tans? ˈ doves; tan de t ʃ ans i ˈ el pa? do  . (Gardenese) ‘due ragazze e un ragazzo; quante ragazze? due; quanti cani sono? due.’ (c) I dialetti che recuperano, solo in questi contesti, l’opposizione maschile / femminile attestata in dialetti limitrofi, senza però che questo comporti l’aggiunta di segmenti fonici. Si tratta, nel nostro corpus, di dialetti al confine tra lombardo orientale e trentino e/ o veneto. Si osservi a questo proposito il dialetto di Selvino, in Val Seriana (es. 10, tratto da VIVALDI), che recupera nei contesti non attributivi l’opposizione regolare riscontrata nella bassa bergamasca o nel dialetto cittadino. (10) dú f  mne - na f  mna, mía δ (Selvino) ‘due donne - una donna, non due’ Variazione dialettale e tipologia 5. Conclusioni Quello dei numerali si conferma, dunque, anche alla luce dei dati dialettali qui discussi, un insieme intrinsecamente ordinato, la cui disposizione si riflette, ove vi sia variazione, sulle caratteristiche linguistiche della classe. Come discusso nel §2, i numerali cardinali che sono espressione di numeri bassi tendono a essere molto frequenti nel parlato; al tempo stesso insiemi piccoli sono cognitivamente più rilevanti e risultano più facili da percepire globalmente e immediatamente di insiemi grandi, per i quali la tendenza all’approssimazione prende il posto alla capacità di quantificare con esattezza. Probabilmente il moltiplicarsi di queste proprietà può spiegare la resistenza di ‘due’ e di ‘tre’ nel mantenere una maggiore differenziazione flessiva rispetto ad altri numerali, nei dialetti presi in esame così come in molte altre lingue. I dati hanno anche mostrato come vi sia un’ulteriore tendenza a mantenere un minimo grado di flessione in quei contesti di tipo pronominale o predicativo nei quali la distanza dalla testa nominale è maggiore e maggiore risulta il valore di rimando anaforico o deittico. Viceversa, la posizione prenominale sembra favorire la riduzione formale e, di conseguenza, toglie sostanza alla flessione. Lo studio del continuum dialettale romanzo nell’Italia settentrionale mette molto bene in evidenza anche alcuni rapporti di implicazione piuttosto interessanti. In particolare si è osservato come la flessione su ‘tre’ implichi la flessione su ‘due’, la flessione sul numerale attributivo implichi quella sul predicativo, e come a un grado minimo la variazione formale sui numerali abbia la funzione di marcare l’opposizione fra i due contesti, appunto attributivo da una parte e predicativo/ pronominale dall’altra, come si riscontra, peraltro, in un gran numero di dialetti del tedesco superiore (cf. Dal Negro 2013). In conclusione, non necessariamente i numerali marcano meno categorie flessive di altri modificatori del nome (ad esempio di articoli, dimostrativi o indefiniti); in molti dei dati elicitati, anzi, la marca di genere è presente sul numerale ma non sull’articolo determinativo plurale 19 . D’altra parte, come si è visto, i numerali che presentano fenomeni di accordo sono di fatto pochissimi: ‘due’, molto più marginalmente ‘tre’, oltre a ‘1’. Ciò ripropone naturalmente l’interrogativo sullo statuto incerto, in termini di classe lessicale di appartenenza, di questo ristretto gruppo di parole, più vicine per distribuzione a dimostrativi e ad altri quantificatori che non al resto dei numerali. Bolzano Silvia Dal Negro 149 19 Si veda, oltre a (6), un esempio dal dialetto di Stezzano (nei pressi di Bergamo): i du ka ‘i due cani’ contro i d ɔ gate ‘le due gatte’. Bibliografia AIS = Jaberg, K./ Jud, J. 1928-40: Sprach-und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, Zofingen Bazzanella, C. 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