eJournals Vox Romanica 76/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
10.2357/VOX-2017-033
Es handelt sich um einen Open-Access-Artikel, der unter den Bedingungen der Lizenz CC by 4.0 veröffentlicht wurde.http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/121
2017
761 Kristol De Stefani

Silvio Melani, Per sen de trobar. L’opera lirica di Daude de Pradas, Turnhout (Brepols Publishers) 2016, 334 p. (Publications de l’Association internationale d’études occitanes 11)

121
2017
Nicodemo  Cannavò
vox7610406
406 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 406-420 DOI 10.2357/ VOX-2017-033 s ilVio M elani , Per sen de trobar. L’opera lirica di Daude de Pradas, Turnhout (Brepols Publishers) 2016, 334 p. (Publications de l’Association internationale d’études occitanes 11) L’opera lirica di Daude de Pradas era già stata pubblicata integralmente da Alexander H. Schutz nel 1933 1 , ma senza dubbio quella uscita da Brepols grazie ad un attento lavoro di s ilVio M elani 2 , che ha ripreso e rivisto il suo lavoro dottorale 3 , ci permette di disporre ora di un testo più affidabile, che corregge e spesso scioglie in maniera più convincente i nodi testuali e interpretativi presenti nell’opera del trovatore ruteno. L’edizione vera e propria dei componimenti lirici, divisi tra «testi di sicura attribuzione», in cui rientrano diciannove liriche, e un testo di dubbia attribuzione, è preceduta da un’Introduzione, suddivisa in cinque paragrafi: 1. Coordinate e ipotesi biografiche; 2. I senhals e la loro utilità per un’ipotesi cronologica; 3. Linguaggio giuridico-feudale in Daude de Pradas; 4. Caratteristiche della tradizione manoscritta; 5. Osservazioni metriche. L’edizione oggetto della presente recensione è pure dotata di un utilissimo glossario posto alla fine del volume, che precede l’elenco dei senhals e dei nomi e che raccoglie a lemma tutte le forme elettronicamente spogliate, grazie al programma «Gatto», messo a disposizione dall’Opera del Vocabolario Italiano di Firenze, comprese le congiunzioni e le preposizioni. Ogni lemma è registrato sotto la forma base (l’autore si rifà generalmente alla corrispondente voce di PD) e riporta il significato (o i significati) della parola e la categoria grammaticale. Nel caso dei verbi, inoltre, le indicazioni grammaticali della coniugazione accompagnano l’occorrenza delle singole forme. Peccato, per contro, che manchi in appendice l’elenco dei passi citati o discussi di altri trovatori. Nel primo paragrafo dell’Introduzione, lo studioso italiano, incrociando le informazioni fornite dalla vida del Rouergate con le fonti documentarie recentemente indagate da lavori sulle biografie dei trovatori, in particolare modo le ricerche di g. l arghi 4 , riesce a dimostrare in maniera convincente che non ci troviamo di fronte ad un trovatore poco originale e di un’epoca tarda: Daude è invece da considerarsi un poeta attivo tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII, quasi contemporaneo alla cosiddetta generazione «classica» dei trovatori. «La sua fu … una certo non scialba personalità letteraria, e non solo di trovatore, ma di vero e proprio poligrafo», dato che fu autore anche di un roman in versi sulle quattro virtù cardinali, volgarizzamento della pseudo-senechiana Formula Vitae Honestae, e «di un roman cinegetico, anch’esso in versi, il Roman dels auzels cassadors» (9). Più recentemente J.-p. C haMBon , in un articolo 5 apparso su Cultura Neolatina, in base ad un’indagine lessicografica condotta sull’intero corpus (non solo lirico) del trovatore rouergate, ha addirittura avanzato l’ipotesi, con riscontri interessanti ma a nostro parere non ancora 1 a. h. s Chutz , Poésies de Daude de Pradas, Toulouse/ Paris 1933. 2 D’ora in poi, per ragioni di leggibilità, il cognome dello studioso sarà scorciato in M. 3 Università degli Studi di Firenze, 1992. 4 g. l arghi , «Daude de Pradas, trovatore, canonico e maestro (…1191-1242…)», CN 71 (2011): 25-54. Si veda anche s. g uida , g. l arghi , Dizionario biografico dei trovatori, Modena 2014: 163-65 (ad vocem), opera mancante nella bibliografia di M. 5 J.-p. C haMBon 2015a: «Un auteur pour Flamenca», CN 3-4: 229-71. Di questo e di un altro articolo dello stesso studioso (J.-p. C haMBon 2015b: «Gui Ussers et Deodatus Prades ni Gui d’Ussel ni Daude de Pradas», CN 1-2: 201-04) M. riferisce alla fine del suo volume in una postilla con cui avverte i lettori di aver avuto modo di prenderne visione solo in fase avanzata di pubblicazione. Proprio per questo motivo in questa sede si spenderà qualche parola anche su di essi per mostrare come in realtà i due interventi non aggiungano nulla all’edizione di DPrad. 407 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 406-420 DOI 10.2357/ VOX-2017-033 decisivi, che l’autore finora ritenuto anonimo del celebre romanzo occitano Flamenca 6 sia da identificare con Daude de Pradas 7 . Secondo il professore francese non si tratta solo di corrispondenze dovute a fattori puramente geolinguistici: «dans certains cas, on a le sentiment que l’Anonyme et DPrad partagent surtout la petite audace littéraire consistant à insérer un diatopisme en commun dans le discours métrique et rimé … C’est avant tout d’une proximité littéraire dont témoignent les points de rencontre repérés.» 8 . Se è difficile indicare chiaramente la tipologia delle relazioni constatate da Chambon e interpretarle, per cui «on retire plutôt l’impression qu’on se trouve globalement devant un fonds commun d’habitudes lexicales, syntagmatiques et mimiques, parfois même devant des tics d’écriture partagés» (ibidem), ancora più difficile è accettare il salto logico che da queste constatazioni conduce lo studioso a identificare l’anonimo scrittore di Flamenca e DPrad: i due parlano la stessa lingua, sono nati nello stesso posto e frequentano in parte la stessa gente (i Roquefeueil), ma Daude sembra molto lontano dallo stile, dall’inventiva, dal senso dell’umorismo e dalla verve dell’Anonimo di Flamenca, che tra l’altro dovrebbe anche essere stato attivo qualche anno dopo DPrad 9 . M. (10) accoglie le proposte di datazione formulate da Larghi 10 , che ha ipotizzato «che i documenti successivi a una certa epoca (inizio degli anni Quaranta del secolo XIII) siano riferibili a un familiare (per l’esattezza un nipote) del trovatore. Questo nipote, avendo goduto, finché lo zio canonico e magister fu in vita, del suo appoggio, poté assurgere dopo la morte del congiunto a cariche ancora più importanti, tra le quali quella ambitissima e lucrosa di operarius». L’opera lirica di DPrad (11-12) «sarebbe stata composta sul finire del periodo in cui fu attiva quella generazione trovadorica che viene chiamata ‹dei classici›: una generazione in cui Daude seppe non sfigurare, quanto a fortuna, a contatti letterari e ad appoggio di importanti mecenati.» La cronologia proposta ha il vantaggio di creare una cornice temporale coerente con i testi che ci sono giunti sotto il nome di Daude: e.g. il planh per il trovatore suo conterraneo Uc Brunenc (BdT 124.4) e la corrispondenza con Gui d’Ussel (attorno al biennio 1195-1196), cui in questo periodo (o comunque non oltre il 1214) inviò due componimenti (BdT 124.10 e BdT 124.11). 6 Per questo romanzo si veda l’eccellente edizione r. M anetti , Flamenca. Romanzo occitano del XIII secolo, Modena 2008. 