Movimenti – Bewegungen III
Akten der Sprachwissenschaftlichen Sektion des Deutschen Italianistentags 2022
0526
2025
978-3-3811-3052-8
978-3-3811-3051-1
Gunter Narr Verlag
Ludwig Fesenmeierhttps://orcid.org/0000-0002-6453-9721
Tania Paciaronihttps://orcid.org/0009-0000-5860-2475
Sarah Dessì Schmid
10.24053/9783381130528
Die Vielschichtigkeit des Begriffs der ,Bewegung' zeigt sich nicht zuletzt in den Lesarten, die bereits in den ersten lexikographischen Werken festgehalten wurden. Die zwölf Beiträge in diesem Band illustrieren diese Vielschichtigkeit über drei Themenbereiche hinweg: Der erste Bereich betrifft die Bewegung von Einheiten innerhalb des Sprachsystems in morphologischer, syntaktischer und textueller Hinsicht; der zweite beschäftigt sich mit den Bewegungen von Wörtern und Texten im Raum, während sich der dritte mit soziolinguistischen Fragestellungen im Zusammenhang mit der Bewegung von Individuen befasst. Das Ergebnis ist ein Profil des Italienischen, dessen wesentliche Merkmale sich über seine ganze Geschichte hinweg und aus je verschiedenen Perspektiven immer wieder mit ,Bewegung(en)' ganz unterschiedlichen Typs fruchtbar in Beziehung setzen lassen.
<?page no="0"?> 3 Ludwig Fesenmeier / Tania Paciaroni / Sarah Dessì Schmid (Hrsg. / A cura di) Movimenti - Bewegungen III Akten der Sprachwissenschaftlichen Sektion des Deutschen Italianistentags 2022 <?page no="1"?> Movimenti - Bewegungen III <?page no="2"?> Herausgegeben von: Barbara Kuhn ( Eichstätt) 3 <?page no="3"?> Ludwig Fesenmeier / Tania Paciaroni / Sarah Dessì Schmid (Hrsg. / A cura di) Movimenti - Bewegungen III Akten der Sprachwissenschaftlichen Sektion des Deutschen Italianistentags 2022 <?page no="4"?> DOI: https: / / doi.org/ 10.24053/ 9783381130528 © 2025 · Narr Francke Attempto Verlag GmbH + Co. KG Dischingerweg 5 · D-72070 Tübingen Das Werk einschließlich aller seiner Teile ist urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung außerhalb der engen Grenzen des Urheberrechtsgesetzes ist ohne Zustimmung des Verlages unzulässig und strafbar. Das gilt insbesondere für Vervielfältigungen, Übersetzungen, Mikroverfilmungen und die Einspeicherung und Verarbeitung in elektronischen Systemen. Alle Informationen in diesem Buch wurden mit großer Sorgfalt erstellt. Fehler können dennoch nicht völlig ausgeschlossen werden. Weder Verlag noch Autor: innen oder Herausgeber: innen übernehmen deshalb eine Gewährleistung für die Korrektheit des Inhaltes und haften nicht für fehlerhafte Angaben und deren Folgen. Diese Publikation enthält gegebenenfalls Links zu externen Inhalten Dritter, auf die weder Verlag noch Autor: innen oder Herausgeber: innen Einfluss haben. Für die Inhalte der verlinkten Seiten sind stets die jeweiligen Anbieter oder Betreibenden der Seiten verantwortlich. Internet: www.narr.de eMail: info@narr.de Druck: Elanders Waiblingen GmbH ISSN 3052-1459 ISBN 978-3-381-13051-1 (Print) ISBN 978-3-381-13052-8 (ePDF) ISBN 978-3-381-13053-5 (ePub) Umschlagabbildung mit freundlicher Genehmigung von ILLUSTRELLA bildgestaltung | www.illustrella.de Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http: / / dnb.dnb.de abrufbar. <?page no="5"?> Indice Sarah Dessì Schmid/ Ludwig Fesenmeier/ Tania Paciaroni Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Francesca Strik-Lievers Andare a + infinito: una perifrasi in movimento, fra mutamento e variazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 Katrin Schmitz/ Anna-Lena Scherger I soggetti postverbali nell’italiano lingua d’origine in Germania . . . . . . . . . 37 Katrin Betz Kausalsätze in der Sprachbeschreibung: vom Baummodell zur interaktionalen Linguistik . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 Anna-Maria De Cesare Il Movimento Testuale seriale: forma prototipica e manifestazione nei testi generati da ChatGPT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 Matthias Heinz Auf den Spuren der Lehnwortmigration: ein Observatorium für die Sprachkontaktdynamiken von lexikalischen Italianismen . . . . . . . . . . . . . . 109 Nicola De Blasi Parole in viaggio con il padre Cappuccino Girolamo Merolla da Sorrento (1692): il caso di somacca e zumbi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131 Matthias Bürgel Copiare il Cavalca nella Napoli aragonese: il ms. XVI.301 della Biblioteca Badia di Cava . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149 Rembert Eufe/ Stephan Lücke Italienisch in deutschen Stammbüchern der Frühen Neuzeit . . . . . . . . . . . . 167 5 <?page no="6"?> Thomas Krefeld Il gallo-italico siciliano e la resilienza linguistica di migrazioni medievali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 199 Sabine Heinemann Italiano popolare in den USA? Zur Entstehung des italo-americano Ende des 19. Jh. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231 Laura Campanale La dimensione dello spazio nelle migrazioni stagionali dalla montagna veneta alla Baviera: un percorso al femminile tra tradizione e innovazione 251 Mari D’Agostino «Noi che siamo passati dalla Libia». Appunti per la sociolinguistica del XXI secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 271 6 <?page no="7"?> Introduzione XII Italianistentag 2020 - 2022 Quando, nel febbraio 2019, scegliemmo per l’Italianistentag 2020 di Monaco il tema «Movimenti - Bewegungen», nessuno immaginava di andare incontro a un periodo davvero “movimentato”. Alla fine dello stesso anno, a Wuhan si scoprì un nuovo tipo di polmonite, dalle cause ancora sconosciute, che presto ricevette il nome di «COVID-19». A fine gennaio 2020, nel distretto di Starnberg, 1 a una ventina di chilometri dal luogo in cui, dal 5 al 7 marzo, si sarebbe dovuto svolgere il convegno, fu identificato il primo caso di infezione da coronavirus. Per chi, come noi, si trovava a organizzare un evento in quel periodo, la decisione da prendere non era ovvia, dato che poco o nulla si sapeva dei pericoli che quel virus comportava. Ad ogni modo, il 26 febbraio 2020 si decise di rimandare il convegno a tempi meno “movimentati”. 2 Di lì a pochi giorni, l’11 marzo 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità avrebbe classificato il COVID-19 come pandemia mondiale. 3 Non occorre ripercorrere in questa sede l’ulteriore sviluppo della pandemia, fin troppo noto. Vorremmo solo ricordare con l’annuncio qui di séguito, pubblicato il 18 maggio 2020, l’ottimismo che riempiva (ancora, e non solo) tutti gli organizzatori: Alla luce dei recenti sviluppi che riguardano, da un lato, la situazione generale, dall’altro, le condizioni logistiche, il Dipartimento di Filologia Italiana e il comitato direttivo dell’Associazione hanno potuto fissare una nuova data: il convegno si terrà dall’11 al 13 febbraio 2021 - ovviamente a condizione, o meglio nella speranza, che la situazione futura lo consenta. 4 1 Cfr. ⟨ https: / / www.bundesgesundheitsministerium.de/ coronavirus/ chronik-coronavirus ⟩ (ultimo accesso: 17/ 03/ 2025). 2 Cfr. l’annuncio pubblicato su romanistik.de, ⟨ https: / / www.romanistik.de/ aktuelles/ 4457 ⟩ (ultimo accesso: 17/ 03/ 2025). 3 Cfr. ⟨ https: / / www.who.int/ director-general/ speeches/ detail/ who-director-general-s-openingremarks-at-the-media-briefing-on-covid-19---11-march-2020 ⟩ (ultimo accesso: 17/ 03/ 2025). 4 Cfr. l’annuncio pubblicato su romanistik.de, ⟨ https: / / www.romanistik.de/ aktuelles/ 4582 ⟩ (ultimo accesso: 17/ 03/ 2025). 7 <?page no="8"?> Sarah Dessì Schmid/ Ludwig Fesenmeier/ Tania Paciaroni La «situazione» non lo permise e fummo costretti a un nuovo rinvio. Finalmente, dal 10 al 12 marzo 2022 il convegno ebbe luogo (seppure in circostanze pratiche particolari), e si concretizzò la speranza, lungamente nutrita, di tornare a discutere e interagire di persona. “Movimenti” Causata essa stessa da movimenti nello spazio, la pandemia mondiale da COVID-19 ha determinato a sua volta vari tipi di «movimento». La polisemia del termine risulta evidente dalla disamina dei suoi signifcati, registrati fin dalle prime opere lessicografiche. Il Vocabolario degli Accademici della Crusca, nella terza edizione del 1691, riporta per movimento l’accezione di ‘novità, commozione’, anche se con una attestazione molto più antica, tratta dal volgarizzamento di Agnolo Firenzuola dell’Asino d’oro. Più tardi, nel Deutsches Wörterbuch dei fratelli Grimm è attestata, per la fine del XVII secolo, l’espressione öffentliche Bewegung ‘movimento pubblico’ nel senso di ‘tumulto’, ‘rivolta’. 5 Più di recente il ‘movimento’ è divenuto “metafora centrale”, e persino “categoria performativa”, dell’età moderna. 6 Soprattutto, l’attenzione per la (necessità della) plasiticità del movimento ha portato a concezioni e prospettive su di esso molto diverse e che si concretizzano in ogni ambito della vita - dalla società, passando per i media, fino all’ambito scientifico. Nel contesto storico postmoderno, la centralità di questa metafora è stata progressivamente messa in discussione, in particolare nelle scienze sociali e culturali, in cui da alcuni anni un ruolo chiave è attribuito ai concetti di ‘circolazione’ e ‘interazione’, ma anche di ‘mobilità’ e ‘transfer’ - con riferimento sia agli oggetti stessi della ricerca, sia al sapere che si genera grazie ad essi, alle strutturazioni di questo sapere e/ o alla loro (de)stabilizzazione. Il movimento come ‘mobilità’ costituisce, ad esempio, l’oggetto della ricerca sulla migrazione, la quale, concepita inizialmente in modo statico come studio dello spostamento duraturo del centro della vita, mette oggi in primo piano, piuttosto, la molteplicità 5 Cfr. rispettivamente ⟨ http: / / www.lessicografia.it/ pagina.jsp? ediz=3&vol=3&pag=1065&tipo=1 ⟩ e Deutsches Wörterbuch von Jacob Grimm und Wilhelm Grimm. Digitalisierte Fassung im Wörterbuchnetz des Trier Center for Digital Humanities. Version 01/ 23, ⟨ https: / / woerterbuchnetz.de/ ? sigle=DW B&lemid=B06445 ⟩ (ultimo accesso: 17/ 03/ 2025). 6 Cfr. Klein, Gabriele (2004): «Bewegung und Moderne: Zur Einführung». In: Klein, Gabriele (a c. di): Bewegung. Sozial- und kulturwissenschaftliche Konzepte. Bielefeld: transcript, 7-19, qui p. 7. 8 <?page no="9"?> Introduzione e la varietà delle possibili costellazioni degli spostamenti, nonché le loro diverse ripercussioni sulla vita reale. Nel frattempo, anche i settori di conoscenza a lungo ritenuti stabili sono soggetti a una progressiva dinamizzazione, per esempio a causa di modificazioni nel campo dei media che custodiscono e trasmettono il sapere esistente. D’altro canto, un nuovo sguardo sull’insieme delle precedenti modalità di produzione, conservazione e trasmissione del sapere ha fatto sì che anche la questione delle dinamiche ivi operanti venga oggi posta in maniera più insistente. In linguistica, in aggiunta ma anche in opposizione all’uso metaforico del concetto di ‘spazio’ (per esempio, lo “spazio variazionale”), si viene enfatizzando da qualche tempo il carattere fondamentale della spazialità - nel senso letterale del termine - per la comunicazione, proprietà che pertiene sia al linguaggio e alle lingue, sia ai parlanti, sia allo stesso atto locutorio. L’analisi dettagliata delle molteplici dinamiche che portano al movimento e da esso derivano ha rappresentato il nodo centrale del convegno in generale e della sezione linguistica in particolare - e, dunque, di questo volume. Presentazione del volume Gli interventi raccolti nel presente volume discutono tali diverse accezioni del concetto di movimento e le sviluppano ulteriormente, concentrandosi intorno a tre nuclei teorici principali. Ne risulta un profilo dell’italiano, antico e contemporaneo, che nella plasticità dei movimenti trova uno dei suoi caratteri essenziali. Il primo nucleo concerne il movimento di unità di diverso livello - morfologico, sintattico, testuale - all’interno del sistema linguistico. All’evoluzione della costruzione andare a + infinito nell’italiano contemporaneo è dedicato l’intervento di Francesca Strik-Lievers «Andare a + infinito: una perifrasi in movimento, fra mutamento e variazione». Dopo avere tracciato brevemente le linee della sua evoluzione diacronica ed essersi soffermata sull’analisi di dati provenienti da quattro diversi corpora (PAISÀ, CODIS per la lingua scritta, KIParla e ParlaTO per la lingua parlata), Strik-Lievers conclude che non ci siano prove sufficienti per affermare che la costruzione si sta avviando a diventare una forma di futuro analitico, come è invece avvenuto in altre lingue romanze. 9 <?page no="10"?> Sarah Dessì Schmid/ Ludwig Fesenmeier/ Tania Paciaroni Il secondo contributo è uno studio empirico a partire da interviste semi-strutturate dell’interazione tra posizione del soggetto e tipo di verbo, con particolare attenzione alla sintassi dei verbi psicologici («I soggetti postverbali nell’italiano lingua d’origine in Germania»). Katrin Schmitz e Anna-Lena Scherger confrontano la produzione di tre gruppi di parlanti italiani (monolingui, heritage speakers adulti e bambini in età scolare) e osservano che la tendenza verso i soggetti preverbali rilevata nei bambini scompare al raggiungimento dell’età adulta, quando gli heritage speakers non si differenziano più in modo significativo dai parlanti italiani monolingui. Katrin Betz, nel suo articolo «Kausalsätze in der Sprachbeschreibung: vom Baummodell zur interaktionalen Linguistik», discute criticamente la nozione di subordinazione per poi concentrarsi sull’esame, da differenti prospettive, delle frasi avverbiali causali. L’autrice dimostra che la rappresentazione delle causali, tradizionalmente studiate a partire da modelli spaziali bidimensionali, riceve luce laddove si ricorre a modelli di linguistica interazionale che considerano la linearità della produzione linguistica in termini di movimento temporale del linguaggio. Nel suo contributo «Il Movimento Testuale seriale: forma prototipica e manifestazione nei testi generati da ChatGPT» Anna Maria De Cesare esplora il concetto di movimento dalla prospettiva della linguistica testuale. Dopo aver presentato le caratteristiche definitorie dei movimenti, l’autrice ne offre una modellizzazione e una rappresentazione grafica generale, per passare infine all’esame di movimenti testuali seriali nei testi artificiali. Di cinquanta blocchi di testo generati da ChatGPT, analizzati in rapporto al connettivo in primo luogo in essi contenuto, viene proposta un’analisi qualitativa e una valutazione del grado di naturalezza. Il secondo nucleo teorico intorno al quale convergono i contributi del volume concerne i movimenti di parole nello spazio. L’intervento di Matthias Heinz «Auf den Spuren der Lehnwortmigration: ein Observatorium für die Sprachkontaktdynamiken von lexikalischen Italianismen» tratta il movimento di parole da una prospettiva generale, concentrandosi sugli italianismi, vale a dire i prestiti dall’italiano nelle altre lingue che arricchiscono sia il lessico di base sia la terminologia tecnica. L’autore analizza diversi fenomeni di prestito e presenta aspetti metodologici e strutturali della banca dati lessicografica Osservatorio degli Italianismi nel Mondo nonché casi di studio che esemplificano i processi di trasferimento lessicale dall’italiano ad altre lingue, tra cui il tedesco. 10 <?page no="11"?> Introduzione Da una prospettiva particolare opera, invece, Nicola De Blasi nel suo «Parole in viaggio con il padre Cappuccino Girolamo Merolla da Sorrento (1692): il caso di somacca e zumbi» quando, seguendo il viaggio del missionario cappuccino Girolamo Merolla di Sorrento, rinviene le prime attestazioni di due esotismi di diversa fortuna. Al ritorno in Italia, dieci anni dopo l’inizio del suo viaggio in Congo e in Brasile, padre Merolla racconta le sue esperienze al confratello Angelo Piccardo che le riporta in un resoconto di viaggio, fornendo così le prime attestazioni in un testo scritto (in italiano) dei tipi lessicali somacca (variante della parola semacca, usata per designare un tipo di imbarcazione) e zumbi (variante di zombi, che, nel racconto, nel contesto di origine nel Regno del Cacongo ha il significato di ‘apparitioni de’ morti’). L’articolo di Matthias Bürgel «Copiare il Cavalca nella Napoli aragonese: il ms. XVI.301 della Biblioteca Badia di Cava» mostra, invece, le peripezie di un manoscritto. Sulla base dell’analisi congiunta dei fattori storico-sociali, dei dati ecdotici e delle caratteristiche fonomorfologiche di uno dei tardi testimoni (seconda metà del Quattrocento) dell’Esposizione del Credo di Domenico Cavalca, l’autore dimostra la collocazione del manoscritto cavese XVI.301 nell’Italia meridionale, più precisamente, nell’area napoletana aragonese. Il codice fu copiato in un’abbazia campana appartenente alla Congregazione di S. Giustina (nel monastero SS. Severino e Sossio), da dove sarebbe passato ai monaci cavesi. Rembert Eufe e Stefan Lücke si dedicano nel loro contributo «Italienisch in deutschen Stammbüchern der Frühen Neuzeit» a un genere testuale che testimonia movimenti sia di parole sia di individui: gli alba amicorum. Si tratta di testi che forniscono informazioni sui movimenti dell’italiano in Europa a nord delle Alpi, nonché su quelli dei loro ‘possessori’ e dei loro ‘compilatori’. L’intervento, analizzando esempi italiani presenti negli alba amicorum (XVI-XVIII sec.) della collezione della Biblioteca della duchessa Anna Amalia a Weimar, getta luce sui contatti italo-tedeschi, come pure sull’uso e sul prestigio dell’italiano nell’Europa centrale in epoca moderna. Il terzo nucleo, infine, affronta temi di sociolinguistica più specificamente legati ai movimenti di (gruppi di) individui, dunque a diversi aspetti della migrazione e a differenti tipi di contatto linguistico. Thomas Krefeld nel contributo intitolato «Il gallo-italico siciliano e la resilienza linguistica di migrazioni medievali» si concentra su un esempio particolare di con- 11 <?page no="12"?> Sarah Dessì Schmid/ Ludwig Fesenmeier/ Tania Paciaroni tatto intra-romanzo, quello verificatosi nella Sicilia del Medioevo, dove numerosi parlanti di varietà gallo-italiche si stabilirono in seguito alla conquista normanna (1060 d.C.). L’autore - interpretando la situazione in termini di resilienza linguistica - nella sua analisi insiste, non solo sull’erosione delle varietà importate, ma anche sulla conservazione di intere varietà o addirittura di singoli tratti gallo-italici nelle varietà siciliane di contatto. Al contatto linguistico avvenuto in seguito all’emigrazione di 25 milioni di italiani (per lo più dialettofoni) negli Stati Uniti dalla fine dell’Ottocento agli anni Ottanta del Novecento si dedica Sabine Heinemann in «Italiano popolare in den USA? Zur Entstehung des italo-americano Ende des 19. Jh.». L’autrice sostiene che l’italo-americano, varietà ibrida e instabile sviluppatasi in tale situazione di contatto, assomiglia da diversi punti di vista all’italiano popolare. Attraverso l’analisi delle pubblicità apparse nel quotidiano Il Progresso Italo-americano, vengono indicati alcuni parallelismi strutturali tra le due varietà e viene ipotizzato per entrambe un livellamento dialettale. Nel suo intervento «La dimensione dello spazio nelle migrazioni stagionali dalla montagna veneta alla Baviera: un percorso al femminile tra tradizione e innovazione», Laura Campanale si dedica a movimenti migratori considerati da un punto di vista socio-culturale, soffermandosi nello specifico sull’emigrazione femminile stagionale alpigiana cominciata verso la fine dell’Ottocento nel Bellunese e diretta verso i territori di lingua tedesca. Insistendo sull’analisi della variabile spaziale e su come questa venga vissuta dalle donne, l’autrice sottolinea come, nel fenomeno migratorio in esame, lo spazio territoriale (area di provenienza) sia strettamente correlato a quello temporale (stagione). Mari D’Agostino affronta, infine, il tema dei movimenti migratori e delle loro conseguenze linguistiche attraverso uno studio di caso. «‘Noi che siamo passati dalla Libia’. Appunti per la sociolinguistica del XXI secolo» esamina le particolari dinamiche linguistiche che accompagnano le odierne migrazioni transnazionali lungo le rotte del Mediterraneo centrale e discute le potenziali aree di ricerca nell’ambito della linguistica (socio)migratoria. L’intervento ha un duplice obiettivo. In primo luogo, mira a esaminare i meccanismi linguistici coinvolti nella creazione della rappresentazione mediatica della migrazione; in secondo luogo, presenta gli elementi più interessanti dell’analisi delle pratiche comunicative di giovani migranti su piattaforme digitali, mettendo così in discussione le prospettive e i modelli di classificazione politico-legislativa esistenti. 12 <?page no="13"?> Introduzione Ringraziamenti A tutti coloro i quali hanno contribuito in vario modo al successo del convegno da cui questo volume nasce vanno, infine, i nostri più sentiti ringraziamenti. Grazie di cuore a Thomas Krefeld, Florian Mehltretter e, in particolare, a Giulia Lombardi e Noemi Piredda per l’organizzazione ‘in tre repliche’ dell’Italianistentag di Monaco. Grazie infinite a tutti i partecipanti alla sezione di linguistica per la vivace discussione scientifica che ha caratterizzato le giornate del convegno; alle autrici e agli autori per i loro contributi e la piacevole collaborazione durante l’intero processo di redazione; alla casa editrice Narr Francke Attempto - e in particolare a Kathrin Heyng - per aver accompagnato il processo di pubblicazione del nostro volume dal primo all’ultimo passo con grande competenza, disponibilità e cordialità. Sarah Dessì Schmid/ Ludwig Fesenmeier/ Tania Paciaroni (Tübingen/ Erlangen/ München, marzo 2025) 13 <?page no="15"?> Francesca Strik-Lievers * Andare a + infinito: una perifrasi in movimento, fra mutamento e variazione ** 1 Introduzione I verbi di movimento, e in particolar modo quelli di significato “ampio” (Batiukova/ De Miguel 2013), sono spesso usati senza riferimento a uno spostamento nello spazio, e rispetto a questa tendenza ampiamente documentata a livello interlinguistico (Heine/ Kuteva 2002) l’italiano non fa eccezione. Si pensi agli usi metaforici (1) e di “movimento fittizio” (2; Talmy 2000, Matlock/ Bergmann 2019), e ai processi diacronici che hanno portato alla grammaticalizzazione (3) e pragmaticalizzazione (4) dei verbi di movimento dell’italiano: 1. È arrivato a una conclusione errata. 2. Quella strada va da Milano a Genova. 3. I due vennero trascinati via 1 4. Leggi un po’ questo e pensaci un po’, va’ 2 In questo quadro rientrano anche alcuni usi del verbo andare quando è seguito da a e dall’infinito di un altro verbo. Andare a + infinito, infatti, oltre a descrivere uno spostamento nello spazio, come in (5), può costituire una perifrasi come in (6) e (7): * Università degli Studi di Genova. ** Ringrazio Paolo Della Putta e Michele Prandi per aver letto e discusso con me una precedente versione di questo testo. L’articolo è stato rivisto l’ultima volta nel febbraio 2023: non è stato pertanto possibile tener conto degli studi su andare a + infinito e delle risorse pubblicate dopo quella data. 1 Da Sansò/ Giacalone Ramat (2016: 1). 2 Da Fedriani/ Ghezzi (2014: 124). 15 <?page no="16"?> Francesca Strik-Lievers 5. Marco è andato a comprare un mazzo di fiori. 6. Le sanzioni vanno a colpire l’aggressore. 7. Vado a illustrarvi il mio progetto. Si possono riconoscere diversi usi perifrastici di andare a + infinito, che sono emersi in momenti diversi della storia dell’italiano; più in generale, è mutato nel corso dei secoli il rapporto quantitativo fra gli usi di movimento e quelli perifrastici della struttura. In questo articolo ripercorrerò alcune tappe di questa storia, per soffermarmi poi in particolare sulla situazione contemporanea, dove la distribuzione dei diversi usi della perifrasi va analizzata alla luce di varie dimensioni della variazione, da quella diamesica a quella diastratica e di situazione d’uso. 2 Andare a + infinito: principali usi perifrastici in un corpus di italiano scritto Il verbo andare delinea un movimento nello spazio, diretto verso una meta. Il movimento ha necessariamente anche una dimensione temporale, poiché lo spostarsi da un punto a un altro nello spazio è un evento che ha una durata, breve o lunga che sia. La co-presenza, nel movimento, della dimensione spaziale e di quella temporale è alla base dei numerosi processi di grammaticalizzazione che hanno interessato i verbi di movimento in molte lingue del mondo. Bybee/ Perkins/ Pagliuca (1994: 289-294) discutono da questo punto di vista il caso dell’inglese be going to, la cui grammaticalizzazione come marca di futuro avviene nel momento in cui questa forma è usata in contesti in cui solo la dimensione temporale, e non più quella spaziale, è rilevante. In generale, futuri derivati da ‘andare’ sono particolarmente numerosi nel campione tipologico di Bybee/ Perkins/ Pagliuca (1994: 289-294), ed è questo il caso anche di numerose lingue e varietà romanze, dove sono ampiamente attestate forme analitiche di futuro formate con ‘andare’, come il francese aller + infinito e lo spagnolo ir a + infinito (Olbertz 1998, Squartini 1998, Ledgeway/ Smith/ Vincent 2022). L’italiano andare a + infinito, come vedremo, non si è grammaticalizzato come forma analitica di futuro, ma presenta usi perifrastici che possono assumere diversi valori (anche in relazione alle caratteristiche azionali del verbo dell’infinitiva), 16 <?page no="17"?> Andare a + infinito: una perifrasi in movimento ma che sono accomunati dal fatto che andare non descrive uno spostamento nello spazio (Bertinetto 1989, Amenta/ Strudsholm 2002, Valentini 2007, Strik Lievers 2017). In particolare, l’uso perifrastico più comune è quello in cui andare a + infinito costituisce una costruzione con valore culminativo, in cui è descritto un processo che culmina nell’evento, non pianificato, espresso dal verbo all’infinito (Veland 2014: 159). Bertinetto (1989: 61) parla per questo caso di perifrasi risolutiva, che ha la funzione di descrivere il raggiungimento di un risultato, normalmente “esito inopinato” di cause esterne e non di un’azione intenzionale (l’intenzionalità caratterizza invece gli usi di movimento nello spazio). Vediamo dunque quali sono gli usi perifrastici di andare a + infinito, cominciando dall’analisi di un corpus di italiano scritto, PAISÀ 3 . Da questo corpus ho estratto tutte le occorrenze in cui forme di andare sono seguite da a e da un infinito, ne ho annotate una parte distinguendo innanzitutto gli usi di movimento da quelli non di movimento, e per questi ultimi ho distinto gli usi con valore culminativo da altri usi perifrastici. Mentre la distinzione fra usi di movimento e non di movimento normalmente non pone problemi, va notato che quella fra i diversi usi perifrastici può essere in alcuni casi sottile, perché parte della semantica lessicale di andare, per quanto “sbiadita”, permane anche negli usi perifrastici e li accomuna (cfr. Batiukova/ De Miguel 2019: 86, Ledgeway/ Smith/ Vincent 2022: 29). Le stime quantitative che presenterò in questo articolo vanno dunque prese con un minimo di cautela, tenendo cioè presente che l’interpretazione di alcune occorrenze potrebbe essere oggetto di discussione (v. per esempio il caso discusso più avanti nella nota 7). In Strik Lievers (2017) l’analisi di 200 occorrenze di andare a + infinito in PAISÀ ha mostrato una netta prevalenza degli usi culminativi rispetto ad altri usi perifrastici. L’estensione dell’analisi a 400 occorrenze conferma questa osservazione: delle 208 occorrenze di andare a + infinito perifrastico, 192 (circa il 92) sono gli usi culminativi, come quello dell’esempio (8), dove la deturpazione del paesaggio è presentata come lo stadio finale di un processo. 8. Occorre tener conto dell’inserimento visivo di queste opere nel contesto per evitare delle brutture che andrebbero a deturpare il paesaggio naturale o urbano. 3 Piattaforma per l’Apprendimento dell’Italiano Su corpora Annotati. Il corpus è costituito da testi estratti dal web nel 2010 (principalmente da Wikipedia, Indymedia, blog), per un totale di circa 250 milioni di token. 17 <?page no="18"?> Francesca Strik-Lievers Rientrano nel computo degli usi culminativi anche alcuni casi (nove occorrenze) in cui è descritto un movimento nello spazio, un movimento che tuttavia tipicamente non prevede la presenza di un agente intenzionale, come in (9), dove lo schiantarsi del velivolo è presentato come accidentale (si tratta di un caso che può essere considerato “ponte” fra gli usi di movimento e quelli culminativi, cfr. Strik Lievers 2017: 178). 9. Il velivolo andò a schiantarsi contro una scuola. Nella costruzione culminativa il verbo dell’infinitiva è telico, durativo o non durativo (verbi più frequenti nel mio campione: formare 28 occorrenze, sostituire 22, costituire 18), e non ci sono restrizioni sul tempo e il modo di andare. Delle restanti 16 occorrenze perifrastiche nel corpus, dieci hanno valore prospettivo (Comrie 1976: 64s.), delineando un’azione che accadrà in un prossimo futuro. In questo caso andare è al presente, come in (10), imperfetto o futuro (Levie 2016: 6), e il verbo dell’infinitiva è durativo e dinamico (telico o atelico). 10. È fondamentale [...] che i campioni siano il più possibile rappresentativi di tutto l’insieme che si va a studiare. Come già osservato da Brianti (1992: 165), anche se l’uso prospettivo è verosimilmente in origine un calco del francese aller + infinito, a differenza di quest’ultimo il suo valore non è temporale ma esclusivamente aspettuale. Amenta/ Strudsholm (2002: 25) notano che l’unica eccezione è costituita da andare a cominciare. Questa forma, non presente nel campione di dati analizzato, è tuttavia ancora da considerarsi una perifrasi aspettuale che esprime quello che Dik ( 2 1997: 238s.) chiama immediate prospective aspect. Le rimanenti sei occorrenze di andare a + infinito nel corpus, le uniche in cui sono presenti anche verbi stativi, non rientrano chiaramente in nessuna delle tre classi nominate finora (movimento nello spazio, uso culminativo, uso prospettivo). Qui la perifrasi non sembra fornire uno specifico contributo aspettuale rispetto alla corrispondente forma verbale non perifrastica. Possiamo chiamarlo uso pleonastico, nel senso che si tratta di una sorta di “doppione” analitico del verbo nucleare flesso come è flesso andare. In (11), per esempio, la perifrasi potrebbe essere sostituita da si trova senza che sia possibile identificare chiare differenze, aspettuali o di altro tipo (cfr. Valentini 2007: 230, Renzi 2012: 103, 2019: 16). 18 <?page no="19"?> Andare a + infinito: una perifrasi in movimento 11. La cifra più innovativa di questo gruppo va a trovarsi nel crossover che compie con la musica popolare dell’Europa dell’Est. I dati del corpus PAISÀ mostrano dunque, fra gli usi perifrastici di andare a + infinito, una netta prevalenza del valore culminativo, un decisamente più raro uso prospettivo e alcuni casi sostanzialmente pleonastici. Prima di approfondire la situazione contemporanea della perifrasi servendoci di dati diversi da quelli forniti dal corpus PAISÀ, dal punto di vista diamesico e non solo, vediamo com’era usato andare a + infinito in fasi diacronicamente più antiche della lingua italiana. 3 Uno sguardo al passato: andare a + infinito in un corpus diacronico La struttura andare a + infinito è ben attestata fin dall’italiano antico (Sornicola 1976). In Strik Lievers (2017) ho estratto tutte le sue occorrenze in MIDIA 4 , un corpus diacronico che comprende testi dalle origini alla metà del XX secolo, suddivisi in cinque periodi. Nel corpus MIDIA sono presenti complessivamente 791 occorrenze del lemma andare seguito da a e infinito, in tutto l’arco temporale coperto dal corpus. Il numero di occorrenze è decisamente inferiore solo in italiano antico (anni 1200-1375 nel corpus) rispetto ai periodi successivi, forse anche perché in questa fase andare a + infinito era in competizione con altre due strutture, andare per + infinito e andare + infinito (cfr. Giuliani 2012: 539). Nonostante la struttura sia presente in tutto il periodo coperto dal corpus, i suoi usi sono fortemente mutati nel tempo. Come si può osservare nella Figura 1 (v. p. 20), si va dall’uso esclusivamente di movimento nello spazio in italiano antico a un graduale aumento degli usi perifrastici, in particolare di quello culminativo, di cui si trova qualche occorrenza che può probabilmente essere interpretata in tal senso già nel periodo 1376-1532. L’uso prospettivo fa invece la sua comparsa nel corpus molto tardi (periodo 1692-1840), più precisamente con sole due occorrenze entrambe ottocentesche, riportate in (12) e (13). 4 Morfologia dell’Italiano in DIAcronia. 19 <?page no="20"?> Francesca Strik-Lievers Figura 1: numero di occorrenze e usi di andare a + infinito nel corpus MIDIA 12. Per comprender bene le sperienze, che vado a rapportare sopra gl’ucelli egli è necessario di richiamare alla memoria, quanto si è detto sopra la struttura del cervello di questi animali. (Luigi Rolando, Saggio sopra la vera struttura del cervello dell’uomo e degli animali, 1809) 13. Fate (ed è di ciò che io vado a dire recente l’esempio) che il giustiziato si mostri cristianamente pentito del delitto commesso: che ne implori perdono. (Giovanni Carmignani, Una lezione accademica sulla pena di morte detta nella Università di Pisa il 18 Marzo, 1836) A proposito dell’uso prospettivo si possono fare due osservazioni. Innanzitutto, va notato che già fra fine Ottocento e inizio Novecento diversi testi normativi e puristi lo condannavano, raccomandando di evitarlo in quanto «brutto gallicismo» (Rigutini/ Cappuccini, in GDLI: I, 454, s.v. andare), proprio del «gergo dei mal parlanti» (Panzini, in GDLI: I, 454, s.v. andare). Inoltre, le due occorrenze appena citate provengono rispettivamente da un saggio scientifico e dal testo di una lezione universitaria. Come vedremo nel prossimo paragrafo, della condanna ottocentesca sono ancora ben vive le tracce, e il discorso scientifico è tuttora la varietà in cui l’uso prospettivo di andare a + infinito è maggiormente attestato. 20 <?page no="21"?> Andare a + infinito: una perifrasi in movimento 4 Andare a + infinito e dimensioni della variazione sincronica Sulla base dell’analisi di andare a + infinito nel corpus di italiano scritto PAISÀ è emerso che, quando non descrive un movimento nello spazio di un agente intenzionale, andare a + infinito è usato principalmente come costruzione culminativa, mentre l’uso prospettivo e quello pleonastico, pure attestati, sono decisamente meno frequenti. Oltre a questi tre usi perifrastici va anche menzionato quello che Frosini (2020), rispondendo a diversi messaggi sul tema inviati al servizio di consulenza linguistica dell’Accademica della Crusca, chiama spiritosamente uso “gastronomico”, vista la frequenza con cui si trova nei programmi televisivi, e più in generale nei video, di cucina. In questo contesto, spesso chi sta cucinando usa andare a + infinito per descrivere le azioni che compie per portare a termine una ricetta, come nell’esempio (14), dove un noto chef illustra una delle sue ricette sul canale YouTube di una marca di pasta: 14. mettiamo dell’olio e andiamo a frullare 5 Come osserva Frosini (2020), si tratta di un uso prevalentemente orale: nelle ricette scritte si può trovare, ma molto più raramente. Non sorprende che delle 400 occorrenze di andare a + infinito nel corpus PAISÀ che ho analizzato, nessuna sia di questo tipo. L’uso prospettivo e quello pleonastico sono dunque poco frequenti, e quello “gastronomico” sembra essere circoscritto a un ambito molto specifico. L’uso prospettivo è inoltre condannato già dal XIX secolo, come abbiamo visto. Più recentemente, anche Serianni (2002: 12s.) ne parla come di «un uso assai familiare, che gli annunciatori radiofonici, tenuti a un buon controllo linguistico, farebbero bene ad evitare». Per quanto riguarda l’uso “gastronomico”, Frosini (2020: 84) riporta il giudizio negativo che ne danno i lettori che le hanno scritto in proposito: «Annamaria D., dalla provincia di Alessandria, [...] lo trova un uso “inutile e ridondante”, Pino P. da Firenze [...] lo definisce “irritante”». Tracce della condanna normativa, e più in generale attestazioni della marginalità percepita di tutti gli usi “minori” di andare a + infinito, si ritrovano oggi nei giudizi linguistici dei parlanti colti. Nell’ambito di uno studio sull’acquisizione di 5 ⟨ https: / / www.youtube.com/ watch? v=Pj8DhWgpis0 ⟩ , 01’02”-01’06” (ultimo accesso: 31/ 01/ 2023). 21 <?page no="22"?> Francesca Strik-Lievers questa perifrasi da parte di apprendenti che come L1 hanno lo spagnolo (dove ir a + infinito è molto usato, soprattutto con valore temporale di futuro), in Della Putta/ Strik Lievers (2023) abbiamo raccolto giudizi di accettabilità da parte di madrelingua italiani su 24 frasi contenenti andare a + infinito. I partecipanti erano 165 parlanti nativi di italiano (età media 38,7; min. 17, max. 76), prevalentemente settentrionali e con un grado di istruzione elevato (78 laureati, 22 diplomati). I giudizi potevano spaziare dall’1 (la frase è del tutto sbagliata) al 5 (la frase è del tutto giusta). Le frasi con valore culminativo sono quelle che, insieme alle collocazioni del tipo vai a sapere e va a finire che (cfr. Amenta/ Strudsholm 2002: 25), sono state giudicate maggiormente accettabili. Le frasi con valore prospettivo hanno ricevuto invece un giudizio sostanzialmente di dubbio (media dei giudizi delle tre frasi con questo valore: 3,12), e quelle pleonastiche un giudizio intermedio fra quello delle culminative e quello delle prospettive. Considerando che questo test è stato presentato ai partecipanti in forma scritta, e che era esplicitamente richiesto un giudizio di accettabilità, verosimilmente i giudizi riflettono quello che i partecipanti ritengono, in modo più o meno consapevole, essere la norma. Gli usi prospettivo, “gastronomico” e pleonastico sembrano dunque oggi collocarsi ai margini della norma percepita. Dal momento che sono comunque attestati, e nel caso dell’uso prospettivo da almeno un paio di secoli, vale la pena approfondirne le caratteristiche, anche per cercare di capire se possono essere indici di un processo che porti a una maggiore grammaticalizzazione di questa perifrasi, analoga a quella avvenuta in altre lingue romanze. Andriani (2017: 206), per esempio, commentando esempi del tipo Il passo che vado a leggervi suggerisce che questi potrebbero essere considerati un passaggio intermedio che precede l’ulteriore grammaticalizzazione di andare a + infinito come forma di futuro intenzionale, del tipo per esempio ibero-romanzo. 22 <?page no="23"?> Andare a + infinito: una perifrasi in movimento 4.1 Funzione testuale-discorsiva di andare a + infinito nell’italiano (semi-)scientifico Le prime attestazioni dell’uso prospettivo di andare a + infinito, come abbiamo visto, si trovano in testi di tipo scientifico. Analizzando gli usi di andare a + infinito nel subcorpus di italiano accademico del CODIS, 6 gli usi prospettivi sono in realtà molto rari. Su 487 occorrenze di andare a + infinito analizzate, 213 sono di movimento nello spazio, 84 descrivono un movimento metaforico, 7 e 190 non sono di movimento: di queste ultime, soltanto cinque hanno valore prospettivo. Sembra essere invece più comune l’uso prospettivo della perifrasi nella scrittura degli studenti universitari. In mancanza di un corpus che raccolga scritti di questo tipo 8 non mi è possibile fare stime quantitative, ma qualunque docente che lavori nelle università italiane ha senz’altro avuto modo di notare come questa costruzione sia particolarmente presente nei testi scritti dagli studenti, soprattutto nelle tesi di laurea (rappresentative di quello che Sobrero (2003: 241) chiama discorso semi-scientifico), come nell’esempio (15): 15. In questo capitolo andrò ad illustrare l’analisi dei dati raccolti con una suddivisione in diversi paragrafi a seconda delle diverse caratteristiche che andremo a presentare. (tesi di laurea triennale, Università di Genova, 2020) Si tratta di un uso prospettivo della perifrasi con funzione di deissi testuale: chi scrive annuncia al lettore di che cosa tratterà in un punto successivo del testo, più o meno vicino e più o meno definito. La predilezione dello scritto di ambito accademico per andare a + infinito non è limitata al solo uso prospettivo, ma si estende a tutti gli usi perifrastici, come quello pleonastico in (16): 6 Corpus Dinamico dell’Italiano Scritto. 7 Per esempio: «Per capire attraverso quali passi esso si è trasformato nel senso indicato dal vocabolario della lingua italiana è bene allora andare a vedere da dove nasce il suo significato originario». Usi metaforici di questo tipo sembrano fare da ponte fra quelli di movimento nello spazio e quelli più propriamente perifrastici, al punto che alcuni casi sono di difficile etichettatura. Ho per esempio annotato come “movimento metaforico” «Si può partire dall’argomento che interessa, oppure da una o più parole-chiave che il computer andrà a individuare nei testi», ma qui andare a + infinito ha anche un chiaro valore culminativo. 8 Nell’ambito del progetto PRIN UniverS-ITA coordinato da Nicola Grandi è attualmente in fase di completamento un corpus di italiano scritto di studenti universitari, che sarà liberamente consultabile una volta concluso il progetto. 23 <?page no="24"?> Francesca Strik-Lievers 16. Nonostante la lingua orale e la lingua dei segni vadano ad utilizzare canali sensoriali e di ricezione differenti, entrambe vengono percepite dal cervello come lingue. (tesi di laurea triennale, Università di Genova, 2022) Anche se in modo senz’altro meno massiccio, usi perifrastici di andare a + infinito si trovano anche in altre tipologie testuali, sempre in ambito universitario, come nel testo della mail riportata in (17). 17. Gentile professoressa, sono una studentessa di lingue, che domani in data 23/ 01/ 2020, eseguirà l’esame da lei disposto. Le chiedo se gentilmente mi può fare la cortesia di prepararmi un certificato di presenza all’esame che vada a giustificare la mia assenza dal lavoro [...]. (mail ricevuta da FSL il 22 gennaio 2020) A che cosa si deve questa propensione per gli usi perifrastici nei testi prodotti in ambito universitario, e in particolare in quelli prodotti da studenti? Verosimilmente, va ricondotta a una volontà di esprimersi in uno stile “alto” e formale, che gli studenti sanno essere proprio della scrittura accademica. Trattandosi tuttavia di uno stile che molti studenti ancora non padroneggiano pienamente, nei testi che producono si ha spesso, come notano Amenta/ Assenza (2018: 30, n. 13), una «alternanza fra voci dimesse e voci auliche, idiomatismi e forme stereotipe di derivazione burocratica, [che] testimonia “lo sforzo di adattamento” all’ufficialità della scrittura». In (15) il modello è quello della scrittura scientifica, “culla” dell’uso prospettivo di andare a + infinito. 9 In (16) e (17), in cui è difficile identificare una specifica semantica della perifrasi, forse solo vagamente culminativa, il modello di riferimento sembra essere piuttosto quello burocratico. Di ispirazione burocratica sono del resto anche altre porzioni del testo in (17), come «eseguirà l’esame da lei disposto». All’influsso del linguaggio burocratico sulle altre varietà di lingua contribuiscono, osserva Berruto ( 2 2012: 188), da un lato un certo prestigio celato dell’ufficialità, dall’altro il gusto per un parlare (o scrivere) piuttosto ampolloso e ridondante (che aumenta apparentemente l’importanza di chi parla o scrive), e dall’altra ancora un’indubbia propensione al tecnicismo assai diffusa nella società moderna. 9 Mentre preparavo questo lavoro ho ricevuto da una laureanda una prima versione parziale della sua tesi, in cui mancava ancora l’introduzione. Al suo posto, una pagina contenente solo il titolo, Introduzione, e la dichiarazione d’intenti In questa tesi andrò a parlare, seguita da molti puntini di sospensione. Questo aneddoto mi pare mostrare che l’uso prospettivo di andare a + infinito è percepito come un vero e proprio stilema della scrittura accademica. 24 <?page no="25"?> Andare a + infinito: una perifrasi in movimento L’ampollosità e la ridondanza sono d’altra parte notoriamente una delle caratteristiche del discorso scientifico, che è spesso caratterizzato da fenomeni di dilatazione e complessificazione sintattica (De Cesare 2022: 140-142), fra i quali può essere annoverato l’uso di forme perifrastiche come quella in esame. Per le tesi di laurea in particolare, Caffi (1991: 72) parla di «ridondanze e di sintagmi burocraticamente sfuggenti che celano il vuoto». Più in generale, osserva Berruto ( 2 2012: 100), l’italiano contemporaneo mostra una particolare predilezione per «formule riempitive desemantizzate, che diluiscono il discorso», come viene ad essere, quello che è, a livello di; e gli usi “desemantizzati” di andare a + infinito rientrano senz’altro in questa tipologia. Se queste forme perifrastiche di andare a + infinito caratterizzano lo scritto di ambito universitario, è interessante notare che in questo stesso ambito penetrano anche nell’orale. Lo conferma un’analisi delle occorrenze di andare a + infinito nel corpus di parlato accademico KIP. Il corpus KIP, parte del corpus KIParla, è un corpus di italiano parlato che contiene circa 70 ore di registrazioni e le relative trascrizioni per un totale di 661.175 token. Più precisamente, si tratta di registrazioni di studenti e docenti delle Università di Torino e Bologna realizzate in cinque diverse situazioni comunicative: lezioni universitarie, esami, ricevimento studenti, interviste semistrutturate a studenti, conversazione libera. Nel corpus KIP sono presenti 470 occorrenze di andare a seguito da infinito: di queste, 162 sono gli usi perifrastici, come quelli in (18) e (19). 18. [...] queste forme traumatiche acute che andando a lesionare / / determinate aree cerebrali portavano alla comparsa di sintomi 19. eh per prima cosa vado a separare quindi i piccoli dalla madre / / e eh mh / / li diciamo vado a verificare appunto i maschi e le femmine / / e eh / / Anche se la presenza degli usi perifrastici in KIP è tutt’altro che trascurabile, va notato che questi usi sono decisamente meno numerosi che in PAISÀ e CODIS. In PAISÀ il 48 delle occorrenze di andare a + infinito è di movimento nello spazio e il 52 è perifrastico, in CODIS il 61 è di movimento (nello spazio o metaforico) e il 39 perifrastico, mentre in KIP sono di movimento il 66 e perifrastiche il 34 delle occorrenze. Gli usi perifrastici sono quindi in generale più comuni nello scritto, accademico e non, che nel parlato accademico. Per quanto riguarda il parlato accademico va inoltre notato che, nonostante le lezioni universitarie rappresentino solo il 31 del corpus KIP, queste contengono circa il 61 degli usi 25 <?page no="26"?> Francesca Strik-Lievers perifrastici di andare a + infinito. Gli usi perifrastici di andare a + infinito sono dunque attestati nell’italiano parlato di ambito universitario, ma si trovano prevalentemente nel monologo espositivo, spesso pianificato, che risente maggiormente dell’influsso del modello scritto formale e costituisce dunque un genere discorsivo in cui il confine fra registro parlato e scritto non è netto (Berretta 1986, Grandi 2018: 1, Pountain/ Zafiu 2022: 824). Vediamo ora qual è la situazione nell’italiano parlato non di ambito accademico, analizzando le caratteristiche delle occorrenze di andare a + infinito nel corpus ParlaTO. Il corpus ParlaTO, sempre parte di KIParla, comprende circa 50 ore di parlato raccolto a Torino fra il 2018 e il 2020, ed è costituito da interviste e discussioni di gruppo che coinvolgono circa un centinaio di parlanti con diverse provenienze geografiche e collocazioni sociali, e di tutte le fasce d’età. Selezionando solo le occorrenze in cui non è usato il dialetto, si trovano nel corpus 252 occorrenze di andare a seguito da infinito. In 220 di queste (circa l’87 del totale) andare a + infinito ha senso di movimento (nello spazio o metaforico), soltanto in 32 (circa il 13) è usato come perifrasi. In sintesi, dal confronto dei dati dei quattro corpora (PAISÀ per lo scritto, CODIS per lo scritto accademico, KIP per il parlato accademico e ParlaTO per il parlato), sintetizzati nella Figura 2, emerge chiaramente innanzitutto che gli usi perifrastici sono decisamente più comuni nello scritto che nel parlato. Nel parlato sono presenti, ma in maggior misura in specifiche varietà come il parlato accademico, e in particolare nel parlato accademico espositivo, che tipicamente assume lo scritto come modello. 