Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
10.2357/VOX-2018-012
Es handelt sich um einen Open-Access-Artikel, der unter den Bedingungen der Lizenz CC by 4.0 veröffentlicht wurde.http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/121
2018
771
Kristol De StefaniJean-Pierre Chambon, Méthodes de recherche en linguistique et en philologie romanes. Textes choisis et présentés par Éva Buchi, Hélène Carles, Yan Greub, Pierre Rézeau et André Thibault, 2 vol., Strasbourg (Éditions de linguistique et de philologie) 2017, 1265 p.
121
2018
Paolo Gresti
vox7710263
263 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 77 (2018): 263-265 DOI 10.2357/ VOX-2018-012 Jean-Pierre Chambon, Méthodes de recherche en linguistique et en philologie romanes. Textes choisis et présentés par Éva Buchi, Hélène Carles, Yan Greub, Pierre Rézeau et André Thibault, 2 vol., Strasbourg (Éditions de linguistique et de philologie) 2017, 1265 p. I due volumi che si presentano qui, ideati e realizzati per festeggiare i sessantacinque anni di Jean-Pierre Chambon, racchiudono in verità, nonostante la mole notevole, solo una parte della ricchissima produzione scientifica del festeggiato: basti pensare che, fino a oggi, lo studioso ha scritto «quelque six mille pages»: la bibliografia che chiude in secondo volume, infatti, occupa ben trentacinque pagine (1231-65). I curatori hanno suddiviso il ricco materiale raccolto in sette sezioni, che rappresentano le principali linee di ricerca di Chambon: 1. Linquistique historique, grammaire (comparée), étymologie (1-173); 2. Épistémologie, histoire de la discipline, FEW, occitan (175-291); 3. Régionalité et variation lexicale (293-595); 4. Philologie et localisation des textes médiévaux (597-744); 5. Exégèse, édition de texte et littérature après 1500 (745-935); (6) Toponymie et sociolinguistique historique (937-1149); (7) Anthroponymie (1151-1230). Le brevi presentazioni che aprono ogni sezione sono firmate dai curatori: E. Buchi (1 e 7), Y. Greub (2 e 4), A. Thibault (3), P. Rézeau (5), H. Carles (6). È evidente che un’opera così densa e con una mole tanto imponente non può essere compiutamente analizzata nello spazio di una recensione. Mi soffermerò pertanto solo su alcuni saggi della sezione dedicata alla linguistique historique e alla philologie des textes médiévaux. Nell’intervento intitolato «La déclinaison en ancien occitan, ou: comment s’en débarasser? Une réanalyse descriptive non orthodoxe de la flexion substantivale» (75-95) J.-P. Chambon affronta uno dei temi cardine della linguistica storica del provenzale (vocabolo che io preferisco a occitano o occitanico per definire questa lingua, in particolare se ci si riferisce alla sua fase medievale), la declinazione bicasuale, appunto. Chambon parte dalle osservazioni, schematiche ma efficaci, della Morphologie élémentaire de l’ancien occitan di P. Skårup, e analizza la declinazione bicasuale dei sostantivi tanto femminili (77-80) quanto maschili (81-86). Per i femminili la flessione è presente solo al plurale (domna-s, flor-s), mentre «le singulier se présente sous la forme nue» (78), domna e flor; la flessione con -s dei sostantivi tipo flor (o sor) al caso soggetto singolare è opzionale. La prima conclusione alla quale arriva Chambon è che «contrairement au pluriel, le cas n’est pas une catégorie de flexion obligatoire des substantifs féminins en ancien occitan, mais une catégorie optionnelle, l’option étant ouverte à certains substantifs féminins seulement» (80). La situazione è più complessa per i sostantivi maschili, che presentano varie possibilità, sia al singolare, sia al plurale: «tout comme la catégorie ‹nominatif-singulier›, la catégorie ‹nominatif-pluriel› est une catégorie de flexion optionnelle pour les substantifs masculins; cette option est ouverte à tous les substantifs masculins» (83). Non è possibile qui ripercorrere tutte le tappe del ragionamento di Chambon, ma la conclusione è che «en ancien occitan, le cas n’est pas une catégorie obligatoire de la flexion substantivale, mais une catégorie optionnelle seulement, ouverte à certains substantifs seulement» (86). Questa reinterpretzione della declinazione dell’antico provenzale come «option unicasuelle permet de mieux couvrir la diversité des usages durant la synchronie (très) large … qu’on s’accorde à comprendre sous le terme d’‹ancien occitan›». J.