7 In sede di bilancio, lo studioso francese rileva che «les ‹échos› recensés ci-dessus, souvent exclusifs ou quasi exclusifs, paraissent trop nombreux pour être dus au seul hasard. Intuitivement, il semble qu’aucune œuvre littéraire occitane médiévale, en dehors de celle de DPrad, ne tisse avec Flam un réseau aussi serré de correspondances aussi précises et aussi moléculaires» (p. 260 §2) e continua evidenziando che «les relations avec certains textes lyriques apparaissent comme particulièrement étroites et fortes» (p. 261). 8 Ivi, p. 262. 9 A proposito di puntuali riscontri tra l’opera anonima e quelle di Daude, J.-p. C haMBon 2015a: 245- 46 afferma: «Il est donc très vraisemblable qu’en l’occurrence la relation entre Flam et AuzCass ne doive rien au hasard, ni à des rapports seulement épisodiques, mais qu’elle relève au contraire d’une construction littéraire intentionnelle.» Su questo, ovviamente, è possibile concordare, però ciò non dimostra l’identica paternità, ma semmai uno stesso ambiente culturale di provenienza. «On est en effet porté à croire, dans ces conditions, qu’AuzCass est l’hypotexte qui fournit le point de départ de la diffraction et du transfert sémique / animal/ → / homme/ .» (Ivi, p. 246). 10 J.-p. C haMBon 2015b: 201-04 (cf. N5) non concorda e, fondandosi su aspetti essenzialmente di tipo linguistico, si oppone alle identificazioni proposte da Larghi (e quindi anche da M.). Concretamente Chambon non va a toccare le radici degli argomenti dell’autore delle ricerche sulla biografia di Daude de Pradas: non smentisce il fulcro delle argomentazioni volte a stabilire la cronologia, cioè che siano esistiti due Daude, zio e nipote. 408 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 406-420 DOI 10.2357/ VOX-2017-033 Vengono in seguito (§1.7) delineati da M. (14) i rapporti di Daude con le famiglie con cui il trovatore ebbe contatti: oltre ai rapporti con la corte di Rodez e l’episcopato ruteno, quelli «meglio tracciabili, se non più intensi» con due non meglio noti membri - due fratelli - della famiglia Anduze-Roquefeuil, probabilmente, secondo l’ipotesi avanzata già da Schutz e comunemente accettata, Raymon II (ca. 1180-1227) e suo fratello minore Arnaut I (1185-1241), i quali, importanti membri dell’aristocrazia rouergate, avevano legami familiari saldi coi signori di Montpellier, relazioni che potrebbero aver giocato un ruolo importante «nella cooptazione di Daude all’interno del corpo docente dell’Universitas Studiorum di Montpellier. Inoltre, un ramo degli Anduze-Roquefeuil signoreggiava su Salva (Sauve), una località del Gard, ed è a qualcuno dei membri di quel ramo che viene indirizzato sia BdT 124.1 sia il planh (BdT 124.4) in memoria di Uc Brunenc.» «Il personaggio cui probabilmente sono indirizzati i due testi è Bernard VII d’Anduze, cugino di Raymon II e Aranut I per parte di padre, che su Sauve signoreggiò dal 1181 al 1200, quando ne cedette la signoria al figlio Peire Bermon VII.» Con altri arguti collegamenti, per cui si rimanda alla lettura del paragrafo (14-16), M. riesce a creare un sistema coerente: proprio per il planh l’edizione oggetto del nostro esame al v. 41 si scosta dall’interpretazione vulgata e reca Salva, tràdito da D, mentre anche il più recente editore di questo testo, g resti 11 , accoglie a testo Salas del solo ms. A. Anche in altre occasioni simili a quella testé portata ad esempio si apprezza l’approccio ermeneutico olistico di M. che non trascura di considerare aspetti testuali, intertestuali, storici, documentari e, come si avrà modo di dire più avanti, anche codicologici, fornendo alla sua costruzione una coerenza convincente, in quanto fondata su solide basi scientifiche. In questa direzione sono interessanti le proposte innovative dell’editore, come per es. il fatto (18) di ritenere «più che probabile un soggiorno di Daude de Pradas in ‹Puglia›»: a tale ipotesi lo portano varî fattori, tra i quali un passo del Roman de vertus, in cui a proposito di riflessioni linguistiche apprese, sembrerebbe «sul campo», si citano al v. 211 Poilla e Toscana, e alcuni versi della poesia BdT 124.9 - finora ritenuta di dubbia attribuzione, ma che M. assegna in via definitiva (cf. infra) a DPrad - in cui si parla di un viaggio in Puglia, termine con cui, tra il XII e il XIII secolo si intendeva «la parte continentale del regno di Sicilia in senso lato, ma presso gli stranieri anche, probabilmente, l’intero regno, parte insulare compresa.» (19). Tutto ciò collimerebbe secondo M. con un altro dato molto importante (19): «si potrebbe pensare che Daude de Pradas, la cui vita ci è documentata fino al 1242 e che fu autore del Roman dels auzels cassadors (opera di incerta datazione), sia andato nel meridione d’Italia per unirsi a quel celebre «centro di ricerche» sui rapaci raccolto intorno a sé da Federico II di Svevia circa negli anni Venti del secolo XIII … Potrebbe esservisi … recato, per esempio (e forse neppure del tutto di suo buon grado, date le recriminazioni espresse in BdT 124.9) per una missione diplomatica», di cui però l’editore confessa di non aver trovato traccia. La prima ipotesi avanzata da M. è che si potrebbe inferire che tale missione, ammesso e concesso che sia davvero avvenuta, «si sia svolta tra la fine del 1226 e la partenza di Federico II per la crociata, nel 1227. Nel novembre del 1226 infatti, Federico II, che era signore supremo di una parte non piccola dell’Occitania, protestò fermamente con papa Onorio III per ottenere la restituzione di quei feudi del conte di Tolosa (in particolare Narbona) che dipendevano dall’Impero.» Tali feudi erano stati sequestrati nel corso della crociata antialbigese e assegnati in custodia a vescovi del Midi. Costoro chi avrebbero dunque potuto inviare all’imperatore, in Italia, se non Daude, «esperto di quell’arte cinegetica tanto cara al sovrano svevo, oltre che di diritto»? Questa serie di congetture però andrebbe a cozzare con le supposizioni dello studioso riguardo al fatto che DPrad abbia composto la maggior parte delle sue poesie profane tra gli anni Ottanta del XII 11 p. g resti (ed.), Il trovatore Uc Brunenc, Tübingen 2001: 127. 409 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 406-420 DOI 10.2357/ VOX-2017-033 secolo e il 1214 circa 12 . M. (20) arriva così a formulare un’altra proposta, più economica perché coerente con l’intero «sistema» e a nostro modesto parere dotata di un alto tasso di probabilità: «l’unico altro grande avvenimento storico che collega la Provenza e la ‹Puglia› di Federico II in tale periodo è il matrimonio, nel 1209, dello Svevo con Costanza, sorella del re Pietro II d’Aragona e supremo signore della contea provenzale.» Si è voluto dare un saggio del modo di procedere dell’editore ripercorrendo alcuni ragionamenti che dimostrano che, pur lavorando in questo caso su congetture prive di pezze d’appoggio, egli riesce a inserirle in maniera coerente nel sistema che ha delineato nel preambolo biografico, anche con lo scopo di illuminare loci testuali di difficile interpretazione o comprensione. Uno spazio di riflessione, all’interno del primo paragrafo (23), viene lasciato pure ai senhals impiegati e alla loro utilità ai fini della costruzione di una cronologia. «Otto sono forse i senhals 13 usati da Daude de Pradas nelle sue liriche giunte fino a noi.» L’editore è anche in questo caso giustamente prudente perché alcuni di essi forse non sono con certezza dei senhals, in quanto coincidono con espressioni tipiche del linguaggio amoroso trovadorico. È nell’analizzare alcuni di essi che M. apre la sua ricerca ad uno dei nodi esegetici della lirica trobadorica che i provenzalisti hanno cercato in varî modi di sciogliere: la commistione tra sacro e profano nella poesia dei trovatori, aspetto che nell’edizione di cui ci stiamo occupando ritorna più volte 14 . In Daude, forse, alcuni senhals (come Bel Dezir, Joi Novel e Gaugz Entiers) potrebbero «strizzare l’occhio a espressioni in uso in contesto religioso.» (29). 