eJournals Vox Romanica 77/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
10.2357/VOX-2018-003
Es handelt sich um einen Open-Access-Artikel, der unter den Bedingungen der Lizenz CC by 4.0 veröffentlicht wurde.http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/121
2018
771 Kristol De Stefani

Anafora e coreferenza: riflessioni in prospettiva teorica

121
2018
Filippo  Pecorarihttps://orcid.org/https://orcid.org/0000-0001-5673-1863
vox7710043
Anafora e coreferenza: riflessioni in prospettiva teorica 43 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.2357/ VOX-2018-003 Anafora e coreferenza: riflessioni in prospettiva teorica Filippo Pecorari (Basilea) Filippo Pecorari https: / / orcid.org/ 0000-0001-5673-1863 Abstract: This paper deals with the notions of anaphora and coreference, with a special focus on written Italian. The aim of the paper is twofold. Firstly, it presents the various definitions of anaphora and coreference used in linguistics and zooms in on those that best apply to text linguistics. The definition of anaphora proposed in this paper focuses on the morphosyntactic features suggesting a referential dependency, whereas coreference is conceived of as a simple equivalence among referential expressions, irrespective of their referential dependency or independency. Secondly, in order to test the proposed definitions, the paper analyzes examples - mainly taken from written Italian press - where either anaphora or coreference is at stake, but not both of them. The second part of the paper will show that, among cohesive relations, there are anaphoric phenomena that do not imply coreference between two expressions, and coreferential phenomena that do not imply anaphoric dependency. The definitions proposed in the first part of the paper are useful for dealing with some controversial cases of referential cohesion, and for deciding how to categorize them with regard to the concepts of anaphora and coreference. Keywords: Anaphora, Coreference, Cohesion, Discourse referents, Text linguistics, Italian linguistics. 1. Introduzione L’anafora testuale 1 è il sintomo linguistico più importante - e più studiato - della continuità referenziale del testo. Come riconosciuto in particolare dalla linguistica 1 L’anafora testuale non è, come noto, l’unico fenomeno che gli studi umanistici colgono attraverso la denominazione di «anafora». Occorre distinguere l’anafora testuale da almeno altri due fenomeni: da un lato, l’anafora retorica, che consiste in una figura di parola caratterizzata dalla ripetizione di un costituente linguistico all’inizio di due o più segmenti di testo (cf. Mortara Garavelli 2005: 186); dall’altro, l’anafora legata (ingl. bound anaphora), che la tradizione generativista della Government and Binding Theory individua nell’impiego di pronomi riflessivi e reciproci, legati all’antecedente nella clausola che li contiene (cf. soprattutto Chomsky 1975). I due fenomeni sono profondamente diversi da quello considerato in questa sede: il primo è un fenomeno puramente formale, indipendente dalla struttura morfosintattica e dalle caratteristiche semantiche dei costituenti linguistici coinvolti; il secondo è un fenomeno che non oltrepassa i confini della frase, e dunque non apporta alcun contributo alla coesione testuale. Nel presente contributo, quando si parlerà di anafora, ci si concentrerà unicamente sull’anafora testuale in quanto dispositivo di coesione. 43 72 003 Filippo Pecorari 44 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.8357/ VOX-2018-003 testuale dell’italiano (cf. soprattutto Ferrari 2014), l’anafora è una strategia di coesione testuale che opera principalmente all’interno della dimensione referenziale, ovvero di quella dimensione organizzativa della testualità che gestisce l’instaurazione dei referenti testuali nell’universo del discorso e i collegamenti tra le espressioni che li evocano. Sul piano referenziale, l’anafora agisce da sintomo - dunque da segnale linguistico - della proprietà semantica fondamentale della continuità 2 : attraverso l’impiego di un’espressione anaforica, il locutore segnala cioè all’interprete che il referente testuale corrispondente a quell’espressione non va aggiunto ex novo all’universo del discorso, ma va recuperato dall’insieme dei referenti già resi disponibili dal testo fino a quel momento. Nei casi più comuni, tipicamente riconosciuti come paradigmatici dell’anafora tout court (cf. Conte 1981, Andorno 2003, Ferrari 2010b inter alia), l’espressione anaforica e l’antecedente rimandano allo stesso oggetto concettuale, come accade nel seguente esempio elementare di catena anaforica: (1) È stata colta da un attacco cardiaco ieri pomeriggio nella sua abitazione una 60enne di Romagnese. Il marito ha dato l’allarme alla Croce azzurra di Romagnese, che ha provveduto a trasportarla d’urgenza all’aeroporto di Rivanazzano, dove ad attenderla c’era l’elisoccorso del Niguarda di Milano, che l’ha trasferita al Policlinico S. Matteo. (La Provincia Pavese, 28.03.2013) 3 In questo esempio, la continuità (così come l’unitarietà) referenziale del testo è messa in scena dal susseguirsi di espressioni referenziali - un sintagma nominale con articolo indeterminativo, più tre pronomi atoni - che rimandano allo stesso referente testuale. Quando due o più espressioni referenziali rimandano allo stesso oggetto extralinguistico, come accade in questo esempio, il concetto che viene solitamente chiamato in causa, accanto a quello di anafora, è quello di coreferenza (almeno a partire da Conte 1981). Esempi semplici come quello appena considerato potrebbero portare a considerare l’anafora e la coreferenza come due facce della stessa medaglia: si potrebbe cioè pensare che i due concetti colgano sostanzialmente la stessa proprietà semantica - la continuità referenziale del testo -, rappresentandola da due prospettive diverse ma strettamente correlate. In realtà, i rapporti tra anafora e coreferenza sono molto più difficili da tratteggiare di quello che potrebbe sembrare a un primo sguardo, e questo per almeno due motivi. Vi sono, innanzitutto, problemi terminologici annosi che gli studi linguistici - in particolar modo quelli in lingua italiana - non hanno ancora risolto in modo convincente: tanto il concetto di anafora quanto quello di coreferenza non hanno ancora ri- 2 Si veda Ferrari 2010a per un’analisi della coerenza testuale nei termini delle tre proprietà semantiche di unitarietà, continuità e progressione, applicabili a una o più delle dimensioni organizzative del testo (referenziale, logica, enunciativa). 3 Da qui in avanti, indicherò in corsivo i costituenti coinvolti in una relazione anaforica, così come le espressioni pertinenti per l’analisi negli esempi di coreferenza. Anafora e coreferenza: riflessioni in prospettiva teorica 45 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.2357/ VOX-2018-003 cevuto una definizione sufficientemente rigorosa e condivisa dalla comunità scientifica, il che influisce - tra le altre cose - sulla comparabilità dei risultati delle ricerche; di questi concetti, inoltre, si tende spesso a dare definizioni operative, eventualmente utili alla semplificazione manualistica o ai bisogni pratici del singolo studio, ma non sempre del tutto adeguate dal punto di vista teorico. Vi sono poi problemi di sovrapposizione tra i due concetti, che però l’osservazione empirica impone di tenere distinti: se è vero che l’anafora e la coreferenza ricadono nella maggior parte dei casi sugli stessi segmenti linguistici, va altresì riconosciuto che sono molti - e non sempre di importanza marginale - i fenomeni anaforici non accompagnati dalla coreferenza, così come i fenomeni coreferenziali non accompagnati dall’anafora. Si pensi, ad esempio, a quelle anafore che comportano una relazione indiretta tra due referenti testuali (2), o, per converso, a quei legami coreferenziali determinati dalla semplice ripetizione di un nome proprio (3): (2) Ho comprato un libro per le vacanze al mare: mi ha convinto soprattutto la copertina. (3) Il libro è di Dan Brown. Dan Brown è uno dei più famosi scrittori contemporanei. Tra i lavori che hanno cercato, in anni recenti, di affrontare questi problemi per arrivare a una sistemazione teorica emerge lo studio di Colombo 2015, con cui il presente lavoro dialoga strettamente. Colombo riconosce la necessità di definire in modo chiaro e ben distinto i concetti di anafora e coreferenza, al fine di favorire un utilizzo proficuo delle due nozioni non solo negli studi scientifici, ma anche nella glottodidattica e, da ultimo, nell’insegnamento scolastico. Per raggiungere il suo obiettivo, Colombo assume tuttavia una prospettiva - per così dire - «anaforocentrica», che lo porta a prendere le mosse da una proposta di definizione dell’anafora e a sostenere, attraverso una sostanziosa verifica empirica, che «l’anafora non coreferente non costituisce qualcosa di marginale» (ivi: 102); solo in un secondo tempo, e in modo molto più sintetico, lo studioso dedica attenzione al fenomeno speculare della coreferenza non anaforica, senza proporre però una revisione critica della definizione di coreferenza parallela a quella della definizione di anafora. In questa sede, i due fenomeni al centro della trattazione saranno invece considerati in modo paritario, attraverso un approccio di tipo top-down che muoverà dalla teoria ai dati. Dapprima si prenderanno in esame i problemi terminologici e nozionali connessi alla definizione del concetto di anafora (§2) e del concetto di coreferenza (§3), con l’obiettivo di selezionare - applicando eventualmente qualche modulazione o correttivo - le definizioni di entrambi i fenomeni che si rivelano più efficaci nell’ottica della linguistica del testo. Successivamente, le definizioni prescelte saranno messe alla prova dei testi reali (§4): se ne valuterà l’adeguatezza alla luce di esempi che fanno risaltare uno dei due fenomeni sullo sfondo dell’assenza dell’altro; mi concentrerò prima su casi di anafora senza coreferenza (§4.1) e poi su casi di coreferenza senza anafora (§4.2). Dal punto di vista metodologico, la sezione empirica del presente studio si appoggerà, in primo luogo, su esempi ripresi dalla letteratura anaforica in lingua italiana, Filippo Pecorari 46 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.8357/ VOX-2018-003 eventualmente rianalizzati alla luce dei criteri definitori qui adottati; in secondo luogo, si prenderanno in considerazione esempi di scrittura giornalistica in italiano, ricavati in massima parte dall’archivio online del quotidiano La Repubblica (raggiungibile all’indirizzo http: / / ricerca.repubblica.it/ ) e in minima parte da altre fonti giornalistiche presenti in rete (lanci di agenzia, siti di informazione sportiva). La selezione delle fonti per la sezione empirica dello studio si pone nel solco delle scelte metodologiche della linguistica testuale italiana, che assume come oggetto di analisi privilegiato, in ragione della sua medietà espressiva, la scrittura funzionale contemporanea (cf. rappresentativamente Ferrari et al. 2008). 