eJournals Vox Romanica 81/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
10.2357/VOX-2022-001
Es handelt sich um einen Open-Access-Artikel, der unter den Bedingungen der Lizenz CC by 4.0 veröffentlicht wurde.http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/121
2022
811 Kristol De Stefani

Le rime di/del Saladino

121
2022
Nicólo Premihttps://orcid.org/0000-0003-4864-7594
L’article présente la première édition critique du corpus poétique (deux ballades et un sonnet) que les manuscrits de la littérature italienne des origines attribuent à Saladino. L’édition est précédée d’une étude introductive qui s’interroge d’abord sur l’identité du poète, en apportant de nouveaux éléments en faveur de la possible origine pisane de Saladino. L’article illustre ensuite la tradition manuscrite et la culture poétique du poète dans laquelle on peut reconnaître des éléments traditionnels de dérivation occitane et sicilienne. En abordant le genre de la ballade, cependant, l’auteur de cette contribution montre quelques éléments novateurs qui anticipent l’expérience stilnoviste. Le texte critique repose sur l’analyse de la tradition manuscrite dans son ensemble et chaque texte est suivi d’un commentaire.
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1 Le rime di/ del Saladino DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 Le rime di/ del Saladino Nicolò Premi (Università di Verona) https: / / orcid.org/ 0000-0003-4864-7594 Résumé: L’article présente la première édition critique du corpus poétique (deux ballades et un sonnet) que les manuscrits de la littérature italienne des origines attribuent à Saladino. L’édition est précédée d’une étude introductive qui s’interroge d’abord sur l’identité du poète, en apportant de nouveaux éléments en faveur de la possible origine pisane de Saladino. L’article illustre ensuite la tradition manuscrite et la culture poétique du poète dans laquelle on peut reconnaître des éléments traditionnels de dérivation occitane et sicilienne. En abordant le genre de la ballade, cependant, l’auteur de cette contribution montre quelques éléments novateurs qui anticipent l’expérience stilnoviste. Le texte critique repose sur l’analyse de la tradition manuscrite dans son ensemble et chaque texte est suivi d’un commentaire. Parole chiave: Saladino, Stilnovo, Ballata, Poeti siculo-toscani, Scuola siciliana A un rimatore che risponde al nome di Saladino (nelle rubriche anche el Saladino o il Saladino ) i manoscritti della lirica italiana antica attribuiscono due ballate e un sonetto. La ballata Messer, lo nostro amore (P 106) e il sonetto E’ vo e vegno, né mi parto d’iloco (P 175) sono unicamente attestati nel ms. Banco Rari 217 (P); la ballata Tanto di fino amore son gaudente (P 105), invece, oltre che in P, si legge anche nel ms. Chigiano L.VIII.305 (Ch), nel Magliabechiano VII.1208 (Mg 2 ) e nel ms. 332 della Bibliotecas Universitaria y de Santa Cruz di Valladolid (Vl) 1 . 1. Identificazione Il pronunciamento più significativo sulla possibile identificazione del poeta è quello contenuto nella Crestomazia italiana dei primi secoli di E. Monaci e F. Arese 2 . I due studiosi revocano in dubbio la denominazione «Saladino da Pavia» che si legge in 1 Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Banco rari 217 (ex Palat. 418); Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. L.VIII.305; Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magl. VII.1208; Valladolid, Bibliotecas Universitaria y de Santa Cruz, 332. 2 Monaci/ Arese (1955: 239). 2 Nicolò Premi DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 alcuni editori ottocenteschi 3 , giacché non trova fondamento nelle rubriche dei manoscritti, e si concentrano piuttosto su fonti storiche toscane. Due sono le ipotesi di identificazione avanzate da Monaci e Arese, entrambe estratte dalla cronaca di Guidone da Corvaria, Historiae pisanae fragmenta : un «Saladinus notarius cancelleriae», attestato a Pisa nel 1270, e un «Saladinus notarius de Acqui» che fu tra i «legati pisani al concilio di Lione nel 1275» 4 . In entrambi i casi si suppone quindi la patria pisana. A queste piste documentarie si sono aggiunte, in anni più recenti, ipotesi ulteriori scaturite dallo studio codicologico e linguistico del canzoniere Palatino. Valentina Pollidori, nell’ambito del suo studio linguistico volto ad accertare i caratteri pistoiesi della lingua del manoscritto, afferma che la supposta origine pisana di Saladino «non sembra supportata da alcun dato linguistico» 5 , e avanza piuttosto l’ipotesi per il rimatore di «una patria non molto lontana da quella dello stesso copista di P», dunque Pistoia. La tesi di Pollidori fa sistema con i risultati degli studi di Giancarlo Savino che ipotizza anche per ser Pace - rimatore avvicinabile a Saladino e vero protagonista, nonché possibile allestitore, della sezione di sonetti di P - origini pistoiesi 6 . Accanto a questo dibattito, che vede opporsi indizi documentari e ipotesi linguistiche e codicologiche, merita una menzione anche la possibile identificazione del rimatore (riportata da Monaci e Arese) con il personaggio di nome Saladino di cui si racconta nel capitolo XL del Novellino 7 . Nell’aneddoto che lo vede protagonista, Saladino si trova alla corte di Sicilia, è definito «uomo di corte», viene menzionato anche come «il Saladino» come nelle rubriche dei manoscritti e sembrerebbe interpretabile come giullare o comunque come brillante motteggiatore. Vista la frequentazione della corte sveva da parte di vari rimatori, l’identificazione, benché puramente ipotetica, non sembra insensata. Alle diverse ipotesi in campo si può ora apportare qualche elemento di novità. In un articolo recente di Antonio Forci, infatti, si fa il punto sulla diffusione in Italia nel XIII secolo dell’antroponimo Saladino, di chiara matrice araba 8 . Dalla ricerca di Forci si apprende che non solo molte famiglie italiane portavano il cognome di Saladini (la supposta origine pavese non ha dunque motivo di prevalere su altre casate italiche comunque possibili), ma anche che Saladino è assai diffuso come antro- 3 Villarosa (1817: 536), Nannucci (1843: 195), Zambrini (1857: 319), Palermo (1860: 104). 4 Monaci/ Arese (1955: 239). I documenti si leggono in Muratori (1738: 677 e 682). 5 Pollidori (2001: 383). 6 Su ser Pace come regista del canzoniere Palatino cf. Savino (2001: 305-06); sulle possibili origini pistoiesi di Pace cf. Savino (2001: 314-15) e, da ultimo, (Premi 2021: 61-62): ser Pace sarebbe da identificare, secondo le ultime ricerche, con Pace Paci, giurista di formazione bolognese (collega di Francesco d’Accursio) e podestà a Pistoia. Per una sintesi dei supposti legami tra Saladino e Pace cf. Premi (2016: 15s). 7 Cf. Conte (2001: §XL); l’ipotesi di identificazione con il personaggio del Novellino è già in Manni (1778: 169). 8 Cf. Forci (2014). 3 Le rime di/ del Saladino DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 ponimo in quasi tutte le regioni della penisola, soprattutto in famiglie nobili o di una certa distinzione sociale. Il successo del nome era dovuto alla fama del sultano che, uomo liberale e magnanimo, aveva restituito la libertà «a molti cavalieri cristiani caduti nelle sue mani dopo il riscatto pagato dal papa Lucio III» 9 . Oltre che nome di battesimo o cognome, poi, Saladino «poteva anche essere un nomen iocosum , un nomignolo cioè derivato dal ricordo del cavalleresco sultano e delle sue leggendarie imprese presso i popoli occidentali» 10 . Sembrerebbe quest’ultimo il caso del personaggio cui si riferisce l’aneddoto del Novellino , ma nulla vieta che un nome di battesimo potesse essere interpretato come nomignolo e che dunque un uomo di nome Saladino potesse essere appellato (specie da un rubricatore) come il Saladino . Tra le numerose occorrenze del nome nei documenti, viste le sedi manoscritte che recano i testi del rimatore, mi pare saggio orientarsi su fonti toscane, come già Monaci e Arese. Dallo spoglio di Forci risulta che in Toscana il nome era diffuso nel XIII secolo soprattutto a Pisa, Siena e Lucca. Degna di nota è in particolare la menzione della nobile famiglia Saladini dei conti d’Agnano Castello di Volterra (Pisa) 11 . Per quanto resti sostanzialmente indecidibile la questione se Saladino sia da intendere come un nome di battesimo, di casato o un nomen iocosum , nel dibattito attorno all’identificazione del rimatore è finora sfuggito un dettaglio. Tra gli ambasciatori pisani inviati al concilio di Lione del 1275, infatti, accanto al nome di «Saladinus notarius de Acqui», già indicato da Monaci e Arese, compare anche quello di «Gallus judex Agnelli», che, secondo Adolf Gaspary, sarebbe una sola persona con il rimatore Galletto Pisano, attestato anche in P 12 . È vero che da ultimo Marco Berisso consiglia giustamente un «prudente scetticismo» 13 circa la proposta del Gaspary sull’identità di Galletto, tuttavia l’ipotesi non è irragionevole (Zaccagnini e Cristiani, ad esempio, la ritenevano accettabile) 14 , anche, segnatamente, alla luce della presenza dei due nomi «Gallus» e «Saladinus» nella cronaca di Guidone da Corvaria, in qualità di ambasciatori del proprio Comune; benché si tratti di due nomi entrambi molto diffusi, questo dato documentario potrebbe in qualche modo rafforzare vicendevolmente, accomunandole, le due ipotesi identificative. Del resto, non solo numerosi poeti antichi furono notai, giudici o uomini di legge, ma si dà anche il caso di rimatori toscani, impegnati nella vita civile dei propri comuni, citati insieme nello stesso documento. Ne sono un esempio il fiorentino Guglielmo Beroardi, giudice e notaio inviato dal Comune di Firenze come ambasciatore presso Corradino di Svevia, 9 Forci (2014: 70). Forci ha realizzato un censimento del nome Saladino nei documenti medievali tra XIII e XIV sec. di varie regioni d’Italia: Veneto, Trentino, Liguria, Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Sicilia, Sardegna. 10 Forci (2014: 70). 11 Cf. Forci (2014: 72-74). 12 Cf. Gaspary (1887: 67, 423). 13 PSS / 3: 4. 14 Cf. Zaccagnini (1917: 1-8) e Cristiani (1955: 7-26). 