12 In questa data, come ricorda M. (21), il concilio di Montpellier fece divieto ai chierici di comporre poesia profana e di corteggiare le dame. La canzone BdT 124.9, quella in cui esprime la sua delusione per il viaggio in Puglia, potrebbe anche essere stata l’ultima poesia profana da lui composta. 13 I senhals discussi sono Amics (§2.2), Bel Desir (§2.3), Bel Sirventes (§2.4), Bon Esper (§2.5), Fol Conselg (§2.6), Gaugz Entiers (§2.7), Joi Novel (§2.8), Mal Aip (§2.9). 14 Per es. nel testo Ab lo dous temps que renovela (I), v. 36, compare il verbo apanar < panis , che richiama un’immagine piuttosto corposa, quella della pasto, del nutrimento, e che M. (86) - sulla scorta anche di l. l azzerini , «La trasmutazione insensibile. Intertestualità e metamorfosi nella lirica trobadorica dalle origini alla codificazione cortese», Medioevo Romanzo 18 (1993): 153-205 a p. 173, N60 - non esita a collegare ad una metafora del piacere carnale. Tuttavia, quando apanar ha per soggetto Dio, vale «dare il pane quotidiano» (cf. Lc 10, 3). «Interessante, questa ambiguità semantica, tra il sacro e il profano, in considerazione di quanto si legge nel primo saggio di l azzerini 2010 dove si dimostra la possibilità che vari testi trovadorici, generalmente ritenuti ‹cortesi›, non cantino una donna in carne e ossa, ma un’entità superiore» (il riferimento a «l azzerini 2010» corrisponde a l. l azzerini , Silva portentosa. Enigmi, interestualità sommerse, significati occulti nella letteratura romanza dalle origini al Cinquecento, Modena 2010). E ancora (180-81) il testo IX, v. 22 fa riferimento al motivo degli occhi del cuore, di derivazione paolina (Eph. 1, 18), testo in cui dietro alla donna potrebbe celarsi la Grazia. Così interpretando si potrebbero meglio spiegare i paradossi di cui il componimento è pieno (per es.: car on om plus s’en luenha ni s’en part / de loing se fai plus pres en tota part: / tan luenh s’espan de midonz e es saubut / lo sieu ric prez, q’a mo cor retengut, / qe qan ill m’es plus loing meillz li sui pres., v. 23-27). A p. 191, l’espressione tener la clau del v. 22 del testo El temps que .l rosignol s’esgau (X) ha precedenti scritturali; tale giuntura venne utilizzata anche da Dante nel celeberrimo canto di Pier delle Vigne ad indicare il potere esercitato e il ruolo ricoperto dal segretario Pietro nei confronti dell’imperatore Federico II. L’elenco potrebbe qui essere lungo, ma mi limito in questa sede a segnalare ancora l’intero testo BdT 124.15, in cui si canta l’amore che tutto abbraccia, senza fine e senza principio. 410 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 406-420 DOI 10.2357/ VOX-2017-033 Una particolare attenzione viene altresì rivolta al linguaggio giuridico-feudale in Daude de Pradas: M. corregge l’asserzione di P. Ourliac 15 , il quale affermava che il linguaggio giuridico tra i trovatori, almeno fino alla crociata antialbigese, fu di fatto quasi inesistente. «Ma questo perché lo studioso intende per ‹diritto› solo il diritto romano» (33), ius che, riscoperto in Italia dalla scuola di Bologna nel XII secolo, «quando il Midi si trovò a combattere per la sua indipendenza, sia politica sia culturale» divenne agli occhi dei trovatori uno «strumento e un simbolo di oppressione importato da avidi e feroci stranieri.» (33-34). «Si sa che i Catari si caratterizzavano per l’assoluto rifiuto del giuramento. Ma, in ambito occitano, dice Ourliac, soprattutto tra la piccola nobiltà e più in generale tra gli uomini liberi, il giuramento (serment) era quasi altrettanto aborrito.» (34). Innanzi tutto l’editore di Daude ridimensiona questa affermazione errata, citando un lavoro di G. Giordanengo 16 : il ricorso al giuramento nei legami vassallatici e interpersonali non è poi così inusuale. I trovatori fanno invece spessissimo uso del linguaggio feudale, che Ourliac ritiene però cosa ben distinta dal vero diritto. M. (35), sulla scorta degli studi di G. Tobacco 17 , considera giustamente una forma di diritto anche quella che sta alla base del linguaggio del contemporaneo feudalesimo: per Daude si può parlare dunque di «un linguaggio feudale fortemente connotato in senso giuridico»: «alcune sue poesie hanno il tono di un vero e proprio plait, in cui argomenta per sostenere, come di fronte a una corte di tribunale, il proprio punto di vista.» Dopo queste riflessioni preliminari, l’editore passa in rassegna i termini del linguaggio giuridico (I) e di quello feudale (II), notando come la parola che in assoluto ricorre con maggior frequenza in Daude è merce (con i suoi derivati), addirittura in rima fissa in BdT 124.11; di questo termine e dei suoi derivati si fa un «uso a dir poco orgiastico» (41) in BdT 124.9, per es. nella strofa VI, che, oltre ad essere deffrenada è anche capfinida, in quanto nel suo primo verso è ripresa la parola con la quale si conclude l’ultimo della precedente: merce appunto. L’ipotesi di M. (41) secondo cui dietro a questa parola si possa nascondere la Grazia in senso religioso è sicuramente molto interessante e si allinea con quanto abbiamo scritto a proposito di alcuni senhals (cf. supra e N 14). La frequenza sia quantitativa sia qualitativa del lessico giuridico-feudale reperito dall’editore nelle poesie di DPrad non ci stupisce, se pensiamo al titolo di magister di cui egli si fregiò da un certo momento della sua vita. Colpisce, però, l’uso spesso «ironico e parodico» (45) che egli ne fa, «quasi degno di certe poesie dei contemporanei Carmina Burana e di altre composizioni medio-latine opera di clerici colti, i quali giocano più o meno scopertamente con tale linguaggio». Nel quarto paragrafo viene analizzata la tradizione manoscritta con lo scopo di individuare e discutere i rapporti intercorrenti tra i codici che ci trasmettono i testi lirici del Rouergate sia dal punto di vista della varia lectio (critica interna) sia dell’ordinamento delle varie poesie entro la sezione dedicata a Daude (critica esterna). Da questo lavoro emergono alcune affinità interessanti: MR 18 presentano sei componimenti nello stesso ordine; ADH hanno la successione dei 15 p. o urliaC , «Troubadours et juristes», CCM 8 (1965): 159-177. Citato da M. 16 g. g iordanengo , Le droit féodal dans les pays de droit écrit. L’exemple de la Provence et du Dauphiné, XII e -début XIV e siècle, Rome 1988: 53. 17 Per Tobacco il linguaggio del contemporaneo feudalesimo «è di origine rigorosamente giuridica … Nella sfera genericamente giuridico-sociale l’elaborazione di una teoria della feudalità è avvenuta, nell’incontro fra giuristi e storici della società, intorno all’identificazione di un nucleo di atti simbolici, di cui vi è larga testimonianza nell’Occidente europeo dal secolo VII a tutto il XVIII, e che esprimevano la fedeltà personale a un potente, su un piano di amicizia reciproca, con doveri di aiuto e consiglio da un lato e di protezione dall’altro, e con rimunerazione dei sevizi prestati al potente per lo più mediante la concessione di beni in godimento», citato da M. (35). 18 Si usano le sigle convenzionalmente utilizzate per i codici della lirica trobadorica. Cf. d’a. s. a Valle , I manoscritti della letteratura in lingua d’oc, nuova ed. a c. di l. l eonardi , Torino 1993. 