Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
10.2357/VOX-2017-013
Es handelt sich um einen Open-Access-Artikel, der unter den Bedingungen der Lizenz CC by 4.0 veröffentlicht wurde.http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/121
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Kristol De StefaniMari Johanne Bordal Hertzenberg, Third person reference in Late Latin. Demonstratives, definite articles and personal pronouns in the Itinerarium Egeriae, Berlin (De Gruyter Mouton) 2015, xii + 369 p. (Trends in Linguistics. Studies and Monographs 288).
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2017
Giampaolo Salvi
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324 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 324-330 DOI 10.2357/ VOX-2017-013 Besprechungen - Comptes rendus Philologie et linguistique romane générales - Allgemeine Philologie und Romanische Sprachwissenschaft M ari J ohanne B ordal h ertzenBerg , Third person reference in Late Latin. Demonstratives, definite articles and personal pronouns in the Itinerarium Egeriae, Berlin (De Gruyter Mouton) 2015, xii + 369 p. (Trends in Linguistics. Studies and Monographs 288). Il testo noto come Itinerarium Egeriae (= IE) attira da più di un secolo l’attenzione dei linguisti interessati all’evoluzione del latino tardo e allo sviluppo delle lingue romanze per il carattere «colloquiale» del suo dettato che ne fa apparentemente una buona fonte per lo studio delle evoluzioni in atto nel latino parlato. Uno degli aspetti di questo testo su cui probabilmente si è discusso di più è il sistema dei dimostrativi (intesi in senso lato), che diverge in molti punti dall’uso classico e sembra preludere agli usi che saranno propri delle lingue romanze e in particolare alla nascita dell’articolo definito. Scopo dello studio di M ari J ohanne B ordal h ertzenBerg (= MJH/ l’A) è di riconsiderare tutta la questione non limitandosi, come si fa di solito, a studiare quegli esempi che si staccano dall’uso classico e/ o si avvicinano all’uso romanzo, ma esaminando tutti gli esempi di sintagmi nominali (SN) referenziali del testo, sia quelli a testa nominale, sia quelli rappresentati da forme pronominali. Con questo l’A intende fornire un quadro completo dei mezzi con cui la definitezza viene segnalata nel testo, per confrontarlo con quello del latino classico e con quello delle lingue romanze e stabilire le linee di evoluzione del sistema. A questo scopo viene utilizzata la versione informatizzata del testo, etichettata nell’ambito del progetto di ricerca Pragmatic resources in Old Indo-European languages (PROIEL) dell’Università di Oslo: l’etichettatura, oltre a informazioni riguardanti la morfologia, la sintassi e la semantica, contiene informazioni riguardo alla struttura informativa della frase, in particolare se il SN è dato o nuovo o generico e, nel caso sia dato, se il referente è attivo, inferibile o inattivo, ecc. - in base a queste e altre informazioni si può stabilire quali fattori influenzano statisticamente l’utilizzo dei diversi determinanti o la loro assenza nei SN definiti e l’uso delle diverse anafore pronominali nell’IE. Nel cap. 1 (Introduction, 1-21) MJH fa una rassegna della letteratura precedente riguardante l’evoluzione del sistema dei dimostrativi latini e la formazione dell’articolo definito e dei pronomi personali di 3. pers., con particolare riguardo all’uso che si è fatto dei dati dell’IE in questi studi. Nel paragrafo finale vengono formulate le domande a cui la ricerca intende trovare una risposta: oltre a fornire una descrizione completa dell’uso/ non-uso dei diversi determinanti (definiti) e pronomi, ci si chiede se ipse e ille possano essere considerati, almeno in alcuni dei loro usi, articoli o pronomi, quali siano i meccanismi che hanno portato alla rianalisi dei dimostrativi come articoli/ pronomi e quali siano le cause del cambiamento. Il cap. 2 (Theoretical