4 Nicolò Premi DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 e il fiorentino Puccio Bellondi, entrambi citati nello stesso atto di quietanza del 1266, il primo come testimone, il secondo come firmatario 15 . Del resto, questa ipotesi su base documentaria non è a mio parere meno probabile di quella formulata su basi linguistiche da Valentina Pollidori. Anzi, la presenza di tratti pistoiesi nei testi di Saladino non mi pare così significativa da indebolire o compromettere l’ipotesi pisana. In particolare, la studiosa argomenta che la concentrazione delle forme so in luogo di suo , tipicamente pistoiesi, negli ultimi fascicoli di P potrebbe dipendere più che dal copista dagli stessi autori, «forse non così ‹puramente› fiorentini come si è giudicato finora» 16 . Se ciò può valere forse per ser Pace, nei cui testi si registrano otto occorrenze di so contro le quattro di suo , il dato mi sembra meno sintomatico nel caso di Saladino nei cui testi si rileva solo una occorrenza di so (P 105, v. 32) contro due di suo (P 105, v. 15 e 29). Vero è che Pollidori elenca anche una serie di altre tracce «possibilmente anche pistoiesi» 17 nei testi di Saladino: il pronome personale tonico di terza persona singolare elle (P 105, v. 25) per ‘ella’ che «costituisce un tratto specifico della zona Lucca-Pistoia-Prato»; le forme laund’ (P 105, v. 6), cumiato e curuciate (P 106, v. 18, 23, e 17) che presentano tratti del vocalismo atono dei dialetti occidentali; le desinenze di seconda persona singolare del presente indicativo in e nei verbi della prima classe ( cure per ‘tu curi’, P 106, v. 12) e le desinenze in e per la stessa persona del presente congiuntivo delle altre classi ( aggie per ‘tu abbia’ e sacelo per ‘sappilo’, P 106 v. 34 e 39) che sono soltanto fiorentine e pistoiesi. La studiosa argomenta che «la concentrazione e la sistematicità dei citati tratti invita a considerarli come d’autore» 18 . Mi sembra però un po’ arrischiato parlare di sistematicità per tali occorrenze. Da un lato, infatti, come nota la stessa Pollidori, nessuno degli altri testimoni di P 105 riporta i tratti segnalati. Il caso di elle in particolare è molto incerto perché si legge ad esempio anche nel siciliano Ruggieri d’Amici (P 31, v. 40) dove sicuramente non è d’autore. In più in P 106 si dànno anche controesempi come cominciato (ai v. 2 e 6) e ond(e) (v. 9) che relativizzano il peso delle altre occorrenze. I casi più interessanti potrebbero essere quelli di morfologia verbale, ma resta il fatto che l’esiguo campione testuale non consente di raccogliere un insieme di dati a tal punto significativo da far escludere qualsiasi altra ipotesi identificativa non basata su dati linguistici. Ciò detto, non è comunque del tutto derubricabile l’idea che Saladino possa essere stato un giullare. Ma forse si potrebbe precisare. Si potrebbe estendere, in particolare, anche a Saladino la categoria di «giullare sofisticato» proposta ad esempio per Compagnetto da Prato 19 . Ma anche l’identificazione con il personaggio del Novellino non può essere liquidata troppo facilmente se si pensa al caso potenzialmen- 15 Cf. PSS / 3: 281. 16 Pollidori (2001: 384). 17 Pollidori (2001: 383). 18 Pollidori (2001: 383). 19 Cf. PSS / 3: 29. 5 Le rime di/ del Saladino DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 te simile di Megliore degli Abati, citato nella novella LXXX come figura mondana di motteggiatore 20 . Le difficoltà nel dare una fisionomia storica precisa al nome Saladino che troviamo nelle rubriche sono insomma le stesse che si incontrano per altri rimatori toscani. Penso ad esempio a Inghilfredi, nel cui identikit troviamo sia argomenti onomastici (la diffusione del nome Inghilfredi a Lucca e nell’Italia settentrionale), sia linguistici (tratti lucchesi o genericamente toscano-occidentali), entrambi solo parzialmente convincenti 21 . Anche nel caso di Saladino siamo di fronte a varie ipotesi, ciascuna a suo modo verosimile. Cionondimeno l’idea della patria pisana, vista la co-occorrenza, mai finora segnalata, dei nomi di Saladino e Galletto nello stesso documento, mi pare comunque ammissibile, malgrado gli studi più recenti si siano indirizzati verso l’origine pistoiese. In ogni caso però non si hanno ancora elementi sicuri per l’identificazione ed è consigliabile mantenere una certa prudenza. Restano dunque indispensabili, per tentare perlomeno una collocazione cronologica plausibile, le informazioni ricavabili dalla recensio e dalla lettura dei testi. 2. Tradizione manoscritta Il canzoniere Palatino è l’unico manoscritto che raccoglie tutta la produzione a noi nota tramandata sotto il nome di Saladino. Le due ballate si trovano in posizione rilevata, in apertura del fascicolo IX del canzoniere (cc. 63r°-v°), che contiene la sezione dedicata al genere della ballata. Il sonetto è trascritto invece verso la fine del fascicolo X (cc. 77v°-78r°), dedicato ai sonetti, e si inserisce nella lunga serie di componimenti di ser Pace e dei rimatori che tenzonano con lui. Il corpus sonettistico di ser Pace e dei suoi interlocutori occupa le ultime carte del codice (cc. 75r°-78v°) ed è interrotto soltanto in tre casi: alla c. 75r°, dopo la tenzone di Pace con Dello da Signa (due soli sonetti) e prima di quella con Federigo dell’Ambra (otto sonetti), viene inserito il sonetto doppio anonimo Levandomi sperança (che qualcuno attribuisce a Dello); alle cc. 76v°-77r°, tra i due sonetti di Pace In vista oculto e Virgo benigna , si trovano due sonetti anonimi in P, Feruto sono e Al’aire kiaro , da assegnare, com’è noto, a Bonagiunta e a Giacomo da Lentini; alle cc. 77v°-78r°, infine, si trova il sonetto di Saladino. Quest’ultimo è dunque inglobato nel corpus di Pace: segue il sonetto Nessum pianeto e precede la tenzone di Pace con Ricco da Firenze. La collocazione dei componimenti nel manoscritto non è casuale. Per prima Daniela Ogno ha notato che la posizione incipitaria nella raccolta ballatistica di P della ballata Tanto di fino amore di Saladino potrebbe essere messa in relazione con la 20 Cf. PSS / 3: 410. 21 Cf. PSS / 3: 494. 6 Nicolò Premi DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 posizione finale nel fascicolo occupata dalla cavalcantiana Fresca rosa novella 22 . Scrive Ogno: Ciò che accomuna i due testi […] non si riduce al fatto che sono ballate stravaganti (unici casi all’interno del corpus fatta eccezione per l’anonima In luntana contrada ) e alla pur significativa corrispondenza del numero e delle proporzioni delle mutazioni, ma coinvolge anche il numero delle strofe, tre in entrambi i casi 23 . Secondo la studiosa è possibile che la posizione dei due componimenti e le loro caratteristiche simili «possano aver significato per il copista (o l’ideatore) del manoscritto tratti di prestigio ed esemplari rispetto alla struttura del genere ballata» 24 . Saladino e Cavalcanti, dunque, sarebbero stati proposti come modelli straordinari per un tipo di componimento che, proprio con il canzoniere Palatino, si affaccia per la prima volta come genere metrico autonomo nel panorama della letteratura del Duecento. Che la compagine testuale di P sia perfettamente «coesa e cosciente» 25 è, del resto, acquisizione degli studi più recenti sul codice. Da ultimo mi pare molto notevole quanto notato da Paola Allegretti Gorni che rileva che «i versi terminali delle tre sezioni codicologiche che raccolgono le tre tipologie metriche» 26 contengono tutti una menzione della morte 27 . Questa notazione dimostra chiaramente una volta di più la consapevolezza delle scelte di ordinamento dei componimenti nel canzoniere da parte del suo allestitore. Se la collocazione delle due ballate in apertura della sezione ballatistica è da leggere come proposta modellizzante per il genere in rapporto con il rinnovamento cavalcantiano, anche la posizione del sonetto non sarà accidentale. Ho già avuto modo di illustrare in un mio precedente articolo i rapporti di affinità che è possibile ipotizzare tra le ballate di Pace e Saladino, essendo il secondo un possibile modello per il primo 28 . In quell’articolo notavo anche che Saladino e Pace (e con loro Bonagiunta) sono gli unici rimatori ospitati con un loro testo sia nel fascicolo IX delle ballate, sia nel fascicolo X dei sonetti. Ma la posizione del sonetto di Saladino sembrerebbe aggiungere un elemento ulteriore ai punti di contatto tra i due poeti. Il sonetto di Pace Nessum pianeto , che precede E’ vo e vegno , è infatti un componimento ad enigma: contiene quello che la rubrica definisce «nome secreto», ossia una crittografia da decifrare secondo la tradizione del devinalh provenzale. Il sonetto 22 In realtà l’ultima ballata della sezione è di Onesto da Bologna ma si tratta di un doppio: la ballata è copiata, priva di una stanza, prima di Fresca rosa novella , quindi viene trascritta nuovamente di seguito, forse attingendo da un altro modello, per rimediare all’omissione; cf. in proposito (Ogno 2014: 3 N23) . 23 Ogno (2014: 3). 24 Ogno (2014: 4). 25 Berisso (2012: 29 N1). 26 Allegretti Gorni (2017: 21). 27 L’ultima menzione della morte si trova nel sonetto di ser Pace che chiude la raccolta (P 180). 28 Cf. Premi (2016: 15s). 7 Le rime di/ del Saladino DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 nasconde un acrostico: i capilettera dei v. 1, 4, 5, 8, 9, 11, 12, 14 (il primo e l’ultimo verso di ogni quartina e di ogni terzina) formano il nome «Narducio», presente anche nei sonetti P 167 e P 171 di ser Pace. Questa tipologia retorica corrisponde alle cosiddette coblas rescostas provenzali di cui parlano le Leys d’Amors 29 . È molto significativo dunque che anche il successivo sonetto di Saladino, come già aveva notato Santangelo 30 , rimandi alla tradizione del devinalh provenzale: il componimento si costruisce infatti su una serie di opposita secondo un procedimento che si trova ad esempio anche in Giraut de Bornelh, Un sonez fatz ( BdT 242.80), in Ruggeri Apugliese, Umile sono ed orgoglioso e, in Toscana, in Chiaro Davanzati, Io porto ciò che porta , in Inghilfredi, Poi la noiosa erranza e nella canzone anonima, attestata unicamente nel canzoniere Vaticano, Giamai null’om nonn-à sì gra·richezze 31 . La soluzione del non-senso delle antitesi è svelata nel verso finale del sonetto che chiarisce il motivo dello stato di confusione in cui è caduto il poeta: «amore m’è tornato in amarore». È opportuno notare che il sonetto di Saladino non si riduce, come nel caso, ad esempio, della citata canzone Giamai null’om , a un «mero artificio, esaurendosi in una semplice enumerazione di antitesi» 32 , ma conserva il carattere originario del genere del devinalh che deve contenere «indicazioni per la soluzione del ‹non-senso›» 33 . Tra i sonetti del «nome secreto» di Pace e il sonetto di Saladino si registra quindi un’affinità di gusto per i devinalh alla provenzale, che godettero probabilmente di una certa fortuna in Toscana 34 . L’inserimento di E’ vo e vegno proprio in quel punto si spiega con la volontà di avvicinare due sonetti basati su artifici retorico-enigmistici; e se concordiamo con l’ipotesi che Pace sia il responsabile dell’allestimento di P, dobbiamo supporre che abbia voluto avvicinare i suoi componimenti al sonetto di quello che riteneva forse un maestro o un sodale. Ricapitolando, dalla collocazione dei componimenti di Saladino in P possiamo trarre due conclusioni principali. In primo luogo, la posizione delle ballate (in particolare la prima) qualifica il nostro rimatore come possibile modello per il neonato genere della ballata e in probabile rapporto con la ricerca metrica di Cavalcanti. In secondo luogo, il sonetto è un esempio evidente di cultura provenzaleggiante del devinalh tipicamente toscana che si apparenta con rimatori come ser Pace, Inghilfredi e Chiaro. Il resto della recensio fornisce qualche altro elemento utile per meglio definire il profilo di Saladino. Come ho già accennato, la ballata Tanto di fin amore è attestata 29 Cf. per approfondimenti Berisso (2010) e Fedi (2003). 