4.2 Funzione pragmatico-discorsiva di andare a + infinito nei video pratico-didattici Quello che abbiamo chiamato sopra, con Frosini (2020), uso “gastronomico” della perifrasi si trova non solo nei programmi televisivi a tema culinario, ma più in generale nelle situazioni in cui chi parla svolge allo stesso tempo una procedura pratica che, con le sue azioni e le parole insieme, illustra a un pubblico a scopo didattico. Basta cercare in rete video di questo tipo, sia professionali sia amatoriali, per rendersi conto che la perifrasi andare a + infinito è molto usata. La troviamo dunque non solo in video che spiegano come cucinare un certo piatto, come quello 26 <?page no="27"?> Andare a + infinito: una perifrasi in movimento Figura 2: distribuzione degli usi di andare a + infinito nei quattro corpora da cui è preso l’esempio (20), ma anche, fra gli altri, in video di fai da te che insegnano come costruire un oggetto, come (21), o video che mostrano come truccarsi, come (22). 20. il guanciale è pronto, dorato all’esterno, e lo andiamo a questo punto a separare dal suo grasso 10 21. una volta incollati tutti e quattro i lati, andiamo a fare la coda dell’aquilone 11 22. a questo punto vado a prendere un correttore leggermente aranciato e lo vado a stendere solamente in questa parte dell’occhiaia 12 Dal rilevamento non sistematico che mi sono per il momento limitata a compiere emerge che il verbo all’infinito è normalmente un verbo agentivo (come i verbi separare, fare, prendere, stendere nei tre esempi sopra), e la perifrasi accompagna l’azione descritta, che chi parla sta compiendo o sta per compiere. La traccia della semantica di andare è qui maggiormente presente che negli altri usi perifrastici, dal momento che il parlante effettivamente compie un movimento intenzionale, 10 ⟨ https: / / www.youtube.com/ watch? v=CGear1dkVo0 ⟩ , 01’38”-01’42” (ultimo accesso: 31/ 01/ 2023). 11 ⟨ https: / / www.youtube.com/ watch? v=StiIbYeEza0 ⟩ , 02’17”-02’25” (ultimo accesso: 31/ 01/ 2023). 12 ⟨ https: / / www.youtube.com/ watch? v=rxxVxS6tZ24 ⟩ , 03’00”-03’10” (ultimo accesso: 31/ 01/ 2023). 27 <?page no="28"?> Francesca Strik-Lievers che costituisce la fase preparatoria all’azione espressa dal verbo all’infinito. Si tratta di un uso analogo a quello prospettivo che si trova nel discorso scientifico scritto e, in misura minore, anche parlato, ma evidentemente ha una funzione diversa. Nel caso del discorso scientifico la perifrasi, come abbiamo visto, ha funzione deittico-testuale. Nei casi che stiamo discutendo ora la perifrasi ha sempre una funzione deittica ma di natura pragmatica: serve appunto per mettere l’enunciato in rapporto con un’azione che è effettivamente svolta nel contesto pragmatico di enunciazione. Va anche notato che la perifrasi è nella maggior parte dei casi alla prima persona plurale (anche se non sempre, si veda l’esempio 22), una strategia, questa, volta a coinvolgere il destinatario nelle azioni che al momento dell’enunciazione sono compiute da chi parla, ma che idealmente il destinatario dovrà poi ripetere. Rientra in questo sforzo di creare empatia anche il frequente uso di pronomi personali che accompagnano i nomi degli oggetti coinvolti nella procedura illustrata, come in (23) e (24): 23. adesso andiamo a mettere dentro i nostri funghi freschi 13 24. prenderemo le strisce di giornale e le andremo a mettere sul nostro palloncino 14 Si noti infine che nella tipologia di discorso/ situazione in cui è abbondantemente usata la perifrasi con funzione pragmatico-discorsiva non mancano altri usi della perifrasi. In (25), andiamo a preparare può essere considerato di tipo pragmaticodiscorsivo, ma i successivi andrà a stendersi e andrà a rompersi sembrano piuttosto avere una sfumatura culminativa. In (26) si trova invece un uso discorsivo analogo a quello discusso per il discorso scientifico. 25. con questo siero andiamo a preparare tutta la nostra pelle, così che il fondotinta andrà a stendersi in modo molto più omogeneo e la formula del fondotinta non andrà a rompersi 15 26. materiali di vario tipo [...] che poi vi andrò a illustrare con precisione quando avrò costruito il pannello sensoriale 16 13 ⟨ https: / / www.youtube.com/ watch? v=ziKD_0pSwWk ⟩ , 00’53”-00’56” (ultimo accesso: 31/ 01/ 2023). 14 ⟨ https: / / www.youtube.com/ watch? v=0eTcsI0j9MI ⟩ , 00’59”-01’04” (ultimo accesso: 31/ 01/ 2023). 15 ⟨ https: / / www.youtube.com/ watch? v=rxxVxS6tZ24 ⟩ , 01’33”-01’44” (ultimo accesso: 31/ 01/ 2023). 16 ⟨ https: / / www.youtube.com/ watch? v=nK41qbKO5H0 ⟩ , 01’20”-01’33” (ultimo accesso: 31/ 01/ 2023). 28 <?page no="29"?> Andare a + infinito: una perifrasi in movimento Come nel parlato scientifico, anche in quello dei video didattico-pratici l’uso di forme perifrastiche contribuisce a rendere più “alto”, sul modello dello scritto burocratico-scientifico, un parlato che pur non essendo formale è in ogni caso espositivo. 5 Mutamento o variazione? Riflessioni conclusive La struttura andare a + infinito, abbiamo visto, è ben attestata fin dall’italiano antico, ma i suoi usi perifrastici sono relativamente più recenti. Oggi gli usi di movimento nello spazio e quelli perifrastici sono diversamente distribuiti in primo luogo sull’asse diamesico: gli usi perifrastici, maggioritariamente aventi valore culminativo (es.: questo verbale va a sostituire il precedente), sono abbondantemente presenti nello scritto, ma decisamente minoritari nel parlato. Si osservano tuttavia differenze sia nella quantità di usi perifrastici (rispetto a quelli di movimento) sia nel loro tipo in diverse varietà di italiano, in modo in parte trasversale rispetto all’asse diamesico. Ci siamo qui concentrati in particolare sull’italiano (semi-)scientifico e su quello dei video creati per insegnare vari tipi di procedure pratiche (ricette di cucina e non solo). Per quanto riguarda l’italiano (semi-)scientifico, dall’analisi di alcuni esempi di usi perifrastici che si trovano nelle tesi universitarie è emerso che l’uso prospettivo della perifrasi sembra quasi essere uno stilema di questa tipologia di testo, in cui ha funzione deittico-testuale (es.: in questo capitolo andrò a parlare di ...). Nell’italiano accademico più in generale, inoltre, anche il parlato, in particolare quello espositivo formale delle lezioni universitarie, è caratterizzato da un ampio uso di andare a + infinito perifrastico, con funzione analoga a quella deittica dello scritto o, spesso, con funzione difficilmente distinguibile da quella della corrispondente forma sintetica. Ha carattere espositivo, sia pure normalmente non formale, anche il parlato della tipologia di video didattici presa in esame, dove la perifrasi è spesso usata con funzione pragmatico-discorsiva per accompagnare azioni che sono compiute nel video stesso (es.: andiamo a mettere il rossetto, mentre chi parla si mette o sta per mettersi il rossetto). L’analisi della variazione sincronica è notoriamente un elemento fondamentale per lo studio del mutamento linguistico, che spesso si presenta come variazione 29 <?page no="30"?> Francesca Strik-Lievers nella marcatezza sociolinguistica di un costrutto, che può espandere i suoi contesti d’uso, entrando nella norma, o restringerli, uscendone (Cerruti 2017, Grandi 2018: 8). Come ben sintetizza Smith (2022: 899), «[v]ariation and change stand in a complex symbiotic relationship, in that each is at once the fruit and the seed of the other». Ci si può dunque chiedere se la presenza di alcune delle forme perifrastiche di andare a + infinito in particolari varietà e situazioni d’uso possa essere un primo indizio di un mutamento in corso. Al momento, tuttavia, non mi pare che sia questo il caso. Da un lato, a parte l’uso culminativo, che è da tempo stabilmente e ampiamente attestato nello scritto, gli altri usi perifrastici di andare a + infinito sono tuttora spesso esplicitamente sanzionati, e in ogni caso giudicati in modo piuttosto negativo dai parlanti (Della Putta/ Strik Lievers 2023), collocandosi quindi ancora oggi ai margini dell’italiano (neo)standard. Dall’altro, questi usi perifrastici “minori” sembrano essere confinati a specifiche varietà e situazioni in modo al momento stabile. Già vent’anni fa, Amenta/ Strudsholm (2002: 25) si interrogavano sulla questione, e in particolare sulla possibile grammaticalizzazione di andare a + infinito come espressione analitica del tempo futuro, e osservavano che «il verbo andare non ha subito a partire dall’idea spaziale di movimento nessuno slittamento semantico sul piano della temporalità». Sulla base dei dati analizzati in questo lavoro, la situazione non sembra essere cambiata. L’uso prospettivo, che pur non essendo temporale ha evidentemente con le forme futurali una certa affinità, sembra ancora essere attestato solo in particolari varietà di lingua, scritte e diastraticamente alte. Non è naturalmente escluso che questo uso si possa estendere ad altre varietà, in virtù di una certa fluidificazione dei registri e delle varietà che caratterizza l’italiano neo-standard, e del fatto che le innovazioni “dall’alto” sembrano essere più frequenti che in passato (Ballarè 2020). Al momento, tuttavia, come osserva Renzi (2019: 16), questo uso di andare a + infinito sembra piuttosto essere «un’innovazione dall’alto che [...], se si imporrà, contribuirà ad arricchire la diastratia dell’italiano». Non abbiamo dunque a che fare con un mutamento in atto ma con un caso di «variabilità stabile» (Poplack/ Dion 2021: 84). 30 <?page no="31"?> Andare a + infinito: una perifrasi in movimento Riferimenti bibliografici Amenta, Luisa/ Assenza, Elvira (2018): «Per una riconsiderazione dello standard: un’indagine sull’italiano scritto degli studenti universitari di Palermo e Messina». In: Italica wratislaviensia 9/ 2, 11-36. Amenta, Luisa/ Strudsholm, Erling (2002): «“Andare a + infinito” in italiano. Parametri di variazione sincronici e diacronici». In: Cuadernos de Filología Italiana 9, 11-29. Andriani, Luigi (2017): The Syntax of the Dialect of Bari. University of Cambridge (Ph.D. thesis). Ballarè, Silvia (2020): «L’italiano neo-standard oggi: stato dell’arte». 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Biographical sketch: Francesca Strik-Lievers is Associate Professor of linguistics at the University of Genova, Italy. Her primary research interests lie in syntax-semantics interface phenomena and figurative language. In the former domain, she has published a book entitled Sembra ma non è. Studio semanticolessicale sui verbi con complemento predicativo (Accademia della Crusca, 2012), along with several studies on specific verb classes and aspectual periphrases. In the area of figurative language, her research extensively explores synaesthetic metaphors, providing a unique perspective on the relation between language, perception, and cognition. 36 <?page no="37"?> Katrin Schmitz * / Anna-Lena Scherger ** I soggetti postverbali nell’italiano lingua d’origine in Germania 1 Introduzione Tra le comunità formatesi negli ultimi decenni in Germania in seguito a processi di immigrazione, quella italiana si distingue per le sue dimensioni, sia a livello nazionale che a livello della Renania Settentrionale-Vestfalia (Nordrhein-Westfalen, NRW). Secondo il servizio statistico del Land, 1 alla fine del 2021 il numero totale di abitanti con cittadinanza italiana ammontava a 142.165 persone. L’attuale comunità italiana è il risultato di due ondate migratorie (descritte più in dettaglio da Caloi/ Torregrossa 2021): la prima ondata ha portato con sé soprattutto lavoratori senza qualifiche, i cosiddetti “Gastarbeiter”, ossia lavoratori italiani impiegati in Germania in base agli accordi bilaterali di reclutamento stipulati tra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo scorso. La seconda ondata, invece, è arrivata negli anni attorno al 2010, nel contesto della crisi finanziaria internazionale, portando con sé molte persone qualificate, dotate di diploma universitario e/ o con formazione professionale superiore. Dalla prima alla seconda ondata sono cambiate anche le regioni di arrivo: mentre i Gastarbeiter si stabilirono soprattutto nei grandi centri industriali della Baviera, del Baden-Württemberg e della NRW come manodopera, gli immigrati della seconda ondata, attivi nel settore dei servizi, hanno scelto come meta le grandi città - tra queste Brema, Amburgo e Berlino (cfr. Caloi/ Torregrossa 2021: 4). In NRW, da dove provengono i dati del presente studio, troviamo oggi tre generazioni di italofoni: i lavoratori immigrati della prima ondata, oggi pensionati, * Bergische Universität Wuppertal. ** Technische Universität Dortmund. 1 Cfr. ⟨ www.it.nrw ⟩ (ultimo accesso: 19/ 07/ 2022). 37 <?page no="38"?> Katrin Schmitz/ Anna-Lena Scherger e i loro figli e nipoti, cresciuti bilingui in Germania. Negli studi relativi agli ultimi due gruppi di parlanti, l’italiano viene definita “lingua d’origine” (d’ora in poi LO; cfr. Montrul 2008, 2016), concetto con cui si intende la lingua parlata in famiglia o in un altro ambito all’interno della comunità linguistica d’origine, accessibile ai bambini in età prescolare. La LO rappresenta pertanto una lingua parlata da una minoranza ed è suscettibile di mutamenti sotto l’influsso della lingua parlata dalla maggioranza che la circonda. Di fronte ad un’unica definizione della LO esistono varie definizioni dei parlanti di una LO (d’ora in poi abbreviato PLO). Alcune includono come qualità peculiare e distintiva dei PLO un livello di competenza linguistica “incompleto” o comunque diverso rispetto a quello di parlanti nativi monolingui (cfr. per esempio Valdés 2000, Montrul 2016), altre, invece, non contengono alcun riferimento al livello di competenza acquisito (cfr. per esempio Silva-Corvalán 1994, Valdés 2005). Questa diversità di definizioni è il riflesso dell’osservazione secondo cui la competenza nella LO varia notevolmente a seconda dei PLO considerati. Riassumiamo qui brevemente le diverse linee di tendenza riconoscibili negli studi fino ad oggi condotti (per una sintesi dello stato attuale della discussione cfr. Guijarro-Fuentes/ Schmitz 2015, Diaubalick/ Guijarro-Fuentes/ Schmitz 2020). Alcuni studiosi considerano la LO dei parlanti della prima generazione (o generazione migratoria) come caratterizzata dalla perdita di alcune caratteristiche della lingua madre (loss/ attrition) per effetto del contatto con la lingua dominante. Tsimpli/ Sorace/ Heycock et al. (2004) dimostrano, per esempio, che la perdita nell’uso di soggetti nulli da parte di PLO italiani e greci si deve all’influenza dell’inglese, lingua dominante nell’uso quotidiano e di cui hanno una competenza quasi nativa. Nei dati da loro raccolti ed analizzati, i due gruppi di PLO realizzano, infatti, un numero di soggetti molto più alto dei parlanti monolingui, i quali, dati gli stessi contesti, preferiscono soggetti nulli. Quanto alla seconda generazione dei PLO, in cui sono generalmente inclusi non solo i figli degli immigrati nati nel paese di destinazione, ma anche bambini immigrati giovanissimi (tra 0 e 2 anni, cfr. per esempio Pascual y Cabo 2016), questa linea di pensiero sostiene che ci si trovi di fronte a un processo di acquisizione incompleto (cfr. per esempio Benmamoun/ Montrul/ Polinsky 2013a, 2013b; Montrul 2008, 2010, 2016). Montrul/ Bowles (2009: 364) definiscono l’acquisizione incompleta come risultato di una perdita o un processo rimasto incompiuto nell’infanzia, probabilmente a causa di un input insufficiente al mantenimento o allo sviluppo del sistema completo del- 38 <?page no="39"?> I soggetti postverbali nell’italiano lingua d’origine in Germania la L1, cioè della prima lingua o lingua materna (il riferimento è al dominio grammaticale specifico della LO). Altri studiosi ritengono la LO il risultato di un processo di acquisizione completo di una varietà alterata, caratterizzata da mutamenti linguistici rispetto alla varietà dell’area di provenienza, dovuti al contatto con il sistema della lingua di maggioranza acquisita dai genitori immigrati come lingua seconda (L2) (per esempio Pires/ Rothman 2009, Pascual y Cabo/ Rothman 2012, Putnam/ Sánchez 2013). Le differenze tra i sistemi dei parlanti monolingui e bilingui non sono sottoposte a valutazione: entrambi i sistemi rappresentano sistemi nativi completi (Rothman/ Treffers-Daller 2014). Seguendo Valdés (2005), Rothman/ Treffers-Daller (2014) e Wiese/ Alexiadou/ Allen et al. (2022), consideriamo i PLO parlanti bilingui cresciuti in un contesto sociale in cui la LO, benché presente come lingua minoritaria, è stata da loro acquisita in maniera naturale e completa in età prescolare. I PLO vengono pertanto considerati parlanti nativi della loro LO. Malgrado la forte presenza italiana in Germania, molto pochi sono gli studi che analizzano le competenze linguistiche dei PLO italiani (cfr. la sintesi sulla situazione sociale ed educativa dei PLO di Caloi/ Torregrossa 2021). Il presente studio affronta un fenomeno grammaticale scarsamente studiato in quest’area, cioè la posizione del soggetto realizzato rispetto al verbo, e i fattori che la determinano, nei sistemi grammaticali dei PLO italiani cresciuti in Germania. All’interno del quadro teorico in cui si colloca la nostra analisi, la posizione preo postverbale di un soggetto realizzato nel sistema italiano rappresenta un fenomeno di interfaccia complesso, al centro di una rete di rapporti che coinvolgono sintassi, semantica lessicale, prosodia e discorso. Rispetto a configurazioni che non implicano nessuna interazione tra livelli linguistici distinti, tali fenomeni di interfaccia complessi sono considerati più suscettibili al mutamento, perché si assume che l’influsso di una seconda lingua aumenti i costi di elaborazione cognitiva, col risultato di uno sviluppo tardivo nel processo di acquisizione di due L1 rispetto a quella di una sola L1 (cfr. le ipotesi di Müller/ Hulk 2001, Sorace/ Serratrice 2009). Sorace/ Serratrice (2009) ritengono che il processo di acquisizione di un fenomeno di interfaccia venga influenzato anche dal tipo di interfaccia: le interfacce interne (per esempio Sintassi-Morfologia, come nel caso di parole composte del tipo tagliacarte) sono meno complesse delle interfacce esterne (per esempio Sintassi-Pragmatica, come nel caso dei soggetti nulli). In questa prospettiva, il grado di complessità determina i costi cognitivi e quindi la durata 39 <?page no="40"?> Katrin Schmitz/ Anna-Lena Scherger del processo di acquisizione dei fenomeni associati ai due tipi di interfaccia. Tuttavia, Scherger/ Schmitz (2021) hanno dimostrato che i bambini italo-tedeschi tra i 6 e i 10 anni non acquisiscono i fenomeni di interfaccia interna più lentamente rispetto a quelli di interfaccia esterna. Inoltre, la maggioranza degli studi sulla posizione del soggetto nei PLO italiani in Germania non include i verbi psicologici. La presente ricerca si propone di colmare questa lacuna. L’analisi si concentrerà sull’interazione tra tipo di verbo e posizione del soggetto, dedicando particolare attenzione ai verbi bivalenti psicologici, soprattutto a piacere, nella produzione naturale spontanea di PLO italiani, adulti e bambini (età 6-10 anni). 2 L’articolo è strutturato nel modo seguente: dopo una breve presentazione delle regolarità topologiche in italiano e tedesco (sez. 2) si passa ad una sintesi dello stato della ricerca (sez. 3) per poi presentare i quesiti e le ipotesi di ricerca (sez. 4). In seguito, viene esposta la metodologia adoperata (sez. 5) e vengono discussi i risultati ottenuti dalle nostre analisi (sez. 6). Infine, si presentano le conclusioni del lavoro (sez. 7). 2 La posizione del soggetto in italiano e in tedesco In italiano e in tedesco il soggetto può sia precedere che seguire il verbo, anche se con preferenze diverse. Secondo Caloi/ Belletti/ Poletto (2018: 2), in risposta a una domanda come “Chi ha vinto il premio? ” (es. 1), in italiano il soggetto focalizzato è definito sintatticamente dalla posizione postverbale, mentre in tedesco mantiene la posizione preverbale ed è marcato prosodicamente (es. 2; Caloi/ Belletti/ Poletto 2018: ess. 2 e 4): 1. Chi ha vinto il premio? - L’ha vinto Maria. 2. Wer hat den Preis gewonnen? - MaRIE hat ihn gewonnen. Prima di approfondire il ruolo del (tipo di) focus nel sistema italiano (cfr. infra), illustriamo brevemente le proprietà pertinenti del tedesco. A differenza dell’italiano, 2 Ringraziamo la Deutsche Forschungsgemeinschaft (DFG) per il supporto finanziario del progetto «Subjekte und Objekte im Italienischen und Spanischen als heritage languages in Deutschland», diretto da K. Schmitz (2011-2015), da cui provengono i dati di parlanti adulti dell’italiano LO utilizzati in questo articolo. Inoltre, ringraziamo i bambini e le loro famiglie per la disponibilità ad essere intervistati nel quadro del progetto di dottorato di A.-L. Scherger (Scherger 2015). 40 <?page no="41"?> I soggetti postverbali nell’italiano lingua d’origine in Germania il tedesco è una lingua con il verbo in seconda posizione (V2) e di norma non ammette soggetti nulli. La lingua parlata ammette tuttavia l’omissione di un costituente preverbale nelle frasi dichiarative V2. Si tratta del fenomeno conosciuto dai lavori di Reis (1982) e Ross (1982) come topic-drop (per una descrizione sistematica si rinvia al lavoro fondamentale di Fries 1988). Come Fries (1988), altri lavori più recenti (per esempio Trutkowski 2016) si concentrano sulle proprietà del topic drop, mentre le condizioni d’uso sono poco investigate (cf. Schäfer 2021: 164) e le omissioni sono ricondotte ai contesti in cui il referente dell’elemento nullo sia già stato precedentemente introdotto. Trutkowski (2016) sostiene che il topic drop propriamente definito è ristretto alla terza persona grammaticale, ma aggiunge che vi sono anche omissioni di soggetti alla prima e seconda persona comparabili al pro-drop italiano (e spagnolo). Lavori empirici più recenti sull’uso effettivo del topic drop, come per esempio quello di Schäfer (2021), mostrano invece che la maggioranza delle omissioni topic drop occorre con forme verbali di prima persona singolare e che le omissioni sono ammesse più facilmente se il costituente nullo è predicibile dal contesto: 3. Ø Würde gerne mal auf einem richtig großen Gut in Frankreich Urlaub machen. Ø Finde zwar was im Internet, Ø möchte es mir aber lieber empfehlen lassen. (Trutkowski 2016: 188, es. 9a) 4. Ø Wirst mir fehlen (Trutkowski 2016: 189, es. 10b) 5. A: Kennst du den Hans? B: Na klar, Ø is’ mein Nachbar. (Trutkowski 2016: 187, es. 4a) Inoltre, il tedesco, benché lingua V2, ammette soggetti postverbali e conosce una costruzione con codifica non-canonica del soggetto logico (non funzionale), cioè espresso al dativo: Mir ist kalt ‘Ho freddo’. Pooth/ Kerkhof/ Kulikov et al. (2019) spiegano l’origine di queste costruzioni a soggetto obliquo con lo sviluppo, nelle lingue (proto-)indoeuropee, di un sistema del marcamento del caso semantico per certi tipi di verbi. Anche in tedesco, dunque, si osserva l’interazione tra tipo di verbo, struttura informativa e posizione del soggetto, seppur non evidente come in italiano e spagnolo, lingue che permettono sistematicamente soggetti nulli. Passiamo ora alla presentazione dettagliata dell’interazione tra tipo di verbo, tipo di focus e posizione del soggetto realizzato che esiste in spagnolo e in italiano 41 <?page no="42"?> Katrin Schmitz/ Anna-Lena Scherger (cfr. Suñer 1982, Zubizarreta 1998, Caloi/ Belletti/ Poletto 2018). Nel caso del focus largo (FL) ovvero nelle risposte a domande generali del tipo “Che è successo? ”, i soggetti precedono i verbi inergativi e seguono gli inaccusativi (v. ess. 6 e 7, da Caloi/ Belletti/ Poletto 2018: 8s.), mentre nel caso del focus stretto (FS), nelle risposte a domande che focalizzano il soggetto come in “Chi ha fatto X? ”, il soggetto si trova sempre in posizione postverbale, indipendentemente dal tipo di verbo (v. l’es. 1 per i verbi transitivi e gli ess. 8 e 9 per i verbi inergativi e inaccusativi): 6. Inergativi (FL): (a) Che è successo? Gianni ha urlato. (b) Was ist passiert? Hans hat geschrien. 7. Inaccusativi (FL): (a) Che è successo? È arrivato Gianni. (b) Was ist passiert? Hans ist angekommen. 8. Inergativi (FS): (a) Chi ha urlato? Ha urlato Gianni. (b) Wer hat geschrien? Hans hat geschrien. 9. Inaccusativi (FS): (a) Chi è arrivato? È arrivato Gianni. (b) Wer ist angekommen? Hans ist angekommen. L’italiano mostra una chiara preferenza per la posizione postverbale dei soggetti di verbi inaccusativi (chiamati anche ergativi, per esempio arrivare, nascere) e transitivi, mentre il tedesco mostra una chiara preferenza per la posizione preverbale. Tuttavia, se prendiamo in esame i verbi biargomentali psicologici, vediamo che c’è una variazione anche in tedesco, soprattutto con i verbi del tipo piacere/ gefallen, membri prototipici della classe III nell’analisi pionieristica di Belletti/ Rizzi (1988), i quali distinguono tre classi di verbi psicologici, qui di séguito brevemente presentati, con l’aggiunta degli esempi spagnoli di Pascual y Cabo/ Gómez-Soler (2017: 253s.) e delle nostre traduzioni tedesche. 42 <?page no="43"?> I soggetti postverbali nell’italiano lingua d’origine in Germania La prima classe, esemplificata da temere in Belletti/ Rizzi (1988), contiene verbi psicologici caratterizzati dalla combinazione di un soggetto con il ruolo tematico di <esperiente> e di un oggetto con il ruolo di <tema> (cfr. Pascual y Cabo/ Gómez-Soler 2017: 253); è possibile la passivizzazione: 10. (a) Belén odia manzanas. → Las manzanas están odiadas por Belén. (b) Beatrice odia le mele. → Le mele sono odiate da Beatrice. (c) Beatrice hasst Äpfel. → Äpfel werden von Beatrice gehasst. La seconda classe, rappresentata da preoccupare in Belletti/ Rizzi (1988), contiene verbi psicologici passivizzabili che mostrano una codificazione “inversa”, cioè un oggetto con il ruolo tematico di <esperiente> e un soggetto con il ruolo di <tema>. Pascual y Cabo (2020: 90) sottolinea che alcuni verbi di questa classe come molestar ‘disturbare, tormentare’ e asustar ‘spaventare’ hanno un carattere ibrido, cioè permettono due interpretazioni. La prima è stativa e la rappresentazione sintattica è la stessa dei verbi psicologici inaccusativi della terza classe (cfr. infra); la seconda è eventiva/ agentiva (o intenzionale), sicché i verbi di questa classe, diversamente da quelli della classe III, possono ricorrere al passivo, come illustrato dagli esempi in (11a, b) (cfr. Pascual y Cabo 2020: 90, es. 4): 11. (a) Nicola molesta al perro. (intenzionale) Nicoletta disturba il cane. Nicole ärgert den Hund. (b) El perro es molestado por Nicola. Il cane viene disturbato da Nicoletta. Der Hund wird von Nicole geärgert. Infine, particolare attenzione merita la classe III di Belletti/ Rizzi (1988), rappresentata da piacere: essa contiene verbi psicologici non passivizzabili con oggetto <esperiente> espresso mediante a + sostantivo, se sintagma nominale pieno, o mediante un clitico dativo, se pronominalizzato (v. es. 12, con gli esempi spagnoli da Pascual y Cabo/ Gómez-Soler 2017: 254, es. 13.4). Il soggetto è marcato al nominativo, ha il ruolo tematico di <tema> e controlla l’accordo con il verbo. Tutte e tre le lingue ammettono l’uso della posizione preo postverbale per l’argomento con funzione di <esperiente>, senza differenza di significato. 43 <?page no="44"?> Katrin Schmitz/ Anna-Lena Scherger 12. (a) Los deportes le gustan a Rosa. A Rosa, le gustan los deportes. (b) Lo sport piace a Rosa. A Rosa piace lo sport. (c) Sport gefällt Rosa. Rosa gefällt Sport. Secondo Belletti/ Rizzi (1988), questa struttura corrisponde a una struttura “inaccusativa” a dispetto del fatto che si tratta di verbi bivalenti. A differenza di altri verbi bivalenti, i verbi psicologici quali piacere hanno due argomenti interni e non possono essere passivizzati. Quanto alle proprietà distribuzionali del soggetto grammaticale, la posizione postverbale è preferita, ma quella preverbale non è agrammaticale. In italiano e in tedesco, l’accordo tra verbo e soggetto postverbale è obbligatorio nella stessa misura di quello tra verbo e soggetto preverbale. Gli esempi in (13) e (14) illustrano le posizioni possibili e l’accordo nelle due lingue: 13. (a) Le macchine veloci piacciono a Marco/ a lui. (b) A Marco/ A lui piacciono le macchine veloci. 14. (a) Schnelle Autos gefallen Marco/ ihm. (b) Marco/ Ihm gefallen schnelle Autos. Riassumendo quanto finora proposto, possiamo constatare che in italiano l’interazione tra tipo di verbo, tipo di focus e posizione sintattica del soggetto implica il coinvolgimento di due interfacce, quella tra sintassi e pragmatica e quella tra sintassi e semantica. La comparazione con il tedesco permette di osservare proprietà analoghe per quanto riguardo la posizione, laddove si abbia focus largo con verbi inergativi (soggetto preverbale) e con verbi transitivi psicologici (soggetto preo postverbale). 3 Stato della ricerca Rispetto all’interazione tra posizione del soggetto, tipo di verbo (inaccusativo/ inergativo) e struttura dell’informazione nei PLO spagnoli, gli studi condotti negli Stati 44 <?page no="45"?> I soggetti postverbali nell’italiano lingua d’origine in Germania Uniti (cfr., tra l’altro, Hinch Nava 2007, De Pérez Prada/ Pascual y Cabo 2012 e Pascual y Cabo 2013, 2020) hanno dimostrato che nei PLO spagnoli la scelta tra omissione e realizzazione del soggetto dipende dal tipo di predicato e che la percentuale dei soggetti preverbali realizzati è più alta che nei parlanti cresciuti monolingui. Gli studiosi ipotizzano che ciò sia dovuto all’influsso dell’inglese, lingua maggioritaria che non permette soggetti postverbali, sullo spagnolo. Torniamo ora ai parlanti d’italiano LO a contatto con il tedesco lingua maggioritaria. Lavori molto recenti analizzano gli effetti della competenza plurilingue sulla produzione di questi parlanti bilingui. Basti ricordare lo studio sperimentale di Caloi/ Belletti/ Poletto (2018) con PLO adulti a confronto con italofoni adulti monolingui e parlanti d’italiano L2, studio vòlto ad analizzare la realizzazione preo postverbale dei soggetti che rappresentano informazione nuova nelle risposte a domande che sollecitano l’individuazione del soggetto della proposizione. Gli studiosi mostrano che i risultati relativi ai PLO sono comparabili a quelli dei parlanti d’italiano L2 e notevolmente diversi da quelli degli italofoni cresciuti monolingui. Nelle risposte dei PLO, Caloi/ Belletti/ Poletto (2018) osservano un’alta frequenza della strategia “tedesca”, cioè il ricorso a un soggetto preverbale marcato prosodicamente (possibile anche in italiano) di contro ad un uso prevalente di soggetti postverbali nei parlanti cresciuti monolingui. Contemporaneamente, i PLO sono ben in grado di distinguere i diversi tipi di verbi. Caloi/ Belletti/ Poletto (2018) interpretano questi risultati come l’applicazione di grammatiche plurilingui (e non come conseguenza di un processo di acquisizione “incompleto”). Inoltre, i risultati permettono di constatare che alcuni fenomeni, in particolare l’omissione dei soggetti (v. Schmitz/ Di Venanzio/ Scherger 2016), possono mantenere un’arbitrarietà residuale, cioè una variabilità nei sistemi individuali dei PLO, anche tra quanti siano esposti in maniera costante e consistente alla loro LO (cfr. Caloi/ Torregrossa 2021: 16). Esaminando l’acquisizione dei fenomeni di interfaccia Sintassi-Discorso (posizione del soggetto, uso dei pronomi nel discorso narrativo), anche Listanti/ Torregrossa (2021) e Torregrossa/ Bongartz (2018) documentano delle difficoltà nei PLO. Allo studio di Listanti/ Torregrossa (2021) parteciparono 42 bambini bilingui italo-tedeschi dell’età media di 10,6 anni. Usando il formato Story retelling task, gli autori dimostrano che i bambini bilingui producono soggetti realizzati come sintagmi nominali lessicali e ricorrenti in posizione postverbale dopo verbi transitivi e inergativi che sono pragmaticamente infelici, perché i contesti 45 <?page no="46"?> Katrin Schmitz/ Anna-Lena Scherger discorsivi forniscono già informazioni sul referente, dunque la posizione postverbale, associata al significato grammaticale ‘informazione nuova’, non è richiesta. È importante ricordare che l’alternanza tra la produzione di soggetti postverbali e preverbali di verbi transitivi e inergativi è acquisita molto tardivamente dai bambini monolingui. Diversamente, i bambini bilingui dominano l’alternanza tra strutture S(oggetto)-V(erbo) e V(erbo)-S(oggetto) con verbi inaccusativi, benché anch’essa rappresenti un fenomeno acquisito tardivamente dai bambini monolingui. Torregrossa/ Bongartz (2018) osservano che studenti adolescenti di una scuola secondaria superiore a Colonia tendono a utilizzare espressioni ridondanti ed eccessivamente specifiche per mantenere il riferimento ai personaggi della storia. Dallo studio di Caloi/ Torregrossa (2021: 15) emerge che il fattore determinante per l’acquisizione dei soggetti nulli e della posizione del soggetto realizzato è l’esposizione più o meno consistente all’italiano. Secondo i due studiosi questi risultati si possono interpretare in due modi: (1) si può argomentare che la consistenza e la continuità nell’esperienza linguistica durante gli anni non è sufficiente per acquisire certi fenomeni dell’interfaccia Sintassi-Discorso, oppure (2) si può sostenere che questi fenomeni siano in corso di apprendimento e che la loro acquisizione richieda solo una maggiore quantità di input. Se questo è vero, ci si aspetta che i bilingui domineranno questi fenomeni più tardi nella loro vita. Infine, sull’acquisizione dell’alternanza tra soggetti postverbali (nelle frasi con focus largo) e preverbali (nelle frasi in cui il soggetto rappresenta il tema o topic) con verbi inaccusativi ci sono anche i risultati di Listanti/ Torregrossa (2021). In questo caso i bambini dominano completamente l’alternanza, senza effetti di contatto con il tedesco o di età. Tuttavia, gli studi non utilizzano verbi psicologici come piacere (che fanno anche parte del vocabolario dei bambini). Alcuni lavori dedicati alla competenza di parlanti bilingui, adulti e bambini, di differenti varietà dello spagnolo negli Stati Uniti si concentrano su verbi psicologici, soprattutto su quelli del tipo gustar ‘piacere’. Pascual y Cabo (2013) osserva l’emergenza di soggetti preverbali (agrammaticali nella grammatica spagnola) e di una struttura invariabile con gusta: Yo me gusta la pizza ‘Io mi piace la pizza’ invece di A mí me gusta la pizza ‘A me mi piace la pizza’. Tali risultati nei PLO adulti vengono interpretati come esempi di rianalisi causata dal transfer dall’inglese I like pizza. Pascual y Cabo/ Gómez-Soler (2017) e Pascual y Cabo (2020) osservano che i PLO bambini producono strutture corrette con altri tipi di verbi, ma hanno difficoltà con verbi del tipo gustar rispetto all’accordo e all’omissione della marca dativale. 46 <?page no="47"?> I soggetti postverbali nell’italiano lingua d’origine in Germania Tanto i bambini cresciuti monolingui quanto quelli bilingui mostrano incertezza nei giudizi sulla grammaticalità della codificazione degli argomenti di questi verbi, che rianalizzano come verbi della II classe, cioè verbi transitivi (per esempio preoccupare: Questo preoccupa Gianni, con la stessa struttura dell’inglese This worries John). I PLO adulti mostrano invece una competenza nativa della grammatica della loro LO e delle strutture canoniche dei verbi delle tre classi. Basandosi su questi studi nonché sulle somiglianze sintattiche tra le due lingue romanze, Schmitz/ Scherger/ Di Venanzio (2019) hanno presentato un’analisi preliminare della produzione naturale (spontanea) di PLO spagnoli ed italiani adulti cresciuti in Germania (NRW), comparandoli con adulti cresciuti monolingui in Spagna e Italia. I modelli di regressione statistica calcolati in base ai soggetti postverbali e alle due variabili esplicative ‘tipo di verbo’ e ‘gruppo’ per i due gruppi di PLO hanno mostrato che la variabile esplicativa ‘gruppo’ non è decisiva per i risultati dei parlanti cresciuti monolingui e bilingui nelle due lingue romanze. I PLO italiani e spagnoli mostrano la stessa sensibilità per i diversi tipi di verbo senza manifestare un uso superiore di soggetti preverbali. Quanto alla posizione del soggetto con piacere e gustar, si sottolinea una differenza tra i due gruppi di PLO: solo nei parlanti con LO italiano e solo per piacere si è potuta osservare la rilevanza di questo parametro. 4 Quesiti ed ipotesi Nel presente studio, seguiamo la pista di Listanti/ Torregrossa (2021) integrando nell’analisi dei verbi transitivi psicologici avviata da Schmitz/ Scherger/ Di Venanzio (2019) il parlato naturale spontaneo prodotto in interviste semi-strutturate da bambini in età scolare (6-10 anni). Più specificamente, analizziamo i dati di italofoni cresciuti monolingui e PLO per rispondere alle seguenti domande di ricerca: A. I PLO mostrano, rispetto a parlanti cresciuti monolingui, una perdita di distinzione tra diversi tipi di predicati e una preferenza per i soggetti preverbali? 47 <?page no="48"?> Katrin Schmitz/ Anna-Lena Scherger B. I PLO adulti e bambini si distinguono dai parlanti cresciuti monolingui nell’uso di soggetti postverbali, sì da mostrare un ritardo nell’acquisizione e/ o un mutamento linguistico? A tali domande sono correlate le seguenti ipotesi, basate sui risultati dei PLO di spagnolo (v. sez. 3): A’. Non ci si aspettano cambiamenti nelle preferenze e una perdita di distinzione tra i tipi di predicati. B’. Ci si attende un ritardo nella realizzazione di soggetti lessicali marcati con il dativo e, negli adulti, nella produzione di soggetti postverbali, ma non un mutamento linguistico persistente. Per quanto riguarda la domanda A, la posizione dei soggetti in enunciati con verbi quali piacere è di particolare interesse, poiché questo gruppo combina le proprietà dei verbi inaccusativi e dei verbi transitivi. 5 Dati e metodo Per rispondere ai quesiti e testare le ipotesi, abbiamo analizzato enunciati provenienti da interviste semi-strutturate che contengono soggetti realizzati. I partecipanti sono stati intervistati per circa 30 minuti. Gli argomenti delle interviste condotte con gli adulti avevano come tema la loro origine, l’arrivo in Germania, il tempo libero e temi politici, quelle con i bambini, invece, le loro materie scolastiche e i loro giochi preferiti. Il totale delle persone intervistate è pari a 32, di cui 10 adulti cresciuti monolingui, 10 adulti PLO e 12 bambini PLO. Presentiamo i gruppi nella Tabella 1 dove indichiamo anche l’età media (e la deviazione standard), il sesso e il livello d’istruzione delle persone. Tutti i PLO sono nati e cresciuti in Germania da famiglie provenienti dalla Sicilia o dalla Campania (Napoli e provincia di Caserta); allo stesso modo, i bambini monolingui sono parlanti dell’Italia meridionale. 48 <?page no="49"?> I soggetti postverbali nell’italiano lingua d’origine in Germania gruppo numero di parlanti età media (d.s.) sesso (maschile/ femminile) livello d’istruzione (accademico/ non acc./ alunni) adulti cresciuti 10 33,7 (16,5) 3/ 7 3/ 7/ 0 monolingui PLO 10 23,3 (8,3) 3/ 7 3/ 4/ 3 adulti PLO bambini 12 8,3 (1,0) 4/ 8 0/ 0/ 12 Tabella 1: metadati dei partecipanti Il numero totale degli enunciati raccolti è pari a 3.774. Abbiamo analizzato solo i soggetti foneticamente realizzati e la cui posizione ammette variazione nelle frasi attive. A causa della posizione preverbale fissa abbiamo escluso gli enunciati con il si impersonale, con il si passivante e con i pronomi relativi. Inoltre, è stato necessario escludere 5 bambini (sul totale iniziale di 12) che avevano prodotto un numero troppo esiguo di enunciati. Per l’analisi sono rimasti 1.942 enunciati con soggetti foneticamente realizzati (1.024 nel parlato dei parlanti cresciuti monolingui, 634 dei PLO adulti e 284 dei PLO bambini). I diversi tipi di verbo sono stati raggruppati nel seguente modo (esempi originali in 15-18): 15. Verbi intransitivi, tre sottogruppi: (a) Verbi copulativi: i. i miei genitori erano coltivatori/ (parlante monolingue) ii. questo non è giusto/ (PLO) (b) Verbi inergativi: i. uno gioca a golf/ (parlante monolingue) ii. i miei genitori lavorano in fabbrica/ (PLO) (c) Verbi inaccusativi: i. un anno dopo è nata Concetta/ (parlante monolingue) ii. muore la moglie/ (PLO) 49 <?page no="50"?> Katrin Schmitz/ Anna-Lena Scherger 16. Verbi transitivi in generale: (a) noi affrontiamo sempre tutto con il sorriso/ (parlante monolingue) (b) ma noi abbiamo visto un film dell’Africa/ (PLO) 17. Verbi psicologici: (a) però mi piace andare al cinema/ (parlante monolingue) (b) mi piace più il mare con la sabbia/ (PLO) 18. Verbi trivalenti: (a) viveva di quello che gli davano le persone/ (parlante monolingue) (b) dove loro ci danno consigli/ (PLO) Per verificare se il tipo di soggetto, o più precisamente la sua complessità fonologica e morfologica, influisce sull’ordine dei costituenti, abbiamo anche codificato il tipo di soggetto suddividendolo in: (A) pronomi personali come per esempio loro (18b), (B) altri pronomi come per esempio uno (15b i), (C) nomi propri come per esempio Concetta (15c i), (D) sintagmi nominali con determinanti come per esempio le persone (18a) ed infine (E) sintagmi infinitivali come per esempio andare al cinema (17a). Per le analisi statistiche, i confronti tra gruppi sono stati eseguiti con i test di Kruskal-Wallis ed il test U di Mann-Whitney per i test post-hoc a coppie (v. Bortz/ Schuster 2010: 214, 130-133). Si tratta di test non parametrici in grado di evidenziare differenze significative tra due o più gruppi. Una volta analizzati i confronti statistici multipli tra gruppi, è stata utilizzata la correzione di Bonferroni (v. Bortz/ Schuster 2010: 231s.). Inoltre, sono state effettuate analisi di regressione per identificare le variabili indipendenti (gruppo, tipi di verbo) rilevanti per spiegare la posizione del soggetto (la variabile dipendente). 50 <?page no="51"?> I soggetti postverbali nell’italiano lingua d’origine in Germania 6 Risultati La distribuzione dell’uso di soggetti preverbali e postverbali nella Figura 1 illustra bene come i PLO bambini usino i soggetti postverbali meno spesso dei parlanti cresciuti monolingui e degli adulti PLO (Kruskal-Wallis: **p = .01; parlanti cresciuti monolingui - PLO adulti: p > .05; PLO adulti - PLO bambini: **p < .01). Figura 1: valori medi dell’uso dei soggetti pree postverbali nei vari gruppi Per testare l’eventuale perdita di distinzione tra diversi tipi di predicati abbiamo stabilito un confronto fra i due gruppi di parlanti adulti. Le Figure 2 e 3 illustrano in dettaglio l’uso di soggetti postverbali per ciascuno dei due gruppi di parlanti adulti a seconda del tipo di verbo (colonne in bianco) e del soggetto (colonne in grigio). Dopo la correzione Bonferroni, non si riscontrano più differenze significative tra parlanti cresciuti monolingui e PLO adulti (p > .05). 51 <?page no="52"?> Katrin Schmitz/ Anna-Lena Scherger Figura 2: valori medi dell’uso dei soggetti postverbali nei parlanti cresciuti monolingui Figura 3: valori medi dell’uso dei soggetti postverbali nei PLO adulti È stato poi stabilito un confronto parallelo tra PLO adulti e PLO bambini (cfr. Figura 4 3 ). Dopo la correzione di Bonferroni, l’unica differenza significativa tra PLO adulti e PLO bambini riguarda i verbi inaccusativi (cfr. Tabella 2). 3 Nella Figura 4, la colonna dei soggetti postverbali con i verbi inergativi manca per insufficienza di dati disponibili. 52 <?page no="53"?> I soggetti postverbali nell’italiano lingua d’origine in Germania Figura 4: valori medi dell’uso dei soggetti postverbali nei PLO bambini tipo di verbo copula inaccusativo transitivo tipo ‘piacere’ Mann- Whitney- U-test U = 28 p = .536 U = 7 p = .004 U = 33.5 p = .886 U = 3.5 p = .200 tipo di soggetto pron. pers. altri pron. sint. nom. sint. det. Mann- Whitney- U-test U = 8 p = .006 U = 13.5 p = .373 U = 11 p = .054 U = 26.5 p = .417 Tabella 2: confronti statistici (PLO adulti - PLO bambini) In due analisi di regressione, si è proceduto al confronto tra i gruppi e al calcolo delle variabili significative (tipo di verbo, tipo di soggetto, gruppo). In entrambi i confronti, le variabili ‘gruppo’ e ‘tipo di soggetto’ non si sono rivelate fattori significativi per spiegare la posizione del soggetto. Ciò significa che i bambini non si comportano in modo essenzialmente diverso dagli adulti e che i bilingui non si comportano in modo diverso dagli adulti cresciuti monolingui, nemmeno nelle costruzioni con verbi psicologici tipo piacere. Per rendere i dati più comprensibili ai lettori, introduciamo i seguenti esempi tratti dalle produzioni spontanee dei partecipanti con soggetti postverbali e diversi tipi di verbo. 53 <?page no="54"?> Katrin Schmitz/ Anna-Lena Scherger 19. Verbi copulativi (a) non era questo il motivo principale/ (parlante monolingue) (b) sì, sono molte queste/ (PLO adulto) (c) e lì dentro era una perla di fuoco/ (PLO bambino) 20. Verbi inaccusativi (a) quando è nato mio fratello/ (parlante monolingue) (b) però la paura c’è sempre che viene uno di dietro con un coltello con la pistola e chiede dei soldi/ (PLO adulto) (c) viene un fratellino/ (PLO bambina) 21. Verbi transitivi (a) dicono tutti il contrario/ (parlante monolingue) (b) non si sa precisamente cosa - cosa abbia fatto lei/ (PLO adulto) (c) poi dice la nonna entra cappuccetto rosso/ (PLO bambina) 22. Verbi psicologici, tipo piacere (a) a me mi interessa più il carattere di una persona/ (parlante monolingue) (b) perché mi piacciono le macchine da - da quando son piccolo/ (PLO adulto) (c) perché a me mi piacciono le orecchie grandi e dopo quelli piccoli elefantini/ (PLO bambino) 7 Discussione e conclusione Concludendo, possiamo affermare che non abbiamo trovato alcuna differenza tra i due gruppi di parlanti adulti (PLO vs. parlanti monolingui). Quindi, questi dati non confermano una perdita di distinzione del tipo di predicato nei PLO adulti. D’altra parte, abbiamo osservato differenze significative tra i bambini PLO e i rispettivi gruppi di adulti per quanto riguarda l’uso del soggetto postverbale. I bambini seguono più spesso la “strategia tedesca” dei soggetti preverbali (ossia focus 54 <?page no="55"?> I soggetti postverbali nell’italiano lingua d’origine in Germania con un soggetto preverbale non marcato sintatticamente). Siccome la generazione di PLO adulti non mostra preferenze di questo tipo per i soggetti preverbali, è escluso, come approccio esplicativo, un mutamento linguistico a causa di un input modificato dal contatto linguistico. Inoltre, nei dati dei bambini si registrano pochissimi errori di accordo, pertanto da classificare come errori di esecuzione piuttosto che di competenza. I risultati presentati confermano l’ipotesi A’ che non prevedeva cambiamenti nelle preferenze e nessuna perdita nella distinzione tra diversi tipi di verbo. Ciò è spiegabile con il fatto che il tedesco, permettendo soggetti postverbali, può aiutare a mantenere le strategie discorsive della LO (a differenza dell’inglese, la lingua maggioritaria per i PLO spagnoli che hanno dato risultati diversi nei lavori presentati sopra nella sez. 3). L’ipotesi B’ prevedeva un ritardo, ma non un mutamento linguistico persistente (a) nella realizzazione di soggetti lessicali marcati con il dativo e (b) nella produzione adulta di soggetti postverbali. Questa ipotesi è stata parzialmente confermata dai nostri risultati, poiché i PLO bambini mostrano una distribuzione di soggetti postverbali significativamente diversa da quella degli adulti, con preferenza della posizione preverbale. Tuttavia, le differenze significative non riguardano i soggetti lessicali e i verbi tipo piacere, bensì i verbi inaccusativi e i soggetti pronominali (cfr. Tabella 2). Nei dati dei PLO bambini incontriamo un numero notevole di strutture SV nelle quali il soggetto è un pronome, come per esempio io sono nata a Berlino o anche ma noi abbiamo visto un film dell’Africa. La presenza dei soggetti pronominali potrebbe spiegarsi integrando la struttura del discorso e soprattutto l’idea dei contrasti impliciti e deboli di Mayol (2010): mentre un contrasto doppio o esplicito contiene due elementi, come per esempio Io cado e tu resti nella barca (Mayol 2010: 2500, es. 7b), un contrasto implicito è caratterizzato da un contrasto non-esplicito tra l’antecedente del pronome e un’altra entità molto saliente nel contesto (Mayol 2010: 2502). Nel caso di un contrasto debole, il parlante fa solo un’asserzione riguardo al soggetto pronominale e non chiarisce se essa valga anche per gli altri referenti pertinenti nel discorso (Mayol 2010: 2502). In entrambi i tipi di contrasto, la realizzazione del soggetto è, dal punto di vista pragmatico, accettabile (cfr. Mayol 2010: 2502; Schmitz/ Di Venanzio/ Scherger 2016 per l’applicazione ai dati dei PLO italiani adulti). Questi risultati si distinguono da quelli dei PLO bambini cileni analizzati da Pascual y Cabo/ Gómez-Soler (2017) e ci portano a concludere che le posizio- 55 <?page no="56"?