2. Definire l’anafora Le definizioni correnti dell’anafora sono numerose, e non sempre perfettamente sovrapponibili tra loro. Un primo problema di natura prettamente terminologica su cui occorre soffermarsi è quello relativo al rapporto, negli studi in lingua italiana, tra il concetto di «anafora» e quello di «espressione anaforica» 4 . Si osservino, per cominciare, le seguenti definizioni: «Per relazione anaforica si intende la relazione tra due o più espressioni linguistiche di cui l’ultima o le ultime, dette anche le espressioni anaforiche o semplicemente le anafore, sono semanticamente e/ o referenzialmente dipendenti dalla prima, detta anche l’antecedente.» (Korzen 2001: 107) «Un’anafora è un’espressione che per essere interpretata, nel senso di trovare un riferimento nel mondo del testo, richiede necessariamente un rinvio a un’espressione o a una porzione di testo precedente.» (Colombo 2015: 103) In entrambi i lavori, il concetto di «anafora» è interamente sovrapposto a quello di «espressione anaforica»: o è trattato come versione semplificata del secondo, o è inteso tout court come nozione applicabile a un singolo elemento linguistico. Se l’uso del termine «espressione anaforica» per indicare l’espressione linguistica avente valore anaforico sembra pienamente appropriato, non altrettanto si può dire dell’uso del termine «anafora» con questa stessa funzione. Questa scelta terminologica finisce per equiparare, agli occhi del lettore, due oggetti concettuali molto diversi: relazione testuale l’uno, semplice espressione linguistica l’altro. Maggiore è invece il rigore terminologico negli studi in lingua inglese: l’inglese, infatti, evita ogni ambiguità definendo anaphora la relazione tra due segmenti lingui- 4 Prescindiamo in questa sede dai problemi posti dalla nozione - solo apparentemente univoca - di «antecedente». Basti accennare ai lavori di taglio cognitivista di Cornish (1986, 1999, 2002), che distinguono tra l’antecedente, provvisto di una realtà cognitivo-concettuale, e il generatore dell’antecedente (ingl. antecedent-trigger), consistente nel segmento testuale linguisticamente esplicito che induce l’interlocutore a costruire nel proprio modello mentale l’antecedente. Anafora e coreferenza: riflessioni in prospettiva teorica 47 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.2357/ VOX-2018-003 stici e, viceversa, anaphor 5 l’espressione linguistica che richiede un rinvio al co-testo precedente, come si può osservare nel manuale di Huang 2000: «The term ‹anaphora› … is commonly used to refer to a relation between two linguistic elements, wherein the interpretation of one (called an anaphor) is in some way determined by the interpretation of the other (called an antecedent).» (Huang 2000: 1) 6 Sembra opportuno, per evitare ambiguità terminologiche, mantenere una rigida distinzione tra i due termini anche in italiano, e dunque intendere - come si farà in questo lavoro - con «anafora» la relazione testuale che comporta un rinvio intratestuale tra due espressioni linguistiche, mentre con «espressione anaforica» l’espressione linguistica che necessita di un rinvio al co-testo precedente per essere fissata. Un problema, ancora più spinoso, che le definizioni dell’anafora pongono frequentemente - problema che è stato opportunamente segnalato da Colombo 2015 - concerne l’eccessiva larghezza con cui il fenomeno è definito. Questo problema appare soprattutto, ma non solo, in definizioni come quella di Huang 2000 appena considerata 7 : dire che vi è anafora ogni qual volta l’interpretazione di un elemento linguistico richiede l’interpretazione di un altro elemento, senza precisare quale meccanismo linguistico-testuale soggiace a questa dipendenza, potrebbe portare a ricomprendere nei confini della definizione - anche, fatalmente, al di là delle scelte teoriche di chi la produce - fenomeni che non coinvolgono la coesione testuale, per come essa è definita comunemente dai lavori di taglio testualista (cf. ad es. Ferrari 2010c). Per esempio, come osserva van Deemter 1992, anche un processo che non produce alcuna coesione tra un enunciato e l’altro come la disambiguazione contestuale del significato di lessemi omonimi passa necessariamente attraverso l’interpretazione degli elementi linguistici del co-testo. Si vedano i seguenti esempi, in cui il significato del lessema tasso può essere ricavato soltanto in seguito all’interpretazione complessiva dell’enunciato in cui il lessema compare: (4) Ad aprile il tasso di disoccupazione è sceso all’11,1%, il dato più basso dal 2012 … (La Repubblica, 01.06.2017) (5) Volevo scoprire … quale percezione ha di un bosco un tasso, così ho vissuto dentro un buco in una collina del Galles … (La Repubblica, 18.06.2017) Non sembra che il problema possa essere evitato semplicemente aggiungendo una precisazione sulla posizione dell’antecedente rispetto all’espressione anaforica: in [5] 5 Termine risalente a Edes 1968. 6 Lo stesso rigore terminologico si può riscontrare, a ben vedere, negli approcci generativisti all’anafora, in cui la teoria restringe il campo dell’anafora alle sole espressioni riflessive e reciproche, mantenendo comunque una distinzione netta tra anaphora e anaphor. Il confronto tra approcci funzionalisti e generativisti fa emergere, naturalmente, differenze interne agli studi anglofoni su cosa si intende con anaphora: ma si tratta di differenze dovute alle diverse concezioni teoriche di partenza, e non a lassismo terminologico. 7 Definizione assunta peraltro come punto di riferimento da uno dei principali manuali italiani di linguistica del testo, Andorno 2003. Filippo Pecorari 48 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.8357/ VOX-2018-003 il co-testo precedente del lessema tasso è più che sufficiente per assegnare ad esso la corretta interpretazione semantica, e tuttavia non può certo essere interpretato come antecedente di una relazione anaforica. D’altra parte, nemmeno definizioni che chiamino in causa il tipo di interpretazione richiesta dall’anafora (cf. di nuovo Korzen 2001: «espressioni … semanticamente e/ o referenzialmente dipendenti» 8 ) appaiono del tutto adeguate a cogliere in modo immediato la specificità delle strategie anaforiche. Infatti, la congiunzione e/ o - se non modulata da precisazioni correttive - lascia aperta la possibilità che la dipendenza tra espressione anaforica e antecedente sia esclusivamente semantica, come in effetti accade anche nei casi di disambiguazione appena considerati. Questo problema è dovuto al fatto che la dipendenza semantica in quanto tale non è necessariamente correlata alla coesione inter-enunciativa. Le definizioni che parlano di interpretazione in senso lato o che chiamano in causa il concetto di dipendenza semantica sembrano dunque troppo comprensive per poter essere accolte come definizione generale dell’anafora. Non sembrano però adeguate nemmeno le definizioni che espungono il richiamo alla dipendenza semantica e si concentrano esclusivamente su quella referenziale, come accade ad esempio in Colombo 2015. Si osservi nuovamente la definizione proposta dallo studioso: «Un’anafora è un’espressione che per essere interpretata, nel senso di trovare un riferimento nel mondo del testo, richiede necessariamente un rinvio a un’espressione o a una porzione di testo precedente.» (Colombo 2015: 103) Dire che l’espressione anaforica richiede un rinvio per «trovare un riferimento nel mondo del testo» comporta una restrizione della definizione di anafora ai soli casi in cui l’espressione anaforica esercita un riferimento; stando a questa definizione, non si avrebbe dunque anafora nei casi di impiego del predicato generico farlo 9 , espressione predicativa e non referenziale, né - a quanto sembra - nei casi in cui un’espressione anaforica nominale non è referenziale (cf. infra per esempi di entrambi i tipi di anafora): non si capisce infatti in che senso un’espressione che non esercita alcun riferimento potrebbe «trovare un riferimento» attraverso il rinvio al proprio antecedente. Sembra tuttavia che queste relazioni testuali abbiano molto in comune con i casi paradigmatici di anafora, nella misura in cui esse producono coesione a cavallo tra due enunciati tramite la dipendenza interpretativa di un’espressione da un’altra espressione. 8 Cf. anche la definizione oggetto di critica da parte di van Deemter 1992: «Anaphora is the special case of cohesion where the meaning (sense and/ or reference) of one item in a cohesive relationship (the anaphor) is, in isolation, somehow vague or incomplete, and can only be properly interpreted by considering the meanings of the other item(s) in the relationship (the antecedent(s))» (Carter 1987). 9 Questa limitazione è riconosciuta dallo stesso Colombo, che precisa come «questo abbozzo di definizione consideri solo l’anafora nominale» (Colombo 2015: 103 N4). Bisogna tuttavia riconoscere che una tale limitazione inficia a priori il tentativo definitorio e assegna ad esso una scarsa forza predittiva. Anafora e coreferenza: riflessioni in prospettiva teorica 49 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.2357/ VOX-2018-003 Alla luce dei punti critici evidenziati, occorre, a mio parere, porre in primo piano nella definizione dell’anafora l’unico criterio che consente di distinguerla dagli altri fenomeni semantici di interpretazione mediata di un’espressione linguistica: la stretta relazione tra la struttura morfosintattica dell’espressione anaforica e la dipendenza interpretativa che essa manifesta verso il contenuto di un’espressione precedente. L’anafora sussiste soltanto quando un’espressione del testo codifica nella propria struttura morfosintattica una dipendenza interpretativa, attraverso marche di dipendenza come, ad esempio, l’articolo determinativo, il pronome personale di terza persona o il pronome dimostrativo 10 . Naturalmente, la dipendenza segnalata da elementi determinativi, personali e dimostrativi può trovare risoluzione anche nel contesto situazionale o enciclopedico, il che determina una relazione deittica o un caso di referenza generica; questo accade, rispettivamente, nei due frammenti che seguono: (6) «La croce sull’avambraccio sinistro è per proteggermi. L’angelo sull’ombelico per ricordare tutti i parenti che se ne sono andati e che mi guidano da lassù. E questo» dice indicando un intricato disegno che le adorna il bicipite palestrato «è il simbolo di appartenenza e di fedeltà a una tribù, quella delle Spice Girls». (La Repubblica, 24.10.1999) 11 (7) La Luna è l’unico satellite della Terra. (it.wikipedia.org, s.v. Luna) L’anafora sarà invece caratterizzata dal fatto che l’espressione morfosintatticamente marcata come definita e identificabile risolve la propria dipendenza attraverso un rinvio al co-testo che la precede. Introdurre esplicitamente il criterio morfosintattico nella definizione dell’anafora permette, innanzitutto, di escludere a priori e in modo esplicito dal novero delle espressioni anaforiche i sintagmi con articolo indeterminativo: l’articolo indeterminativo, infatti, non codifica dipendenza ma - al contrario - autonomia interpretativa, e serve dunque a instaurare e attivare un referente testuale nell’universo del discorso in fieri 12 . La precisazione circa la marcatezza morfosintattica dell’espressione anaforica consente inoltre di recuperare e vedere in una luce diversa l’osservazione, presente nella definizione di Korzen 2001, sulla dipendenza semantica e/ o referenziale tra espressione anaforica e antecedente. Tale dipendenza - una volta esclusi i casi non testual- 10 È utile, per una comprensione più esaustiva di questo aspetto, una rassegna dei tipi linguistici di espressioni anaforiche come quelle in Palermo 2013: 80-97 e in Ferrari 2014: 186-201. Si consideri, peraltro, la vasta bibliografia cognitivista che si occupa della relazione tra marcatezza linguistica delle espressioni anaforiche e accessibilità dei referenti testuali: cf. soprattutto Givón 1976 e 1983, ma anche Korzen 2001 e 2006. 