30 Cf. Santangelo (1928: 242). 31 Sul genere de oppositis si vedano i rimandi bibliografici contenuti in PSS / 2: 646-47. Alla bibliografia lì proposta si aggiunga almeno Pasero (1968). 32 Menichetti (1965: 257-58). 33 PSS / 3: 634. 34 Una fortuna simile si ebbe anche in Catalogna se pensiamo al devinalh morale di Jordi de Sant Jordi, Tots jorns aprench . 8 Nicolò Premi DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 anche in altri tre manoscritti. Nel Chigiano è copiata a chiusura di una sezione di varie canzoni e ballate di autori duecenteschi (cc. 78r°-84r°), esattamente dopo le canzoni La benaventurosa inamoranza e Lo core inamorato di Mazzeo di Ricco. Dopo la ballata di Saladino ha inizio poi una serie di sonetti di Cino da Pistoia interrotta dal sonetto Tempo vene che sale chi discende di Re Enzo. Anche nel ms. Magliabechiano la ballata si trova alle cc. 25r°-26r°, in una sezione dedicata a vari autori duecenteschi, in particolare, come in Ch, ancora dopo un componimento di Mazzeo di Ricco ( La benaventurosa inamoranza ) e prima del sonetto Tempo vene che sale chi discende . La sezione di Mg in cui si trova la ballata di Saladino (cc. 23r°-29v°) è incorniciata dalle ballate di Lapo Gianni (cc. 19v°-23r°) e dai sonetti di Guinizzelli (cc. 30r°-31r°). Nel manoscritto di Valladolid, infine, si trova in una sezione di canzoni e sonetti di vari rimatori duecenteschi e anche in questo caso segue La benaventurosa inamoranza e precede il sonetto Tempo vene . La collocazione di Tanto di fin amore nei codici Ch, Mg e Vl consente di svolgere alcune considerazioni. La presenza della ballata in queste sillogi stilnoviste parrebbe corroborare l’ipotesi che essa rappresentasse un modello per il genere ballatistico nel suo sviluppo cavalcantiano e stilnovistico. La posizione liminare della ballata in Ch fa il paio poi con la posizione incipitaria che occupa in P e potrebbe spiegarsi considerando la sua stravaganza metrica. D’altro canto, l’accostamento a rimatori siciliani sembrerebbe qualificare Saladino come rimatore chiaramente sicilianeggiante e di qua dal «nodo». La vicinanza con la canzone Lo core inamorato , in particolare, mi pare significativa perché suggerisce un confronto con l’altra ballata di Saladino. Questa canzone di Mazzeo è un contrasto amoroso (è la definizione che dà di questo genere Antonia Arveda 35 ) in forma di canzone «a strofi affidate alternativamente a voce maschile e femminile» 36 ( Donna e Messere ) che può essere riconosciuto come modello per vari contrasti successivi come l’anonima Nonn-aven d’allegranza conservata nel solo canzoniere Vaticano, la canzone Donna, la disïanza di Chiaro Davanzati sempre a coblas tensonadas e la ballata dialogata di Dante da Maiano Per Deo, dolze meo sir . A questo elenco può essere senz’altro aggiunta la seconda ballata di Saladino, Messer, lo nostro amore , edita appunto da Arveda nel suo repertorio di contrasti amorosi nella poesia italiana antica. La canzone di Mazzeo di Ricco è simile alla ballata di Saladino sul piano strutturale del contrasto a coblas tensonadas , ma dal punto di vista tematico si colloca tra i contrasti del corpus siciliano che sviluppano il tema della «separazione/ lontananza tra due amanti che si promettono fedeltà» 37 . La ballata di Saladino è invece tematicamente più avvicinabile, ad esempio, alla canzone a dialogo Donna, di voi mi lamento di Giacomino Pugliese dove la donna, come in Messer, lo nostro amore , rassicura l’amante sfiduciato, anche se si registrano due differenze: innanzitutto i ruoli 35 Cf. Arveda (1995). 36 PSS / 2: 671. 37 Ravera (2019: 860). 9 Le rime di/ del Saladino DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 sono invertiti perché in Giacomino la lamentela parte dall’uomo; inoltre, in Saladino, con un colpo di scena finale, l’uomo rinuncia all’amore della donna 38 . Da queste inferenze particolari, a partire soprattutto dalla collocazione di Tanto di fin amore nei codici, si possono proporre conclusioni più generali. L’inserimento di questo testo in sillogi stilnoviste sarà da intendersi soltanto come riconoscimento di un modello autorevole e influente per il genere ballatistico su un piano squisitamente metrico. Del resto, la cultura poetica dell’autore sembra aderire nettamente a un sentire poetico sicilianeggiante e provenzaleggiante che sarà stato percepito dalla sensibilità stilnovistica come chiaramente di vecchia maniera. Per meglio comprendere i termini di questo posizionamento tra sensibilità arcaica e presentimenti di un clima culturale in mutazione è necessario indagare più nello specifico la cultura poetica di Saladino. La penuria del corpus del rimatore consentirà di trarre soltanto conclusioni generali e ipotetiche, ancorché utili, quantomeno come ipotesi di lavoro, a orientare operativamente l’analisi dei testi. 3. Cultura poetica Le scelte metriche sono il primo elemento da valutare per indagare la cultura poetica del rimatore. In particolare, il metro della ballata Tanto di fino amore presenta vari elementi di eccentricità che ne denunciano la rilevanza nel repertorio prestilnovistico. In primo luogo, si tratta, come già visto, di una ballata stravagante. Nella sezione ballatistica di P sono presenti soltanto altre due ballate stravaganti, la cavalcantiana Fresca rosa novella (P 126) e l’anonima In luntana contrada (P 117), entrambe con ripresa di cinque versi; la ballata di Saladino, con ripresa di sei versi, è dunque un unicum tra le ballate del canzoniere. Un ulteriore elemento di eccentricità rispetto al repertorio della ballata duecentesca precavalcantiana sta nello schema metrico delle strofi, / aaaB, aaaB; CDZ/ , che non coincide con gli schemi più comuni per la ballata antica elencati da Linda Pagnotta: / ABC, ABC; CDDZ/ e / AB, AB; BCCZ/ 39 . La quasi assoluta monorimia delle mutazioni, unita a una ripresa con due terzetti di rime replicate, il primo complicato da rimalmezzo, / X(x 5 )Y(y 7 )ZXYZ/ , fa della ballata di Saladino un organismo metrico singolarmente dilatato e complesso. Se a questi elementi si aggiunge la presenza di concatenatio tra l’ultimo verso della fronte e il primo della volta ottenuta attraverso rimalmezzo nonché, in generale, la sistematica presenza di rimalmezzo ad articolare lo schema, non solo, come argomenta Pagnotta, si possono qualificare le scelte metriche di Saladino come varianti stilistiche individuali e colte 40 , ma ci si può spingere a sostenere che Saladino trattasse la forma ballata 38 Questa vicinanza è già notata da Giuseppina Brunetti in PSS / 2: 604. 39 Cf. Pagnotta (1995: XLIII). 40 Cf. Pagnotta (1995: XLIV N69). 10 Nicolò Premi DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 come in seguito Cavalcanti e Dante avrebbero trattato la forma canzone, ossia in modo complesso, ampio, «sviluppandone al massimo le potenzialità strofiche» 41 . Che soluzioni stilistiche così colte abbiano potuto attirare l’attenzione del primo Cavalcanti (quello di Fresca rosa novella ) è ipotesi molto verisimile. Del resto, il successo della ballata di Saladino è testimoniato sia dalle quattro attestazioni manoscritte, sia dalla possibile funzione modellizzante di questa nei confronti di una ballata dei Memoriali bolognesi. Daniela Ogno ha notato infatti che l’anonima La fina zoi d’amore dei Memoriali «esibisce motivi e stilemi estremamente vicini a Tanto di fino amore son gaudente , tanto da far pensare a un rifacimento popolare del componimento» 42 . Anche La fina zoi d’amore è una ballata stravagante con ripresa di sei versi che però, per lo schema (/ zxxyyz/ ), ricorda l’unico altro esemplare di ballata duecentesca con il medesimo numero di versi, ossia Perch’i’ no spero di tornar giammai di Cavalcanti (/ Wxxyyz/ ). Le somiglianze notate da Ogno sul piano lessicale e sintagmatico sembrerebbero flagranti. Le riassumo nel seguente prospetto: Tanto di fino amore La fina zoi d’amore fino amore (v. 1) fina zoi d’amore (v. 1) che m’inavanza di gio’ tuttavia (v. 5) ch'è ’l meo cor avanzato (v. 5) che sopr’ogne amadore d’allegro core deggiomi allegrare (v. 9-10) Sopr’on’altro amadore ben diz’Amor laudare (v. 7-8) rimante delitoso (17 : 39) che m’ha sì dillitosa - zoi complita (v. 9) A questi possibili echi notati da Ogno si aggiungano i punti di contatto tematici, come si vede ad esempio nell’ultima strofe di entrambe le ballate: Lo suo amoroso core, a cui son servidore […] ché ʼn alto loco m’ha posto in so stato […] che m’ha sì altamente meritato (v. 29-30, 32, 36) e mazo ho segnorazo e plu rico me teglio che s’eo avesse lo regno, ché m’ha dignato servo (v. 25-28) Un ultimo dato metrico-retorico da valutare per circoscrivere la cultura poetica di Saladino riguarda il rapporto tra ripresa e prima stanza. Ogno rileva infatti, nella 41 Pagnotta (1995: XLIV). Si noti che le rimalmezzo sono presenti anche nella seconda ballata di Saladino. 42 Ogno (2014: 3). 