foundations, 22-70) discute gli aspetti teorici dei fenomeni trattati. Viene affrontato prima di tutto il problema della definitezza attraverso la discussione critica di varie definizioni correnti (22-35): l’A considera definita quell’espressione referenziale il cui referente discorsivo è identificabile. MJH discute poi il problema dell’accessibilità dei referenti, dei fattori che la influenzano e dei diversi tipi di espressioni referenziali che si usano in caso di maggiore/ minore accessibilità dei referenti stessi: nei casi di minore accessibilità si useranno piuttosto vari tipi di SN lessicali, mentre nei casi di maggiore accessibilità si darà la preferenza a vari tipi di pronomi (35-55). Dopo un esame del delicato problema della distinzione tra 325 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 324-330 DOI 10.2357/ VOX-2017-013 dimostrativi e articoli, risp. pronomi (55-67), un breve paragrafo è dedicato agli intensificatori (67-70), categoria necessaria per una discussione dello statuto di ipse, che nel latino classico era un intensificatore, ma non sembra più esserlo nell’IE. Il cap. 3 (Methods and data extraction, 71-88) presenta il corpus utilizzato, il sistema di etichettatura, il tipo di dati estratti dal corpus e i metodi di elaborazione statistica dei dati stessi. Il cap. 4 (Full NPs, overt pronominal forms and null pronouns, 89-165) esamina la distribuzione di SN lessicali, pronomi e pronomi nulli in dipendenza dall’accessibilità del referente. L’A comincia col mostrare che nell’IE il pronome nullo ricorre solo in funzione di soggetto (91- 4): si hanno quindi condizioni simili a quelle delle lingue romanze, dove le anafore in funzione di oggetto diretto o di obliquo devono generalmente essere espresse da una forma pronominale (diversamente dal latino classico, dove possono rimanere non-espresse). Si trattano poi gli usi non-anaforici dei SN (94-9), espressi nella stragrande maggioranza dei casi, come ci si poteva aspettare, da SN lessicali. Nell’esame degli usi anaforici (99-163) si prendono in considerazione via via, prima per le anafore in funzione di soggetto (100-34), poi per quelle in altre funzioni (135-57), i diversi fattori che possono influenzare il modo di espressione dell’anafora: la forma dell’antecedente, la sua funzione sintattica, il suo statuto di topic, lo statuto di topic dell’anafora stessa, l’animatezza del referente, il tipo di frase (principale o subordinata) in cui si trova l’antecedente, la presenza di antecedenti alternativi, la distanza dell’antecedente. Tra questi fattori quello che si rivela più importante è la distanza dell’antecedente, che in genere è in grado di neutralizzare l’effetto di tutti gli altri fattori. Invece il fatto che nel caso delle anafore non-soggetto sia preponderante l’uso di SN lessicali, andrà attribuito alla circostanza che nel testo studiato i non-soggetti sono normalmente non-umani che non hanno un ruolo centrale nella narrazione e sono quindi meno suscettibili di essere pronominalizzati. Alcune differenze tra la prima e la seconda parte del testo nell’uso dei diversi tipi di SN vengono spiegate con considerazioni analoghe, oltre che con il carattere più colloquiale della prima parte (158-63). Il cap. 5 (High accessibility markers: Pronominal forms, 166-262) studia l’uso delle forme pronominali (compresa, per la funzione di soggetto, la non-espressione del pronome, o pronome nullo). Dopo aver notato che l’uso di ipse come intensificatore è decisamente minoritario nell’IE (167-72) e aver escluso dall’analisi i casi in cui is ricorre nell’espressione fissa id est (172-73), MJH esamina prima gli usi non-anaforici dei pronomi (173-82) per poi passare al più frequente uso anaforico (182-241), dove vengono trattate separatamente le anafore in funzione di soggetto (183-216) e quelle in altre funzioni (217-41): nel caso del soggetto l’anafora pronominale non-marcata è il pronome nullo, mentre