eJournals Vox Romanica 79/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
10.2357/VOX-2020-008
Es handelt sich um einen Open-Access-Artikel, der unter den Bedingungen der Lizenz CC by 4.0 veröffentlicht wurde.http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/121
2020
791 Kristol De Stefani

Sulla canzone Nulhs hom non es tan fizels vas senhor di Aimeric de Pegulhan (BEdT 10.38)

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2020
Paolo Grestihttps://orcid.org/https://orcid.org/0000-0003-4767-0282
L’article présente une nouvelle édition critique de la chanson Nulhs hom non es tan fizels vas senhor du troubadour Aimeric de Pegulhan, originaire de Toulouse. Le nouveau texte critique repose sur l’analyse de la tradition manuscrite dans son ensemble, en tout neuf témoins. La chanson d’Aimeric n’a rien d’exceptionnel sur le plan du contenu, parce-qu’il s’agit de la typique chanson d’amour basée sur la métaphore féodale: le poète reproche à la dame son manque d’amour envers lui. L’originalité du poème est plutôt dans l’utilisation de mots ou d’expressions rares, voir absents, dans la lyrique des troubadours: pour ne faire qu’un exemple, le mot ancaps (v. 19) appartient, paraît-il, exclusivement au léxique juridique, et se trouve seulement dans la production documentaire et, peut-être, dans un partimen entre Gui et Elias d’Uisel.
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157 Vox Romanica 79 (2020): 137-164 DOI 10.2357/ VOX-2020-007 forme non locali 25 dell’occitano contemporaneo, che esibiscono suffissi di tipo -tor , -dor , -eur , di provenienza italiana/ piemontese ( -tor , -dor ) o francese ( -eur ). Il primo insieme di forme riguarda gli agentivi in -dor dei testi valdesi; tra queste, le uniche a riecheggiare nei dizionari moderni sono jogador , pe(c)cador e pescador . Tuttavia, né jugadour (B aret 2005), né pecadour (p ons / G enre 1997), né pescadour (B aret 2005) sono da leggersi come eredi diretti delle antiche forme valdesi, bensì come introduzioni seriori; interpretazione avvalorata non soltanto dal fatto che -dour è suffisso sicuramente importato, ma anche dalla forte specializzazione di jugadour , usato, come già osservavo in § 2.2.3, nel solo sintagma jugadour de foutabal , e dalla oscillazione che si coglie fra pescadour e pescatour . Al di là della netta prevalenza di esiti in -tour , nelle colonne seconda e terza riscontriamo l’occorrenza di alcune forme indigene, che continuano tŏr ( acuzaire , beviaire , chantre , dansaire , prechaire ) o tōrE ( chasòou , marchòou , semenòou ); da osservare il fatto che parecchie di queste ultime sono attestate congiuntamente a una o più alternative ( acuzaire / acuzatour , chantre / chantarin ; dansaire / balarin , prechaire / perdicatour / perdicant ). Meisounìe coinvolge un suffisso agentivo diverso da tōrE , ossia āriu , mentre marchòou e caminadour differiscono sul piano della selezione del lessotipo (* marcatore , di origine germanica, vs. *camminatore , di provenienza celtica). Obradour , usato in valdese col valore di ‘operatore’, ha oggi in occitano il significato locativo di ‘laboratorio, officina’; sospetto che la lemmatizzazione del termine nel DOc (s. obrador ) non rifletta un impiego effettivo del termine nelle valli bensì, piuttosto, la volontà di introdurre una parola che ha corso nell’occitano generale. La seconda batteria di esempi sembra testimoniare l’esistenza di una continuità fra valdese e occitano contemporaneo. Tale continuità si rivela però, a un’analisi più attenta, una «fata morgana»: i termini elencati per l’occitano odierno sono tutti di provenienza esterna, in quanto recanti la presenza di <r> finale, e assai probabilmente di derivazione italiana; i termini valdesi, dal canto loro, vanno interpretati alla stregua di pretti latinismi: lo sono senza dubbio confesor , debitor , succesor , redemptor (con mancata assimilazione del nesso <pt>) o redenctor (con la presenza di un nesso latineggiante, <ct>, non etimologico), ma lo sono pure le voci prive di sonorizzazione della dentale creator , mediator , orator , ecc. Predicator è, a quanto sembra, una rara variante di predicador : ne ho trovato una sola occorrenza, a fronte delle numerose attestazioni della forma sonorizzata (v. il primo gruppo in Tab. 8). Merita infine una menzione particolare la forma traytor , che - abbastanza diffusa nei testi valdesi, in diverse varianti grafiche - è quella che più si allontana dal modello latino ( tradĭtōrE , poi * tradītōrE ): è caduta l’occlusiva alveolare sonora intervocalica, ma non è stata sottoposta a sonorizzazione la [t] del suffisso agentivo 26 . j ensen 1975: 465 osserva che la forma traïdor è corrente nell’occitano antico, portando viceversa, come esempi di 25 Ho conteggiato una sola volta i casi di varianti doppie, come per es. pecadour e pecatour , e di uno stesso corrispondente moderno a due varianti valdesi, come per es. predicador e predicator . 