-P. Chambon è stato per anni direttore del FEW, per il quale ha anche redatto numerose voci. Proprio il ricorso a una voce del FEW (aurum) permette allo studioso di avanzare una 263 265 012 264 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 77 (2018): 263-265 DOI 10.8357/ VOX-2018-012 proposta su un vocabolo usato da Arthur Rimbaud. Nel saggio «Un régionalisme inaperçu de Rimbaud: orrie» (299-311), infatti, Chambon ragiona sul terzo verso di Les pauvres à l’église, nel quale compare appunto la parola in oggetto. I commentatori hanno tutti pensato che orrie fosse una neoformazione dovuta al poeta, derivata da or (il significato non suscita dubbi: ‘ornements en or’). In verità si tratterebbe, secondo Chambon, di un regionalismo del nord-est del dominio d’oïl: questo spiega anche l’anomalia della forma che, in quanto appunto derivata da or, avrebbe dovuto dare piuttosto orerie. Ma Rimbaud avrà voluto mettere su carta la forma orale, come effettivamente veniva pronunciata. In effetti, la forma orerie è usata da Verlaine in un testo pubblicato nel 1889, cioè tre anni prima della poesia di Rimbaud, e gli studiosi si sono chiesti se Verlaine abbia usato quel termine perché a conoscenza del componimento dell’amico prima che venisse pubblicato. La cosa è ovviamente plausibile, ma se è vera l’ipotesi di Chambon che orrie è un regionalismo, allora è più che possibile che anche Verlaine abbia potuto sentire la parola nei suoi frequenti soggiorni in Belgio o nelle Ardenne: e che l’abbia usata indipendentemente da Rimbaud, e in una forma linguistica più convenzionale. L’attenta considerazione dei testi sotto il rispetto linguistico permette a volte di meglio interpretare i dati geografici contenuti nei testi. In «Sur le lieu de naissance de Guiraut de Bornelh» (603-06) Chambon studia la vida del maestre del trobadors, soffermandosi sui due luoghi in cui si accenna al luogo di origine di Guiraut. All’inizio del breve testo si dice che Guiraut «fo de Lemozi, de l’encontrada de Esiduoill», alla fine che elargiva i proventi della propria attività alla «eglesia de la villa on el nasquet», che si chiamava e, annota il biografo, si chiama ancora Saint Gervas. Secondo gli interpreti Esiduoill è Excideuil, che si trova nella Dordogne. Per quanto riguarda Saint Gervas, nome sul quale gli studiosi non si sono soffermati con particolare attenzione, secondo Chambon non si tratta solo del nome del santo al quale la chiesa è dedicata, bensì dell’«éponyme du village»: infatti alcuni testimoni manoscritti che trasmettono la vida specificano «… la qual vila e la clersia …», e il canzoniere R dice che il villaggio in questione si trovava «en l’evesquat de Lemoges». I registri della diocesi di Limoges citano in effetti un cappellanus Sancti Gervasii, noto per la sua estrema povertà (e questo spiegherebbe i lasciti di Guiraut): questo Sanctus Gervasius sarebbe un villaggio che si trova a pochi chilometri da una località che si chiama Exideuil, ma a più di cinquanta chilometri dall’Excideuil riconosciuta come patria di Guiraut (dove, per altro, nel Medioevo non c’era alcuna chiesa intitolata a San Gervasio). Secondo Chambon, dunque, il trovatore doveva essere originario di un paese chiamato Saint Gervas, che si trovava nell’encontrada di Exidueil: con il vantaggio che questa località era, anche nel Medioevo, nel Limosino, come dice la vida. Uno dei compiti del linguista che si occupa di testi antichi è quello di tentare la localizzazione di autori di cui non conosciamo nome e luogo d’origine, o di copisti di manoscritti. Chambon ha dedicato due interventi alla localizzazione del codice Additional 17920 della British Library, copiato da un’unica mano che è anche quella del traduttore/ autore dei testi in esso contenuti. I due contributi sono «Remarques sur la patrie