per le altre funzioni è is, una situazione simile a quella del latino classico. Anche l’uso di hic come deittico di discorso 1 non sembra staccarsi dagli usi classici, mentre per ille e ipse è difficile trovare delle tendenze chiare - il loro uso non coincide in ogni caso con quello del latino classico e questo viene attribuito al fatto che queste forme stavano già trasformandosi in pronomi personali (241-59). Questo si rifletterebbe anche nel maggior uso di ipse nella prima parte del testo, più vicina alla lingua colloquiale (259-60). Il cap. 6 (Low accessibility markers: Full NPs, 263-334) esamina l’uso dei SN lessicali accompagnati o meno da un dimostrativo. Dopo aver stabilito che ipse è usato raramente come intensificatore all’interno di un SN lessicale nell’IE (264-67), l’A esamina prima gli usi nonanaforici (267-84), dove, a parte i casi di deissi situazionale e di referenti ancorati nel contesto o inferibili dallo stesso, il SN non contiene normalmente un dimostrativo; quando negli usi non-anaforici è tuttavia presente ille o ipse, questo potrebbe forse avere funzione di articolo, 1 L’A usa il termine deissi del discorso nel senso ampio introdotto da Fillmore - cf. K. B raun - Müller , Referenz und Pronominalisierung. Zu den Deiktika und Proformen des Deutschen, Tübingen 1977: 3.1. Nella distinzione proposta da questo autore tra referierende Rededeixis e pronominalisierende Rededeixis, i casi trattati da MJH appartengono tutti alla seconda categoria. 326 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 324-330 DOI 10.2357/ VOX-2017-013 anche se questa conclusione non appare necessaria; ma possono essere stati contesti come questi che hanno favorito la ricategorizzazione dei dimostrativi come articoli (284). Nel sistema dei dimostrativi dell’IE, iste, che ricorre solo nei discorsi diretti, ha oramai assunto il valore di hic. MJH passa poi a discutere gli usi anaforici dei SN lessicali (284-330): anche qui i SN non modificati da un dimostrativo sono in ampia maggioranza, ma l’uso di dimostrativi è maggiore che nel gruppo precedente; la distribuzione dei tipi è piuttosto complessa e inoltre differente nella prima e nella seconda parte del testo, e sembra determinata in maniera essenziale dal tipo di eventi descritti oltre che dalle esigenze di strutturazione del discorso, come l’A mostra dettagliatamente; alcuni usi (specialmente di ille e ipse) nella prima parte, che MJH chiama emotivi, non sembrano tuttavia motivati dalla deissi del discorso, per cui anche questi potrebbero stare alla base dello sviluppo dell’articolo romanzo. L’A nota infine che, diversamente da quanto affermato nella letteratura precedente, non solo ille, ma anche ipse può modificare il SN antecedente di una relativa restrittiva (330-31), e critica, dati alla mano, alcune ipotesi relative ai contesti che avrebbero favorito la nascita dell’articolo (331-32). Il cap. 7 (Conclusions, 335-54) riassume i risultati della ricerca, con le risposte alle domande formulate all’inizio, e ne prospetta alcuni sviluppi possibili. Si riassumono valori e funzioni dei diversi dimostrativi, sottolineando le similarità tra gli usi di ille e quelli di ipse (335-39), che secondo MJH in alcuni casi possono essere veri e propri pronomi personali, ma non ancora articoli (340); si sottolinea che ipse è passato attraverso una fase dimostrativa (ampiamente attestata nell’IE) prima di diventare pronome personale o articolo (340-42); si esclude un’influenza decisiva del greco nello sviluppo dell’articolo romanzo (342-43). L’A confronta poi i risultati ottenuti dall’esame dell’IE con quelli ottenibili da altri testi coevi (343-50) e discute brevemente le implicazioni teoriche dei suoi risultati riguardo alla questione dell’accessibilità dei referenti (350-54). Il volume si chiude con la bibliografia delle opere citate (355-66) e un indice analitico (367-69). MJH ha una visione chiara dei problemi teorici implicati