26 Esiste però anche una variante, riportata in Tab. 8, con conservazione dell’occlusiva alveolare sonora intervocalica, il latinismo traditor , che ha un solo riscontro in tutto il corpus. I continuatori di tŏr / tōrE nelle Valli Valdesi: oggi e ieri Riccardo Regis 158 Vox Romanica 79 (2020): 137-164 DOI 10.2357/ VOX-2020-007 traitor , soltanto due occorrenze nella Chanson de Sainte Foi d’Agen ( CSFA : 17, 27), peraltro di incerta localizzazione. È interessante che treytor e traytor occorrano in alcuni fra i più antichi documenti di area piemontese: treytor è negli Statuti Chieresi (1321) (G asCa Q ueirazza / C liVio / p asero 2003: 59), traytor nella Lamentazione di Chieri (XV sec.) (G asCa Q ueirazza / C liVio / p asero 2003: 98, 100), già però in alternanza con traditor (G asCa Q ueirazza / C liVio / p asero 2003: 100). Anche queste forme piemontesi sono in qualche misura anomale, nel senso che, a quell’altezza temporale, da un infinito come * tray(i)r ‘tradire’ (non attestato ma facilmente ricavabile dal participio passato trayì della Lamentazione : G asCa Q ueirazza / C liVio / p asero 2003: 98), ci attenderemmo un agentivo del tipo trayor (sul modello di crier ‘gridare’ → crior ‘banditore’). È possibile che tanto le forme valdesi quanto quelle piemontesi abbiano un debito nei confronti dell’antico francese, che presentava la coppia traitre (caso retto) / traitor (caso obliquo) (l a C urne 1875-1882, s. traitois ; FEW 13/ 2: 152-53), il secondo esito essendo nondimeno inconsueto per il mantenimento di [t] intervocalico; dal caso retto deriva, per inciso, il francese moderno traître . Il prov. traite è del resto attribuito da r onjat 1930-1941: III, 373 a una mutuazione dal francese, risalente a un periodo in cui il dittongo <ai> era ancora pronunciato. La terza sezione è quella, in linea teorica, più interessante, perché coinvolge forme eteroclite in valdese e perciò, probabilmente, viciniori all’uso quotidiano dell’epoca. Ciononostante, l’unica congruenza che si può ricontrare tra (presunto) uso «normale» antico e uso «normale» moderno è ravvisabile nella diade vendor (valdese) / vendòou ‘venditore’ (occitano moderno), con l’ultimo elemento della coppia che è tuttavia insidiato dall’italianismo (o piemontesismo) venditour . Per il resto, va osservato che, laddove in valdese abbiamo un continuatore di tōrE ( balor , cantor ), nelle varietà moderne abbiamo un continuatore di tŏr ( balaire , chantaire ), e viceversa ( semenayre vs. semenòou ). 4. Bilancio conclusivo Lo studio degli esiti di tŏr / tōrE nelle Valli Valdesi ha permesso di raggiungere due obiettivi, uno di interesse diacronico, l’altro di pertinenza sincronica. Il raffronto dei dati del corpus valdese con i riscontri dei dialetti attuali conferma la problematicità del rapporto fra le due fasi storiche dell’occitano dell’area: l’ipotesi della «soluzione di continuo» (B orGhi C edrini 2017 [1980]: 221) fra valdese e varietà contemporanee parrebbe uscirne corroborata. L’origine di questa soluzione di continuo è però di natura più esterna, relativa al combinato disposto di aspetti diafasici e diastratici, che interna, legata agli sviluppi diacronici naturalmente rilevabili nell’arco di cinque secoli (cf. G enre 1985: 95-96): i testi valdesi trattano argomenti alti, di carattere religioso e dottrinale, e il loro estensore non è un «illitterato», ma anzi una persona che frequenta, capisce ed è in grado di tradurre con efficacia il la- 159 Vox Romanica 79 (2020): 137-164 DOI 10.2357/ VOX-2020-007 tino, e che di quest’ultimo subisce l’influsso, nel tentativo di elevare la propria lingua. Il lessico in essi contenuto è stato messo a confronto con il lessico raccolto nei dizionari dell’occitano odierno dell’area; i quali fondano la loro meritoria opera di codificazione sull’uso orale medio delle varietà delle Valli Valdesi, che raramente incrociano temi di levatura anche soltanto prossima ai picchi di impegno concettuale degli antichi manoscritti. Sul piano della sincronia, è stato possibile evidenziare l’ampia gamma di variazione degli esiti di tŏr / tōrE , che riassumo in Tab. 9 con la quantificazione delle occorrenze risultanti dallo spoglio di B aret 2005: tŏr tōrE diretti indiretti -(V̀ )ire - (V̀ )ou -tour -dour -eur Occorrenze 107 29 117 8 27 Tab. 9. Quadro dei continuatori, diretti e indiretti, di tŏr / tōrE in B aret 2005 Gli esiti locali di tŏr / tōrE , - (V̀) ire e - (V̀) ou , sono numericamente minoritari rispetto al complesso degli esiti importati di tōrE ; questi ultimi, tuttavia, sono associati soltanto in rarissimi casi a radici lessicali indubbiamente occitane (l’unico esempio a me noto, discusso in § 2.2.4, è quello di mouzeuzo ) e permane il dubbio circa una loro effettiva produttività. Nulla vieta di interpretare l’agentivo educator come il prodotto di regole morfologiche a partire dal verbo occitano educà ‘educare’, ma è più probabile che esso sia un prestito adattato dall’italiano o un prestito non adattato dal piemontese. Seguendo tale chiave di lettura, l’accento viene a porsi, nello stesso tempo, su due aspetti diversi e complementari. Da un lato, il suffisso -tour gode di molte occorrenze grazie alla presenza di numerosissimi prestiti, ma non riesce a sottrarre spazi all’occitano: ‘mangione’ continua a dirsi malhòou , nessun * malhatour è ipotizzabile. Dall’altro lato, l’occitano sembra avere perlopiù abdicato alla propria capacità di inserire i prestiti in un proprio schema di derivazione: il fatto che non siano attestati né * educaire né * educòou induce a credere che i suffissi agentivi locali non siano più disponibili per neoformazioni. E, anche quando paiono esserlo, il prodotto che ne deriva getta una luce fosca sulla buona salute delle regole morfologiche dell’occitano cisalpino: il neologismo ganasaire ‘microfono’, attestato da C ini / F errier 2006: 106 nel patois dell’alta Valle Susa, applica al morfema lessicale ganass(e) ‘mascella, ganascia’ il suffisso -(a)ire , che, essendo strettamente agentivo, non dovrebbe essere impiegato nella formazione di strumentali. -Àire viene dunque usato perché ritenuto un suffisso tipicamente locale, ma tale valutazione, del tutto sottoscrivibile, non è accompagnata da un’adeguata competenza funzionale da parte del creatore del neologismo. La popolarità dei suffissi «esterni» si è affermata nel corso del Novecento, quando più forte si è fatta sentire la pressione dell’italiano e del piemontese: M orosi 1890, I continuatori di tŏr / tōrE nelle Valli Valdesi: oggi e ieri Riccardo Regis 160 Vox Romanica 79 (2020): 137-164 DOI 10.2357/ VOX-2020-007 per esempio, documenta quasi soltanto agentivi in - (V̀ ) ire o in - (V̀ ) ou in tutta l’area valdese, con qualche sparuta occorrenza di forme in -doù , [ˡdu], come casadoù ‘cacciatore’ e turnidoù ‘tornitore’ ad Angrogna (p. 375) 27 . Citavo in § 1 l’opinione di Alibèrt secondo la quale l’impiego di -dor , [ˡdur], conferisce una coloritura arcaizzante all’occitano linguadociano, che tende oggi a preferire agentivi in - (V̀ ) ire . Tale orientamento delle varietà contemporanee, come dicevo, ha avuto come effetto la riduzione della «polisemia» agentivo-strumentale-locativa; è opportuno ora sottolineare che la «polisemia» si è contratta non per pura casualità ma attraverso l’azione congiunta di un certo numero di parlanti, i quali hanno iniziato a evitare gli agentivi in -dor , più frequenti degli strumentali e dei locativi con il medesimo suffisso, onde evitare potenziali equivoci e collisioni omonimiche. È importante notare che lo stesso processo è avvenuto, in modo indipendente e parallelo, in varietà diverse di occitano: quanto descrive Alibèrt per l’occitano linguadociano, è valido pure per l’occitano delle Valli Valdesi, in cui gli agentivi in - (V̀ ) ire sono, in base allo spoglio dei dizionari moderni, quasi quattro volte più diffusi di quelli in - (V̀ ) ou ; la stessa propensione è delineata da r onjat 1930-1941: III, 374 per l’occitano provenzale, quando annota che in questa varietà sono ammessi agentivi sia in - (V̀ ) ire sia in -doù , ancorché i secondi siano molto meno numerosi dei primi: nel complesso, un cambiamento linguistico che, con k eller 1994, potrebbe essere attribuito a una “invisible hand explanation” (“Erklärung mittels der unsichtbaren Hand”, nell’originale tedesco), in cui cioè la singola azione di ognuno (ossia l’evitamento intenzionale degli agentivi in [ˡdur], [u̯ ], [ˡdu]) contribuisce a un esito che non è stato pianificato (ossia alla riduzione della «polisemia» agentivo-strumentale-locativa). L’evoluzione descritta in rapporto all’occitano ha anche, se vogliamo, una ricaduta più generale sul modo di concepire il comportamento dei continuatori di tŏr / tōrE : una lingua può nascere fortemente conguagliatrice e perdere con il passare dei secoli questa sua vocazione, avvicinandosi sempre più al polo delle lingue differenziatrici. 