Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
10.2357/VOX-2017-014
Es handelt sich um einen Open-Access-Artikel, der unter den Bedingungen der Lizenz CC by 4.0 veröffentlicht wurde.http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/121
2017
761
Kristol De StefaniSusanne Friede/Michael Schwarze, (ed.), Autorschaft und Autorität in den romanischen Literaturen des Mittelalters, Berlin (De Gruyter) 2015, 300 p. (Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie 390)
121
2017
Francesco Carapezza
vox7610330
330 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 330-332 DOI 10.2357/ VOX-2017-014 - p. 331-32: i dati sulla frequenza relativa dei SN contenenti ipse e ille in funzione di soggetto, oggetto diretto, ecc. sarebbero veramente probanti se confrontati con la frequenza relativa dei vari SN lessicali nelle diverse funzioni, cioè se MJH avesse calcolato qual è la percentuale dei SN soggetto che contengono ipse e/ o ille rispetto a tutti i SN soggetto, ecc. La bibliografia contiene tutta la letteratura rilevante, ma si sarebbe dovuto utilizzare anche C. C aBrillana , «Definiteness strategies and word order in existential-locatives and locatives in Late and Vulgar Latin», Linguistica 47 (2007): 49-64. Negli esempi in alcuni casi l’indicazione dell’antecedente è imprecisa: in (115) a p. 136-37 come antecedente di in ipso loco è indicato Betlehem, ma l’antecedente immediato è ipsius loci; in (160) a p. 191-92 come antecedente di hic è indicato Iericho, ma l’antecedente è la pianura di Moab (indicato invece correttamente a p. 186 e 199); in (244) a p. 301 come antecedente di eisdem locis è indicato loca sancta, ma l’antecedente è il più lontano inde. C’è anche una certa incuria formale: alcuni esempi sono riportati oppure abbreviati in maniera non corretta: es. (6), p. 7: cernens regina […] fuerat fuisse retrusam - recte: cernens reginam […] fuisse retrusam; es. (156), p. 186, e (163), p. 199: non è indicata l’abbreviazione del testo; es. (188), p. 229: multitude - recte: multitudo; es. (202), p. 247-48: deign - recte: dignati. La traduzione riporta a volte anche sezioni di testo non comprese nell’esempio: così in (185) a p. 224-25, in (196) a p. 242, in (235) a p. 280. Alcune sviste: p. 75-76: a/ the null pronoun - recte: a/ the pronominal form; p. 113: topicality of the anaphor - recte: animacy of the a.; la n. 100 a p. 132 appare in forma frammentaria; p. 153: page 155 - recte: 157; p. 203: the main/ subordinate clause parameter - recte: the position in the anaphoric chain. Dalla bibliografia finale mancano p urKiss 1978 e s trawson 1964, citati a p. 41. Nella bibliografia si segue l’ordine alfabetico scandinavo, con ä e ö alla fine, che si sarebbe forse dovuto evitare in un’opera scritta in inglese; in un paio di casi l’ordine cronologico delle opere citate è stato invertito (cf. sotto Grosz e Himmelmann). Nonostante una certa rigidezza nella raccolta dei dati e una certa schematicità nella loro discussione, MJH ha messo a disposizione degli studiosi una notevole quantità di dati elaborati in maniera chiara. Particolarmente lodevole è la consapevolezza (non sempre presente in studi di questo genere) che i dati appartengono a un testo concreto e quindi il loro valore statistico, soprattutto in un testo di breve estensione, è reso relativo dal contenuto del testo stesso. Nell’interpretazione dei dati l’A ha cercato di sostituire, nel limite del possibile, l’intuizione con dei parametri ritenuti più «obiettivi» e con la loro elaborazione statistica: con questo ha potuto in vari casi confermare quello che la letteratura precedente aveva stabilito, in altri ha precisato o corretto o messo in dubbio affermazioni precedenti. Nell’interpretazione dei dati, tuttavia, alcune volte è rimasta troppo legata a un’interpretazione deterministica in dipendenza dai parametri scelti, non tenendo nel debito conto altre possibilità inizialmente non codificate, e qui le sue soluzioni sono meno convincenti. Giampaolo Salvi s usanne f riede / M iChael s Chwarze , (ed.), Autorschaft und Autorität in den romanischen Literaturen des Mittelalters, Berlin (De Gruyter) 2015, 300 p. (Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie 390) Il volume raccoglie tredici contributi di studiosi di area germanica presentati nella sezione omonima del XXXIII Romanistentag dell’Associazione dei romanisti tedeschi (Deutscher Romanistenverband) tenuto a