nella sua ricerca, come dimostra nella discussione illuminante e in alcuni punti originale nel cap. 2, e applica questi criteri in maniera coerente al suo materiale: il quadro che ne risulta è, nelle sue grandi linee, chiaro e soprattutto completo. L’A ha anche ben chiaro il carattere linguisticamente non-omogeneo del testo su cui lavora (Egeria oscilla fra un latino colloquiale e un latino più ricercato, che non sempre domina perfettamente), un fatto che giustifica pienamente l’uso di elaborazioni statistiche nella valutazione dei dati. Naturalmente, se si lavora sui dati estratti da un corpus etichettato, le domande che si possono porre (e le risposte dirette che si possono ottenere) sono limitate dalla precedente operazione di etichettatura che interpreta il materiale grezzo del testo. Di questo MJH è ben cosciente perché in vari casi, di fronte a risultati inattesi offerti dall’estrazione automatica dei dati, riconduce il dato ribelle alla procedura di etichettatura che ha nascosto una differenza rilevante, oppure segnala la mancanza di certi dati che sarebbero utili alla risoluzione del problema (per es. 85, 109N, 112N, 153N). Così per es. quando il pronome riflessivo si trova in posizione Wackernagel e precede il soggetto-antecedente, l’etichettatura utilizzata (che procede in modo lineare) segnala il pronome come antecedente e il soggetto come anaforico (77, 103-04, 120) - un risultato chiaramente assurdo. Cf. anche il caso dell’es. (154) di p. 181-82, discusso anche a p. 78, dove l’etichettatura analizza come apposizione quello che è un sintagma periferico (accusativus pendens), e come sua testa quello che è il pronome di ripresa all’interno della frase. A quanto pare l’A non ha però potuto (o voluto) intervenire sull’etichettatura del testo, effettuata con criteri unitari su un corpus molto più ampio, e neanche correggere manualmente i dati - intervento che (anche se si trattasse di relativamente pochi casi) avrebbe permesso una valutazione statistica più corretta. Si ha così un po’ l’impressione che MJH consideri come suo oggetto di ricerca non il testo dell’IE, ma il suo analogo etichettato in PROIEL. 327 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 324-330 DOI 10.2357/ VOX-2017-013 Un po’ lo stesso spirito fa capolino quando l’A accetta senza discussione (39) la divisione in capitoli, in paragrafi e in frasi dell’edizione usata come un dato da utilizzare nella sua analisi - ma queste suddivisioni sono il risultato dell’intervento dell’editore, e se per es. in (102) a p. 107 l’editore avesse messo punto dopo dignatus est, avremmo avuto due frasi invece di una, e risultati statistici diversi. Un altro esempio: a p. 81 viene descritta la procedura automatica utilizzata per l’individuazione del topic (Topic Guesser); tra i parametri utilizzati c’è anche l’ordine delle parole (il topic tende a stare verso l’inizio della frase), ma tra i candidati possibili c’è anche il soggetto nullo, la cui posizione nel testo non è naturalmente un dato grezzo, ma è stata determinata dall’etichettatore! Siccome poi l’etichettatore normalmente ha inserito (se vedo bene) il soggetto nullo in prossimità del verbo, più il verbo si trova verso la fine della frase, meno il soggetto nullo ha la possibilità di essere scelto come topic - un risultato controintuitivo, come si vede anche dai risultati della fig. 35 a p. 194, che riporta un numero estremamente alto di soggetti nulli non-topic. La versione informatizzata del testo non distingue poi il testo di Egeria dalle citazioni bibliche, non numerose, ma che sarebbe stato corretto escludere dall’analisi. Non distingue neanche i diversi piani del testo. Nell’es. (162) a p. 197, per es., se ci fermiamo alla struttura lineare del testo, non abbiamo continuità di topic e l’uso del pronome nullo è sorprendente; ma il testo contiene un dialogo, riportato in parte in forma indiretta, e se guardiamo solo le frasi del