411 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 406-420 DOI 10.2357/ VOX-2017-033 testi 1, 3, 9a, 13, 14 e 17 (H interrompe la serie, ma AD continuano a trascrivere e condividono anche la serie 18, 7, 4) 19 ; E 20 condivide con i gemelli IK lo stesso ordine, ma al rovescio (17, 18, 7, 2 in E e 2, 7, 18, 17 in IK), ma solo in un caso (testo 7) i tre codici risultano congiunti al piano basso dello stemma e in due (17, 18) il collegamento è al piano dell’archetipo. Vi sono serie più brevi di componimenti che si ritrovano uguali o quasi in gruppi più vasti di manoscritti, ma queste coincidenze assumono un peso decisamente minore in mancanza di elementi interni. M. dà prova, già nelle riflessioni preliminari e poi anche nella parte centrale del suo lavoro, di un metodo filologico rigoroso. Interessante e suggestiva, ma con un tasso probatorio minore, è invece l’affermazione che segue la constatazione che in buona parte dei testimoni è riscontrabile un ordinamento di sette testi, cioè 13, 14, 17, 8, 18, 7, 2: «In EMR avremmo avuto un rovesciamento dell’ordine per i primi due testi, 13 e 14, rovesciamento che io credo responsabile della variante introdotta al primo verso di 13, amors al posto di merce, una specie di eco del primo verso di 14, che a causa della variazione d’ordine riscontrabile in EMR ora precede 13» (48). Quest’affermazione rispecchia la realtà dei codici EM, ma non in maniera chiara quella di R, anche se si ammettesse che - come sostiene l’editore (77 N8) - in R 13 e 17 fossero inizialmente alla chiusura della serie, come in M, ma che siano poi stati i primi ad essere copiati nella sezione dedicata a Daude de Pradas (c. 22 r o e v o ), interrotta e poi ripresa a c. 30 v o in una seconda sezione contenente tutti gli altri testi: «sembrerebbe che il copista di R avesse deciso in un primo tempo di trascrivere (da una Daude’s Sammlung organizzata in modo uguale a quella che ha fatto da modello a M) solo gli ultimi due testi. In seguito avrebbe avuto l’idea, o il permesso dal direttore dello scriptorium, di trascrivere anche il resto». Una situazione certo interessante, ma non decisiva per R: a ben guardare la serie di testi, tra il 14 e la possibile posizione di 13 al penultimo posto si inseriscono 3 e 7. Anche considerando la coppia 14-3 di R come l’inversione di 3-14, ci sarebbe comunque ancora di mezzo il testo 7 a spezzare la serie di cui si sta discutendo, componimento che non è tra l’altro testimoniato in nessuna posizione da M, così come il testo 8 di fine serie in quest’ultimo codice non è tràdito in R 21 . La parentela EM con R è a nostro avviso da far poggiare più su motivi interni - si vedano a questo proposito le esaustive prove portate dall’editore (76-77) per il sottogruppo MR - più che su criterî esterni, anche se le coincidenze di cui si è scritto sopra potrebbero recare in filigrana tracce di tali legami. Le osservazioni metriche permettono all’editore di mettere in luce le forme più utilizzate dal rouergate e i suoi unica metrici o le sue peculiarità: non è questa la sede per affrontare il tema, per la cui trattazione esaustiva e convincente si rimanda al paragrafo 5, ma si vuole qui dare almeno un saggio dell’acume con cui M. affronta il problema tenendo sempre ben presente l’intero corpus dei trovatori. Per esempio, il legame di BdT 124.14 (schema Frank 577: 257) con il testo di Guilhem Ademar 22 (BdT 202.2) per i tipi di verso e la loro distribuzione all’interno 19 I tre testimoni ADH inoltre - e lo si evince dai cappelli introduttivi dei testi editi da M. - risultano congiunti non solo da un ordine identico di successione dei componimenti ma anche da lezioni congiuntive comuni. 20 Si veda, a proposito del ms. e, C. M eniChetti , Il canzoniere provenzale E (Paris, B.N.f. fr. 1749), prefazione di g. B eltraMi , Strasbourg 2015. Alle p. 148-49 discute anche la situazione di DPrad in E, riprendendo però in buona sostanza le considerazione di M. dalla sua tesi dottorale. 21 L’ordine di M è il seguente: «1 - 10 - 11 -15 - 9a - 6 - 3 - 14 - 13 - 17 - 8». L’ordine di R è «13 - 17 - 1 - 10 - 11 - 15- 9a - 6 - 14 - 3 - 7». Ricostruzione della fonte di R: «1 - 10 - 11 - 15- 9a - 6 - 14 - 3 (con inversione di 3-14 rispetto a M) - 7 - 13 - 17». 22 DPrad (e.g. cobla I del testo I) condivide anche altri tratti con GlAdem, per esempio il gusto per gli esordi primaverili (cf. per es. BdT 202.10), tratti che, come osserva d. s CheludKo , «Zur Geschichte des Natureinganges bei den Trobadors», ZFSL 60 (1937): 37, dalla fine del XII secolo erano fuori moda, 412 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 406-420 DOI 10.2357/ VOX-2017-033 della strofa mostra una vicinanza tra i due, un’altra prova forse della sovrapponibilità della cronologia della loro produzione 23 . Per BdT 124.11 invece M. corregge l’errata formula sillabica riportata nel repertorio di Frank 589: 9 in 10a 10b 10b 10a 10c 10c 10d 10d 10’e (tornada: 10c 10d 10d 10’e). Dall’analisi metrica M. (61-62) conclude che «Daude de Pradas accorda le sue preferenze a (relativamente) pochi schemi di rime e a un ancor minor numero di tipologie di versi … Tuttavia questo non vuol dire che Daude abbia rinunciato a sperimentare altre soluzioni». Ha probabilmente ragione l’editore (63) quando sostiene che per «capire le scelte metriche del Daude lirico bisogna tener conto della sua vocazione di poeta non lirico, didattico e didascalico, autore di un’opera di letteratura pratica come il Romans dels auzels cassadors e di un volgarizzamento di un’opera di letteratura morale come il Romanzo delle quattro virtù cardinali. In queste opere egli usa, con notevole maestria, il distico narrativo di octosyllabes a rima baciata». È interessante notare come DPrad, accanto alle rime tra le più comuni in assoluto, ne utilizzi anche altre più rare, solitamente unite proprio alle più vulgate, combinazione che contribuisce a dare un tono burlesco come in BdT 124.8: pure qui, più che a contatti con il trobar leu, l’editore rimanda alla vocazione espositiva e ragionativa di un autore che ha composto più versi di opere didattiche e moraleggianti che non di testi lirici: un’ipotesi confermata anche dal fatto che i rimanti che sono hapax in assoluto, oppure rarissimi nella lirica, lo sono assai meno nella produzione non lirica 24 . All’Introduzione segue la tavola con le sigle dei testimoni: si segnala qui la mancanza dell’indicazione dei manoscritti B 25 , che però ci testimonia per es. BdT 124.14, e J, che tramanda la rima di dubbia attribuzione BdT 461.86. Si constata inoltre che il frammento Campori γ è siglato nella tavola con a 2 , mentre all’interno degli apparati compare sempre come a 1 (con 1 e non 2 in apice) 26 . Oltre alle riflessioni sulla vita di Daude e alla cronologia delle sue opere liriche, la nuova edizione di M. possiede a mio modo di vedere due pregi. Da una parte l’editore ritorna a riflettere sul testo offrendo, grazie ad un’attenta disamina della varia lectio (che, quando possibile, lo porta alla creazione di uno stemma codicum anteposto alla discussione), proposte alternative rispetto alle precedenti edizioni, ipotesi che hanno spesso il vantaggio di chiarire luoghi la cui interpretazione era finora stata oscura per la critica; dall’altra le note al testo offrono prospettive ermeneutiche nuove che puntualizzano o correggono idee vulgate. Interessante è per esempio la proposta di correzione del testo BdT 124.1 al v. 8 in e[n] nei diversa dal testo, per es., di Appel: «Am Schluss hat wohl e vei gestanden, das als el vei zu deuten ist. Ich habe der Klarheit wegen in Anlehnung an AH e ’nvei geschrieben.» (citato da M. [84]). Il testo di M., per il quale e[n] nei vale ‘in segreto, di nascosto’ è molto più coerente con il contesto e, più in generale, con l’intera opera di Daude. L’editore, analizzando la varia lectio, di fronte ad una situazione poco chiara elabora una proposta che tiene sì conto del materiale anche se attestati in ben quattro componimenti di GlAdem dall’impianto arcaicizzante e che risentono fortemente dell’influsso di trovatori della prima generazione. 