27 La varietà di Angrogna ha però caratteristiche particolari rispetto al patois della Val Germanasca. Come attesta s appé 2012, l’angrognino non conserva mai [r] finale, anche nel caso di presunti prestiti dal piemontese o dall’italiano: casadoù (senza palatalizzazione di cainiziale, a rimarcarne l’origine esterna) e chasòou ‘cacciatore’, pescadoù ‘pescatore’, traditoù ‘traditore’, ecc. Da M oros i 1890: 414 si ricava indirettamente quanto la presenza di un testo da tradurre possa condizionare le scelte del parlante: nella versione della Parabola del figliol prodigo raccolta ad Angrogna, la parola servitore / servitori è resa due volte su tre con la conservazione di <r> finale ( servitour vs. servitoù ), a differenza di ciò che avveniva (e avviene) nell’uso quotidiano. 161 Vox Romanica 79 (2020): 137-164 DOI 10.2357/ VOX-2020-007 Bibliografia a daMs , e. l. 1913: Word-formation in Provençal , New York/ London ALEPO III = Atlante Linguistico ed Etnografico del Piemonte Occidentale. III. Il mondo animale. I - La fauna. II - Caccia e pesca, Alessandria 2013 ALEPO V = Atlante Linguistico ed Etnografico del Piemonte Occidentale. V. Lo spazio e il tempo. I - Lo spazio. 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Bibliothèque de la ville A.I.54/ Palais des arts 36) , Tübingen I continuatori di tŏr / tōrE nelle Valli Valdesi: oggi e ieri Riccardo Regis 164 Vox Romanica 79 (2020): 137-164 DOI 10.2357/ VOX-2020-007 The continuers of tŏr / tōre in the Waldensian Valleys: today and yesterday Abstract: This paper aims at depicting the continuations of tŏr / tōrE in the Occitan variety of the so-called Valli Valdesi (Waldesian Valleys), Western Piedmont, from both a synchronic and diachronic perspective. The synchronic analysis relies on the examination of two dictionaries, p ons / G enre 1997 and B aret 2005. Contemporary Waldesian varieties reveal the occurrence of five agentive suffixes connected to tŏr / tōrE , namely -ire (< tŏr ), and -ou , -tour , -dour , -eur (< tōrE ). It is worth noting that only -ire and -ou can be deemed «local», the three remaining suffixes being of Italian, Piedmontese and French origin respectively. This complex situation is then confronted with that of past centuries, as shown by the Waldesian texts from the late Middle Ages/ early Modern Age, displaying an overwhelming majority of -dor agentives. Keywords: Agentive suffixes, tŏr / tōrE , Occitan, Waldensian Valleys, Language contact Vox Romanica 79 (2020): 165-178 DOI 10.2357/ VOX-2020-008 Sulla canzone Nulhs hom non es tan fizels vas senhor di Aimeric de Pegulhan (BEdT 10.38) Paolo Gresti (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano) https: / / orcid.org/ oooo-0003-4767-0282 Résumé: L’article présente une nouvelle édition critique de la chanson Nulhs hom non es tan fizels vas senhor du troubadour Aimeric de Pegulhan, originaire de Toulouse. Le nouveau texte critique repose sur l’analyse de la tradition manuscrite dans son ensemble, en tout neuf témoins. La chanson d’Aimeric n’a rien d’exceptionnel sur le plan du contenu, parce-qu’il s’agit de la typique chanson d’amour basée sur la métaphore féodale: le poète reproche à la dame son manque d’amour envers lui. L’originalité du poème est plutôt dans l’utilisation de mots ou d’expressions rares, voir absents, dans la lyrique des troubadours: pour ne faire qu’un exemple, le mot ancaps (v. 19) appartient, paraît-il, exclusivement au léxique juridique, et se trouve seulement dans la production documentaire et, peut-être, dans un partimen entre Gui et Elias d’Uisel. Parole chiave: Aimeric de Pegulhan, Nulhs hom non es tan fizels vas senhor , Lessico trobadorico vos etz de pretz mayestre ses enjan a Luciano Formisano, con amicizia «Aimeric’s conception of love and domnei do not differ much from those commonly accepted by other poets of his day» 1 : il canzoniere del trovatore tolosano è infatti attraversato dal tema amoroso nelle sue più diffuse declinazioni. Nulhs hom non es è una canzone che rientra in questo quadro: con l’insistita metafora feudale che occupa le prime due coblas ( fizels , senhor , fieus , leyals , honor , servir , domengeiramens ); con l’incapacità del poeta di staccarsi da una donna che, fedele alleata del crudele Amore, non contraccambia il sentimento amoroso; con la consapevolezza, da parte del poeta-amante, che il sentimento non ricambiato si trasformi in affanno mortale. E tuttavia, la canzone di Aimeric sembra contraddire, se non altro sul piano lessicale, il punto di vista decisamente negativo espresso da Alfred Jeanroy sui trovatori - tra i quali Aimeric - vissuti a cavallo tra XII e XIII secolo, i quali, questo il parere dell’illustre studioso, «exploitaient un fond terriblement banal» 2 : perché il 1 s hepard / C haMBers 1950: 39. 