> Katrin Schmitz/ Anna-Lena Scherger ni differenti nei due sistemi sono più soggette a cambiamento di quelle condivise: mentre nella combinazione inglese-spagnolo la differenza maggiore riguarda i verbi tipo piacere e i loro soggetti lessicali, nella combinazione tedesco-italiano essa riguarda i verbi inaccusativi, soprattutto con soggetti pronominali. Il fatto che i PLO adulti italiani, come quelli cileni, non si distinguano dai parlanti monolingui, permette tuttavia di concludere che le differenze statistiche nei sistemi linguistici dei PLO bambini risultano da un influsso temporaneo del tedesco. Siamo consapevoli del fatto che l’uso di dati spontanei comporta vantaggi e svantaggi: uno dei vantaggi è che rappresentano dati naturali dell’input e permettono di raccogliere e analizzare discorsi più ampi. Uno svantaggio è invece la poca comparabilità e la mancanza di controllo dell’equilibrio tra i tipi di verbi utilizzati (per esempio, quattro bambini hanno utilizzato meno di cinque verbi inaccusativi). L’analisi presentata andrà dunque necessariamente completata con una elicitazione sistematica di soggetti postverbali. In ogni caso, abbiamo potuto mostrare senza alcun dubbio che i sistemi dei PLO adulti non sono incompleti, ma, al contrario, tanto nativi e completi come quelli dei parlanti monolingui, anche in un ambito grammaticale complesso come la posizione del soggetto. Riferimenti bibliografici Belletti, Adriana/ Rizzi, Luigi (1988): «Psych-Verbs and θ-Theory». 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We therefore present a thorough analysis of postverbal subjects focusing the sensitivity of Italian heritage speakers (HS) for verb type (particularly for psychological verbs like piacere ‘to please’). Based on spontaneous speech in semi-structured interviews, we analyse the subject position in the data of three groups of Italian speakers in comparison: monolingual Italian speakers (n = 10), Italian adult HS (n = 10) and child HS at elementary school age (6-10 years, n = 12). Our results show that the tendency towards preverbal subjects observed in young HS disappears upon reaching adulthood, when HS no longer differ significantly from monolingual Italian speakers. Biographical sketch: Katrin Schmitz is extraordinary Professor of Romance Linguistics (French, Italian, Spanish) at the University of Wuppertal. Her main research interests are child and adult multilingualism, early language acquisition (L1, 2L1, Heritage Language Acquisition) of syntax, semantics, morphology, and their interfaces. Her main research projects include the DFG-funded study of subjects and objects in Italian and Spanish as heritage languages in Germany. She has authored and co-authored numerous articles and several books. Her research has appeared in different international, refereed journals such as Acquisition et Interaction en Langue Etrangère, Bilingualism: Language and Cognition, First Language, and Lingua. Anna-Lena Scherger is a clinical linguist and Full Professor in Impairments of Language and Communication at TU Dortmund University. Her research interests include bilingual language acquisition in typical and impaired acquisition paths, therefore focusing the interface of bilingualism and developmental language disorder. In her previous and ongoing projects (funded by DFG, BMBF, DKJS, MSB NRW), she investigates bilingual language acquisition, diagnostics of developmental language disorder and intervention for (pre)school children. Amongst others, her research is published in Frontiers of Psychology, Research Methods in Applied Linguistics, Journal of Child Language, Clinical Linguistics & Phonetics. 62 <?page no="63"?> Katrin Betz * Kausalsätze in der Sprachbeschreibung: vom Baummodell zur interaktionalen Linguistik 1 Adverbialsätze Adverbialsätze sind sowohl auf einzelsprachlicher als auch auf sprachvergleichender Ebene ein ergiebiger Forschungsgegenstand: So existieren ebenso Studien, die sich mit Adverbialsätzen aus sprachtypologischer und übereinzelsprachlicher Sicht beschäftigen (Diessel 2001, 2013), wie solche, die bestimmte Einzelsprachen stärker in den Fokus rücken. Für das Italienische analysiert z.B. Schwarze (1986) die Thema-Rhema-Struktur in (kausalen) Hauptsatz-Nebensatz-Strukturen u.a. in Zusammenhang mit deren Reihenfolge; in ihren frequenzbasierten Untersuchungen stellt Fiorentino (2009) die Frage nach der Abfolge Hauptsatz-Nebensatz in den Vordergrund und diskutiert dabei auf der Basis von Diessel (2001) weitere die Anordnung determinierende Aspekte wie sprachtypologische Eigenschaften oder sprachproduktionsbezogene Faktoren. Daneben finden sich zum Italienischen auch Studien, die Adverbialsätze innerhalb stärker sprachtheoretisch ausgerichteter Ansätze diskutieren: Arbeiten, die der generativen Syntax zuzuordnen sind, modellieren z.B. bestimmte Eigenschaften von Temporal- und Konditionalsätzen auf der Basis von Operatorbewegungen (Haegeman 2010 1 ). Die Studie von Pompei/ Montorselli (2009) diskutiert (kausale und konditionale) Adverbialsätze im Hinblick auf ihren Status als Nebenbzw. Hauptsatz auf der Grundlage der funktionalen Grammatik. * Otto-Friedrich-Universität Bamberg. 1 Die Untersuchung von Haegeman (2010) bezieht das Italienische mit ein, ist jedoch ausgehend vom Englischen übereinzelsprachlich ausgerichtet. 63 <?page no="64"?> Katrin Betz Im Rahmen des vorliegenden Beitrags wird zunächst zusammenfassend dargestellt, wie Adverbialsätze vor dem Hintergrund unterschiedlicher sprachwissenschaftlicher Beschreibungsansätze innerhalb der letzten 50-70 Jahre analysiert und beschrieben wurden (Abschnitt 2). Anschließend werden die Untersuchungsergebnisse einer eigenen Studie zur pragmatisch motivierten Verwendung von perché-Konstruktionen in der gesprochenen Sprache dargestellt (Abschnitt 3). 2 In Abschnitt 4 schließlich wird einerseits beschrieben, inwiefern bei der Abbildung der untersuchten Strukturen lange eher zweidimensionale Raummodelle die Grundlage bildeten und inwiefern der Begriff der Bewegung für ihre Beschreibung eine Rolle spielt. Andererseits wird ergänzend durch eine zusammenfassende Darstellung der Untersuchungsergebnisse vor dem Hintergrund der interaktionalen Linguistik gezeigt, dass zur Erfassung relevanter Eigenschaften dieser Konstruktionen Modelle hilfreich sind, die die Linearität der Sprachproduktion als Bewegung von Sprache in der Zeit berücksichtigen. 2 Kausalsätze als Beschreibungs- und Untersuchungsgegenstand Mit dem Begriff „Adverbialsatz“ oder „adverbiale Subordination“ bezeichnet man Nebensätze, die mit einer Konjunktion eingeleitet werden, die eine bestimmte semantische Relation zwischen dem Matrixsatz und dem subordinierten Satz zum Ausdruck bringt. Adverbialsätze werden daher in Abhängigkeit der Konjunktionsbedeutung und damit in Abhängigkeit von der semantischen Beziehung zwischen Haupt- und Nebensatz weiter in semantische Untergruppen eingeteilt, wobei man mindestens zwischen Kausal-, Konsekutiv-, Final,- Konzessiv-, Adversativ-, Konditional- und Temporalsätzen unterscheidet (Grevisse/ Goosse 2016: 1602- 1650, GGIC: 720-825, Pérez Saldanya 1999, Schwarze 1995: 440). Ggf. können bestimmte dieser Untergruppen wieder zusammenfasst werden. Galán Rodríguez (1999: 3599) zählt z.B. zum Konzept ‚Kausalitä‘ auch die Konzepte ‚Finalität‘, ‚Konzessivität‘ und ‚Konsekutivität‘, bei denen ein kausaler Zusammenhang aus 2 Untersucht wurden die Teile Firenze und Milano des Korpus VoLIP. Die Audio-Dateien des Korpus wurden während des Untersuchungszeitraums offline genommen und sind bislang (26.05.2023) nicht wieder zugänglich. Die Partiturschreibweise orientiert sich deshalb an den TXT-Rohdaten des LIP-Korpus. 64 <?page no="65"?> Kausalsätze in der Sprachbeschreibung unterschiedlichen Perspektiven hinsichtlich der Ursache-Folge-Beziehung erfasst wird. Solche unterschiedlichen Perspektivierungen werden z.B. an Satzpaaren deutlich: 1. (a) Ich gieße die Blumen regelmäßig, damit sie nicht verwelken. (b) Die Blumen verwelken nicht, weil ich sie regelmäßig gieße. Die vorliegende Studie beschränkt sich auf durch perché-Strukturen kodierte Kausalitätskonzepte, schließt dabei aber finale Konstruktionen aus. 2.1 Subordination Adverbialsätze werden in verschiedenen Grammatiken meist in Verbindung mit Relativsätzen und Komplementsätzen unter den Oberbegriffen „Subordination“ oder „Nebensätze“ zusammen betrachtet. Eine Auswertung anwenderbezogener wissenschaftlich orientierter Grammatiken des Italienischen und Französischen zeigt, dass bezüglich dieser Klassifikation grosso modo Einigkeit besteht. Schwarze (1995: 409) definiert in dem die Nebensätze behandelnden Kapitel zunächst den komplexen Satz als eine Erweiterung eines einfachen Satzes, die „mindestens einen Nebensatz oder eine Koordination enthält“. Nebensätze definiert er auf der Basis von Konstituenten: „Ein Nebensatz ist eine Konstituente, deren Kopf ein finites Verb ist, das nicht Teil der höchsten Verbalphrase des gesamten Satzes ist“ (Schwarze 1995: 409). Auf dieselbe Art und Weise definieren Grevisse/ Goosse (2016: 1547) den Begriff des komplexen Satzes, während sie Subordination als Relation zwischen nicht gleichrangigen Elementen eines Satzes beschreiben, zwischen denen ein Abhängigkeitsbzw. Dependenzverhältnis besteht. Im Vergleich zu Schwarzes rein konstituentenbasierter Definition ist hier bezüglich der Terminologie eine dependenzgrammatische Begrifflichkeit etwas prominenter. Auf einer weiteren Klassifikationsebene unterscheiden Grevisse/ Goosse (2016: 1548, 1563) zwischen Relativsätzen, indirekten Fragesätzen und Konjunktionalsätzen, wobei letztere dann wiederum in Komplement-, Korrelativ- und Adverbialsätze unterteilt werden. Adverbialsätze sind Teilsätze, „qui sont ordinairement introduites par une autre conjonction de subordination que que et qui ont la fonction d’un complément adverbial“ (2016: 1563). In einem einführenden Abschnitt zum Kapitel „Funzioni delle frasi subordinate“ werden in der Grande Grammatica Italiana di Con- 65 <?page no="66"?> Katrin Betz sultazione (GGIC) die Komplementsätze und die Adverbialsätze als Unterklassen der Subordination erwähnt: Komplementsätze sind dadurch gekennzeichnet, dass sie als Argument von der Verbvalenz gefordert werden, während Adverbialsätze nicht obligatorisch sind und ihr Auftreten von semantischen Kriterien bestimmt ist (GGIC: 633). Im Abschnitt zu den Adverbialsätzen selbst fehlt in der GGIC eine allgemein gehaltene Diskussion der Adverbialsätze, hier werden einzelne semantische Untertypen detailliert besprochen (vgl. GGIC: 720ff.). Problematisch bei den oben genannten Ansätzen ist, dass unter „Nebensatz“ oder „Subordination“ recht verschiedene Arten von Abhängigkeitsstrukturen zusammengefasst werden. Weder aus valenznoch aus konstituentengrammatischer Sicht lassen sich durchgängig Gemeinsamkeiten finden: Allein innerhalb der Relativsätze lassen sich im Hinblick auf die Merkmale ‚Fakultativität‘ und ‚Funktion‘ mehrere Unterklassen unterscheiden (z. B. fakultative, attributive Relativsätze, restriktive Relativsätze sowie freie Relativsätze); Komplementsätze sind abhängig von der Verbvalenz und insofern obligatorisch; Adverbialsätze sind nicht abhängig von der Valenz des Verbs und befinden sich auch auf einer anderen Konstituentenebene als Komplementsätze. Matthiessen/ Thompson (1988: 280) führen zudem Argumente dafür an, dass Adverbialsätze nicht ohne Weiteres als funktionsgleich mit anderen adverbialen Konstruktionen charakterisiert werden können. Die Paraphrase von Adverbialsätzen durch eine Präpositionalphrase ist typischerweise nur durch eine Nominalisierung des im Nebensatz beschriebenen Sachverhaltes möglich (2). Diese Nominalisierung ist aber wiederum eine grammatische Metapher, bei der ein Ereignis als Entität versprachlicht wird. Dieser Metaphorisierungsprozess spricht dafür, dass Adverbialsätze gerade nicht von Adverbialen abgeleitet sind oder auf diese zurückgeführt werden können. 2. (a) Before leaving Krishnapur, the Collector took a strange decision. (b) Before his departure from Krishnapur, the Collector took a strange decision. 3 ‚Subordination‘ als Oberbegriff für verschiedene Nebensatztypen scheint zudem auch heute weiterhin derselben Problematik zu unterliegen, die bereits von Haiman/ Thompson (1984: 510f.) beschrieben wird: Der Begriff ‚Subordination‘ wird zum Teil als Primitivum angenommen oder die Definition des Begriffs ist zirku- 3 Beispiele aus Matthiessen/ Thompson (1988: 280). 66 <?page no="67"?> Kausalsätze in der Sprachbeschreibung lär, d.h. zur Definition des Begriffes werden Eigenschaften von verschiedenen Nebensatztypen herangezogen (z.B. Subjekt-, Tempus- oder Modusidentität, Reduktion einer der beiden Klausen 4 , grammatisch markierte Inkorporation einer Klause in eine andere, intonatorische Verknüpfungen, bestimmte Skopusverhältnisse, fehlende Zeitikonizität zwischen den Klausen, Sprechaktidentität), wobei aber die Auswahl der analysierten Nebensätze wiederum auf Intuition beruht oder auf den formalen Gemeinsamkeiten, die später zur Definition der Subordination herangezogen werden. Es scheint deshalb sinnvoll, die Begriffe „Nebensatz“ und „Subordination“ zur Beschreibung dieser Strukturen zu vermeiden. Matthiessen/ Thompson (1988) verwenden z.B. in Anlehnung an Halliday (1994) den Begriff Enhancing Hypotactic Clause Combining Construction (im Folgenden allgemeiner CCC für Clause Combining Construction). Hypotaxe (und Parataxe) können in diesem Sinne als pragmatisch motivierte Phänomene auf Diskursebene analysiert werden (vgl. auch López García 1999: 3515f.). Bei einer parataktischen Verbindung werden gleichrangige Elemente kombiniert, bei einer hypotaktischen Verbindung liegt eine semantische Abhängigkeit vor, die als Modifikation bezeichnet wird: „In enhancement one clause enhances the meaning of another by qualifying it in one of a number of possible ways: by reference to time, place, manner, cause or condition“ (Halliday 1994: 232). 2.2 Kausale CCCs im Kontinuum Koordination - Subordination Kausale CCCs können aus verschiedenen Perspektiven hinsichtlich der semantischen Beziehung zwischen Haupt- und Nebenklause eingeteilt werden. In Anlehnung an die Arbeit von Dancygier/ Sweetser (2005) zu Konditionalsätzen wird hier terminologisch zwischen einer Funktion auf propositional-inhaltlicher Ebene (Klasse I), einer epistemischen Funktion (Klasse II) und einer metadiskursiven Funktion (Klasse III) unterschieden. Zusätzlich lässt sich innerhalb der kausalen semantischen Beziehungen der inhaltsbezogenen Funktion zwischen einer Ursache-Folge/ Effekt-Beziehung und einer logisch-kausalen Beziehung unterscheiden. In (3a) und (3b) steht das Einstürzen des Hauses zwar in einer ursächlichen Beziehung zu dessen Alter bzw. die Traurigkeit des Subjektes zu seinem Weg- 4 „Klause“ wird hier im Sinne von ‚Teilsatz‘ verwendet. 67 <?page no="68"?> Katrin Betz gehen, eine logisch-kausale Folge liegt aber nur in (3c) vor. 3. (a) La casa è crollata perché era vecchia. (b) È andato via perché era triste. (c) Siccome siamo mortali, dobbiamo morire. 4. Dev’essere a casa, perché c’è luce. 5. Hai fame? Perché è rimasta della pizza da ieri sera. 5 In (4) kann aus der in der perché-Klause geschilderten Begebenheit der in der vorhergehenden Klause geäußerte Sachverhalt als zutreffend vermutet werden, es handelt sich hier daher um eine epistemische Verwendung. In der metadiskursiven Verwendung in (5) wird durch die perché-Klause die Illokution der vorangegangenen Matrixklause gerechtfertigt oder begründet: Der Sprecher äußert die Frage, weil noch Essen übrig ist. Der Zustand des Hungrigseins ist aber keineswegs eine Folge aus dem noch Vorhandensein des Essens. Bei den inhaltsbezogenen CCCs handelt es sich um den engsten Satzverbindungstyp, gefolgt vom epistemischen, während die metadiskursive Klasse einer Hauptsatzstruktur am nächsten ist. Pompei/ Montorselli (2009) zeigen für kausale und konditionale Strukturen, dass inhaltsbezogene Klausen im Skopus von Fokus- oder Negationsoperatoren stehen können, Klasse II und III jedoch nicht. 6 So steht in (6a) die perché-Klause (Klasse I) im Skopus des Fokusadverbs proprio, während (6b) und (6c) zeigen, dass eine solche Kombination weder bei Klasse II noch bei Klasse III möglich ist. Die Negation in (6b) kann außerdem nicht auf die perché-Klause bezogen werden. Dahingegen zeigt Beispiel (6d), dass ein solcher Negationsskopus bei Klasse I möglich wäre. 7 5 Beispiele (3)-(5) in Anlehnung an Galán Rodríguez (1999: 3601). 6 Für weitere Unterscheidungskriterien von Klasse I versus Klasse II und III, wie z.B. die Erfragbarkeit oder das Verhalten hinsichtlich der consecutio temporum vgl. Pompei/ Montorselli (2009: 822- 825). 7 Interessanterweise unterscheidet Giuliana Giusti (GGIC: 731-736) für Temporalsätze ähnliche Klassen, die sie als Zirkumstanten bzw. Satzadverbiale bezeichnet und zu deren Unterscheidung sie ähnliche Tests wie die genannten anführt. 68 <?page no="69"?> Kausalsätze in der Sprachbeschreibung 6. (a) A: [ capito? proprio ab < biamo > ho cercato un pochino di mettere_ eh A: ⌈ l’esercizio gliel’ho detto invece di_ copiarlo ecco in tutti i modi C: ⌊ si’ mh A: [ proprio perche’ eh comunque non gli e’ facile non gli e’ facile (VoLIP 2022: FA3) (b) non ti incazzare perche’ ∗ soltanto perche’ se ti spieghi male e’ inutile che poi ti incazzi con me [...] (VoLIP 2022: MA4) (c) Dev’essere a casa, perché ∗ proprio perché c’è luce. (d) È andato via non perché fosse triste ma perché era arrabbiato. Klasse II und III können mit Hilfe illokutiver Operatoren unterschieden werden: Klasse II steht im Skopus der illokutiven Operatoren, Klasse III nicht. In (6b) bezieht sich beispielsweise die illokutive Kraft Imperativ nur auf den ersten Teil des Gefüges (non ti incazzare), nicht aber auf den zweiten Teil. Eine derartige Zerlegung des Gefüges ist bei Klasse II nicht sinnvoll bzw. kippt die Lesart ggf. in die Lesart der Klasse III: ? ? Dev’essere a casa. Perché c’è luce. Pompei/ Montorselli (2009) interpretieren die aufgeführten Daten vor dem Hintergrund der funktionalen Grammatik: Inhaltsbezogene Strukturen ordnen sie der Ebene der Prädikation zu, Klasse II und III den höher liegenden Satzschichten Proposition und Illokution. Obwohl sich Klausen der Klasse II und III auf diese höheren Satzschichten beziehen, interpretieren Pompei/ Montorselli (2009) sie aus funktionaler Sicht als subordinierte Strukturen, da ihre Funktion dennoch weiterhin als Modifikation bezeichnet werden kann. Hinsichtlich ihres oben beschriebenen Verhaltens gegenüber bestimmten Operatoren (Negation, Fokusoperatoren) nähern sich Klasse II und III aber koordinierten Strukturen an (Pompei/ Montorselli 2009: 825-827). Klasse III verhält sich zusätzlich hinsichtlich des Merkmals ‚eigene illokutive Kraft‘ hauptsatzähnlich, sodass sich das Gesamtgefüge noch stärker einer koordinierten Struktur annähert. Die Anwendung der hier diskutierten Parameter zeigt, dass Kausalsätze hinsichtlich verschiedener Kriterien als subordiniert kategorisiert werden können und in Abhängigkeit der Gewichtung der Kriterien als unterschiedlich stark subordiniert einstufbar sind. Wie in Pompei/ Montorselli (2009) überzeugend dargestellt, erscheint es deshalb sinnvoll, bei der Beschreibung dieser Strukturen die Anordnung auf einem Kontinuum zwischen Subordination und Koordination verstärkt zu berücksichtigen. 69 <?page no="70"?> Katrin Betz 2.3 Anordnung von Matrixsatz und kausalen CCCs Die Anordnung von Haupt- und Nebenklause lässt sich zunächst auf sprachtypologischer Ebene beschreiben. Diessel (2001: 440f.) unterscheidet auf der Basis einer umfangreichen sprachvergleichenden Untersuchung sechs Klassen: • Sprachen, in denen Adverbialsätze (fast) immer der Hauptklause folgen; • Sprachen, in denen Adverbialsätze (fast) immer der Hauptklause vorangehen; • Sprachen, die eine ausgeprägte Tendenz zur Nachstellung der Adverbialsätze haben, aber auch Voranstellung erlauben; • Sprachen, die eine ausgeprägte Tendenz zur Voranstellung der Adverbialsätze haben, aber auch Nachstellung erlauben; • Sprachen, in denen beide Stellungsvarianten vertreten sind (flexibler Typ); • Sprachen, in denen Adverbialsätze sowohl vor als auch nach der Hauptklause stehen können, in denen aber bestimmte semantische Typen entweder auf die Voran- oder die Nachstellung beschränkt sind. Beim flexiblen Sprachtyp ist nun von Interesse, welche Faktoren hier die Anordnung von Haupt- und Nebenklause bestimmen. Diessel (2005) erklärt die Reihenfolge von Adverbialsätzen im Englischen unter Berücksichtigung ihrer Frequenz auf der Basis des Zusammenspiels von prozessualen, pragmatischen und semantischen Faktoren. Im Rahmen einer Korpusanalyse, die transkribierte Konversationen, fiktionale Texte und wissenschaftliche Texte berücksichtigt, zeigt sich, dass Adverbialsätze insgesamt tendenziell häufiger final auftreten als initial, wobei die meisten vorangestellten Adverbialsätze in den wissenschaftlichen Texten vorkommen. Zudem sind die initialen Sätze signifikant kürzer als die finalen und in allen drei Textsorten werden am häufigsten Konditionalsätze initial verwendet, gefolgt von Temporal- und Kausalsätzen (Diessel 2005: 452-454). Hinsichtlich des kognitiv-prozessualen Parameters argumentiert Diessel (2005, 455-459) schlüssig (auf der Basis von Hawkins 1998), dass der Verarbeitungsaufwand für komplexe Sätze geringer ist, wenn der Adverbialsatz dem Hauptsatz folgt, womit die oben beschriebenen Tendenzen erklärbar sind. 8 Diesem 8 Die Argumentation Diessels beruht dabei auf der Annahme, dass Satzkonstituenten so angeordnet werden, dass die Konstituierung eines Mutterknotens durch das Parsen einer möglichst geringen Wortanzahl möglich ist. 70 <?page no="71"?> Kausalsätze in der Sprachbeschreibung grundlegenden Anordnungsprinzip wirken nach Diessel nun pragmatische und semantische Faktoren entgegen. Aus pragmatischer Sicht erfüllen vorangestellte Nebensätze eine diskursstrukturierende Funktion: Sie schaffen eine Verbindung zwischen vorangehendem und folgendem Inhalt, indem sie thematische Informationen darstellen, Sachverhalte konkretisieren und/ oder Hintergrundinformationen für den folgenden Diskurs beinhalten (Diessel 2005: 459ff.). Auf der semantischen Ebene zeigt sich, dass gerade semantische Beziehungen wie kausal, temporal, konditional für die Voranstellung geeignet sind. Z.B. lässt sich die häufige initiale Stellung von temporalen Sätzen mit after durch ikonische Prinzipien erklären. Die häufige initiale Stellung von Konditionalsätzen kann auf semantischer Ebene erklärt werden, da diese eine relevante Interpretationsgrundlage für die folgende Apodosis beinhalten (Diessel 2005: 461-466). Die Relevanz der eben am Beispiel des Englischen skizzierten Prinzipien konnte im Wesentlichen auch für das Italienische nachgewiesen werden (Fiorentino 2009: 220). Für das Italienische werden komplexe Satzstrukturen meist ausgehend von der Abfolge HS-NS als kanonische Anordnung beschrieben (Schwarze 1995: 445). Kausalsätze können in solchen Gefügen von verschiedenen Konjunktionen eingeleitet werden, darunter perché, che, siccome, poiché. Die vorliegende Korpusanalyse beschränkt sich diesbezüglich exemplarisch auf die Konjunktion perché. Im Hinblick auf die Anordnung, die Informationsstruktur und die Verwendung in formalen und informalen Sprachregistern unterscheiden bzw. ergänzen sich im Italienischen perché-, siccome- und che-Konstruktionen auf interessante Art und Weise. Im Folgenden wird daher die Verwendung von perché in Abgrenzung zu che und siccome beschrieben, auf andere Konjunktionen soll in diesem Rahmen nicht eingegangen werden. Die Konjunktion siccome gilt prinzipiell als auf die Voranstellung beschränkt, wobei mit dieser Reihenfolge auch eine bestimmte Informationsstruktur verbunden ist: Die bekannte Information (Ursache) ist im siccome-Teil enthalten, die Folge ist in der Matrixklause enthalten. Für perché-Konstruktionen hingegen nimmt Giuliana Giusti (GGIC: 740) die Reihenfolge Hauptklause-Nebenklause als unmarkiert an. Während die siccome-Konstruktion auf die Anordnung Nebenklause- Hauptklause beschränkt ist, ist die perché-Klause freier und kann in bestimmten Kontexten auch vorangestellt werden (vgl. Abschnitt 2.2). Interessanterweise existiert im Italienischen zusätzlich die oben genannte Konjunktion che, deren Verwendung in der gesprochenen Sprache auf solche Nebenklausen beschränkt ist, 71 <?page no="72"?> Katrin Betz die - im Unterschied zu perché-Sätzen - der Hauptklause zwingend folgen und rhematische Information enthalten. Schwarze (1986: 145) begründet dieses Verhalten damit, dass perché eher eine Begründung für die Bezugsaffirmation beinhaltet, che hingegen verwendet wird, um den Sprechakt zu rechtfertigen. 9 7. (a) È venuto con il treno, che aveva la macchina da aggiustare. (b) *Che aveva la macchina da aggiustare, è venuto con il treno. 10 Untersuchungen zu Korpora der gesprochenen Sprache haben gezeigt, dass im gesprochenen Italienisch Kausalklausen fast nur in Nachstellung stehen und die Verwendung von perché stark überwiegt (Fiorentino 2009: 218). 3 Perché-Konstruktionen in der gesprochenen Sprache Für die Analyse der (dialogischen) gesprochenen Sprache hat sich insbesondere die interaktionale Linguistik als ein Ansatz erwiesen, mit dem Merkmale und Grundprinzipien der gesprochenen Sprache beschrieben werden können, ohne dabei von den Grenzen der systembezogenen oder schriftlichkeitsbezogenen Methoden anderer Modelle eingeschränkt zu sein (Günthner 2008, 2018, 2021; Matthiessen/ Thompson 1988). Wie eingangs erwähnt, wird die perché-Konstruktion deshalb im Rahmen der vorliegenden Studie vor diesem Hintergrund beschrieben. Grundbeschreibungseinheit ist dementsprechend auch nicht der Satz oder eine Klause, sondern die sogenannte Turn Constructional Unit, die durch semantische, pragmatische, syntaktische oder intonatorische Merkmale begrenzt werden kann. 11 Sprecheinsätze sind wiederum aus solchen TCUs zusammengesetzt und 9 In der literarischen Sprache jedoch enthält das postponierte ché wiederum bekannte Information: Maria deve sbrigarsi, ché suo padre sta già arrivando (GGIC: 742, Bsp. 17a). 10 GGIC: 742, Bsp.e 16b, 16a. 11 Vgl. hierzu Selting (2000: 511): „Rather, TCUs and turns are the result of the interplay of syntax and prosody in a given semantic, pragmatic, and sequential context. Syntactic and prosodic construction schemata are flexible schemata which participants deploy and exploit in a flexible and recipientdesigned way in their practices of unit construction and interpretation in talk. In principle, units are always flexible and expandable; hence the actual completion of units can be recognized only retrospectively.“ 72 <?page no="73"?> Kausalsätze in der Sprachbeschreibung können sowohl aus Ein-Wort-Ausdrücken bestehen als auch mehrere TCUs umfassen. Außerdem steht eine Beschreibung linearer, sequenzieller sowie interaktionaler Besonderheiten der Konstruktionen im Zentrum des Interesses. Abfolgen von bestimmten Mustern, die einem bestimmten kommunikativen Zweck dienen, werden auch als Routine bezeichnet (Imo/ Lanwer 2019). Die oben als perché-Nebensätze oder Nebenklausen bezeichneten Einheiten werden im Rahmen der Analyse entweder als perché-Konstruktion oder als p-TCU bezeichnet. Enthält eine TCU ein flektiertes Verb und sind dessen Komplemente explizit oder implizit erschließbar, wird auch der Terminus „satzartige TCU“ verwendet. Der Bezugspunkt einer perché-Konstruktion (in der Schriftlichkeit zumeist ein vollständiger Matrixsatz) wird als Anker-TCU oder Ankeräußerung bezeichnet. 3.1 Perché-Konstruktionen in textstrukturierender Funktion In der gesprochenen Sprache können perché-Konstruktionen in jeder der oben beschriebenen Funktionen (vgl. Abschnitt 2.2) auftreten, und es finden sich sowohl inhaltsbezogene (8) als auch epistemische (9) und metadiskursive Strukturen (10). 8. pero’ e’ fatto male perche’ e’ molto poco letterario (VoLIP 2022: MA1) 9. A: [ puoi tenerlo unito guarda la prima volta che si aggiusta prendendo la A: ⌈ misura la distanza che hanno lasciato ma credo di si’_ B: ⌊ mh A: [ dovrebbe perche’ eh per loro dovrebbe essere # piu’ facile che si A: [ si ma insomma_ (VoLIP 2022: MA28) 10. non ti incazzare perche’ se ti spieghi male e’ inutile che poi ti incazzi con me [...] (VoLIP 2022: MA4) Daneben haben perché-Sequenzen aber häufig eine zusätzliche pragmatische Funktion und dienen dann z.B. entweder dem Turn-Management oder aber der Textstrukturierung. Diese Funktionen werden im folgenden Abschnitt (11) deutlich: 73 <?page no="74"?> Katrin Betz 11. C: [ ahah intanto anche su quello e’ un modo A: ⌈ si’ si’ anche questo io l’ho fatto copiare e gliel’ho detto C: ⌊ ahah A: [ capito? proprio ab < biamo > ho cercato un pochino di mettere_ eh A: ⌈ l’ esercizio gliel’ ho detto invece di_ copiarlo ecco in tutti i modi C: ⌊ si’ mh A: [ proprio perche’ eh comunque non gli e’ facile non gli e’ facile A: [ lo stesso perche’ C: [ scrivere sotto dettatura? A: [ si’ si’ perche’ la e’ A: [ sempre un discorso di attenzione che lui ha piu’ alla forma che al A: ⌈ contenuto quando scrive e’ cosi’ preoccupato di scrivere bene di C: ⌊ mh A: [ scrivere dritto scrive meglio quando si prende appunti per se’ (VoLIP 2022: FA3) Die Lehrerin (A) hat einem Schüler geraten, Texte zu Übungszwecken abzuschreiben und möchte ihr Vorgehen gegenüber einer Kollegin (C) rechtfertigen. Zunächst leitet sie ihre Begründung mit proprio perché ein und hebt durch die Verwendung der Fokuspartikel hervor, dass ihre Entscheidung eine besonders gewichtige Begründung hat. Für die Formulierung dieser gewichtigen Begründung verschafft sich die Sprecherin mit dem Überbrückungssignal eh comunque etwas Zeit, so dass hier ein interessantes direktes Zusammenspiel zwischen zwei diskursiven Elementen entsteht, bei denen das erste der Kohäsionsbildung dient und das zweite der Überbrückung einer kurzen Reflexionsphase. Die ersten beiden Ansätze von A, ihre Meinung zu begründen („proprio perche’ eh comunque non gli e’ facile non gli e’ facile lo stesso perche’...“) werden jedoch durch eine Nachfrage von C zunächst unterbrochen: „scrivere sotto dettatura? “. Nach dieser Unterbrechung leitet A ihre Erläuterung erneut ein („si’, si’ perche’ la e’ sempre un discorso di attenzione [...]“) und setzt ihren Beitrag fort, indem sie ihre bereits angekündigte Begründung spezifiziert und ausführt. Sie erklärt nun, warum dem Schüler das Diktatschreiben nicht leichtfällt. Diese aufeinanderfolgenden perché-Konstruktionen erfüllen über einen längeren Abschnitt hinweg textstrukturierende Funktion, indem sie auf semantischer Ebene der Kohäsionserzeugung dienen, die Beibehaltung des Rederechts markieren und signalisieren, dass die Sprecherin gerade dabei ist, auf argumentativer 74 <?page no="75"?> Kausalsätze in der Sprachbeschreibung Ebene eine Rechtfertigungsstrategie aufzubauen. Die mitschwingende Ankündigungsfunktion kann in Anlehnung an die syntaktischen Projektionen von Auer (2000) auch als inhaltsorientierte-hypotaktische Projektionsfunktion bezeichnet werden (vgl. auch Abschnitt 4). Textkohärenz signalisiert perché zudem regelmäßig in Strukturen, in denen es am Anfang einer satzartigen TCU steht, direkt gefolgt von einer se- oder einer quando-Klause. Das argumentative Muster kann zusammenfassend als Weil, wenn X, dann Y dargestellt werden (vgl. auch 6b). Die perché-Unit beinhaltet als Gesamtaussage betrachtet rhematische Information, im se- oder quando-Teil wird aber bereits besprochener Inhalt auf verschiedene Art und Weise wiederaufgenommen (Wiederholung, Spezifizierung, Ausarbeitung, Negierung etc.). Diese und damit zusammenhängende Strukturen wie z.B. Weil dann X oder Weil, wenn nicht sind übereinzelsprachlich gültige argumentative Muster, die einem bestimmten formalen Aufbau folgen und eine bestimmte Informationsstruktur beinhalten. In Textabschnitt (12) wird darüber diskutiert, dass man später zu Mittag isst, wenn man um 10 Uhr aufsteht, und früher, wenn man um 7 Uhr aufsteht. Die Sprecherin D rechtfertigt sich dafür, an diesem Tag ungewöhnlich früh Mittag gegessen zu haben. In „perche’ se ti svegli alle dieci...“ wird der vorher bereits angesprochene Zusammenhang zwischen der Aufstehzeit und der Mittagessenszeit erneut thematisiert und die intendierte Aussage der Sprecherin noch einmal innerhalb einer komprimierten gestalteten Satzstruktur auf den Punkt gebracht. 12. D: [ io ho mangiato alle dodici e mezza oggi A: [ mamma devo fumare B: [ <? ? > una delle poche volte che tu ha’ mangiato a quell’ora A: [ le rape D: ⌈ perche’ stamattina mi sono svegliata alle otto # alle sette B: ⌊ ah quindi D: [ no scusa alle sette certo perche’ se ti svegli alle dieci e fai D: [ colazione alle dieci e mezza puoi mangiare anche alle due B: [ no perche’ devi prima far colazione dimenticavo D: [ mh mi sono svegliata alle sette ho fatto colazione alle sette e D: [ mezza sono andata a scuola ho lavorato per tre ore sono andata a far D: [ la spesa # sono andata_ (VoLIP 2022: FA1) 75 <?page no="76"?> Katrin Betz 3.2 Die perché-Konstruktion als Muster zur gemeinsamen Textkonstruktion Steht die perché-Konstruktion am Anfang eines Sprecheinsatzes, hat sie ihren Ankerpunkt in vorherigen Äußerungen und die Sprecher konstruieren in solchen Kontexten gemeinsam einen kohärenten Diskursabschnitt. In (13) möchte Sprecher B gerne einen Freifahrtschein für die öffentlichen Verkehrsmittel beantragen. Sprecher A verneint diese Möglichkeit, Sprecher B fragt mit perché nach dem Grund und Sprecher A liefert wiederum diese Begründung mit einer perché-Unit. Sprecher A begründet zwar somit seine eigene Aussage „tessera di libera circolazione no quella li’ non la puo’ fare“, allerdings erst auf Nachfrage von Sprecher B. Auf textuell-sprachlicher Ebene ist die perché-Struktur deshalb durch zwei Bezugsäußerungen verankert. 13. B: ⌈ devo fare ora il certificato di circolazione A: ⌊ si’ di circolazione? B [ si’ [INCOMPRENSIBILE] A: [ tessera di libera circolazione no quella li’ non la puo’ fare B: [ perche’? A: [ perche’ ci vuole l’invalidita’ civile < ? ? > invalido B: [ ah no? (VoLIP 2022: FA9) In Beispiel (14) diskutieren drei Familienmitglieder über den Akzent eines Bekannten (Pippo). B macht im Laufe der Diskussion die Aussage „c’ha un accento stranissimo“. C übernimmt daraufhin die Sprecherrolle und benennt in der perché-TCU die Ursache hierfür: „perche’ poi l’ha mischiato col fiorentino“. Auch hier wird also die Struktur Anker-TCU-p-TCU interaktiv von zwei Gesprächspartnern konstruiert, im Sprecheinsatz von C ist die p-TCU zum Zeitpunkt der Äußerung nicht mit eingeplant. 14. B: [ secondo voi Pippo e’ fiorentino? C: [ Pippo e’ romagnolo B [ ah no_ per me non si capisce C: [ ma vedrai e’ romagnolo B: [ c’ha un accento stranissimo 76 <?page no="77"?> Kausalsätze in der Sprachbeschreibung C: [ perche’ poi l’ha mischiato col fiorentino B: [ sembra livornese C: [ ma che livornese Pippo e’_ di_ XYZ [SILENZIO] (VoLIP 2022: FA2) Eine andere Form der gemeinsamen Textkonstruktion findet sich auch in der Fortführung des bereits oben besprochenen Textes (vgl. 11), in denen drei Lehrerinnen über die Schwierigkeiten eines Schülers diskutieren. Der Übersichtlichkeit halber wird hier noch einmal der ganze Auszug wiederholt: 15. C: [ ahah intanto anche su quello e’ un modo A: ⌈ si’ si’ anche questo io l’ho fatto copiare e gliel’ho detto C: ⌊ ahah A: [ capito? proprio ab < biamo > ho cercato un pochino di mettere_ eh A: ⌈ l’ esercizio gliel’ ho detto invece di_ copiarlo ecco in tutti i modi C: ⌊ si’ mh A: [ proprio perche’ eh comunque non gli e’ facile non gli e’ facile A: [ lo stesso perche’ C: [ scrivere sotto dettatura? A: [ si’ si’ perche’ la e’ A: [ sempre un discorso di attenzione che lui ha piu’ alla forma che al A: ⌈ contenuto quando scrive e’ cosi’ preoccupato di scrivere bene di C: ⌊ mh A: [ scrivere dritto scrive meglio quando si prende appunti per se’ B: ⌈ perche’ e’ libero < ? > non e’_ ossessionato poi da altri si’ A: ⌊ perche’ e’ libero e infatti gliel’ho detto si’ A: [ gliel’ho detto gli ho detto guarda che quando ha ha fatto questo A: [ riassunto de < l > del capitolo che l’ha scritto_ io gli ho detto A: [ intanto scrivilo poi dopo lo correggiamo e lo ricopiamo ora scrivi A: [ proprio cercando di fissare le cose che hai capito poi dopo le A: [ organizziamo e ho detto Antonio e’ molto piu’ chiara questa A: [ scrittura di quella che fai normalmente ho detto se non altro e’ un A: [ pochino piu’ grande (VoLIP 2022: FA3) Hier führt Sprecherin B die Aussage von Sprecherin A („scrivere dritto scrive meglio quando si prende appunti per se’“) mit einer perché-Klause fort bzw. ergänzt 77 <?page no="78"?> Katrin Betz diese durch eine bestätigende Begründung: „perche’ e’ libero...“. Sprecherin A wiederum wiederholt diesen bestätigenden Teil von B, bevor sie mit ihren Äußerungen fortfährt, in denen sie vorher Gesagtes weiter ausführt. Die p-TCU ermöglicht es so, im Rahmen einer wieder gemeinsam aufgebauten und kohärenten Diskursführung zu signalisieren, dass zwischen den Sprecherinnen Einstimmigkeit herrscht, und sich dieses gegenseitigen Einverständnisses zu vergewissern. Zwei abschließende Beispiele für die Verwendung von perché, deren Funktionalität ebenfalls mit der dialogischen Gesprächsstruktur zusammenhängt, finden sich in (16) und (17). In solchen Kontexten widerspricht der Sprecher einer vorherigen Aussage oder stimmt dieser zu und begründet dann anschließend seine Einschätzung. In (16) verneint Sprecher B die Annahme von A und begründet diese Verneinung, in (17) hingegen bestätigt D die Angabe von Sprecherin A und rechtfertigt die Zustimmung: „ahah certo perche’ quando uno_ esercita l’intelligenza_ eh certo che e’ soddisfatto“. 16. B: [ si’ ecco ora cioe’ dal diciotto febbraio anzi a al limite allora si B: [ poteva calcolare da quando e’ venuto l’ufficiale giudiziario che e’ B: [ venuto il ventuno marzo? A: ⌈ no perche’ perche’ indipendentemente B: ⌊ no gia’ gia’ dovevo andar via io si’ A: [ da quando viene A: [ te c’hai il la la_ il rilascio fissato per quella data li’ capito? (VoLIP 2022: FA10) 17. A: [ ahah so stata soddisfatta di questo studio D: ⌈ di quale? la storia A: ⌊ storia D: [ ahah certo perche’ quando uno_ esercita l’intelligenza_ eh D: [ certo che e’ soddisfatto (VoLIP 2022: FA1) In (17) liegt zusätzlich die bereits oben besprochene Konstruktion Weil, wenn X, dann Y vor. 78 <?page no="79"?> Kausalsätze in der Sprachbeschreibung 4 Raum und Bewegung in der Sprachbeschreibung Wie im Verlauf des Beitrags gezeigt wurde, können Adverbialsätze und deren Eigenschaften bezüglich verschiedener Kriterien analysiert und beschrieben werden. Dabei spielt die Raum- und Bewegungsmetapher in unterschiedlicher Hinsicht eine Rolle. Anwenderbezogene, aber wissenschaftlich orientierte Grammatiken beschreiben Adverbialsätze auf der Basis der Konstituentenund/ oder Valenzgrammatik. In beiden Modellen werden syntaktische Strukturen durch ein Baummodell abgebildet. Dabei werden Elemente, die in der Sprachproduktion in einer eindimensionalen zeitlichen Ebene angeordnet sind, überführt in einen zweidimensionalen Strukturbaum. Tesnière (1959: 19-21) nimmt an, dass dementsprechend bei der Sprachproduktion strukturale Anordnungen in eine lineare Anordnung gebracht werden. Für die Beschreibung der Anordnungsmöglichkeiten von Haupt- und Nebensatz spielt die Raum- und Bewegungsmetapher in der Linguistik ebenfalls in mehrerlei Hinsicht eine Rolle: Z.B. ist es möglich, eine bestimmte Reihenfolge als kanonische Anordnung anzunehmen und von dieser die nicht-kanonische Anordnung abzuleiten. Die kanonische Grundstruktur sowie Abweichungen von dieser werden in Ansätzen der generativen Grammatik, entsprechend den jeweiligen modellabhängigen Mechanismen, durch Bewegung von Konstituenten und/ oder Operatoren von einer Ebene zur nächsten abgebildet (vgl. z.B. Haegeman 2010). In anderen Ansätzen wird zur Beschreibung der Anordnung das Konzept Bewegung zwar nicht konkret-explizit verwendet, jedoch finden sich dann zumeist Begrifflichkeiten wie precede/ follow oder preposed/ postposed (Diessel 2013, Fiorentino 2009). Mit Begriffen wie prepose/ postpose werden aber wiederum Teilsätze als objekthafte Entitäten konzeptualisiert, die vom Sprecher in eine bestimmte Position bewegt werden. Damit liegt auch diesen Formulierungen zumindest eine metaphorische Verwendung des Konzepts Bewegung zu Grunde. Im Folgenden soll ergänzend zu den beschriebenen Verwendungen des Konzepts Bewegung basierend auf den Untersuchungsergebnissen gezeigt werden, inwiefern die Linearität der Sprachproduktion als Bewegung durch die Zeit Einfluss auf bestimmte Eigenschaften der gesprochenen Sprache und deren Beschreibung hat. Wie in der vorliegende Studie beschrieben wurde, können perché-Klausen in der gesprochenen Sprache auf verschiedene Art und Weise pragmatische Funktion erfüllen und so zur Kohäsionsbildung beitragen: In monologischen Abschnitten 79 <?page no="80"?> Katrin Betz finden sie sich in textstrukturierender Funktion; in dialogischen Abschnitten werden sie zusätzlich als Mittel zur interaktionalen Diskurskonstruktion eingesetzt. Die Konjunktion perché kann zudem - kontextuell bedingt durch eine Verwendung in Verbindung mit Überbrückungsphänomenen - dazu dienen, die weitere Diskursplanung vorwegzunehmen bzw. anzukündigen. Die perché-Konstruktion kann dabei einen Bezug zu unterschiedlich umfangreichen vorangegangenen Äußerungseinheiten aufweisen und steht mit diesen in einer semantischen und pragmatischen Beziehung. Aus semantischer Sicht können zwischen den relevanten TCUs verschiedenartige kausale Beziehungen wie Ursache/ Folge etc. bestehen, deren Verwendung und Einsatz aber wiederum auf pragmatischer Ebene durch kommunikative Ziele wie ‚Rechtfertigung‘, ‚Überzeugung‘, ‚Verteidigung‘ oder ‚Zustimmung‘ begründet sind. Wie im vorangehenden Abschnitt außerdem gezeigt wurde, werden adverbiale perché-Unit-Anker-Unit-Strukturen in der gesprochenen Sprache im Verlauf des Diskursaufbaus konstruiert, teilweise sogar von mehreren Sprechern. Zwischen diesen Einheiten bestehen ebenso wie bei den syntaktisch vollständig integrierten Hauptklause-Nebenklause-Strukturen der monologischen Schriftlichkeit zwar vergleichbare semantisch-pragmatische Relationen. Aber ein hierarchisch-syntaktisch geprägter Syntax-Begriff alleine kann deren strukturelle Seite sowie die Prozesshaftigkeit ihrer Entstehung nicht mitabbilden und lässt auch die weiteren gezeigten pragmatischen (Neben-)Funktionen unberücksichtigt. Zur Beschreibung solcher Phänomene eignet sich daher kein rein statisch-hierarchisches Modell, sondern es werden ein Syntaxmodell und ein Beschreibungsinventar notwendig, die die Konstruktion sprachlicher Muster während der Sprachproduktion plausibel erklären. Solche Erklärungs- und Beschreibungsansätze finden sich in den Ansätzen der interaktionalen Linguistik, die Sequenzialität, Linearität und Interaktionalität berücksichtigt (Imo/ Lanwer 2019). In Anlehnung an vorherige Studien und Diskussionen zu solchen bzw. ähnlichen Strukturen (Günthner 2018) werden die obigen Verwendungen der perché-Konstruktionen deshalb auf der Grundlage der Überlegungen von Auer (2000) zur on line-Syntax verortet. Auer beschreibt syntaktische Projektionen als Operationen, bei denen durch ein bestimmtes Element eine syntaktische Gestalt eröffnet wird, die erst später durch eine erwartbare Struktur geschlossen wird (Auer 2000: 47). Diese Definition kann auf semantischer Ebene auf diejenigen perché-Konstruktionen übertragen werden, die als Überbrückungsphänomene fungieren und gleichzeitig die zu erwartende Er- 80 <?page no="81"?> Kausalsätze in der Sprachbeschreibung läuterung ankündigen (inhaltlich-hypotaktische Projektionsfunktion 12 ). Insofern die perché-Konstruktion an vorherige Inhalte anknüpft, handelt es sich um eine inhaltlich-hypotaktische Retraktion, bei der auf syntaktischer und semantischer Ebene ein Bezug zur vorangegangenen Unit hergestellt wird und bei der die Struktur komplementierende Funktion hat. Die hier erläuterten Phänomene und eingeführten Begrifflichkeiten zeigen am Beispiel der perché-Konstruktion, inwiefern mit Hilfe der interaktionalen Linguistik wesentliche Strukturen und Mechanismen der gesprochenen Sprache systematisch erfasst werden können. Einige diese Merkmale sind bedingt durch die Prozesshaftigkeit und Linearität der Sprachproduktion, die es folglich mitzuberücksichtigen gilt. Die Prozesshaftigkeit und Linearität sind konzeptualisierbar als Bewegung durch die Zeit, sodass die Bewegungsmetapher auch aus dieser Perspektive für die Sprachbeschreibung eine Rolle spielt. Das Modell der interaktionalen Linguistik erweist sich damit als geeignete Ergänzung zu den statisch-räumlich orientierten Sprachmodellen, indem es die in diesen Erklärungsansätzen verwendete Raum-Bewegungsmetapher um einen zusätzlichen temporalen Aspekt erweitert. 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Firenze: Cesati (= Quaderni della Rassegna 60-2), 813-836. 83 <?page no="84"?> Katrin Betz Pérez Saldanya, Manuel (1999): „El modo en las subordinadas relativas y adverbiales“. In: Bosque, Ignacio/ Demonte, Violeta (Hrsg.): Gramática descriptiva de la lengua española. Vol. II: Las construcciones sintácticas fundamentales. Relaciones temporales, aspectuales y modales. Madrid: Espasa Calpe, 3253-3322. Schwarze, Christoph (1986): „Tema e rema nella frase complessa“. In: Stammerjohann, Harro (Hrsg.): Tema-Rema in Italiano. Tübingen: Narr (= Tübinger Beiträge zur Linguistik 287), 141-156. Schwarze, Christoph (1995): Grammatik der italienischen Sprache. 2., verbesserte Auflage. Tübingen: Niemeyer. Selting, Margret (2000): „The Construction of Units in Conversational Talk“. In: Language in Society 29, 477-517. Tesnière, Lucien (1959): Éléments de syntaxe structurale. Paris: Klincksieck. VoLIP = Voghera, Miriam/ Iacobini, Claudio/ Savy, Renata u.a. 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On the other hand, a summary of the results of the investigation in the context of interactional linguistics shows that in order to capture relevant linguistic features of these constructions, it requires models that consider the linearity of language production in terms of a temporal movement of language. 84 <?page no="85"?> Kausalsätze in der Sprachbeschreibung Biographical sketch: Katrin Betz studied Romance Languages at the University of Bamberg and thereafter worked as a German lecturer at the Universidad Complutense de Madrid. She then studied the postgraduate course EDV- Philology (Master) at the University of Würzburg, where she was employed as a research assistant at the Chair of Computer Philology for several years after graduation. During this time, she also wrote her Ph.D. thesis on „Depictives and Adverbs as Radial Categories in Spanish“ and obtained her Ph.D. from the University of Bamberg. Since 2018, she has been working at the Chair of Romance Linguistics at the University of Bamberg, and is writing her „Habilitation“ on the topic of (causal) subordinate clause structures in Romance languages. 85 <?page no="87"?