11 L’interpretazione deittica del dimostrativo questo riguarda il contesto orale originario di enunciazione delle parole del locutore. Per il testo scritto in cui queste parole sono riprodotte con la modalità del discorso diretto, si potrebbe forse invocare una spiegazione cataforica. 12 Si vedano però eccezioni motivate nei fenomeni di tipo incapsulativo esaminati in Pecorari 2017: 139-44. Filippo Pecorari 50 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.8357/ VOX-2018-003 mente coesivi - si disegna in modo diverso proprio in funzione del formato morfosintattico dell’espressione anaforica, lasciando aperte tre possibilità: a) una dipendenza soltanto referenziale, quando il sostituto è un sintagma nominale pieno coreferente con l’antecedente: in questo caso, la classe semantico-lessicale a cui appartiene il referente testuale è esplicitata dalla testa sintattica nominale dell’espressione anaforica, e il rinvio anaforico serve solo a definire il legame referenziale tra il sintagma e lo specifico oggetto extralinguistico che esso designa; b) una dipendenza semantica e referenziale, quando il sostituto è un pronome o una forma zero (e.g. soggetto sottinteso), perché in questi casi l’antecedente assegna all’espressione anaforica non solo un referente testuale, ma anche una classe semantico-lessicale; c) una dipendenza soltanto semantica, quando l’espressione anaforica non produce un atto di riferimento (ma, ad esempio, di predicazione, come nel caso del predicato generico farlo), e dunque non può a fortiori recuperare alcuna referenza dal legame con l’antecedente. In definitiva, possiamo proporre, alla luce delle riflessioni portate avanti finora, la seguente definizione di anafora, che integra la distinzione esplicita tra relazione ed espressione linguistica e l’indicazione della pertinenza del livello morfosintattico per la definizione del fenomeno: L’anafora consiste nella relazione testuale tra due espressioni linguistiche che si ha quando un’espressione, detta espressione anaforica, codifica nella propria struttura morfosintattica una dipendenza semantica e/ o referenziale, e questa dipendenza richiede di essere risolta attraverso il rinvio a un’espressione linearmente precedente, detta antecedente. Una tale definizione, oltre ad assegnare rilievo al formato morfosintattico dell’espressione anaforica, esclude che si possa parlare di anafora nei casi in cui un’espressione sia in grado di esercitare autonomamente la propria referenza, ponendo così le basi per una distinzione chiara tra i concetti di anafora e coreferenza. In §4.2 saranno riportati numerosi esempi di coreferenza senza anafora, caratterizzati dalla presenza di due espressioni che rinviano in maniera autonoma allo stesso referente extralinguistico. Per il momento, basterà invece menzionare un esempio di passaggio dalla referenza specifica alla referenza generica, che non rientra all’interno dei confini del fenomeno anaforico per come è appena stato definito: (8) «Addio pover’uomo» rispose il colombre. E sprofondò nelle acque nere per sempre. … Il colombre è un pesce di grandi dimensioni, spaventoso a vedersi, estremamente raro. (Dino Buzzati, Il colombre, in Id., La boutique del mistero, Milano 1988: 171-76; es. tratto da Conte 1999 [1996a]: 102-03) Conte commenta opportunamente questo testo come esempio di discontinuità referenziale, caratterizzato dallo «slittamento dal riferimento ad un individuo specifico al riferimento a tutta una classe» (Conte 1999 [1996a]: 103). Secondo la definizione appena fornita, questo esempio non mette in gioco un fenomeno anaforico (diversamente da quanto sostiene Colombo 2015: 105): la seconda occorrenza del sintagma il colombre è del tutto autonoma nell’esercitare il proprio riferimento alla categoria Anafora e coreferenza: riflessioni in prospettiva teorica 51 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.2357/ VOX-2018-003 denotata dal nome, e l’enunciato che la contiene può essere interpretato anche in assenza del co-testo precedente. In questo caso, dunque, la coesione prende le forme di una semplice continuità di significato, rafforzata dalla ripetizione del medesimo lessema nominale, ma senza alcuna dipendenza interpretativa dal co-testo, e dunque senza alcuna relazione anaforica soggiacente (cf. per questa analisi anche Korzen 1996: 115) 13 . 3. Definire la coreferenza Colombo 2015: 102 N2, per approcciarsi al concetto di coreferenza, si limita a rivendicare la propria adesione alla definizione di «riferimento» proposta da Marello 1979: 150 («il rapporto tra un’espressione e il suo oggetto, cioè la relazione tra un’entità linguistica ed una extralinguistica») e a precisare che «questo non implica nessuna assunzione circa la ‹realtà› dell’entità extralinguistica al di fuori del mondo del testo». A ben vedere, se si sottopone la letteratura linguistica (testualista, ma non solo) a una ricognizione ad ampio raggio dei diversi approcci alla coreferenza, si può osservare una ricchezza insospettabile di posizioni teoriche sulla nozione. Negli studi si osservano almeno tre definizioni distinte di coreferenza, che possono essere classificate sulla base dell’ampiezza estensionale dei fenomeni che colgono: le tre concezioni saranno qui definite come radicalmente ristretta, radicalmente ampia e moderatamente ristretta. 3.1. Una concezione radicalmente ristretta della coreferenza è quella difesa da Iørn Korzen 1996 14 in un volume dedicato all’articolo italiano. La concezione ristretta che Korzen adotta per la nozione di coreferenza emana da una concezione altrettanto ristretta del concetto di referenza: secondo lo studioso, la referenza consiste nel «legame diretto tra espressione linguistica ed entità extralinguistica, entità di un mondo (reale o immaginario)» (ivi: 60). Ha un valore decisivo in questa definizione la qualifica di «diretto»: la referenza si ha soltanto quando un sintagma nominale realizza direttamente l’ancoraggio del testo in un mondo extralinguistico, senza passare per 13 Ci si può chiedere se la relazione anaforica sussisterebbe nel caso inverso, ovvero al passaggio da un riferimento generico a un riferimento specifico. La risposta è affermativa, ma sembra limitata a casi di anafora pronominale come il seguente: (a) Secondo me, la barba è passata di moda. Infatti me la sono tolta un po’ di tempo fa. (es. tratto da Korzen 2009: 314) Se la seconda espressione fosse nominale, sarebbe più naturale, in un contesto simile, l’uso dell’articolo indeterminativo, segnale dell’introduzione di un referente testuale nuovo, che esclude l’interpretazione anaforica: (b) Il colombre è un pesce di grandi dimensioni. Ho visto un colombre tra le acque dell’oceano. 14 Ma si vedano anche le considerazioni in larga parte analoghe espresse, in ambito francofono, da Corblin 1995. Filippo Pecorari 52 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.8357/ VOX-2018-003 alcun legame con altre espressioni linguistiche presenti nel testo. La referenza, in questa prospettiva, è dunque una relazione rigidamente esoforica 15 , che connette senza alcuna mediazione un’espressione linguistica e un’entità extralinguistica. Nessuna compatibilità è dunque ammessa tra la referenza e l’anafora: se un’espressione linguistica esercita referenza verso un’entità extralinguistica, lo fa necessariamente in modo autonomo, senza passare attraverso una relazione co-testuale con un’altra espressione linguistica; quando questo accade, la relazione che l’espressione anaforica intrattiene con il mondo extralinguistico risulta concettualmente diversa dalla referenza. Questa visione radicale della referenza determina una concezione analoga della coreferenza: la coreferenza è intesa come «[il] caso in cui due o più espressioni nominali esprimono referenza allo stesso referente extralinguistico» (ivi: 134), e dunque non dipendono l’una dall’altra per l’ancoraggio referenziale. Anafora e coreferenza sono quindi, nella prospettiva di Korzen 1996, due fenomeni rigorosamente distinti e senza intersezioni: si può parlare di coreferenza soltanto quando due espressioni linguistiche attuano, in modo parallelo e indipendente, una referenza allo stesso oggetto extralinguistico. I tratti essenziali della proposta radicale avanzata da Korzen 1996 possono essere riassunti in questi termini: se tra due espressioni linguistiche vi è una relazione anaforica, non può esservi una relazione coreferenziale, perché il legame dell’espressione anaforica con il proprio referente testuale è mediato da un rimando linguistico interno al testo; viceversa, se vi è coreferenza, non può esservi anafora, perché la coreferenza comporta l’indipendenza referenziale delle espressioni coinvolte, cosa che nell’anafora non si dà. 3.2. Una concezione radicalmente ampia della coreferenza, agli antipodi rispetto a quella appena presentata, è proposta dai lavori anglofoni che, nel quadro di un approccio computazionalista, fanno uso della nozione di event coreference (cf. Humphreys et al. 1997, Chen et al. 2009, Bejan/ Harabagiu 2014, O’Gorman et al. 2016). Il concetto di «coreferenza eventiva», per come è inteso da questi studi, non tiene conto del formato morfosintattico dell’espressione linguistica denotante un evento: un legame di coreferenza eventiva può coinvolgere tanto sintagmi nominali quanto sintagmi verbali o intere frasi, in combinazione libera tra loro. Anche in questo caso, l’ampiezza estensionale del concetto di coreferenza dipende in modo diretto da quella del concetto di referenza: gli studi computazionali non limitano la possibilità di esercitare una referenza ai soli sintagmi nominali, ma la estendono a qualunque categoria morfosintattica. Si osservi a questo proposito il seguente esempio: (9) A powerful bomb tore through a waiting shed at the Davao City international airport. The waiting shed literally exploded. (es. tratto da Chen et al. 2009) 15 Si veda lo studio classico di Halliday/ Hasan 1976 per la distinzione tra relazioni endoforiche ed esoforiche. Anafora e coreferenza: riflessioni in prospettiva teorica 53 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.2357/ VOX-2018-003 Secondo gli studiosi che riportano questo esempio, la nozione di coreferenza può essere applicata ai due enunciati (definiti event mentions) in cui il testo si articola, i quali designano lo stesso evento (e condividono un argomento: a/ the waiting shed): il primo enunciato è dunque interpretato come connesso da una relazione di coreferenza eventiva con il secondo enunciato. La nozione di referenza che emerge da queste considerazioni è notevolmente più ampia rispetto alle tradizionali definizioni accolte dalla linguistica testuale: se la possibilità di esercitare una referenza (cf. sia §3.1 che §3.3) è solitamente limitata dai testualisti ai sintagmi nominali che rimandano a un’entità extralinguistica e la considerano come un oggetto del discorso 16 , nella prospettiva computazionalista ogni espressione linguistica, indipendentemente dalla sua categoria morfosintattica di appartenenza, può esercitare referenza. Una concezione della coreferenza come quella appena illustrata è strettamente legata - come d’altra parte è naturale che sia - all’orizzonte epistemologico dei lavori citati, che si muovono, come detto, in una prospettiva computazionalista: l’obiettivo della teoria, in questi studi, non è descrittivo-esplicativo (come nel caso della linguistica del testo), ma applicativo, perché essa ha il compito di sostenere in modo operativamente efficace l’elaborazione automatica di dati linguistici. Più in particolare, lo scopo di questi lavori è da identificare nella cosiddetta event coreference resolution, che consiste in «grouping together the text expressions that refer to real-world events … into a set of clusters such that all the mentions from the same cluster correspond to a unique event» (Bejan/ Harabagiu 2014: 312). Alla luce di un tale obiettivo di ricerca, eminentemente pratico, è comprensibile perché i lavori citati non abbiano grande interesse per le sottigliezze teoriche del concetto di referenza e puntino piuttosto a elaborare definizioni che abbiano un’immediata ricaduta pratica sull’attività di annotazione: l’importante non è distinguere le diverse operazioni pragmatiche compiute nel testo dai nomi e dai verbi, ma raggruppare tutte le espressioni che rinviano allo stesso stato di cose, indipendentemente dalla modalità del rinvio. 