11 Le rime di/ del Saladino DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 quasi totalità delle ballate prestilnoviste da lei analizzate 43 , la ripetizione di qualche lessema della ripresa nell’ incipit della prima stanza 44 . Nel caso di Saladino in particolare abbiamo, in entrambe le ballate a lui attribuite, l’iterazione dell’intero primo verso della ripresa nel primo verso della prima strofe. Si tratta insomma di un legame capdenal rigoroso che in altre ballate di P si presenta anche in modo non rigoroso, con la ripetizione di singoli sintagmi o parole. Secondo Ogno, questa caratteristica della ballata duecentesca può essere interpretata come una conferma della «centralità della ripresa come asse attorno a cui ruota la composizione […] per cui le strofi che seguono assumono un ruolo quasi esornativo, di approfondimento, senza fornire, in molti casi, un vero e proprio sviluppo diegetico al componimento stesso» 45 . Mi pare che questa linea interpretativa si addica anche al caso di Tanto di fino amore , ma con una precisazione. Se è vero, infatti, che le prime due strofi si limitano a ribadire i concetti espressi dalla ripresa approfondendoli attraverso similitudini tratte dalla natura (il paragone della donna con la stella nella prima stanza e con il mare nella seconda), nella terza strofe si introduce il tema della mediazione operata da Amore tra l’amante e la donna («che fue tramezzatore ǀ di me e dell’alta fiore», v. 33-34), concetto assente nella ripresa. Mi pare, per altro, che l’uso di un termine come tramezzatore , hapax nella lirica amorosa duecentesca, incrementi lo «sviluppo diegetico» della stanza. Forse allora, nel caso di Saladino, più che di centralità della ripresa rispetto alle strofi, si potrà interpretare l’artificio capdenal come un ulteriore elemento di complessità della stoffa metrica del testo, spiegabile nell’ottica di scelte stilistiche colte. Allo stesso modo si dovrà interpretare quindi anche la capfinidad tra le stanze. D’altra parte, l’interpretazione di Ogno non può essere applicata a Messer, lo nostro amore dove la ripresa si fonde contenutisticamente con la prima stanza e costituisce la prima battuta della donna: nelle altre stanze poi il dialogo viene sviluppato dialetticamente fino alla conclusione. Non sarà quindi forse da ignorare completamente la cautela espressa da Claudio Giunta allorché, a proposito di questa reduplicazione della formula iniziale nelle ballate di Bonagiunta, afferma che «il fenomeno può ben essere poligenetico» 46 . Oltre alla fisionomia metrica della prima ballata, un altro elemento valutabile ai fini della definizione della cultura poetica di Saladino è il rapporto che Messer, lo nostro amore intrattiene con la tradizione del contrasto tra gli amanti nella Toscana del Duecento. Come già argomentato trattando della tradizione manoscritta, il contrasto amoroso di Saladino denuncia una pretta adesione alla tradizione siciliana delle canzoni a dialogo (e ai suoi antecedenti occitanici) piuttosto che alla linea guittoniana, più drammatizzata, inaugurata dalla corona di sonetti del codice Lau- 43 Il corpus analizzato da Ogno comprende le ballate di P e quelle dei Memoriali bolognesi . 44 Cf. Ogno (2014: 4). 45 Ogno (2014: 4). 46 Giunta (1998: 298). 12 Nicolò Premi DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 renziano e poi sviluppata da Chiaro Davanzati, Dante da Maiano e Monte Andrea 47 . Rispetto al modello siciliano, l’innovazione di Saladino consiste soltanto nell’uso della ballata al posto della canzone, scelta che ritroviamo ad esempio anche in Per Deo, dolze meo sir di Dante da Maiano 48 . Ciò che è importante sottolineare a proposito del contrasto amoroso è che, sebbene nel contesto siciliano, in contrasti come quelli di Mazzeo di Ricco o Giacomino Pugliese, siano ravvisabili contatti con la tradizione popolare 49 , «le immagini e il lessico sfruttati nei contrasti toscani del Duecento» sono «legati alla produzione poetica colta» 50 . Messer, lo nostro amore , dunque, lungi dal dover essere intesa come una ballata di tono minore rispetto a Tanto di fino amore , è coerente, sul piano delle scelte retoriche e strutturali, con le scelte colte rilevate per la prima ballata sul piano metrico. Si può forse giustificare questa natura aulica del contrasto in Toscana sulla base di un accesso diretto da parte dei rimatori toscani a fonti trobadoriche assorbite direttamente, anche prescindendo dalla mediazione siciliana. A questo proposito è interessante la tesi che Giulia Ravera sviluppa in un suo recente contributo sui contrasti nella lirica amorosa toscana del Duecento. Secondo la studiosa, infatti, alla diffusione della forma del contrasto potrebbe aver contribuito anche il diffuso gusto per il gioco sul linguaggio, sul doppio senso, sull’efficacia retorica, tratti dell’espressione lirica evidenti e ampiamente condivisi per lo meno sulla scorta dell’esempio guittoniano […]. I contrasti amorosi mostrano in effetti di essere terreno fertile sotto questo profilo, grazie al dinamico scambio tra le due voci e alla drammatizzazione dei due punti di vista: ciascun personaggio, prendendo la parola, richiama le battute dell’altro e risponde, creando rimandi, ripetizioni, variazioni, sottintesi e reinterpretazioni delle parole altrui 51 . Questa tesi, che vede il gusto per i giochi retorici come catalizzatore per la diffusione del contrasto amoroso, è molto calzante per il caso di Saladino, soprattutto se si guarda alla trama retorica di ossimori, antitesi e paronomasie che sostanzia il sonetto E’ vo e vegno . Il caso di Saladino rende evidente che il filo che, secondo Ravera, lega il gusto per l’artificio retorico all’apprezzamento per il genere del contrasto, è lo stesso che lega la ballata P 106 al sonetto, e si spiega con il comune riferimento alla matrice trobadorica: la prima per il modello delle coblas tensonadas , il secondo per il devinalh . D’altra parte, come visto, che l’apprezzamento per i giochi retorici non fosse per Saladino soltanto occasionale sembrerebbe dimostrato dai contatti rilevabili sul piano codicologico e lessicale con la produzione di Ser Pace, autore di complicati e artificiosi giochi retorici ad enigma nei suoi sonetti. Il sonetto di Saladino merita qualche attenzione in più, non foss’altro per essere stato riconosciuto come uno dei possibili modelli di Pace non trovo di Petrarca. Ste- 47 Cf. Ravera (2019: 863). 48 Cf. Arveda (1995: 83). 49 Cf. Arveda (1995: 19, 32). 50 Ravera (2019: 867). 51 Ravera (2019: 867). 13 Le rime di/ del Saladino DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 fano Carrai è stato il primo a confrontare i due sonetti ravvisandone le somiglianze 52 . Lo studioso nota, in primo luogo, che il sonetto di Saladino fa del tema de oppositis «una condizione quasi esistenziale» 53 : le antitesi riguardano il poeta, esattamente come in Ruggeri Apugliese e Chiaro Davanzati. Diverso in questo senso il caso del sonetto di Maestro Rinuccino, Se ’l ner non fosse ’l bianco non saria dove gli opposita non sono riferiti al poeta ma servono a quest’ultimo «per mostrare gli effetti cui dà luogo la giustapposizione di forze contrastanti» 54 . Questo primo rilievo dimostra la pertinenza del testo di Saladino rispetto all’esecuzione petrarchesca. Quindi Carrai confronta il v. 2 di Petrarca, « e temo , et spero; et ardo, et son un ghiaccio », con i v. 5-6 di Saladino, « e sto in ghiaccia e ardo tutto in foco, ǀ e son sicuro e temo di morire». Un altro possibile ricordo è la clausola del v. 12 di Petrarca, «piangendo rido», che rovescia il «rido piangendo» (v. 3) di Saladino. Infine, Carrai argomenta che anche la presenza della soluzione del devinalh nell’ultimo verso di Saladino, sebbene parte del genere, è un ulteriore punto di contatto con Petrarca 55 . Se dunque è possibile che E’ vo e vegno figurasse tra i ricordi di Petrarca, gli studi sulle possibili fonti anche trobadoriche di Pace non trovo ci indirizzano su luoghi testuali interessanti per comprendere meglio anche le possibili fonti di Saladino. In particolare, nel v. 2 di E’ vo e vegno , «non son legato né posso partire», sembra riecheggiare Folchetto di Marsiglia, S’al cor plagues , v. 15-17: «pero d’amor - que·l ver vos en dirai - ǀ no·m lais del tot ni no m’en puosc mover: ǀ enan non vau ni no puosc remaner» 56 . Analoghe situazioni di impasse sono abbastanza diffuse presso i trovatori. Quanto poi all’opposizione del v. 5, «e sto in ghiaccia e ardo tutto in foco», si tratta di un motivo tradizionale presente già in Giacomo da Lentini, A l’aire claro , «e foco arzente ghiaccia diventare» (v. 3), ma anche in Guittone, Eo sono sordo , «che meve agghiaccia e fiamma lo core» (v. 14) o in Paolo Lanfranchi, Ogni meo fatto : «l’estate son più freddo che no è ’l ghiaccio ǀ l’inverno de lo gran calor tutto ardo» (v. 3-4). Ancora una volta dunque, fonti occitaniche, siciliane e toscane si fondono rendendo difficile stabilire chiare geometrie di riecheggiamento. È d’aiuto nell’indagine delle ispirazioni del rimatore anche un approfondimento sullo stile e sugli stilemi da lui utilizzati. Quanto allo stile, se le magistrali scelte metriche della ballata Tanto di fino amore potrebbero aver influito su Cavalcanti e sullo Stilnovo, sarebbe stato impossibile da parte dei rimatori della generazione successiva prendere a modello il linguaggio del Saladino. I modi stilistico-tematici del rimatore, infatti, si collocano in quel repertorio siciliano e toscano che, come nel caso di Chiaro Davanzati, «dové apparire irrimediabilmente invecchiato alle punte avanzate della 52 Cf. Carrai (1994, 1995). In entrambi i contributi Carrai afferma che Saladino è autore di più sonetti ma in realtà i manoscritti gliene attribuiscono solo uno. 53 Carrai (1994: 361). 54 Carrai (1994: 361). 55 Cf. Carrai (1995: 800). 56 Per tutte le citazioni dei trovatori si faccia riferimento alle COM2 . 