> Anna-Maria De Cesare * Il Movimento Testuale seriale: forma prototipica e manifestazione nei testi generati da ChatGPT 1 Introduzione Il presente contributo è dedicato al concetto di Movimento Testuale, operativo nell’ambito della linguistica del testo. Nella prima parte del lavoro (sez. 2) presentiamo le caratteristiche definitorie del Movimento Testuale secondo la bibliografia di riferimento sul tema, e facciamo vedere come è modellizzato e rappresentato graficamente. Tratteggiamo poi le proprietà che presenta quando realizza un insieme seriale, in cui rientrano tipicamente i connettivi seriali, di cui proponiamo anche una prima classificazione per l’italiano. Nella seconda parte del contributo (sez. 3) mostriamo invece come il Movimento Testuale seriale si manifesta nella realtà dei testi “artificiali”, 1 proponendo un’analisi qualitativa di 50 blocchi di testo generati da ChatGPT a seguito di una consegna che verte sull’uso del connettivo in primo luogo. Nelle brevi conclusioni che chiudono il lavoro (sez. 4) valutiamo il grado di naturalezza dei testi generati dal modello linguistico basato sull’intelligenza artificiale e accenniamo al modo in cui si potrebbe ampliare la ricerca avviata in questa sede. * Technische Universität Dresden. 1 La tipologia dei testi “artificiali” o “generati automaticamente” è ancora tutta da costruire. Ci limitiamo qui a menzionare due macrocategorie: i testi generati ex novo con sistemi basati sull’intelligenza artificiale, come ChatGPT, e i testi generati a partire da un testo in gran parte già scritto (chiamato template), completati da sistemi di scrittura basati su algoritmi (per approfondimenti, cfr. De Cesare 2021 e De Cesare/ Eliasson/ Weidendorfer 2023). Nel campo della linguistica la bibliografia sui testi generati scarseggia. 87 <?page no="88"?> Anna-Maria De Cesare 2 Il concetto di Movimento Testuale. Una ricognizione 2.1 L’architettura del testo, definita partendo dalle sue unità costitutive minime Il testo è un’entità semantica complessa, il cui contenuto è distribuito e organizzato in unità di natura diversa: partendo da una caratterizzazione del testo dal “basso”, riconosciamo quali sue unità costitutive le Unità Comunicative (o Enunciati), le Unità Informative e i Movimenti Testuali (usiamo la maiuscola per indicare che si tratta di entità di natura semantico-pragmatica). Le Unità Comunicative sono fondamentali perché, a differenze delle due altre unità, non sono facoltative: L’unità fondamentale dell’articolazione semantica del testo è l’unità comunicativa. A un livello inferiore, essa si articola facoltativamente in unità informative; a un livello superiore, essa viene, sempre facoltativamente, a far parte di un insieme omogeneo di unità comunicative, a cui si può dare il nome di movimento testuale. (Ferrari 2014a: 81) Il concetto di Movimento Testuale (d’ora in poi MT), proposto nell’ambito della linguistica del testo, 2 interessa il livello gerarchico immediatamente superiore a quello relativo all’Unità Comunicativa (UC). Nella concezione del “Modello di Basilea” (Ferrari/ Cignetti/ De Cesare et al. 2008), una UC è un’unità testuale caratterizzata per il fatto di svolgere contemporaneamente una funzione illocutiva (asserzione, domanda ecc.) e una funzione di composizione testuale che si definisce rispetto al contesto, cioè al suo intorno linguistico: conclusione, motivazione, esemplificazione, riformulazione ecc. (Ferrari 2014a: 81) Di seguito (cfr. 1a) un esempio di testo minimo (inventato dall’autrice del volume citato: A. Ferrari), composto da una sequenza di due UC caratterizzate da un’illocuzione assertiva (ASS), e in cui la seconda UC si lega alla prima per una relazione 2 La definizione data in Ferrari (2014a: 94-98) si rifà a Corno (2012); una messa a punto concettuale del MT si trova anche in Ferrari/ Lala/ Longo et al. (2018: 96-99); si veda anche Ferrari/ Zampese ( 6 2021: 369ss.), che non usano però il termine MT, ma parlano in modo generico di «raggruppamenti di enunciati». 88 <?page no="89"?> Il Movimento Testuale seriale di conclusione. Come mostra poi l’annotazione di (1a) proposta in (1b), 3 la prima UC del testo è complessa al suo interno poiché si articola in due Unità Informative (UI); la seconda UC è invece esaurita da una sola UI. Per completare la descrizione di (1a) va aggiunto che le due UC che compongono il testo non formano un MT. Più avanti (nella sez. 2.2) vedremo che, nella sua manifestazione prototipica, un MT include almeno tre UC ordinate gerarchicamente. 1. (a) Maria, che di solito è una persona gradevole, in questo periodo è insopportabile. Meglio non invitarla. (Ferrari 2014a: 53) (b) / / Maria, / che di solito è una persona gradevole, / UI1 in questo periodo è insopportabile / UI2. / / UC1=ASS / Meglio non invitarla. / UI / / UC2=ASS La ricerca, in particolare quella prodotta in seno all’italianistica svizzera (per cui cfr. i lavori prodotti da e attorno ad Angela Ferrari citati in bibliografia), si è finora concentrata sul rapporto tra UC (perlopiù) contigue e ha tratteggiato in modo molto fine l’architettura interna alle UC (a questo aspetto è dedicato il volume di Ferrari/ Cignetti/ De Cesare et al. (2008) e numerosi lavori della Scuola basilese). Molto poco, invece, è stato detto sul MT, benché questa unità svolga un ruolo importante nell’architettura di ogni testo dotato di una minima lunghezza. 4 2.2 Il Movimento Testuale: tratti definitori e manifestazione prototipica Come si diceva, il MT è un’unità definibile in primis a livello spaziale, in base alla posizione che occupa nell’architettura del testo. Per chiarire ulteriormente il livello gerarchico al quale si realizza il MT è utile partire dalla rappresentazione astratta dell’architettura del paragrafo, osservando le sue unità costitutive. Un paragrafo 3 Per agevolare l’interpretazione dell’architettura degli esempi proposti in questa sede proponiamo un’annotazione che esplicita la natura e i confini delle loro unità costitutive. Saranno indicati i confini di UC (mediante doppia sbarra obliqua), di UI (con sbarra singola) e, qualora sia presente, di MT (con parentesi quadre). Salvo indicazioni contrarie, i nostri esempi coincidono graficamente con un Capoverso. 4 Per quanto riguarda il parlato, un recente filone di ricerca (cfr. Saccone 2020, sulla scia di Cresti 2009) si interessa a «quei particolari tipi di unità maggiori dell’enunciato che, nel quadro teorico della Teoria della Lingua in Atto, prendono il nome di stanze e di pattern illocutivi» (Saccone 2020: 55). 89 <?page no="90"?> Anna-Maria De Cesare può essere rappresentato come nella Figura 1: al livello gerarchicamente più elevato troviamo appunto il paragrafo (un testo può però contenere unità di livello ancora superiore: capitoli, parti o sezioni, per arrivare all’integralità del testo), mentre al livello più basso vi sono le UI, che costituiscono le UC. Il MT si colloca tra il livello che interessa il paragrafo e quello relativo alla codifica delle UC. Figura 1: rappresentazione astratta del Paragrafo (Ferrari 2014b: 27) [MT = Movimento Testuale; UC = Unità Comunicative; UI = Unità Informativa] Proprio perché si colloca a un livello gerarchico più elevato di quello che interessa le UC, il MT si compone caratteristicamente di più UC. Stando alla definizione riportata nella sezione 2.1, il MT si definisce più precisamente come un «insieme omogeneo» di UC (Ferrari 2014a: 94). L’unitarietà delle UC che formano un MT, più che di ordine semantico, è di natura funzionale e può essere ricondotta a uno o più piani dell’organizzazione del testo: quello tematico, quello logico-argomentativo e quello enunciativo (Ferrari 2014a: 94). Vediamo un esempio dei due ultimi casi. Il Capoverso riprodotto in (2) si compone di tre UC, di cui le due ultime (UC2 e UC3) sono connesse alla prima (UC1) da una relazione di esemplificazione, esplicitata dal connettivo per esempio che apre UC2: 2. [/ / Il figlio maggiore, Giovanni, si dava a scherzi conditi di lucida razionalità: / / UC1 per esempio, riempiva di terra le serrature delle varie porte d’uscita della mia grande casa, sicché le grosse chiavi non entravano, non giravano e noi al momento di uscire dovevamo perdere mezz’ora a svuotare le serrature. / / UC2 Oppure, in silenzio, inosservato, toglieva lo stucco ai vetri delle 90 <?page no="91"?> Il Movimento Testuale seriale finestre, li asportava, li nascondeva e la sera, quando andavi a letto, ti trovavi esposta alla notte esterna, all’umido dei monti. / / UC3 ]MT (es. tratto da Ferrari/ Zampese 6 2021: 369) Il brano di testo in (3) illustra invece un MT che interessa il piano enunciativo; esso è infatti costituito da un iniziale atto illocutivo di domanda (UC1), seguito da una risposta articolata, che si estende sulle restanti UC del testo: 3. [ / / Quanti tipi di galassie esistono? / / UC1 Se ne distinguono almeno cinque. / / UC2 Le galassie “a spirale”, quelle “barrate”, quelle “ellittiche”, quelle “lenticolari” e infine le irregolari. / / UC3 Ora le esamineremo una per una. / / UC4 ]MT (es. tratto da Corno 2012: 126; cit. in Ferrari 2014a: 96) Dal punto di vista della sua sostanza, il MT prototipico presenta i seguenti tratti: (i) a livello grafico, è co-estensivo al Capoverso (Ferrari 2014b: 97), un’unità che si dipana tra due a capo; (ii) si compone di almeno tre UC (cfr. i casi riportati negli ess. 2 e 3); (iii) è dotato di una gerarchia interna; esso è, più precisamente, formato da una UC principale, che apre la sequenza, e da una sequenza di UC secondarie, che svolgono rispetto alla prima un ruolo subalterno. Inoltre, le UC secondarie sono caratteristicamente connesse le une alle altre da una relazione di aggiunta (come in 2) e/ o da relazioni logico-argomentative deboli (per es. di specificazione, come in 3). Nella sua manifestazione prototipica, il MT può essere rappresentato schematicamente come nella Figura 2. Questa rappresentazione vale per gli esempi (2) e (3). Figura 2: rappresentazione astratta del MT prototipico 91 <?page no="92"?> Anna-Maria De Cesare 2.3 Il Movimento Testuale basato su un insieme seriale Con “MT basato su un insieme seriale” (fr. ensemble sériel; De Cesare 2021: 74) facciamo riferimento a MT che presentano le seguenti caratteristiche: si compongono di un blocco omogeneo di UC (almeno due) co-orientate verso una terza unità di significato. Questa unità di significato può essere esplicitata nel testo, nel qual caso corrisponde alla UC principale del MT, ma può anche rimanere implicita. Il MT di tipo seriale realizzato in (4), per esempio, si apre con la UC principale (UC1), legata ad UC2 e UC3 da una relazione di specificazione: la catafora altri motivi che chiude UC1 è infatti risolta in UC2 e UC3. Tra UC2 e UC3, subordinate a UC1, vige invece una relazione di aggiunta. Il MT realizzato in (4) è una manifestazione particolare del MT prototipico rappresentato nella Figura 2. 4. [ / / A tale primato [del fiorentino sugli altri dialetti] concorsero però anche altri motivi. / / UC1 Anzitutto [...] già prima di Dante la Toscana aveva raccolto l’eredità della scuola poetica siciliana [...]. / / UC2 Inoltre, alla superiorità letteraria dei tre grandi trecentisti [...] fa riscontro la superiorità raggiunta dalla civiltà toscana anche in altri campi. / / UC3 ]MT (D’Achille 2001: 12; cit. in Ferrari 2014a: 160; nostro il corsivo) Il MT basato su un insieme seriale riprodotto in (4) contiene anche due connettivi seriali (riprendiamo, in traduzione italiana, il termine proposto in Nøjgaard (1992); nella terminologia di Ferrari (2014a) si tratta di connettivi di dispositio 5 ), anzitutto e inoltre, la cui funzione generale consiste nell’indicare la disposizione nel testo dei due motivi che spiegano perché il fiorentino si è imposto quale lingua letteraria rispetto agli altri dialetti. I connettivi seriali codificano infatti il posto che occupano le unità (UC) che aprono (se si trovano all’inizio, come in 4) o nelle quali si inseriscono (se non si trovano in posizione iniziale) all’interno dell’insieme 5 A mia conoscenza non disponiamo di studi approfonditi sui connettivi seriali in italiano (ma si veda Mingioni (2014) sui connettivi detti di chiusura, come infine, dunque e quindi), che sono invece oggetto di vari studi teorici e descrittivi incentrati sul francese (cfr. Nøjgaard (1992), che li chiama adverbiaux sériels ‘avverbiali seriali’; Adam/ Revaz (1989), che li chiamano connecteurs d’organisation énumérative ‘connettivi di organizzazione enumerativa’; per approfondimenti, cfr. De Cesare (2021)). Molti studi dedicati alla classe dei connettivi seriali del francese riguardano gli ordinali derivati con il suffisso -ment, come premièrement, deuxièmement, troisièmement etc., che sono marginali in italiano: nel corpus CORIS, per esempio, primariamente occorre solo 132 volte, perlopiù con il significato di soprattutto; secondariamente occorre 72 volte (quasi esclusivamente) in funzione di avverbio di modo parafrasabile con in modo secondario; non esiste invece un corrispettivo italiano del fr. troisièmement. 92 <?page no="93"?> Il Movimento Testuale seriale seriale. I connettivi seriali danno però anche altre indicazioni sull’insieme seriale nel quale rientrano e che contribuiscono a creare: il connettivo anzitutto, per esempio, non indica solo che il motivo che introduce nel testo si colloca all’inizio dell’insieme seriale; esso codifica anche (a partire da un’inferenza che nasce dalla componente che indica apertura) il fatto che seguiranno altri motivi (il cui numero è sottospecificato). Oltre ad anzitutto e inoltre, la classe dei connettivi seriali include in primo luogo, dapprima, in secondo luogo, poi, in seguito, infine, per concludere (cfr. Ferrari 2014a: 160; per dettagli sulla classe, descritta a partire dal francese ma con osservazioni valide anche per l’italiano, cfr. De Cesare 2021). Nella Tabella 1 (v. p. 94) proponiamo una classificazione tripartita dei connettivi seriali, basata sulla funzione che questi connettivi svolgono nell’insieme seriale. Per valutare la loro frequenza d’uso nei testi scritti, riportiamo tra parentesi il numero assoluto di occorrenze di ognuno di essi nel corpus CORIS, 6 un corpus rappresentativo dell’italiano scritto (Tamburini 2022), che consta di 165 milioni di parole. 3 I testi generati da ChatGPT a partire da un connettivo seriale 3.1 Breve caratterizzazione di ChatGPT (in modalità monologica) ChatGPT (Chat Generative Pre-trained Transformer), lanciato il 30 ottobre 2022, è «un prototipo di chatbot basato su intelligenza artificiale e machine learning» (Wikipedia, ChatGPT 7 ). Il modello linguistico alla base di ChatGPT è stato addestrato con un ampissimo campione di testi raccolti su internet via webcrawling (si tratta di contenuti di Wikipedia, di libri, giornali, riviste, blog ecc.). ChatGPT è disponibile in due modalità: dialogica (di chat propriamente detta) e monologica (per la generazione di blocchi di testo). Per quanto riguarda le abilità testuali della 6 CORpus di Italiano Scritto. Si tratta di dati grezzi poiché molti connettivi seriali conoscono altre funzioni, per esempio quella temporale (in seguito), che non abbiamo distinto. 7 ⟨ https: / / it.wikipedia.org/ w/ index.php? title=ChatGPT&oldid=131351476 ⟩ , «Versione del 5 gen 2023 alle 16: 32 di Redjedi23». 93 <?page no="94"?> Anna-Maria De Cesare Forme (e frequenza) Funzioni Connettivi di apertura All’interno di un insieme seriale, i connettivi di apertura avviano la serie propriamente detta e codificano (per inferenza) che altri elementi seguiranno. innanzitutto (2.985) in primo luogo (2.194) dapprima (1.768) anzitutto (1.761) prima di tutto (0) Connettivi di prosecuzione I connettivi di questa classe indicano prosecuzione nella costruzione della serie: sono pertanto esclusi in prima posizione della serie. poi (143.611) I connettivi poi, inoltre, in seguito non danno nessuna indicazione sulla posizione che occupa, nella serie, il nuovo elemento introdotto: queste forme possono dunque occorrere in vari momenti della serie e lasciano aperta la possibilità che ci siano altri elementi costitutivi dell’insieme. Possono cioè essere seguiti da altri elementi oppure chiudere la serie. inoltre (17.697) in seguito (4.006) in secondo luogo (471) Il sintagma in secondo luogo (e mutatis mutandis le forme in terzo, quarto ecc. luogo) è invece semanticamente più specifico, in quanto si pone necessariamente a ridosso del secondo (terzo, quarto ecc.) elemento della serie. in terzo luogo (51) in quarto luogo (6) Connettivi di chiusura I connettivi di questa classe chiudono l’insieme seriale. Essi indicano anche esplicitamente che non seguiranno altri elementi. infine (15.669) da ultimo (899) per concludere (436) Tabella 1: classificazione dei connettivi seriali: forme, frequenza e funzioni seconda modalità, che qui più ci interessa, si afferma per esempio quanto segue (il corsivo è nostro): Generazione di testo: ChatGPT può essere utilizzato per generare testo coerente e naturale. Può essere utilizzato per generare descrizioni, titoli o qualsiasi altro tipo di testo che debba essere scritto in modo naturale. (Wikipedia: s.v. ChatGPT) 94 <?page no="95"?> Il Movimento Testuale seriale Le “competenze” di ChatGPT sono colte in base a un termine che fa riferimento alla quidditas del testo: la coerenza. Si insiste poi sul fatto che i testi generati da ChatGPT, a qualunque tipologia essi appartengano, sono naturali: ci aspettiamo dunque di leggere testi simili a quelli prodotti dagli esseri umani. È proprio questa idea che abbiamo voluto testare in un primo esperimento che coinvolge l’uso di un avverbio seriale. In questo esperimento ci interessa in particolare sondare il grado di naturalezza dei testi generati da ChatGPT. 3.2 Analisi qualitativa di testi generati con il connettivo seriale in primo luogo Per valutare il grado di naturalezza dei testi prodotti da ChatGPT abbiamo creato - e successivamente analizzato, sia manualmente sia con l’ausilio di Sketch Engine 8 - un micro-corpus di 50 testi generati a partire dal “prompt” (ovvero consegna) seguente: «Scrivi un testo di 100 parole con “in primo luogo”». Su questa consegna bisogna fare tre osservazioni: 1) il quesito è stato posto in data dell’8 gennaio 2023, periodo in cui è stata lanciata la prima versione gratuita di ChatGPT (da allora ci sono stati vari aggiornamenti); 2) la consegna è molto generica e può di primo acchito sembrare poco naturale: riteniamo tuttavia che la stessa domanda potrebbe essere posta a scuola, per esempio per sondare la capacità di alunni e alunne nel redigere un blocco di testo in cui compare il connettivo seriale e, più in generale, verificare se sanno come si costruisce in modo adeguato un MT che realizza un insieme seriale, quali connettivi seriali si usano in italiano ecc.; 3) data l’esiguità del campione analizzato è chiaro che i risultati che esponiamo in questa sede hanno carattere perlopiù esplorativo. Alcuni risultati, esposti nei prossimi paragrafi, permettono tuttavia di fare alcune osservazioni interessanti sul grado di naturalezza dei testi prodotti da ChatGPT, in particolare sulla capacità del modello a usare un connettivo seriale in modo coerente. 9 8 Sketch Engine è una piattaforma dedicata alla creazione e interrogazione di corpora. Per dettagli, cfr. Kilgarriff/ Rychlý/ Smrz et al. (2004). 9 Per motivi di spazio, ci concentriamo unicamente su questioni testuali, relative alla qualità dei blocchi di testo, senza occuparci di altri aspetti importanti, come per esempio l’adeguatezza del lessico e della sintassi. Per quanto riguarda questi due aspetti, ci limitiamo ad osservare che i testi prodotti da ChatGPT risultano globalmente ben scritti. Solo in alcune occasioni compare un termine o espressione poco idiomatica, come le proprie unicità in (5). 95 <?page no="96"?> Anna-Maria De Cesare 3.2.1 Caratteristiche generali dei testi generati da ChatGPT: tipo di unità testuale e connettivi La nostra valutazione dei testi generati da ChatGPT a partire dalla consegna indicata sopra si fonda dapprima sull’analisi di tre parametri generali: (i) la natura (grafica), la dimensione (in numero di parole) dell’unità testuale generata e la posizione del connettivo in primo luogo; (ii) il numero e la funzione illocutiva delle UC che fondano i singoli testi generati; e (iii) la lista dei connettivi presenti nel corpus dei testi generati, con indicazioni sulla loro frequenza e la punteggiatura che li accompagna. Questi parametri ci permetteranno di osservare che la scrittura di ChatGPT è improntata a fissità e monotonia. Per quanto riguarda il primo punto, i 50 testi generati da ChatGPT hanno una forma “stabile” e in parte prevedibile: coincidono tutti con un breve Capoverso (un esempio è nella Figura 3). In media, come richiesto nella consegna, ogni testo si compone di un centinaio di parole (il corpus creato su Sketch Engine include ca. 6.000 parole). Meno prevedibile era invece la posizione del connettivo in primo luogo: in tutti i testi generati lo si trova almeno una volta, in apertura di testo. Figura 3: consegna e output di ChatGPT (testo generato l’08/ 01/ 2023) Per quanto riguarda poi il numero e la funzione illocutiva delle UC che fondano i singoli testi generati, va dapprima osservato che ogni Capoverso include in media sei UC, che sono coestensive alle frasi (il corpus si compone di 325 frasi). Tutte le UC del campione svolgono atti illocutivi assertivi (con una sola eccezione: una UC 96 <?page no="97"?> Il Movimento Testuale seriale svolge una funzione illocutiva di domanda) e sono delimitate da un punto fermo (vi sono solo due eccezioni: la UC con funzione di domanda si chiude con un punto interrogativo; vi è poi una UC assertiva delimitata da due punti). Vediamo infine, in modo più approfondito, la natura dei connettivi che compaiono nei 50 testi generati da ChatGPT. La Tabella 2 riporta dapprima la lista dei connettivi presenti nel corpus, limitatamente a quelli che legano unità testuali appartenenti al livello delle UC. Il corpus contiene 11 connettivi diversi, riportati nella tabella secondo la loro frequenza d’uso. 1. in primo luogo 153 7. infine 3 2. inoltre 39 8. quindi 3 3. pertanto 7 9. ad esempio 2 4. insomma 5 10. in definitiva 1 5. in secondo luogo 4 11. infatti 1 6. tuttavia 4 Tabella 2: connettivi: forme e frequenza (assoluta) nel corpus di testi generati da ChatGPT I dati della Tabella 2 permettono di fare tre considerazioni importanti. La prima, che verte sul numero di occorrenze di in primo luogo nel corpus (153 occ.), è che il connettivo non compare solo una volta per testo (come è del resto già evidente dalla Figura 3). La seconda è che, oltre a in primo luogo (che serve in primis ad aprire una serie), il corpus contiene altri connettivi che conoscono un impiego seriale: in seconda posizione per frequenza d’uso (con 39 occ.), troviamo il connettivo di prosecuzione generico inoltre (che può porsi a ridosso del secondo, terzo ecc. elemento di una serie, e che può anche introdurre l’ultimo elemento); seguono poi - ma da lontano e si configurano dunque come rari - in secondo luogo (4 occ.), funzionalmente più specifico di inoltre (occupa infatti necessariamente la seconda posizione in una serie) e infine (3 occ., che chiude la serie). La terza osservazione, basata sulle due precedenti, è che l’uso del connettivo in primo luogo (che compare nella prima UC di tutti i testi generati) innesca strutture seriali, nelle quali si trovano espressioni linguistiche semanticamente e funzionalmente simili: la più frequente, come abbiamo visto, è lo stesso in primo luogo. Passando ad osservare il loro impiego nei testi, si osserva poi (i) che ogni UC contiene un solo connettivo; (ii) che questo connettivo occupa una posizione sintattico-enunciativa perlopiù fissa, in apertura di UC; e (iii) che in posizione incipi- 97 <?page no="98"?> Anna-Maria De Cesare taria di UC il connettivo è sempre seguito da una virgola. Le proprietà (i) a (iii) valgono non solo per i connettivi seriali, ma anche per le rimanenti forme (pertanto 7 occ.; insomma 5 occ.; tuttavia 4 occ.; quindi 3 occ. ecc.), che codificano relazioni semantico-pragmatiche più ricche, di natura logico-argomentativa; vari connettivi servono a chiudere un ragionamento logico: veicolano una relazione di consecuzione (pertanto, quindi) o una riformulazione generale (insomma, in definitiva). La fissità sintattico-interpuntiva dei connettivi nei 50 testi generati da ChatGPT permette di formulare un primo giudizio sul grado di naturalezza di questi testi: questa fissità non ricalca la lingua naturale. Per accertarsene basta considerare la schermata del CORIS riportata nella Figura 4, dove si osserva che il connettivo in primo luogo si pone a inizio UC solo in circa la metà delle sue occorrenze (lo si trova in posizione di apertura, con maiuscola iniziale, in 1.118 casi sui 2.194 inclusi nel CORIS) e che, in posizione incipitaria, non è sempre seguito da virgola. Una ricerca della stringa “In primo luogo,” nel CORIS mostra che il connettivo è seguito da virgola in ca. 50 delle sue occorrenze (554 casi su 1.118). In quanto segue ci soffermeremo ancora sul grado di naturalezza delle unità testuali generate da ChatGPT, distinguendo i blocchi di testo coerenti (sez. 3.2.2) da quelli incoerenti (sez. 3.2.3), di cui metteremo a fuoco le “patologie” più ricorrenti. 3.2.2 Blocchi testuali coerenti, che realizzano MT seriali I blocchi testuali generati da ChatGPT coincidono solo in pochi casi con MT seriali ben formati; essi, va detto subito, non ricalcano però mai la struttura prototipica tratteggiata nella Figura 2. Infatti, nei MT che si possono considerare in qualche modo ben formati, la UC principale non si realizza all’inizio, ma alla fine del testo: o in chiusura assoluta (come in 5) o in quasi-chiusura (come in 6). In casi come questi si disegna dunque una geometria interna inversa a quella prototipica e il testo, in modo molto poco consueto, inizia con una UC aperta dal connettivo in primo luogo. Degno di nota in (5) e (6) è anche che la UC principale si apre con un connettivo di consecuzione, che coincide in entrambi i casi con pertanto. 5. In primo luogo, vorrei sottolineare l’importanza della diversità. Avere una squadra eterogenea, composta da persone di diverse età, culture, sesso e abilità, può portare molti vantaggi a livello lavorativo. La diversità può infatti 98 <?page no="99"?> Il Movimento Testuale seriale Figura 4: il connettivo in primo luogo a inizio UC (corpus CORIS) contribuire a una maggiore creatività e innovazione, a una maggiore comprensione delle esigenze dei 10 clienti, e a una maggiore flessibilità e adattabilità dell’azienda. Inoltre, promuovere la diversità e l’inclusione è un modo per costruire un ambiente di lavoro più positivo e rispettoso, in cui tutti si sentano valorizzati e apprezzati per le proprie unicità. Pertanto, è importante che le aziende adottino politiche e pratiche che favoriscano la diversità e l’inclusione, e che incoraggino l’espressione di tutte le voci all’interno dell’organizzazione. (Testo 4) 10 Si noti, en passant, che molte forme riferite a (gruppi di) individui generici compaiono al maschile (cfr. anche il pronome tutti nello stesso es. (5), il participio grati e il sintagma nominale i colleghi, entrambi in (7)). 99 <?page no="100"?> Anna-Maria De Cesare 6. In primo luogo, vorrei sottolineare l’importanza della diversità e dell’inclusione. Avere una varietà di background, esperienze e punti di vista all’interno di una organizzazione può portare a idee più creative e innovative, e a un ambiente di lavoro più stimolante e produttivo. Inoltre, l’inclusione significa garantire che tutti i membri della comunità siano rispettati e valorizzati per le loro differenze, indipendentemente dalla loro etnia, genere, orientamento sessuale, religione o abilità. Pertanto, è importante che le aziende e le organizzazioni promuovano la diversità e l’inclusione attraverso la loro cultura, le loro politiche e le loro pratiche. In questo modo, possono costruire un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso per tutti i loro dipendenti. (Testo 2) Una lettura attenta di (5) e (6) permette poi di osservare che il contenuto introdotto nel MT dal connettivo seriale inoltre non si aggancia direttamente al contenuto della UC aperta da in primo luogo, che veicola un’informazione generica («vorrei sottolineare l’importanza della diversità» / «della diversità e dell’inclusione»). In (6), il contenuto introdotto da inoltre verte sul concetto di inclusione, e si aggancia in modo diretto alla UC precedente, incentrata sul concetto di diversità. Assieme, queste due UC sviluppano i due referenti focali coordinati alla fine della prima UC («della diversità e dell’inclusione»). I due connettivi seriali - in primo luogo e inoltre - non si pongono dunque sullo stesso piano gerarchico all’interno dell’architettura del MT. 3.2.3 Blocchi testuali incoerenti La maggior parte dei blocchi di testo generati da ChatGPT (più del 70) è incoerente. I problemi che si riscontrano hanno origini diverse, come mostreremo di seguito osservando tre tipi di “patologie”. In una prima tipologia di testi che concepiamo come incoerenti, di cui (7) è un esempio rappresentativo, ChatGPT genera un Capoverso che coincide con la parte seriale di un MT: si tratta più precisamente di un blocco di testo di natura enumerativa, senza gerarchia interna e dunque piatto. Il problema dei casi come (7) è che il MT è carente della sua UC principale: quello che crea difficoltà non è tanto che essa sia sottointesa, ma che non si riesca a ricostruire facilmente. Per il resto, i blocchi di testo in questione hanno una chiara strutturazione interna, data dalla presenza - a inizio UC - di un connettivo seriale. Nel caso riportato in (7) troviamo 100 <?page no="101"?> Il Movimento Testuale seriale la sequenza ternaria in primo luogo - inoltre - infine. La scansione tripartita interna al MT si riconosce chiaramente anche dalla ripetizione del predicato dobbiamo essere grati per. 7. In primo luogo, dobbiamo essere grati per quello che abbiamo. Spesso ci concentriamo su ciò che non abbiamo o su ciò che vorremmo avere, dimenticando di apprezzare le benedizioni che abbiamo già ricevuto. Praticare la gratitudine può aiutarci a sviluppare un atteggiamento più positivo e a riconoscere le opportunità che ci vengono offerte. Inoltre, dobbiamo anche essere grati per le persone che ci stanno accanto, i nostri amici, la famiglia e i colleghi. Essi sono una fonte di supporto e di ispirazione per noi e dobbiamo mostrare loro la nostra gratitudine. Infine, dobbiamo essere grati per le opportunità che ci vengono offerte, sia piccole che grandi, e cercare di sfruttarle al massimo delle nostre possibilità. (Testo 14) La “patologia” testuale che si riscontra però più di frequente nei 50 Capoversi generati da ChatGPT è la ripetizione di uno stesso connettivo seriale in varie UC. Il problema, che si manifesta con diversi gradi di criticità, riguarda soprattutto il connettivo in primo luogo: il nostro corpus contiene testi con due (come in 8) o più di due (come nei testi successivi) occorrenze del connettivo. In alcuni casi, come in quello riportato in (8), il problema della ripetizione è innanzitutto di natura stilistica: se si sostituisce la seconda occorrenza di in primo luogo con un altro connettivo seriale, come per prima cosa, è possibile recuperare l’accettabilità del testo. 8. In primo luogo, vorrei esprimere il mio profondo rammarico per l’accaduto. So che le mie azioni hanno avuto gravi conseguenze e vorrei fare ammenda per ciò che ho fatto. In primo luogo, vorrei chiedere scusa a tutte le persone che sono state coinvolte direttamente o indirettamente in questa vicenda. So di aver ferito i vostri sentimenti e di aver causato sofferenza. Vorrei anche assicurare che questo è stato un grave errore e che non mi accadrà mai più. Lavorerò sodo per dimostrare il mio pentimento e per fare in modo che situazioni simili non si verifichino in futuro. Grazie per avermi dato l’opportunità di spiegare il mio punto di vista. (Testo 39) Più problematico il caso riportato in (9), dove il connettivo in primo luogo compare nell’incipit delle due prime UC e in altre due UC successive: 101 <?page no="102"?> Anna-Maria De Cesare 9. In primo luogo, vorrei sottolineare l’importanza di una buona comunicazione nella vita di ogni individuo. In primo luogo, è fondamentale saper esprimere chiaramente i propri pensieri e le proprie idee, sia a livello verbale che scritto. Inoltre, è altrettanto importante saper ascoltare attivamente gli altri e comprendere il loro punto di vista. In primo luogo, questo ci permette di evitare malintesi e di costruire relazioni positive con gli altri. Inoltre, la buona comunicazione ci aiuta a risolvere problemi e a prendere decisioni in modo efficace. Insomma, in primo luogo, la comunicazione è una skill fondamentale che dovremmo tutti sforzarci di sviluppare al massimo delle nostre possibilità. (Testo 46) Nel caso più estremo, ChatGPT genera un blocco di testo in cui ogni UC è aperta dal connettivo in primo luogo, come in (10), dove compaiono ben nove occorrenze del connettivo seriale: 10. In primo luogo, voglio sottolineare l’importanza di questo incontro. In primo luogo, dobbiamo discutere il budget per il prossimo anno. In primo luogo, bisogna considerare le esigenze dei nostri clienti. In primo luogo, dobbiamo assicurarci di avere un piano d’azione solido. In primo luogo, è necessario fare una valutazione accurata della situazione. In primo luogo, dobbiamo prendere in considerazione tutti i fattori coinvolti. In primo luogo, è importante stabilire degli obiettivi chiari. In primo luogo, dobbiamo lavorare insieme come team per raggiungere il successo. In primo luogo, dobbiamo fare uno sforzo per comprendere le necessità di tutti i membri dell’organizzazione. (Testo 20) Una terza tipologia di blocco incoerente, che si presenta in realtà solo due volte nel corpus e si configura dunque come marginale, è rappresentata dai casi in cui una stessa UC (nei casi in questione realizzata in chiusura di Capoverso) si apre con due connettivi seriali appartenenti a classi funzionali diverse (in base alla tipologia proposta nella Tabella 1, v. p. 94) e tra loro incompatibili. Il primo caso è nel testo riprodotto in (11), dove la penultima UC si apre con il connettivo infine, seguito da in primo luogo. Il problema è che il connettivo in primo luogo inaugura un nuovo movimento seriale verso destra, indicando che altri elementi seguiranno, 102 <?page no="103"?> Il Movimento Testuale seriale mentre infine chiude il movimento codificato nel cotesto precedente. 11 Il secondo caso presente nel corpus (cfr. l’ultima UC del testo riprodotto in 9) è del tutto simile: al connettivo di chiusura insomma segue in primo luogo. 11. In primo luogo, è importante considerare le nostre priorità e valori nella vita. Questo ci aiuterà a prendere decisioni importanti e a indirizzare il nostro cammino verso ciò che è veramente importante per noi. Inoltre, è fondamentale essere grati per ciò che abbiamo e non prendere nulla per scontato. In primo luogo, dobbiamo imparare ad apprezzare le piccole cose nella vita e a non dare nulla per scontato. Dobbiamo anche essere consapevoli del nostro impatto sugli altri e sull’ambiente, e fare del nostro meglio per essere responsabili e rispettosi. Infine, in primo luogo, dobbiamo sempre essere disposti ad imparare e crescere, sia personalmente che professionalmente. Solo attraverso la conoscenza e l’apprendimento possiamo diventare veramente il miglior versione di noi stessi. (Testo 49) 4 Conclusioni Nella prima parte di questo contributo abbiamo proposto una definizione di MT tratteggiando le sue caratteristiche prototipiche. Abbiamo poi messo in luce le proprietà distintive di un particolare tipo di MT, che realizza un insieme “seriale” e abbiamo proposto una classificazione dei connettivi seriali valida per l’italiano. Nella seconda parte del contributo abbiamo invece descritto l’esito di un esperimento volto a misurare il grado di naturalezza dei testi generati da ChatGPT, disponibile in modalità gratuita da ottobre 2022. Per il nostro esperimento abbiamo generato 50 testi a partire da una breve consegna, che fissava due coordinate: il numero di parole (il testo da generare doveva includere 100 parole) e la presenza di uno specifico connettivo seriale (in primo luogo). Siamo partite dal presupposto che ChatGPT avrebbe generato blocchi di testo coerenti, simili a MT seriali. 11 Non sarebbe invece problematica la successione dei connettivi infine, in terzo luogo alla fine di un insieme seriale composto da tre membri (In primo luogo. . . In secondo luogo. . . Infine, in terzo luogo). Ma sarebbe anche concepibile una sequenza testuale più complessa di (11), con il connettivo infine che apre un movimento conclusivo scandito in sotto-sequenze (infine, in primo luogo x; e in secondo luogo y). 103 <?page no="104"?> Anna-Maria De Cesare I nostri risultati mostrano che il modello di lingua genera blocchi testuali coerenti, funzionalmente equivalenti a MT seriali, in pochi casi. Nella maggioranza dei testi generati, ChatGPT produce Capoversi con diverse forme di incoerenze, in due casi su tre legate all’uso dei connettivi seriali. Nel nostro campione di 50 testi generati compaiono soprattutto testi con ripetizioni lessicali del connettivo in primo luogo, stilisticamente fastidiose, che ostacolano l’interpretazione del blocco, fino a impedirne la comprensione. Vi sono poi blocchi di testo che codificano simultaneamente, nell’ambito della stessa UC, un movimento di chiusura e di riapertura, dando esito a micro-strutture formate da sequenze tra loro funzionalmente incompatibili. Al fine di capire meglio i risultati - come già indicato, del tutto preliminari - presentati in questa sede, la nostra ricerca dovrà essere ampliata in almeno due direzioni: da una parte dovremo ampliare il nostro campione di testi generati, tenendo conto di prodotti testuali ottenuti a partire da consegne diverse (in parte più naturali) e valutando il tutto alla luce degli aggiornamenti regolari apportati al modello linguistico, che diventa sempre più performante; dall’altra, dovremo proporre un confronto più sistematico tra testi scritti generati da ChatGPT e testi scritti da esseri umani. Infatti, questo passo analitico è imprescindibile per giungere a una adeguata valutazione del grado di naturalezza dei testi generati da ChatGPT. Una domanda centrale, alla quale ci siamo per ora limitate ad accennare in questa sede, è questa: ci sono differenze tra i testi generati da ChatGPT e quelli scritti da esseri umani, nella fattispecie in merito alla forma dei MT seriali? Se sì, quali? Quali aspetti della testualità (ma non solo) risultano difficili da gestire per il modello linguistico? Per rispondere a queste domande abbiamo bisogno di una base empirica adeguata, che stiamo costruendo. La nostra indagine, anche nel suo piccolo, intanto ha mostrato che ci sono differenze di fondo. Nei testi scritti in italiano “naturale”, vale a dire da esseri umani, i connettivi seriali sono impiegati in modo molto più vario e articolato che nei testi generati in italiano “artificiale”. Nei testi del corpus CORIS, il connettivo in primo luogo - che funge da esempio paradigmatico - non si pone in modo fisso in apertura di UC; né, quando compare in posizione incipitaria, è seguito da una virgola (cfr. Figura 4). In aggiunta alle incoerenze testuali rilevate in questa sede, i testi prodotti da ChatGPT risultano dunque globalmente molto più fissi e ripetitivi. E per forza di cose anche più monotoni. 104 <?page no="105"?> Il Movimento Testuale seriale Riferimenti bibliografici Adam, Jean-Michel/ Revaz, Françoise (1989): «Aspects de la structuration du texte descriptif: les marqueurs d’énumération et de reformulation». In: Langue française 81, 59-98. ChatGPT = OpenAI: ChatGPT: Optimizing Language Models for Dialogue. - ⟨ https: / / openai.com/ blog/ chatgpt ⟩ ; ultimo accesso: 01/ 03/ 2023. CORIS = CORpus di Italiano Scritto. - ⟨ https: / / corpora.ficlit.unibo.it/ TCORIS ⟩ ; ultimo accesso: 01/ 03/ 2023. Corno, Dario (2012): Scrivere e comunicare. La scrittura in lingua italiana in teoria e in pratica. Milano: Mondadori. Cresti, Emanuela (2009): «La Stanza: un’unità di costruzione testuale del parlato». In: Ferrari, Angela (a c. di): Sintassi storica e sincronica dell’italiano. Subordinazione, coordinazione, giustapposizione. 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The first part presents the defining characteristics of Textual Movements based on relevant literature and demonstrates their modelling and graphical representation. It also outlines the properties of Textual Movements in forming serial sets, typically involving serial connectives, and proposes a first classification of these connectives in Italian. The second part examines the manifestation of Serial Textual Movements in “artificial” texts, providing a qualitative analysis of 50 text blocks generated by ChatGPT-3.5 in response to a zero-shot prompt involving the connective in primo luogo ‘in the first place’. In the conclusions, we assess the quality of the texts produced by an early version of the Large Language Model and suggest ways to extend the research initiated in this study. Biographical sketch: Anna-Maria De Cesare is Full Professor of French and Italian Linguistics at Technische Universität Dresden. Her main research areas are lexical semantics, syntax, contrastive synchronic linguistics, text linguistics and sociolinguistics (specifically, contemporary features of Italian and gender-inclusive language). She is currently developing a new line of research investigating the particularities of AI-generated texts. To this end, she has launched the new conference series AI-ROM-Automated texts in the ROMance Languages and Beyond and a new open-access academic journal called AI- Linguistica. Linguistic Studies on AI-generated Texts and Discourses. 107 <?page no="109"?> Matthias Heinz * Auf den Spuren der Lehnwortmigration: ein Observatorium für die Sprachkontaktdynamiken von lexikalischen Italianismen 1 Sprachkontakt und digitale Lexikographie: Italienisch als Kontaktsprache weltweit Die Forschung zu den sogenannten Italianismen („italianismi“) befasst sich mit Entlehnungen („prestiti“) aus dem Italienischen, die aufgrund eines kulturellen oder sprachlichen Kontakts sporadisch oder dauerhaft, direkt oder indirekt in den Gebrauch einer anderen Sprache übernommen werden. Die Begriffe prestito und italianismo seien hier kurz terminologisch eingeordnet: Semantisch gesehen sind sie weniger spezifisch als die Definition von dt. Lehnwort 1 und können als Ergebnis der Nachahmung eines anderssprachigen Musters in einer Sprachgemeinschaft bezeichnet werden (vgl. Gusmani 1986, Pinnavaia 2001; Fanfani 2011). So kann man mit Fanfani (2011) sagen: „[P]restito indica un qualsiasi fenomeno di interferenza dovuto al contatto e all’influsso reciproco di comunità che parlano lingue diverse“; it. prestito hat somit seine Entsprechung in Ausdrücken wie frz. emprunt, engl. borrowing, dt. Entlehnung u.a. Ein Italianismus wäre demnach * Paris Lodron Universität Salzburg. 1 Bussmann ( 4 2008: 396) fasst unter „L[ehnwort] im engeren Sinn [...] Entlehnungen einer Sprache A aus einer Sprache B, die sich in Lautung, Schriftbild und Flexion volltändig an die Sprache A angeglichen haben: dt. Fenster aus lat. fenestra“. Analoges gilt für engl. loanword, it. forestierismo. 109 <?page no="110"?> Matthias Heinz eine bestimmte Unterkategorie von lexikalischen Entlehnungsphänomenen, wie Stammerjohann (2010) festhält: „Un italianismo è un prestito dall’italiano [...] a un’altra lingua“. 2 Aus lexikalischer Sicht umfasst der Begriff eine Vielzahl von Entlehnungstypen, etwa Entlehnungen, Teilentlehnungen, die Übernahme morphologischer Elemente, formale Lehnprägungen (calques), Pseudoitalianismen und Hybridbildungen aus der Ausgangssowie der Zielsprache. Zur Veranschaulichung der Hauptkategorien seien hier einige wenige Beispiele aus der Datenbank des Osservatorio degli Italianismi nel Mondo (OIM; vgl. dazu unten, S. 112) genannt: I. Einzelwörter wie die Grußformel ciao (in mehreren Sprachen vorhanden, darunter Englisch, Deutsch, Französisch, Polnisch, Portugiesisch, Ungarisch); II. Mehrworteinheiten (engl. multiword expressions, it. polirematiche) wie dolce vita (Englisch, Deutsch, Französisch, Polnisch, Ungarisch); III. morphologische Elemente wie das Suffix -issimo, z.B. in Werbeslogans (vgl. Formen wie frz. affairissimo, dt. schickissimo, Vielfaltissimo); IV. Verben wie it. maneggiare (‘ein Pferd in der Manege führen’); der daraus resultierende englische Italianismus (to) manage wurde später in zahlreichen Sprachen aufgenommen und wieder in die italienische Sprache übernommen (d.h. als Lehnwort ein „Rückkehrer“, ein sog. cavallo di ritorno); V. sprichwörtliche Redewendungen, Motti u.ä. wie die von Galileo Galilei, Eppur si muove! (Französisch und Englisch, im Deutschen hingegen als calque: Und sie bewegt sich doch! ); VI. Pseudoentlehnungen mit italienischen Formen nachgebildeter Struktur wie dt. picobello; VII. Hybridformen in Lehnbildungen wie z.B. frz. franco de port, in denen Elemente der Gebersprache mit solchen der Empfängersprache kombiniert sind. Gebrauchsfrequenz, diasystematische Einordnung und soziolinguistisch bedingte Statuszuschreibung (Prestige) sind Faktoren, die das Schicksal eines Lehnworts beeinflussen und dessen mehr oder weniger ausgeprägte Vitalität im Sprachgebrauch anzeigen. Das „Gewicht“ („peso“) eines Italianismus im Diasystem seiner 2 Detailliert ausgeführt wird die Phänomenologie dieser sprachlichen Entlehnungen in Stammerjohann (2013). 110 <?page no="111"?> Auf den Spuren der Lehnwortmigration Empfängersprache kann also in verschiedener Hinsicht variieren, wie Luca Serianni in seiner Unterscheidung von vier Indikatoren für das Gewicht von Italianismen deutlich macht, nämlich deren Auftreten in Elementen des erweiterten, nicht fachsprachlichen Grundwortschatzes, im abstrakten Wortschatz, als Interjektionen und phraseologische Wendungen sowie Affixe und Schreibkonventionen: 1. la presenza del lessico che possiamo considerare se non “fondamentale” stricto sensu, almeno di uso largo e comunque non settoriale. [...] 2. la presenza del lessico astratto; 3. la presenza di modi interiettivi e fraseologici; 4. la presenza di elementi extralessicali: affissi e istituti grafici. (2017: 48; vgl. bereits 2008: 36) Auch die Art des Kontakts zwischen Italienisch und der jeweils anderen Sprache kann stark variieren. Die empfängersprachlichen Varietäten können dem Italienischen genealogisch nahe, wie bei Französisch, Katalanisch, Spanisch, Deutsch und Englisch der Fall, oder eher fern stehen (z.B. Mandarin, Japanisch), es kann sich um standardisierte oder dialektale Varietäten wie auch, gemessen am Sprachtyp Standard Average European wie bei den zuerst angeführten Einzelsprachen, um mehr oder weniger „exotische“ Sprachen handeln. Die potenziellen Kontaktrelationen zwischen Italienisch als Gebersprache und den Empfängersprachen können in vier grundlegende Konstellationen unterteilt werden: - geographische und typologisch-strukturelle Nähe: z.B. Französisch, Katalanisch, Spanisch, Portugiesisch, Deutsch, britisches Englisch (bereits in der OIM-Datenbank erfasst); - geographische Ferne, typologisch-strukturelle Nähe: außereuropäische Varietäten wie amerikanisches Englisch (Haller 1993, 2011), kanadisches Englisch und Französisch (vgl. Pierno 2017, Villata 2010, Reinke 2011, Brancaglion 2023), rioplatensisches Spanisch (Ariolfo/ Mariottini 2023); - geographische Nähe, typologisch-strukturelle Ferne: z.B. Ungarisch (Fábián 2023), Maltesisch (Brincat 2 2021); - geographische Ferne, typologisch-strukturelle Ferne: z.B. Mandarin (Bulfoni/ Feng 2023). An Einzelstudien über Lehnwörter, die sich aus dem Kontakt einzelner Idiome mit dem Italienischen ergeben, herrscht durchaus kein Mangel und bis zu einem gewissen Grad werden diese Formen auch von einsprachigen Wörterbüchern erfasst. 111 <?page no="112"?