23 Per l’Ademar possiamo prendere come estremi cronologici …1195-1217… 24 Tra queste parole vi è anche gigua, «uno strumento musicale … nominato pochissimo nella letteratura occitana in versi: oltre che nel testo di Daude, compare solo (e non in rima) in Fate Joglar (sotto la forma guiga) e nel romanzo di Flamenca»: anche di questa parola si occupa C haMBon 2015a: 229-71. 25 M. (223) cita B e anche b (nemmeno questo è riportato tra i codici). A p. 234 ricompare il ms. B. 26 Alle p. 195-96 si ha la stessa incoerenza: nello stemma M. mette a 2 , mentre in apparato e nell’introduzione usa a 1 . 413 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 406-420 DOI 10.2357/ VOX-2017-033 a disposizione, in particolar modo in questo della vicinanza paleografica delle lezioni, ma ha anche il vantaggio di dare un senso migliore al componimento. Un altro esempio del rigoroso procedere dell’editore è nello stesso testo al v. 24: di fronte ad una situazione di diffrazione in cui A, D, Ca, EH(-1), MR(-1) e N leggono in maniera diversa, lo studioso arriva ad ipotizzare la lezione dell’archetipo, individuando nei manoscritti MR i latori della versione più vicina ad esso nonostante la loro ipometria, e ne spiega anche l’eziologia. Grazie all’intervento correttorio si ristabilisce un testo dotato di senso, cosa che non accadeva nella versione di s Chutz 1933: 4, il quale si trovava a dover apporre un punto interrogativo alla fine della sua traduzione, e che ben si inserisce nell’economia del componimento, in quanto anticipa il tema principale della strofe seguente. Di fronte a luoghi che potrebbero essere interpretati in modi differenti, M. in maniera molto onesta propone una sua interpretazione senza rinunciare a mettere a disposizione anche altre possibilità. È il caso per es. v. 27 di BdT 124.2, don no .m cal temer qe ja .m traia tradotto con «dalla quale non ho da temere di essere respinto [oppure: e dalla quale non mi importa di essere tradito]», discussione affrontata poi nella nota al verso: «Qualsiasi donna di libera condizione e che tenga alla sua reputazione può respingere uno spasimante, mentre una prostituta, in genere, non respinge il cliente.» Noi propenderemmo invece per la seconda proposta di traduzione, che è secondo noi più aderente alla lettera (si rende meglio il verbo cal che sembra svanire nella prima proposta): «dalla quale non mi importa di essere tradito», dal momento che chi si accompagna a una prostituta sa bene che essa si offre a molti uomini e per questo non la considera niente di più di un oggetto sessuale verso cui non si può né si deve provare gelosia. Altro contributo volto a migliorare il testo è, sempre nel testo II, al v. 50: de luec deves ‘delle parti intime’ proviene dal ms. scelto come base grafica 27 del testo critico e potrebbe coincidere con una lectio difficilior. L’espressione appare come un’efficace personificazione, conformemente a certi giochi del linguaggio erotico. Nel testo III potrebbe forse sorprendere in un primo momento la scelta di mettere a testo aursfabres (v. 49), sost. masch. c.s.s. = ‘orafo’, in quanto nella letteratura occitana in versi è un hapax: «si tratta di una forma ricostruita in questa edizione per un punto in cui le lezioni dei mss. si sono diffratte» (121). TdF (s.v.) e FEW (1: 183; 3: 342) registrano, in occitano moderno, orfebre, e la parola è attestata poi in lingua d’oïl. Grazie alla ricostruzione di M. il testo guadagna dal punto di vista del senso, si appoggia comunque sul materiale messo a disposizione dai codici e, inoltre, ci lascia intravedere l’eziologia dell’errore: davanti ad un termine raro, un hapax per l’appunto, i copisti avrebbero reagito modificando il verso per «correggerlo». Lo stesso dicasi, nello stesso verso, per abcosen ‘mettere assieme’. Nel componimento V al v. 22 compare la parola aurana che secondo chi scrive avrebbe meritato una nota, in particolare modo con riferimento al lavoro di l. B orghi C edrini 28 , la quale annotò che «fra le creature bollate come aura(n) come variamente poco sensate figurano 29 … anche l’innamorato di Daude de Pradas che pensa alle doti della dama in BdT 124.5, v. 22-23 ‹Esbahitz, cum cauz’aurana, / vau› …» (B orghi C edrini 2012: 82). Degna di nota è inoltre la traduzione che M. fornisce del termine lauzengiers (si vedano per es. le p. 217-18 a proposito dei v. 17-18 del testo XIII o il VIII, v. 23): non ‘malparlieri’ bensì ‘coloro che danno cattivi consigli’. Oltre all’interpretazione in chiave di metafora feudale della parola lausengier (si tratterebbe in origine di cattivi consiglieri del signore) è interessante 27 M. sceglie sempre come ms. per la base grafica il codice che richiede meno interventi correttorî. 28 l. B orghi C edrini , «Linhaura», in: l. B ellone et al. (ed.), Filologia e Linguistica. Studi in onore di Anna Cornagliotti, Alessandria 2012: 69-93. 29 Nel testo citato il verbo è al plurale visto che i soggetti di cui si occupa la studiosa sono anche altri due oltre a Daude de Pradas. 414 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 406-420 DOI 10.2357/ VOX-2017-033 notare come l’editore (218), specie nella lirica XIII v. 19, noti anche la somiglianza tra cosa è detto in genere del lauzengier nella poesia amorosa e ciò che viene riferito ai «Farisei» nella preghiera catara Payre sant. Non pochi sono gli altri loci in cui M. migliora l’interpretazione del testo con una traduzione più corretta, fedele e coerente con il contesto. Si veda ad esempio la nota a can l’acueil (X, v. 3 30 ) «perché quella lo riceve», intendendo can nel valore causale e non in quello temporale. È secondo me interessante la motivazione che porta l’editore (190) per sostenere questa scelta, che migliora la traduzione rispetto a s Chutz 1933 e K olsen 1916-19: «si recupera la funzionalità dell’antitesi tra la situazione dell’usignolo - che canta di felicità perché è accettato dalla sua compagna - e quella del poeta, costretto anch’egli a cantare per la sua domna, ma senza ricompensa.» Desta un interesse metodologico non indifferente la riflessione che accompagna in nota il termine envios (XI, v. 20), lezione preferita da M. alla lettura di Schutz (enuios ‘fastidiosi’), sebbene quest’ultima sia appoggiata dalla lezione enoios di gran parte dei codici. Da notare inoltre che in questo stesso testo al v. 21 si trova la forma di ambigua lettura enuios/ envios. «Envios mi pare recuperi un senso qualitativamente superiore in entrambi i versi: infatti i gelosi e i cattivi consiglieri agiscono male sostanzialmente perché mossi dall’invidia.» (201). Vi è però solo un’unica altra attestazione di envios (cf. COM 2, BdT 461.31, v. 4). M. si chiede a questo punto, secondo me molto opportunamente, quante volte gli editori, nei quindici casi di lettura enuios censiti dalla COM2, abbiano mal interpretato quello che «probabilmente era un envios, ad es. in Arnaut Catalan, BdT 27.6 v. 34: fals lausengier enuios (luogo interessante anche perché simile al nostro) o in Bertran de Born BdT 80.24 v. 9 q’autr’oms en seri’enuios.» Spesso è il confronto che l’editore stabilisce con altre lingue romanze a risolvere i dubbi di traduzione, come per esempio per il termine fenhedor (XI, v. 37), che non è da intendere