2 j eanroy 1934, vol. II: 146. Paolo Gresti 166 Vox Romanica 79 (2020): 165-178 DOI 10.2357/ VOX-2020-008 testo è percorso da vocaboli o forme che paiono poco o per nulla presenti altrove nella lirica in lingua d’ oc , come condregz (v. 4), domengeiramens (v. 11), ancaps (v. 19), en prop (v. 33). Rarissima, e probabilmente indotta dall’imitazione, la forma enclitica dell’articolo femminile al caso obliquo (si veda la nota al v. 10). Il componimento di Aimeric è costituito di cinque coblas (schema metrico: a 10 a 10 b 10’ c 10 c 10 d 10 d 10 ) chiuse da una tornada (c 10 c 10 d 10 d 10 ) 3 ; il rimante del terz’ultimo verso di ogni cobla è costantemente mieus , mentre la rima del terzo verso (ima ) è estrampa , come si vede chiaramente dallo schema. La canzone Nulhs hom non es è parzialmente, e non sempre perfettamente, a coblas capfinidas : I-II: a mon poder (vv. 5-8), e enans verbo (vv. 6-8); II-III: no . us aus preyar (vv. 14-15); III-IV: concetto di morte per amore (vv. 20-21-22); IV-V: no sai bes per qu’ieu camjes mos mals (v. 27) e No sai nulh gaug per qu’ieu des ma dolor (v. 29). Stando al Répertoire métrique di István Frank, l’unico altro testo che presenta la medesima successione rimica è la canzone A mon vers dirai chanso di Raimbaut d’Aurenga ( BEdT 389.7) 4 , di tutti heptasyllabes , ma anch’essa con un solo verso femminile in terza posizione. La successione di sette décasyllabes con verso femminile in terza posizione è invece condivisa da Arnaut de Maruelh, A gran honor viu jois es cobitz ( BEdT 30.1) 5 ; lo schema rimico è tuttavia differente: abcdeff (F rank 870: 1, unico esempio). Per quanto riguarda le rime, l’ estrampa del terzo verso di ogni cobla , ima , compare anche, limitatamente al canzoniere di Aimeric, nella prima cobla di Ses mon apleich non vau ni ses ma lima (10.47); si ripetono i rimanti lima , prima , rima , escrima . Non sembra però possibile stabilire un legame tra 10.38 e la canzone scritta per Emilia di Ravenna 6 : debole è l’ipotesi di agganciare l’orgogliosa affermazione di capacità poetica che occupa la prima cobla di 10.47 alla consapevolezza di saper migliorare i fieus di Amore con l’arte poetica espressa qui al v. 3. La rima ieus è anche in S’ieu tan bes non ames (10.49), in cui sono presenti tutti i rimanti di Nulhs hom non es , con l’eccezione di fieus : si tratta di una canzone d’amore, con diversi punti di vicinanza a 10.38. Meno significative, e meno rare nel canzoniere di Aimeric, le altre due rime, -or e -als . Discussione stemmatica e edizione Nulhs hom non es è trasmessa da nove testimoni 7 : A ff. 136v b -137r a (naimerics depiguillan); C f. 93r b -v a (aymerics de pegulā); D ff. 69v b -70r a (Naimeric de pig.); E p. 83 3 È lo schema 200: 1 di F rank 1966. 4 Se ne veda l’edizione a cura di L. M ilone in RIALTO [http: / / www.rialto.unina.it]. 5 Si veda j ohnston 1935: 121. 6 Testo, traduzione e note a cura di F. s anGuineti in IdT [http: / / www.idt.unina.it/ corpus.htm]. 7 La canzone è edita in s hepard / C haMBers 1950: 187-89. 167 Vox Romanica 79 (2020): 165-178 DOI 10.2357/ VOX-2020-008 Sulla canzone Nulhs hom non es tan fizels vas senhor (aimeric depeguilla), F f. 54 (Namerics de peguillan); I f. 51r a (Naimerics de piguillan); K f. 37v a (Naimerics de piguillan); N ff. 152v ab -153r a (Naimeric depegulan); R f. 18r b (aim᷈ ic de pegulhan). La varia lectio non è molto ricca, e complessivamente omogenea. Shepard e Chambers disegnano il seguente stemma: e meno rare nel canzoniere di Aimeric, le altre due rime, -or e -als . Discussione stemmatica e edizione Nulhs hom non es è trasmessa da nove testimoni 7 : A ff. 136v b -137r a (naimerics depiguillan); C f. 93r b -v a (aymerics de pegulā); D ff. 69v b -70r a (Naimeric de pig.); E p. 83 (aimeric depeguilla), F f. 54 (Namerics de peguillan); I f. 51r a (Naimerics de piguillan); K f. 37v a (Naimerics de piguillan); N ff. 152v ab -153r a (Naimeric depegulan); R f. 18r b (aim᷈ic de pegulhan). La varia lectio non è molto ricca, e complessivamente omogenea. Shepard e Chambers disegnano il seguente stemma: F a D A IK C R E N Posto che in realtà non esiste un errore che possa testimoniare l’esistenza di un archetipo che riunisca sotto un unico cappello la globalità dei testimoni, le due famiglie disegnate dai filologi americani, ADF a IK da una parte e CENR