> Matthias Heinz Dagegen gibt es jedoch nur wenige systematische Studien, welche die aus dem Kontakt mit dem kulturellen Erbe des Italienischen resultierenden Entlehnungen in einer umfassenden Vergleichsperspektive untersuchen. Generell sind derartige kontrastive Untersuchungen bislang selten: Jüngste Beispiele für einen solchen systematischen mehrsprachigen Ansatz der Erfassung von lexikalischem Sprachkontakt sind das Printwörterbuch Dictionary of European Anglicisms (Görlach 2001), das die Ausbreitung des Englischen in 16 europäischen Sprachen erfasst, die von Stefan Engelberg und Peter Meyer koordinierte Datenbank Lehnwortportal Deutsch des Mannheimer Instituts für deutsche Sprache zu Lehnwörtern aus dem Deutschen in dessen historischen Kontaktsprachen, 3 ein Lehnwortprojekt für das Niederländische, Nederlandse woorden wereldwijd (Sijs 2010), und die digitale Version der Uitleenwoordenbank (Sijs 2015), sowie für den italoromanischen Sprachraum das Akademieprojekt des Osservatorio degli Italianismi nel Mondo (OIM). Das OIM ist an der Accademia della Crusca in Florenz angesiedelt, es wird seit 2014 von Luca Serianni (bis 2022) 4 und dem Verfasser geleitet und von Lucilla Pizzoli organisatorisch koordiniert (vgl. Pizzoli/ Heinz 2022a: 471, Fn. 3). In der Organisationsform eines internationalen Netzwerks mit derzeit 14 Forschungsgruppen (zu denen von Zeit zu Zeit neue hinzutreten) an zahlreichen Universitäten in Italien, Europa und darüber hinaus untersucht das Osservatorio die Auswirkungen des Sprachkontakts zwischen dem Italienischen und anderen Sprachen im Spiegel von historischen und aktuellen lexikalischen Entlehnungen und macht diese in der frei zugänglichen OIM-Datenbank recherchierbar. 5 Als Ausgangspunkte für das Osservatorio (vgl. Heinz 2017b) sind zwei Projekte anzuführen: einerseits der zunächst als Printwörterbuch erschienene Dizionario degli Italianismi in Francese, Inglese, Tedesco (DIFIT), konzipiert und erstellt von Harro Stammerjohann gemeinsam mit einer internationalen Forschergruppe mit Zuständigkeiten für die Lemmasektionen der drei im Titel genannten Einzelsprachen, andererseits das Publikationsvorhaben eines Censimento degli Italianismi unter der Leitung von Luca Serianni (vgl. Serianni 2017, Pizzoli 2017, 2019), das 3 Vgl. ⟨ http: / / lwp.ids-mannheim.de ⟩ . 4 Der unerwartete Tod Luca Seriannis im Juli 2022 war auch für das OIM-Projekt ein menschlich und wissenschaftlich einschneidender Verlust. Verschiedene Aspekte seiner bedeutenden Rolle bei der gemeinsamen Entwicklung des Forschungsvorhabens werden u.a. in Pizzoli/ Heinz (2022c) und Heinz (2023) gewürdigt. 5 Die informatischen Aspekte der OIM-Plattform werden von Marco Biffi und Giovanni Salucci koordiniert. 112 <?page no="113"?> Auf den Spuren der Lehnwortmigration ursprünglich als Sammlung allgemeiner Essays über die Verbreitung des Italienischen als Kontaktsprache und als Wörterbuch der Italianismen in ca. 80 Sprachen konzipiert war. Die gedruckte Italianismendokumentation des DIFIT für die Sprachen Französisch, Englisch und Deutsch wurde anschließend retrodigitalisiert, um den Lemmabestand in einer lexikographischen Datenbank verfügbar zu machen. Diese erste digitale Version wurde bereits 2013/ 14 auf dem Portal VIVIT 6 veröffentlicht und später auf die eigens eingerichtete Webseite Osservatorio degli Italianismi nel Mondo migriert. Das großangelegte Projekt des Censimento degli Italianismi wurde aufgrund geänderter Prioritäten des Verlagshauses UTET letztlich nicht veröffentlicht - abgesehen von einigen Italianismen-Sammlungen daraus, die für einzelne Sprachen publiziert wurden, z.B. der Dizionario degli italianismi in catalano von Gomez Gane 2012. Dadurch war die Fülle des gesammelten Materials zunächst weder für die Fachnoch für eine breitere Öffentlichkeit zugänglich. Als 2013/ 14 die elektronische Version des DIFIT online verfügbar wurde, gewann die Idee eines digitalen Osservatorio degli Italianismi nel Mondo an Dynamik (vgl. Heinz 2017a, 2017b). Der Kernbestand an Daten, die als Grundlage der neuen Plattform OIM dienen, stammt größtenteils aus dem DIFIT und aus überarbeiteten Italianismensammlungen für weitere Sprachen aus dem Censimento- Publikationsvorhaben. Die neue Benutzeroberfläche der Datenbank bietet über eine Suchmaske (vgl. Abbildung 1) verschiedenste Zugriffsmöglichkeiten und dient auf diese Weise als neuartiges Instrument für die Erforschung des lexikalischen Sprachkontakts. Als innovative Digital Humanities-Ressource will das Osservatorio im Netz neue Nutzungspotenziale erschließen und über gewisse Begrenzungen, die das Medium der papiergebundenen analogen Wörterbücher setzt, hinausgehen, etwa bei der Visualisierung von lexikalischen Daten. Die von den OIM-Arbeitsgruppen gesammelten Daten werden mit Wörterbüchern und Referenzkorpora der jeweiligen Sprache abgeglichen und in Abstimmung mit der Redaktion für die italienischen Ausgangslemmata, dem wissenschaftlichen Beirat und den IT-Verantwortlichen (im Zuge von fortlaufenden Arbeitstreffen in virtuellem und/ oder Präsenzformat) in die Plattform integriert. Einige Arbeitsgruppen sind außerhalb Europas tätig, etwa die Arbeitsgruppe OIM Nord- 6 Vgl. ⟨ https: / / www.viv-it.org ⟩ . Die Plattform VIVIT ist als Gemeinschaftsprojekt von Francesco Sabatini, Nicoletta Maraschio, Domenico De Martino und Marco Biffi entstanden (vgl. ⟨ https: / / ww w.viv-it.org/ schede/ crediti ⟩ ). Die elektronische Umsetzung des DIFIT ist das Ergebnis der Zusammenarbeit von Marco Biffi, Giovanni Salucci, Gesine Seymer und Maurizio Rago mit Harro Stammerjohann und Matthias Heinz und integraler Bestandteil der Webseite des OIM. 113 <?page no="114"?> Matthias Heinz Abbildung 1: Suchmaske der OIM-Datenbank am Beispiel von it. filigrana amerika (darunter die Sektion OIM Canada an der Universität von Toronto), die die (nord)amerikanischen Varietäten des Englischen, Französischen und Spanischen untersucht. Die (annähernde) Orientierung an einem Modell konzentrischer Kreise für die Auswahl der Kontaktsprachen machte es von 2016/ 17 an möglich, die drei in Europa zentralen Kultursprachen, deren italienische Prägung das DIFIT erfasst, durch Sammlungen von Italianismen im Spanischen, Portugiesischen, 7 Katalanischen, Polnischen und Ungarischen zu ergänzen. Dank der Vorarbeiten zum Censimento-Projekt konnten einerseits Sprachkontakträume, für die bereits Daten erhoben worden waren, ausgewählt und andererseits die Daten der ersten Digitalversion des DIFIT importiert werden, wobei die Datensätze schritt- 7 Beide iberoromanischen Sprachen zunächst in der europäischen Varietät, wobei auch Italianismen- Sammlungen für deren außereuropäische Varietäten in Vorbereitung sind (derzeit insbesondere zum argentinischen Spanisch und brasilianischen Portugiesisch). 114 <?page no="115"?> Auf den Spuren der Lehnwortmigration weise auf die Parameter der OIM-Datenbank hin vereinheitlicht wurden. Auf diese Weise liegen inzwischen nahezu vollständige Sammlungen für die o.g. Sprachen vor. Die laufende Erweiterung des Lehnwortbestands sieht in der zweiten Projektphase seit 2019 die Erfassung und Integration von Italianismen-Daten im Maltesischen, Neugriechischen, Mazedonischen, Slowakischen, Finnischen, Schwedischen, Chinesischen (Mandarin) und anderen Sprachen vor. Parallel dazu ist eine Überarbeitung und Datenerweiterung für Deutsch, Französisch und Englisch geplant, wobei auch außereuropäische Varietäten in Betracht gezogen werden (vgl. den Ausschnitt aus der Eingangsseite des OIM in Abbildung 2). 8 Für den bestmöglichen Fortschritt der Arbeiten ist es unerlässlich, dass die Gruppenmitglieder sich regelmäßig austauschen, um die philologische und lexikographische Methodik der Lehnwortlemmatisierung zu verfeinern und informatisch auf die Bedürfnisse von Usern der Webseite und Forschenden abzustimmen. Zweck dieser Treffen und Seminare, die in Florenz oder in einer der eingebundenen Partneruniversitäten und/ oder virtuell stattfinden, ist es, aktualisierte Zwischenergebnisse zu präsentieren und darüber hinaus neue Mitarbeitende für die Befüllung und Nutzung der Datenbank zu schulen. Insgesamt sind bislang über 12.600 Lemmata erfasst, davon sind bereits ca 1.500 Datensätze vollständig (d.h. ihr Bearbeitungsstatus im Dashboard der Datenbank ist als „completo“ markiert) und freigeschaltet; Lemmata mit dem Status „in lavorazione“ müssen noch einen letzten Prüfdurchgang durchlaufen. Insgesamt rund 8.900 Lemmata stammen aus dem Bestand des DIFIT, die Zahl der Einträge aus anderen Quellen nimmt jedoch stetig zu. Die Datensätze für die Neueinträge werden von der Redaktion für die italienischen „voci di partenza“ 9 betreut, die deren lexikalische Kontaktverläufe, also die Wege der „Wortmigration“, und semantischen Entwicklungen in einem mehrstufigen Arbeitsablauf überprüft, um sie danach in die Plattform einzuspeisen. 8 Solche Varietäten haben besondere Bedeutung im Fall des Französischen, Englischen, Spanischen und Portugiesischen - Sprachen, die in ihren überseeischen Sprachräumen intensiv durch den Kontakt mit italophonen (teils dialektophonen) Einwanderergemeinschaften geprägt wurden. 9 Gegenüber der in vorherigen Bearbeitungsstufen, so auch im DIFIT, verwendeten Terminologie, in der die italienischen Ausgangsformen als „Etyma“ („etimi“) bezeichnet werden, ist vorzugsweise von „Ausgangsformen“ („voci di partenza“) zu sprechen, um den Sprachkontaktverhältnissen bei der Lehnwortübernahme besser gerecht zu werden. 115 <?page no="116"?> Matthias Heinz Abbildung 2: Eingangsseite des OIM (Ausschnitt) 2 Verschlungene Pfade der „Wortmigration“: quarantena und andere Spezialfälle Neben Italianismen, die in vielen Sprachen eine sehr hohe Verbreitung aufweisen und deren italienische Herkunft von deren Sprechern meistens erkannt wird, etwa basta, ciao, mozzarella (belegt im Französischen, Englischen, Deutschen, Polnischen u.a.), gibt es Wörter mit einem vermuteten Bezug zum Italienischen bei jedoch weniger gut gesicherter Zuschreibung. Dazu gehört ein bereits vorher gängiger Ausdruck, dessen Gebrauch im Zuge der Covid-19-Pandemie sprunghaft anstieg: dt. Quarantäne und ähnliche Formen in verschiedenen Sprachen. Die Häu- 116 <?page no="117"?> Auf den Spuren der Lehnwortmigration fung von Belegen zu dt. Quarantäne ab 2020 ist durch korpusgestützte lexikographische Ressourcen wie das DWDS gut belegt und durch dessen Tool Wortverlaufskurve im Zeitverlauf visualisierbar (vgl. Abbildung 3). Abbildung 3: Anstieg Gebrauchsfrequenz von dt. Quarantäne (DWDS, Quarantäne, Tool Wortverlaufskurve, Basis: DWDS-Zeitungskorpus) Im Archivio von La Repubblica, 10 das hier als pressesprachliches Korpus fungieren kann, finden sich für den Zeitraum 1984-2020 1.967 Einträge zum Suchbegriff „quarantena“. Im Vergleich resultieren von 2020 bis Ende 2021 14.628 Einträge dazu, eine Steigerung von rund 750. Der Fachbegriff, durch die Pandemieereignisse in den Fokus gerückt, wird daraufhin von der neueren etymologischen Forschung wieder aufgegriffen: Tomasin (2020) und Parenti/ Tomasin (2021) schließen in ihren neuesten Studien den angeblichen venezianischen Ursprung der Begriffsverwendung im Zusammenhang mit Hygienevorschriften 11 aus, obwohl die Dokumentation vermuten lässt, dass dieser Begriff im XVI. Jh. im Norden Italiens geprägt wurde und sich im folgenden Jahrhundert verbreitet hat: Nell’accezione sanitaria che ci interessa, il termine quarantena si è diffuso - verosimilmente a partire dall’italiano, nel corso del secolo XVII - in tutte le 10 Vgl. ⟨ https: / / ricerca.repubblica.it/ repubblica/ archivio/ repubblica ⟩ . 11 In der kurzen lexikographischen Notiz (Tomasin 2020) und dem ausführlichen Aufsatz (Parenti/ Tomasin 2021) zeigen die Autoren anhand zahlreicher Beispiele, dass vielmehr der synonyme venezianische Begriff contumacia in der zweiten Hälfte des XVI. Jh. geläufig war (vgl. Parenti/ Tomasin 2021: 24f.). 117 <?page no="118"?> Matthias Heinz principali lingue europee, comprese quelle (come l’inglese, quarantine, o il tedesco, Quarantäne) nelle quali il legame con la parola che significa quaranta è ovviamente venuto meno. (Tomasin 2020: 67) Das erste Zeugnis dieser Bedeutung geht laut DELI (Lemma quaranta) auf das Jahr 1630 zurück, ist jedoch aufgrund der Erkenntnisse der Autoren um mehrere Jahrzehnte zurückzudatieren. Parenti und Tomasin fassen die verwickelten etymologischen Verhältnisse des Terminus zusammen: Abgeleitet vom kollektiven Zahlwort quarantena (das auf zeitgleich kursierenden lateinischen Formen beruht) wurde er seit dem Mittelalter zur Bezeichnung eines Zeitraums von vierzig Tagen verwendet (vgl. Parenti/ Tomasin 2021: 27, 32). 12 Erst später, nach erneuten Ausbrüchen der Pest in Europa im 16. Jh., v.a. ab den 1570er Jahren (vgl. Parenti/ Tomasin 2021: 28), entwickelt sich die Bedeutung ‘(Zeitraum der) Absonderung aus gesundheitlichen Gründen’, die höchstwahrscheinlich aus dem Norden Italiens stammt, d.h. la voce può ben essersi formata nell’Italia settentrionale, perché anche in quest’area, come in Francia, erano in uso voci affini che possono essere chiamate in causa come premessa: anzitutto, come base di partenza, il numerale collettivo quarantena ‘quarantina’ [...]. (Parenti/ Tomasin 2021: 33) Es verwundert nicht, dass der genaue Ursprung des Terminus quarantena ‘(Zeitraum der) Absonderung aus gesundheitlichen Gründen’ in vielen etymologischen Nachschlagewerken umstritten ist. Das Oxford English Dictionary gibt für engl. quarantine als wahrscheinliches Etymon it. quarantina (neben obsoletem quarentina) an, unter Verweis auf den regionalen Ursprung („Venice“) der Form quarentena: In sense 4 probably < Italian quarantina, †quarentina (1630 in this sense, originally in the regional (Venice) form quarentena; a1311 denoting a set of forty (with reference to units of time), 14th cent. denoting a period of forty days, originally specifically one set aside for penance [...]). 13 In Pfeifer u.a. (1993) wird im Eintrag Quarantäne der italienische Ursprung der im frühen 17. Jh. gängigen Formen dt. Quarantena, Quarantia (Mehrzahl Quarentennas, Quaranten) erwähnt, wobei diese italienisch vermittelten Varianten erst 12 Diese Zeitspanne bezieht sich offensichtlich auf die kanonische Zeit der Reinigung und des Fastens in der jüdisch-christlichen Kultur. 13 Oxford English Dictionary, quarantine (n.), März 2024, ⟨ https: / / doi.org/ 10.1093/ OED/ 4320106473 ⟩ (letzter Zugriff: 14.02.2024). 118 <?page no="119"?> Auf den Spuren der Lehnwortmigration im Laufe des 18. Jh. durch das phonisch-graphisch französisch anmutende Quarantaine (später Quarantäne) ersetzt worden sein sollen. Die schriftlichen Quellen, auf die sich die etymologische Rekonstruktion stützt, lassen diese angesichts der französisch geprägten Schreibvarianten recht plausibel erscheinen (vgl. etwa das zunächst belegte Graphem <ai>, das später als <ä> wiedergegeben wird). Geht man ausschließlich von der historisch-philologischen Perspektive auf Grundlage schriftlicher Belege aus, so wäre die Entlehnung dt. Quarantäne im Sprachkontaktwörterbuch als indirekter Italianismus einzustufen, der über die Mittlersprache Französisch weitergegeben wurde. Aufgrund ihrer Zielsetzung, lexikalische Italianismen zu dokumentieren und zu klassifizieren, wurde die OIM-Datenbank auf weitere Funktionalitäten hin konzipiert, die es erlauben, diasystematische Merkmale von Entlehnungen über die lexikalische und semantische Ebene hinaus zu erfassen. Sprachkontaktphänomene sind bekanntlich auf verschiedenen Ebenen des Sprachsystems zu beobachten, neben der lexikalischen und semantischen gilt dies besonders auch für die phonetisch-phonologische sowie die morphosyntaktische und pragmatische Ebene. Um ein möglichst vollständiges Bild der diachronen Dynamik eines Lemmas zu vermitteln, umfassen die mikrostrukturellen Informationen in der Datenbank die phonetische Transkription (ggf. mit Aussprachevarianten) und dazu Audiodateien, die die übliche (L2-)Aussprache in der Empfängersprache wiedergeben - in den allermeisten Fällen entfernt sich diese mehr oder weniger weit von den L1- Realisierungen der Ausgangswörter. Im deutschen Sprachraum finden v.a. zwei lautliche Realisierungsvarianten von Quarantäne Verwendung, von denen eine ein besonderes diatopisches Verbreitungsmuster aufweist. Während die Hauptvariante [ka ö an " t E: n @ ] (eine phonographematisch ungewöhnliche Korrespondenz für <qu>), die auf der französisch beeinflussten Aussprache der Anfangssilbe (frz. quarantaine [ka ö ˜ A" t E n]) beruht, in weiten Teilen Deutschlands verbreitet ist und in der Sprachgemeinschaft als Standardvariante wahrgenommen wird, existiert im süddeutschen Sprachraum, insbesondere im Bereich der bairischen Varietäten (sowohl in Deutschland als auch in Österreich), eine zweite Variante, die anstelle des stimmlosen velaren Okklusivs [k] im Anlaut eine Folge aus [k] und dem labiodentalen Frikativ [v] aufweist: 1. (a) standarddt. [ka ö an " t E: n @ ] (b) österr.-dt. [kva ö an " t E: n @ ] 119 <?page no="120"?> Matthias Heinz Eine räumliche Differenzierung der Aussprache von dt. Quarantäne, die teilweise auch in standardnahen bildungssprachlichen Realisierungen zu finden ist, 14 mit einer erhöhten Frequenz auch der zweiten Variante, insbesondere bei Sprechern über 30 Jahren, kann auch aus den neueren soziophonetischen Studien von Meier- Vieracker (2020) für die in Deutschland gesprochenen Varietäten und Soukup (2021) für das österreichische Sprachgebiet geschlossen werden. Im Duden Online- Wörterbuch werden unter Quarantäne 15 drei Aussprachevarianten angegeben, die Hauptvariante mit der Anlautsilbe [ka-] und zwei weitere, die als „seltener“ etikettiert werden. 16 Eine davon, [ka ö ˜ A" t E: n @ ], mit französisch anmutender Nasalierung des Vortonvokals, ist in den genannten Studien nicht belegt, die andere ist die süddeutsche Zweitvariante mit der Okklusiv-Frikativ-Sequenz [kv]. Frühere Versionen des Eintrags im Duden Online-Wörterbuch enthielten bei den Angaben zu den Aussprachevarianten zunächst keinen Hinweis auf eine genauere diatopische Markierung, doch sind die Angaben in der neuesten Version aktualisiert, dort heißt es zur [kv]-Anlautvariante: „landschaftlich, österreichisch auch, sonst selten: [kv...]“. Für das letztgenannte Sprachgebiet, das gegenüber dem nördlichen und westlichen deutschen Sprachraum eine ausgeprägte Kontaktzone zur Italoromania darstellt, 17 lässt sich somit folgern, dass der Unterschied in der Aussprache kein sekundärer, etwa durch die Schreibung induzierter Effekt ist, sondern das Ergebnis verschiedender Ausgangsformen (vgl. 2a, 2b): 14 Anekdotisch kann hier das metasprachliche Urteil eines anonymen Lesers in den Online- Kommentaren zu einem Artikel der österreichischen Qualitätszeitung Der Standard angeführt werden, welcher österreichisch-bundesdeutsche (und sonstige) Aussprachevarianten zum Gegenstand hat (Herger 2023). Der Leser mit dem Pseudonym „Irrenhausleiter“ äußert sich genervt über die Aussprache [ka ö an " t E: n @ ] („Seit Corona faseln alle von ‚Karantäne‘ anstatt Quarantäne“), die aus österreichischer Sicht „falsch“ ist; nach Meinung des Lesers sei diese Aussprachetendenz in der Zeit der Corona-Pandemie aufgekommen („seit Corona“). 15 Vgl. ⟨ https: / / www.duden.de/ rechtschreibung/ Quarantaene ⟩ (letzter Zugriff: 14.02.2024). 16 Denkbar wären ferner individuell oder regional variierende Realisierungen des betonten Vokals (halboffen oder halbgeschlossen, [ E , e]), die keine Erwähnung finden. 17 Vgl. z.B. die Gemüsebezeichnung Melanzani (< it. melanzane) in den bairischen Varietäten (v.a. in Österreich), die in den anderen Varietäten (einschließlich der Hochsprache) Aubergine (< frz. aubergine) lautet (vgl. die entsprechenden Einträge im DWDS, ⟨ https: / / www.dwds.de/ wb/ Melanzani ⟩ bzw. ⟨ https: / / www.dwds.de/ wb/ Aubergine ⟩ ; letzter Zugriff: 14.02.2024). 120 <?page no="121"?> Auf den Spuren der Lehnwortmigration 2. (a) standarddt. [ka ö an " t E: n @ ] < frz. quarantaine (ersetzt die Vorläuferform it. quarantena) (b) österr.-dt.: [kva ö an " t E: n @ ] < it. quarantena (möglicherweise später beeinflusst von frz. quarantaine) Im Licht der wortgeschichtlichen Ergebnisse von Parenti/ Tomasin (2021) und des Befundes zu den mündlichen Realisierungsvarianten, die in der Lexikographie des Deutschen bisher nur partiell erfasst sind, ist die etymologische Rekonstruktion von dt. Quarantäne nun zu präzisieren. Es ist in diesem Zusammenhang von Interesse, dass im Duden Online-Wörterbuch nicht nur im Wörterbucheintrag Quarantäne inzwischen leicht aktualisierte Hinweise zur Aussprache vorliegen. Zusätzlich erhält man mit dem gleichen Suchbegriff auf der Hauptseite des Duden-Portals in der Rubrik (Menüreiter) „Sprachwissen“ eine zusammenfassende Erklärung zur Wortgeschichte und Aussprache („Herkunft und Aussprache von ‚Quarantäne‘“), 18 mit überwiegend akkuraten Kommentierungen des Wörterbucheintrags (vermutlich auf der Basis von etymologischen Nachschlagewerken wie Pfeifer u.a. 1993, vgl. oben, S. 118), allerdings mit einer nur ungefähren Angabe zur Datierung und ohne jegliche Quellenverweise. Der italienische Einfluss (it. quarantena, quarantina „schon Anfang des 17. Jh. vereinzelt in deutschen Reiseberichten erwähnt“), welcher dem französischen vorausgeht, wird hier benannt, und im folgenden Absatz werden (ohne einen Zusammenhang herzustellen) die im Wörterbucheintrag angegebenen drei lautlichen Varianten im Gegenwartsdeutschen knapp kommentiert: [ka-] mit Verweis auf die französische Herkunft; [kva-] wird auf die Orientierung an der Schreibung <qu> zurückgeführt, diese sei „vor allem in Österreich vorherrschen[d]“; jene mit Nasalvokal, [ka ö ˜ A" t E: n @ ], wird als „unüblich“ eingestuft. 19 Der Beitrag innovativer Forschungsinstrumente und aktueller Studien zur Erforschung des Wortschatzes (einer oder mehrerer Sprachen) ist evident in diesem Spezialfall, einem Terminus, der durch die Zeitläufte, bedingt durch das Pandemiegeschehen, vorübergehend eine herausgehobene Rolle im (auch internationalen) 18 Vgl. ⟨ https: / / www.duden.de/ sprachwissen/ sprachratgeber/ Herkunft-und-Aussprache-von-Quarant C3A4ne ⟩ (letzter Zugriff: 14.02.2024). 19 Auf der Webseite werden bedauerlicherweise keinerlei Quellen genannt, es mögen aber jüngere Untersuchungen wie Meier-Vieracker (2020), Soukup (2021) und womöglich Parenti/ Tomasin (2021) und Pizzoli/ Heinz (2022b) in die klärende und aktualisierende Kurzdarstellung zu dem vielzitierten Wort eingeflossen sein. 121 <?page no="122"?> Matthias Heinz Sprachgebrauch erhielt. Doch es sind einige weitere, ganz anders gelagerte Fälle aufzuzählen, genannt seien hier zwei Typen wortsemantischer Fortentwicklungen: it. gabbione und saletta. Im Deutschen haben beide (gabbione z.B. auch im Englischen, Spanischen und anderen Sprachen, s.u.) Spezialbedeutungen herausgebildet, die relativ fern von ihrer Verwendungsweise im Gegenwartsitalienischen sind (vgl. Pizzoli/ Heinz 2022b: 411-413, Heinz 2024). Gabbione bedeutet als Terminus in Bauwesen und Architektur „elemento di difesa idraulica collocato a riparo di argini, ponti, scarpate fluviali e sim., costituito da un contenitore di rete metallica riempito di ciottoli e pietre“ (GRADIT, gabbione 3) bzw., als Terminus im Militärwesen, „elemento di fortificazione, costituito da un grosso cesto di vimini riempito di terra e sassi, usato per la costruzione di trincee e parapetti“ (GRADIT, gabbione 4). Es handelt sich um fachspezifische Bedeutungen, die sich im 16. Jh. ausprägten. Im vorherrschenden Gebrauch des jüngeren Italienisch (zumindest in pressesprachlichen Registern) steht das Wort für „gabbia in cui prendono posto gli imputati durante alcuni processi in tribunale“ (GRADIT, gabbione 2), d.h. es ist eine Augmentativform zu gabbia ‘Käfig’ mit einem rechtssprachlich-journalistischen Kontext (insbesondere findet es sich in Beschreibungen mit einer gewissen „Zurschaustellung“ von Angeklagten großer Mafia-Prozesse). Bei dem Italianismus (z.B. des Deutschen) im Sinne eines Konstruktionsund/ oder Befestigungselements hat sich die Bedeutung in jüngster Zeit spezialisiert zu ‘eine Art Drahtkorb, der gefüllt mit Steinen, Baumaterial etc. als tragende Struktur z.B. für Gartenmauern fungiert’, vgl. die deutschen Formen Gabione, Gabionenmauer u.ä. (hierzu Pizzoli/ Heinz 2022b: 411f.). Analoge Formen gibt es in mehreren Sprachen, z.B. frz. gabion, engl. gabion, span. gavión, ptg. gabi-o, ung. gabion, deren Okkurrenzen sich in gegenwartssprachlichen Korpora v.a. in Texten mit thematischem Bezug zum Gartenbau finden (vgl. Pizzoli/ Heinz 2022b: 412). Ein weiterer Fall ist der deutsche Regionalismus Salettl (auch Salettel), aus it. saletta ‘piccola sala’, ein kleines (Neben-)Lokal oder ein kleiner Saal in der Gastronomie (Vocabolario Treccani, saletta: „sala riservata, al piano inferiore o superiore, di caffè, ristoranti o locali pubblici“ 20 ), der die Bedeutung ‘Außengastronomie/ -ausschank, Bewirtungsbereich im Freien, Außengastronomie, Kiosk (in Biergärten u.ä.)’ hat. Dieser Italianismus ist in seiner Verbreitung diatopisch auf den südost- 20 Vgl. ⟨ https: / / www.treccani.it/ vocabolario/ saletta ⟩ (letzter Zugriff: 14.02.2024). 122 <?page no="123"?> Auf den Spuren der Lehnwortmigration deutschen, d.h. bairischen Dialektraum begrenzt (vgl. Heinz 2024). Der Gebrauch des Diminutivsuffixes -(e)l reflektiert hier getreu die interne Wortstruktur der italienischen Ausgangsform saletta. 3 Digitale Lexikographie und Wortmigration: Perspektiven der Forschung Für künftige Untersuchungen über die im OIM deponierten Lehnwortdaten ist es von Interesse, die einzelnen diatopischen und weiteren diasystematischen Faktoren auszuwerten und zu gewichten, um feinen, aber bedeutsamen Unterschieden im Wortgebrauch, in der Lehnwortaussprache usw. auf den Grund gehen zu können. Für lehnwortphonologische Fragestellungen geeignete Sprachkorpora mit detaillierten soziophonetischen Annotationen sind bislang rar, für die einzelnen Lemmata kann die Datensammlung des OIM diese Lücke zumindest teilweise füllen. Die OIM-Datenbank, die neben klassischen lexikographischen Quellen ihr Belegmaterial auch aus allgemeinen Sachquellen (Reiseführer u.ä.) und Korpora schöpft, will die semantischen und formalen Prozesse der Lehnwortintegration in den Empfängersprachen erforschen, um lexikalische Migrationspfade nachzeichnen zu können. „Pfade“ ist hier einerseits sinnbildlich gemeint, insoweit die Integration in das Sprachsystem nachvollzogen wird, andererseits wörtlich, insoweit in künftigen Versionen der Nutzerschnittstelle des OIM (mit Eingabemaske und Ergebnisdarstellung für allgemeine User) die geographisch-kulturellen (Kontakt-) Dynamiken der Italianismen visualisiert werden können. Die dafür notwendigen Daten (diatopische Zuordnung) werden bereits im Zuge der Lemmatisierung erfasst. Daher dokumentiert das OIM neben der Beschreibung der lexikalischen, semantischen und grammatikalischen Eigenschaften eines Lemmas, die man naturgemäß von einem Wörterbuch erwartet, weitere Beschreibungsebenen wie die schon genannte lautliche Dimension mit möglichen Varianten sowie varietätenlinguistische Parameter. Im Gegensatz zu traditionellen Wörterbüchern, die als Repertorien eines bestimmten Ausschnitts des Lexikons einer Sprache (oder mehrerer Sprachen) statisch bleiben, ist die OIM-Datenbank als digitales lexikographisches Forschungs- 123 <?page no="124"?> Matthias Heinz instrument in zweierlei Hinsicht dynamisch: Sie bleibt a) dauerhaft offen für Modifikationen, Verbesserungen und das Hinzufügen neuen Materials und liefert b) innerhalb der Mikrostruktur der Einträge eine differenzierte, mehrdimensionale Beschreibung. Sie verortet die Ausgangsformen und die daraus resultierenden Italianismen in den Beschreibungsebenen der Geber- und Empfängersprache (Lexik, Semantik, Grammatik, Phonetik/ Phonologie) sowie in den diasystematischen Dimensionen von Sprachgebrauch und Variation (Pragmatik, Diatopik, Diastratik, Diaphasik). Komplementär zur bestehenden lexikographischen Dokumentation von Lehnwörtern, die in der Regel uni- oder bidirektional ist (selten multidirektional und damit auf mehrere Zielsprachen ausgerichtet), verfolgt das OIM also ein zweifaches Ziel: Einerseits will das Osservatorio Lehnwörter aus dem Italienischen in dessen beständig wachsender Zahl von - europäischen (etwa Schwedisch, Neugriechisch, Maltesisch) und außereuropäischen - Kontaktsprachen erfassen und dabei nach und nach weiter entfernte Idiome (aktuell Mandarin, Japanisch u.a.) auf ihren Italianismen-Bestand sichten. Andererseits zielt das Projekt darauf ab, die bereits gesammelten Materialien (insbesondere vollständige oder nahezu vollständige Inventare wie die für Deutsch, Englisch, Französisch, Katalanisch, Spanisch, Portugiesisch, Polnisch, Ungarisch vorhandenen) zu vertiefen und zu ergänzen. So sollen insbesondere die Verhältnisse in pluriareal präsenten Makrovarietäten - wiederum im europäischen wie außereuropäischen Raum - dokumentiert werden. Gerade in den weltweit anzutreffenden Varietäten z.B. des Englischen, Spanischen, Französischen oder Portugiesischen übersteigen quantitatives Vorkommen und fortdauernder Gebrauch von Italianismen mitunter den Bestand in den europäischen Varietäten bei weitem, wie es die migrationsbedingt intensive Präsenz italienischer Elemente z.B. im Englischen Kanadas und der USA oder im Spanischen der La Plata-Region zeigt. 124 <?page no="125"?> Auf den Spuren der Lehnwortmigration Bibliographie Ariolfo, Rosana/ Mariottini, Laura (2023): „OIM e italianismi nello spagnolo argentino: prime osservazioni e riflessioni teorico-metodologiche“. In: Italiano LinguaDue 15/ 1, 524-534 - ⟨ https: / / doi.org/ 10.54103/ 2037-3597/ 20414 ⟩ ; letzter Zugriff: 27.02.2024. Brancaglion, Cristina (2023): „I diatopismi francofoni nella base OIM: note sulla revisione delle marcature geografiche per il lemmario francese“. 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A new type of the latter can be found in digitized parallel inventories taking the form of a lexicographical database such as the Osservatorio degli Italianismi nel Mondo (OIM), an observatory on italianisms in the world’s languages. The paper addresses extant loanword phenomena and aspects of the methodology and structure of the database as well as some case studies exemplifying lexical transfer from Italian to other languages, e.g. German. Biographical sketch: Matthias Heinz is Professor of Romance Linguistics at Salzburg University. His research encompasses phonological and lexical typology, discourseand sociolinguistics of the Romance languages, with publications on the prosodic profiling of text genres, phonological typology of (especially Ibero-)Romance languages, discourse phenomena in spoken Italian and French, digital lexicography and language contact. Having been trained in Heidelberg, Pavia, Lyon, Chemnitz and Tübingen, he was appointed full professor in Salzburg in 2013 and has since been visiting professor to Florence and Toronto. He is the director, with Luca Serianni (until 2022) and Lucilla Pizzoli, of the Accademia della Crusca’s strategic project Osservatorio degli Italianismi nel Mondo (OIM, ⟨ www.italianismi.org ⟩ ). 129 <?page no="131"?> Nicola De Blasi * Parole in viaggio con il padre Cappuccino Girolamo Merolla da Sorrento (1692): il caso di somacca e zumbi Je näher man ein Wort ansieht, desto ferner sieht es zurück. (Karl Kraus) ** La circolazione del lessico dalla lingua d’origine ad altre lingue, negli ultimi due secoli, si collega il più delle volte alla funzione dei mezzi di comunicazione, dai giornali a internet, potenti veicoli di diffusione delle notizie e delle idee. Con notizie e idee, infatti, «in una realtà globalizzata e fittamente interconnessa» (Fanfani 2011), circolano da una parte all’altra del mondo anche le parole nuove, che in passato si trasmettevano con un percorso «prevalentemente di carattere intimo, come avveniva in particolare quando gruppi parlanti lingue diverse, in seguito a migrazioni o conquiste, si trovavano a convivere nel medesimo territorio» (Fanfani 2011). Vale a dire che le novità lessicali, prima che da una lingua all’altra, passavano direttamente da persone ad altre persone, in una esperienza comunicativa di tipo personale in cui con la pratica di oggetti o nozioni si acquisivano contestualmente anche le relative parole. Ciò significa che un tempo il viaggio di una parola da una lingua all’altra implicava concreti spostamenti di persone da un luogo all’altro che erano all’origine di un contatto tra parlanti di lingue diverse, laddove attualmente anche la diffusione dei prestiti, come accade per qualsiasi messaggio, può realizzarsi come trasmissione mediatica senza contatto diretto tra le persone. * Università degli Studi di Napoli Federico II. ** «Quanto più da vicino si osserva una parola, tanto più lontano essa rimanda lo sguardo.» 131 <?page no="132"?> Nicola De Blasi D’altra parte, non sempre in passato una parola straniera appresa da pochi parlanti entrava nella nuova lingua in modo definitivo. Non bastava a questo riguardo neanche una attestazione scritta connessa al primo contatto iniziale. A tale eventualità si riferiva già Migliorini (1961: 62): «Può alle volte accadere che il primo esempio non sia che un’apparizione momentanea, sporadica, e soltanto in un periodo più tardo la parola entri largamente nell’uso». Ad alcuni primi contatti rimasti a lungo senza seguito si riferiscono appunto i due casi (tra i diversi possibili) qui considerati, che, pur non avendo suscitato subito conseguenze lessicali durature nell’italiano parlato, danno testimonianza di un contatto rilevante in una prima fase di conoscenza reciproca tra i Paesi dell’Africa subsahariana e i Paesi europei. Il missionario Girolamo Merolla da Sorrento, predicatore dell’ordine dei Cappuccini, il 5 maggio del 1682 si imbarca a Napoli con il programma di raggiungere il Congo, dopo aver aderito alla richiesta di padre Francesco da Montelione, predicatore Cappuccino della Provincia di Sardegna. In Congo padre Girolamo arriva esattamente un anno dopo e vi si trattiene diversi anni, rientrando poi a Napoli nel 1692. Con lui tornano idealmente in Italia anche una serie di parole relative alle circostanze e alle consuetudini osservate durante il viaggio e trasferite in una relazione storica pubblicata da Piccardo (1692). 1 Per meglio considerare questo lungo trasferimento è il caso di seguire la rotta seguita dal missionario, che parte dal Molo piccolo del porto di Napoli il 5 maggio 1682, a bordo di una feluca, come si narra nella prima parte dell’opera, sotto il titolo di Partenza dell’Autore da Napoli per Corsica, e Sardegna, e d’indi per Lisbona, con ciò, che gli avvenne, e vidde: Scorreano i cinque di maggio dell’anno 1682, sotto il Pontificato della santa, e felice memoria d’Innocenzo XI, quando partiti da Napoli per Corsica, e Sardegna con filuca del Molo piccolo, così detto, giongemmo alla città della Bastia, capitale di quell’isola il giorno della Pentecoste [...]. (Piccardo 1692: 7s.) Dopo dodici giorni, l’imbarcazione giunge a Bastia il giorno di Pentecoste, cioè il 17 maggio 1682. Da Bastia i due Cappuccini, a bordo di una barca con tre marinai genovesi, a causa di condizioni avverse, non riescono a raggiungere subito Alghero: 1 Cfr. Filesi/ De Villapadierna (1978: 115, 153ss.) e Gray (1984). 132 <?page no="133"?> Parole in viaggio Montati su la barca, e costeggiando l’isola, passando per un capo di quella col vento a prora, saressimo entrati felicemente ad orza 2 nel destinato porto d’Alghero. Procurò più volte il padrone di bordeggiare, e per quanto si affatigasse, non fu già mai possibile. (Piccardo 1692: 8) Il mancato ingresso in porto costituisce tuttavia una circostanza favorevole, poiché, grazie a questo imprevisto, la barca evita anche il possibile assalto da parte di una caravella turca in agguato nei pressi di un promontorio. Dopo essere giunto ad Alghero il giorno dopo, il padre Merolla vi soggiorna circa un mese, mentre l’altro Cappuccino cerca di radunare in Sardegna altri confratelli disposti alla partenza: Ritornato il nostro compagno, menò seco un sol Padre, che fu il P. Francesco da Bitti Predicatore, non havendo potuto venire gli altri per alcuni impedimenti; e ritrovato già spalmato 3 un vascello provenzale, c’imbarcammo su quello, veleggiando per la volta di Provenza. (Piccardo 1692: 12) Dalla Provenza il viaggio prosegue verso Villafranca, località nei pressi di Nizza. Qui sopraggiungono altri tre compagni di viaggio, il prefetto dei Cappuccini, Giovanni Romano, proveniente da Genova, un padre Amedeo da Vienna e un laico piemontese: In questo mentre venne da Genova il nostro prefetto P. Giovanni da Romano, molto ben noto a quei portoghesi medesimi, e seco congionto il P. Amadeo da Vienna con un laico piemontese, così tutti sei dimorammo per lo spatio di tre mesi in quel nostro convento, ove ogni settimana quei Signori ci mandavano un sussidio caritativo di due castroni, con un barile di vino, e pane a sufficienza per sostegno di noi Missionarij, oltre alle altre non poche limosine, che al Monastero inviavano. (Piccardo 1692: 12s.) Da Villafranca, dopo altri due mesi di navigazione, i sei viaggiatori giungono a Lisbona: Non prima dunque delli quattro ottobre, giornata festiva del nostro Glorioso Patriarca S. Francesco, si diedero le vele al vento, soffiando una buona, e felice tramontana [...]. Nel dì due novembre commemoratione di tutt’i fedeli defonti entrammo nel porto di Lisbona verso il tramontar del sole. (Piccardo 1692: 13s.) 2 Andare all’orza significa ‘andare con la prua contro il vento’. 3 Adeguatamente ricoperto di pece o di grasso per rendere più agevole la navigazione. 133 <?page no="134"?> Nicola De Blasi Lo scalo e la sosta a Lisbona confermano che per questa lunga navigazione il padre Merolla e i suoi compagni si affidano a navigatori portoghesi. Proprio da questa circostanza dipende certamente anche la rotta successiva, con uno scalo in Brasile. La cosa oggi appare di certo sorprendente e in quanto tale va segnalata, anche per sottolineare come i lunghi viaggi del passato si svolgessero con esigenze molto diverse da quelle odierne. Tale rotta è tuttavia meno sorprendente se si pensa che i portoghesi, in contatto assiduo con il Congo dal secolo XV, ne assumono anche un diretto controllo nella seconda metà del secolo XVII. Perciò era inevitabile che intorno al 1680 chi aveva intenzione di raggiungere il Congo dovesse rivolgersi ai portoghesi, per i quali evidentemente i tragitti tra l’Europa e l’Africa avvenivano appunto attraverso il Brasile. 4 La partenza da Lisbona verso il Brasile è organizzata in tempi relativamente rapidi. Un primo tentativo di imbarcarsi va a vuoto perché il Cappuccino deve obbedire all’ordine del suo Superiore di viaggiare sulle navi solo in qualità di Cappellano e non come semplice passeggero: Trascorso qui non più, che un sol mese di trattenimento, m’andavo già procurando l’imbarco per effettuar’il mio viaggio. Parlai ad un capitano di nave, se volesse compiacersi di trasportarmi in Brasile per suo cappellano; rispose volentieri di farlo, non però con titolo di tal’ufficio, havendo il suo stipendiato; a cui soggionsi, che li rendevo le dovute gratie, atteso il mio P. Superiore ordinavami, che andassi per cappellano, e non altrimente, e con ciò li domandai licenza. (Piccardo 1692: 18) Poco dopo, con padre Amedeo da Vienna e con Francesco da Bitti, padre Merolla viene accolto su un’altra nave salpata una prima volta senza Cappellano a bordo e rientrata improvvisamente a causa di una tempesta. Il capitano di questa nave accoglie i Cappuccini dopo aver deciso che mai più avrebbe preso il mare senza avere a bordo un Cappellano. Il 17 gennaio 1683, otto mesi e mezzo dopo la partenza da Napoli, il padre Merolla sbarca a Bahia: 4 «Da parte nostra ci limitiamo a rilevare la singolarità che tutti coloro che fra il XVI e il XIX secolo si recavano al Congo od all’Angòla, partendo dal Mediterraneo o da Lisbona, con navi a vela, sentivano la necessità sia all’andata che al ritorno di toccare i porti brasiliani, quasi che il territorio dell’Angòla fosse una dipendenza del Brasile» (Anonimo 1949). Oltre a quella del padre Merolla, questa recensione non firmata ricorda anche le relazioni «di p. Cavazzi da Montecuccolo, di p. Francesco da Roma, di p. Brugiotti da Vetralla, di p. Antonio da Gaeta e poi dei pp. Michele de Guattini e Dionigi de Carli entrambi emiliani [...], i quali, tutti nella seconda metà del 1600, fornirono importanti notizie sul clima, sulle sei diverse stagioni locali, sulla flora, sulla fauna e sugli alimenti, sulle religioni, sulle armi, sulla lingua e sui costumi degli indigeni.» 134 <?page no="135"?> Parole in viaggio A’ 17 gennaio si sbarcò nella Baìja, o città di S. Salvatore situata 13 gradi di là dalla linea equinozziale. È il suo porto di molta fama, e per vastità, e per sicurtà; imperò che nell’entrare vi si scorgono due punte di monti, delle quali l’una s’intrapone coll’altra, mediante bensì la distanza del mare, che nel mezo d’ambedue resiede per l’entrata, ed uscita. (Piccardo 1692: 26) Per la partenza dal Brasile si profila dapprima la possibilità di salpare dopo ben quattro mesi, ma poi si concretizza il passaggio su una somacca, imbarcazione descritta come simile a un brigantino o a una fregata: Mentre durò la nostra dimora nella Baìja, tutto il nostro intento, et ogni nostra cura impiegavasi a ritrovar imbarco. Non eravamo più che tre, e ritrovammo un petacchio 5 , che fra quattro mesi havea da spiegar le vele per la volta di Congo. Un trattenimento sì grande non si accordò con la nostra soverchia brama di partire. Alla fine capitò una somacca, legno simile ad un bergantino, o fragata, il di cui capitano, mediante la nostra promessa, promise portarci ad Angòla. (Piccardo 1692: 45s.) La navigazione dal Brasile alla costa dell’Africa dura due mesi e mezzo: Settanta sette giorni viaggiammo nella somacca senza scoprir mai terra, e quel che rendevaci più molestia, era il non potersi né meno dire da noi: altro non vediamo, che cielo, & acqua: poiché eravamo costretti a trattenerci chiusi sotto coverta in cinque palmi d’altezza, per scampare le sdegnose percosse dell’acque, a diluvio scaricate dal cielo, e per sfuggire gli assalti de’ cavalloni del mare, massimamente vicino al Capo di Buona Speranza; ove per la vehemenza dell’onde infuriate, apertasi parte della prora, ci scorgemmo già perduti, e già vedemmo avanti gli occhi nostri la morte; ma per gratia di quel Dio, che in un punto mortificat, et vivificat, con la diligenza de’ marinari, che subito accorsero ad accomodarla, passò quel periglio [...]. (Piccardo 1692: 48) Ai danni provocati da una tempesta si aggiunge un incontro notturno con una balena che avrebbe potuto anche provocare il naufragio se avesse colpito in pieno la somacca: Verso le cinque hore della notte si abbatté a passare con furioso guizzo una balena per mezo del capo, e lo ruppe; ma questo sarebbe stato niente, se non 5 Il petacchio è una «[n]ave di piccole dimensioni; petaccio» (GDLI: XIII, 194, s.v.). A sua volta il petaccio è definito come «[p]iccolo veliero da guerra di circa 150 tonnellate, con due alberi a velatura quadra, armato con dieci-venti cannoncini, adibito a compiti di scorta, collegamento e ricognizione» (GDLI: XIII, 194, s.v.). 135 <?page no="136"?> Nicola De Blasi havesse cagionata al nostro legno una scossa così fiera, che estinti i lumi della bussola, e restato il timone privo di guida, fummo in evidente periglio d’annegarci. Gratie alla Divina pietà, per cui restammo salvi. Ma se la nuotante belva urtava nel mezo della somacca, si sarebbero all’hora terminati, et i viaggi, et i nostri giorni, e saressimo stati molto differenti da Giona, che mediante la balena fu, per Divina providenza, liberato dall’affogarsi nell’acque; ma noi per la balena, se Iddio non ci aiutava, non haveriamo scampato d’esser miseramente sommersi, et affogati nell’onde. (Piccardo 1692: 49s.) Una nota lessicale è a questo punto necessaria proprio a proposito della somacca. 6 A prima vista è evidente che si tratta di una variante di semacca, forma proveniente dal francese semaque, da cui anche semacco (GDLI: XVIII, 541, s.v.). La variante fonetica è molto interessante, però indizio di un diverso percorso. Somacca, infatti, più che dal francese semaque, è verosimile adattamento (o piuttosto trascrizione) della parola portoghese zumaca ascoltata e appresa dal padre Merolla proprio nel porto di Bahia. Il caso è quindi esemplare perché, attraverso una testimonianza puntuale, dimostra come di norma, attraverso la comunicazione parlata, una voce esotica sia percepita occasionalmente da un parlante italiano, in circostanze che il più delle volte non trovano poi una corrispondenza nella scrittura. Vale a dire che forse altri italiani (per esempio, almeno altri missionari Cappuccini prima e dopo padre Merolla) hanno ascoltato la parola zumacca/ sumacca pronunciata da marinai portoghesi nei porti brasiliani. Che una cosa del genere sia accaduta più di una volta è confermato tra l’altro da un indizio che riguarda un personaggio ben più famoso dello stesso padre Merolla. La parola fu infatti ascoltata e anche riportata nella scrittura da Giuseppe Garibaldi. In una lettera in spagnolo del giorno 11 settembre 1845 è infatti nominata «la zumaca Emilia» (Garibaldi 1973: 132), mentre un paio di anni dopo, sempre in spagnolo, Garibaldi cita un’altra sumaca (e poco dopo anche lui accenna a un patacho): [...] la Sumaca Sarda Primorosa, que hallamos hoy, juntamente a un patacho Belga, del cual, creo, acaba de recebir la carga para llevar a Buenos-Ayres; o si no es exacta mi sospecha, ha recibido dicha Sumaca la carga en el Río, de otro buque de altamar [...]. (Garibaldi 1973: 251) La parola era già presente in una lettera scritta in portoghese del 1838: 6 Cfr. anche Piccardo (1692: 49, 296). 136 <?page no="137"?> Parole in viaggio Ontem, dia 4 do corrente, fizemos preza de huma Sumaca Imperial, a Mineira, com a unica despeza de hum tiro de peça, e dous de espingarda [...]. (Garibaldi 1973: 23) Dal momento che queste lettere non sono in italiano, non possiamo sapere con certezza se in quegli anni Garibaldi conoscesse il tipo italiano semacca, il francese semaque o l’olandese smack, ma è fuor di dubbio che aveva familiarità con le forme iberiche, da lui intercettate in Brasile circa centocinquant’anni dopo che le aveva apprese padre Merolla. Tornando ora al viaggio dei Cappuccini, apprendiamo che a bordo della somacca approdarono in Africa presso il regno di Banquella: Scorsi tre, o quattro giorni doppo havere scoverto terra, col vento in poppa, e la corrente a seconda, prendemmo porto nel regno di Banquella, o Binquella. Conquista, e presidio de’ Portoghesi [...]. (Piccardo 1692: 60). Padre Merolla approda poi in Angola il 6 maggio 1683, dodici mesi dopo la partenza da Napoli, come lui stesso non manca di sottolineare: D’indi partiti, in quattro giorni di navigatione continua, approdammo nel porto d’Angola, ultimo termine de’ nostri desiderij, sotto li 6 di maggio, un anno doppo la partenza da Napoli. (Piccardo 1692: 69s.) Con il suo viaggio padre Merolla voleva far conoscere il Cristianesimo alle popolazioni del Congo. La funzione assegnata al libro, invece, è, secondo il sottotitolo, quella di far conoscere ai lettori italiani «variati Clima, Arie, Animali, fiumi, frutti, vestimenti con proprie figure, diversità di costumi, e di viveri per l’uso umano». Il risultato è un libro illustrato che ha avuto qualche risonanza e nel tempo ha reso abbastanza celebre il suo autore. 7 Piuttosto presto, nel 1704, l’opera (pur con l’eliminazione delle citazioni latine e di qualche altro riferimento erudito) apparve in inglese in una raccolta di resoconti di viaggi (Piccardo 1704). Nel 1744 la raccolta inglese giungeva alla terza edizione, mentre nel 1747 è pubblicata, in forma più sintetica, la traduzione francese (Piccardo 1747). Una seconda edizione in italiano fu poi pubblicata nel 1726 sempre a Napoli, ma priva di indicazione tipografica (Piccardo 1726). Dopo alcune tempestive citazioni in opere scientifiche, che mettevano a frutto le informazioni fornite 7 Lo stesso Angelo Piccardo informa che, dopo aver seguito la stesura della Relatione, il padre Girolamo Merolla partì di nuovo per l’Africa, dove morì nel 1697 (per questa notizia cfr. Spiazzi 1992: 509). 137 <?page no="138"?