qui come ‘hypocrite, dissimulé, amant timide’, ma proprio come colui che ‘modella’ i suoi pensieri, ‘sognatore’ (vedi in TLIO, fingere, significato 3.1, ‘immaginare ciò che non c’è’): «mas qui.s vol fegnedor m’apel, / q’en pensan teing sotz mo mantel, / aissi com vueill totas sazos,/ ma domna malgrat dels gelos.» (v. 37-40). Ci sarebbero molti altri passi stimolanti da evidenziare, ma terminiamo questa breve rassegna con un punto che ci sembra possa mettere in luce, se ancora ce ne fosse bisogno, il metodo filologico dell’editore. I v. 67-69 del testo XVI vengono così stabiliti da M.: «Qui novel chan volra chantar / chant chan de Dieu ses deschantar, / q’el non vol autre chantador.» Shepard aveva tradotto deschantar con «sans se moquer», significato suggerito anche da SW, II, p. 118 ‘verspotten’. Schutz appare dubbioso su questa traduzione, perché inadeguata al contesto e propone ‘chanter faux’. M., rifacendosi agli studi sulla musica del tempo, ritiene in maniera più appropriata che il significato sia quello tecnico della teoria e dalla prassi musicale ecclesiastiche dell’epoca di Daude: ‘cantare in discanto’, «vale a dire quel modo di cantare a due voci su linee melodiche differenti, delle quali quella superiore (aggiunta per rendere più attraente e ‹piena› la musica) diventa principale rispetto alla sottostante, cioè una tradizionale melodia gregoriana.» Questo procedimento fu una novità del secolo XI che si sviluppò in risultati piuttosto complessi tra la fine del secolo XII e gli inizi del XIII (vedi la N24 dell’Introduzione 1.6., «Coordinate e ipotesi biografiche») e qui Daude sembra disapprovarla in nome di uno scrupolo religioso simile a quello che spinse secoli dopo Erasmo da Rotterdam a condannare l’allora imperante musica polifonica. I fedeli - diceva il grande umanista - ormai si recavano in chiesa solo per il diletto dell’orecchio e non badavano più a intendere il testo sacro. Deschantar dunque 30 X v. 1-9: El temps que .l rosignol s’esgau / e fai sos lais soç lo vert fueil / per sa parila, can l’acueil, / no .m lais’Amors estar suau, / ans vol qu’eu chant, vola o non, / cill qui m’a tengut en preison / tan longamen c’apenas sai / si .n porai viure: s’en m’estrai, / que mais no torn en son estaje! 415 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 406-420 DOI 10.2357/ VOX-2017-033 sarebbe una metafora che Daude usa qui per deplorare quanti si lasciano sedurre dagli aspetti più gradevoli dell’esistenza (la melodia alta, che per la sua piacevolezza attira l’attenzione dell’ascoltatore) e trascurano il messaggio cristiano (la melodia gregoriana, che rimane come semplice sottofondo). Ma la metafora potrebbe essere ancora più sottile: come già all’inizio del secolo XI spiegava nel suo trattato Micrologus, spesso la seconda voce posta al di sopra della melodia gregoriana evolve con quest’ultima in movimento contrario: quando una delle due voci sale, l’altra scende. Descantar quindi può significare anche fare l’esatto contrario di quanto la Legge divina (simboleggiata dal canto gregoriano) prescrive.» (255). Per quanto concerne i problemi di attribuzione, si segnala che BdT 124.5, la cui assegnazione a Daude de Pradas era già da Anglade ritenuta molto dubbia, non era stato accolto da Schutz nella sua edizione. I motivi per il mancato riconoscimento della paternità erano essenzialmente due: il testo è ascritto a Daude solo da C, che contiene molte attribuzioni errate, mentre compare anonimo nell’altro testimone, W; la sua prima strofe è citata nel Roman de la Rose ou de Guillaume de Dole, di Jean Renart, opera databile intorno al 1200. Ciò presuppone che il testo dovesse essere conosciuto in area oitanica dalla fine del sec. XII almeno. Per Anglade e Schutz questo ovviamente era un problema, visto che entrambi ritenevano Daude attivo solo agli inizi del XIII sec. M. (132), a giusta ragione, rifiuta categoricamente la prima obiezione, perché «confutare l’attribuzione di un manoscritto soltanto perché in alcuni altri casi (o anche in molti) egli ne fornisce di sicuramente errate è quasi una petizione di principio.» Inoltre, più recentemente r. Lejeune ha proposto come termini cronologici del Roman de la Rose gli anni 1208-1210 (con estensione massima del terminus ante quem al 1214). Anche in questo caso, come in quelli discussi in precedenza, la nuova proposta cronologica di M. è coerente: «i dati cronologici ricavabili dalle poesie di Daude de Pradas non permettono di escludere che una parte almeno della sua attività poetica si sia svolta tra l’ultimo ventennio del secolo XII e i primi due decenni del XIII.» (132). L’editore prende invece in seria considerazione i motivi di ordine soprattutto metrico avanzati da f. Carapezza 31 , che recentemente ha messo in dubbio la paternità del trovatore rouergate, essenzialmente per tre motivi: 1) Schema rimico-sillabico troppo originale per un trovatore del periodo «argenteo»; 2) «Le indicazioni fornite dal tipo metrico della canzone si possono sostanziare con una serie di riscontri stilematici, tematici e lessicali che, come vedremo subito, puntano in direzione del ‹ricco filone degli imitatori di Marcabruno› operanti intorno e oltre la metà del dodicesimo secolo.» 32 ; 3) Se il testo fosse di Daude, si tratterebbe dell’unico la cui melodia è stata conservata. Essa tuttavia «mostra delle evidenti affinità stilistiche e strutturali con quella della tenzone, già menzionata a proposito del tipo strofico, tra un Peire, che una parte autorevole della critica identifica con l’Alterniate, e Bernart de Ventadorn, Amics Bernartz de Ventadorn (BdT 323.4), anch’essa tràdita unicamente dal canzoniere W.» 33 . M. in maniera rigorosa controargomenta: 1) È un argomento debole affermare che un certo schema metrico-musicale, poiché rappresenta un unicum per un determinato autore, non possa essergli attribuito. In effetti, il rischio (e non solo per quanto concerne le questioni metriche) è quello che le presunte costanti e le regolarità siano più nell’occhio del moderno editore che nelle intenzioni dell’artista, una sorta di petitio principii regolarizzatrice che indurrebbe a vedere una norma dove in realtà essa potrebbe anche non esserci. 2) e 3) Il fatto che il tipo metrico abbia un aspetto arcaico potrebbe addirittura giocare a favore dell’attribuzione, visto che il Rouergate si rifà scopertamente al lessico e alle movenze dei trovatori antichi, quelli appunto delle prime due generazioni. «Daude, fiero della sua cultura letteraria 31 f. C arapezza , «Daude de Pradas (? ) Belha m’es la votz autant (BdT 124.5)», Lecturae tropatorum 5 (2012) in rete all’indirizzo http: / / www.lt.unina.it/ Carapezza-2012.pdf. 32 Ivi, p. 8. Citato da M. (133). 33 Ivi, p. 15-16. Citato da M. (133). 