3.3. La maggior parte degli studi, italofoni e non, che si muovono in una prospettiva testualista (cf. ad esempio Apothéloz 1995a, Cornish 1999, Ferrari et al. 2008), così come i manuali più accreditati di linguistica testuale (cf. Andorno 2003, Adam 2011, Palermo 2013, Ferrari 2014), adottano una concezione di coreferenza che può essere definita come moderatamente ristretta. Questa concezione prevede (contra Korzen 1996) che la coreferenza non sia limitata a espressioni linguistiche che esercitano la referenza in maniera indipendente, e sia pertanto pienamente compatibile con l’anafora; d’altra parte (contra l’approccio computazionalista), le espressioni linguistiche sintatticamente non nominali - così come i sintagmi nominali con funzione predicativa - non sono ritenute in grado di esercitare una referenza, il che impedisce a priori 16 Le radici filosofiche di questa concezione della referenza, praticata da una vastissima bibliografia, risalgono a Searle 1969, che suddivide l’atto linguistico in tre parti - atto enunciativo, atto proposizionale, atto illocutivo - e vede l’atto referenziale come una delle due componenti dell’atto proposizionale, assieme all’atto predicativo. Filippo Pecorari 54 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.8357/ VOX-2018-003 di parlare di coreferenza quando uno dei termini in gioco non abbia formato morfosintattico nominale. La nozione in esame trova un punto di riferimento esemplare nei lavori di Maria- Elisabeth Conte sull’anafora. In primo luogo, l’anafora è vista dalla studiosa come conciliabile con la coreferenza, e anzi «l’anafora coreferenziale … è [vista come] la forma principale di anafora» (Conte 1999 [1981]: 19 N19) 17 . Non solo: l’anafora stessa - nel suo caso paradigmatico - consiste in «un atto di riferimento» (ivi: 19), che consente al parlante di «[fare] riferimento ad un referente al quale egli, nel suo discorso, ha già fatto riferimento con un’espressione antecedente» (ibidem). Le due nozioni non sono dunque mutuamente esclusive: si può avere - e anzi si ha tipicamente - nei testi la coesistenza di anafora e coreferenza tra le stesse espressioni linguistiche; ciò non esclude, tuttavia, la possibilità di osservare casi non marginali di anafore che non sono basate su una relazione di coreferenza. I due concetti hanno caratteristiche diverse: l’anafora è una relazione che prevede un rapporto asimmetrico tra due espressioni linguistiche, perché richiede che un termine dipenda da un altro per determinare la propria referenza e/ o classe semanticolessicale di appartenenza; la coreferenza è invece una relazione paritaria tra due espressioni, la quale può manifestarsi congiuntamente all’anafora oppure in modo autonomo. 3.4. Fra le tre appena presentate, la concezione moderatamente ristretta della coreferenza, oltre a essere la più diffusa negli studi di linguistica testuale, è anche la più convincente, come ora si cercherà di argomentare ex negativo esaminando i principali aspetti critici degli approcci alternativi. Si comincino a considerare i principali punti deboli che la concezione radicalmente ampia dimostra sul versante teorico. In primo luogo, una visione così ampia della coreferenza, che non tiene conto delle caratteristiche linguistico-pragmatiche delle espressioni che compongono il testo, finisce per non riconoscere i ruoli completamente diversi del riferimento e della predicazione nella comunicazione testuale. Se in una prospettiva computazionalista questa differenza può non risultare sempre rilevante, in una prospettiva testualista essa non ammette di essere annullata: gli atti di riferimento consentono al locutore di instaurare un’entità del mondo come referente testuale, mentre gli atti di predicazione servono ad assegnare proprietà ai referenti testuali o a metterli in relazione tra loro. Una concezione troppo ampia della (co)referenza rischia di inficiare pesantemente la capacità euristica della teoria testuale, che ad esempio non sarebbe più in grado di distinguere, attraverso lo strumento concettuale in esame, tra stati di cose introdotti nel testo tramite una predicazione verbale ([Mario] è arrivato) 17 Si veda anche Conte 1999 [1980]: 30: «il principale (anche se non unico) mezzo della coerenza testuale è quella ripresa anaforica (quel riferimento anaforico) che si basa sulla coreferenza di due espressioni linguistiche, ossia su un rapporto di identità referenziale (rapporto di identità della Bedeutung nel senso di Gottlob Frege) tra un antecedente ed un pronome». E ancora Conte 2010 [1991]: 154, secondo cui la coreferenza è «il caso paradigmatico dell’anaforicità, l’anafora per antonomasia». Anafora e coreferenza: riflessioni in prospettiva teorica 55 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.2357/ VOX-2018-003 oppure instaurati come oggetto del discorso tramite un sintagma nominale referenziale (l’arrivo [di Mario]). In alcuni casi, inoltre, l’allargamento nozionale riservato dagli studi computazionalisti alla coreferenza si spinge addirittura nel terreno dell’anafora, applicando a quest’ultima una definizione che non tiene conto in alcun modo della dipendenza referenziale e/ o semantica dell’espressione anaforica. Ad esempio, Humphreys et al. 1997: 76 osservano che le entità di secondo ordine (eventi, azioni, ecc.) possono essere designate nel testo da numerose forme linguistiche, di tipo verbale e nominale, e ne deducono che «when there are multiple references to the same event, antecedent and anaphor appear to be able to adopt all combinations of these forms»: in buona sostanza, sarebbe possibile secondo gli studiosi avere un’anafora con, poniamo, un antecedente nominale e un’espressione anaforica verbale, senza che l’espressione anaforica marchi in alcun modo nella propria struttura morfosintattica la dipendenza interpretativa dall’antecedente. Coreferenza e anafora finiscono così per sovrapporsi completamente, e in modo indipendente dall’effettiva capacità referenziale delle espressioni coinvolte. Questa mossa terminologica, in modo piuttosto infelice, disconosce la peculiarità di quelle forme nominali che segnalano tramite la morfosintassi la loro dipendenza referenziale, la quale richiede di essere colmata mediante un rinvio anaforico al co-testo. Quanto alla concezione radicalmente ristretta di coreferenza, occorre riconoscere che essa coglie un punto teorico di grande importanza: il legame intratestuale che si stabilisce tra espressioni referenziali indipendenti non ha, in effetti, le stesse caratteristiche di quello che si stabilisce tra un’espressione anaforica e il suo antecedente. È condivisibile che non si possa parlare di anafora quando un legame intratestuale coinvolge unicamente nomi propri o sintagmi nominali a referente unico, nonostante questi legami siano portatori di continuità referenziale tanto quanto i legami anaforici, perché in quei casi viene a mancare il tratto fondamentale della dipendenza interpretativa. Sembra invece meno condivisibile la proposta di interpretare tutti i casi di anafora come anafore senza coreferenza, indipendentemente dalle proprietà morfosintattiche delle espressioni coinvolte. È senz’altro vero che, come sostiene Korzen 1996: 114, «l’ancoraggio del testo nel mondo … non è uguale in antecedente ed espressione anaforica», perché nel secondo caso si deve passare obbligatoriamente per un rinvio interno al testo. Tuttavia, una nozione di coreferenza come quella difesa dallo studioso non sembra cogliere appieno la specificità testuale di alcuni fenomeni: si pensi, in particolare, a una strategia coesiva come l’incapsulazione anaforica (sulla quale tornerò in §4.1), che comporta l’instaurazione di un nuovo referente testuale a partire dal rinvio a una porzione testuale complessa, minimalmente corrispondente a una clausola sintattica. Se ne osservi, per il momento, un semplice esempio: (10) Giovane fornaio ha entrambe le mani amputate dall’impastatrice. L’infortunio è avvenuto a Padova, nella forneria X. (es. tratto da D’Addio Colosimo 1988: 143) Il sintagma nominale l’infortunio, in questo esempio, funge da incapsulatore perché produce un rinvio al contenuto dell’intera frase precedente (Giovane fornaio ha en- Filippo Pecorari 56 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.8357/ VOX-2018-003 trambe le mani amputate dall’impastatrice), racchiudendolo per l’appunto in una «capsula» nominale avente funzione referenziale. L’apporto di questa strategia anaforica alla dimensione referenziale del testo è sostanzialmente diverso rispetto a quello delle anafore nominali prototipiche: se l’anafora mette solitamente in scena la continuità - e, eventualmente, l’unitarietà - della coerenza del piano referenziale, l’incapsulazione agisce anche in termini di progressione, perché introduce nel testo un nuovo oggetto concettuale sul quale è possibile, da quel momento in avanti, predicare nuova informazione. L’adozione di un modello della coreferenza come quello di Korzen 1996 produrrebbe come conseguenza la dissoluzione delle specificità referenziali dell’incapsulazione all’interno del vasto insieme dei fenomeni anaforici, tutti considerati indistintamente come non coreferenziali. Una volta valutate le criticità manifestate dalle due concezioni radicali della coreferenza, si può dunque arrivare a una definizione del fenomeno basata sulla concezione moderatamente ristretta: La coreferenza consiste nella relazione tra due o più espressioni linguistiche referenziali (sintatticamente corrispondenti a sintagmi nominali) che, all’interno dell’universo di discorso creato dal testo, designano lo stesso referente testuale. Una tale, minimale, definizione lascia aperta la possibilità