> Nicola De Blasi dalla Breve e succinta Relatione (per esempio Guigues 1700: 225s., Gimma 1730: 117), il nome di padre Merolla è ancora ricordato nel manuale di storia di Cesare Cantù a metà Ottocento: «Girolamo Merolla Sorrentino, per sei anni versato fra i Negri del Congo, d’ordine della Propaganda faticò, se non a togliere, a mitigare la tratta di questi infelici» (Cantù 1856: 672), che in un certo senso lo consegna ai successivi studiosi dei rapporti tra Europa e Africa (Mori 1949). Nel soggiorno in Congo durato circa nove anni il padre Merolla ha modo di incontrare e descrivere usanze e oggetti che gli permettono di apprendere parole nuove. Di ognuna offre adeguata spiegazione, di modo che l’intera opera meriterebbe un compiuto esame lessicale, vista anche la consapevolezza metalinguistica dell’autore che completa il proprio resoconto con una Nota d’alcuni nomi conchesi, accennati nell’opra, e spiegati in italiano per maggior comodità di chi legge (Piccardo 1692: 457-464). Dopo aver già accennato al caso di somacca, mi limito qui a segnalare un’attestazione di zumbi variante di zombi, che certamente rappresenta la primissima apparizione di questo tipo lessicale in un testo scritto in italiano e forse in assoluto in un testo scritto. Per l’italiano la storia di zombi è stata ricostruita da Massimo Fanfani, che opportunamente distingue tra le prime occasionali apparizioni scritte, in testi enciclopedici o specialistici, e la circolazione più estesa di cui sono indizio alcune riprese metaforiche presenti in esternazioni pronunciate nel 1992 dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga: Ora che la parola, usata epiteticamente dal presidente Cossiga all’inizio di quest’anno, ha avuto anche l’onore delle prime pagine, dopo essere rimbalzata sulle grancasse dei mezzi di comunicazione radio-televisivi, si può esser quasi certi della sua fortuna e del suo stabile ingresso nella lingua comune, dato che per ora, a parte la registrazione in qualche dizionario neologistico o neologismofilo, pareva confinata per lo più solo a usi colti o gergali. (Fanfani 1992: 73) Le prime attestazioni finora note, a partire da quella nell’Enciclopedia italiana in merito ai culti vudu di Haiti, 8 giustamente non sembrano a Fanfani segnali di un radicamento stabile in italiano: 8 Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, vol. XVIII (1933), s.v. Haiti, 318b (cfr. anche ⟨ https: / / www.treccani.it/ enciclopedia/ haiti_res-cee11f6d-8baf-11dc-8e9d-0016357eee51_(Enciclope dia-Italiana) ⟩ ; ultimo accesso: 17/ 05/ 2024); cfr. Cortelazzo/ Cardinale 1986: 208). 138 <?page no="139"?> Parole in viaggio Queste testimonianze, tuttavia, restano per lo più circoscritte all’ambito scientifico e, considerando il termine come un’occasionale citazione di un nome proprio o quasi di un’entità divina, non riescono ovviamente a mostrare né l’effettivo inserimento di zombi nella nostra lingua, né una sua generalizzazione come termine etnografico: non ne fanno cenno, difatti, oltre ai vocabolari del settore, nemmeno i due lessici maggiori dell’italiano contemporaneo, il Dizionario enciclopedico e il Lessico universale coi loro supplementi, ricchi e precisi anche nelle terminologie specialistiche. (Fanfani 1992: 75) Tra le prime notizie enciclopediche e l’uso degli anni Novanta si colloca una fase in cui una prima effettiva popolarità della parola coincide con la circolazione, anche in Italia, di un paio di film di George A. Romero, Night of the Living Dead/ La notte dei morti viventi (1968) e Dawn of the Dead/ Zombi (1978). 9 Il secondo film certamente rappresenta l’episodio più significativo, in forza del suo titolo che, attraverso le locandine e le segnalazioni giornalistiche, ha senz’altro raggiunto molti italiani anche come immagine visiva, oltre che come parola entrata nella comunicazione parlata. A partire da questi film si ha anche la prima registrazione lessicografica da parte di Cortelazzo e Cardinale che danno conto, tra l’altro, di una variante zombo, probabilmente nata come impropria ricostruzione di un singolare, ma evidentemente presto scomparsa: 10 zombi o zombo (plurale zombi e zombies) cadavere rianimato attraverso un rito magico (1978: Viviamo in compagnia di «zombi» e di «anticristi», di maghi, di stregoni e di insetti voraci, «Radiocorriere TV» 1-7 ott. / 1979: Insomma, chi aveva parlato di «zombies» e di «fantasmi» è meglio che si dia una ripassatina, «Stampa» 23 set.). In senso figurato, persona apatica e abulica, priva di proprio carattere (1977: Forse aveva ragione Leonardo che diceva di non andare con gli zombies, Lettere a Lotta continua p. 306 / 1978: A. Arbasino: Da zombies di tipo italiano siamo stati governati finora, p. 17). - Dall’inglese delle Antille Zombie ‘spirito soprannaturale che può, ritualmente evocato, dare vita ai cadaveri’, probabilmente dal congolese zumbi ‘feticcio’. (Cortelazzo/ Cardinale 1986: 208) Un primo precedente episodio di contatto, ricordato da Fanfani (1992: 76), si realizza nel 1958 in un articolo di Mario Praz, che si riferisce a giovani contestatori inglesi, definiti “arrabbiati’’ e, con una «buffa parola» denominati zombies: La più parte di costoro non sembra avere un chiaro motivo per la propria furia devastatrice; il loro comportamento è né più né meno quello di zombies, 9 Fanfani (1992: 75). 10 Cortelazzo/ Cardinale (1986: 208). 139 <?page no="140"?> Nicola De Blasi secondo la buffa parola inglese moderna che designa gl’idioti irresponsabili. (Praz 1966: 149) 11 Il primo uso inglese, occasionalmente ripreso in italiano, sembra riconducibile al film White zombie di Victor Halperin del 1932, probabilmente tradotto e doppiato in italiano solo molti anni dopo con il titolo L’isola degli zombie. Solo in seguito, però, la parola avrebbe conosciuto un’effettiva presenza in italiano, culminata anche nel più largo impiego di zombi come epiteto. In questo quadro si inserisce il contributo proveniente dal Viaggio di padre Merolla, che descrive le modalità di svolgimento di una cerimonia funebre: In quanto alle sepolture dico per testimonianza di vista, che ne’ Regni di Cacongo, e d’Angoij non si sotterrano i morti parenti, se prima convenuti non siano tutti gli altri del parentado, ancorché vi scorressero de’ giorni. Radunatisi insieme, dan principio alla cerimonia, facendo varie cose superstitiose, come ammazzar le galline, e di quel sangue aspergerne la casa di dentro, e di fuori, buttando le carni dell’istesse sul tetto delle medesime abitationi, con dire, che in tal maniera facendo, l’anima del defonto non verrà più in quella casa a dare li zumbi a qualcheduno degli abitatori; zumbi, chiamano in loro idioma l’apparitioni de’ morti, con osservanza, tenendo per certo, che a quanti appaiono, habbiano tutti a morire; opinione tanto radicata nelle forsennate menti di gente sì infelice, che la sola imaginatione di ciò, o segno, che sia, perché fortis imaginatio facit casum, alla morte gli riduce. N’habbiamo molte sperienze in più casi qui occorsi in persona di coloro, che stando bene di salute, doppo poche hore, e giorni, per simili vane impressioni, miseramente son morti, per haverli chiamati il defonto, massimamente se fussero stati trà essi nemici, o che in qualch’evento havessero havuto contesa alcuna col morto, mentr’era vivo. (Piccardo 1692: 391s.) Nel prosieguo del resoconto, si narra della fase del pianto (spontaneo o provocato dal «siliquastro, o pepe d’India, qual’è presso di noi il peparolo)» (1692: 392) e di come si passi «dalli pianti alle pentole, e dal cataletto a banchetti», organizzati «a spese del più stretto parente del morto». Dopo il banchetto, al segnale dato da un colpo di tamburo, con passaggio «dalle menze alle danze, si principia il ballo» 11 Ecco al riguardo la precisazione bibliografica di Fanfani: «L’articolo, dal titolo I giovani arrabbiati, apparso nel Tempo del 30.8.1958, si trova ripubblicato nel volume praziano Cronache letterarie anglosassoni, IV, Roma, Ed. di Storia e Letteratura, 1966, pp. 147-153, da dove cito a p. 149». In Praz (1966: 149, n. 1) si legge infatti: «La parola, derivata da un linguaggio congolese (zumbì, feticcio o serpente pitone divinizzato), ha in inglese il senso di “corpo morto che è fatto camminare, agire e muoversi come se fosse vivo”». 140 <?page no="141"?> Parole in viaggio (1692: 393) prima di dar luogo a «trattenimenti sporchi, ed impudichi», tanto che la descrizione si conclude con questo commento: Sembra quel tocco di tamburo quasi un grido del demonio, con cui son citati li popoli a riti sì esecrandi, e fatti così crapulosi, ed essi al sentirlo ne volano per prontamente obedirli. (Piccardo 1692: 393) Grazie a Girolamo Merolla e ad Angelo Piccardo, il quale da parte sua ha trasposto la narrazione in «stile istorico, e narrativo», riusciamo in primo luogo a seguire idealmente il tragitto compiuto da zumbi da una lingua alle altre. 12 In primo luogo, vediamo la parola, nel racconto ora letto, nel contesto di origine nel Regno del Cacongo; si delinea così anche il significato «zumbi, chiamano in loro idioma l’apparitioni de’ morti», che tuttavia, secondo la testimonianza visiva del missionario, non sembrano provocati da particolari riti voodoo, come riferito dalla lessicografia. Ovviamente è possibile che tali riti siano presenti nelle tradizioni haitiane e anche in quelle africane originarie, ma Merolla non ne tratta. Al contrario, sono descritti comportamenti rituali (le carni delle galline lanciate sul tetto delle case) che hanno la funzione non di evocare le apparizioni, ma di scongiurarle. Riconosciamo inoltre, anche nel dettaglio di una precisa rotta di navigazione, il percorso che la parola ha compiuto dall’Africa alle Americhe attraverso l’Oceano, nel racconto di viaggiatori (missionari, navigatori, mercanti, compresi quelli che senza scrupoli si dedicavano alla tratta delle persone) e con le stesse abitudini delle persone di origine africana condotte verso il Brasile e altre terre americane. La forma zumbi, rimasta nella memoria di Girolamo Merolla e nei suoi appunti, redatti verosimilmente già in Africa o nel corso della navigazione, ha seguito la rotta che ha condotto il viaggiatore, con il suo bagaglio di memorie scritte, dal Brasile a Lisbona e poi in Italia. Sembra possibile che durante la navigazione il missionario abbia parlato delle proprie esperienze con i suoi compagni di viaggio; di sicuro ne ha parlato in Italia, a Napoli, con il padre Piccardo che con lui avrà riesaminato gli appunti mentre li adattava allo «stile istorico e narrativo». A questo proposito, tra l’altro, sarebbe interessante sondare altre relazioni dello stesso tipo 12 In inglese: «The word Zumbi in the Language of the Country, signifies an Apparition of the deceas’d Person, they being of opinion, that to whomsoever it shall appear, that Person will presently die» (Piccardo 1704: 741); in francese: «Ensuite on jette les carcasses par-dessus le toit, pour empêcher que l’ame d’un mort ne fasse le Zumbi, c’est-à-dire, qu’elle ne revienne troubler les habitans par des apparitions» (Piccardo 1747: 644). 141 <?page no="142"?> Nicola De Blasi per definire la funzione svolta dai rielaboratori di resoconti di viaggi, che - da Rustichello da Pisa, primo destinatario del racconto di Marco Polo, in poi - hanno affiancato, o talvolta sovrapposto, ai viaggiatori la propria figura di redattori (non privi di connotati anche autoriali sul piano dello stile). In modi diversi, scrittori come Angelo Piccardo avranno volta per volta seguito strategie stilistiche necessarie per fare entrare i testi in un circuito editoriale, certo non ancora caratterizzato da predominanti esigenze di mercato simili a quelle odierne, ma già sensibile, come è evidente dal sottotitolo di quest’opera, a necessità stilistiche. Nel caso specifico non sappiamo con precisione come si sia svolto il lavoro di Piccardo, ma si deduce che la sua funzione sia stata quella di portare un resoconto in una forma che meglio potesse favorire la circolazione del libro per la sua valenza di resoconto di un viaggio in una terra lontana. 13 Angelo Piccardo, nella sua presentazione al lettore, afferma la sostanziale fedeltà al racconto di Girolamo Merolla (cui viene riconosciuta la qualifica d’autore), ma propone anche un accurato e ricercatissimo topos modestiae, con il quale professa la propria semplicità ma svela anche una vigile consapevolezza stilistica. La fedeltà al racconto di Merolla è d’altra parte confermata proprio dai due tipi lessicali qui considerati, che denotano la stretta aderenza all’intenzione documentaria dichiarata dal missionario con la sua prospettiva di testimone oculare («dico per testimonianza di vista»). In conclusione, nei casi qui visti si riconosce il primo contatto con l’italiano scritto di due parole che il missionario viaggiatore ha appreso rispettivamente in un porto del Brasile e nell’entroterra dell’Africa. Ciò, tuttavia, non è bastato per far sì che i due esotismi entrassero effettivamente in italiano, poiché, al di là dell’episodica interazione comunicativa tra i due predicatori Cappuccini, è più che probabile che le due parole siano rimaste confinate nella scrittura e siano entrate sporadicamente nell’orizzonte di conoscenze di un numero ristretto di lettori (il padre Merolla, per inciso, dopo aver avviato alle stampe il libro, partì di nuovo per il Congo). La successiva limitata circolazione delle parole di origine africana apprese dal missionario certamente non dipendeva dal carattere di lingua “morta’’ che tuttora in modo stucchevole, oltre che ripetitivo, viene attribuito all’italiano, ma dal fatto 13 Il dedicatario è Nicola Acciaioli (1630-1719); creato cardinale nel 1669, partecipò ai conclavi del 1676, 1689, 1691 e 1700 (quando fu tra i papabili), Legato pontificio a Ferrara, poi vescovo di Frascati (nel 1694), decano del Sacro Collegio e vescovo di Ostia e Velletri. Dal 1677 fu cardinale protettore dell’ordine dei Cappuccini: ciò spiega la dedica del libro. Cfr. ⟨ https: / / it.cathopedia.org/ wiki/ N icolC3B2_Acciaioli ⟩ (ultimo accesso: 17/ 05/ 2024). 142 <?page no="143"?> Parole in viaggio che, in qualsivoglia lingua, non tutte le parole sono frequentemente presenti nel discorso parlato. Non sfugga, del resto, che, ancora in pieno Novecento, le attestazioni di zombi individuate negli anni Trenta e negli anni Cinquanta, cioè in epoche per le quali nessuno mette in dubbio che l’italiano fosse lingua parlata, sono pur sempre riconoscibili come occasionali e in fin di conti «circoscritte all’ambito scientifico» (Fanfani 1992: 75) o legate a una più o meno isolata apparizione in una scrittura giornalistica. Riprese dal lontano Congo a fine Seicento o dalla più vicina Inghilterra a metà Novecento, zumbi o zombi, insomma, restano comunque vincolate alla personale esperienza di autori che inseriscono le forme nei rispettivi scritti, in un caso e nell’altro con l’intenzione di dar conto, con apposita glossa, di un uso specifico di un certo ambiente. Nel primo caso Merolla riferisce il significato originario rilevato in Africa; nel secondo caso Praz riprende un significato già traslato riscontrato a Londra, inserendolo comunque in una notizia riguardante la società londinese. In nessuno dei due casi, però, sussistono le condizioni per dar luogo a un uso più esteso nell’italiano parlato o a un radicamento più costante e più ampio nei testi scritti, prova ne sia che ancora nel 1999 la parola zombi non è presente nel lemmario del DELI. La svolta, come ben risulta dallo studio di Fanfani (1992), giunge con i film di Romero tempestivamente doppiati in italiano. Attraverso il cinema, la parola, come abbiamo visto, entra progressivamente nell’immaginario collettivo degli italiani, con il conseguente impiego con sfumature metaforiche che ovviamente ne allargano sempre più il ventaglio dei possibili usi nella lingua comune. Il caso qui proposto consente, però, di mettere in risalto che la ricostruzione della storia delle parole italiane non ha la sola funzione di individuare la data che coincida con la prima effettiva circolazione generalizzata di una parola; in una considerazione storica vanno invece inclusi anche episodi nascosti o misconosciuti, che rimandano tra l’altro a un occasionale primissimo impiego in ambiti culturali specifici o ristretti. Proprio attraverso questi episodi infatti si svelano le prime forme di avvicinamento verso nozioni e parole nuove, scoperte nel contatto con ambienti e usi fino a un certo momento sconosciuti. Sarebbe inopportuno sottovalutare questi primi incontri con la motivazione che da essi non è derivata la definitiva affermazione in italiano di una certa parola. Una parola, dopo tutto, si afferma in modo definitivo quando risponde anche a esigenze specifiche avvertite dalla comunità dei parlanti (siano esse esigenze concrete o connesse, come poi sarà per zombi, al cosiddetto “immaginario collettivo’’), ciò non toglie però che per uno storico siano interessanti anche i primi momenti di avvio di una dif- 143 <?page no="144"?> Nicola De Blasi fusione rimasta solo incipiente o finanche le false partenze. Del resto, si parva licet componere magnis, per fare un esempio in altro ambito, per chi si occupi della storia del volo è fondamentale studiare la costruzione delle prime macchine volanti perfettamente funzionanti, ma è anche utile avere notizia dei disegni di Leonardo da Vinci e perfino del mito di Icaro. Se si insiste su questo punto è perché a volte sono inopportunamente svalutate e ritenute storicamente poco rilevanti le primissime attestazioni isolate delle parole, prima di un loro uso generalizzato. Sembra invece evidente che certe acquisizioni legate a episodi remoti contribuiscono dopo tutto a una visione più ampia della storia del lessico, anche se (o proprio perché) per certi episodi lontani vanno considerati elementi di discontinuità oltre che possibili affinità rispetto a circostanze più attuali. Nella medesima prospettiva, dopo tutto, gli studiosi di politica non disdegnano di considerare la storia e le caratteristiche della democrazia nell’antica Grecia pur sapendo che essa vi si manifestava con forme diverse da quella contemporanea. Oppure, in altro ambito, chi si occupa della storia dei trasporti ferroviari, per restare nel tema dei movimenti, non troverà del tutto superfluo considerare i primi esperimenti di spostamento su binari. Allo stesso modo nella prospettiva della navigazione attraverso l’Atlantico merita dopo tutto un po’ di attenzione, ma anche non poca ammirazione, il viaggio del Cappuccino Girolamo Merolla. Per recarsi da Sorrento al Congo, come si è visto, Merolla seguì una rotta che da Lisbona, in dodici mesi, lo portò prima in Brasile e poi a lambire il Capo di Buona Speranza, per poi tornare recando con sé il bagaglio di esperienze non solo lessicali fissate nel libro giunto prontamente alle stampe per merito di Angelo Piccardo, nel quadro di una consapevole opera di divulgazione culturale curata dall’intero Ordine dei Cappuccini. 144 <?page no="145"?> Parole in viaggio Riferimenti bibliografici Anonimo (1949): «[Recensione a Mori 1949]». In: Rivista marittima 81/ 12, 688. Cantù, Cesare (1856): Storia degli Italiani. Tomo V. Torino: L’Unione Tipografico- Editrice. Cortelazzo, Manlio/ Cardinale, Ugo (1986): Dizionario di parole nuove 1964- 1984. Torino: Loescher. DELI = Cortelazzo, Manlio/ Cortelazzo, Michele A. (a c. di) (1999): Il nuovo etimologico. DELI - Dizionario Etimologico della Lingua Italiana di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli. Seconda edizione in volume unico. 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In: Histoire generale des voyages, ou Nouvelle Collection de toutes les relations de voyages par mer et par terre. Tome quatrième. Paris: Didot, 528-645. 146 <?page no="147"?> Parole in viaggio Praz, Mario (1966 [1958]): «I giovani arrabbiati». In: Praz, Mario: Cronache letterarie anglosassoni. Vol. IV. Roma: Edizioni di Storia e Letteratura (= Letture di pensiero e d’arte 42), 147-153. Spiazzi, Raimondo (a c. di) (1992): Enciclopedia del pensiero sociale cristiano. Bologna: Edizioni Studio Domenicano. Abstract: In the past, loanwords were transferred from one language to another through direct contact between people. Words were therefore only transferred as a result of people moving from one place to another. From this observation, we follow the long journey of the Capuchin missionary Girolamo Merolla from Sorrento, who left Naples in 1682 and in 1683 reached the Congo, having passed through Brazil. Upon his return to Italy ten years later, Father Merolla recounted his experiences to his confrere Angelo Piccardo, who wrote Breve e succinta relazione del viaggio nel Regno di Congo nell’Africa Meridionale (Naples, Mollo). Using this report, we trace the first encounters of the Capuchin in Brazil and the Congo with some exotic words; in particular, with somacca, which is used to describe a type of boat, and zumbi, the first documented instance of the lexical type zombi, which only entered the Italian language in the 20th century. Biographical sketch: Nicola De Blasi, Ordinary Member of Accademia della Crusca, Ordinary Academician of Accademia Pontaniana, is Professor of Italian Linguistics at the University of Naples “Federico II”. In the years 1986, 1996, 1997 and 2000 he was Visiting Professor at the Department of Italian Studies of the University of Toronto. He is co-editor, with Francesco Montuori, of the journal RiDESN. Rivista del Dizionario Etimologico e Storico del Napoletano, and is member of the scientific board of the reviews Studi di Grammatica Italiana, Archivio storico delle province napoletane, Lingua Italiana d’Oggi, Critica letteraria, and Napoli Nobilissima. 147 <?page no="149"?> Matthias Bürgel * Copiare il Cavalca nella Napoli aragonese: il ms. XVI.301 della Biblioteca Badia di Cava 1 Un codice del Cavalca a Cava de’ Tirreni All’interno del corpus delle opere composte da Domenico Cavalca (ca. 1280-1341), 1 la tradizione dell’Esposizione del Credo si contraddistingue per il suo carattere tardo e periferico. 2 Infatti l’intera mole dei testimoni appartiene alla seconda metà del Quattrocento e non comprende alcun esemplare toscano, visto che risulta disperso il codice esemplato fra il 1471 e il 1472 dal certosino Francesco da Pisa, manoscritto, questo, che si conservava ancora nel 1932 presso la biblioteca privata del conte Cirino Giovanni Gandolfo a Palermo. 3 Sembra che tale fisionomia piuttosto peculiare della tradizione del testo sia dovuta alla fruizione delle opere cavalchiane da parte della Congregazione Benedettina di S. Giustina, che dagli anni ’50 del XV secolo in * Friedrich-Alexander-Universität Erlangen-Nürnberg. 1 Per la biografia di Cavalca cfr. Delcorno (1979), Bastianetto ( 2 1986) e Giltri (2018) nonché Salvadori (2004). La recente edizione critica dei sonetti contenuti nello Specchio di Croce (Troiano 2022) offre un aggiornamento bibliografico nonché una lucida collocazione storico-letteraria. Vanno menzionate inoltre le edizioni critiche pubblicate durante gli ultimi anni: Cavalca (2009, 2015, 2019). 2 Cfr. Bürgel (2021b, 52 e n. 5), dove si mette in rilievo che tutte le iniziative editoriali cavalchiane realizzate negli ultimi anni si sono potute avvalere di testimoni non soltanto genericamente toscani, ma addirittura pisani ed ascrivibili ancora al Trecento. Per la tradizione delle opere di Cavalca in generale cfr. l’elenco dei manoscritti in Kaeppeli/ Panella (1970-1993: I, 304-314, IV, 67ss.). Per l’Esposizione del Credo in specifico cfr. Bürgel (2018, 2021a). 3 Cfr. Bürgel (2018: 24ss.). Il codice è stato descritto, sebbene in modo piuttosto sommario, da Coppoler Orlando (1905); la notizia sul luogo di conservazione nel 1932 si trova in MPI (1948: 201). Per la possibilità che il ms. in oggetto sia identico al lotto 35 dell’asta allestita il 5 maggio 2003 presso Semenzato-Finarte a Venezia, cfr. Bürgel (2018: 27s.). 149 <?page no="150"?> Matthias Bürgel poi ne promosse la circolazione tra i suoi monasteri. In tal modo partì dal Veneto e soltanto in quel periodo la diffusione dell’Esposizione, opera, questa, la cui fortuna precedente era rimasta limitata agli ambienti immediatamente legati al convento pisano di S. Caterina (cfr. Bürgel 2021a, 2021b). Uno dei testimoni del trattato (siglato C) provenienti da un’abbazia unitasi a S. Giustina è il ms. XVI.301 (olim ms. cart. 4) della Biblioteca Statale del Monumento Nazionale Badia di Cava (cart., sec. XV ex ), vergato (su una colonna) da un’unica mano, in scrittura umanistica libraria, ma con forti tratti della tradizionale textualis rotunda. 4 In calce alla c. 1 r vi è una nota di possesso, rilasciata da tre mani successive, di cui le ultime due agirono su rasura: «Iste liber e(st) monach(orum) co(n)gregatio(n)is s(an)c(t)a iusti(n)e de padua deputatus monaster[β io Cauensi autor u(er)o eius est] [γ fr(ater) Dominico Caualca]». La presenza del manoscritto a Cava risulta dunque posteriore rispetto alla sottoscrizione originale, effettuata quando il codice doveva comunque già essere di proprietà della congregazione padovana. Da tale osservazione si può facilmente dedurre che l’unico testimone meridionale dell’Esposizione passò da un monastero affiliato a S. Giustina a un altro. Invero simili scambi librari all’interno della Congregazione erano piuttosto frequenti (cfr. Barile 1999, in part. 60s.). Pertanto l’anno dell’adesione dell’abbazia cavese, cioè il 1497, va considerato il terminus ante quem estremo della confezione del codice. 5 Il terminus post quem dell’arrivo del manoscritto nella Badia, invece, si evince dal fatto che non sia stata cancellata la specificazione «co(n)gregatio(n)is s(an)c(t)a iusti(n)e»: siccome dal 1504 in poi sarebbe diventata esclusiva la denominazione “Congregazione Cassinese” (in seguito, appunto, all’unione con l’abbazia di Montecassino), il codice deve essere stato consegnato ai monaci della Badia di Cava prima di tale anno. 6 Tuttavia anche la data della stesura del Cavese cart. XVI.301 non sembra discostarsi in modo significativo dalle coordinate cronologiche appena ricordate. Infatti rimandano all’ultimo quarto del XV secolo i dati paleografici, il tipo di decorazione delle iniziali, l’explicit grecizzante («T E λως», c. 255 r) nonché la fattispecie della filigrana (cfr. Bürgel 2018: 22s.). A quest’ultimo proposito gli esempi più vicini alla tipologia qui impiegata registrati dai repertori (Briquet: 6274 [Treviso, 1477] e 4 Per la descrizione del ms. e quindi per quanto segue cfr. Bürgel (2018: 21-24). 5 Sull’unione con la Congregazione di S. Giustina e la storia della Badia di Cava in generale cfr. Guillaume (1877: 285ss.). 6 Sulla storia della Congregazione si veda perlomeno la sintesi in Zaggia (2003: 401-431). 150 <?page no="151"?> Copiare il Cavalca nella Napoli aragonese 6275 [Udine, 1483]; Piccard 936 [Ravenna, 1486], 940 [Gemona del Friuli, 1507] e 942 [Bassano, 1460]) 7 appartengono effettivamente tutti agli ultimi decenni del sec. XV, collocandosi, dal punto di vista geografico, nelle zone orientali dell’Italia settentrionale, ossia nella regione d’origine della Congregazione di S. Giustina. Inoltre sappiamo che il riordino delle biblioteche dei monasteri unitisi al progetto di riforma benedettina partiva regolarmente dall’operato dei monaci affiliati all’abbazia madre patavina (cfr. Billanovich 1961, in part. 344). Che tale lavoro di ristrutturazione comportasse anche la confezione di prodotti librari nuovi, ce lo fa capire il testimone dell’Esposizione siglato Y, cioè il ms. Yale, Beinecke Library, 835, proveniente dall’abbazia di S. Pietro in Savigliano (cfr. Bürgel (2018: 18s.). Tenendo presente che proprio la riforma del monastero piemontese fu promossa da monaci inviati direttamente da S. Giustina (cfr. Mortarotti 1969: 29), non sarà troppo azzardato attribuire a questi ultimi i tratti ascrivibili a una patina linguistica veneta che si possono individuare nel codice in oggetto. 8 In effetti, Y, collaterale di P (Padova, Biblioteca Universitaria, ms. 1106, a sua volta vergato nell’abbazia madre), 9 si rivela una copia esemplata con ogni probabilità in tempi molto ridotti sulla base di un antigrafo che non era destinato a rimanere a Savigliano, come suggerisce non da ultimo il numero molto cospicuo di mani coinvolte nella stesura del testo. Probabilmente il modello di Y fu smembrato affinché, sulla falsariga del sistema dei pecia, si potesse lavorare contemporaneamente su vari fascicoli. Tale ipotesi viene corroborata da alcuni passi in cui il corpo di scrittura si ristringe in maniera marcata proprio sull’ultima carta della rispettiva unità codicologica. 2 La lingua del ms. Badia di Cava, XVI.301 Se nulla ci vieta di pensare che, nel caso del manoscritto cavese, i monaci veneti portassero con sé persino la carta su cui successivamente sarebbe stato copiato il testo dell’Esposizione, l’analisi linguistica della scripta di C dimostra che anche 7 Cfr. Briquet (1907: 361), Piccard (1980: 104s.). 8 Sul codice si contano ben 22 mani, di cui alcuni alquanto diverse fra di loro; cfr. Bürgel (2018: 18). Non stupisce certamente che tale eterogeneità si rispecchi anche nei vari diasistemi linguistici individuabili. Tuttavia nel codice prevalgono, almeno per quanto riguarda due terzi delle mani coinvolte, le caratteristiche venete. 9 Per il rapporto fra P e Y cfr. Bürgel (2018: 42-45) nonché Bürgel (2020). 151 <?page no="152"?> Matthias Bürgel all’abbazia cavese non giunse affatto dal Nord-Est un codice già contenente l’opera cavalchiana. Invece, come vedremo di seguito, le caratteristiche fonomorfologiche del testo presente nel Cavese XVI.301 permettono di collocarne la stesura nell’Italia meridionale e, in maniera più precisa, nell’area napoletana. Per ragioni di spazio ci si limiterà ad alcune osservazioni rispetto alla presenza (o all’assenza) di tratti particolarmente significativi della varietà diatopica in oggetto. 10 2.1 Vocalismo tonico e atono Si riscontra effettivamente la chiusura metafonetica di ¯ e tonica non soltanto dato -i finale, presente anche nelle coeve varietà settentrionali (forme come crudili, pisci), ma anche dato -u finale: 11 defiso, sino. Altrettanto attestato è l’esito metafonetico di ˘i: 12 commisso, fridu, pignu, signu, circhi, missi... Il fenomeno diventa particolarmente evidente nei dimostrativi derivati da iste: quisto e questo si alternano continuamente, ma il plurale viene rappresentato quasi esclusivamente da quisti. Nel caso dei derivati da ille, invece, dominano le forme toscane; ciononostante non mancano occorrenze di quillo e quilli. Tale situazione, cioè la chiara preferenza per la metafonesi al plurale, sebbene qui circoscritta, appunto, al dimostrativo di vicinanza, corrisponde a quella descritta da Marcello Barbato per il Plinio napoletano di Giovanni Brancati (Barbato 2001: 104). Infatti vedremo che la patina linguistica di tale volgarizzamento della Historia naturalis, realizzato dall’umanista cilentano presso la corte aragonese intorno al 1480, 13 risulta anche a proposito di altri aspetti fonomorfologici molto vicina a quella individuabile nel nostro testimone C. In modo analogo si chiudono ¯ o 14 e ˘ u 15 toniche sia a causa di -u che di -i: amaturi, neputi, recturi, surdi; dannuso, lurdo, sulo da una parte, succurso, urso, zulfo; dulci, surdi, mundi dall’altra. Il fatto che non esistano chiusure di questo tipo in 10 Per l’analisi seguente mi servirò prevalentemente di De Blasi (1986), Formentin (1998) e Barbato (2001). Per panoramiche sugli sviluppi storico-linguistici e -letterari nella Napoli aragonese cfr. De Blasi/ Vàrvaro (1988), Bianchi/ De Blasi/ Librandi (1993) e Coluccia (1994). 11 Cfr. De Blasi (1986: 356ss.), Formentin (1998: 116-120), Barbato (2001: 108ss.). 12 Cfr. Formentin (1998: 121-124), Barbato (2001: 102-108). 13 Barbato (2001: 8) per la datazione dell’opera, Barbato (2001: 15-20) per la biografia del Brancati. 14 Cfr. De Blasi (1986: 358s.), Formentin (1998: 124-127), Barbato (2001: 112ss.). 15 Cfr. Formentin (1998: 127s.), Barbato (2001: 110ss.). 152 <?page no="153"?> Copiare il Cavalca nella Napoli aragonese posizione non-metafonetica permette di escludere un’ipotetica origine siciliana del codice. 16 Tuttavia il testo conservato dal ms. cavese si presenta privo di esempi di dittongamento condizionato per metafonesi di ˘ e, ˘ o toniche, 17 fenomeno ampiamente attestato, per esempio, nel volgarizzamento napoletano trecentesco della Historia distructionis Troiae di Guido delle Colonne oppure nei Ricordi quattrocenteschi di Loise De Rosa. 18 In aggiunta anche il dittongamento di tipo toscano risulta minoritario, tanto che prevalgono forme come leto, pede, petra, tepido, vetato nonché bono, coci, nòce, nora, sòle. Di nuovo ci troviamo di fronte a una situazione molto simile a quella del Plinio napoletano, dal momento che anche qui non stupisce l’assenza del dittongamento in condizioni metafonetiche, normale nei testi angioini e in Loise de Rosa, ma sporadico nell’epistolografia, nella lirica di koinè e anche in un testo non aulico come i Memoriali di Diomede Carafa. Come mostrano le proporzioni, la coincidenza di condizioni toscane e napoletane non facilita ma scoraggia la dittongazione: il dittongo metafonetico è un tratto stigmatizzato che si cerca di evitare. (Barbato 2001: 100s.) 19 A proposito del vocalismo tonico segnalo inoltre la pressoché continua assenza di anafonesi (fameglia, lengua, vence, longo, quantonca...) 20 nonché la netta dominanza della conservazione di -ausia in posizione tonica (auro, ristaura) che, soprattutto, protonica (aucello, audire e forme derivate, aurecchie, gaudere, laudare...). 21 Ampiamente rappresentato risulta l’indebolimento delle vocali atone finali (e in particolare di quelle palatali) al suono indistinto [ @ ], 22 tratto fonetico caratteristico dell’intera area altomeridionale (cfr. Castellani 2000: 243s.). Da un lato, tale esito viene rivelato da forme in cui si riscontrano discordanze tra le desinenze 16 Forme (in verità piuttosto rare) come fide si spiegano facilmente come latinismi; tuttavia è possibile pensare anche all’influsso della scripta siciliana, attestata già a metà del Trecento nel volgare della cancelleria angioina; cfr. Formentin (1998: 134s.). 17 Si tratta, com’è noto, di uno dei tratti caratteristici dei dialetti centro-meridionali; cfr. Castellani (2000: 259). 18 Cfr. De Blasi (1986: 350-356), Formentin (1998: 100-116). Si vedano anche i risultati dell’indagine di Petrucci (1993: 38-56). 19 Cfr. anche le osservazioni di Compagna Perrone Capano/ Vozzo Mendìa (1993: 167) sulla poesia napoletana dell’epoca aragonese «comunemente designata come letteratura di koinè» (1993: 165). 20 Cfr. De Blasi (1986: 359s.): infatti, anche nel presente caso tale fenomeno «avrebbe rappresentato un segno di fiorentinismo di non scarso rilievo» (1986: 360). 21 De Blasi (1986: 360s.), Formentin (1998: 142s., 173), Barbato (2001: 117, 126). 22 Cfr. De Blasi (1986: 368), Barbato (2001: 129-132), Formentin (1998: 178-188), dove si mette in risalto la circoscrizione del fenomeno sugli esiti di -i, -e. 153 <?page no="154"?> Matthias Bürgel di aggettivi e sostantivi, di articoli e sostantivi oppure di participi e sostantivi: «distincte ed exposti e dechiarati tucti li articoli», «multi si sono già lassate ardere», «disse al apostoli: [...] me siate venute a servire», «novi cose tucto dì si producano», «la tua mano creò... e non fo più potenti». Dall’altro lato il copista del ms. cavese ricorre, per rendere graficamente la vocale indistinta, addirittura all’omissione della vocale finale, procedimento, questo, che mi pare sia stato rilevato molto raramente presso altri testi napoletani coevi finora editi: 23 com’, man’, pin’ (= pieni), rigor’... Nel caso delle preposizioni articolate, tale forma grafica diventa addirittura la norma: col’ spine, del’ case de’ iudei, si commecteno nel’ bactaglie... Va segnalato che il fenomeno coinvolge talvolta anche l’esito di -a, in generale (e ancora oggi) «la vocale più resistente in territorio di vocalismo atono indebolito» (Formentin 1998: 184): in questi casi, il copista di C esprime lo schwa sempre tramite <e>: donche, sopre, «la virtù del humilità [...] sia belle e piacevole», «la facce de l’anima mia». 2.2 Consonantismo Non è presente l’assimilazione -nn- < -nd-, caratteristica dei dialetti centro-meridionali. Anche tale situazione corrisponde perfettamente a quella del Plinio napoletano di Giovanni Brancati (cfr. Barbato 2001: 149) e si rispecchia anche nei Ricordi del De Rosa, dove la rappresentazione diretta di -nnrisulta piuttosto rara (cfr. Formentin 1998: 223s.). Tuttavia, il fenomeno ha lasciato una traccia nell’ipercorrettismo ingando, forma, quest’ultima, presente anche nella canzone Per ch’io no m’abia sì de rime armato di Guglielmo Maramauro. 24 Così si conferma di nuovo l’osservazione di Alberto Vàrvaro a proposito della natura diastratica della variazione fra -nde -nn-, propria della scripta napoletana ancora in piena epoca aragonese: 25 il copista dell’Esposizione cercava chiaramente di evitare la resa grafica della pro- 23 Prevale la rappresentazione tramite <e>; basti leggere quanto osserva Formentin (1987: 46) a proposito dell’epistolario di Ceccarella Minutolo (basandosi sull’analisi del ms. Parigi, BnF, Ital. 528): «si può dire che in Ceccarella l’indebolimento di -i > -e [ @ ] sia rappresentato graficamente quasi senza eccezioni». 24 Cfr. Coluccia (1983: 178s.), dove si mette in rilievo che «la reazione nn > nd è ben documentata anche in testi antichi d’origine o tradizione mediana e specificamente napoletana». Data l’assenza di altri elementi riconducibili all’originale patina linguistica pisana di Cavalca, si esclude pertanto che l’ingando di C possa essere ricondotto ai processi di dissimilazione propri delle varietà toscooccidentali e riscontrabili (anche in ingando, ingandare) nello Specchio de’ peccati cavalchiano; cfr. le osservazioni di Zanchetta in Cavalca (2015: 126). 25 Cfr. Vàrvaro (1979). Si veda anche Compagna Perrone Capano/ Vozzo Mendìa (1993: 165). 154 <?page no="155"?> Copiare il Cavalca nella Napoli aragonese nuncia con assimilazione, attestata «solo in testi ipercaratterizzati come la lettera napoletana del Boccaccio, o in scrittori tardi di basso livello, come il Ferraiolo» (Vàrvaro 1979: 199). Per il nesso pl non è attestato il passaggio, caratteristico del napoletano, alla realizzazione palatale [kj]: 26 di norma si riproduce l’esito toscano, che coesiste con alcuni casi di conservazione dell’originale nesso di muta cum liquida: 27 piegata, pieno, ma ampla, plenamente. Si manifesta pertanto anche nel testimone cavese dell’Esposizione la «toscanità “immanente” alla scripta volgare napoletana del Trecento e del Quattrocento» (Formentin 1998: 218). 28 È ben rappresentato, invece, l’esito unitario centro-meridionale di b e v: 29 infatti, si riscontra la realizzazione fonetica della fricativa [v] in posizione iniziale e intervocalica (vasezza, vasta, paravola) nonché dopo [r] (carvunculo), mentre una consonante diversa dà l’esito bilabiale [b]: sbellya. L’esito con la geminata [bb] in contesto rafforzante non viene realizzato graficamente, ma si noti comunque la presenza della bilabiale in probeditore. Tuttavia, come già nel volgarizzamento trecentesco della Historia disctructionis Troiae, la situazione risulta oscillante, il che anche qui può essere addebitato «all’incontro ormai realizzato con tradizioni linguistiche e grafiche diverse, per cui, a livelli di scrittura non popolari, la b può essere conservata» (De Blasi 1986: 380s.). Se De Blasi (1986: 381) ricorda a tale proposito «parole avvertite come prestiti», sembra verificarsi il processo opposto nelle forme corbo e piobe riportate dal nostro manoscritto: ci troviamo verosimilmente di fronte a ipercorrettismi. Le occlusive sorde in posizione intervocalica oppure tra vocale e vibrante vengono frequentemente conservate (aco, loco/ luoco, arcipiscopo, leproso, scotella, spata...), benché non manchino oscillazioni, proprie anche di altri testi contemporanei, 30 che diventano particolarmente visibili nelle forme verbali alternanti di ricepere/ ricevere. 31 L’occlusiva sonora velare arriva al dileguo soltanto in austino (tal- 26 Cfr. Castellani (2000: 264), De Blasi (1986: 379) (per qualche esempio, in alternanza con la conservazione di pl), Formentin (1998: 217-221). 27 Di nuovo come nel volgarizzamento di Brancati; cfr. Barbato (2001: 142). 28 Per la possibilità che tale evoluzione fonetica risalga a un periodo più recente cfr. Vàrvaro (1993: 369s.). 29 Cfr. Formentin (1998: 188-194), De Blasi (1986: 380s.), Barbato (2001: 132-135), dove, però, in questo caso, non si registrano differenze rispetto alla situazione toscana. 30 De Blasi (1986: 369s.), Formentin (1998: 202-207), Barbato (2001: 135ss.). 31 Per cui si hanno esempi anche in De Blasi (1986: 136). 155 <?page no="156"?> Matthias Bürgel volta anche aostino), mentre in generale non si osserva né quest’ultimo fenomeno, né l’esito rotacizzante della sonora dentale (cfr. Formentin 1998: 207s., 210ss.). Risulta presente l’esito comune nel napoletano antico di -cje -tj-, 32 cioè l’affricata dentale sorda [tts], per cui il copista impiega spesso il grafema < cz > (come si evince dalla resa identica di puczava, socza, solaczo...), pur alternandolo con < z > : caczare, cominczo, currucza, faczano, franza, minaze, squarzate...). Tuttavia in alcune parole, quali fanciullo/ fanzullo, cioè/ zoe, sono continue le alternanze con le forme toscane. 33 Si segnala inoltre la presenza dell’esito romanzo della semivocale j e dell’occlusiva velare gin contesto palatale 34 (che differisce da quello toscano, dove la semivocale latina diventa affricata palatale sonora; cfr. De Blasi 1986: 370): coniongere, ia, iocare, iusto, iuvene; però si riscontrano anche le forme con la grafia < g > : già, giochi, ecc. (stabile, invece, la resa con < i > in iusto, iusticia e derivati) nonché, sebbene più rare, quelle con la grafia < j > : judeo, jugo. Si tratta pertanto di un’ulteriore oscillazione dalla fisionomia piuttosto simile rispetto a quella presente a tal proposito nel volgarizzamento di Brancati. 35 Non frequente, ma comunque presente, è anche l’esito locale [s] nato dall’incontro della sibilante con la semivocale, -sj-: 36 basare, brusa, impresonato, presona. 2.3 Morfologia L’appartenenza del copista di C all’area napoletana risulta altrettanto confermata da alcuni tratti caratteristici di natura morfologica: • l’uso dell’articolo determinativo maschile rispecchia di nuovo perfettamente quello del Plinio napoletano: «alternano lo (con la variante l’) e el (con le varianti il, ’l)» (Barbato 2001: 171). • Gli esiti della prima persona plurale dell’indicativo sono basati su -amus, -emus, -imus: le ultime due di tali desinenze si confondono per analogia 32 Cfr. De Blasi (1986: 372-376), Barbato (2001: 151-154). 33 Anche tale situazione corrisponde a quella del Plinio napoletano, Barbato (2001: 151-154). 34 Cfr. De Blasi (1986: 370s.), Formentin (1998: 194-197), Barbato (2001: 137-141). 35 Cfr. Barbato (2001: 141): «Probabilmente è la corrispondenza a un unico fonema delle varie grafie etimologiche che permette la loro libera alternanza». 36 Cfr. Castellani (2000: 263), De Blasi (1986: 377s.), Formentin (1998: 246s.), Barbato (2001: 156s.). 156 <?page no="157"?> Copiare il Cavalca nella Napoli aragonese (oppure per metafonia). 37 Nel nostro codice quest’ultimo processo si estende talvolta anche alla forma verbale della prima classe. Di conseguenza si riscontrano: cercamo, trovamo, ricevamo, credemo, vincemo, corremo, nascimo, servamo, fugimo, offerimo... • Sono ben attestate le desinenze -ao e -io per la terza persona singolare del perfetto: 38 cercao, laudao, sanao, tornao, presumio, fugio, saglio, udio; però non mancano alcuni esempi di quella più recente in -ette: 39 concepette, morecte, uscecte. • La coniugazione dell’indicativo presente del verbo essere: só (sebbene in alternanza con sono) per la prima persona singolare, ma, soprattutto, l’uso continuo di si’ per la seconda singolare e so’ per la terza plurale. 40 Inoltre nella terza persona singolare è viene affiancato da èy (èi) nonché, nella prima plurale, siamo dagli esiti locali semo (semmo)/ simo. Per la seconda plurale si utilizza coerentemente sete. Si noti anche che la terza persona singolare del perfetto occorre quasi sempre nella forma fo, di nuovo come nel Plinio napoletano. 41 • Per quanto riguarda il congiuntivo, si conferma la funzione di -ecome vocale tematica nella coniugazione in -agià osservata da Rohlfs (1968: § 559, n. 1) per i testi meridionali in generale. Tale fenomeno risulta presente anche in De Rosa e Brancati: 42 adore, chiame, glorifiche, libere, preghe... • Infine segnalo la sporadica presenza delle forme agio e saccio (prima persona dell’indicativo presente di avere/ sapere). 43 37 Cfr. Formentin (1998: 116s.), Barbato (2001: 203s.). 38 Cfr. De Blasi (1986: 384-396, solo attestazioni di -ao), Formentin (1998: 354-358), Barbato (2001: 212ss.), dove, invece, è rappresentato soltanto -io. 39 Barbato (2001: 214), Formentin (1998: 358). 40 Formentin (1998: 369), Barbato (2001: 223). 41 Barbato (2001: 224); ma così anche in De Rosa, cfr. Formentin (1998: 390). 42 Formentin (1998: 361), Barbato (2001: 210s.). 43 Cfr. Formentin (1998: 371, 378), dove però occorre nelle grafie sacczio e sacczo. 157 <?page no="158"?> Matthias Bürgel 2.4 Lessico Sul livello lessicale si osservano le sistematiche sostituzioni dei verbi prendere con pigliare, mirare con guardare e cadere con cascare nonché alcuni casi in cui stare e tenere prendono il posto di essere e di avere. 44 Basti guardare un passo del quindicesimo capitolo del secondo libro: E però sancto Paulo dice: «Non vi ’bricati de vino però che in esso sta luxuria», 45 dove stare si riferisce addirittura a una qualità permanente, 46 nonché un altro del XXXVIII capitolo del primo libro: Niuno noce più ne la Chiesa di Dio che colui lo quale tene loco et stato et vive iniquamente, però che la colpa soa si stende in scandalo de più gente. 47 In ambito nominale troviamo sempre segnore invece di messere. 2.5 Osservazioni conclusive Non sussistono dubbi, quindi, sulla localizzazione della scripta del ms. cavese XVI.301: dobbiamo tale copia dell’Esposizione a un copista dell’area napoletana, che cerca di respingere, in maniera molto simile al modus operandi di Giovanni Brancati (cfr. Barbato 2001: 25), alcuni tratti percepiti come troppo marcati in senso diatopico e diastratico, 48 ma la cui scripta risulta comunque saldamente ancorata nel «sermo quotidianus della Napoli aragonese» (De Blasi/ Vàrvaro 1988: 254s.). Anche l’obiettivo del nostro copista doveva essere, dunque, esprimersi in 44 Cfr. Rohlfs (1968: §§ 733s.); cfr. inoltre Formentin (1998: 447-451). 45 Si confronti il testo dell’ed. Federici: «E però s. Paolo dice. Non vi inebbriate di vino, perocché in lui è lussuria» (Federici 1842: II, 267). 46 Situazione, questa, per cui in De Rosa si ha di regola essere; cfr. Formentin (1998: 450). 47 Si veda di nuovo il testo dell’ed. Federici: «Nullo nuoce più nella Chiesa di Dio, che colui, che ha luogo, e stato di prelazione, e vive iniquamente, perciocché la colpa sua si stende in scandolo di più genti» (Federici 1842: II, 19). 48 Barbato (2001: 25) osserva che in tale maniera Brancati sembra voler opporsi alla variazione diastratica impiegata proprio da De Rosa. In effetti quest’ultimo appartiene a quel gruppo di scrittori della Napoli quattrocentesca presso cui si può constatare una «più libera e fiduciosa adesione [...] al volgare nativo» (Sabatini 1974: 118) rispetto ai loro predecessori dell’epoca angioina, segnata da una soltanto debole presenza di testi classificabili come “municipali” e, invece, da un forte e precoce influsso del modello toscano; cfr. Sabatini (1974: 117-119). 158 <?page no="159"?> Copiare il Cavalca nella Napoli aragonese una lingua «comprensibile in tutto il Regno» (Barbato 2001: 25) e pertanto, possiamo aggiungere, fruibile da un’ampia mole di abbazie della Congregazione ivi presenti. 3 Dal Veneto a SS. Severino e Sossio Mettendo insieme i risultati dell’analisi linguistica e le nostre osservazioni precedenti sulla storia del codice, risulta evidente, dunque, che quest’ultimo fu copiato in un’abbazia campana, diversa dalla Badia di Cava, ma sempre appartenente alla Congregazione di S. Giustina. Possiamo identificare il monastero in questione con quello napoletano dei SS. Severino e Sossio, che già nel 1438 si era aggregato alla congregazione padovana (cfr. Zaggia 2003: 422) e da dove il manoscritto sarebbe potuto passare facilmente ai monaci cavesi. In effetti anche dell’odierno patrimonio librario della Badia fanno ancora parte due incunaboli provenienti dal noto luogo di culto partenopeo. 