416 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 406-420 DOI 10.2357/ VOX-2017-033 (il sen de trobar …), potrebbe aver deciso, nel comporlo, di usare non solo espressioni antiche, ma anche - per maggior ricercatezza - un rarissimo schema di Cercamon e una variazione di una melodia attribuibile a Peire d’Alvernhe.» (134) 34 . In maniera non dissimile M. riesce ad assegnare a Daude anche BdT 124.9 (testo IX), che tra l’altro cita il viaggio in Puglia, riferimento che - come si è detto - potrebbe essere addirittura un argomento a favore dell’attribuzione al Rouergate (contro a quella a Guillem de Berguedan). A maggior prudenza invita invece il caso di BdT 461.86 che M. pubblica, da solo, nella sezione dedicata alle Rime di dubbia attribuzione. Andrebbero per contro approfondite e/ o corrette a mio modo di vedere alcune riflessioni: per es. su en cossirier (V, 12), oltre all’opportuna citazione del lavoro di s. g uida (ed.), Il trovatore Gavaudan, Modena 1979, segnalo l’interessante lavoro sul termine cossirar e suoi affini di cui si è occupata M. M oCan , I pensieri del cuore. Per una semantica del provenzale cossirar, Roma 2004. Per il testo XII, nota al v. 1 va puntualizzato che nella nuova edizione di Elias de Barjols di g. B araChini (ed.), Il trovatore Elias de Barjols, Roma 2015, BdT 132.8 è indicato come di attribuzione incerta (p. 72s. per le questioni di attribuzione e p. 353s. per il testo). Sarebbe inoltre da precisare la nota a p. 260, v. 42: farai la figua è accostabile - come giustamente evidenzia M. - all’espressione dantesca «fare le fiche». Segnaliamo a tale proposito un’interpretazione differente rispetto a quella proposta tradizionalmente e a cui M. fa riferimento. a. M azzuCChi 35 grazie anche ad un’attenta analisi delle fonti iconografiche, in particolare modo le miniature dei manoscritti più antichi che ci tramandano la Commedia dantesca, ribadisce che questo gesto, definito da alcuni commentatori semplicemente come «actum turpem», è chiaro per i contemporanei di Dante: si realizza con «la mano rivolta verso chi si offende chiusa a pugno con il pollice che fuoriesce tra l’indice e il medio» (Ivi, p. 302) 36 . Il problema sta a capire che cosa significhi il gesto: secondo il critico italiano l’origine è differente da quella ipotizzata che ricollega il gesto all’organo sessuale femminile (o, per altri, a quello maschile). Grazie al commento al testo dantesco di Giovan Battista Gelli 37 , l’autodidatta calzolaio fiorentino, è possibile far risalire l’origine del gesto ad un episodio del passato, cioè alla vendetta operata da Federico Barbarossa (narrata da «Alberto Cranx nel sesto libro della sua Sassonia e il Mustero nel secondo della sua Cosmografia» 38 ), il quale, allontanatosi da Milano, era venuto a sapere di una rivolta dei milanesi, i quali non solo si erano ribellati, ma avevano mandato fuori dalla città una sua figlia naturale, seduta su una mula, con la faccia volta indietro e con la «coda della detta mula in scambio di briglia in mano». L’imperatore, dunque, che era appena rientrato dalla Germania, non tardò a vendicarsi, assediando la città così da costringere i milanesi ad arrendersi. Federico, entrato in città, non punì il popolo per la ribellione ma volle vendicare l’ingiuria fatta alla figliola. Ritenne maggiormente colpevoli coloro che governavano e decise di punire cento di loro: «condennògli tutti al fuoco, ma con questo patto, che tutti quelli di loro che volessero cavare pubblicamente in piazza con la bocca uno fico della natura a una mula, fusse loro perdonato. La qual cosa fu fatta, però eccetto da alcuni pochi che si lasciarono 34 Si veda anche N22. 35 a. M azzuCChi , «Le «fiche» di Vanni Fucci (Inf. XXV 1-3). Il contributo dell’iconografia a una disputa recente», Rivista di studi danteschi I/ 2 (2001): 302-15. 36 Nell’articolo M. smentisce che il gesto fosse ottenuto, come riteneva il Baldelli, con la congiunzione delle punte dell’indice e del pollice di ogni mano con inequivocabile riferimento dunque al sesso femminile. 37 Commento del Gelli p. 369: cf. g. B. g elli , Commento edito e inedito sopra la «Divina Commedia», (ed. C. n egroni ), vol. 2, Firenze 1887: 468 (lett. 9°, lez. 6a). 38 Ivi, p. 369. 417 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 406-420 DOI 10.2357/ VOX-2017-033 ardere, da tutti gli altri; ai quali era dipoi spesse volte rimproverato dai satelliti di Federigo tal cosa in questo modo, ch’ei mettevano il dito grosso nel mezzo del primo e del secondo della mano, e mostrandolo loro in su il volto, dicevano loro: O va’ a cavar questa; chiamando il fico in genere femminino, perché così si chiamava in quei tempi in Milano» 39 . Che cos’è però il fico a cui allude Gelli? Nel linguaggio medico e veterinario dell’italiano antico era un «tumore, escrescenza carnosa che si sviluppa fra le due natiche e negli organi sessuali 40 », o ancora «tumori più o meno voluminosi quasi sempre molli, rossi, sanguinosi e fetenti …» 41 . «Se la ricostruzione del Gelli e delle sue fonti fosse vera, la forma del gesto ‹fare le fiche› rinvierebbe per somiglianza, certo più evidentemente di un organo genitale maschile o femminile, al suo referente simbolico, il fico, come patologia: l’escrescenza carnosa (il pollice) attaccata ai genitali o alle natiche (l’indice e il medio chiusi a pugno)» 42 e non si tratterebbe - come M. scrive - di un gesto connesso col nome popolare dell’organo genitale femminile 43 . A fronte di un lavoro preciso e meticoloso si segnalano qui di seguito alcune incongruenze rilevate tra testo e apparato 44 : 80, 6 no .n / no .m 82, 33 In apparato: que . (manca la m: que . m) 82, 35 prous / pros 82, 37 no i .cuig (a testo), ma dovrebbe essere no.i cuig, come riportato correttamente in apparato 83, 48 In apparato manca lo spazio dopo cort 94, 9 qe / qi 97, dopo il 57 in apparato c’è un ; che non ci vuole 115, 11 Donna 45 / domna 115, 14 qar / car 115, 15 e ses / e sens 116, 21 ha / a 116, 27 qui es / qi es (in apparato un ; dopo ] che non ci vuole) 118, 58 qe / que 118, 63 qeacom / queacom 134, 2 en / em 135, 19 (base C) ai / am W] ai C (le voci in apparato andrebbero dunque invertite) 142, 6 dezirs / desirs 143, 18 suffrir / sufrir 143, 19 cuy / cui 143, 20 fai / fay 143, 21 no vuelh ges / qu’ieu no vuelh ges 145, 48 qui .s / quis 154, 14 ço / so 155, 32 me / mi 39 Ivi, p. 471. 40 s. B attaglia , Grande Dizionario della Lingua Italiana, vol. 5, Torino 1968: 935-36, s.v. 41 n. t oMMaseo / B. B ellini , Dizionario della lingua italiana, vol. 2/ 1, Torino 1865-79: 774, s.v. 42 a. M azzuCChi , «Le «fiche» di Vanni Fucci (Inf. XXV 1-3). Il contributo dell’iconografia a una disputa recente», Rivista di studi danteschi I/ 2 (2001): 314. 43 Potrebbe essere in contrasto con quanto proposto, come riporta M. in nota, il fatto che un gesto simile fosse conosciuto anche dai Greci. 44 Da leggersi nel modo seguente: pagina, verso, versione messa a testo / lettura dell’apparato. 45 Così recensito anche nel glossario. 418 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 406-420 DOI 10.2357/ VOX-2017-033 156 il numero 40 è messo prima di qe.m ma deve andare prima di no m’asegura 162, 1 dezir / desir 162, 8 fondetç / fondetz 163, 14 dret / dreit 163, 18 s’eiratz / s’eratz CIKM ] Seiratç N 46 164, 32 amanç / amans 164, 33 Manca il numero 33 in apparato prima di «e DIKMNa 1 » 177, 4 fuoillz / fuoilz 177, 14 e .m plaing / e .m planh 187, 14 amor / Amor 187, 18 Merce / Merces 188, 21 anç / Anç 190, 47 e tot / e ton 196, 2 chanson / chanzon 199, 47 no .m / nom 47 199, 58 anz / ans 199, 60 qe / que 209, 23 no voleç, ma in apparato si legge volez; no ACDaGIKNORS’a’]. Ci deve essere un problema nell’edizione, visto che la base grafica è N e non è stato segnalato nemmeno nell’introduzione uno scostamento dell’edizione dal testo tràdito. 211, 48 Joi Novelh si Mals Aips no .m / Joi Novels si Mals Aips noN (N attaccato e inoltre ci sono problemi con Novelh/ Novels e no.m/ no) 227, 7 In apparato prima di «dir» manca il ; 228, 23 jugairai sols, privadamen, / jugarai sols privadamen 228, 30 feron / feiron 249, 3 finz / fins 250, 14 Dieus / deus 249, 14 Dopo qil, in apparato, c’è una l al posto del ; 250, 30 salvament / salvamen CDMRa’] salvament N. Quanto messo a testo va ovviamente corretto per motivi di rima (veraiamen : salvamen : guiren). 