14 Nicolò Premi DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 nuova cultura» 57 . Possiamo qualificare come di sicuro gusto prestilnovista il buon numero di astratti in -anza ( amanza , pesanza , intendanza , leanza , certanza , tristanza ) o le perifrasi con participi ( son gaudente , homo vivente , pare tralucente ). Di matrice siciliana è anche la iunctura alta fiore , femminile per gallicismo, che compare tre volte nella ballata Tanto di fino amore (v. 4, 11, 35): è possibile che l’espressione riecheggi la canzone di Rinaldo d’Aquino, In un gravoso affanno , v. 4: «amar sì alta fiore». Si noti inoltre che l’immagine del fiore , come notato da Paola Allegretti Gorni, accomuna molti componimenti del canzoniere Palatino, al punto che la studiosa parla di un vero e proprio «filone della verdura » (denominato così dalla parola rima che chiude la ripresa della cavalcantiana Fresca rosa novella ) che dà unità tematica alla « langue poetica» 58 di una silloge che vedrebbe nella ballata di Cavalcanti la sua estrema epitome. Oltre al già citato testo di Rinaldo d’Aquino (ma nel Palatino attribuito a Ruggeri d’Amici, P 31), nel canzoniere l’immagine del fiore ricorre ancora in Rinaldo, Per fino amore (P 48), v. 10: «a la fiore di tutta caunoscenza», in Federico II, Poi ch’a voi piace, Amore (P 50), v. 27-28: «e di piacere a voi, che siete fiore ǀ sor l’altre donn’e avete più valore», in Ruggeri d’Amici (ma anonima in P), Sovente Amore (P 57), v. 40-41: «che m’à donato a quella ched è ’l flore ǀ di tute l’altre donne, al meo parere», in Inghilfredi, Sì alto intendimento (P 59), v. 41: «di lei, cui chiamo fiore» e in Bonagiunta, Tal è la fiamma e lo foco (P 120), v. 6: «così come si sface la rosa e lo fiore». Del resto, l’ alta fiore di Saladino è anche aulente (v. 4) come nella canzonetta bonagiuntesca, Quando apar l’aulente fiore , e dunque, dato che il fiore profumato per antonomasia è la rosa, sarà da glossare semplicemente con ‘rosa’, lo stesso fiore con cui si apre Fresca rosa novella , testo che si suppone qui in rapporto con Tanto di fino amore . Infine, un ultimo stilema certamente riconoscibile come eredità sicilianeggiante e, al contempo, non estraneo alla « langue poetica» del Palatino è la rima 11 fiore : 3 sprendore che è ben lentiniana: ricorre nei sonetti Diamante, né smiraldo, né zafino (10 : 12), e Madonna à ’n sé vertute (5 : 7). In Madonna à ’n sé vertute , in particolare ritorna la stessa clausola dà sprendore di Tanto di fino amore che si legge anche in Voi ch’avete mutata di Bonagiunta (v. 6) e nell’anonima ballata Donna vostre bellezze (P 107, v. 18) che segue Messer, lo nostro amore in P e sembra riecheggiare Tanto di fino amore anche ai v. 29-30: «vostro viso […] ǀ sì smirato e lucente», avvicinabili ai v. 15-16 di Saladino. Per concludere, la cultura poetica del rimatore non si discosta da quello che Menichetti definisce «canone euristico occitanico-siciliano» 59 , in cui trovano posto il devinalh , il contrasto, gli stilemi siciliani e il gusto tematico tipico del canzoniere Palatino. Si stacca però da questo sfondo che - usando le parole un po’ ingenerose che Contini riservò a Chiaro Davanzati - potremmo definire di «grigia amministra- 57 Menichetti (2004: VIII). 58 Allegretti Gorni (2017: 26). La studiosa raccoglie in una tabella tutti i paralleli lessicali e tematici ravvisabili tra i componimenti raccolti nel codice e la ballata Fresca rosa novella per dimostrare che la presenza della ballata cavalcantiana nella silloge «non è dunque aneddotica» (ibid.). 59 Menichetti (2004: IX). 15 Le rime di/ del Saladino DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 zione ordinaria […] del patrimonio cortese in accezione media e divulgativa» 60 , il magistrale impianto metrico della prima ballata che, sia per i dati della tradizione manoscritta, sia per i possibili rapporti con il giovane Cavalcanti, sembra rivelare l’autentico talento di Saladino che si esprime nella non totale passività nei confronti della tradizione a livello metrico, ovverosia nella reinterpretazione, in chiave complessa, del metro della ballata. 4. Criteri di edizione e veste grafica Si pubblicano qui i tre testi che i manoscritti attribuiscono a Saladino. L’edizione è condotta sul Banco Rari 217 che raccoglie tutta la produzione del rimatore. Per la ballata pluriattestata riporto in apparato la varia lectio , fornita secondo l’edizione diplomatica degli altri testimoni (i segni abbreviativi sono sciolti con le parentesi tonde), e ad essa faccio riferimento, in qualche caso, per emendare errori certi del testo di P (si veda la Discussione testuale di Tanto di fino amore ). Per gli altri due testi l’apparato registra le lezioni del codice rifiutate nel testo critico ed emendate ope ingenii . I testi sono stampati nell’ordine in cui compaiono in P. In testa a ciascun componimento si dà conto della sua collocazione all’interno dei testimoni manoscritti, delle edizioni precedenti e della metrica (schema metrico, rime tecniche, fenomeni metrici e retorici). Nel caso della prima ballata il cappello metrico è seguito da una Discussione testuale in cui si approfondiscono i rapporti tra i testimoni. All’apparato è fatto seguire un commento con note ecdotiche, metriche, esegetiche. Per quanto riguarda la facies grafica, divido le parole in scriptio continua, distinguo u da v , normalizzo le maiuscole e le minuscole, inserisco la punteggiatura e i segni diacritici. Per segnalare le rimalmezzo impiego quattro spazi bianchi. Il nesso -ctè stato reso con -tt- (I 5 tuctavia > tuttavia ). Il grafema ç usato per la affricata alveolare sorda e sonora è stato reso con z (I 21 amança > amanza , I 34 trameçatore > tramezzatore ). La forma casone (II 22) è stata interpretata come «grafia pistoiese di P intesa a rappresentare la tipica pronuncia fricativa toscana della g » 61 e dunque si stampa cagione . La grafia k per l’occlusiva velare sorda è stata resa con la grafia moderna ch davanti a i/ e (I 2 ke > che , ki > chi ), con c davanti alle altre vocali (II 3, mankato > mancato ). Le scempie postoniche sono state raddoppiate (I 26 signoregia > signoreggia , I 27 belleçe > bellezze ). Le scempie protoniche sono state mantenute (II 18 cumiato , I 37 obliato ). Stampo nella grafia corrente la forma aqua (I 26). Le grafie -gle -lliper la laterale palatale sono state ammodernate (II 6 vogla > voglia , III 3 dolliendo > dogliendo ). Si è optato infine per la forma accentata ché quando il valore causale pare certo o molto probabile. 60 Contini (1960: 399). 61 Menichetti (2012: LIX). 16 Nicolò Premi DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 I. Tanto di fin amore son gaudente Mss : P 105, f. 63r° (Saladino); Ch 247, ff. 83v°-84r° (Il Saladino); Mg 2 42, ff. 25r°-26r° (Elsaladino); Vl 451, ff. 183r °v° (El Saladino). Edizioni : Villarosa (1817: 536-37); Nannucci (1843: 196-98); Molteni/ Monaci (1877: 166); Bartoli/ Casini (1881: 137); Monaci/ Arese (1955: 239-40); CLPIO : 275; Ogno (2014: 5-6). Metrica : Ripresa: X(x 5 )Y(y 7 )ZXYZ. Mutazioni: aaaB, aaaB. Nella i a st. si noti la rimalmezzo a(a) B ai v. 13-14. La volta, del tipo CDZ, quanto alle rimalmezzo non è uniforme per tutte e tre le stanze: la prima ha volta (b 7 )X(x 7 )D(d 5 )Z, la seconda (b 5 )CD(d 5 )Z, la terza (b 5 )C(c 5 )D(d 7 )Z (schema 5: 1 di Pagnotta 1995). Ipermetro in P il v. 27. Ballata stravagante a mutazioni tetrastiche. Il presente schema metrico, secondo Pagnotta, è attestato unicamente da questa ballata. Concatenatio con rimalmezzo (b) tra mutazioni e volta. Collegamento a coblas capdenals tra ripresa e prima stanza. Collegamento a coblas capfinidas rigoroso tra i a e ii a stanza, non rigoroso tra ii a e iii a . Rime ripetute: -ore ( i a e iii a st., rima a) e -are ( i a e ii a st., rima B). Rimanti ripetuti: 7 : 33 amore , (15) : 21 pare , 17 : 39 delitoso (rimarefrain ). Rime ricche: 9 amadore : 13 sprendore , 30 servidore : 31 baldore , 32 stato : 36 meritato . Rime derivative: 18 face : 24 disface , 21 pare : 25 apare . C’è adnominatio per immutationem tra 18 face : 19 pace : 20 tace (che assuonano con 21 pare ) e tra 21 pare e (26) mare . Assonanti in protonia: 1 gaudente : 4 aulente , 7 amore : 9 amadore : 12 valore , 31 baldore : 33 amore . Consonanza tra 19 pace e 23 piace . Discussione testuale : L’archetipo parrebbe essere dimostrato dall’ipermetria del v. 27 e dall’errore del v. 3 (sanato qui per integrazione), comuni a tutta la tradizione. P si oppone al resto del testimoniale in 8 a tuttore e 39 facea . La ben nota stretta vicinanza tra Ch, Mg 2 e Vl è confermata anche in questa ballata. All’interno del gruppo alcuni errori di Mg 2 e Vl non sono di Ch: l’omissione di tanto al v. 22 (che genera ipometria e dimostra l’indipendenza di Ch dagli altri due) e 32 in altro contro in alto di Ch (più corretto per il senso). Altre lezioni corrotte (trivializzazioni poligenetiche) sono solo di Mg 2 contro Ch e Vl: 15 che pare (che genera ipermetria) contro par , 16 mi moro contro mi miro , 19 vera (ipometro) contro verace (in rima interna), 29 lo cui (per anticipo col verso successivo) contro lo suo . In una sola lezione, anche se non molto significativa perché potrebbe essere frutto di congettura, potrebbe essere confermata l’indipendenza di Mg 2 e di Vl da Ch (per altro già persuasivamente dimostrata da Mistruzzi (1949) a proposito dei testi da lui considerati, tra cui non compare questa ballata): 38 sof(f)erire contro soffrire di Ch che genera ipometria. Infine, Vl presenta alcuni errori che lo oppongono a Ch e Mg 2 : 2 come contro chomo [ como Mg 2 ], l’omissione di 14 a lo sguardare (che dimostra l’indipendenza di Mg 2 da Vl) e 27 mio contro mia . L’indipendenza reciproca tra Vl e Mg 2 è stata dimostrata da Mistruzzi e, anche se non è confermata con sicurezza in questa ballata, sembra comunque difficile che le lezioni che separano Vl da quelle erronee di Mg 2 (ai vv, 15, 16, 19, 29) possano essere tutte correzioni per congettura del menante di Vl. Posto quindi che Vl e Mg 2 sono tra loro indipendenti, la lacuna del tanto al v. 22, difficilmente poligenetica, rende molto poco probabile la loro derivazione da Ch. Risulta insomma confermato il quadro delineato da Mistruzzi secondo cui Mg 2 e Vl «sono fra 17 Le rime di/ del Saladino DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 loro indipendenti e rimontano nella loro linea genetica ad un manoscritto che non è C 1 [= Ch], ma un suo collaterale»; Mistruzzi (1949: 239). In generale i testimoni più corretti sembrerebbero comunque P e Ch. Qui sì è scelto di adottare la lezione di P che per le rime di Saladino è il testimone più importante poiché, oltre a essere il più antico, è l’unico che reca tutta la produzione del rimatore. Non si è rinunciato tuttavia, ove il caso, all’insieme della restante tradizione (che corregge almeno un errore certo di P in 39 facea contro face ). Tanto di fin amore son gaudente: homo vivente non credo che sia né ʼn gio’ né ʼn signoria così gioioso sì com’eo, ch’amo l’alta fiore aulente che m’inavanza di gio’ tuttavia, laund’eo mi n’ tegno amante aventuroso. Tanto di fino amore son gaudente tuttore, che sopr’ogne amadore d’allegro core deggiomi allegrare, amando l’alta fiore, donna di gran valore, quella che dà sprendore come la raggia albore a lo sguardare: lo suo bel viso pare tralucente la stella d’orïente o’eo mi smiro; sopr’ogne giro mi fa delitoso. Delitoso mi face la sua verace pace però ʼl meo cor non tace, ché d’alta amanza vivo senza pare, tant’ho d’amor verace e ogne gio’ mi piace, madonna, che disface le donne belle quand’elle ci apare. Sì come ʼl mare ogn’acqua signoreggia, così madonna fiore è di bellezze e d’adornezze e di core amoroso. Lo suo amoroso core, a cui son servidore, mi dona gran baldore ché ʼn alto loco m’ha posto in so stato. Deo, che ben aggia Amore, che fue tramezzatore di me e dell’alta fiore, 5 10 15 20 25 30 18 Nicolò Premi DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 che m’ha sì altamente meritato: aggio obliato lo gravoso affanno e lo gran danno e lo mal sofferire, ché mi face sentire delitoso. 