dialogo, escludendo quelle della narrazione, la continuità del topic viene ristabilita e l’uso del pronome nullo appare del tutto normale: (requisiui de eo,) quam longe esset ipse locus. (Tunc ait ille sanctus presbyter: ) Ecce [pro] hic est in ducentis passibus. Lo stesso vale, ma sul piano della narrazione, per l’es (206) a p. 250: se guardiamo la struttura lineare, l’antecedente immediato del pronome soggetto espresso (nella narrazione) è sorprendentemente un pronome nullo contenuto nel discorso diretto, ma se seguiamo solo la linea della narrazione, escludendo il discorso diretto, vediamo che la funzione del pronome soggetto espresso è di segnalare il cambio di soggetto rispetto alla frase precedente: requisiui ab eo dicens: … Et ille ait: …. Sempre per quanto riguarda la raccolta dei dati, MJH si basa nel suo confronto tra latino classico e latino dell’IE (oltre ad altri lavori) sui dati raccolti da Michel Van de Grift e riportati in a. M. B olKestein / M. V an de g rift , «Participant tracking in Latin discourse», in: J. h erMan (ed.), Linguistic studies on Latin. Selected papers from the 6 th International colloquium on Latin linguistics (Budapest, 23-27 March 1991), Amsterdam 1994: 283-302, ma non si accorge che i criteri di raccolta erano diversi dai suoi: in particolare nella raccolta di Van de Grift «certain syntactic constellations were excluded from registration, such as instances of coordination of two clauses sharing the same Subject, and instances of coreference between Subjects of main clauses and those of subordinate clauses, participial and infinitival constructions in complex sentences: in both circumstances 0 expression is much more frequent» (N3 - cito dal preprint). Questa procedura ha quindi eliminato un notevole numero di pronomi nulli soggetto dai dati di Van de Grift (che sono invece presenti nell’etichettatura usata da MJH, come si vede per es. in (164) a p. 200) e questo spiega come mai nei dati dell’A appaia un sorprendente aumento dei pronomi nulli in funzione di soggetto rispetto al latino classico (216), aumento molto probabilmente non reale. Una difficoltà nell’interpretazione dei dati studiati viene dal fatto che nella strutturazione del discorso in molti casi sono possibili più soluzioni: in italiano per es. un riferimento anaforico può essere fatto sia con l’articolo, sia con un dimostrativo di prossimità, sia con un dimostrativo di lontananza: Quel giorno ho trovato un gattino davanti alla porta di casa. Quando l’ho detto agli altri, tutti volevano accarezzare il gattino (semplice anafora)/ questo gattino (deissi del discorso: referente testualmente prossimo)/ quel gattino (deissi temporale: referente temporalmente lontano). Questo può rendere difficile la classificazione dei vari usi come più o meno appropriati, anche perché probabilmente le diverse lingue differiscono sotto questo aspetto e 328 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 324-330 DOI 10.2357/ VOX-2017-013 le intuizioni che possiamo avere per l’italiano o per l’inglese non sono applicabili senz’altro al latino dell’IE. Per es. in (41) a p. 54 MJH indica come dubbio l’uso dei dimostrativi nell’es. inglese: We reached the valley which leads up to the mount of God. The/ ? That/ ? This valley is truly large - nel mio italiano tutte le soluzioni mi sembrano possibili, ma la soluzione non-marcata in questo caso sarebbe questo. Ora, l’argomentazione dell’A è che alla base dello sviluppo dell’articolo romanzo stiano quegli usi di ille e ipse che non sembrano motivati dalla deissi del discorso. Il suo ragionamento è il seguente: se si usa un dimostrativo in una configurazione testuale che non lo richiede, si viola la norma della quantità di Grice («non dare un contributo alla conversazione più informativo di quanto sia richiesto»), ma, come sempre in questi casi, la violazione aperta di una regola conversazionale serve a segnalare che si vuole comunicare indirettamente