250, 33 In apparato manca il numero 33 prima di lui 251, 40 honratz / onratz 251, 55 ab / a 251, 55 alogatz / aloguatz 252, 59 si con tu cor / si com tu cors MN 1 (manca la lettera a: dovrebbe essere MNa 1 ) 252, 60 Dopo «verso omesso D» ci vuole un ; 252, 61 cal / qual 252, 64 In apparato manca il numero 64 prima di a CDMNa 1 253, 72 enchanz / enchantz 253, 73 qi / qui 262, 2 ant / an 263, 11 dompna .m / domna .m 263, 11 sofris / sufris 265, 42 baron / baro 46 Cf. ciò che M. scrive a p. 168: eiratz è per lui forma dubbia e da mettere solo in apparato (ma poi l’ha anche messa a testo). 47 Di per sé non sarebbe errato, ma M. in apparato a volte riporta la lezione con il segno diacritico, altre no. 419 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 406-420 DOI 10.2357/ VOX-2017-033 271, 23 amicx / amics 280, 3 Que .l / Quel 281, 8 aprendre / apprendre Si segnalano inoltre questi casi: p. 34 Uso delle parentesi al punto § 3.2: la parentesi andrà chiusa probabilmente dopo le virgolette uncinate che seguono la parola fonctions e non alla fine del paragrafo, per ricostruire così correttamente la sintassi della frase che altrimenti si ritroverebbe senza predicato. p. 73 Rainouard > Raynouard. p. 73 Il rimante è -ana (e non -ama), come si ricava dal testo e indicato anche a p. 52. p. 86 Il corsivo a è va tolto. p. 87 Mahn non va tutto in maiuscolo ma in maiuscoletto. p. 88 assaber non è la forma del ms. A: va corretto in asaber (ho preso come riferimento la lezione messa a testo e l’apparato). p. 99 La nota al v. 12 tratta del problema di n in rima, ma questa osservazione non è riferibile al v. 12 bensì al v. 11. p. 103 Non è il v. 36 quello che contiene domneis d’Amor veraia ma il v. 37. p. 104: Errore di corsivo nella prima L del titolo dell’opera catalana Llibre dels Set Savis de Roma. p. 112 Errore di sintassi: «Al v. 48 (cf. p. 109) si nota l’uso dell’aggettivo fis la lezione del ms. A è stata scelta da Schutz …». Da correggere forse con «Al v. 48 (cf. p. 109) si nota l’uso dell’aggettivo fis, che è la lezione del ms. A, scelta da Schutz…». p. 153 Sullo stemma, ramo CR, ci dovrebbe essere indicato anche il v. 2 (cf. p. 149: «Gli errori: al v. 2 CR trascrivono si ilh (silh R) m’azira, che rompe il gioco delle rime derivative». Idem per il v. 33, che non figura nello stemma. p. 157 Non si tratta del v. 28 ma del v. 29 (precs). p. 157, 39 nota 3 (in realtà si tratta della nota 2). p. 164, 39 In apparato si legge a1 (l’1 dovrebbe essere in apice). p. 179 Manca lo spazio nella traduzione dopo la virgola: Gioventù, Pregio. p. 192 Il verso riportato come 36 nel commento è in realtà il v. 37. p. 209 Al v. 19 nel testo si legge abtan, da correggere con ab tan, correttamente indicato in apparato. p. 218 effans < enfans. Situazione non chiara, perché M. commenta tra parentesi «Schutz ripristina il caso regolare», cosa che in realtà fa anche M. mettendo a testo - correttamente - effan e correggendo così la lezione del codice unico, C, che reca effans. p. 227, 10 totç temps nel testo va separato (in apparato e nel glossario le due parole sono separate). p. 229 Nella traduzione manca l’accento sul sì (il vostro «sì» in «no»). p. 232 bensi > bensì. p. 253 È da correggere la numerazione dei versi del testo a partire dal verso 77. p. 256 Il commento indicato per il v. 82 in realtà si riferisce al v. 81 (vedi errore di numerazione). p. 257 Manca l’indicazione delle rime nel cappello (regolarmente riportata per tutti gli altri testi). p. 264 Nella traduzione sono da correggere «le sua espressioni» > «le sue espressioni» e «qual’è» > «qual è». Alla fine della traduzione della III cobla c’è un punto di troppo. p. 271 In apparato un punto in alto è diventato un trattino: 1 Si-s al posto di 1 Si.s. Concludendo questa recensione si può senza ombra di dubbio affermare che quella data alle stampe da M. è un’ottima edizione critica racchiusa in un volume ricco di stimoli e riflessioni ad 420 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 76 (2017): 420-435 DOI 10.2357/ VOX-2017-034 ampio spettro, che vanno a toccare loci testuali, abitudini e costumi dell’epoca, aspetti lessicali e socio-culturali. La proposta di una nuova e diversa cronologia così come i possibili contatti con altri autori e opere, ad esempio con il romanzo occitano Flamenca, non mancheranno di far discutere gli specialisti. Il libro affronta con estrema precisione ed erudizione nonché con una non usuale competenza problemi né semplici né banali: l’autore, sfruttando una notevole e aggiornatissima bibliografia e uscendo dai confini dell’occitanistica, apre interessanti piste di ricerca e riflessione agli studiosi. Nicodemo Cannavò  p eter w underli (ed.), Le Nouveau Testament occitan de Paris (Ms. BN fr. 2425), vol. I: Introduction et édition critique, vol. II: Analyse de la langue, Lexique et Index des noms, Tübingen (A. Francke) 2016, Viii + 434 p., V + 335 p. (Romanica Helvetica 136). Après avoir donné le Nouveau Testament de Lyon (désormais NTestLyon) 1 , p eter w underli poursuit son œuvre en éditant selon «les mêmes principes» (I, VII) une autre traduction occitane médiévale du NT, celle du manuscrit de Paris (désormais NTestParis). Les lecteurs auront une dette de reconnaissance et de gratitude envers l’éditeur, bien connu pour ses travaux de linguistique générale et romane, mais aussi spécialiste de longue date des volgarizzamenti occitans de la Bible, d’avoir courageusement su rendre accessible ce texte «précieux aussi bien pour la tradition de la Bible en langue vulgaire que pour l’histoire de la langue occitane» (I, 21). Ils seront également reconnaissants à la collection Romanica Helvetica d’avoir accueilli le nouvel ouvrage de P. W. et de lui avoir assuré une publication rapide. 1. L’édition (I) 2 1.1. Comme l’édition Nüesch de BiblCarp 3 et l’édition de NTestLyon par P. W., la présente édition se démarque par sa macrostructure des habitudes éditoriales: le texte est introduit et édité dans le volume I, tandis que le volume II rassemble ce qui a trait à la langue. Le contenu de l’«introduction linguistique» de la plupart des éditions se trouve ainsi intégré à une plus juste place, et le «Lexique» comme l’«Index des noms» (comprendre: index des noms propres) ne sont plus de simples appendices, mais apparaissent de facto - sinon tout à fait de jure - comme des composantes de l’étude linguistique. Le manuscrit unique (BN fr. 2425, consultable sur Gallica) est une copie (I, 23) mutilée (sur les lacunes, dont la plus importante est l’évangile de Matthieu, voir I, 21). La description du ms. est faite avec grand soin (I, 1-15) (ces pages comportent aussi la reproduction de six folios). L’éditeur met d’entrée de jeu les rieurs de son côté en reproduisant la notice du manuscrit dans Gallica, notice partiellement rédigée en novlangue globalisée («Online-Datum: 21/ 11/ 2011») et dont le fond est à l’avenant: «Format: Vélin», «Langue: Français» (I, 1). Quant à la datation du manuscrit (I, 16-17), nihil novi sub sole: P. W. se rallie à la date proposée par Léopold Delisle (I, 16): «Notre manuscrit date de la première moitié du 14 e siècle, 1 P. W underli , Le Nouveau Testament de Lyon (ms. Bibliothèque de la ville A. i .54/ Palais des Arts 36), 2 vol., Tübingen/ Basel 2009-10. 2 Pour renvoyer aux livres du NT, nous conservons les abréviations de P. W. (I, 63), bien que cellesci soient inusuelles. Par ailleurs, nous employons les sigles usuels pour renvoyer à certains ouvrages de base (DAO, DOM, FEW, Lv, LvP, Rn). 3 h.-r. n üesCh , Altwaldensische Bibelübersetzung. Manuskript Nr. 8 der Bibliothèque municipale Carpentras, 2 vol., Berne 1979.