Würzburg nel settembre 2013, con l’obiettivo di illustrare i procedimenti e i modelli («Verfahren und Muster») attraverso i quali si costituiscono l’autorialità e l’autorità 331 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 330-332 DOI 10.2357/ VOX-2017-014 letteraria nei testi romanzi di epoca medievale, secondo una linea di ricerca «post-strutturalista» in voga ormai da parecchi anni. L’origine dei contributi spiega, da un lato, l’ampio spettro degli oggetti indagati e la diversità delle prospettive di analisi messe in campo dai singoli studiosi, e rende conto, d’altra parte, dello sforzo compiuto dai due editori per ricondurli in maniera coerente al tema comune nella densa introduzione di carattere teorico (1-12), dove si giustifica la massiccia presenza di singoli casi di studio in quanto il problema della costituzione dell’autorialità sarebbe stato finora trascurato, soprattutto in sede teorica, dalla medievistica romanza (in confronto a quella germanica o latina): «Die Untersuchung einer relativ kleinen Zahl von Fallbeispielen kann dieser Problematik nicht Herr werden, sie ist jedoch dazu in der Lage, bestehende Forschungsansätze weiter auszudifferenzieren und sie durch in systematisch-historischer Sicht relevante Befunde weiter zu denken» (7). Si tratta in questo senso di una iniziativa meritevole, anche se non va sottaciuto che il «problema dell’autore» e del concetto di autorialità è stato sempre presente nella filologia romanza di accezione tradizionale, per sua natura restia a proiettare e sistematizzare i risultati ottenuti dall’analisi dei testi e delle loro tradizioni manoscritte in una più ampia dimensione teorica: penso in particolare al tentativo compiuto da a. V àrVaro nei due saggi correlati «Il testo letterario», in: p. B oitani et al. (ed.) 1999, Lo spazio letterario del medioevo. 2. Il medioevo volgare, vol. I/ 1. La produzione del testo, Roma: 387-422 e «Élaboration des textes et modalités du récit dans la littérature française médiévale», R 119 (2001): 135-209, dove si elabora fra l’altro il concetto di «gradiente di autorialità», che avrebbe costituito uno stimolante elemento di discussione all’interno del quadro teorico tracciato dai due editori e in cui si muovono (o si dovrebbero muovere) i contributi della silloge. Sulla scorta di una bibliografia quasi esclusivamente in lingua tedesca o inglese - fra cui la recente monografia di M. u nzeitig 2010: Autorname und Autorschaft. Bezeichnung und Konstruktion in der deutschen und französischen Erzählliteratur des 12. und 13. Jahrhunderts, Berlin, citata da molti autori -, gli editori (3-7) arrivano a distinguere infatti tre «costellazioni» che differiscono in ragione del «grado» in cui l’autorialità si manifesta al livello testuale e quindi rispetto alla sua «qualità semantica»; in ordine d’intensità crescente (e con possibilità di interferenze o sovrapposizioni): la prima, «namentlich markierte Autorschaft», riguarda i casi assai frequenti in cui un nome d’autore viene soltanto menzionato; la seconda, «auktoriale Autorschaft», si riferisce ai casi in cui alla figura di uno o più «autori» vengono attribuiti specifici compiti o responsabilità nella produzione del testo (auctor, commentator, compilator); la terza, «persönliche Autorschaft», costituisce un’auto-rappresentazione dell’autore all’interno dell’opera (Dante nella Commedia, Joinville nella Vie de saint Louis, ecc.). Ci sarebbe poi una quarta forma di costituzione dell’autorialità basata su «transpersonale Markierungen» o al limite su una «Nullmarkierung», ovvero non connotata da nomi o figurazioni esplicite d’autore, ma fondata unicamente sull’autorità di una tradizione testuale consolidata (si fa riferimento all’anonimato nella lirica e nell’epica romanza): si tratta di una categoria sfuggente, dove il ricorso stesso al concetto di «autorialità» appare dubbio e che viene infatti presentata come «unser Plädoyer», ma che servirebbe a creare un’analogia fra la testualità medievale e alcune forme di autorialità postmoderna e dell’era digitale, come communal creativity o distributed authorship (‘autorialità diffusa’). I singoli contributi, disposti in ordine latamente cronologico, spaziano dal romanzo (h. B leuMer sul Parzival di Wolfram, r. t raChsler sui romanzi arturiani in prosa, s. f riede sul Brut di Wace) alla lirica (d. r ieger sulle rappresentazioni dell’autore nelle pastorelle trobadoriche e in