dall’altra, esisterebbero in base alle lezioni dei vv. 24, 32 e 33. Il commento di Shepard e Chambers è il seguente: «neither reading is necessarily wrong, but it is clear that there were two rather different versions of the poem, which are preserved in these two families» (p. 189). Analizziamo, dunque, la situazione. Al v. 24 si oppongono be . m fora pres (ADIK; F a manca) e be . m n’agra pres (CENR; R ha in realtà agra ); al v. 32 abbiamo adoncs l’am (AIK), adoncs am (F a ; D manca) contro ladonc am (CNR; E manca); infine, al v. 33 qu’en breu (AF a IK; D manca) si oppone a q’en prop (CNR; E manca). Per quanto riguarda il v. 24, mi pare di poter dire che le due lezioni sono adiafore; ai vv. 32 e 33 i testimoni AF a IK presentano delle banalizzazioni di per sé poligenetiche: in effetti in entrambi i casi CNR hanno forme rare o molto rare (vedi le note relative) nella scrittura trobadorica che possono essere classificate come lectiones difficiliores , da cui le suddette banalizzazioni. Sono convinto che si debba rivedere, e comunque senz’altro smussare, la conclusione di Shepard e Chambers che ci siano due differenti versioni della canzone, rappresentate dalle due famiglie descritte, che in verità sono tutt’altro che dimostrate: i dati a nostra disposizione infatti non mi paiono andare in questa direzione con la sicurezza che sarebbe necessaria. La parte bassa dello stemma disegnato da Shepard e Chambers, pur presentando raggruppamenti che, in linea di massima, sono ben testimoniati in molta filologia provenzale, non manca di evidenziare alcune criticità. DF a sono accomunati, secondo gli editori di Aimeric, da un errore al verso 35: paor per temor . Considero valido questo legame, anche se non si può scartare a priori l’ipotesi che si tratti di una banalizzazione poligenetica: tanto paor quanto temor sono vocaboli molto ben testimoniati nella poesia trobadorica (e nel corpus di Aimeric), anche se il primo, stando alle COM2 , ha un numero di attestazioni di quasi quattro volte superiore rispetto al secondo. D’altra parte, la porzione di testo offerta da F a , la quinta cobla solamente, non permette altri avvicinamenti sicuri di questo testimone né a D, al quale del resto mancano i primi cinque versi di quella strofe, né ad altri codici. AIK farebbero gruppo per gli errori ai vv. 14, 26 e 32. Per quanto riguarda il v. 14 la lezione offerta dai tre testimoni non è errata (tant’è che in questa edizione è a testo), e potrebbe anche essere suffragata da E e D. La situazione è la seguente 8 : enguardaus hi C engardaus y R enguardas hi E esgardaus doncs N 9 esgardatz o AIK gardaz vos hi D Shepard e Chambers optano per la lezione di C, ma Chambers, annotando il verso, scrive: «Neither the reading 7 La canzone è edita in S HEPARD -C HAMBERS 1950: 187-89. 8 Qui e altrove, qualora ci siano più testimoni per la stessa lezione, la grafia è quella del primo manoscritto citato. 9 doncs è aggiunto nell’interlinea sopra la q del qu’eu seguente, maiuscola perché preceduta da un punto segna-verso; l’inserzione sembra dovuta alla medesima mano del copista. Posto che in realtà non esiste un errore che possa testimoniare l’esistenza di un archetipo che riunisca sotto un unico cappello la globalità dei testimoni, le due famiglie disegnate dai filologi americani, ADF a IK da una parte e CENR dall’altra, esisterebbero in base alle lezioni dei vv. 24, 32 e 33. Il commento di Shepard e Chambers è il seguente: «neither reading is necessarily wrong, but it is clear that there were two rather different versions of the poem, which are preserved in these two families» (p. 189). Analizziamo, dunque, la situazione. Al v. 24 si oppongono be . m fora pres (ADIK; F a manca) e be . m n’agra pres (CENR; R ha in realtà agra ); al v. 32 abbiamo adoncs l’am (AIK), adoncs am (F a ; D manca) contro ladonc am (CNR; E manca); infine, al v. 33 qu’en breu (AF a IK; D manca) si oppone a q’en prop (CNR; E manca). Per quanto riguarda il v. 24, mi pare di poter dire che le due lezioni sono adiafore; ai vv. 32 e 33 i testimoni AF a IK presentano delle banalizzazioni di per sé poligenetiche: in effetti in entrambi i casi CNR hanno forme rare o molto rare (vedi le note relative) nella scrittura trobadorica che possono essere classificate come lectiones difficiliores , da cui le suddette banalizzazioni. Sono convinto che si debba rivedere, e comunque senz’altro smussare, la conclusione di Shepard e Chambers che ci siano due differenti versioni della canzone, rappresentate dalle due famiglie descritte, che in verità sono tutt’altro che dimostrate: i dati a nostra disposizione