35 1 fino Ch Mg 2 Vl; amor Ch Vl; ison Mg 2 2 chomo Ch como Mg 2 come Vl; vjvente Mg 2 ; chessia Ch 3 ne gio ne signoria P Vl ne gio nesegnoria Ch negio o signorja Mg 2 4 chomio Mg 2 comio Vl 5 mj(n)navanza Mg 2 ; gioia Ch Mg 2 Vl 6 laondeo Ch laondio Mg 2 Vl; mitengno Ch mjtengo Mg 2 mitengo Vl 7 amor Ch Vl 8 atuttore Ch Mg 2 Vl 9 sovrongne Ch sovrogni Mg 2 Vl 10 chore Ch 13 splendore Ch Mg 2 Vl 14 a lo sguardare om. Vl 15 el suo b. vjso Mg 2 ; chepare Mg 2 ; par Ch Vl 16 daoriente P; doveo Ch ovjo Mg 2 ovio Vl; mimiro Ch Vl mjmoro Mg 2 17 sovrongne Ch sovrogni Mg 2 Vl; mj Mg 2 ; dilectoso Ch Mg 2 Vl 18 dilectoso Ch Mg 2 Vl; mj Mg 2 19 la suo vera Mg 2 la suo verace Vl 20 mjo core Mg 2 ; mio cor Vl 21 vjvo Mg 2 ; sanza Mg 2 Vl 22 tanto om. Mg 2 Vl 23 eo(n)gne Ch etogni Mg 2 Vl 25 ella Ch Mg 2 Vl; appare Ch Mg 2 Vl 26 o(n)gni agua Ch chogni acqua Mg 2 Vl; sengnoreggia Ch 27 madonna mia P Ch madonna mja Mg 2 madonna mio Vl; belleza Vl 28 et d’a. et Mg 2 Vl; cor Mg 2 29 lo cuj Mg 2 ; chore Ch 30 acchui Ch; servjdore Mg 2 31 mj Mg 2 32 in altro Mg 2 Vl; locho Ch; su stato Ch suo stato Mg 2 Vl 34 che fu Mg 2 Vl 35 e d’alta Mg 2 Vl 36 merjtato Mg 2 37 obbiato Ch 38 soffrire Ch soferjre Mg 2 39 chemmi Ch mj Mg 2 ; facea P; dilittoso Ch dilectoso Mg 2 Vl 2. homo : gli altri testimoni presentano tutti una c (il come di Vl non dà senso e si sarà prodotto per banalizzazione). Non è tuttavia necessario, come fanno Nannucci e Monaci/ Arese, introdurre qui un che perché nella lirica antica si trovano vari casi di paratassi consecutiva, cf. ad esempio Giacomo da Lentini, Madonna, dir vo voglio , 22-24: «son distretto | tanto coralemente: | foc’aio al cor non credo mai si stingua» ( PSS / 1: §1.1). Si noti inoltre, ai v. 15 e 26, la tendenza di Mg 2 a inserire un che generante ipermetria. 3. L’integrazione accolta a testo è già in Villarosa, Nannucci, CLPIO e Ogno e restituisce senso a un dettato altrimenti oscuro. - gio’ : si noti il comune gioco etimologico con gioioso , frequente in Guittone. 4. alta fiore aulente : gallicismo di genere; il fiore aulente per eccellenza è la rosa sin dal contrasto Rosa fresca aulentissima . Lo stesso sintagma, ugualmente in rima, si trova ad esempio in Bonagiunta, Tutto lo mondo , v. 14: «Vostra mercé, madonna, fior aulente»; Menichetti (2012: son. 8). 5. ‘che mi fa progredire nella gioia incessantemente’. - inavanza : prov. enansar . 6. Villarosa, Nannucci e Monaci/ Arese, in linea con le lezioni degli altri testimoni, espungono la n ; CLPIO e Ogno la mantengono. Qui si è scelto di mantenerla interpretandola come apocope di ne ( mi ne tegno ): cf. ad esempio Federico ii, Poi ch’a voi piace, Amore , 42: «più conto mi ne tegno tutavia» (si noti che nella varia lectio si registra V mi tegno ; PSS / 2: §14.3) e Iacopo Mostacci, Amor, ben veio che mi fa tenere , 34: «ben me ne tegno rico» ( PSS / 2: §13.2). - laund’ : ‘per cui’. - aventuroso : ‘fortunato’ (cf. il prov. aventuros ); un movimento simile si trova in Mazzeo di Ricco, Amore, avendo interamente , v. 4: «Ben mi terïa bene aventuroso» ( PSS / 2: §19.1). 19 Le rime di/ del Saladino DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 8. tuttore : nella lirica antica si trovano attestazioni sia di a tuttore (come in tutti gli altri testimoni) sia di tuttore , ma in entrambi i casi il significato è lo stesso: ‘sempre’. 10. allegro : in gioco etimologico con allegrare come gio’ : gioioso al v. 3. Il sintagma allegro core si trova in Guittone, Tanto sovente , v. 30 (Egidi 1949: canz. 34). 14. ‘come se la illuminasse il primo chiarore dell’alba quando la si guarda’. Intendo raggia come verbo transitivo, nel senso di ‘illuminare intensamente’, e albore come soggetto. 15. tralucente : sembra che il termine sia da intendersi come participio presente di tralucere che regge il compl. ogg. la stella del verso successivo, nel senso di ‘più splendente della’. 16. d’orïente : la dieresi è latinismo prosodico. Bartoli/ Casini, Monaci/ Arese e CLPIO leggono d’aoriente , ma non si sono trovate attestazioni di questa forma. Ogno legge di oriente mentre Villarosa e Nannucci propongono la lezione messa a testo. L’ambiguità, in effetti, è del ms. P che dopo la d reca una a che sembrerebbe quasi essere stata volontariamente cancellata con un tratto sottile di penna. Potrebbe trattarsi anche di una forma corrotta di de oriente . La lezione messa a testo è in tutti gli altri manoscritti. La stella d’oriente, ovvero stella del mattino è il pianeta Venere. - o’eo mi smiro : ‘dove io mi specchio’. Valga per questa occorrenza di smirare il commento di Berisso a un verso di una canzone di Galletto Pisano, Credeam’essere, lasso! : «L’ipotesi che qui si affaccia […] è che si tratti di un deverbale dal fr. esmirer ‘guardare, rispecchiarsi’ […] e che ad esso possa estendersi la semantica ampliata di specchio come ‘modello, esempio’» ( PSS / 3: 21). 17. Se s’intende il verbo girare nel senso di ‘mutare il proprio stato d’animo’ (cf. Menichetti 1965: § Glossario), si può glossare ‘più di qualsiasi mutamento di stato d’animo mi rende gioioso’. Meno convincente l’interpretazione astronomica di giro nel senso di percorso compiuto dalla stella d’oriente in un giorno. - delitoso : ‘gioioso’; lo stesso che diletoso ma senza chiusura della e in protonia, forse per francesismo. 19. verace pace : si noti la rima interna che complica la trama fonica del testo. 21. Cf. l’ incipit della ballata di ser Pace S’eo son gioioso amante senza pare (Premi 2016: §II). - pare : ‘pari’. 23. e ogne : Monaci/ Arese propone l’emendamento c’ogne per rendere la consecutiva, ma anche qui, come al v. 2 si tratterà di una consecutiva paratattica, per giustapposizione. Del resto, emendando in c’ogne il verso risulterebbe ipometro. Si consideri la dialefe e ˇ ogne . 24-25. Il paragone con le altre donne è topico. 25. elle : tutti gli editori precedenti, tranne CLPIO , correggono in ella , forma suffragata dalla varia lectio . Qui si mantiene elle perché potrebbe trattarsi di un tratto significativo di fonetica locale. La forma soggettiva tonica del pronome personale di terza persona elle infatti «costituisce un tratto specifico della zona Lucca-Pistoia-Prato» (Pollidori 2001: 383). 26. La coppia acque/ mare si trova anche in Ruggieri Apugliese, Tant’aggio ardire e canoscenza , v. 187-89: «Ancora vi sapria insegnare, ǀ e le provincie nominare ǀ e l’acque ke intrano in lo mare» (Contini 1960: 883). - signoreggia : Monaci/ Arese emenda in signoria per salvare la rima 20 Nicolò Premi DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 interna, ma a scapito del senso dell’espressione. L’emendamento è da ricusare stante il principio generale secondo cui «il sillabismo del verso prevale su quello dell’emistichio e sull’integrità della rima» (Menichetti 1993: 546-47). Più in generale si tenga presente inoltre «l’alto tasso di polimorfismo della ballata duecentesca» (Pagnotta 1995: XLII). 27. Nessuno degli editori precedenti interviene sul verso. L’emendamento sana l’ipermetria. 27-28 bellezze : adornezze : coppia di rimanti presente anche nel discordo di Giacomino Pugliese, Donna, per vostro amore , v. 42-43 ( PSS / 2: §17.3). Come anche nel caso di Giacomino, è difficile dire se si tratti di singolare meridionale (ities per itias ) o plurale. Questo discordo di Giacomino presenta molte analogie tematiche e lessicali con la ballata di Saladino. 31. baldore : prov. baudor , ‘allegrezza’. 32. ‘poiché mi ha posto in alto nella sua sede’. Interpreto qui stato come ‘posizione occupata nello spazio da un oggetto; collocazione, sito’ (cf. GDLI XX: 105, s. stato ). - so : ‘suo’, tratto pistoiese. 34. tramezzatore : prima attestazione di questo lemma e hapax nella lirica amorosa. Secondo la definizione del TLIO ‘chi funge da mediatore o collegamento tra due’. Il termine è comunemente usato in testi religiosi nel senso di ‘intercessore’ ed è tipicamente riferito a Cristo. L’importazione di un termine del lessico religioso in una ballata potrebbe essere interpretata come indizio dello sforzo stilistico elativo del rimatore. 36-37. Vista la subordinata causale dell’ultimo verso, è da escludere che si tratti anche qui di consecutiva paratattica, come ai v. 1-2 e 22-23; pertanto si sono inseriti i due punti al termine del v. 36. 36. Antico uso transitivo del verbo meritare nel senso di ‘ricompensare, rimunerare’. Nella lirica d’amore antica l’amante viene ricompensato per il servizio reso alla donna: cf. ad esempio Rinaldo d’Aquino, Per fino amore , 46-48: «ed eo mi laudo che più altamente ǀ ca eo non ò servutoǀ Amor m’à coninzato a meritare» ( PSS / 2: §7.4). Lo stesso verbo di trova in Messer, lo nostro amore , v. 38. 37. gravoso affanno : cf. Rinaldo d’Aquino, In un gravoso affanno , canzone che ha in comune con questa ballata anche l’espressione alta fiore (v. 4). La rima affanno : danno , presente anche in Rinaldo, è assai diffusa nella lirica trobadorica e quindi siciliana (cf. PSS / 2: §7.2). 