che la coreferenza coesista con l’anafora - ovvero, che la seconda espressione fissi il proprio riferimento attraverso un rinvio alla prima -, ma ammette anche che ciò possa non verificarsi. Questo perché la coreferenza è definita come una semplice identità di riferimento tra due espressioni referenziali, indipendente dal meccanismo di ancoraggio al mondo extralinguistico che le espressioni mettono in gioco: il fatto che le due espressioni esercitino il proprio riferimento in modo autonomo l’una dall’altra, o che una delle due passi attraverso il riferimento dell’altra, non è pertinente alla definizione del fenomeno. Un’efficace sintesi contrastiva delle proprietà dell’anafora e della coreferenza, alla quale ci si può utilmente rifare a conclusione di questo percorso, è quella fornita dagli studi - di approccio molto diverso, e presumibilmente indipendenti l’uno dall’altro - di Milner 1982: 32 e van Deemter/ Kibble 2000: 630. L’anafora e la coreferenza possono essere confrontate sulla base del concetto matematico di relazione di equivalenza, definito come associazione delle proprietà di riflessività, simmetria e transitività. Tra le due relazioni che ho esaminato, solo la coreferenza è una relazione di equivalenza, perché consiste per l’appunto in una relazione riflessiva (un’espressione x è sempre coreferente con sé stessa), simmetrica (se x è coreferente con y, allora y è coreferente con x) e transitiva (se x è coreferente con y e y è coreferente con z, allora x è coreferente con z); l’anafora, viceversa, è una relazione irriflessiva (un’espressione x non è mai anaforica di sé stessa), asimmetrica (se x è anaforico di y, allora y non può essere anaforico di x) e - anche se con qualche distinguo in più 18 - intransitiva 18 La visione dell’anafora come relazione intransitiva discende dalla concezione dell’universo del discorso come modello mentale - di natura concettuale più che strettamente linguistica - che raccoglie le informazioni condivise dai partecipanti al discorso. Si vedano le considerazioni di Anafora e coreferenza: riflessioni in prospettiva teorica 57 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.2357/ VOX-2018-003 (se x è anaforico di y e y è anaforico di z, allora x non intrattiene una relazione anaforica diretta con z) 19 . 4. Anafore senza coreferenza, coreferenze senza anafora Le differenze sostanziali tra l’anafora e la coreferenza possono essere còlte nel modo più efficace alla luce di una batteria di esempi notevoli, ai quali solo una delle due nozioni è applicabile. In questo modo, sarà possibile verificare la tenuta delle definizioni prodotte in §2 e §3, osservando la rilevanza dei diversi tipi di connessione che un’espressione linguistica può intrattenere con elementi del co-testo: da un lato, la dipendenza semantica e/ o referenziale che contraddistingue l’anafora in tutte le sue molteplici manifestazioni; dall’altro, il legame coesivo costruito da una coreferenza senza anafora, che collega due espressioni indipendenti nell’esercitare la propria referenza. Questi esempi consentono inoltre di confermare e precisare le ipotesi sulla complessità intrinseca dei collegamenti che riguardano la dimensione referenziale del testo (cf. soprattutto Ferrari 2014: 179-231). I dispositivi di coesione che agiscono sul piano referenziale coinvolgono, di fatto, molte altre componenti delle espressioni linguistiche (significato, forma, valori enciclopedici associati, ecc.) oltre a quella strettamente referenziale: l’anafora che collega due espressioni coreferenziali è dunque una strategia di coesione che, per quanto prototipica e quantitativamente pervasiva, lascia spazio sistematicamente a fenomeni che chiamano in causa meccanismi semantico-referenziali parzialmente o interamente diversi. 4.1. Anafore senza coreferenza Si ha un’anafora non accompagnata da coreferenza ogni qual volta due espressioni connesse da una relazione anaforica non rimandano allo stesso oggetto del mondo extralinguistico. Per avere un’anafora senza coreferenza, è sufficiente che almeno uno dei due elementi coinvolti nell’anafora non eserciti un atto di riferimento; ma può Brown/ Yule 1986 [1983]: 257 (corsivo nel testo) in merito alle catene anaforiche: «è … improbabile che ogni volta dobbiamo risalire la catena anaforica fino all’espressione originaria, per essere in grado di raggiungere la referenza. … appare più probabile che chi decodifica stabilisca un referente nella sua rappresentazione mentale del discorso e metta in relazione i riferimenti successivi a quel referente con la sua rappresentazione mentale, piuttosto che all’espressione verbale originaria dentro il testo». 19 Alcuni studi (cf. ad esempio Ferrari 2014: 208, Pecorari 2017: 36-39) applicano la distinzione teorica tra anafora e coreferenza anche alla successione nel testo di più espressioni referenziali correlate, e parlano dunque di catene anaforiche vs catene coreferenziali, sulla scia della proposta di Chastain 1975. Filippo Pecorari 58 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.8357/ VOX-2018-003 anche darsi il caso in cui, pur in presenza di due espressioni pienamente referenziali, il riferimento di ciascuna non si dirige verso lo stesso referente testuale. 4.1.1. Il caso più chiaro di anafora senza coreferenza è offerto da quelle relazioni che coinvolgono espressioni linguistiche di natura verbale, e dunque impossibilitate a priori a esercitare la funzione referenziale. L’italiano ammette anafore verbali realizzate da due predicati generici: il predicato farlo, specializzato nella ripresa di predicati verbali di azione, e il predicato esserlo, che rinvia invece a predicati nominali. Si osservino due esempi: (11) Ma anche la Moratti ha danneggiato Berlusconi. Lo ha fatto con la falsa accusa a Pisapia di furto d’auto. (La Repubblica, 18.05.2011) (12) Secondo lei [Renzi] è un leader? [A. Occhetto: ] «Certo che lo è». (La Repubblica, 14.10.2014) Come argomenta Prandi 2004: 463 N310 a proposito del predicato generico farlo, il pronome non è in grado di rinviare autonomamente al predicato antecedente, perché è un’espressione satura (cioè un’espressione che può assolvere i suoi compiti elettivi senza l’ausilio di altre espressioni: cf. ivi: 124-25), mentre il predicato è un’espressione insatura, che richiede di essere completata sull’asse sintagmatico da un sintagma nominale soggetto. Si può dunque ritenere che il predicato farlo abbia un valore anaforico nel suo complesso, e non limitato al pronome atono; la stessa analisi, per analogia, può essere applicata al predicato esserlo. A queste forme si possono assimilare alcune riformulazioni funzionalmente equivalenti, comprendenti un avverbio pronominale o un sintagma nominale pieno, come accade - rispettivamente - nei seguenti esempi: (13) E adesso Mengoli, dopo aver disertato l’istruttoria pubblica sul welfare definendola «un’occasione sprecata», rinnova le sue critiche al commissario Cancellieri, che ha mandato i vigili a sequestrare stracci e secchielli e a multare chi presidia gli incroci. «Sono stupefatto - attacca - La Cancellieri sostiene di aver agito così per difendere i più deboli.» (La Repubblica, 25.09.2010) (14) Altri appartenenti all’associazione ambientalista hanno scritto sulla fiancata della nave «balene finite». «Abbiamo deciso di compiere questa azione - spiega Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare per Greenpeace - perché le balene se ne stanno andando mentre il degrado dell’area aumenta.» (La Repubblica, 17.03.2010) Anche queste espressioni (cf. in merito Mortara Garavelli 1979: 46-47) mantengono valore anaforico soltanto in connessione con il verbo fare: ciò che le forme, nel loro complesso, sostituiscono anaforicamente è sempre il predicato dell’enunciato a cui si ricollegano. 4.1.2. Se ci si trasferisce sul versante dell’anafora nominale, il caso di anafora non coreferenziale che ha ricevuto maggiore attenzione dagli studi è quello della cosiddet- Anafora e coreferenza: riflessioni in prospettiva teorica 59 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.2357/ VOX-2018-003 ta anafora associativa 20 (cf. Korzen 2003, 2009, Ježek/ Pecorari 2014 e, per una sistemazione monografica relativa al francese, Kleiber 2001). L’anafora associativa consente al locutore di instaurare un referente testuale nuovo attraverso un’espressione referenziale definita, tipicamente con l’articolo determinativo; la referenza di questa espressione può essere fissata soltanto attraverso la ricostruzione di una relazione semantica o pragmatica che essa intrattiene con un’espressione o porzione di testo precedente. Nei casi paradigmatici, l’anafora associativa coinvolge due espressioni referenziali, che però non sono coreferenti tra loro, dato che il legame anaforico è basato su una connessione indiretta. Lo si può osservare nel seguente esempio, che presenta due anafore associative fondate, rispettivamente, su una relazione oggetto-funzione (autobus-autista) e su una relazione parte-tutto (autobus-volante): (15) Sull’autobus Marsala-Palermo, poco dopo la galleria di Segesta, ha iniziato a urlare: «Voglio morire». E si è lanciato sull’autista, tentando di girare il volante. Momenti di paura per il gesto improvviso di un sudanese che fa il bracciante agricolo a Marsala, è in Italia dal 2011, ha il permesso di soggiorno. (La Repubblica, 21.06.2017) In altri casi l’assenza di coreferenza è resa ancora più evidente dalle caratteristiche linguistiche dell’antecedente, che corrisponde a un’intera clausola sintattica; il legame su cui si fonda l’anafora chiama in causa complesse relazioni semantico-pragmatiche connesse alla struttura interna dell’evento antecedente. Si consideri, ad esempio, un caso di relazione tra un evento (la conquista di una vetta) e la sua precondizione (la scalata della montagna): (16) Nel 1954 [Walter Bonatti] fece parte della spedizione italiana che conquistò il K2: per anni fu al centro di polemiche per il ruolo ricoperto durante la scalata. (Agenzia telegrafica svizzera, 14.09.2011; es. tratto da Ježek/ Pecorari 2014: 638) Alla luce della concezione di anafora difesa in questa sede, non sembra pertinente ricomprendere nella categoria dell’anafora associativa esempi come i seguenti, che pure mettono in mostra una «contiguità semantica» (Ferrari 2014: 193) tra espressioni referenziali affine a quella delle anafore associative propriamente dette: (17) L’Italia si distingue anzitutto per la sua centralità nell’insieme del continente europeo. La pianura padana costituisce il tramite più breve, ed assai facilmente transitabile nell’accesso da oriente. (Ernesto Galli della Loggia, L’identità italiana, Bologna 1998; es. tratto da Ferrari 2014: 194) (18) [Soggetto sottinteso] Sono nato trent’anni fa sul tavolo di un’osteria della posta, o almeno così mi dissero quando fui in età di ragione. Mia madre era una commediante girovaga e passava di terra in terra. (Gesualdo Bufalino, Le menzogne della notte, Milano 1988; es. tratto da Ferrari 2014: 194) 20 Ma si veda anche la denominazione alternativa di bridging anaphora, in uso soprattutto negli studi anglofoni (cf., p.es., Irmer 2011) e risalente a Clark 1975. Filippo Pecorari 60 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.8357/ VOX-2018-003 In entrambi i casi, l’interpretazione della seconda espressione referenziale non è realmente mediata dall’interpretazione della prima: in [17] il sintagma la pianura padana rimanda autonomamente al proprio referente testuale, e solo su basi enciclopediche esso può essere interpretato dal lettore competente come una componente geografica dell’Italia; in [18], invece, il sintagma mia madre non richiede un rinvio co-testuale al soggetto sottinteso di prima persona del primo enunciato, ma necessita semmai di un rimando deittico dal possessivo mia all’identità del locutore. Le espressioni referenziali in esame sono senz’altro connesse da una contiguità semantica, ma questo non è sufficiente per postulare la presenza di un’anafora associativa: sarebbe necessario avere una dipendenza referenziale del secondo costituente dal primo, cosa che nei due esempi - per diversi motivi - non si verifica. 