infatti non mi paiono andare in questa direzione con la sicurezza che sarebbe necessaria. La parte bassa dello stemma disegnato da Shepard e Chambers, pur presentando raggruppamenti che, in linea di massima, sono ben testimoniati in molta filologia provenzale, non manca di evidenziare alcune criticità. DF a sono accomunati, secondo gli editori di Aimeric, da un errore al verso 35: paor per temor . Considero valido questo legame, anche se non si può scartare a priori l’ipotesi che si tratti di una banalizzazione poligenetica: tanto paor quanto temor sono vocaboli molto ben testimoniati nella poesia trobadorica (e nel corpus di Aimeric), anche se il primo, stando alle COM2 , ha un numero di attestazioni di quasi quattro volte superiore rispetto al secondo. D’altra parte, la porzione di testo offerta da F a , la quinta cobla solamente, non permette altri avvicinamenti sicuri di questo testimone né a D, al quale del resto mancano i primi cinque versi di quella strofe, né ad altri codici. Paolo Gresti 168 Vox Romanica 79 (2020): 165-178 DOI 10.2357/ VOX-2020-008 AIK farebbero gruppo per gli errori ai vv. 14, 26 e 32. Per quanto riguarda il v. 14 la lezione offerta dai tre testimoni non è errata (tant’è che in questa edizione è a testo), e potrebbe anche essere suffragata da E e D. La situazione è la seguente 8 : enguardaus hi C engardaus y R enguardas hi E esgardaus doncs N 9 esgardatz o AIK gardaz vos hi D Shepard e Chambers optano per la lezione di C, ma Chambers, annotando il verso, scrive: «Neither the reading nor the interpretation is certain. Should we read, with AIK , Esgardatz o ? » (p. 189); il dubbio, lecito, è di per sé la prova che si deve stralciare il v. 14 dall’esiguo dossier di errori che testimonierebbero l’esistenza della sottofamiglia AIK. L’errore del v. 26 ( dompna lo mals totz vs totz temps lo maltraitz ) è probante, mentre al v. 32 l’am per am potrebbe anche essere un errore poligenetico. A parte il debole v. 36 ( chansos , a testo nell’edizione americana, per chanson ) Shepard e Chambers non prendono in considerazione il v. 31, dove tutti i testimoni (ma DE mancano) hanno quom plus Amors per vos briz’e . m lima , mentre AIK leggono … per vos m’abrassa e . m lia (A), … per vos Amors brus’e . m lima (I), … per vos me brus’e . m lima (K). Lasciando pure da parte l’errore in rima di A e la ripetizione di amors in I, i tre testimoni sono accomunati dall’aver sostituito briz(a) : IK con brus(a) , A con m’abrassa , il quale, se da un lato può aver trascinato l’erroneo rimante lia (che peraltro compare due volte nel corpus di Aimeric: in 10.12, v. 13 e in 10.15, v. 22), dall’altro può giocare sull’equivoco con se abrazar ‘s’embraser’, ‘se réduire en braise’. In ogni caso, AIK frantumano la metafora originaria. Shepard e Chambers non sentono il bisogno di provare l’esistenza della nota e consolidata coppia IK; è ben vero che la varia lectio di questa canzone non offre molto: basterà segnalare la grafia mes cabs per mescaps al v. 19 e la variante ges per bes al v. 27. CR sarebbero legati da due errori, uno al v. 22 e uno al v. 36. Per quanto riguarda il primo, si tratta di mesclamens per mesclamen , che non può essere elevato al rango di errore, giacché la cosiddetta s avverbiale è sempre possibile 10 ; tant’è che viene ignorato il domengeiramens del v. 11 trasmesso da ADIKNR (pur se con minime varianti), qui messo a testo, che si oppone al domengeiramen di CE. Per quanto ri- 8 Qui e altrove, qualora ci siano più testimoni per la stessa lezione, la grafia è quella del primo manoscritto citato. 9 doncs è aggiunto nell’interlinea sopra la q del qu’eu seguente, maiuscola perché preceduta da un punto segna-verso; l’inserzione sembra dovuta alla medesima mano del copista. 10 Cf. j ensen 1994: § 624. 169 Vox Romanica 79 (2020): 165-178 DOI 10.2357/ VOX-2020-008 guarda il secondo errore, invece, presumo che la segnalazione del v. 36 - dove c’è la semplice opposizione di chanso(n) (CENR) a chansos (AIK), si veda la nota al verso - sia una svista per il v. 37, luogo nel quale CR hanno l’erroneo ton senhor per il corretto tos seigner di AIK (D omette la tornada ): qui infatti è necessario il caso soggetto. Shepard e Chambers non segnalano, però, che l’errore lega CR a E (N ha l’ibrido ton segners ). Non ci sono altre spie significative del legame tra C e R, se non il v. 14, del quale si è già parlato, che potrebbe aggiungersi alla lista - ma che Shepard e Chambers hanno messo a testo. Quanto a EN, i due testimoni sono accomunati dall’inversione dei rimanti ai vv. 8 e 9 ( honor e valor ); è possibile