49 Ma c’è di più: la nota di possesso rielaborata da due mani posteriori che si legge sulla c. 1 r del Cavese XVI.301 (cfr. supra, p. 150) viene seguita da un’ulteriore postilla, eseguita da una quarta mano (δ), sempre su rasura: «In alio n(umer)o p(er) alphabetu(m) †††umer». Tali tracce di una registrazione libraria precedente corrispondono perfettamente alla formula utilizzata nel secondo inventario della biblioteca del monastero dei SS. Severino e Sossio dopo l’aggregazione a S. Giustina, la cui stesura è collocabile proprio alla fine del XV secolo (cfr. Holtz 1990: 235). Basti guardare la nota di possesso del ms. Napoli, Biblioteca Nazionale, Lat. 52, contenente la Historia scholastica di Petrus Comestor e vergato nel 1470, per rendersi conto che quella ricostruibile nel nostro codice per via delle mani α e δ doveva essere del tutto identica: «Iste liber est congregationis Sancte Iustine de Padua deputatus monasterio sancti Seuerini de Neapoli, signatus numéro 153. (Alia manu) In alio numéro per alphabetum in littera H signatus numéro 13» (Holtz 1990: 255). Inoltre si può supporre che al monastero napoletano siano giunti dal Nord- Est non solo, come suggerisce la filigrana, le carte stesse utilizzate per la copia 49 Si tratta degli incunaboli B-5-12, contenente il Catholicon di Giovanni Balbo (Venezia, 1483), e B-2-12, in cui si legge il Confessionale di Bartolomeo de Chaimis (Venezia, 1485). Le note di possesso su entrambi i codici sono state vergate però da una mano che non è identica alla nostra mano α nel ms. XVI.301. Per gli incunaboli dell’abbazia di Cava de’ Tirreni si veda Carleo (2003). 159 <?page no="160"?> Matthias Bürgel dell’Esposizione, ma anche l’antigrafo del testo. Infatti C è latore di alcune spie linguistiche che fanno pensare che il copista si sia servito di un modello veneto. Così bisogna ricordare che le occlusive sorde vengono frequentemente conservate, sebbene non manchino luoghi in cui ci si adegua all’uso toscano. Di fronte a tale situazione, la sonora presente ben due volte in peccadori potrebbe certamente essere classificata come ipercorrettismo, ma si noti che le oltre 200 occorrenze del Corpus OVI per tale forma appartengono in modo compatto a testi settentrionali o semmai tosco-veneti. 50 È invece un elemento lessicale a fornirci la traccia più significativa in merito all’impiego di un antigrafo settentrionale da parte del copista di C. Riscontriamo il termine in oggetto nel capitolo XXII del secondo libro: 51 Onde come lo serpent’ se rinova entrando per uno buso di preta strecto, così Cristo, passando per via strecta de croce, se rinovao resurgendo (ms. Cava de’ Terreni, Biblioteca Statale del Monumento Nazionale Badia di Cava, XVI.301, c. 253 v), dove la parola buso sostituisce quella di pertuso, tramandataci, come ha dimostrato la collazione del passo in oggetto, dalla tradizione restante: 52 [...] unde si dice che ’l serpente si rinovella intrando per un pertuso stretto di pietra; e così Cristo per via stretta di Croce passando si rinovelloe resurgendo. Il termine pertuso non doveva creare difficoltà interpretative a un copista napoletano, date le occorrenze sia in De Rosa che nel Libro de la destructione de Troya. 53 Sarà inoltre degno d’interesse il fatto che, come dimostra una ricerca sul Corpus OVI, la parola sia presente in vari testi pisani trecenteschi, fra cui anche le Vite de’ Santi Padri cavalchiane. 54 Tutte le occorrenze del Corpus OVI per buso/ busi, in- 50 La ricerca è stata eseguita su “pec*ador*” e ha dato 243 occorrenze. 51 Cfr. per quanto segue anche Bürgel (2018: 56s.). Normalizzo u/ v e introduco la punteggiatura nonché i segni diacritici secondo l’uso moderno. 52 Cito, per indicare la convergenza lessicale degli altri testimoni, dalla mia edizione critica in fieri. Si confronti comunque il testo dell’ed. Federici: «Onde si dice, che il serpente si rinnovella entrando per un pertuso stretto di pietra, e così Cristo per via stretta di croce passando, si rinnovellò risorgendo» (Federici 1842: II, 347). 53 Infatti, il Glossario al Libro de la destructione de Troya indica come significato proprio buco, cfr. De Blasi (1986: 434). 54 Sono due le occorrenze nel testo: «per un pertuso che v’era ricevea le cose necessarie» (Cavalca 2009: 777), «viddi molte formiche intrare e uscire per uno stretto pertuso» (2009, 1360). Si noti che, nel primo caso, due dei testimoni fiorentini del testo sostituiscono pertuso rispettivamente con luogho (ms. BNCF, Magl. XXXVIII) e buco (ms. BNCR, Vitt. Em. 1189); cfr. Cavalca (2009: 777). 160 <?page no="161"?> Copiare il Cavalca nella Napoli aragonese vece, rimandano all’Italia settentrionale. Infatti la parola è attestata nei Memoriali bolognesi, nella Parafrasi pavese del “Neminem laedi...”, nel frammento bolognese del Milione, nel Serapiom (volgarizzamento padovano), nel volgarizzamento della Consolatio Philosophiae attribuito a Bonaventura di Demena e nella redazione veneta della Navigatio Sancti Brendani. Pertanto sembra del tutto improbabile che tale parola sia stata introdotta in C in virtù di un intervento autonomo da parte del copista. Ci troviamo dunque di fronte a una lezione in cui si riflette in maniera condensata la storia della tradizione del testo dell’Esposizione: il trattato del frate predicatore di Vico Pisano raggiunse il Veneto in una veste (testuale e linguistica) ancora alquanto vicina a quella originale, fu diffuso nella seconda metà del Quattrocento dai benedettini della Congregazione di S. Giustina e giunse attraverso tale canale anche al monastero napoletano dei SS. Severino e Sossio. Quest’ultimo passaggio avvenne attraverso un manoscritto ancora esemplato nel Veneto stesso, la cui copia, però, confezionata forse su carte importate sempre dalle regioni del Nord-Est, fu realizzata da un copista partenopeo. In effetti tale trafila di copisti e di codici viene suffragata dai dati ecdotici alla nostra disposizione: B (Bergamo, Biblioteca Civica Angelo Mai, MA 596), il testimone collaterale di C, è di sicura provenienza settentrionale, essendo latore di una patina linguistica che rimanda all’area di confine tra il Veneto e l’Emilia. 55 Come si evince dalla nota di possesso, si tratta di un codice comprato dal convento agostiniano di S. Barnaba a Brescia e quindi di un manufatto nato da un processo di riproduzione piuttosto meccanico che si distingue in modo netto dai testimoni P, C e T, realizzati tutti con molta cura, sia per quanto riguarda l’assetto esteticomateriale, sia per quanto riguarda l’attenzione dedicata alla trasmissione del testo stesso. Di fronte a tale osservazione è del tutto inverosimile che l’intera mole delle ben 85 omissioni per saut du même au même (numero, questo, molto cospicuo, a maggior ragione tenendo presente che lo stesso B è gravato “soltanto” da 40 errori di tale tipo; Bürgel 2018: 40, 57) sia da addebitare al nostro copista campano, che, invece, risulta un amanuense evidentemente colto e persino dotato di notevoli capacità in merito all’invenzione di lezioni plausibili in luogo di corruttele testuali. In effetti talvolta si dimostra persino in grado di emendare correttamente ex fonte, come, per esempio, nel caso di un passo del XXVI capitolo del primo libro: 55 Cfr. Bürgel (2018: 55); per la parentela fra B e C Bürgel (2018: 49-51). 161 <?page no="162"?> Matthias Bürgel Vero Dio, sulo Immortale, unico Lume, vero Sole, unico Pane, unica Vita, unico Bene, unico Principio et Fine et unico Creatore del celo et de la terra (ms. Cava de’ Terreni, Biblioteca Statale del Monumento Nazionale Badia di Cava, XVI.301, c. 80 r) All’interno del ramo α (che raggruppa le due sottofamiglie consistenti rispettivamente di PY e BC; cfr. Bürgel 2018: 37-41), C è l’unico testimone ad avere pane, lezione, questa, non soltanto difficilior, ma soprattutto corroborata, appunto, dalla fonte pseudo-agostiniana dei Soliloquia animae ad Deum: [...] verum Deum, solum sanctum, immortalem, invisibilem, incommutabilem, inaccessibilem, imperscrutabilem, unum lumen, unum solem, unum panem, unam vitam, unum bonum, unum principium, unum finem, unum creatorem coeli et terrae [...] (Migne 1861: 892) Così le 85 omissioni per saut du même au même del codice originariamente del monastero dei SS. Severino e Sossio comprovano che quest’ultimo doveva essere l’ultimo anello di una folta serie di copie dell’Esposizione, che, data la fisionomia della tradizione pervenutaci, va giocoforza collegata all’epicentro veneto della Congregazione e alla diffusione del testo cavalchiano ivi avviata. Riferimenti bibliografici Barbato, Marcello (2001): Il libro VIII del Plinio napoletano di Giovanni Brancati. Napoli: Liguori (= Romanica Neapolitana 32). Barile, Elisabetta (1999): «La biblioteca quattrocentesca di Santa Giustina di Padova». In: Canova Mariani, Giordana/ Ferrara Vettore, Paola (a c. di): Calligrafia di Dio. La miniatura celebra la parola. Modena: Panini, 59-64. Bastianetto, Sebastiano ( 2 1986): «Cavalca, Domenico». In: Branca, Vittore (dir.): Dizionario critico della letteratura italiana. Vol. I: A-Col. Torino: UTET, 561-563. Bianchi, Patricia/ De Blasi, Nicola/ Librandi, Rita (1993): Storia della lingua a Napoli e in Campania. I’ te vurria parlà. 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This is proved by a detailed linguistic analysis of the manuscript, which leads to an individuation of several Neapolitan traits of the Aragonian period, and an exam of the note of possession, which was modified when the codex passed to the monastery in Cava. From an ecdotic point of view, the Campanian copist reveals a notable capacity in correcting textual errors. Biographical sketch: Matthias Bürgel studied Romance Philology in Cologne and Florence. He obtained a Ph.D. in Italian Literature at the Universities of Bonn, Florence and Paris. He taught at the Universities of Cologne, Gießen, Düsseldorf and Brno. From 2015 to 2017 he was Piscopia-Marie-Curie-Fellow at the University of Padua. In 2018 and 2019 he was Research Fellow at the German Centre of Venetian Studies. In 2020 and 2021 he worked for the linguistic project Gebrauchsbasierte Phraseologie des Italienischen (financed by the DFG) at the University of Düsseldorf. Since October 2021 he is Research Assistant at the University of Erlangen. 166 <?page no="167"?> Rembert Eufe * / Stephan Lücke ** Italienisch in deutschen Stammbüchern der Frühen Neuzeit 1 Einleitung Der vorliegende Beitrag hat den Gebrauch des Italienischen in einer sich ab dem 16. Jh. in Mitteleuropa rasch verbreitenden, von der romanistischen Sprachwissenschaft jedoch bisher nicht untersuchten Textform zum Gegenstand, nämlich in Einträgen in Stammbüchern. Bei Letzteren handelt es sich um Büchlein, in denen sich Kommilitonen, Freunde und Verwandte, aber auch zeitgenössische Honoritäten und Berühmtheiten mit Denksprüchen und Widmungen verewigten. Diese sind in verschiedenen Sprachen verfasst, unter denen das Italienische eine der häufigsten darstellt. Somit geben die Stammbücher Aufschluss über die movimenti des Italienischen in das Europa nördlich der Alpen, darüber hinaus auch über die movimenti derjenigen, die die Stammbücher bei ihren Ortswechseln mitführten oder sich darin eintrugen und dabei offensichtlich gerne das Italienische verwendeten. Im vorliegenden Beitrag soll aufgezeigt werden, was sich aus den Stammbucheinträgen mit Italienisch bis 1798 aus der Sammlung der Herzogin Anna Amalia Bibliothek in Weimar über die deutsch-italienischen Kontakte und den Status und Gebrauch des Italienischen in Mitteleuropa während der Frühen Neuzeit herauslesen lässt. Nach einigen einführenden Bemerkungen zur Entstehung der Stammbuchsitte und zur Struktur der Einträge in Abschnitt 2 bestimmen wir in Abschnitt 3, wie das Italienische und andere romanische Sprachen in den Einträgen der Weimarer Sammlung bis 1798 vertreten sind. Anschließend setzen wir in Abschnitt 4 die Einträge mit Italienisch in Beziehung zu den Eintragsorten besonders in Italien, um * Eberhard Karls Universität Tübingen. ** Ludwig-Maximilians-Universität München. 167 <?page no="168"?> Rembert Eufe/ Stephan Lücke Tendenzen des Kontakts mit dem Italienischen herauszuarbeiten. Nach diesen eher quantitativ orientierten Analysen thematisieren wir in Abschnitt 5 das Italienisch der Stammbucheinträge anhand einiger besonders markanter Beispiele qualitativ, um so den weiteren Nutzen dieser Quellenform für die Italianistik vor Augen zu führen. 2 Die Sammelform Stammbuch Heutzutage erweckt die Bezeichnung „Stammbuch“ leicht Missverständnisse, weil sie irrtümlicherweise an die als Familienstammbücher bekannten privaten Sammlungen von Personenstandsurkunden denken lässt. Sie setzte sich jedoch bereits im 16. Jh. gegenüber eigentlich treffenderen Bezeichnungen wie „Freundschaftsbuch“, „Philothek“ oder „album amicorum“ (ihre Bezeichnung in vielen anderen Sprachen) durch und bereichert bis heute den deutschen Wortschatz mit der Redewendung jmdm. etwas ins Stammbuch schreiben. Diese Sammelform entstand ab Mitte der 1530er Jahre in Wittenberg aus Eintragungen reformatorischer Theologen zur Erinnerung in Bücher ihrer Schüler, allerdings nicht ohne von anderen Traditionen wie den Wappen- und Gästebüchern des Adels beeinflusst zu werden (Schnabel 2003: 244-274, 2013: 218-224). Ab den 1550er Jahren breitete sie sich in andere deutsche Universitäts- und Handelsstädte aus, ferner auch in andere Länder, insbesondere die Niederlande und nach Skandinavien, nicht jedoch in die Romania. Trotz ihres Vorkommens in angrenzenden Regionen blieb das Führen eines solchen Albums ein weitgehend deutsches Phänomen, das bisweilen im Ausland für Spott sorgte (Schnabel 2003: 509ff.). Stammbücher wurden bis zum 18. Jh. vor allem in zwei - sich vielfach überschneidenden - Milieus geführt, denen des Adels sowie der Studenten und Gelehrten, ehe sie sich im 19. und 20. Jh. zu den Poesiealben und Freundschaftsbüchern von Kindern und Jugendlichen entwickelten. Möglicherweise wegen ihrer Entstehung im Umkreis der lange ausschließlich von Männern besuchten Universitäten überwogen diese lange bei weitem unter den Stammbucheinträgern und -haltern. 1 1 Daher werden im vorliegenden Beitrag ausschließlich die maskulinen Wortformen für diese Rollen verwendet. Zu Alben von adligen Frauen vgl. etwa Schnabel (2013: 309ff.) und Reinders (2017). 168 <?page no="169"?> Italienisch in deutschen Stammbüchern der Frühen Neuzeit Die Entstehung der Stammbuchsitte aus Einträgen in gedruckte Bücher macht der zwischen 1587 und 1589 auf Italienisch und Lateinisch verfasste Eintrag im Stammbuch des Jura-Studenten Johannes Schermarius aus Ulm nachvollziehbar (Abbildung 1), der dem schwäbischen Grafen Albrecht VII. Schenk von Limpurg zuzuschreiben ist. Der Eintrag findet sich in einem durchschossenen, also mit eingebundenen Leerseiten versehenen Druck von 1584 der 1531 erschienenen Emblemata des lombardischen Humanisten und Juristen Andrea Alciato (1492-1550) - eines Werkes, das wiederum selbst als eine der vielen Quellen für die Denksprüche der Einträge eine wichtige Rolle spielte. Abbildung 1: Eintrag des Albrecht VII. Schenk von Limpurg im Stammbuch von Johannes Schermarius 2 2 Herzogin Anna Amalia Bibliothek (HAAB), PPN-Nr. 892807407, ⟨ https: / / haab-digital.klassik-stif tung.de/ viewer/ image/ 1326678515/ 31 ⟩ ; letzter Zugriff: 27.09.2024. 169 <?page no="170"?> Rembert Eufe/ Stephan Lücke Ab ca. 1600 ändert sich das Erscheinungsbild der Stammbücher entscheidend, weil statt des hier vorliegenden Hochformats das Queroktavformat zu überwiegen beginnt. Beibehalten wird jedoch die bereits hier klar erkennbare zweigeteilte Textstruktur der Einträge: • Den unteren Teil des Eintrags bildet die eigentliche Widmung, die Dedicatio, die auf einen Namen verkürzt sein kann. Zum großen Glück für die Forschung enthält sie meistens auch Eintragsort und -datum. Explizit oder implizit lassen sich auch Informationen über die Beziehung des Einträgers zum Stammbuchhalter ermitteln. 3 Die für die Widmung gewählte Sprache stellt „gewissermaßen die Grundsprache“ (Ludwig 2012: 63) des Eintrags dar (v.a. Latein und Deutsch, ebd.). • Den oberen Teil des Eintrags nimmt ein „für den Stammbuchbesitzer eingetragene[s] sinnhafte[s] Textstück“ (Ludwig 2012: 63) mit einer appellativmanifestierenden Funktion ein. Es besteht aus einem häufig belehrenden Sprichwort oder aus einem literarischen Zitat, einer Sentenz oder einer ähnlichen festen Wendung. Oft gehen diese auf die Bibel, die Kirchenväter oder antike Philosophen zurück, können aber auch etwa dem Werk eines neuzeitlichen Autors entnommen sein. In der Stammbuchforschung wird sowohl die Auffassung vertreten, dass die Wahl des Sinnspruches in Abhängigkeit zum Stammbuchbesitzer stehe, als auch dass sie einer Selbstdarstellungsfunktion des Einträgers verpflichtet sei (vgl. dazu Schnabel 2003: 58-101, 170-176). 4 Dieses Grundschema kann auf vielfältige Weise variiert werden; beispielsweise enthalten manche Stammbucheinträge mehrere Denksprüche (teils in verschiedenen Sprachen), während umgekehrt auch mehrere Widmungen unter einem Denkspruch notiert sein können. Zusätzlich weist sich der Einträger oft durch ein oben oder an der Seite ergänztes persönliches Motto aus, das vielfach als Buch- 3 Lange Zeit wurde seitens der Forschung den Widmungen nur wenig Beachtung geschenkt, in (gedruckten) Stammbucheditionen wurden sie nicht selten ganz weggelassen. In der neueren Forschung wurde erkannt, dass ihr Aussagewert weitaus größer ist, als die formelhaft und stereotyp anmutenden Passagen vermuten lassen (Schnabel 2003: 89). Umfassend untersucht werden Widmungspassagen bei Schulz (in Vorb.), wo auch ein Klassifikationssystem für die Beziehung des Einträgers zum Stammbuchhalter vorgeschlagen wird. 4 Dieses Spannungsfeld kann hier nicht ausführlich beleuchtet werden, vgl. dazu aber Schulz (in Vorb.). 170 <?page no="171"?> Italienisch in deutschen Stammbüchern der Frühen Neuzeit stabenfolge 5 abgekürzt oder explizit mit „symbolum“ oder „symb.“ als solches gekennzeichnet ist. Hinzu kommen bildliche Darstellungen wie einfache Symbole (z.B. Herzen oder Blattwerk), mehr oder weniger kunstvoll ausgestaltete Wappen, Zeichnungen oder Schattenrisse, ferner Noten (Ursprung der Musikform Albumblatt mit Ludwig van Beethovens Für Elise als berühmtestem Vertreter), in späterer Zeit sogar Haarlocken und künstlerisch gestaltete Gegenstände. Sie machen die Stammbücher zu gemischtmedialen Objekten, die dadurch seit Längerem auch das Interesse der Kunstgeschichte und Musikwissenschaft geweckt haben (z.B. Sapori 2019 bzw. Rost 2020). Für die Zeichnungen konnten die Dienste von darauf spezialisierten Künstlern in Anspruch genommen werden 6 und schon im 16. Jh. gab es Seiten oder ganze Bücher mit vorgefertigten Rahmen etwa für Wappen. Dieser Umstand ist außerdem ein Indiz für die große Verbreitung der Stammbuchsitte, denn solche Angebote dürften sich nur bei einer ausreichenden Größe des anvisierten Marktes gelohnt haben. 3 Die Stammbucheinträge mit Italienisch der Weimarer Sammlung Stammbücher sind in unübersehbar großer Zahl in Bibliotheken und Archiven im In- und Ausland erhalten, 7 was das Repertorium Alborum Amicorum (RAA, Schnabel 1998-2024) als zentrale Datenbank mit Nachweisen von derzeit 27.560 Stammbüchern und 351.019 Stammbucheinträgen vor Augen führt. In dieser Datenbank sind auch die wichtigsten im Netz einsehbaren Sammlungen und Pro- 5 Viele dieser oft schwer aufzulösenden Buchstabenfolgen sind in von Stechow (1996) aufgelistet. Der Autor gibt auch italienische Denksprüche wieder, die jedoch oft der Korrektur bedürften (auch weil es sich manchmal um spanische handelt oder umgekehrt italienische Denksprüche als spanisch eingeordnet sind). 6 Das belegen Formulierungen wie „Haec scripsit, (et) pingi curavit. . . “ ‘Dies schrieb und ließ malen. . . ’ (vgl. so im Eintrag von Daniel Schad auf Blatt 53a des Stammbuches seines Vetters Hans Albrecht Schad vom 22.12.1602; HAAB, PPN-Nr. 870915975, ⟨ https: / / haab-digital.klassik-stiftung.d e/ viewer/ image/ 1252152558/ 33/ LOG_0012 ⟩ ; letzter Zugriff: 27.09.2024). 7 Außer in öffentlichen Sammlungen befindet sich eine nicht unerhebliche Zahl an Alben auch in Privatbesitz. Sie werden als Sammelobjekte immer wieder im Auktionshandel angeboten, wodurch nicht selten verloren geglaubte Alben wieder in die öffentliche Wahrnehmung treten. Als Beispiel sei hier das kürzlich vom Münchner Stadtmuseum erworbene Stammbuch des Otto von dem Bongart mit zahlreichen Einträgen aus Padua und Siena erwähnt (Münchner Stadtmuseum 2023). 171 <?page no="172"?> Rembert Eufe/ Stephan Lücke jekte der letzten Jahre erfasst, unter denen die durch Johann Wolfgang von Goethe begründete und inzwischen weltweit größte Sammlung von Stammbüchern der Herzogin Anna Amalia Bibliothek in Weimar herausragt. 8 Sie umfasst derzeit gut 1.600 Stammbücher aus der Zeit von ca. 1550-1950 mit über 33.000 Stammbucheinträgen, von denen diejenigen bis 1740 mit Ausläufern bis 1798 im Rahmen des von 2012-2019 geförderten DFG-Projekts Nr. 214052081 Erschließung und Digitalisierung der Stammbuchsammlungen der Herzogin Anna Amalia Bibliothek Weimar, der Universitätsbibliothek Tübingen und des Universitätsarchivs Tübingen: Die frühneuzeitlichen Stammbücher von 1550 bis 1740 einzeln katalogisiert und digitalisiert wurden (Klassik Stiftung Weimar 2023). Dabei wurden auch die in den Einträgen verwendeten Sprachen mit Sprachcodes nach dem Abkürzungssystem ISO 639-2/ B (vgl. SIL International) erfasst, was es uns erlaubte, die 654 Stammbucheinträge herauszufiltern, in denen das Italienische vorkommt. Wie aus Tabelle 1 hervorgeht, befindet sich das Italienische damit immerhin an sechster Stelle der meistverwendeten Sprachen der Stammbücher. Sprache Einträge Sprache Einträge 1. Latein 26.765 5. Hebräisch 976 2. Deutsch 8.173 6. Italienisch 654 3. Altgriechisch 2.671 7. Arabisch 74 4. Französisch 2.209 8. Spanisch 71 Tabelle 1: Sprachen der erfassten Stammbucheinträge der Weimarer Sammlung bis 1798 9 8 Im Rahmen des nachfolgend genannten DFG-Projekts wurde die Stammbuchsammlung der UB Tübingen mit 46 Stammbüchern miterfasst (UB Tübingen 2023). Erwähnt seien ferner die Stammbücher und Stammbuchfragmente der Stadtbibliothek Nürnberg, erfasst in Schnabel (1995), der British Library (Zöllner 1968), die Sammlung der UB Uppsala mit ca. 150 Stammbüchern (UB Uppsala 2023) sowie auch diejenige der Württembergischen Landesbibliothek in Stuttgart (Losert 2017). Eine vorbildliche Tiefenerschließung der Einträge bietet die Datenbank für Hungarica- Einträge IAA (Latzkovits 2003-2023). 9 In 360 Einträgen lässt sich keine Sprache erkennen, weil sie nur aus Abbildungen oder Ähnlichem bestehen. Für die komplette Tabelle mit allen über 30 Sprachen der Weimarer Sammlung vgl. Eufe/ Lücke/ Schulz (im Druck). Im Zuge der Arbeit mit den Stammbucheintragungen werden immer wieder kleinere, angesichts des Gesamtumfangs des Materials unvermeidbare, Versehen im Datenbestand erkannt und korrigiert, wodurch sich die Zahlen im Detail immer wieder leicht verändern können. Auf der Seite ⟨ https: / / www.dh-lehre.gwi.uni-muenchen.de/ ? p=257275 ⟩ können die jeweils aktuellen Zahlen und darauf aufsetzende Kartierungen eingesehen werden. 172 <?page no="173"?> Italienisch in deutschen Stammbüchern der Frühen Neuzeit Darüber hinaus sind viele Einträge (Textteil und Widmung) auch in sich mehrsprachig, denn 25.762 und damit rund drei Viertel von ihnen beschränken sich auf eine Sprache, das übrige Viertel jedoch weist zwei bis acht verschiedene Sprachen pro Eintrag auf. 10 Wegen dieser häufigen Mehrsprachigkeit können in den hier untersuchten Einträgen neben dem Italienischen also auch andere Sprachen verwendet worden sein - es geht im Folgenden daher um alle Einträge mit Italienisch, nicht nur um solche ausschließlich auf Italienisch. Darüber hinaus geben die genannten Zahlen der Weimarer Sammlung keine Auskunft darüber, wie lang die Passagen in den Sprachen jeweils sind, ob es sich also lediglich um Einzelwörter oder aber um umfangreichere Abschnitte handelt. Ebenso wenig wird klar, an welcher Stelle die Sprachen in den Einträgen auftreten, ob sie also für die Widmungen verwendet sind (und damit wie oben zitiert als ‚Grundsprache‘ eines Eintrags), für die Denksprüche oder für weitere Eintragselemente wie persönliche Motti oder Bildlegenden. Dass das Italienische in den Stammbüchern erscheint, verwundert an sich nicht angesichts der Tatsache, dass diese mit ihren Haltern selbst in Bewegung waren. In gewisser Weise war die Dokumentation von Bewegungen sogar einer ihrer Hauptzwecke, was auch den Sinn der Ortsangaben der Einträge erklärt, denn die Stammbücher wurden besonders während eines Studiums und auf Reisen gepflegt. Die historische Forschung hat ausführlich nachgewiesen, dass es sich dabei keineswegs um sporadische Erscheinungen handelte. 11 So war es in der Frühen Neuzeit unter jungen Adligen üblich, eine mehrmonatige sogenannte Kavalierstour oder Grand Tour zu unternehmen, vor allem nach Frankreich und Italien. Dies diente insbesondere zum Knüpfen politischer Kontakte, zur Einübung höfischer Kommunikation und zum Kennenlernen des Zeremoniells verschiedener Höfe, schloss aber ebenso Besuche kulturell und historisch bedeutsamer Sehenswürdigkeiten ein. Durch die wachsende bürgerliche Konkurrenz in Staat und Verwaltung im ausgehenden 16. Jh. waren adlige Zöglinge zunehmend dazu angehalten, sich juristischen Studien zu unterziehen und neues Wissen zu erwerben (Heiss 1986: 681). 10 6.930 Einträge zeigen zwei Sprachen, 629 drei Sprachen, 60 vier Sprachen, 15 fünf Sprachen, vier weisen sechs verschiedene Sprachen auf, zwei sieben Sprachen und einer acht Sprachen. Die Mehrsprachigkeit der Einträge dürfte faktisch noch etwas ausgeprägter sein, da wir gelegentlich auf Passagen in den Einträgen stoßen, deren Sprache im Katalog falsch oder noch nicht erfasst ist. 11 Aus Gründen des Umfangs beschränken wir uns hier auf einige kurze zusammenfassende Bemerkungen, zumal zu diesem Thema eine umfangreiche Forschungsliteratur vorliegt, von der hier nur Babel/ Paravicini (2005) und Bender (2011) genannt seien. 173 <?page no="174"?> Rembert Eufe/ Stephan Lücke Daneben gewannen mit dem Aufstieg des Bürgertums dessen Bildungsreisen an Gewicht, wie es in der Person von Johann Wolfgang von Goethe als dem wohl bekanntesten Italien-Reisenden augenfällig wird. Die Einreise nach Italien erfolgte entweder von Nordwesten aus Frankreich oder der Schweiz über Turin oder Mailand oder aber von Nordosten über den Brenner und Venedig. Die Hauptroute dieser Reisen führte dann nach Florenz und weiter nach Rom bis Neapel (vgl. die Karte mit einigen Reiserouten in Bender 2011: 393). Vor diesem Hintergrund wäre zu erwarten, dass Stammbucheinträge mit Italienisch dort entstanden, wo dieses als Muttersprache gesprochen wird, also in Italien, etwa wenn dort Reisende von nördlich der Alpen mit Einheimischen in Kontakt kamen. Dass dies jedoch nicht der einzige Anlass für den Gebrauch des Italienischen in den Stammbüchern war, legt Karte 1 mit allen Italienisch-Einträgen in den Stammbüchern bis 1798 der Weimarer Sammlung nahe. 12 Zwar zeichnet sich der genannte Hauptreiseweg von Florenz nach Neapel dort durchaus ab, jedoch nicht so stark, wie man es angesichts der kulturellen, historischen und politischen Bedeutung dieser Zentren vielleicht erwarten würde. 12 Die Karte wurde mit dem Programm QGIS erzeugt (vgl. zur Bearbeitung der Daten ausführlicher Eufe/ Lücke/ Schulz im Druck). Sie verdeutlicht das grundsätzliche Problem der Symbolüberlagerung auf gedruckten Karten. Die Größe der Diagrammkreise korreliert mit der logarithmierten (Basis = 1,2) Gesamtanzahl der Belege pro Ort (Zahl im Kreis). Abgebildet sind die insgesamt 99 Orte, an denen Stammbucheinträge mit italienischen Passagen verfasst worden sind. Zusätzlich zu den insgesamt 557 lokalisierbaren Stammbucheinträgen existieren 97 weitere Einträge mit Italienisch, die nicht verortet werden konnten, da sie sine loco verfasst sind und sich auch keine Ortsangabe aus den Daten der anderen Einträge erschließen lässt. Zum Anteil derjenigen mit Italienisch an den Einträgen in allen Sprachen der wichtigsten Orte vgl. unten, S. 180, Tabelle 3. Die Ortskürzel sind wie folgt aufzulösen: Ale: Aleppo; Als: Altensteig; Alt: Altdorf; Ams: Amsterdam; Aug: Augsburg; aWR: Auf dem Weg nach Rom; Bal: Balingen; Bas: Basel; Ber: Berlin; Blo: Blois; Bou: Bourges; Boz: Bozen; Brl: Breslau; Brs: Brescia; Brü: Brüssel; Bur: Burgfarrnbach; Cob: Coburg; Dam: Damaskus; Dan: Danzig; Del: Delmenhorst; Den: Den Haag; Din: Dinkelsbühl; Dre: Dresden; Eis: Eisenach; Erf: Erfurt; FfM: Frankfurt/ Main; Flo: Florenz; Für: Fürth; Gen: Genf; Ger: Gera; Gie: Gießen; Gle: Gleiß (Niederösterreich); Gol: Goldberg; Gre: Greifswald; Gro: Groningen; Grü: Grünstädtel; Gth: Gotha; Gun: Gunzenhausen; Had: Hadrianopolis Thracum (Edirne); Hal: Halle; Ham: Hamburg; Han: Hanau; Hei: Heidelberg; Hel: Helmstedt; HnM: Hannoversch Münden; Hor: Hormus; Inn: Innsbruck; Jen: Jena; Kar: Karlstein; Kas: Kassel; Kem: Kempten; Kon: Konstantinopel; Kra: Krakau; Lei: Leiden; Lin: Linz; Lon: London; Lpz: Leipzig; Luc: Lucca; Lyo: Lyon; Mai: Mailand; Mar: Marburg; Mem: Memmingen; Mon: Montpellier; Mou: Moulins; Mün: München; Nau: Naugard (Nowogard); Nea: Neapel; Nür: Nürnberg; Orl: Orléans; Oxf: Oxford; Pad: Padua; Par: Paris; Pis: Pisa; Poi: Poitiers; QuH: Quartier Haßlach; Reg: Regensburg; Rom: Rom; Rov: Rovereto; Sal: Salzburg; Sie: Siena; Spe: Speyer; Sta: Stauff; Ste: Steyr; Str: Straßburg; Stu: Stuttgart; SwH: Schwäbisch Hall; Tri: Trier; Tüb: Tübingen; Ulm: Ulm; Ven: Venedig; Ver: Verona; Wal: Waldenburg; Wef: Weifa; Wei: Weimar; Wie: Wien; Wil: Wilflingen; Wit: Wittenberg; Zei: Zeitz; Zir: Zirndorf. 174 <?page no="175"?> Italienisch in deutschen Stammbüchern der Frühen Neuzeit Karte 1: Stammbucheinträge mit Italienisch aus den Jahren 1571-1798 der Weimarer Sammlung 175 <?page no="176"?> Rembert Eufe/ Stephan Lücke Karte 1 zeigt eine gewisse Dichte von Einträgen mit Italienisch in Nord- und Mittelitalien, sie ballen sich jedoch am stärksten im Süden des deutschen Sprachgebiets. Darüber hinaus sind auch solche aus Polen, den Niederlanden, Belgien und England zu erkennen, während diejenigen aus dem Orient 13 angesichts der Bedeutung des Italienischen im östlichen Mittelmeerraum kaum überraschen (vgl. dazu Baglioni 2023). Erstaunlich viele Einträge mit italienischen Anteilen sind außerdem in Frankreich entstanden, was damit zusammenhängt, dass Reisen nach Italien häufig auch durch Frankreich führten und diejenigen, die Italienisch lernten, sich oft auch das Französische aneigneten oder bereits über Kenntnisse darin verfügten. Diesen Gesamteindruck verstärkt Tabelle 2 (vgl. S. 178f.) mit der Auflistung der 99 Eintragsorte nach der Anzahl der jeweils dort entstandenen Einträge mit italienischen Anteilen. Die weitaus größte Zahl an Einträgen mit Italienisch zeigt die Handelsmetropole Nürnberg, gefolgt von der nahe gelegenen Universitätsstadt Altdorf. Auf sie folgen die beiden nordostitalienischen Zentren Padua und Venedig. Damit scheinen sich in den Einträgen die aus der Wirtschafts- und Kulturgeschichte bekannten engen Verbindungen zwischen Nürnberg und Venedig niederzuschlagen (vgl. dazu Kapp/ Hausmann 1991 und Pfotenhauer 2016). Für die deutlichen quantitativen Ballungen im italienischen Nordosten ist außerdem ein weiterer entscheidender Faktor zu berücksichtigen: Kavalierstouren nach Italien konnten Aufenthalte an den dortigen Universitäten umfassen und nahmen damit ein Element der in das Mittelalter zurückreichenden Tradition der peregrinatio academica auf, dem Studium an einer weit entfernten, oft im fremdsprachlichen Ausland liegenden Universität. Während im 14. Jh. Bologna wegen der Vermittlung des Römischen Rechts für Jurastudenten die größte Anziehungskraft ausübte, stellte ab dem 15. Jh. Padua das beliebteste Ziel für Studenten aus Mitteleuropa dar, gefolgt von Pavia und Siena. 14 Die Vorliebe für Padua erklärt sich zum einen durch die relative geographische Nähe, im Falle der Protestanten außerdem durch die Zugehörigkeit zur Republik Venedig, denn die Serenissima beharrte gegenüber Rom auf einer gewissen Unabhängigkeit und galt in religiösen Fragen als libera- 13 Die Einträge aus Edirne, Aleppo, Damaskus, Tripoli und Hormus (aus den Jahren 1587-1590) finden sich allerdings alle in ein- und demselben Stammbuch, dem des österreichischen Adligen und Literaten Hans Christoph Teufel von Guntersdorf (vgl. zu dessen Reise in den Orient Prokosch 2019). 14 Auch die Zahl der deutschen Studenten in Siena war beachtlich: Die Matrikeln der dortigen Natio Germanica der Jahre 1573-1738 bieten 10.589 Einträge (Weigle 1962). 176 <?page no="177"?> Italienisch in deutschen Stammbüchern der Frühen Neuzeit ler. Zum anderen war gegenüber anderen Universitätsstädten die Nähe zu Venedig von Vorteil wegen der dortigen Unterhaltungsmöglichkeiten sowie der Möglichkeit, über das dort bestehende Handelsnetz Kontakt ins Heilige Römische Reich zu halten und dank des Wechselgeschäfts an liquide Finanzmittel zu gelangen. Einen Eindruck von der beachtlichen Zahl der Studenten aus dem Norden vermitteln die Matrikeln der Natio Germanica: Die Edition derjenigen der Artistenfakultät von 1553-1721 bietet 4.302 Einträge (Rossetti 1986), die derjenigen der Juristenfakultät von 1546-1605 6.045 Einträge und die daran anschließenden von 1605-1801 insgesamt 6.586 Einträge (Dalla Francesca Hellmann 2007/ 08). 15 Beide Nationes verfügten über Bibliotheken, von denen die der Artistenfakultät ein reichhaltiges Angebot an Lehrwerken der wichtigsten modernen Sprachen bereithielt, besonders auch des Italienischen: „La centralità delle lingue moderne è testimoniata dalla folta presenza di strumenti didattici quali grammatiche, dizionari, raccolte di sentenze e colloqui“ (Pietrobon 2021: 171). Die farbliche Unterscheidung der drei Jahrhunderte in Karte 1 lässt eine Verengung des Gebiets der Einträge mit Italienisch vom 17. Jh. (rot) zum 18. Jh. (gelb) erkennen, mit einer stärkeren Konzentration zur Mitte hin, also auf Norditalien und Süd- und Mitteldeutschland. Dies lässt sich als Indiz dafür interpretieren, dass das Italienische im 18. Jh. als überregionale Verkehrs- und Handelssprache an Bedeutung verloren haben könnte - allerdings wäre erst auszuschließen, dass sich in dieser Verengung nicht eine Tendenz der Weimarer Stammbuchsammlung insgesamt manifestiert. Auch in anderer Hinsicht müssen die Eintragszahlen für ihre weitere Auswertung zu den Grundtendenzen der gesamten Weimarer Sammlung in Beziehung gesetzt werden: Eine hohe Zahl an Einträgen mit Italienisch kann sich möglicherweise schlicht dadurch erklären, dass ein Ort allgemein besonders gut in der Weimarer Sammlung vertreten ist, also durch eine hohe Zahl von Einträgen in allen Sprachen zusammen. So überrascht etwa die Bedeutung von Jena als einer der am nächsten zu Weimar gelegenen bedeutenden Universitätsstädte nicht. Hinzu kommt, dass als Grundstock der Weimarer Sammlung 1805 die 275 Stammbücher des Ulmer Buchdruckers Christian Ulrich Wagner erworben wur- 15 Zu den Nationes und besonders der Natio Germanica an der Universität Padua vgl. zusammenfassend Rossetti (1985: 37-41), die für die Jahre 1546-1630 die Zahl von 10.536 deutschen Studenten nennt (1985: 45). Beeindruckend sind bereits die vielen Studenten aus Franken in Padua während des 15. Jh., zusammengestellt in Bauer (2012), darunter die Humanisten Willibald Pirckheimer und Hartmann Schedel. Weitere Studien dieser Art auch für das 16. und 17. Jh. sind unerlässlich für die Untersuchung der deutsch-italienischen Kontakte. 177 <?page no="178"?> Rembert Eufe/ Stephan Lücke Zahl der Eintragsort Einträge 76 Nürnberg (16. Jh.: 2; 17. Jh.: 61; 18. Jh.: 13) 42 Altdorf (17. Jh.: 29; 18. Jh.: 13) 38 Padua (16. Jh.: 8; 17. Jh.: 30) 32 Venedig (16. Jh.: 2; 17. Jh.: 21; 18. Jh.: 9) 28 Lyon (17. Jh.: 28), Straßburg (16. Jh.: 1; 17. Jh.: 26; 18. Jh.: 1) 25 Jena (17. Jh.: 15; 18. Jh.: 10) 23 Ulm (17. Jh.: 13; 18. Jh.: 10) 18 Salzburg (17. Jh.: 15; 18. Jh.: 3) 16 Augsburg (16. Jh.: 2; 17. Jh.: 4; 18. Jh.: 10) 15 Tübingen (17. Jh.: 15), Verona (16. Jh.: 1; 17. Jh.: 6; 18. Jh.: 8) 14 Siena (16. Jh.: 7; 17. Jh.: 7) 13 Regensburg (17. Jh.: 12; 18. Jh.: 1) 9 Genf (17. Jh.: 9), Orléans (16. Jh.: 2; 17. Jh.: 7) 8 Paris (17. Jh.: 8) 7 Florenz (17. Jh.: 7), Poitiers (17. Jh.: 7) 5 Den Haag (17. Jh.: 5), Halle (17. Jh.: 2; 18. Jh.: 3), Leipzig (17. Jh.: 4; 18. Jh.: 1), Neapel (16. Jh.: 4; 17. Jh.: 1), Weimar (16. Jh.: 1; 17. Jh.: 2; 18. Jh.: 2) 4 Basel (16. Jh.: 2; 17. Jh.: 2), Coburg (17. Jh.: 3; 18. Jh.: 1), Memmingen (18. Jh.: 4), Wien (16. Jh.: 1; 17. Jh.: 3) 3 Bozen (16. Jh.: 1; 17. Jh.: 1; 18. Jh.: 1), Breslau (17. Jh.: 2; 18. Jh.: 1), Frankfurt/ Main (17. Jh.: 2; 18. Jh.: 1), Kempten (18. Jh.: 3), Leiden (17. Jh.: 3), Marburg (17. Jh.: 3), Rom (17. Jh.: 3), Wittenberg (16. Jh.: 1; 17. Jh.: 2) 2 Amsterdam (17. Jh.: 2), Bourges (17. Jh.: 2), Gera (18. Jh.: 2), Groningen (17. Jh.: 2), Heidelberg (17. Jh.: 2), Stuttgart (16. Jh.: 1; 18. Jh.: 1) 178 <?page no="179"?> Italienisch in deutschen Stammbüchern der Frühen Neuzeit 1 Aleppo (16. Jh.), Altensteig (18. Jh.), Auf dem Weg nach Rom (17. Jh.), Balingen (17. Jh.), Berlin (17. Jh.), Blois (17. Jh.), Brescia (16. Jh.), Brüssel (17. Jh.), Burgfarrnbach (18. Jh.), Damaskus (16. Jh.), Danzig (16. Jh.), Delmenhorst (17. Jh.), Dinkelsbühl (17. Jh.), Dresden (17. Jh.), Eisenach (18. Jh.), Erfurt (17. Jh.), Fürth (17. Jh.), Gießen (17. Jh.), Gleiß (Niederösterreich) (17. Jh.), Goldberg (17. Jh.), Gotha (17. Jh.), Greifswald (18. Jh.), Grünstädtel (18. Jh.), Gunzenhausen (17. Jh.), Hadrianopolis Thracum (Edirne) (16. Jh.), Hamburg (17. Jh.), Hanau (17. Jh.), Hannoversch Münden (17. Jh.), Helmstedt (18. Jh.), Hormus (16. Jh.), Innsbruck (17. Jh.), Karlstein (16. Jh.), Kassel (17. Jh.), Konstantinopel (17. Jh.), Krakau (17. Jh.), Linz (17. Jh.), London (17. Jh.), Lucca (17. Jh.), Mailand (17. Jh.), Montpellier (17. Jh.), Moulins (17. Jh.), München (17. Jh.), Naugard (Nowogard, 17. Jh.), Oxford (16. Jh.), Pisa (17. Jh.), Quartier Haßlach (17. Jh.), Rovereto (18. Jh.), Schwäbisch Hall (17. Jh.), Speyer (17. Jh.), Stauff (17. Jh.), Steyr (17. Jh.), Trier (17. Jh.), Waldenburg (17. Jh.), Weifa (17. Jh.), Wilflingen (16. Jh.), Zeitz (18. Jh.), Zirndorf (17. Jh.) Tabelle 2: Eintragsorte der Weimarer Sammlung mit Italienisch aus den Jahren 1571-1798, sortiert nach der Zahl der Einträge den, 16 was die starke Stellung süddeutscher Bildungs- und Handelszentren erklären dürfte. Tatsächlich geben Jena (4.716 Einträge), die Universitätsstadt Altdorf (4.473 Einträge) nahe Nürnberg (2.014 Einträge), Straßburg (1.628 Einträge) und Tübingen (1.584 Einträge) die fünf Orte mit den höchsten Eintragszahlen überhaupt innerhalb der Weimarer Sammlung ab. Dementsprechend ergibt sich ein anderes Bild, wenn man für die Einträge mit Italienisch Prozentanteile an den Gesamteintragszahlen ermittelt, wie sie in der letzten Spalte von Tabelle 3 für alle Orte mit mindestens zehn Einträgen mit Italienisch verzeichnet sind. 16 Vgl. ⟨ https: / / www.klassik-stiftung.de/ forschung/ sammlungen-bestaende/ sammlung/ stammbuchsammlung ⟩ , „Provenienz“ (letzter Zugriff: 28.09.2024). 179 <?page no="180"?> Rembert Eufe/ Stephan Lücke Ort Einträge mit Einträge Anteil der Einträ- Italienisch gesamt ge mit Italienisch 1. Verona 15 42 35,71 2. Siena 14 41 34,15 3. Venedig 32 115 27,83 4. Salzburg 18 86 20,93 5. Padua 38 230 16,52 6. Lyon 28 452 6,19 7. Regensburg 13 282 4,61 8. Nürnberg 76 2.014 3,77 9. Augsburg 16 472 3,39 10. Ulm 23 1.185 1,94 11. Straßburg 28 1.628 1,72 12. Tübingen 15 1.584 0,95 13. Altdorf 42 4.473 0,94 14. Jena 25 4.716 0,53 Tabelle 3: Anteile von Einträgen mit Italienisch für Eintragsorte mit mindestens zehn Stammbucheinträgen Als Eintragsorte mit den höchsten Italienisch-Anteilen erweisen sich hier die italienischen Zentren Verona, Venedig, Siena und Padua. Vor letzterem steht noch Salzburg, dessen Einträge mit Italienisch sich allerdings alle auf ein einziges Stammbuch konzentrieren, 17 ähnlich wie dahinter Lyon als französisches Handelszentrum in der Nähe Italiens, ebenfalls mit 21 von 28 Einträgen in einem einzigen Stammbuch. 18 Es folgen dann die süddeutschen Handelsstädte Regensburg, Nürnberg, Augsburg und Ulm vor den Universitätsstädten Straßburg, Tübingen, Altdorf und Jena. Sowohl im italienischals auch im deutschsprachigen Raum weisen also die Universitätsstädte niedrigere Italienisch-Anteile auf. Diese Beobachtung lädt zu einem genaueren Vergleich der vier am stärksten vertretenen italienischen Zentren ein, wie ihn Tabelle 4 mit der Verteilung der sechs häufigsten Stammbuchsprachen in den beiden beliebten Studienorten Padua (PD) und Siena (SI) im Gegensatz zu Verona (VR) und Venedig (VE) ermöglicht. 17 Es handelt sich um das Stammbuch von Franz Joseph Horny (1689-1714; dazu s.u.). 18 Diese 21 Einträge sind im umfangreichen Stammbuch des Hans Renner enthalten (1607-1657; dazu s.u.). 180 <?page no="181"?> Italienisch in deutschen Stammbüchern der Frühen Neuzeit Sprache PD VE VR SI 1. Lat. 185 80,43 53 46,09 10 23,81 27 65,85 2. Dt. 60 26,09 54 46,96 25 59,52 10 24,39 3. Altgr. 13 5,65 0 0,00 0 0,00 0 0,00 4. Franz. 14 6,09 16 13,91 2 4,76 3 7,32 5. Hebr. 2 0,87 0 0,00 0 0,00 0 0,00 6. Ital. 38 16,52 32 27,83 15 35,71 41 34,15 Gesamt 230 115 41 39 Tabelle 4: Vorkommen der sechs häufigsten Stammbuchsprachen in den Einträgen der vier wichtigsten in Tabelle 3 erwähnten italienischen Eintragsorte 19 Tabelle 4 lässt erkennen, dass in den Universitätsstädten in viel stärkerem Maße das Lateinische gebraucht wurde, nämlich in Padua in 80,43 der Einträge (nebst Altgriechisch in 5,65 und Hebräisch in 0,87) und in Siena in 65,85 - ein deutlicher Unterschied zu den 46,09 und 23,81 der in Venedig bzw. Verona entstandenen Einträge. Dort hingegen wurde umgekehrt das Deutsche mit 46,96 bzw. 59,52 gegenüber 26,09 bzw. 24,39 proportional deutlich häufiger verwendet und eben auch das Italienische in 27,83 der Einträge aus Venedig und 35,71 derjenigen aus Verona gegenüber 16,52 der Einträge aus Padua. Die Einträge aus Siena allerdings weisen mit 34,15 den höchsten Italienisch-Anteil auf. Dies könnte sich durch ein besonderes Interesse am Italienischen erklären, weil die Universität Siena nicht zuletzt für den Spracherwerb für Studenten aus Mitteleuropa wichtig gewesen zu sein scheint. Denn dort wurde für viele das beste Italienisch gesprochen (Christmann 1992: 49) und auf die Bitte der deutschen Studenten hin, die im 16. Jh. ein Fünftel der Absolventen ausmachten (vor allem in Jura), 1588 ein Lehrstuhl für lingua toscana eingerichtet (Mattarucco 2018: 173). Davon abgesehen untermauert die relativ stärkere Stellung des Italienischen in den Städten ohne Universität, aber mit Handelsbeziehungen nach Mitteleuropa erneut Letztere als wichtigsten Antrieb für das Erlernen und den Gebrauch des Ita- 19 Auch aus Neapel sind 40 Einträge in der Weimarer Sammlung enthalten, aber nur fünf davon mit Italienisch. Es sei noch einmal darauf hingewiesen, dass die Stammbucheinträge teilweise mehrere Sprachen enthalten, weshalb die Eintragszahlen in den Zeilen zusammengenommen die Gesamtwerte in der letzten Zeile übersteigen und die Prozentsätze pro Ort in der Summe mehr als 100 ergeben würden. Aus Padua sind 78 (33,91) der Einträge mehrsprachig, aus Venedig 35 (30,43), aus Verona 10 (23,81) und aus Siena 13 (31,71). 181 <?page no="182"?> Rembert Eufe/ Stephan Lücke lienischen und bestätigt die folgende Einschätzung von Christmann (1992: 46): „Bei aller Anerkennung möglicher politischer Gründe für das Interesse am Italienischen möchten wir also hinsichtlich der Ursprünge am Primat wirtschaftlicher Gesichtspunkte festhalten.“ 20 Gleichzeitig hat in den Einträgen aus diesen Zentren auch das Deutsche einen höheren Anteil, was dort der gegenseitigen Versicherung der landsmannschaftlichen Zugehörigkeit gedient haben könnte, etwa innerhalb der deutschen Community in Venedig. Aufschlussreich ist schließlich noch, in welchen Stammbüchern sich die Einträge mit Italienisch konzentrieren. Hierbei ist zu beachten, dass ihr Umfang deutlich schwanken kann, sodass einzelne sehr umfangreiche Stammbücher mit mehreren hundert Einträgen quantitative Auswertungen stark beeinflussen können, wie es auch Tabelle 5 zeigt. Nach ihr enthält das Stammbuch von Hans Renner zwar mit 25 die absolut meisten Einträge mit Italienisch, ihr Anteil an den insgesamt 365 Einträgen des Stammbuchs ist jedoch deutlich geringer als etwa im Stammbuch des Hans Christoph Voit von Wendelstein, dessen 23 Einträge mit Italienisch unter den insgesamt 85 Einträgen 27,06 ausmachen. Ausführlichere prosopographische Untersuchungen aller Einträger und Halter dieser Stammbücher würden den Rahmen des vorliegenden Beitrags sprengen; die im Weimarer Projekt zusammengestellten biographischen Basisdaten der acht Stammbuchhalter, 21 vor allem ihre Herkunftsorte, deuten jedoch als Grundtendenz - zumindest für die Weimarer Sammlung - das Patriziat und das Bürgertum der süddeutschen Handelszentren als wichtigstes Milieu des Italienischen an. So war Hans Renner laut einer Notiz im Stammbuch Mitglied des Rates der Stadt und Hans Christoph Voit von Wendelstein wird als Nürnberger Patrizier eingeordnet. Auch Gottfried Caspar Daumiller stammte zumindest aus Nürnberg und die Familie von Anton Rummel von Zant und Lonnerstadt gehörte ursprünglich dem Nürnberger Patriziat an, während er selber das Verwaltungsamt des Pflegers von Reicheneck im Nürnberger Herrschaftsgebiet bekleidete. Hans Albrecht Schad war Ratsherr in Ulm, dessen Honoratiorenschicht auch der Arzt Peter Rommel zugerechnet werden kann. Als zweite wichtige Gruppe zeichnet sich daneben der Adel des Südostens mit seinem Umfeld ab, besonders in der Person von Hans Christoph Teufel von Guntersdorf. Von Franz Joseph Horny ist die Herkunft zwar nicht 20 Zum sich daraus ergebenden Sprachkontakt im Bereich der Handelssprache vgl. Wilhelm (2013). 21 Dafür sind die im Weimarer Projekt vergebenen Personenidentifikationsnummern der Gemeinsamen Normdatei (GND) der erfassten Personen von großem Nutzen. 182 <?page no="183"?> Italienisch in deutschen Stammbüchern der Frühen Neuzeit nachgewiesen, ins Bild fügt sich jedoch seine Position als Fürsterzbischöflicher Reitmeister an der Salzburger Hofreitschule. Bei Johann Reichard(t) schließlich handelte es sich um den Diener des Wittelsbacher Herzogs Christian August von Pfalz-Sulzbach, den er auf seiner Kavalierstour durch Europa begleitete (vgl. dazu Eufe im Druck). Name des Halters Herkunft Laufzeit Einträge mit It. Hans Renner Nürnberg 1607-1657 374 25 6,68 Hans Christoph Nürnberg 1602-1631 85 23 27,06 Voit von Wendelstein Hans Christoph Österreich 1585-1617 194 19 9,79 Teufel von Guntersdorf Franz Joseph (Salzburg) 1689-1714 62 18 29,03 Horny Gottfried Caspar Nürnberg 1717-1742 115 17 14,78 Daumiller Anton Rummel Oberpfalz 1602-1629 138 15 10,87 von Zant und Lonnerstadt Johann (Sulzbach- 1642-1646 173 13 7,51 Reichard(t) Rosenberg) Peter Rommel Ulm 1662-1665 88 13 14,77 Hans Albrecht Ulm 1594-1620 57 12 21,05 Schad Tabelle 5: Stammbücher der Weimarer Sammlung mit den meisten Einträgen mit Italienisch 183 <?page no="184"?> Rembert Eufe/ Stephan Lücke 4 Zum Italienisch der Einträge und seinem Erwerb 4.1 Ein Venezianer in Nürnberg Die erwähnten besonders starken Verbindungen zwischen Venedig und der größten süddeutschen Handelsstadt Nürnberg werden sprachlich auf besondere Weise in dem in Abbildung 2 wiedergegebenen, äußerst ungewöhnlichen Eintrag deutlich, der für die germanistisch-italianistische Sprachkontaktforschung eine Sensation darstellt. Abbildung 2: Eintrag des Johann Zettel im Stammbuch von Wolfgang Gütlein, Nürnberg, 03.04.1604 22 Rein äußerlich fällt zuerst die sorgfältige, allerdings zu groß geratene und etwas bemüht wirkende „Sonntagsschrift“ des Eintrags auf. Sie kann nicht darüber hinwegtäuschen, dass dem Autor die in Abschnitt 2 dargelegten textuellen Regeln der Stammbucheinträge nicht bewusst waren, er sie ignorierte oder gar bewusst konterkarierte, um eigene Akzente zu setzen: Die Datums- und die Ortsangabe „Adi 3 aprill anno 1604. In Norembergo“ stehen am oberen Rand, was bei ersterer zwar durchaus vorkommen kann, bei letzterer aber unüblich ist. Umgekehrt ist der Sinnspruch „tre kose sono all monto Che non anno fermeca | la donna Jll uento et 22 HAAB, PPN-Nr. 859711943, ⟨ https: / / haab-digital.klassik-stiftung.de/ viewer/ image/ 1644271168/ 50/ LOG_0020 ⟩ ; letzter Zugriff: 28.09.2024. 