4.1.3. All’anafora associativa sono talvolta assimilati casi di anafora pronominale in cui il pronome non è indice di continuità referenziale. Una ricca rassegna di esempi è offerta da Korzen 2009, che analizza il sintagma nominale sulla base dei tre concetti di entità, categoria e intensione: l’entità corrisponde a un referente testuale, o un gruppo di referenti testuali, appartenente al mondo extralinguistico; la categoria coincide con una classe di individui accomunati da una certa proprietà semantica; l’intensione è invece l’insieme delle proprietà che consentono di classificare le entità in categorie. L’anafora, dal canto suo, consente non solo di connettere sintagmi appartenenti allo stesso tipo semantico (entità con entità, ecc.), ma anche di realizzare tutti i sei passaggi logicamente possibili da un tipo all’altro: da entità a categoria [19], da entità a intensione [20], da categoria a entità [21], da categoria a intensione [22], da intensione a entità [23] e da intensione a categoria [24]: (19) Tu hai mai pensato di avere un bambino? Ho sentito che adesso va di moda farli da sole, insomma senza il padre. (Susanna Tamaro, Per voce sola, Venezia 1991; es. tratto da Korzen 2009: 314) (20) Ho bevuto del vino a pranzo. Adesso non ne voglio. (es. tratto da Korzen 2009: 314) (21) Secondo me, la barba è passata di moda. Infatti me la sono tolta un po’ di tempo fa. (es. tratto da Korzen 2009: 314) (22) Adoro i cani. Il mio vicino ne ha appena comprato uno bellissimo. (es. tratto da Korzen 2009: 315) 21 (23) … lei era senza macchina, l’aveva presa Oreste. (Natalia Ginzburg, Caro Michele, Vicenza 1973; es. adattato da Korzen 2009: 315) 21 Diversamente da quanto sostengono Palermo 2013: 95-96 e Colombo 2015: 111 a proposito di un esempio simile, non considererei il pronome indefinito uno come anaforico: è in realtà il clitico ne a richiedere un rinvio al nominale categoriale i cani dell’enunciato precedente, mentre l’indefinito si limita a esprimere una specificazione quantitativa. Il ne ha tra le sue prerogative anaforiche proprio quella di rinviare alle caratteristiche intensionali di un lessema, come mette bene in evidenza Korzen 1996: 78. Anafora e coreferenza: riflessioni in prospettiva teorica 61 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.2357/ VOX-2018-003 (24) Io sono sempre stato senza macchina. Infatti le odio, le ho sempre odiate. (es. tratto da Korzen 2009: 315) Gli esempi sono particolarmente significativi, perché mostrano che l’anafora può prescindere dalla coreferenza perfino nei casi in cui l’espressione anaforica è pienamente referenziale, come [21] e [23]: la coreferenza qui è esclusa in ragione dello statuto non referenziale dell’antecedente, che in un caso denota una categoria semantico-lessicale generica - l’intera classe di entità a cui un lessema può essere applicato - e nell’altro i tratti intensionali caratteristici di un lessema. 4.1.4. Altri due esempi oramai tradizionali di anafora non accompagnata da coreferenza sono quelli di anafora con identità di senso e con identità di forma, proposti originariamente da Conte 1980. L’anafora con identità di senso prevede un legame tra due espressioni che rappresentano entità referenzialmente diverse, ma appartenenti alla stessa categoria semantico-lessicale; classico l’esempio risalente a Karttunen 1969, che chiama in causa in proposito la nozione di lazy pronoun: (25) L’impiegato che ha dato la busta-paga alla moglie si è comportato meglio dell’impiegato che non gliela ha data. (es. tratto da Conte 1999 [1980]: 31; trad. it. di un es. di Karttunen 1969) Secondo Conte 1980, un tale esempio manifesta una relazione di livello inferiore alla coreferenza, definita «cosignificanza», che coincide per l’appunto con l’identità di senso (o di categoria, nei termini di Korzen 2009) tra antecedente ed espressione anaforica. Il concetto di cosignificanza è fondato sulla distinzione, risalente a Frege 1892, tra Bedeutung e Sinn: mentre la Bedeutung corrisponde al legame, stabilito dal testo, tra un’espressione linguistica e un’entità extralinguistica, il Sinn identifica il modo in cui l’espressione linguistica designa l’entità extralinguistica attraverso i propri tratti semantici. Una forma di «pronome pigro» tonico presente nel repertorio dell’italiano è, in alcuni suoi usi, il pronome dimostrativo quello, come si può vedere nella variante dell’esempio di Karttunen proposta da Andorno 2003: (25a) L’uomo che ha dato la busta-paga alla moglie è stato più saggio di quello che l’ha data all’amante. (es. tratto da Andorno 2003: 57) Come nota opportunamente Colombo 2015: 109, il pronome quello è in grado di introdurre un nuovo referente testuale dalla referenza esplicitamente diversa rispetto a quella dell’antecedente. Ma non solo: anche in altri casi che lo studioso tratta con maggiore circospezione, sembra di poter dire che l’anafora realizzata dal pronome non sia accompagnata da coreferenza. Sono i casi che Colombo chiama «riferimento incluso» [26] e «specifying anaphor» [27]: (26) I prezzi salirono: quello del grano aumentò di quasi 40 volte nel corso di un secolo. (Silvio Paolucci/ Giuseppina Signorini, L’ora di storia, Bologna 2008; es. tratto da Colombo 2015: 109) Filippo Pecorari 62 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.8357/ VOX-2018-003 (27) Sognava il mare, Nicola, quello dei suoi vent’anni, l’unico che avesse visto mai. (Michela Murgia, Accabadora, Torino 2009; es. tratto da Colombo 2015: 109) È vero che in questi casi il pronome quello non serve a determinare la cosignificanza tra due diversi referenti testuali: in [26] si introduce un referente connesso da un rapporto insieme-costituente con l’antecedente, mentre in [27] si precisa una categoria generale attraverso una specificazione temporale. Tuttavia, occorre riconoscere che in entrambi i casi il rinvio anaforico si rivolge non tanto verso il referente testuale antecedente, instaurato dal sintagma nominale, quanto verso la categoria semantica, rappresentata dal solo nome testa del sintagma. È pertanto pienamente pertinente chiamare in causa - come fa lo stesso Colombo 2015 - il concetto di N-anaphora proposto da Huang 2000 in contrapposizione alla NP-anaphora, perché il pronome quello rinvia alle caratteristiche semantiche del nome testa dell’antecedente, senza considerare la funzione referenziale che l’antecedente può assolvere soltanto in combinazione con un articolo 22 . Quanto all’anafora con identità di forma, in essa il rinvio si basa su quello che Conte 1999 [1980]: 31 chiama «salto di suppositio»: l’espressione anaforica attua un passaggio dal referente testuale in senso proprio designato dall’antecedente al mero significante di questo; il salto di suppositio consiste nel passaggio dalla suppositio formalis (corrispondente al referente testuale) alla suppositio materialis (corrispondente al segno linguistico, unità del sistema della langue) 23 . Questo salto si verifica in esempi come il seguente, in cui il pronome anaforico è argomento di un verbo di carattere metalinguistico: (28) «Durante un viaggio in Africa ho visto un lemure». - «Cosa hai visto? me lo puoi sillabare? ». (es. tratto da Palermo 2013: 91) Il fenomeno, come si può immaginare dalla frequenza di esempi costruiti ad hoc negli studi che lo menzionano, è piuttosto raro nei testi, ma non del tutto assente, come dimostra il seguente esempio: (29) Curioso essere tacciati di «analfabetismo» da una persona che non sa neanche scriverlo correttamente. (commento di un lettore alla pagina web http: / / www.moto.it/ MotoGP/ ana-carrasco-altra-ragazza-nel-motomondiale.html) Più frequenti sono i casi in cui la ripresa anaforica non salta da una suppositio all’altra, ma rinvia a un antecedente che è anch’esso di natura metalinguistica, consolidando dunque una progressione tematica incentrata attorno alla suppositio materialis: 22 È proprio per questo motivo che Huang 2000: 3 sostiene che nessuna delle due espressioni coinvolte in una N-anaphora è un’espressione referenziale (considerazione per la quale Colombo 2015: 110 N10 esprime perplessità): il legame anaforico coinvolge il solo nome antecedente, indipendentemente dalla sua connessione con un determinante e dunque dalla funzione referenziale che esso assolve nel testo. 23 Per un approfondimento sulle radici storiche della nozione di suppositio, si veda Franceschini 1998: 50 N7. Anafora e coreferenza: riflessioni in prospettiva teorica 63 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.2357/ VOX-2018-003 (30) Ma se ci si attende la parola pentimento, questa emerge solo per non aver «ammazzato anche Carlo Castagna.» (La Repubblica, 17.01.2007; es. tratto da Pecorari 2014: 268) Anche in questo caso l’anafora non è accompagnata dalla coreferenza, perché tanto l’antecedente quanto l’espressione anaforica sono semplici unità della langue, senza alcuna controparte referenziale nel mondo extralinguistico. 