Guglielmo IX: sulle figure di nominatio si veda adesso M. J eay , Poétique de la nomination dans la lyrique médiévale: «Mult volentiers me numerai», Paris 2015), dal racconto allegorico (d. n elting sulla Commedia di Dante, M. s Chwarze sul Voir Dit di Machaut) a quello storico-agiografico (a. r üth sulla Vie de saint Louis di Joinville) a quello odeporico (s. n eu sul Devisament dou monde poliano), dal dialogo enciclopedico (e. r uhe sul Livre de 332 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 332-334 DOI 10.2357/ VOX-2017-015 Sydrac) al motivo del sogno d’amore e della visione nella letteratura francese tardo-medievale (f. w olfzettel ). Tra i testi meno indagati nella prospettiva generale del volume o poco frequentati in assoluto si segnalano le Esposizioni sopra la Comedia di Boccaccio (J. s teiger wald ), i poemetti politico-satirici in versi Paix aux Anglais e Charte aux Anglais contenuti nel ms. BnF fr. 837 e lo «zeitgeschichtliches Kleinepos» Roi de Sezile di Adam de la Halle (g. J ostKleigrewe , che coniuga la prospettiva storica a quella letteraria come già nella monografia Das Bild des Anderen. Entstehung und Wirkung deutsch-französischer Fremdbilder in der volkssprachlichen Literatur und Historiographie des 12. bis 14. Jahrhundert, Berlin 2008). Originali infine le riflessioni di C. w ild sull’«Autorschaft unter Diktat» (96-112) basate sugli esempi di santa Canterina da Siena, Beatrice (in Dante) e Laura (in Petrarca) che «dettano» testi nella realtà o nella finzione poetica (cf. ora e ad ., Göttliche Stimme, irdische Schrift. Dante, Petrarca und Caterina da Siena, Berlin 2016). La problematicità inerente alle diverse forme di autorialità risiede in parte nel fatto che la scrittura interagisce spesso a più livelli con l’oralità (dalla produzione all’esecuzione e ai processi di trasmissione) nella «letteratura» medievale: si tratta di un aspetto toccato anche da altri contributi (ad es. quello di Rieger) e che meriterebbe di essere approfondito in sede teorica. Non mancano insomma in ciascuna Einzelfallstudie spunti e prospezioni interessanti in termini di rappresentazione e costituzione di Autorschaft e Autorität, ma permane anche l’impressione che alcuni autori abbiano piegato occasionalmente i loro oggetti di studio all’avvincente e difficile tema proposto dagli encomiabili curatori dell’unica sezione dedicata esclusivamente al Medioevo del Romanistentag di Würzburg. Francesco Carapezza p aolo g resti , Introduzione alla linguistica romanza, Bologna (Pàtron Editore) 2016 (Storia e testi. Dal Medioevo all’Europa moderna 2) 235 p. Cet ouvrage à but didactique paraît dans la belle collection, dirigée par Luciano Formisano. La page de titre est joliment illustrée par une création de Luca della Robbia pour le campanile de Giotto, intitulé «La Grammatica» (Firenze, Museo dell’Opera del Duomo). Il est divisé en sept chapitres principaux: 1. Le latin vulgaire 2. L’apparition des langues romanes et leur classification 3. La géolinguistique et la sociolinguistique 4. La phonétique 5. La morphologie 6. La syntaxe et 7. Le lexique. Le dessein de l’auteur est d’offrir une connaissance linguistique du trésor des littératures romanes essentiellement rédigées durant la période médiévale. Dans une telle perspective, P. Gresti a mis l’accent sur les langues considérées à tort ou à raison comme «majeures», celles qui présentent un patrimoine littéraire singulièrement riche, c’est-à-dire l’ancien et le moyen français, l’italien, l’occitan, l’espagnol, le portugais, qui occupent une place plus importante au détriment du catalan, du roumain, du sarde et du rhétoroman, avec un regret cependant: l’absence (certes compréhensible) du francoprovençal. L’auteur utilise toujours le mot italien «provenzale» pour la langue médiévale, cela s’entend. L’intention didactique est manifeste, d’où la répétition de certains concepts et les fréquents renvois internes qui pourraient alourdir le propos mais qui permettent de regrouper des phénomènes linguistiques apparemment distants les uns des autres. Dans le premier chapitre, intitulé «Latin vulgaire» (17-39), l’auteur résume l’histoire de la Philologie romane, depuis le fondateur de la discipline, Friedrich Diez (1794-1876) qui consacra en 1836 un de ses ouvrages à la grammaire des langues romanes. Selon l’érudit allemand, elles dérivent non du latin classique mais de la langue d’usage quotidien, le latin