de l’auteur du ms. Brit. Mus. Add. 17920 (BrunelMs 13)» (617-36) e «Aocc. arta et gralha: encore sur la localisation du manuscrit Brit. Mus. Add. 17920 (BrunelMs 13)» (653-56). Già M. Pfister aveva registrato «caractères rouergats à l’intérieur d’une norme supra-régionale centre-occidentale» (617). Approfondendo lo studio di alcune voci presenti nel manoscritto Chambon non ha lo scopo di contraddire «les résultats déjà obtenus» (629) dall’illustre studioso che lo ha preceduto, ma solo completarli: 265 Besprechungen - Comptes rendus Vox Romanica 77 (2018): 265-268 DOI 10.2357/ VOX-2018-013 l’insieme dei tratti linguistici analizzati converge «remarquablement vers le nord de la Haute- Loire … Le traducteur/ scribe connaissait nativement la varieté occitane de cette région périphérique du domain d’oc, tout en pratiquant à l’écrit une variété centrale à base rouergate», forse perché, si può credere, egli aveva ricevuto la sua formazione di scriba proprio a Rodez (629). Queste conclusioni ricevono solo un’ulteriore precisazione nel secondo saggio, giacché la presenza di due parole come arta e gralha da un lato rafforza la localizzazione nella Haute-Loire, ma dall’altro sembrerebbe spostare il luogo di origine del traduttore/ copista un po’ più verso sud-est di questa zona, perché l’area di diffusione soprattutto di gralha «exclut définitivement toute partie auvergnate du département Haute-Loire» (655). I cinque saggi presi in considerazione qui non sono che un piccolissimo échantillon della ricchezza dei due volumi che fanno l’oggetto di questa nota; l’unico scopo di chi scrive è di invogliare il lettore a sfogliare la raccolta e di cogliere sia la rigogliosa varietà degli interessi di J.-P. Chambon, sia l’acutezza delle sue proposte; la lettura di questi studi, sia di quelli più brevi e circoscritti, sia di quelli di più ampio respiro, anche metodologico, rappresentano infatti, per gli specialisti, ma anche per gli studenti che si affacciano a una disciplina tanto appassionante quale è la linguistica, un sicuro momento di crescita scientifica. Paolo Gresti ★ Stephen Dörr, Yan Greub (ed.), Quelle philologie pour quelle lexicographie? Actes de la section 17 du XXVII e Congrès International de Linguistique et de Philologie Romanes, Heidelberg (Universitätsverlag Winter), 2016, vi + 182 p. (Studia Romanica 197) Le volume Quelle philologie pour quelle lexicographie? se compose de neuf articles précédés d’une introduction rédigée par Y. Greub (1-9): C. Baker, De l’histoire des textes à l’histoire des mots (11-31), C. Buridant, Les éditions de textes médiévaux: réflexions liminaires (établissement du texte et glossairistique) (33-75), P. Larson, Il reale e il vero in lessicografia e filologia italiana (77-83), L. Leonardi, Lessico del testo o lessico della tradizione? Un modello a partire dal Medioevo italiano (85-95), G. Marrapodi, Il LEI (Lessico Etimologico Italiano) e la filologia (97-105), H. Pagan et G. De Wilde, L’édition de texte et l’Anglo-Norman Dictionary (107-16), M. Perugi, L’identification du mot à partir de la tradition manuscrite. Anc. occ. ordezir, espoutz, requit, jafur (117-28), S. Tittel, Les exigences d’une lexicographie de corpus de l’ancien français à grande échelle: l’établissement d’un corpus de référence et d’un étiquetage sémantique (129-48), R. Wilhelm, Le varianti filologiche nella lessicografia storica. Parole e tradizioni nello zibaldone di Giovanni de’ Dazi (149-69). Les articles sont suivis par de très utiles Index des auteurs anciens et modernes (171-73), Index des mots et des locutions (175-77), Index des concepts (179-80) et Index des textes et des sources (181-82). L’ordre alphabétique de la présentation des articles par noms d’auteurs n’empêche pas de repérer une certaine homogénéité dans l’ensemble du volume. Ci-dessous nous ne considérerons pas chaque article en soi-même, mais l’ensemble du livre, comme l’ont déjà fait les deux comptes rendus qui nous ont précédé, à savoir M. Barbato, Medioevo Romanzo 40/ 1 (2016): 246-49 et P. Swiggers, French Studies 71/ 3 (2017): 454. 265 268 013