4.1.5. Un ultimo fenomeno anaforico notevole che non comporta coreferenza tra i due elementi coinvolti è l’incapsulazione anaforica (cf. D’Addio Colosimo 1988, Conte 1996b, Pecorari 2017). Con questa etichetta si intende - come anticipato in § 3.4 - l’impiego di un’espressione anaforica, detta incapsulatore, che rinvia a contenuti di ordine superiore (eventi, azioni, proposizioni, ecc.) dati nel co-testo attraverso un antecedente sintatticamente complesso, di misura non inferiore alla clausola. L’incapsulatore può corrispondere morfosintatticamente a un sintagma nominale pieno [31], a un pronome [32] o a una forma zero, come il soggetto sottinteso dell’italiano [33]: (31) Una volta lo hanno persino legato per le caviglie e buttato sulla cattedra durante il cambio dell’ora, quando il professore non era in aula, e poi lo hanno fotografato. E proprio a questo episodio sarebbe legata l’accusa di sequestro di persona. (repubblica.it, 29.03.2013) (32) Un esercizio moderato ma continuativo riduce il rischio di ammalarsi di Alzheimer del 38 per cento. Lo ha riscontrato Paul Crane dell’università di Washington. (La Repubblica, 25.01.2006) (33) Travolta da una volante in corsa per un intervento sul luogo di un furto, è in gravissime condizioni e in codice rosso al Pertini. Ø È accaduto ieri mattina, in via Monte Cervialdo, Val Melaina. (La Repubblica, 28.09.2013) La specificità dell’incapsulazione sul piano referenziale consiste nell’instaurazione di un nuovo referente testuale, la cui intensione semantica è però debitrice della porzione di testo che funge da antecedente. Questa caratteristica può essere còlta nel modo più adeguato se si considera l’incapsulazione come un’anafora non accompagnata da coreferenza: è ciò che fa ad esempio Conte, laddove sottolinea che «l’incapsulazione anaforica è un’anafora non-coreferenziale» (Conte 2010 [1998]: 285). La specificità testuale dell’incapsulazione consiste proprio nella possibilità di compattare informazioni già presentate nel testo attraverso una strategia non referenziale - ad esempio, attraverso un intero enunciato, come in tutti i tre esempi qui sopra - e di costruire, a partire da queste informazioni, un nuovo referente testuale 24 ; la coreferenza, quando l’antecedente non è un’espressione referenziale, è esclusa. Sembra più adeguato, per un caso come questo, chiamare in causa un diverso tipo di relazione referenziale, meno stringente, come quello di «congruenza referenziale» (fr. congruence référentielle) proposto per fenomeni analoghi da Apothéloz 1995b. Una tale nozione - in qualche misura intermedia tra la coreferenza e l’assenza totale di legami referenziali - chiarisce che l’incapsulazione non realizza una coreferenza 24 Questa operazione testuale, definita «ipostasi» da Conte 1996b, ha un valore decisivo per la definizione dell’incapsulazione anaforica: su questo aspetto, cf. Pecorari 2017: 113-30. Filippo Pecorari 64 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.8357/ VOX-2018-003 nel senso proprio del termine, ma non è nemmeno completamente avulsa da essa: tra l’antecedente sintatticamente complesso e l’incapsulatore vi è un evidente rapporto semantico-referenziale, perché le due espressioni rappresentano di fatto lo stesso stato di cose; tuttavia, non è possibile, a rigore, etichettare tale rapporto come coreferenza, in virtù della natura non referenziale dell’antecedente. 4.2. Coreferenze senza anafora Si ha una coreferenza non accompagnata da anafora ogni volta che due espressioni referenziali rimandano a uno stesso oggetto concettuale in modo autonomo, senza passare attraverso un rapporto di dipendenza. In tutti i casi di coreferenza senza anafora, è senz’altro in gioco il principio di coesione, perché l’impiego di due espressioni che rimandano allo stesso referente rafforza ipso facto la continuità semantica del piano referenziale; tuttavia, si tratta di una coesione di grado inferiore e di forza minore rispetto a quella prodotta dall’anafora, perché non comporta alcuna dipendenza co-testuale: la seconda espressione è in grado di ricevere un’interpretazione semantica e referenziale anche se considerata in isolamento. Presenterò ora alcuni esempi non anaforici di coreferenza, ordinati in senso decrescente secondo un criterio di trasparenza interpretativa. Se nei primi casi è pressoché inevitabile per il lettore associare le due espressioni allo stesso referente testuale, nei casi successivi entrano in gioco sempre più criteri enciclopedici e situazionali, che intervengono a modulare l’autonomia referenziale del secondo elemento; ma, dal punto di vista dello scrivente, non vi è comunque alcuna dipendenza co-testuale necessaria, il che esclude che si possa convocare un’anafora. 4.2.1. L’esempio più elementare di coreferenza senza anafora è offerto dalla ripetizione in un testo dello stesso nome proprio [34], ripetizione che eventualmente - come spesso accade - si può realizzare soltanto parzialmente [35]: (34) Rafa Nadal contro Novak Djokovic e Serena Williams contro Samantha Stosur: sono queste le due finali degli Us Open. […] Serena Williams ha liquidato la danese Caroline Wozniacki 6-2, 6-4 […]. (Agenzia Giornalistica Italia, 11.09.2011) (35) Esattamente dieci anni fa, in un albergo di Torino, Walter Veltroni era impegnato a limare gli ultimi dettagli del discorso che avrebbe pronunciato la sera del 27 giugno 2017 [sic] al Lingotto di Torino. Per molti, il vero atto fondativo del Pd di cui Veltroni si avviava a prendere la leadership. (La Repubblica, 27.06.2017) In questi esempi, il legame coreferenziale tra i due sintagmi nominali è assicurato dall’identità dei nomi propri che rimandano allo stesso referente testuale 25 . L’anafora 25 Bisogna tuttavia considerare che anche la capacità identificatrice del nome proprio dipende, in qualche misura, dal contesto in cui esso viene impiegato. Questo vale sia per nomi che possono identificare un grande numero di referenti del mondo reale, come Elisabetta, sia per nomi che identificano tipicamente un solo referente, come Platone: entrambi possono prestarsi a riferimenti Anafora e coreferenza: riflessioni in prospettiva teorica 65 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.2357/ VOX-2018-003 non ammette di essere chiamata in causa, perché ognuno dei due nomi è indipendente nel compiere il riferimento; l’enunciato in cui compare la seconda menzione del nome proprio può essere interpretato in maniera autonoma (al netto di altri fenomeni di dipendenza co-testuale), senza che sia necessario rinviare alla prima menzione 26 . Simile a quella tra due nomi propri è la relazione tra un nome proprio e una perifrasi che, per convenzione socio-culturale, è dotata di una referenza univoca. Questo tipo particolare di coreferenza senza anafora può fondarsi su una conoscenza enciclopedica ampiamente condivisa dalla comunità dei parlanti, come in [36], oppure su informazioni dalla circolazione più limitata, come accade quando si fa riferimento a uno sportivo tramite un soprannome epitetico che lo identifica univocamente [37]: (36) Seduta sul piatto della bilancia che pesa la capacità di attrarre investimenti stranieri, Roma sale e scende. «Non è più attrattiva», ha sostenuto il ministro Dario Franceschini … Messa a confronto con le principali capitali europee, la città eterna assomiglia a una discreta outsider. (La Repubblica, 31.03.2017) (37) È un Giro d’Italia senza vere alture (salvo un po’ di Appennino e il tappone dolomitico del Pordoi). E non sulle alture potrebbe essere deciso, ma nella cronometro della penultima tappa, tutta in Lombardia, da Cambiago a Monticello Brianza, dove abita Fiorenzo Magni, ultima reliquia vivente del ciclismo eroico di decenni fa, dell’epoca di Coppi e Bartali. Il Leone delle Fiandre apprezza l’omaggio ma sull’assenza di montagne chiosa: «È un Giro facile, chi lo vorrà vincere dovrà inventarsi qualcosa». (La Repubblica, 18.11.2001) La coreferenza tra i due sintagmi è tipicamente assunta in modo automatico dal lettore competente, consapevole di quale sia il riferimento corretto della perifrasi. Un lettore che invece non sia a conoscenza, poniamo, del fatto che Fiorenzo Magni era soprannominato «il Leone delle Fiandre», partendo dal presupposto di trovarsi di fronte a un testo coerente, provvederà a integrare alla sua interpretazione l’informazione che rende referenzialmente continuo il testo, e cioè il fatto che i due sintagmi Fiorenzo Magni e il Leone delle Fiandre rinviano alla stessa persona. A rigore, non si può comunque parlare di anafora, perché nell’ottica dello scrivente la perifrasi non codifica nella propria struttura morfosintattica alcuna dipendenza dal co-testo precedente: essa non richiede di essere risolta attraverso un rinvio al co-testo (come prevede la definizione di anafora in §2), ma semplicemente ammette di esserlo, nel caso in cui il lettore non possegga le conoscenze previste. plurimi in contesti che neutralizzano l’univocità referenziale, come ad esempio quando si fa riferimento a un cane di nome Platone (cf. Brown/ Yule 1986 [1983]: 268-69). 26 Certamente occorre rinviare al co-testo precedente per attribuire un significato comunicativo all’enunciato nel suo complesso (ad esempio, per capire in che circostanza Serena Williams ha liquidato Caroline Wozniacki, o quale sia il vero atto fondativo del Pd). Questo però non comporta che vi sia anafora tra le due occorrenze del nome proprio, le quali restano autonome nell’esercitare il proprio riferimento. Filippo Pecorari 66 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.8357/ VOX-2018-003 4.2.2. Anche altri sintagmi nominali definiti si dimostrano capaci di costruire una relazione coreferenziale senza anafora, analoga a quella che collega due occorrenze di un nome proprio. Si considerino i seguenti esempi: (38) L’apertura di un nuovo teatro in una città è un evento da salutare con entusiasmo. E Polizzi Generosa ha dovuto attendere 25 anni per rivedere aperto il suo Cine Teatro Cristallo. Ma la città che ha dato i natali a Martin Scorsese e Vincent Schiavelli non poteva rimanere senza cinema. (La Repubblica, 06.01.2007) (39) Sfrontato, orgoglioso. Per niente pentito. Così s’è presentato Jan Ullrich all’Équipe, per la prima intervista dopo il ritiro dal ciclismo. Giusto un anno fa l’esclusione dal Tour de France, in seguito alle rivelazioni sull’Operacion Puerto. Dei nove ciclisti fermati a Strasburgo prima del via, il vincitore del Tour ’97 è l’unico ad aver abbandonato la scena. (La Repubblica, 11.07.2007) Tanto la città che ha dato i natali a Martin Scorsese e Vincent Schiavelli quanto il vincitore del Tour ’97 sono espressioni referenziali che, nel contesto in cui si trovano impiegate, identificano univocamente un certo referente testuale: solo una è la città in cui sono nati i due personaggi, così come solo uno è il vincitore del Tour de France che si è disputato nel 1997. Tali espressioni, tuttavia, presentano caratteristiche referenziali diverse rispetto ai nomi propri o alle perifrasi epitetiche: se trasferite all’interno di un universo ipotetico o immaginario, esse potrebbero designare un referente testuale diverso da quello che designano nella realtà fattuale 27 . Questa caratteristica discende dal fatto che si tratta di descrizioni definite, che designano il loro referente passando attraverso l’attribuzione di una o più proprietà: nel caso di [38], la proprietà è quella di aver dato i natali a un famoso regista e a un famoso attore; nel caso di [39], la proprietà è invece quella di aver vinto un’edizione specifica di una gara ciclistica. La coreferenza di queste descrizioni definite con i nomi propri Polizzi Generosa e Jan Ullrich - che, al contrario, sono espressioni intensionalmente vuote - è mediata dall’attribuzione delle proprietà ai referenti in questione. Nonostante le differenze, l’effetto interpretativo di questa relazione testuale all’interno di un universo di discorso fattuale - come quello costruito dalla scrittura funzionale - è analogo a quello determinato dalla semplice ripetizione di un nome proprio o dall’utilizzo di una perifrasi epitetica coreferente al nome proprio. Anche in questo caso, la seconda menzione esercita la propria referenza in maniera totalmente indipendente dalla prima: le due descrizioni definite possono essere di fatto interpretate come sintagmi nominali a referenza unica, che non istituiscono alcuna relazione anaforica con altre espressioni del testo. Naturalmente, come nel caso delle perifrasi, la facilità con cui il lettore può ricostruire la relazione coesiva dipende soprattutto dalle sue conoscenze enciclopediche; 27 Questo aspetto è messo in luce anche da Bonomi 1987: 118, che osserva che «designatori quali ‹il così e così› hanno la proprietà di comportarsi in modo per così dire elastico rispetto a circostanze