un valore supplementare. MJH individua questo valore nel coinvolgimento emotivo di Egeria, nel suo entusiasmo per le cose e i luoghi che vede (313s.), entusiasmo che la porterebbe a dare preminenza discorsiva alle espressioni referenziali corrispondenti. Ma questa soluzione sembra forzata: è infatti difficile vedere negli esempi dell’IE il corrispettivo di tipici usi «emotivi» come Questo Giovanni è proprio simpatico/ Quel Mario è proprio antipatico. Una spiegazione più semplice credo stia nel fatto che il riferimento anaforico può essere effettuato seguendo più strategie alternative, come abbiamo visto sopra. Si noti poi che il rifermento anaforico in casi che l’A classifica come «emotivi», era normale anche in latino classico. Prendiamo l’es. (252) di p. 312: Haec est ergo uallis, ubi celebrata est pascha completo anno profectionis filiorum Israhel de terra Egypti, quoniam in ipsa ualle filii Israhel commorati sunt aliquandiu, dove MJH trova inutile il dimostrativo ipsa, dato che nel contesto non si parla di altre valli. Certo, Egeria avrebbe potuto usare una anafora pronominale (come in Caes. Gal. 2.13.3: cum ad oppidum accessisset castraque ibi poneret), ma una volta scelto di ripetere il nome, l’uso di un elemento anaforico appare del tutto normale: cf. Caes. Gal. 2.13.2: Qui cum se suaque omnia in oppidum Bratuspantium contulissent atque ab eo oppido Caesar cum exercitu circiter milia passuum quinque abesset, o 2.16.1-2: inveniebat ex captivis Sabim flumen ab castris suis non amplius milia passuum x abesse: trans id flumen omnes Nervios consedisse. Mi sembra dunque che in questi casi (310-17) l’A abbia sottovalutato la funzione semplicemente anaforica di ipse e ille, che stavano sostituendo l’is del latino classico in questa funzione. Sempre nella discussione dei valori di ipse mi pare che MJH non tenga nel dovuto conto che, assumendo un valore anaforico, questa forma si avvicina ai valori tradizionali di idem, come segnalato da vari studiosi (ricordati a p. 6) e come mostra l’italiano stesso ‘idem’ (< istuM + ipsuM ); per cui l’uso di ipsius nell’es. (181) a p. 222 non appare tanto strano (‘mi condusse nel palazzo del re Abgar e mi mostrò una statua dello stesso’); un discorso simile varrà per l’es. (190) di p. 231 e l’es. (196) di p. 242 (v. anche sotto l’osservazione su p. 249). Anche in (235) di p. 280 de summitate ipsa implicherà: ‘dall’altura stessa (dove si trova la chiesa), senza andare più in là’. Quanto all’interpretazione dei risultati della ricerca, MJH nega che possa esistere qualcosa che stia a metà tra articolo definito e dimostrativo (66). Ma se le categorie grammaticali sono definite da tratti e non sono delle entità tutte d’un pezzo (come dimostra il fatto che alcuni di questi tratti possono essere neutralizzati in certi casi - v. subito sotto), è possibile immaginare categorie che differiscano dall’articolo definito «tipico» per uno o più tratti senza che per questo siano dei dimostrativi «tipici». Una soluzione come quella tentata da l. r enzi in «Grammatica e storia dell’articolo italiano» (Studi di Grammatica Italiana 5 (1976): 5-42), in cui si classificano i diversi usi dell’articolo e poi si ricerca quali di questi usi siano riconoscibili nei diversi testi studiati, presuppone che possano esistere oggetti linguistici che assomigliano agli articoli delle lingue europee moderne, ma presentano solo una parte dei loro usi. 329 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 324-330 DOI 10.2357/ VOX-2017-013 Altre osservazioni: - p. 60: a proposito degli es. (58)-(59) l’A vede giustamente che il dimostrativo di lontananza perde i suoi tratti dimostrativi e funge da forma suppletiva dell’articolo - la distinzione tra articolo e dimostrativo, in questo caso, si neutralizza (cf. l. V anelli , «Una forma suppletiva dell’articolo e la sua fonosintassi», Rivista di Grammatica Generativa 4 (1979): 183-205); - p. 93: esempi come (90) Domum meam … munivi et firmavi andranno analizzati meglio come coordinazioni di verbi e non come coordinazioni di frasi (come si vede anche nella traduzione inglese dell’esempio: ‘I have protected and fortified my home’), senza supporre quindi nessun oggetto diretto non-espresso per il secondo verbo; lo stesso discorso varrà per il caso di verbi coordinati con lo stesso soggetto, dove anche lingue a soggetto non-nullo ammettono tranquillamente la non-espressione del pronome davanti al verbo coordinato; come discusso brevemente sopra, questo caso comporta conseguenze rilevanti per i dati statistici elaborati da MJH; - p. 95: c’è un po’ di confusione nella critica alla gerarchia di accessibilità di M. a riel (Accessing noun-phrase antecedents, London 1990), riportata a p. 50: prima di tutto Ariel non parla di nomi comuni, ma di descrizioni definite; in secondo luogo la gerarchia non si riferisce alle supposizioni del parlante su quello che può essere presente nella memoria dell’ascoltatore, ma alla quantità di informazione che deve trasmettere perché l’ascoltatore sia in grado di identificare il referente - è vero che il parlante deve fare delle supposizioni su quello che l’ascoltatore sa e non sa in una data situazione comunicativa, ma questo è un fattore indipendente da quello dell’accessibilità dei diversi tipi di espressioni referenziali in generale; - p. 106: non credo che ci sarebbero state difficoltà interpretative se si fosse usato un pronome anaforico al posto del nome Dominus in un caso come de ascensu Domini in celis post resurrectionem - c’erano poche possibilità di sbagliarsi …; - p. 121: non considererei un soggetto nullo con valore generico (che non individua un referente specifico) come possibile concorrente nell’individuazione dell’antecedente di un’espressione definita; - p. 160: nella spiegazione dell’es. (131) bisognerà anche tener conto del fatto che fino a un certo punto i soggetti si alternano: diaconus … episcopus … diaconus … episcopus … ecc.; - p. 175: non interpreterei l’ipsi dell’es. (145) (ut ipsi dicebant; ripetuto come (215) a p. 257-58) come un soggetto generico; si tratterà piuttosto di un referente inferibile in base al personaggio centrale del passo, l’episcopus, quindi ipsi = ‘il vescovo e la sua cerchia’; - p. 178: l’uso del dimostrativo di prossimità come antecedente «leggero» di una relativa restrittiva (cioè nel tipo coloro che) è strano e potrebbe trattarsi di un ipercorrettismo grafico: come nota V. V äänänen (Le journal-épître d’Égérie (Itinerarium Egeriae). Étude linguistique, Helsinki 1987: 48N), in questo contesto compaiono solo le forme hi, hii, his, suscettibili di essere interpretate come ii, iis; stesso discorso per l’es. (226) di p. 271, dove inoltre il dimostrativo di prossimità sarebbe in contrasto con la lontananza temporale del riferimento; - p. 249: l’A nega che l’uso di ipse sia contrastivo in subter montem, non Nabau, sed alterum interiorem: sed nec ipse longe est de Nabau: anche ad ammettere che nec qui valga non, come spesso nell’IE, c’è il contrasto Nabau/ alterum interiorem della frase precedente che qui verrebbe ripreso come ipse/ Nabau; in ogni caso anche l’interpretazione ‘neanche quello’ mi sembra del tutto accettabile; - p. 257: non mi pare che nel caso di illud prolettico (già classico) il fatto di essere focalizzato sia un argomento a favore di una interpretazione come dimostrativo: nella lingua classica si usava anche id, che è senz’altro l’elemento del sistema più vicino a un pronome personale; inoltre in questo uso sembra mancare ogni tratto deittico; - p. 329: in (269) la mancanza del dimostrativo davanti a loco in apti ipsi diei et loco non è dovuta a un diverso trattamento di loco rispetto a diei, ma al semplice fatto che ipsi si riferisce a tutti e due i nomi; 330 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 330-332 DOI 10.2357/ VOX-2017-014 - p. 331-32: i dati sulla frequenza