assumere questo scambio come una prova della discendenza di EN da un medesimo esemplare, anche se i due vocaboli, in contesti simili a quello della canzone di Aimeric, possono essere ampiamente interscambiabili: la coppia pretz et honor , per esempio, che in EN si presenta al v. 9 (in luogo di pretz et valor ), non sarebbe certo inedita, eventualmente abbinata ad altri elementi, anche allo stesso valor . La disponibilità di entrambi i sostantivi nella memoria di qualsiasi copista di testi trobadorici potrebbe far perdere forza probatoria all’inversione. Credo, infine, che possa valere la pena di porre attenzione a un luogo trascurato da Shepard e Chambers, benché si rimanga, probabilmente, nell’ambito della banalizzazione potenzialmente poligenetica; al v. 23 la situazione è la seguente: loqual dams ai peior ACR (A legge lacal ) local dans ai p. EN (E legge es per ai ) local dan ai p. DIK Pare chiaro che, al di là della presenza o meno della s , la lezione di DIK e quella di EN rappresentino la medesima risposta al d’ams di ACR, che è da considerare corretta. Errore, appunto, poligenetico? È possibile e forse probabile. Una volta descritto lo stemma, Shepard e Chambers chiosano: «Unfortunately, other variants do not accommodate themselves so well to this classification. According to lines 12, 15 we should have a group DE, to which A is added in 13; and, likewise in line 13 ( viratz , vairatz ), AD stand against all other MSS. Can chance or contamination of sources account for these discrepancies? Possibly so. In any case, the relationship are not entirely sure» (p. 189). Per quanto riguarda il v. 12, si tratta dell’inversione dona no son (DE) vs non sui domna degli altri testimoni; e un’inversione, a inizio di cobla , è anche al v. 15: Preiar no.us aus vs No . us aus preyar , che lega meglio in capfinidat l’inizio della terza strofe con la fine della seconda. La medesima tipologia di errore è anche al v. 13, dove A legge non sui en ren e DE no . us son de re contro en ren non sui degli altri testimoni. Come si vede si tratta di piccole questioni - le inversioni di elementi minimi non hanno di per sé grande valore ecdotico - che non mutano il quadro di complessiva omogeneità di cui scrivevo all’inizio. Né riescono a mutarlo altri minimi avvicinamenti: al v. 3 AN hanno chansos al plurale vs Sulla canzone Nulhs hom non es tan fizels vas senhor Paolo Gresti 170 Vox Romanica 79 (2020): 165-178 DOI 10.2357/ VOX-2020-008 chanso degli altri testimoni; al 19 DN leggono vostre (che un po’ a sorpresa Shepard e Chambers mettono a testo) contro vostr’es . L’accordo di A e R al v. 10 ( tro la sima ) deve considerarsi casuale, determinato dalla difficoltà grammaticale della quale si discute nella nota al verso; del resto in questo luogo si è generata nella tradizione manoscritta una moderata diffrazione: tro . l al sima (E), tro que . l (qu’el ? ) sima (N), tro a la cima (D), con ipermetria. Ininfluenti per la classificazione dei testimoni, infine, le lacune e le omissioni: E tralascia la quinta cobla , mentre D, oltre a essere l’unico a non trasmettere la tornada , omette i vv. 27-33, cioè gli ultimi due della quarta cobla e i primi cinque della successiva: l’ammanco è senza dubbio originato da un saut du même au même , visto che il rimante tanto del v. 26 quanto del v. 33 è mieus . Anche la mia edizione, come già quella di Shepard e Chambers, si basa ampiamente su C, testimone dal quale mi discosto al v. 14, dove seguo A, e al v. 24, dove seguo ADIK; abbandono C e il suo raggruppamento, seguendo del resto Shepard e Chambers, anche al v. 37. Di altri minimi scostamenti dall’edizione precedente si dà conto nelle note ai versi; solo sporadicamente si segnalano divergenze interpuntive. La grafia è quella di C (ai vv. 14, 24 e 37 è quella di A) 11 . I Nulhs hom non es tan fizels vas senhor qu’ieu non sia plus fizels vas Amor, non solamen en chanso ni en rima, mas en totz faitz tenc condugz son rix fieus 5 a mon poder, e . ls enans plus que . ls mieus, que . l sieus enans es mos majers jornals. Aissi . lh sui fis denan los plus leyals. II A mon poder li enans sa honor, e a midons son pretz e sa valor, 10 qu’al sieu servir sui dels pes tro qu’a . l sima; aissi sui totz domengeiramens sieus que non sui, domna, d’autrui ni mieus, e pus en ren non sui voutitz ni fals, esgardatz o, que no . us aus preyar d’als. III 15 No . us aus preyar ni . m puesc virar alhor, aissi cum selh que s’espert per paor, que non fier colp ni guandis a l’escrima; 11 L’apparato raccoglie solo le varianti di sostanza, non anche quelle semplicemente formali.