di valutazione diverse, nel senso che possono denotare oggetti (eventualmente) via via diversi secondo le circostanze stesse». Anafora e coreferenza: riflessioni in prospettiva teorica 67 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.2357/ VOX-2018-003 e, d’altra parte, chi non possegga le necessarie conoscenze enciclopediche per associare il nominale definito al corretto referente sarà portato, sulla base di un assunto di coerenza testuale, a integrare tali conoscenze al suo bagaglio: in entrambi gli esempi, l’introduzione di un referente nuovo attraverso una descrizione definita in quel punto del testo non sarebbe coerente con la progressione tematica in corso di elaborazione. Laddove le conoscenze enciclopediche non vengano in aiuto all’interprete, l’individuazione della coreferenza può essere ulteriormente ostacolata dalla presenza di altre espressioni referenziali che si trovino potenzialmente in competizione. Quest’ultimo aspetto è mostrato esemplarmente dal seguente testo, in cui soltanto un lettore esperto dello sport di cui si parla (il bob) sarà in grado di associare il sintagma a referenza unica il campione del mondo di Sankt Moritz 2013 a uno dei due atleti su cui verte l’enunciato (Arndt, peraltro già menzionato nello stesso enunciato tramite l’espressione anaforica il ventisettenne di Oberhof, dotata di referenza plurima): (40) Arndt … trovava proprio nel momento decisivo la sua miglior spinta che gli permetteva di giocarsi tutte le proprie carte nella parte tecnica del budello di casa. A questo punto tra il ventisettenne di Oberhof ed il connazionale Walther si è accesa una appassionante lotta sul filo dei centesimi che premiava il campione del mondo di Sankt Moritz 2013 per appena 2 centesimi di secondo, un’inezia! (neveitalia.it, 08.03.2015) Sulla base della definizione di anafora che ho fornito in §2, sembra infine possibile associare alla classe delle coreferenze senza anafora anche un esempio presentato da Conte 1981 come caso di anafora pragmatica mediata da conoscenze enciclopediche: (41) Albert Einstein trascorse parte dell’adolescenza a Pavia. L’inventore della teoria della relatività fece una marcia fino a Genova. (es. tratto da Conte 1999 [1981]: 21) Anche il sintagma l’inventore della teoria della relatività identifica un referente unico, in modo totalmente indipendente da eventuali relazioni co-testuali: infatti, è Einstein, e solo Einstein, ad aver inventato la teoria della relatività (in un universo di discorso fattuale). Prova ne è il fatto che il secondo enunciato di [41], anche in assenza del primo, costituirebbe un frammento di testo pienamente coerente 28 . Ancora una volta, nulla impedisce che il lettore possa ignorare che Einstein ha inventato la teoria della relatività, il che lo porterebbe a integrare tale informazione, per un assunto di coerenza, all’universo di discorso tramite il rimando al sintagma Albert Einstein; tuttavia, ciò che conta sul piano teorico è che il rinvio al co-testo precedente non è richiesto necessariamente dalla seconda espressione, la quale è perfettamente in grado di rinviare in modo autonomo al proprio referente. Secondo la definizione proposta in questa sede, questo basta a escludere che si possa parlare di anafora. 28 Al netto, naturalmente, della leggera incoerenza testuale che sarebbe determinata dalla mancata esplicitazione, all’interno dell’enunciato, del punto di partenza della marcia di Einstein. Filippo Pecorari 68 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.8357/ VOX-2018-003 4.2.3. Un caso ancora diverso, infine, è quello in cui la referenza di una descrizione definita dipende in maniera decisiva dal contesto spazio-temporale in cui il testo è prodotto. Si osservi il seguente esempio: (42) «Io al massimo dispongo della moral suasion. Né ho intenzione di travalicare di una virgola dalle prerogative che la Costituzione assegna al presidente della Repubblica». Così, secondo il settimanale Oggi, Giorgio Napolitano ha risposto a chi, durante la sua vacanza a Stromboli, ha avuto occasione di incitarlo a «tener duro». Il Quirinale ha precisato che a Stromboli il capo dello Stato «non ha rilasciato alcuna dichiarazione». (La Repubblica, 10.08.2011) Il sintagma nominale il capo dello Stato è dotato, all’interno del testo, di una referenza unica: per questo motivo, la relazione testuale con il nome proprio Giorgio Napolitano può essere interpretata come una coreferenza senza anafora, su una linea analoga a quella degli esempi precedenti. Bisogna tuttavia riconoscere che la referenza del sintagma, pur essendo unica, è meno univoca rispetto a quella dei casi considerati in §4.2.2, e questo per due ordini di ragioni: in primo luogo, l’espressione non precisa di quale Stato sia a capo il referente; in secondo luogo, la carica di capo dello Stato (italiano) è naturalmente una carica temporanea, che non ricade in modo costante sullo stesso referente. La referenza di una descrizione come il capo dello Stato può dunque essere risolta solo se si hanno a disposizione le coordinate spazio-temporali di riferimento dello scrivente (nell’esempio: Italia, agosto 2011): siamo di fronte, in questi casi, a una coreferenza che ruota attorno a un ancoraggio deittico. Ciò che conta ai fini dell’interpretazione di un sintagma come il capo dello Stato è, naturalmente, il contesto in cui il testo è stato scritto (e non quello in cui il testo viene letto): è a questo contesto che qualunque lettore cooperativo si ricollega, anche a distanza di tempo dalla produzione del testo. Una volta fissati i parametri spazio-temporali di riferimento, l’interpretazione di un tale sintagma non richiede alcun legame anaforico con un’altra espressione linguistica. Casi analoghi a quello appena analizzato sono offerti - ancora una volta - dal giornalismo sportivo, che è solito utilizzare, per ragioni stilistiche di variatio, numerosi descrittori per fare riferimento allo stesso referente. Tra questi, compaiono non solo soprannomi epitetici e descrizioni dalla referenza univoca - come si è visto sopra -, ma anche espressioni che richiedono la conoscenza delle coordinate deittiche di produzione del testo, come nell’esempio seguente: (43) Valj Semerenko prima e Olena Pidhrushna poi hanno … brillato con la campionessa del mondo in carica della sprint riuscita a difendersi nel giro finale dal ritorno di Tora Berger. (neveitalia.it, 12.12.2013) Il circostanziale temporale in carica fa sì che l’interpretazione complessiva del sintagma la campionessa del mondo in carica della sprint possa avere luogo soltanto se si conosce la data di produzione del testo (e, naturalmente, soltanto se si possiede la necessaria conoscenza enciclopedica). Peraltro, il sintagma non precisa di quale sport si stia parlando: un’espressione come la sprint può fare riferimento a svariate tipolo- Anafora e coreferenza: riflessioni in prospettiva teorica 69 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.2357/ VOX-2018-003 gie di competizione e non rimanda in modo univoco allo sport considerato dal testo in esame (ossia il biathlon). 5. Conclusione Il presente lavoro si è posto un duplice obiettivo: da un lato, quello di contribuire a una definizione (più) rigorosa dei fenomeni dell’anafora e della coreferenza; dall’altro, quello di metterne alla prova le definizioni attraverso verifiche empiriche, mirate all’analisi delle numerose strategie coesive che mettono in gioco uno solo dei due fenomeni, lasciando inattivo l’altro. Per quanto riguarda il primo aspetto, il tentativo definitorio portato avanti in questa sede ha dovuto affrontare diversi ordini di problemi. Anzitutto, quanto all’anafora, è apparso necessario dedicare attenzione alla distinzione terminologica tra la relazione testuale (l’anafora tout court) e l’espressione linguistica che concorre a produrla (l’espressione anaforica), così da non creare ambiguità tra i due concetti; in secondo luogo, si è messo in rilievo, all’interno della definizione di anafora, il ruolo del formato morfosintattico dell’espressione anaforica, che è spesso decisivo ai fini della distinzione tra l’anafora e fenomeni - coesivi e non - di altro tipo (e.g. instaurazione di un referente nuovo, disambiguazione semantica). Quanto alla coreferenza, invece, sono state individuate tre diverse concezioni del fenomeno: tra queste, la concezione moderatamente ristretta - difesa dalla maggior parte degli studi di linguistica testuale - si è rivelata la più adeguata a cogliere la differenza tra atti di riferimento e atti di predicazione nell’economia del testo, nonché a valutare l’apporto di strategie coesive particolari (ad es. incapsulazione anaforica) alla dimensione referenziale. Per quanto riguarda invece l’analisi empirica corpus-based, le precisazioni terminologiche proposte nella prima parte del contributo hanno consentito anzitutto di rivalutare con maggiore sicurezza fenomeni che nella letteratura hanno ricevuto interpretazioni contrastanti: caso esemplare è la connessione coreferenziale tra un nome proprio e una descrizione che impone una referenza unica (ad es. Albert Einstein - l’inventore della teoria della relatività), caso in cui l’anafora è esclusa in virtù dell’autonomia referenziale della seconda espressione. Gli esempi hanno inoltre confermato che la relazione tra anafora e coreferenza nei testi è particolarmente complessa, e va ben al di là della coesistenza messa in mostra dai casi paradigmatici di anafora. Innanzitutto, il contributo dell’anafora alla testualità non può essere limitato alla segnalazione superficiale di una continuità referenziale: i diversi casi di anafora senza coreferenza esemplificati in § 4.1 mostrano che attraverso una strategia anaforica è possibile, ad esempio, connettere le componenti predicative di due enunciati contigui - attraverso i predicati generici farlo ed esserlo -, oppure indirizzare la progressione tematica del testo verso aspetti collaterali delle espressioni linguistiche (categoriale, intensionale, metalinguistico, ecc.), alternativi all’aspetto strettamente referenziale. La dipendenza interpretativa che l’anafora se- Filippo Pecorari 70 Vox Romanica 77 (2018): 43-72 DOI 10.8357/ VOX-2018-003 gnala può dunque trovare risoluzione attraverso molteplici meccanismi, che coinvolgono componenti formali e semantiche delle espressioni linguistiche diverse da quella referenziale. Se l’anafora è in grado di svolgere un ventaglio più ampio di compiti rispetto alla mera segnalazione di una coreferenza, è altresì vero che la coesione del piano referenziale non è limitata ai fenomeni anaforici: come si è visto, sono portatori di coesione anche i fenomeni di coreferenza che non comportano dipendenza referenziale di un’espressione da un’altra, e che dunque non sono compatibili con l’anafora. In questi ultimi casi, la coesione può poggiare su una semplice continuità lessicale - come accade, ad esempio, quando si ripete un nome proprio - oppure sulla presupposizione da parte dello scrivente di una condivisione di conoscenze enciclopediche con il lettore - come accade, ad esempio, quando si alterna a un nome proprio una perifrasi a referenza unica. Bibliografia Adam, J.-M. 2011: La linguistique textuelle, Paris Andorno, C. 2003: Linguistica testuale. 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