38. e lo mal sofferire : ‘e il sopportare male’; nella già citata canzone di Rinaldo d’Aquino si trova l’espressione bono sofrente che indica l’amante che sa sopportare pazientemente, qui invece l’espressione sarà da intendersi come l’incapacità di sopportare il dolore: considero quindi mal come avverbio. Ogno stampa de mal per errata lettura paleografica del ms. P. 39. Cf. il v. 18. - face : l’emendamento sul testo di P, già proposto da Ogno, non solo è in linea con le lezioni di tutti gli altri testimoni ma appare più logico: perché parlare al perfetto di un diletto dichiarato al tempo presente già a partire dal primo verso ( son gaudente )? Il soggetto di face sarà l’ alta fiore del v. 35. 21 Le rime di/ del Saladino DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 II. Messer, lo nostro amore Ms : P 106, ff. 63r°-63v° (Saladino). Edizioni : Valeriani/ Lampredi (1816: 435-37); Villarosa (1817: 537-39); Nannucci (1843: 249-50); Bartoli/ Casini (1881: 138); CLPIO : 275; Arveda (1995: 106-11); Ogno (2014: 6-7). Metrica : Ripresa: w 7 x 8 (x 7 )Y(y 7 )Z. Mutazioni: a 7 B, a 7 B, a 7 B. Le rimalmezzo della volta, il cui schema è bc(c)D(d)Z, presentano giacitura diversa nelle diverse stanze. La prima e la seconda hanno schema bc(c 7 )D(d 7 )Z, la terza bc(c 7 )D(d 6 )Z e la quarta bc(c 5 )DZ. Nella sola ii a st. gli endecasillabi della fronte presentano rima interna (cf. lo schema 59: 1 di Pagnotta 1995). Ipermetri nel ms. i v. 8, 16, 20, 26, 28, 30, 42. Per l’ipermetria non sanata del v. 6 si veda il commento. Ballata grande dialogata con fronte esastica a rime alternate. Ogni strofe corrisponde alternativamente alla voce della donna (che apre la ballata e ritorna alle st. i a e iii a ) e a quella dell’uomo (st. ii a e iv a ). Lo schema metrico, secondo Pagnotta, è attestato unicamente da questa ballata. Concatenatio con rima b tra mutazioni e volta. Collegamento a coblas capdenals tra ripresa, i a e iii a strofe e tra ii a e iv a strofe. Collegamento a coblas capcaudadas tra iii a e iv a strofe. Nella prima stanza a = w e B = x, nella seconda B = w, nella quarta a = Z. Rime ripetute: -ore (ripresa w, i a a, ii a B), -ente ( i a c, iv a c), -ere ( ii a a, iii a c), -ia ( iii a D, iv a B). Numerosissimi i rimanti ripetuti: 1 : 5 : 16 amore , 2 : 6 cominciato , 3 : (4) parte (rima equivoca), (3) : 10 : (16) mancato , 4 : 14 pesanza (rimarefrain ), 12 : (43) niente / neente , 15 : (33) volere (rima equivoca), 17 : 32 piacere (rima equivoca), (18) : 23 cumiato , 26 : 30 amanti , 34 : 37 intendanza (il primo in rimarefrain ), (34) : 36 gelosia . C’è adnominatio per immutationem tra 13 forte : (14) morte e 38 mia : 40 tia . Assonanti in protonia: 17 piacere : 19 asapere , 20 signore : 21 servidore , 30 amanti : 31 davanti , 35 leanza : 37 intendanza : 39 certanza . Assonanza tonica: 42 follemente : 43 tormento . «Messer, lo nostro amore in gran gio’ fue cominciato, or lo veggio mancato da tua parte; lassa! , lo cor mi parte di pesanza. Messer, lo nostro amore d’un’amorosa voglia fue cominciato; d’una mente e d’un core e d’un voler lo nostro amore è stato; ond’ho mortal dolore: da la tua parte veggiolo mancato, ché mi sè stranïato, di me non cure niente; lassa! , lo meo cor sente pena forte, che mi conduce a morte di pesanza». 5 10 22 Nicolò Premi DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 «Donna, per meo volere già non foria mancato ʼl nostro amore, ma fue vostro piacere di darmi cumïato a disenore. Non ti conto asapere aservir contra grato homo a signore; ch’eo ti fui servidore, senza nulla cagione destimi guiderdone e cumïato: così m’hai meritato di tua amanza». «Messere, molte fiate le donne, per provar li loro amanti, mostransi curuciate non di cor, ma di vista e di sembianti. Or non vi disdegnate, che molte donne ʼl fanno a’ loro amanti. Partirolli davanti da poi che v’è a piacere: tornami a ben volere in cortesia ch’e’ ho gelosia non aggie altra intendanza». «Donna, per mia leanza, non ti bisogna d’aver gelosia ch’eo pigli altra intendanza; non fui sì meritato de la tia - sacelo per certanza - che tutto ’l tempo de la vita mia eo non vo’ signoria di donna follemente, che per neente dà pene e dormento, per una gioia dà mille tristanza». 15 20 25 30 35 40 4 mi parte] mi | mi parte 8 voler] volere 16 ʼl nostro] lo nostro 26 provar] provare 28 cor] core 30 ʼl fanno] lo fanno 42 follemente] si follemente 2. Nannucci espunge gran per ottenere un settenario. In effetti nel repertorio di Pagnotta non si trova nessun’altra ballata con una ripresa in cui convivono settenari, ottonari ed endecasillabi. L’intervento pare tuttavia oneroso e non tiene conto dell’alto livello di polimorfismo della ballata prestilnovista. Si noti che tutte le rime della ripresa sono irrelate «secondo l’uso più arcaico» (Pagnotta 1995: LIII). Cionondimeno l’ipermetria potrebbe anche essere risolta ipotizzando l’anasinalefe amoreˆ in . Si veda però la nota 6. 23 Le rime di/ del Saladino DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 4. pesanza : gallicismo; più che ‘dolore’ come glossa Arveda, è da intendersi più propriamente, giusta l’edizione di Giacomo da Lentini di Antonelli, come ‘angoscia’: cf. il v. 14 dove si dice che la pesanza conduce alla morte. Il termine è largamente diffuso nei Siciliani e nei Siculo- Toscani fino allo Stilnovo, cf. a questo proposito PSS / 1: 307. 6. Nannucci, per sanare l’ipermetria, corregge: «fue d’amorosa voglia cominciato». Qui si è scelto di conservare la lezione del manoscritto se non altro perché in d’un amorosa voglia può riconoscersi un’eco di Riccuccio da Firenze/ Albertuccio della Viola, D’on amorosa voglia , 1-2: «D’on amorosa voglia | d’amare incuminciai» (P 121, CLPIO ), ma anche di Chiaro Davanzati, D’un amorosa voglia mi convene (Menichetti 1965: XL). La forma fue cominciato inoltre rafforza ulteriormente il legame di capdenalidad tra ripresa e prima strofe e ben si accorda con lo stile della ballata caratterizzato dalla ricorsività di diverse espressioni in rima (1 : 5 : 16 nostro amore - ma anche, non in rima, al v. 10 -; 6 : 14 di pesanza; 26 : 30 loro amanti ; 34 : 37 altra intendanza ). Arveda, a proposito delle ipermetrie ai v. 2 e 6, entrambe in presenza del sintagma fue cominciato , commenta «forse da correggere in è cominciato per permettere sinalefe con la parola precedente». 7-8. Valeriani/ Lampredi e Villarosa computano l’endecasillabo «D’una mente, e d’un core e d’un volere», senza riguardo per la rima in -ore dei v. 5 e 9. CLPIO considera ugualmente l’endecasillabo ma, intervenendo con un emendamento per salvare la rima, stampa «D’una mente e d’un volere e d’un core». Tuttavia, è evidente, stante lo schema metrico, che al v. 7 deve leggersi un settenario che, alternandosi con l’endecasillabo, definisce lo schema della fronte esastica a rime alternate. La scorrettezza della lezione messa a testo da CLPIO è già segnalata da Pagnotta (Pagnotta 1995: 177). La lezione messa a testo è anche di Arveda e Ogno. 7. mente : nel trinomio mente , core e volere il primo termine costituisce nella lirica antica, secondo il glossario di De Robertis, una «designazione d’interiorità» (De Robertis 1986: § Glossario). 9. Arveda mette un punto fermo a fine verso. Qui preferisco inserire i due punti che introducono la spiegazione del mortal dolore , ossia il fatto di vedere che l’amore dell’uomo viene meno, difetta. 11. ‘poiché ti sei estraniato da me’, cf. la canzone anonima Compiangomi e laimento e di cor doglio , v. 11: «Da meve è stranïato lo più gente» ( PSS / 3: §25.11) e per i precedenti occitanici nell’uso del verbo Bernart de Ventadorn, Lancan vei la folha ( BdT 70.25), v. 67-68: «car vas me s’estranha ǀ so qu’eu plus am e volh». 12. cure : ‘curi’, con vocalismo toscano occidentale. - niente : avv. ‘per niente’. 16. L’emendamento, già proposto da Valeriani-Lampredi, Nannucci, CLPIO e Arveda, sana l’ipermetria. - foria : ‘sarebbe’, lo stesso che fora per analogia con saria . 18. darmi : Ogno corregge in «di dar cumïato a disenore» ma la forma del manoscritto non pone problemi e, anzi, si pone in parallelo con il v. 23: destimi … cumïato . - cumïato : per il computo metrico si considera, come Ogno e Arveda, la dieresi cumïato perché l’alternativa sarebbe la dialefe, piuttosto innaturale, cumiato ˇ a . Lo stesso dicasi, per coerenza, per il v. 23 dove però 24 Nicolò Premi DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 la dialefe guiderdone ˇ e non sarebbe impossibile (cf. Menichetti 1993: 348). - a disenore : il disonore, come nota giustamente Arveda, è quello della donna che si è dimostrata crudele verso un amante leale. 19-20. Intendo così: ‘non ti ritengo capace di asservire un uomo a un signore contro la sua volontà’. Arveda stampa come a testo ma commenta che sarebbe «ugualmente plausibile la lettura non ti contò a·sapere ‘non ti valse sapere’». Sempre secondo Arveda si potrebbe anche emendare in « non t’è conto ‘non ti è conosciuto, noto’ cioè ‘non sai’ ( conto aggettivo da cog nitus , cf. l’afr. cointe )». - asapere : ‘sapere’. Già CLPIO stampa così, a differenza degli altri editori che dividono a sapere . Arveda stampa a·sapere e, al verso successivo, aservir . La forma asapere è ampiamente attestata nell’italiano antico. L’espressione fare a sapere , come precisa Arveda, è gallicismo. - contra grato : ‘suo malgrado’, nella lirica antica è attestata anche l’espressione oltra suo grato ; il sintagma si legge ad esempio nelle lettere in versi di Guittone: «né, si dire oso tanto, ho ’l contra grato» (Margueron 1990: §11, v. 42). 23. guiderdone : prov., è la ricompensa che spetta all’amante leale. 24. ‘così mi hai ricompensato con il tuo amore’. Lo stesso verbo si trova in Tanto di fino amore , v. 36. Il verso va intenso in senso antifrastico. 26. Valeriani/ Lampredi, Villarosa e Nannucci sanano l’ipermetria correggendo provare i loro amanti ma l’espunzione della e , come a testo, pare meno invasiva. Anche Arveda espunge la e . 28. di vista e di sembianti : ‘nell’aspetto esteriore’, dittologia diffusa nella lirica antica, ad esempio in Chiaro Davanzati, E piacemi vedere rilegioso , v. 12: «e che non facc<i>a vista né sembianti» (Menichetti 1965: 271). 30. Arveda commenta che il sintagma in rima loro amanti , che riprende il v. 26, potrebbe essere frutto di una corruttela, «favorita dalla presenza di donne in entrambi i versi». L’ipotesi di Arveda è plausibile ma si noti che la ricorsività di diverse espressioni in rima pare essere un tratto stilistico tipico di questa ballata (cf. nota 6). 