relativa dei SN contenenti ipse e ille in funzione di soggetto, oggetto diretto, ecc. sarebbero veramente probanti se confrontati con la frequenza relativa dei vari SN lessicali nelle diverse funzioni, cioè se MJH avesse calcolato qual è la percentuale dei SN soggetto che contengono ipse e/ o ille rispetto a tutti i SN soggetto, ecc. La bibliografia contiene tutta la letteratura rilevante, ma si sarebbe dovuto utilizzare anche C. C aBrillana , «Definiteness strategies and word order in existential-locatives and locatives in Late and Vulgar Latin», Linguistica 47 (2007): 49-64. Negli esempi in alcuni casi l’indicazione dell’antecedente è imprecisa: in (115) a p. 136-37 come antecedente di in ipso loco è indicato Betlehem, ma l’antecedente immediato è ipsius loci; in (160) a p. 191-92 come antecedente di hic è indicato Iericho, ma l’antecedente è la pianura di Moab (indicato invece correttamente a p. 186 e 199); in (244) a p. 301 come antecedente di eisdem locis è indicato loca sancta, ma l’antecedente è il più lontano inde. C’è anche una certa incuria formale: alcuni esempi sono riportati oppure abbreviati in maniera non corretta: es. (6), p. 7: cernens regina […] fuerat fuisse retrusam - recte: cernens reginam […] fuisse retrusam; es. (156), p. 186, e (163), p. 199: non è indicata l’abbreviazione del testo; es. (188), p. 229: multitude - recte: multitudo; es. (202), p. 247-48: deign - recte: dignati. La traduzione riporta a volte anche sezioni di testo non comprese nell’esempio: così in (185) a p. 224-25, in (196) a p. 242, in (235) a p. 280. Alcune sviste: p. 75-76: a/ the null pronoun - recte: a/ the pronominal form; p. 113: topicality of the anaphor - recte: animacy of the a.; la n. 100 a p. 132 appare in forma frammentaria; p. 153: page 155 - recte: 157; p. 203: the main/ subordinate clause parameter - recte: the position in the anaphoric chain. Dalla bibliografia finale mancano p urKiss 1978 e s trawson 1964, citati a p. 41. Nella bibliografia si segue l’ordine alfabetico scandinavo, con ä e ö alla fine, che si sarebbe forse dovuto evitare in un’opera scritta in inglese; in un paio di casi l’ordine cronologico delle opere citate è stato invertito (cf. sotto Grosz e Himmelmann). Nonostante una certa rigidezza nella raccolta dei dati e una certa schematicità nella loro discussione, MJH ha messo a disposizione degli studiosi una notevole quantità di dati elaborati in maniera chiara. Particolarmente lodevole è la consapevolezza (non sempre presente in studi di questo genere) che i dati appartengono a un testo concreto e quindi il loro valore statistico, soprattutto in un testo di breve estensione, è reso relativo dal contenuto del testo stesso. Nell’interpretazione dei dati l’A ha cercato di sostituire, nel limite del possibile, l’intuizione con dei parametri ritenuti più «obiettivi» e con la loro elaborazione statistica: con questo ha potuto in vari casi confermare quello che la letteratura precedente aveva stabilito, in altri ha precisato o corretto o messo in dubbio affermazioni precedenti. Nell’interpretazione dei dati, tuttavia, alcune volte è rimasta troppo legata a un’interpretazione deterministica in dipendenza dai parametri scelti, non tenendo nel debito conto altre possibilità inizialmente non codificate, e qui le sue soluzioni sono meno convincenti. Giampaolo Salvi s usanne f riede / M iChael s Chwarze , (ed.), Autorschaft und Autorität in den romanischen Literaturen des Mittelalters, Berlin (De Gruyter) 2015, 300 p. (Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie 390) Il volume raccoglie tredici contributi di studiosi di area germanica presentati nella sezione omonima del XXXIII Romanistentag dell’Associazione dei romanisti tedeschi (Deutscher Romanistenverband) tenuto a Würzburg nel settembre 2013, con l’obiettivo di illustrare i procedimenti e i modelli («Verfahren und Muster») attraverso i quali si costituiscono l’autorialità e l’autorità