31. partirolli : Valeriani/ Lampredi, Villarosa e Nannucci stampano partirò voi davanti . Ogno legge partirot[t]i davante ; Arveda partiròvi davanti e glossa ‘mi allontanerò dalla vostra presenza’. Qui, come in CLPIO , si conserva la forma del manoscritto. Quanto al senso, il pronome enclitico li potrebbe essere riferito a vista e sembianti del v. 28; al verbo partire si può dare il senso di ‘dismettere, svestire, abbandonare’ (cf. GDLI XII, s. partire ), mentre a davanti sarà da attribuire una funzione avversativa intendendolo nel senso di ‘al contrario (di quanto appena affermato)’ (cf. TLIO , s. davanti ). La parafrasi sarà dunque semplicemente: ‘ma li dismetterò [la vista e i sembianti]’. 33. tornami : imperativo. 34. ch’e’ ho : Nannucci e Ogno stampano che ho gelosia . Valeriani/ Lampredi, Villarosa e CLPIO leggono come a testo. La lettura qui proposta sembra meglio adeguarsi allo stile di questa ballata in cui la pronominalizzazione del soggetto di prima persona ricorre in altri luoghi (cf. v. 21, 37, 41). - non aggie : completiva con ellissi del che retta da ho gelosia . - intendanza : non 25 Le rime di/ del Saladino DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 ‘intelligenza’ ma ‘amore, corresponsione’ come, ad esempio, in Giacomo da Lentini, La ’namoranza disïosa , v. 32 ( PSS / 1: §1.6). 35. per mia leanza : ‘in fede mia’. 38-40. ‘a tal punto non sono stato ricompensato dal tuo amore - sappilo senza dubbio - che per tutto il resto della mia vita…’. 38. sì meritato : Nannucci stampa rimeritato ma non se ne comprende il motivo. 41-42. Arveda propone un confronto con la situazione descritta nella canzone anonima Madonna mia, non chero che «raccoglie una serie di motivi piuttosto tradizionali di critica all’amore passato» ( PSS / 3: 731). Si tratta di un atteggiamento di ribellione dell’amante non molto comune nella lirica d’amore siciliana e siculo-toscana. Walter Pagani, nel suo Repertorio tematico della scuola poetica siciliana , fornisce alcuni esempi italiani e trobadorici di diserzione del servizio amoroso da parte del poeta raccogliendoli in un capitolo intitolato «atteggiamenti del poeta contrari alle regole convenziali» (Pagani 1968: 234-37). 42. Anche Nannucci e Ogno emendano come a testo per sanare l’ipermetria. Arveda segnala l’ipermetria e commenta: «con qualche difficoltà nella comprensione tanto da far sospettare un guasto». 43. dormento : Valeriani/ Lampredi e Villarosa emendano in tormente probabilmente per ricostruire una rima col verso precedente, che tuttavia non si giustifica visto lo schema metrico. CLPIO stampa tormenti ma non se ne comprende il motivo. Ogno e Arveda infine correggono semplicemente la d del manoscritto proponendo tormento (Arveda commenta che «l’intervento è suffragato dalla diffusissima dittologia»). Più interessante la proposta di Nannucci che legge così l’intero verso: «che per neente - dà tormento e noia». In questo modo si salva la rima interna col verso successivo. L’intervento sarebbe possibile ma visto il polimorfismo degli schemi metrici delle ballate antiche si preferisce non emendare. Quanto alla forma dormento , che sarà certamente da intendersi come ‘tormento’, si è deciso di lasciarla a testo perché potrebbe trattarsi di una spia fonetica regionale: tra i tratti toscano-occidentali di P segnalati da Valentina Pollidori c’è anche la «tendenza alla sonorizzazione delle cons. intervocaliche maggiore che nel fiorentino» (Pollidori 2001: 389). Si tratterebbe qui di una sonorizzazione in fonetica sintattica. Che si tratti però di un lapsus del copista resta tuttavia probabile. - pene e dormento : dittologia lentiniana, cf. Giacomo da Lentini, Chi non avesse , v. 11: «e voi mi date pur pen’e tormento» ( PSS / 1: §1.34). 44. tristanza : da intendersi, come glossa Arveda, come neutro plurale con valore collettivo: si tratta di un hapax in questo uso. 26 Nicolò Premi DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 III. E’ vo e vegno, né mi parto d’iloco Ms : P 175, f. 77v°-78r° (Saladino). Edizioni : Zambrini (1857: 319); Palermo (1860: 105); Bartoli/ Casini (1881: 171-72); Santangelo (1928: 267-68); Carrai (1995: 799); CLPIO : 287. Metrica : Sonetto. ABAB, ABAB; CDE, CDE. Le rime 4 sospire : 6 sospire sono assonanti in protonia. C’e adnominatio per immutationem: 3 gioco : 5 foco : 7 poco . Rima ricca: 2 partire : 8 mentire . Rima grammaticale: 2 partire : 6 morire : 8 mentire . Rima identica: 10 nïente : 13 niente . Si noti l’anafora di e + verbo alla prima persona del presente indicativo che si colloca all’inizio del verso e dell’emistichio (v. 4-12, al v. 9 c’è polisindeto). L’anafora, travalicando il confine tra fronte e sirma, è elemento di raccordo tra quartine e terzine. Si notino i poliptoti 1 parto : 2 partire , 13 sapere : 13 so , l’allitterazione 8 vero e veggiomi , il chiasmo del v. 3 e la paronomasia amore : amarore del v. 14. E’ vo e vegno né mi parto d’iloco, non son legato né posso partire, rido piangendo e dogliendo gioco, e son gioioso e canto con sospire, e sto in ghiaccia e ardo tutto in foco, e son sicuro e temo di morire, e parlo molto e parmi dire poco, e dico vero e veggiomi mentire, e dormo e veglio e guardo tuttavia, odo chi passa e non sento nïente, e rido forte con grave dolore, e son ben saggio e pieno di follia, là o’ si conven sapere, non so niente; amore m’è tornato in amarore. 4 8 11 14 2 posso] mi posso 1. Più che di cesura epica, come afferma Santangelo («il verso ha la cesura femmenile»), per il computo metrico si può considerare semplicemente la sinalefe vo ˆ e . - d’iloco : ‘di là’. Tutti gli editori precedenti, tranne CLPIO , stampano di loco . Come CLPIO , lo ritengo gallicismo: la forma iloco , quasi sempre scempia, si trova nei «toscani più inclini all’accoglimento di francesismi» e «si giustifica proprio come ‘francesizzazione’ della voce locale loco » (Cella 2003: 250-51). Santangelo glossa correttamente che si tratta di avverbio. 27 Le rime di/ del Saladino DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 2. Anche questo verso, secondo Santangelo, presenta cesura epica. Nessuno degli editori emenda, salvo Zambrini che propone un improbabile né mi poss partire . La scelta della forma non pronominale del verbo partire per riportare il verso alla corretta misura si giustifica considerando che l’opzione tra partire e partirsi è possibile nell’italiano antico (cf. GDLI XII, s. partire 2 ). Questa natura accessoria del pronome atono potrebbe essere all’origine dell’introduzione di un mi pleonastico nel verso da parte di un copista, anche per influenza del costrutto, in poliptoto, del verso precedente ( mi parto ). La forma pronominale del verbo al v. 1 si spiega per la presenza del complemento di allontanamento d’iloco che rafforza la consapevolezza semantica del legame tra partire nel senso di ‘dividere’ e partire nel senso di ‘allontanarsi’. 3. Si deve considerare la dialefe piangendo ˇ e perché il verso non sia ipometro. Santangelo corregge il dolliendo del ms. in doglio avendo perché, a suo parere, il verso «manca del contrasto […] fra le due proposizioni». L’emendamento, tuttavia, non mi pare necessario perché non sembra indispensabile che ogni verso si costruisca su una perfetta opposizione (del tipo ghiaccia / foco , v. 5): lo dimostra il v. 4 dove l’essere gioioso non è l’opposto del cantare sospirando ( canto con sospire ). Per altro, la lezione chiastica del manoscritto è retoricamente preferibile alla proposta di Santangelo. 4. canto : Zambrini stampa per errore cauto ; non c’è dubbio che il ms. legga canto . - sospire : «lemma lirico tipicamente lentiniano» ( PSS / 1: 568). 5. ghiaccia : Zambrini e Palermo stampano erroneamente ghiaccio . Si consideri la dialefe ghiaccia ˇ e . 8. veggiomi mentire : ‘vedo che mi si mente’. 9. ‘sia che dorma o vegli, guardo continuamente’. 10. nïente : concordo con Zambrini, Santangelo e Carrai che ipotizzano la dieresi. Mi pare infatti scansione più economica rispetto alla dialefe passa ˇ e , che comunque è piuttosto comune in antico (sulla dialefe davanti alla congiunzione e , che si trova in questo sonetto anche ai v. 3 e 5, cf. Menichetti 1993: 348). 11. Questo verso esprime un concetto simile a quello del v. 3. 13. non so niente : Zambrini e Santangelo, forse per coerenza con il rimante del v. 10, considerano anche qui la dieresi nïente ed emendano in saper . L’intervento non è insensato, ma mi pare superfluo. Santangelo propone in nota l’emendamento là o’ si conven saper, non son saccente perché «è rara la stessa parola-rima adoperata con la stessa funzione e con lo stesso significato». La proposta è interessante, ma non così cogente da essere promossa a testo contro la lettera del manoscritto, tanto più che nelle ballate di Saladino i rimanti ripetuti sono numerosi. DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 28 Nicolò Premi Nicolò Premi Bibliografia a llegretti g orni , P. 2017: «Poeti antichi italiani nelle carte del Palatino», in: F. s uitner (ed.), La poesia in Italia prima di Dante. Atti del Colloquio internazionale di italianistica (Università degli studi di Roma Tre, 10-12 giugno 2015) , Ravenna, Longo: 15-28. a rveda , a. 1995: Contrasti amorosi nella poesia italiana antica , Roma, Salerno editrice. 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Ramazzotti. 30 Nicolò Premi DOI 10.2357/ VOX-2022-001 Vox Romanica 81 (2022): 1-30 Saladino’s lyric poems Abstract: The article presents the first critical edition of the poetic corpus (two ballads and a sonnet) attributed to Saladino by the manuscripts of early Italian literature. The edition is preceded by an introductory study which first questions the identity of the poet, providing new elements in favour of the possible Saladino’s Pisan origin. Secondly, the article illustrates the manuscript tradition and the poetic culture of the poet in which we can recognize traditional elements of Occitan and Sicilian derivation. In approaching the ballad as a genre, however, the author shows some innovative elements that anticipate the Stilnovist experience. The critical text is based on the analysis of the manuscript tradition as a whole and each text is followed by a commentary. Keywords: Saladino, Stilnovo, Ballad, Siculo-Tuscan poets, Sicilian School 30 Nicolò Premi Nicolò Premi