184 <?page no="185"?> Italienisch in deutschen Stammbüchern der Frühen Neuzeit la fortuna“ (‘tre cose sono al mondo che non hanno fermezza | la donna il vento e la fortuna’) unten eingetragen. Dazwischen ist keine eigentliche Widmung zu lesen, die Bezug auf den Stammbuchhalter und seine Beziehung zum Einträger nähme, stattdessen gibt der Einträger Auskunft über seine Herkunft und bestätigt die Eigenhändigkeit seines Eintrags mit „Jo Zuanne Zettele mano propria schrise | questa memoria, natto song In Venecig | Venecia“ (‘Io Giovanni Zettele di propria mano scrissi questa memoria, nato sono a Venezia’). Auch dies sind zwar durchaus übliche Informationen, sie sind hier jedoch individuell und ausführlicher versprachlicht, als es sonst in vielen anderen Einträgen geschieht, etwa mit einem detoponymischen Adjektiv wie veneziano oder einer Präpositionalgruppe mit einem Ortsnamen (wie „in Limpurg“, vgl. S. 169, Abbildung 1) und dem abgekürzten Vermerk m(anu) p(ro)p(ri)a. Dafür könnte der individuelle Lebensweg des Einträgers eine Rolle spielen, der mit dem deutschen Nachnamen Zettel(e) und der venezianischen Vornamensform Zuanne (it. Giovanni, dt. Johann) in Venedig geboren zu sein scheint. Dazu passen auch die Schreibbzw. Sprachkenntnisse, die der Eintrag verrät: Deutschem Einfluss dürfte das <k> in kose geschuldet sein (auch wenn dieses Graphem in mittelalterlichen italienischen scriptae gelegentlich gebraucht wurde), während die Schwankungen beim Gebrauch von <h> in schrisse und anno für hanno auch in Italien vorkommen. Ähnlich ist auch die Unsicherheit im Gebrauch der Doppelkonsonanten aus Norditalien generell keineswegs unbekannt, wie das Fehlen von <zz> bzw. stattdessen hier <cc> in fermeca für fermezza oder auch die hyperkorrekte Setzung in natto. Unkenntnis der orthographischen Gebräuche in Italien lassen jedoch die Doppelschreibungen am Wortende von aprill und bei der Artikelform ill vermuten. Die Toponyme Norembergo und Venecig dürfen hingegen angesichts der variantenreichen Ortsnamenschreibungen in den Stammbucheinträgen nicht überbewertet werden, ins Auge fällt aber die Schreibung monto für mondo ‘Welt’. Wenn auch eventuell in bloßer Analogie zu vento ‘Wind’ in der nachfolgenden Zeile gebraucht, könnte sie die Tendenz Deutschsprachiger zu einer etwas stimmloseren Realisierung der stimmhaften Verschlusslaute verraten - sofern damit nicht als Hyperkorrektion ein irrtümlich angenommener Fall der binnendeutschen Konsonantenschwächung des Ostfränkischen vermieden werden soll. Aus italianistischer Sicht sticht besonders song für sono ‘bin’ hervor, in der die dialektale Lautung der Verbform mit dem in Venedig wie auch anderswo in Norditalien weit verbreiteten velaren Nasal [ŋ] im Silbenauslaut (Rohlfs 1970: 427ff.) verschriftet ist. 185 <?page no="186"?> Rembert Eufe/ Stephan Lücke Insgesamt deuten diese Details auf einen Einträger, der über gewisse Kenntnisse des Venezianischen und Italienischen verfügte, die sich aber nicht mit entsprechenden Schreibkenntnissen paarten. Ob und wie gut er das Deutsche beherrschte, ist leider nicht genau zu erkennen, dennoch macht der Nachname in Verbindung mit den genannten graphischen Interferenzen einen zweisprachigen Einträger wahrscheinlich. Der Eintrag erweist sich so als ein weiteres markantes Zeugnis für den Sprachkontakt infolge der intensiven Handelsverbindungen zwischen Nürnberg und Venedig und kann als solcher dem venezianisch-deutschen Sprachbuch von Meister Georg von Nürnberg von 1424 (Pausch 1972, Glück/ Morcinek 2006) zur Seite gestellt werden. 4.2 Das Fegefeuer als philologisches Problem Ähnliche Probleme bereitet der Stammbucheintrag in Abbildung 3, verfasst „zu gueter vnnd freundt|licher gedechtnus“ am 29.01.1599 in Orléans von Magnus Dilherr von Thummenberg im Stammbuch des Christoph Fürer von Haimendorf (Großvater des gleichnamigen Dichters und Corneille- und Tasso-Übersetzers), beide Nürnberger Patrizier. Dieser Eintrag bietet den gleichen Denkspruch wie in Abbildung 1 (vgl. S. 169), wo allerdings bei „Vna bella donna Paradiso del | occhio | Inferno del anima | Purgatorio dela borsa“ das Fehlen der Kopula è vor Paradiso und die (zumindest graphisch gesehen) maskuline Artikelpräposition vor dem Feminin-Substantiv anima irritieren und auf begrenzte Italienisch-Kenntnisse des Einträgers schließen lassen. Im Vergleich dazu präsentiert sich in Abbildung 3 die Fassung „Vna bella dona e il Paradiso delli | occhi, Prugadorio della Borssa | e inferno dell anima“ 23 morphosyntaktisch unauffällig. Schwierig ist allerdings die Graphie zu interpretieren, und zwar zum einen hinsichtlich der Worttrennung bei e il oder eil und inferno oder in ferno, zum anderen bezüglich der Buchstabenformen von Paradiso oder Baradiso und Prugadorio, Brugadorio oder Bragadorio statt Purgatorio. Leider fehlen weitere <P> und <u> für verlässlich absichernde Schriftvergleiche, sicher zu erkennen ist aber immerhin das in den Silbenkopf vorgezogene <r> in Prugadorio. Ähnliche metathetische Formen aus lat. p ¯ urg ¯ at¯ orium ‘Fegefeuer’ sind zwar für süditalienische Dialekte gut belegt, aller- 23 Das darunter stehende „K.M.F.“ lässt sich nach von Stechow (1996: 142) als die Devise Kundschaft macht Freundschaft auflösen. 186 <?page no="187"?> Italienisch in deutschen Stammbüchern der Frühen Neuzeit dings unter Eindeutung von Verben für ‘beten’ wie bei priatório im Dialekt von Procida (Parascandola 1976: 213). Davon abgesehen ist jedoch für den Dialekt Abbildung 3: Eintrag des Magnus Dilherr von Thummenberg im Stammbuch von Christoph Fürer von Haimendorf sen., Orléans, 09.09.1599 25 von La Spezia auch prügatoio belegt (Conti/ Ricco 1975: 79), 24 sodass der Stammbucheintrag möglicherweise andeutet, dass metathetische Formen auch in Norditalien weiter verbreitet gewesen sein könnten als bisher bekannt. Natürlich lässt sich nicht mit letzter Sicherheit ausschließen, dass auch hier eine Verschreibung oder ein Verständnisfehler eines Germanophonen vorliegt - die gleichzeitige Sonorisierung des intervokalischen Okklusivs im Suffix -adorio statt -atorio deutet aber auf eine norditalienische Form (ebenso wie die fehlende Geminate in dona für donna). Die drei Stammbucheinträge zeigen schlaglichtartig die Schwierigkeiten dieser Quellenform für die philologischsprachwissenschaftliche Interpretation. Sie hat nicht nur mit einfachen Verschreibungen und Abschreibfehlern, sondern auch mit Interferenzen mit dem Deutschen und anderen Sprachen, begrenzten L2-, aber auch L1-Kenntnissen, verschiedenen diatopischen Varietäten, älteren Sprachzuständen und früheren Schreibtraditionen zu rechnen. Darüber hinaus stellen die drei Beispiele als Einträge mit Spuren möglicherweise ungesteuerten mündlichen Sprachkontakts allerdings seltene Einzelfälle dar. 24 Wir danken Wolfgang Schweickard und Elton Prifti für die Einsicht in die Materialien des noch unpublizierten Artikels purgatorius des Lessico Etimologico Italiano. 25 HAAB, PPN-Nr. 85174298X, ⟨ https: / / haab-digital.klassik-stiftung.de/ viewer/ ! image/ 1661467857/ 97 ⟩ ; letzter Zugriff: 28.09.2024. 187 <?page no="188"?> Rembert Eufe/ Stephan Lücke 4.3 Ein bedeutender Sprachlehrer Bei der großen Mehrheit vor allem der Denksprüche auf Italienisch 26 ist damit zu rechnen, dass diese einfach aus Spruchsammlungen, Sprachlehr- oder sonstigen Werken abgeschrieben wurden. Dabei ist zu berücksichtigen, dass es in der Frühen Neuzeit nördlich der Alpen weit verbreitet war, Italienisch-Unterricht zu nehmen (vgl. dazu Christmann 1992) - Italienisch-Kenntnisse wurden also nicht nur auf Reisen erworben, sondern mehr noch umgekehrt als Vorbereitung dafür. Von den hier nicht erschöpfend behandelbaren Quellen, die von der dem Italienischen und seiner Kenntnis beigemessenen Bedeutung zeugen (vgl. Christmann 1992), sei zum einen die Goldene Bulle von 1356 erwähnt mit der Bestimmung, „daß die Söhne, Erben oder Nachfolger der erhabenen Fürsten [...] vom siebenten Jahre an in der lateinischen, italienischen und slawischen [d.h. wohl tschechischen] Sprache unterrichtet werden“ (Fritz 1978: 88). Zwar handelt es sich um „eine ganz vereinzelt dastehende Bestimmung“ (Christmann 1992: 46), sie führt aber vor Augen, dass sich die Wichtigkeit des Italienischen auch aus den politischen Verhältnissen ergab, also daraus, dass Teile des heutigen Italiens lange formal Teil des Heiligen Römischen Reiches waren. Welcher Wert später auf das Erlernen des Italienischen gelegt wurde, deutet zum anderen die Anweisung Wilhelms V. von Bayern an den Hofmeister an, „daß der Prinz [Maximilian I., 1573-1651] stets oder doch die meiste Zeit mit seiner Umgebung Lateinisch, Welsch [= Italienisch] oder Französisch spreche“ (zit. bei Christmann 1992: 48). Der Italienisch-Unterricht wurde von sogenannten Sprachmeistern erteilt, die besonders ab dem 17. Jh. oft aus Italien oder Frankreich stammten. Gelegentlich haben auch sie sich in den Stammbüchern verewigt, so der unter ihnen als Autor anspruchsvoller Sprachlehrwerke und Wörterbücher herausragende Matthias Kramer (1640-1729) 27 im Stammbuch eines Schülers, des Nürnberger Kaufmanns, Dichters und Übersetzers Christoph Adam Negelein, mit dem in Abbildung 4 wiedergegebenen Eintrag. Der Eintrag unterscheidet sich deutlich von den beiden vorhergehenden Beispielen: Bei dem Denkspruch handelt es sich nicht um ein gängi- 26 Die systematische Auswertung der Denksprüche (wie auch der Grußformeln) muss einer anderen Gelegenheit vorbehalten bleiben. So sind etwa die hier herangezogenen Beispiele thematisch nicht repräsentativ, da die in ihnen überwiegende misogyne Orientierung zwar immer wieder anzutreffen ist, jedoch insgesamt nicht überwiegt. 27 Zu Kramer vgl. zuletzt den Sammelband von Glück/ Häberlein (2019) mit weiterführenden Hinweisen. 188 <?page no="189"?> Italienisch in deutschen Stammbüchern der Frühen Neuzeit Abbildung 4: Eintrag des Matthias Kramer im Stammbuch von Christoph Adam Negelein, Nürnberg, 20.11.1675 28 ges Sprichwort, 29 sondern um ein langes Bibelzitat, gekennzeichnet durch einen in den Stammbucheinträgen seltenen expliziten Quellennachweis. 30 Auch die Widmung ist auf Italienisch verfasst und bietet individuelle Prosa statt Gruß- und Ergebenheitsformeln. Orthographische Details wie die Akzentsetzung nicht nur bei den unbetonten Einsilblern è und nè, sondern auch bei fà, die Schwankungen bei den Doppelkonsonanzen in commandamenti, caminar, essorta oder die am Lateinischen orientierte Schreibung mit -tvon partialissimo waren für die damalige Zeit nicht ungewöhnlich und betreffen Bereiche, die lange Schwankungen zeigten (Marazzini 1993: 207-211), wobei Kramer hier allerdings nicht die von der Accademia della Crusca favorisierten Varianten verwendet. Im Gegensatz zu den vorher 28 HAAB, PPN-Nr. 755792424, ⟨ https: / / haab-digital.klassik-stiftung.de/ viewer/ image/ 1313484873/ 124 ⟩ ; letzter Zugriff: 28.09.2024. 29 Unsere ersten Sondierungen zeigen, dass die Denksprüche zumeist aus heute noch in entsprechenden Nachschlagewerken aufgeführten Sprichwörtern bestanden, von denen einige immer wieder verwendet werden. 30 In der heutigen italienischen Bibel erscheint der Vers allerdings unter der Nr. 4,5, vgl. ⟨ https: / / www. vatican.va/ archive/ ITA0001/ __PBY.HTM ⟩ ; letzter Zugriff: 28.09.2024. 189 <?page no="190"?> Rembert Eufe/ Stephan Lücke gezeigten Beispielen repräsentiert Kramers Eintrag gleichsam das obere Ende der Skala der in den Stammbüchern fassbaren Italienisch-Kompetenzen. 31 Dass die Schüler der Sprachmeister in vielen Fällen offenbar nicht davor zurückschreckten, ihre noch ungenügenden Kenntnisse in Stammbüchern zur Schau zu stellen, bevor der Unterricht Früchte trug, bezeugt der Nürnberger Gelehrte Christoph Jakob Trew: Eine gewisse Gattung eines Schüler-Hochmuthes ist es, daß gewisse Leute sich nicht entbrechen können, ein Dencksprüchlein in derjenigen Sprache einzuschreiben, in der sie am wenigsten wissen. Es hat mancher den Sprachmeister kaum drey Stunden auf die Stube kommen lassen, wenn er seinem bekannten ein Italienisches Sprüchwörtgen einschreibt. Man würde eine Sache nicht tadeln, und als die Würckung eines kahlen Stolzes ansehen, welche gewisser massen als ein Zeichen einer Lehrbegierde und einer Freude über etwas Neuerlerntes entschuldigt werden könnte; wenn nur nicht mehr hingeschrieben würde, als solche gute Leute würcklich verstehen, und wenn sie nicht durch die Zerstümmelung des Denckspruchs und durch die Schnitzervollen Unterschrifften zeigten, daß sie aus einer sehr einfältigen Eitelkeit den Leuten die Meynung beybringen wollten, als wüsten sie eine Sprache, die sie doch nicht wissen. (Zedler 1744: Sp. 1066) 32 Das von Trew verspottete Verhalten fügt sich bestens zu den Beobachtungen, die wir an den hier gezeigten Einträgen (mit Ausnahme desjenigen von Matthias Kramer) machen konnten. Man bedenke in diesem Zusammenhang ferner, dass es sich bei unseren Beispielen um Einträge von Deutschen in Stammbüchern ihrer Landsleute handelt (die unter den Einträgen mit Italienisch auch tatsächlich bei Weitem überwiegen) - es ging also hier bei der Verwendung des Italienischen nicht darum, sich anderssprachigen gegenüber verständlich zu machen, sondern es handelte sich offensichtlich um eine der beliebtesten Sprachen, mit deren Kenntnis man sich (schon) damals gerne schmückte. 31 Auch die Sprachkenntnisse der Sprachmeister selbst waren unterschiedlich, was gelegentliche Beschwerden zeigen (vgl. z.B. Schöttle 2015: 96f. zu den Tübinger Sprachmeistern). 32 Wir danken Anja Wolkenhauer für den Hinweis auf dieses Zitat. 190 <?page no="191"?> Italienisch in deutschen Stammbüchern der Frühen Neuzeit 5 Schlussbetrachtung In den Einträgen bis 1798 der Stammbuchsammlung der Herzogin Anna Amalia Bibliothek in Weimar erweist sich das Italienische als sechsthäufigste und somit als eine der prestigeträchtigsten Fremdsprachen nördlich der Alpen, auch wenn sich seine tatsächliche Beherrschung oft in erkennbaren Grenzen hielt. Gerade dies macht die Einträge aber zum einen als Quellen für verschiedene Italienisch-L2- und -L1-Varietäten interessant, zum anderen auch im Hinblick darauf, welche Rolle unter ihnen die Literatur- und spätere Standardsprache außerhalb Italiens spielte. Die Stammbucheinträge geben ferner zu erkennen, dass diese Italienischkenntnisse mit Aufenthalten in Italien in Zusammenhang standen. Bei der Auswertung der dort entstandenen Einträge mit Italienisch überrascht auf den ersten Blick, dass die Universitätsstädte Padua und Siena neben Verona und Venedig an der Spitze stehen - und zwar vor den politisch weit bedeutenderen Zentren und viel berühmteren Reisezielen Florenz, Neapel und Rom. Zieht man allerdings zum Vergleich der vier wichtigsten Orte alle Einträge in allen Sprachen heran, so zeigt sich für Padua und Siena eine klare Präferenz für das Lateinische, wenn sich daneben in Siena auch ein gewisses Interesse für das Italienische erkennen lässt. Darüber hinaus geht aus unseren Auswertungen und Kartierungen der Stammbucheinträge für den Raum nördlich der Alpen eine herausragende Bedeutung Nordostitaliens mit seinen Zentren Verona, Padua und Venedig hervor. Insofern überrascht es nicht, dass für diesen Raum das Venezianische oder genauer gesagt die Varietäten Veneziens 33 die Wahrnehmung und Kenntnis des Italienischen prägten, wie es bereits Stammerjohann (1996b: 184) pointiert herausstellte: „il veneziano era infatti l’italiano più conosciuto dai tedeschi“. Ebensowenig erstaunt wiederum, dass sich dies gelegentlich auch im Italienisch der Stammbucheinträge niederschlägt, wenn eine Sprachform zum Vorschein kommt, die Stammerjohann (1996a: 58) folgendermaßen charakterisiert: „l’italiano che imparavano i tedeschi era diverso da quello parlato dai francesi e dagli inglesi; era un italiano meno letterario e più pratico, spesso venato di un accento veneziano“. Diese stärker praktische Orientierung lässt sich sehr gut mit der Bedeutung des Italienischen 33 Beim Gebrauch der Bezeichnung „venezianisch“ wird oft nicht präzisiert, ob sie sich nur auf die Sprachform der Stadt Venedig oder auch diejenigen des von ihr beherrschten venezischen Festlandes bezieht, die hier wegen der Bedeutung von Padua und Verona ebenfalls zu berücksichtigen sind (Eufe 2006: 12f.). 191 <?page no="192"?> Rembert Eufe/ Stephan Lücke als Sprache des Handels in Zusammenhang bringen, wie sie im proportional größeren Anteil an Einträgen mit Italienisch in den Handelszentren Verona und Venedig gegenüber den Universitätsstädten greifbar wird. Der Status des Italienischen ähnelte damit in einem gewissen Sinne demjenigen des Englischen heute, sodass einem Aufenthalt in Italien ein ähnlicher Stellenwert zu eigen war wie heutzutage einem Aufenthalt in der englischsprachigen Welt. Zugegebenermaßen bedarf das italienische Sprachmaterial der Einträge der umfassenderen Auswertung. Außerdem sind weitere Vergleiche mit anderen Sammlungen und Quellenformen vonnöten. So könnte sich die starke quantitative Bedeutung der italienischen Universitätsstädte einfach durch die Entstehung und besondere Verwurzelung der Stammbuchtradition im universitären Bereich in Verbindung mit der großen Zahl deutscher Studierender an bestimmten italienischen Universitäten erklären. Dagegen ließe sich einwenden, dass peregrinatio academica und Grand Tour oft nicht zu trennen waren, da Italienreisen unterschiedlich lange Aufenthalte an den dortigen Universitäten umfassten und umgekehrt Studienaufenthalte für verschieden weit führende und häufig vorgenommene Reisen genutzt wurden. Folglich ließen sich die Stammbücher eben doch als angemessene Indikatoren für die Bewegungen der Angehörigen der gebildeteren Schichten in Italien auffassen. Wünschenswert wäre noch die stärkere Einbeziehung prosopographischer Daten, um Präferenzen und Tendenzen innerhalb verschiedener Berufs- und sozialer Gruppen erkennen zu können, auch im Abgleich mit ausführlichen Einzelstudien von Stammbüchern. Vor allem aber drängt sich die systematische Auswertung der Denksprüche auf, weil damit nicht nur die Existenz italienischer Sprichwörter und ihre Präsenz auch unter Italienisch-L2-Sprechern aufgezeigt werden kann. Denn es lässt sich auch ihre Verwendung im über mehrere Jahrhunderte hinweg stabilen Kontext der Stammbucheinträge untersuchen, wodurch sich diese als Quellenform von einzigartigem parömiologischen Wert erweisen. Gelegentlich mag mit bestimmten Denksprüchen ein Stellenwert des Italienischen (wie auch des Französischen) auch als gleichsam „moderner klassischer Sprache“ aufscheinen in Ergänzung zu seiner Rolle als Handelssprache. 192 <?page no="193"?> Italienisch in deutschen Stammbüchern der Frühen Neuzeit Bibliographie Babel, Rainer/ Paravicini, Werner (Hrsg.) (2005): Grand Tour: Adeliges Reisen und Europäische Kultur vom 14. bis zum 18. Jahrhundert. Ostfildern: Thorbecke (= Beihefte der Francia: Forschungen zur westeuropäischen Geschichte 60). Baglioni, Daniele (2023): „Lettere dall’impero ottomano alla corte di Toscana (1577-1640). Un contributo alla conoscenza dell’italiano scritto nel Levante“. In: Lingua e stile 46, 3-70. Bauer, Melanie (2012): Die Universität Padua und ihre fränkischen Besucher im 15. Jahrhundert. Eine prosopographisch-personengeschichtliche Untersuchung. Neustadt a.d. Aisch: Schmidt (= Nürnberger Werkstücke zur Stadt- und Landesgeschichte 70). 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After general remarks on the alba amicorum tradition in section 2, section 3 focuses on entries (at least partly) written in Italian; some of the results presented in this section are based on DH methods. Finally, in section 4 we examine three significant examples as for their varietal characteristics, telling us about the knowledge and acquisition of Italian north of the Alps. Biographical sketch: Rembert Eufe teaches French and Italian linguistics at the Eberhard Karls Universität Tübingen. He received his Ph.D. from Ludwig Maximilian University of Munich for his dissertation on the use of Venetian in the Republic of Venice. Later, he was one of the leaders of the project Le passage du latin au français (PaLaFra). His research interests include historical sociolinguistics, contact linguistics and digital humanities. Stephan Lücke is deputy head of the Center for Digital Humanities of the Ludwig Maximilian University of Munich. Since more than 20 years he has been engaged in the application of digital methods in the humanities and has led a number of corresponding projects, mainly in the field of geolinguistics. He studied Classics and holds a doctorate in Ancient History. 198 <?page no="199"?> Thomas Krefeld * Il gallo-italico siciliano e la resilienza linguistica di migrazioni medievali 1 Osservazione preliminare su migrazione e storiografia linguistica siciliana Il termine “linguistica migratoria” è stato lanciato meno di 20 anni fa (da Krefeld 2004) e da allora è riuscito ad affermarsi. Per quanto riguarda la ricezione, tuttavia, non bisogna trascurare tre aspetti. Innanzitutto, va notato che dati linguistici rilevanti in prospettiva migratoria sono disponibili da molto prima. Essi sono stati raccolti dalla geolinguistica “classica”, in parte casualmente (per quanto riguarda singoli informatori), ma in parte anche intenzionalmente per quanto riguarda alcuni dialetti locali, come in particolare quelli gallo-italici nell’Italia meridionale. È ovvio, inoltre, che la ricezione della linguistica migratoria è stata in gran parte guidata da interessi di ricerca sincronici. Infatti, sebbene fosse esplicitamente inscritta nel concetto fin dall’inizio, la rilevanza diacronica, a giudicare dalla sua ricezione, che risulta chiaramente limitata, è stata percepita in misura molto minore, anche se ci sono eccezioni di rilievo, come Scharinger (2018) e i contributi in Schöntag/ Massicot (2019). Infine, il gallo-italico, oggetto di quanto segue, richiama l’attenzione su un terzo aspetto. La storia delle lingue è per lo più scritta da una prospettiva nazionale, nell’ambito della quale l’attenzione si concentra sulla lingua nazionale e in particolare sulla formazione della varietà standard, come se fosse l’unico argomento degno di presentazione storiografica. Solo raramente ci si concentra sulla storia delle regioni linguistiche, e forse non è un caso che una brillante eccezione all’interno della * Ludwig-Maximilians-Universität München. 199 <?page no="200"?> Thomas Krefeld storiografia linguistica tradizionale riguardi proprio la Sicilia (cfr. Vàrvaro 1981 e a proposito anche Krefeld 2019b), dove gli sviluppi specifici e molto complessi sono stati innescati in larga misura da movimenti migratori. In questo senso, la Sicilia non è affatto unica nel contesto romanzo, ma è senza dubbio esemplare; non sarebbe esagerato descrivere il siciliano come una varietà di contatto post-migratoria. Il diagramma seguente schematizza la stratigrafia linguistica dell’isola e allo stesso tempo localizza l’argomento principale di questo articolo, il gallo-italico: Figura 1: stratigrafia semplificata della storia linguistica siciliana (colori identici indicano continuità storica) Oggi, il gallo-italico, cioè le diverse varietà gallo-italiche, possono essere mappate su un continuum tra due poli, l’uno marcato dalla conservazione estensiva e l’altro dalla dissoluzione molto avanzata nel loro ambiente, anch’esso di lingua romanza. Sebbene questa situazione suggerisca un confronto sistematico per quanto riguarda le caratteristiche particolarmente durevoli, cioè “resilienti”, tale confronto non è mai stato intrapreso. Ci si chiede, ad esempio, come si comportino a questo proposito i fenomeni fonetici particolarmente salienti. La documentazione lessicale, ormai ben avanzata, mostra anche che la resilienza linguistica deve essere vista fondamentalmente in connessione con la resilienza culturale. Va tuttavia precisato che la visualizzazione nella Figura 1 focalizza le lingue e che la rappresentazione con caselle colorate mette in evidenza la loro autonomia semiotica, ma al contempo essa oscura la permeabilità osmotica delle lingue, che si riflette nell’influenza reciproca. Una visualizzazione complementare legata al parlante dovrebbe comunque concentrarsi sul funzionare del contatto linguistico nella cognizione e nella prassi comunicativa del parlante bilingue: 200 <?page no="201"?> Il gallo-italico siciliano e la resilienza linguistica di migrazioni medievali Figura 2: il parlante - agente del contatto 2 Dinamica demografica e la formazione del gallo-italico come varietà postmigratoria Il caso del gallo-italico postmigratorio è notevole per diversi aspetti. Da una prospettiva romanza, emerge un parallelo con la storia linguistica della Penisola iberica, che può essere delineata con le parole chiave della conquista militare (sp. reconquista), della ricristianizzazione e dell’immigrazione di coloni (sp. repoblación). Un confronto storico-linguistico sistematico sarebbe certamente utile. In particolare, si può osservare lo sviluppo di varietà postmigratorie alloctone a contatto con varietà romanze autoctone apparentate. Le guerre di conquista normanne hanno portato a un profondo cambiamento demografico in Sicilia (cfr. Krefeld 2019a), poiché sulla loro scia si è verificata una massiccia immigrazione di coloni italiani settentrionali, la cui lingua è solitamente definita “gallo-italica” e viene così distinta nella ricerca italiana dal “gallo-romanzo” proveniente dall’area dell’attuale Francia: 1 La guerra normanna di conquista della Sicilia, durata un trentennio (1061: presa di Messina, 1072: caduta di Palermo, 1091: caduta di Butera, Noto e Malta), aveva creato notevoli vuoti demografici. L’elemento arabo, però, restava numeroso, forte e sempre pronto a riprendere le armi. La politica matrimoniale degli Altavilla, imparentatisi più volte con gli Aleramici del Monferrato - Ruggero aveva sposato nel 1087 in terze nozze Adelasia del Monferrato e il fratello di lei, Enrico, aveva sposato Flandina, figlia di Ruggero -, e la necessità di poter contare su popolazioni fedeli nella lotta contro gli arabi, sono i presupposti per l’emigrazione di popolazioni italiane settentrionali verso la Sicilia. Ad Enrico viene concesso un feudo assai esteso e ricco che si estende 1 Questa terminologia è sicuramente infelice, perché ovviamente il “gallo-italico” è in realtà parte del “gallo-romanzo”; tuttavia, la distinzione è ben consolidata, soprattutto nella ricerca in lingua italiana, e non è necessario discuterne ulteriormente in questa sede (cfr. Toso 2010). 201 <?page no="202"?> Thomas Krefeld da Paternò, nella Sicilia orientale, fino a Butera, e che include le terre di Piazza Armerina e di Mazzarino. La disponibilità di terre così vaste da ripopolare o da rimpinguare demograficamente e la necessità del controllo del territorio, creano un flusso migratorio potente dalla Liguria e dal Piemonte meridionale. Tale flusso, favorito da un diffuso disagio sociale nell’entroterra ligure e nella Cispadana (Petracco Sicardi 1965: 129-130), viene incoraggiato dagli Aleramici (Pfister 1988: 34-37 e 1994, 27-29) e da religiosi dell’isola (Peri 1959: 274), pronti a concedere agli immigrati importanti franchige e privilegi (Peri 1978: 97, Pfister 1988: 34-37). (Trovato 2013: 280) Per comprendere correttamente la situazione linguistica storica, è importante sottolineare che le varietà gallo-italiche non sono mai state isolate, ma sono state in stretto contatto locale con le varietà genuinamente siciliane fin dal momento dell’immigrazione. Non si tratta quindi di “isole” linguistiche, anche se spesso vengono definite tali: Le popolazioni italiane settentrionali immigrate [...] si sono sempre insediate in località abitate da siciliani e non hanno mai fondato (o rifondato) città nuove o comunque disabitate. Fin dall’inizio, perciò, lo scontro tra due realtà linguistiche diverse, il siciliano e il galloitalico, fu inevitabile. (Trovato 2013: 285) Le località con immigrati italiani settentrionali sono anche chiamate, con un’espressione un po’ fuorviante, “Lombardia siciliana”. Più precisamente, si possono distinguere due gruppi, a seconda che i rispettivi dialetti possano essere caratterizzati come prevalentemente gallo-italici nel complesso (cfr. Tabella 1) o che si possano trovare solo varianti più o meno gallo-italiche (cfr. Tabella 2; cfr. Trovato 2013: 277 e Foti 2015: I, n. 1). Nel primo caso, in Sicilia sono emerse varietà migratorie, o più precisamente post-migratorie, caratterizzate da una sostanziale resilienza nonostante le influenze del siciliano copresente. 202 <?page no="203"?> Il gallo-italico siciliano e la resilienza linguistica di migrazioni medievali provincia comune provincia comune Messina San Fratello (AIS 817) Catania Randazzo Acquedolci Enna Nicosia San Piero Patti Sperlinga (AIS 836) Montalbano Elicona Piazza Armerina Novara di Sicilia Aidone (AIS 865) Fondachelli-Fantina (AIS 818) Siracusa Ferla Buccheri Càssaro Tabella 1: 14 centri con varietà gallo-italiche (varietà postmigratorie resilienti) provincia comune provincia comune Messina Roccella Valdemone Catania Bronte (AIS 838) Santa Domenica Vittoria Maletto Francavilla Caltagirone Enna Valguarnera Caropepe Mirabella Imbaccari Palermo Corleone San Michele di Ganzaria (AIS 875) Piedimonte Etneo Linguaglossa Tabella 2: 10 luoghi con varianti gallo-italiche più o meno numerose nel siciliano locale Come si nota, sei località (quattro del primo e due del secondo gruppo) appartengono ai luoghi di registrazione del grande atlante linguistico italiano AIS. In un terzo gruppo, si può sospettare una precedente componente gallo-italica sulla base di pochi tratti. La Mappa 1 fornisce una panoramica: 203 <?page no="204"?> Thomas Krefeld l’ipotetica area di emigrazione nello specchio dei punti AIS 2 isoglosse più ampie possibili di tratti gallo-italici in Sicilia e nell’Italia settentrionale (rete dell’AIS) 3 varietà gallo-italica estinta o varianti settentrionali estinte varietà gallo-italica punto AIS varietà siciliana con varianti settentrionali punto AIS Mappa 1: la “Lombardia siciliana” È ovvio ipotizzare un disegno strategico dietro la topografia dell’insediamento. Da un lato «lo scopo di tagliare in due le comunità arabe della Sicilia sudorientale da quelle della Sicilia occidentale e impedir loro di congiungere le forze (Vàrvaro 1981, 186)» (Trovato 2013: 276), dall’altro lato, le città si stendono ad anello intorno a Catania. 4 2 Secondo Trovato (2018: 231) e Petracco Sicardi (1969: 337). 3 Secondo Trovato (2018: 231) e Petracco Sicardi (1969: 337). Il luogo gallo-italico estinto di Fundarò menzionato in Trovato (2018: 278, mappa IV.2) non poteva essere georeferenziato. 4 Si veda in questo senso anche la considerazione di Henri Bresc: «Di fronte a una popolazione profondamente musulmana e arabizzata, divisa però tra i partiti e ambizioni dinastiche, la monarchia francese e la feudalità d’importazione contavano sulla sola forza militare, mentre il sostegno dei Greci del Valdemone era incerto e debole - anche se non si sono verificati in Sicilia casi di alleanza durevole tra Cristiani arabizzati, Mozarabi, e maggioranza musulmana. L’immigrazione di nuclei importanti di Cristiani latini pare dunque necessaria per assicurare prima un equilibrio, e per rovesciare dopo il rapporto delle forze: non dimentichiamo le rivolte musulmane nei primi tempi che seguono la conquista. La triplice alleanza matrimoniale che porta in Sicilia, accanto agli Altavilla, i marchesi Aleramici appare chiaramente come un atto indirizzato ad assicurare il popolamento latino: sono pochi i Francesi che immigrano nell’isola tranne feudatari, soldati e membri del clero mentre i Lombardi tagliano l’isola in due, isolando dietro una cortina di grosse comunità, democratiche e solidali, le due regioni musulmane di Val di Mazara e Val di Noto; San Fratello, Vaccaria, Sperlinga e Nicosia, Castrogiovanni, Piazza e Aidone, Mazzarino e Butera separano due zone senza penetrarle mentre gruppi più piccoli, a Santa Lucia, Randazzo, Maniace e Paternò inquadrano il Valdemone e sorvegliano la Catania aleramica. L’immigrazione lombarda massiccia animata da uno spirito di comunità e da una coscienza della propria identità destinati a durare fino al ’400, non lascia purtoppo identificare le proprie origini» (1984: 246). 204 <?page no="205"?> Il gallo-italico siciliano e la resilienza linguistica di migrazioni medievali 3 Un laboratorio per il contatto storico tra varietà linguistiche I diversi gradi di conservazione o di erosione del gallo-italico offrono ottime condizioni per lo studio del contatto storico tra varietà; in un certo senso, è possibile osservare come il sistema delle vecchie varietà migratorie si dissolva nell’ambiente delle varietà (non molto strettamente) affini e con quali parametri sociali siano correlati questi processi. Purtroppo, manca un ampio studio comparativo, che potrebbe prendere in considerazione altre isole linguistiche gallo-italiche dell’Italia meridionale, anch’esse registrate nell’AIS: franco-provenzale occitanico gallo-italico Mappa 2: Varietà migratorie gallo-italiche nell’Italia meridionale registrate nell’AIS In tutti i casi, è evidente la particolare fonetica dei luoghi gallo-italici nei rispettivi ambienti meridionali. Ciò è ben illustrato dalle strutture sillabiche divergenti. Visto che al nord sono sistematicamente scomparse le vocali atone, finali innanzitutto (ad eccezione di -a) e spesso anche le consonanti intervocaliche, sono emersi numerosi monosillabi e parole con sillabe complesse (C(C)V(C)C), mentre al sud dominano generalmente le strutture CVCV. Così, quasi tutte le località gallo-italiche 205 <?page no="206"?> Thomas Krefeld della Sicilia, della Calabria e della Puglia - e solo queste - presentano varianti monosillabiche, ad esempio [p-], [ p˜E ], [paŋ] ‘pane’, invece delle varianti a due sillabe [pan @ / pani] (cfr. AIS 985): Mappa 3: cognati monosillabici del latino pane(m) ‘pane’ in punti gallo-italici dell’Italia meridionale (rete AIS) 3.1 La situazione attuale da una prospettiva sociolinguistica: tre scenari Sarebbe probabilmente assurdo classificare i luoghi gallo-italici come una minoranza etnica, perché sono «comunità interamente assimilate alla circostante sicilianità nella strutturazione dei rapporti sociali, nella cultura, nelle “condizioni di vita e nell’habitat” (Cardona 1987, p. 55)» (Orioles 1999: 214). L’assimilazione alla «circostante sicilianità» fa sì che i luoghi gallo-italici non siano caratterizzati da una cultura autonoma. Ciò non significa, tuttavia, che la direzione storica dell’assimilazione, o meglio dell’acculturazione, sia consistita esclusivamente nell’adozione, da parte degli immigrati gallo-italici, di tecniche e costumi culturali siciliani autoctoni. Ci sono anche prove della direzione opposta, cioè dell’adozione, da parte dei siciliani, di tecniche gallo-italiche o galloromanze importate. Un esempio notevole è fornito dalla designazione del concetto di ‘formaggio’ (v. sotto, sez. 3.2.3). 206 <?page no="207"?> Il gallo-italico siciliano e la resilienza linguistica di migrazioni medievali I gallo-italici non costituiscono neppure una minoranza ufficialmente riconosciuta nel senso del decreto legislativo italiano sulle lingue, 5 ma almeno sono iscritti a livello regionale nel Registro delle Eredità Immateriali della Regione Siciliana. 6 Tuttavia, è fuori discussione l’esistenza di una forte coesione sociale in alcuni gruppi di parlanti - anche se non necessariamente nell’intero gruppo linguistico. Non è facile, in ogni caso, ottenere una panoramica aggiornata della situazione linguistica del gallo-italico. È vero che in linea di principio si può dire che si tratta di varietà che tendono a essere usate da interlocutori che si conoscono bene e in situazioni informali. Tuttavia, la vitalità è ben diversa: Riguardo ai tipi di utenza, la condizione generale, è l’uso del galloitalico nell’ambito familiare e nei rapporti abituali all’interno della comunità, pur con condizioni differenziate tra centri con buona conservazione (Nicosia, Sperlinga, S. Fratello e Novara, almeno fino agli anni 60, dal momento che oggi qui il gallotalico è soggetto a crisi perchè poco usato dagli uomini), e centri con restrizioni d’uso all’interno di piccoli gruppi o con regressione in zone periferiche e in quartieri “antichi”, come nel caso del piazzese, nonché in ambiti limitati (ad es. ad Aidone in campagna e sul posto di lavoro). (Mocciaro 1999: 194) Quando i parlanti non usano o addirittura abbandonano il gallo-italico, ciò accade generalmente a favore del siciliano locale piuttosto che dell’italiano (perlomeno era questo il caso alla fine degli anni ’90): tutti i fattori socioculturali [...] favoriscono, infatti, prima il siciliano e solo al livello alto l’italiano; questo è veicolato, oltre che da fatti culturali e politici, da forme della vita moderna (commercio, alcune forme di artigianato e dell’industria, mass-media), dai contatti con l’esterno, nonché, almeno per il passato, dagli effetti dell’emigrazione di ritorno, più marcati per quanto riguardava i bambini. (Mocciaro 1999: 197) Tuttavia, con gli stranieri era il siciliano (piuttosto che l’italiano) ad essere usato, in maniera spontanea; la medesima cosa accadeva «in contesti più o meno ufficiali, come in occasione delle serenate alla ragazza, o nel chiedere in sposa una donna» (Mocciaro 1999: 197, n. 24). 5 Cfr. la legge 15 dicembre 1999, n. 482, Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 297 del 20 dicembre 1999 ( ⟨ https: / / www.parlamento.it/ parlam / leggi/ 99482l.htm ⟩ , ultimo accesso: 18/ 03/ 2023). 6 Cfr. ⟨ https: / / reis.cricd.it/ reisicilia ⟩ ; ultimo accesso: 18/ 03/ 2023. 207 <?page no="208"?> Thomas Krefeld È quindi necessario un preciso studio sociolinguistico. Antonia G. Mocciaro ha elaborato i fattori che dovrebbero essere presi in considerazione in una tipizzazione comparativa; essi sono di fondamentale rilevanza, anche al di là della Sicilia, per la descrizione di scenari di vitalità linguistica precaria: a) correlazioni tra atteggiamenti autovalutativi e comportamento linguistico nei riguardi della parlata tradizionale; b) [...] l’interdipendenza tra processi socioeconomici e mutamenti linguistici [...] (contatti con l’esterno e pendolarismo, migrazioni temporanee, ecc.); c) verifica delle condizioni di bilinguismo (con situazioni di instabilità quando è all’interno della comunità stessa) in relazione al fattore ‘interlocutore’ [...]; d) [...] la variabile sesso, ruolo delle donne nei riguardi della conservazione della tradizione linguistica, nonché dell’influenza della madre nella educazione linguistica dei figli; e) comportamento della classe colta e recupero consapevole del galloitalico; f) esame della varietà locale di siciliano attraverso la scelta di indicatori linguistici come forme “miste” e ibridismi. (1999: 207) Il modo in cui si presentano i valori di questi parametri non è affatto prevedibile, ma può divergere in maniera molto marcata. Così, per quanto riguarda il parametro d), che è un tema ricorrente nella dialettologia e nella linguistica delle variazioni, Orioles (1999: 213) parla del «diverso comportamento comunicativo della donna, ora conservatrice come a Novara di Sicilia, ora proiettata verso l’innovazione come a Nicosia». Mocciaro (1999: 200) ha specificato questo aspetto in modo esemplare utilizzando tratti concreti. La studiosa ha potuto osservare che due tratti gallo-italici, che a Sperlinga non sono evidenziati, a Nicosia sono realizzati solo da donne anziane in un quartiere specifico della città: 7 • la velarizzazione di [-n] finale > [-ŋ], ad es. [paŋ] ‘pane’, [domaŋ] ‘domani’; • l’indebolimento o evanescenza delle vocali finali > [- @ ], [-ø]. Un esempio simile, proveniente da Novara di Sicilia, mostra la complessità linguistica della variazione. Mentre la marcatura di genere (diasessuale) di una va- 7 Tropea riferisce, ancora nel 1970, che le donne erano informatrici ancora più affidabili nell’indagine sul lessico di attività tradizionalmente maschili (coltivazione del grano, aratura, pastorizia; cfr. Mocciaro 1999: 199, n. 35). 208 <?page no="209"?> Il gallo-italico siciliano e la resilienza linguistica di migrazioni medievali riante si è persa, la stessa variante si è generalizzata come allofono libero (dati da Mocciaro 1999: 200; schema Th.K.): uomini donne 1970 [an] santo, stanza, lampo [ p˜E n] [ " s: ˜E ntu], [ " st ˜E n dz a], [ " l ˜E mpu] 1999 variazione individuale [an]/ [ ˜E n] Figura 3: la complessità linguistica della variazione Anche il parametro e), la lealtà della classe sociale alta al gallo-italico, va considerato in modo differenziato; in alcune località (Aidone e San Fratello) si è potuta registrare una «[r]ivalutazione del dialetto gallo-italico presso le classi alte» (Mocciaro 1999: 200), evidente anche nell’uso attivo del gallo-italico da parte di studenti e di parlanti provvisti di qualifica professionale (“diplomati”). Laddove, invece, il gallo-italico è in forte declino presso le generazioni più giovani, l’uso scherzoso si sta rivelando l’ultima nicchia - come in altri ambiti analoghi (cfr. Mocciaro 1999: 194). La situazione sociolinguistica delle varietà gallo-italiche (rappresentate dai simboli rossi sulla Mappa 1) è quindi molto diversa; in una sintesi abbastanza recente, Salvatore C. Trovato (2013: 280s.) distingue grosso modo tre scenari, che però andrebbero specificati nel dettaglio. 3.1.1 Scenario 1 In tre località, San Fratello (= AIS 817), Nicosia e Sperlinga (= AIS 836), il galloitalico è stabile («gode ancora di buona salute»; Trovato 2013: 280) ed è usato insieme a una varietà locale del siciliano, «ma in situazioni diafasiche diverse» (Trovato 2013: 280s.). In un certo senso, quindi, esiste un bilinguismo dialettale, sotto il tetto dell’italiano regionale. San Fratello (= AIS 817: ) In questa località (cfr. ora Foti 2015), il gallo-italico è caratterizzato da «una gagliarda vitalità e una granitica compatezza» (Tropea 1970: 125/ Tropea 1974: 371, citato in Trovato 1989: 362). Nello stesso contesto, Trovato segnala la «spiccata endogamia» e lo «spiccato orgoglio dei Sanfratellini» (cfr. Tropea 1974) e sottolinea «la quasi ermetica chiusura dei Sanfratellini nei confronti 209 <?page no="210"?> Thomas Krefeld dei Siciliani dell’area circostante chiamati spregiativamente ùúóakkwei o marräni» (Trovato 1989: 362). In sostanza, sono stati confermati i risultati della ricerca, un po’ più vecchia, di Giovanni Tropea (1974). Nicosia: In questo villaggio valgono condizioni simili a quelle di San Fratello: Di buona salute gode pure il dialetto galloitalico di Nicosia. Esso viene parlato da tutti gli strati sociali [...] gode di un relativo prestigio al punto che anche le classi sociali più elevate, che pure indolgono (soprattutto le donne) al siciliano del posto e all’italiano, lo parlano con disinvoltura e spesso anche con orgoglio. (Trovato 1989: 363) Tuttavia, già Trovato (1989: 364) notava nella stessa ricerca «l’inizio di un malessere», perché le giovani generazioni si orientavano verso l’italiano o addirittura verso il siciliano: [I] ragazzi delle nuove generazioni, soprattutto in ambiente piccolo-borghese, sono stati abituati fin dall’infanzia all’italiano da genitori che tra di loro parlano per lo più il siciliano del posto. Diventati grandi, al di fuori dell’ambiente familiare, questi ragazzi passano per lo più dall’italiano, come lingua abituale, al siciliano del posto, ma non al galloitalico. Sperlinga (= AIS 836): Questo piccolo centro è linguisticamente molto vicino alla suddetta Nicosia; in termini sociolinguistici, comunque, il gallo-italico sembrava essere ancora più saldamente ancorato nel 1989: [...] il galloitalico tradizionale molto simile al nicosiano, del quale può considerarsi la variante rustica ma non quella arcaica, è parlato da tutti gli strati della popolazione in qualsiasi contesto e situazione, mentre il siciliano del posto, anche questo fortemente e pesantemente condizionato dal galloitalico, è usato solo nei rapporti coi forestieri e con qualche difficoltà da parte dei Sperlinghesi. (Trovato 1989: 364) 3.1.2 Scenario 2 In alcuni altri luoghi (Piazza Armerina, Aidone), una costellazione analoga esiste ancora in forma rudimentale, ma l’ambito di impiego del gallo-italico è ormai fortemente limitato a una «funzione ludica e poetica e sempre meno [...] comunicativa» (Trovato 2013: 281). 210 <?page no="211"?> Il gallo-italico siciliano e la resilienza linguistica di migrazioni medievali Si tratta di una situazione molto particolare di plurilinguismo, che non rientra nella nota tipologia di costellazioni diglossiche di Berruto (1987). È caratterizzata dalla coesistenza di due dialetti locali nella sfera informale, ma con prestigio diverso. Sulla base di Tropea (1974: 383) e Mocciaro (1999: 200), si può ricavare il seguente schema: formale: scritto italiano standard parlato italiano locale informale: prestigio sociale + dialetto 2: siciliano prestigio sociale - dialetto 1: gallo-italico Figura 4: “diglossia” bidialettale Piazza Armerina: In questa grande citta, economicamente importante, nel 1989 la situazione era molto diversa rispetto a Sperlinga: In rapido declino e in via di sparizione è il galloitalico di Piazza Armerina [...] piccoli gruppi di contadini e pastori i quali solitamente evitano di usarlo quando si recano in paese [...] viene parlato come codice misto col siciliano del posto. Quest’ultimo è fortemente influenzato [...] dall’antico dialetto galloitalico. (Trovato 1989: 364) Ciononostante, si potevano osservare due nicchie eco-linguistiche in cui il galloitalico si è mantenuto ben saldo: [...] come lingua della poesia vernacolare e, in particolar modo dalle nuove generazioni, in funzione ludica: chi vuole far dello spirito, soprattutto tra gli studenti della città, parla o tenta di parlare il dialetto galloitalico tradizionale. (Trovato 1989: 364) Aidone (= AIS 865): In questo piccolo centro, il gallo-italico è ormai la lingua di poche famiglie e, nel migliore dei casi, viene parlato solo un po’ durante i lavori in campagna. È percepito come stigmatizzante dall’opinione pubblica locale; c’è un «attegiamento di ostilità contro il “vernacolo”» (Mocciaro 1999: 197, n. 25). In una prospettiva comparativa, il luogo è stato caratterizzato da Antonia Mocciaro come segue: 211 <?page no="212"?> Thomas Krefeld La situazione di bilinguismo dialettale dei sei centri è strettamente correlata con atteggiamenti autovalutativi nei confronti della parlata tradizionale: all’orgoglio per la propria parlata, a S. Fratello, e al prestigio ad essa attribuito a Nicosia, si oppone, ad es., una valutazione decisamente negativa ad Aidone, dove l’uso del “vernacolo” è osteggiato nei bambini e giudicato “rozzo” e “anacronistico”. (Mocciaro 1999: 194) Novara di Sicilia: Questo luogo è relativamente poco studiato; il gallo-italico vi sembra esser mutato in una lingua domestica relativamente ben conservata nel contesto femminile, in cui si conduce «ancora una vita legata all’ambiente domestico» (Trovato 1989: 363). 3.1.3 Scenario 3 Nelle restanti località (Acquedolci, San Piero Patti, Montalbano Elicona, Fondachelli-Fantina, Ferla, Buccheri, Càssaro, Randazzo) non esiste un bilinguismo dialettale, ma è comunque presente la consapevolezza «della diversità del dialetto che vi si parla» (Trovato 2013: 281). La Mappa 4 localizza i luoghi dei tre scenari. 3.2 Resilienza di alcuni tratti gallo-italici Di fondamentale interesse nello studio del contatto tra varietà è il rapporto tra resilienza e dinamica nei diversi sottosistemi linguistici. Per offrire un’impressione esemplare, seguono quattro mappe con le versioni dialettali della frase beverei se ci fosse acqua fresca. Questo perché da esse si possono ricavare osservazioni sulla fonetica e sulla morfosintassi (negli atlanti linguistici tradizionali, come è noto, la sintassi era registrata solo marginalmente): beverei se ci fosse acqua fresca 1 a pers. condizionale congiunzione avverbio di luogo 3 a pers. congiuntivo II nome f. aggettivo f. Mappa 5 Mappa 6 Mappa 7 Mappa 8 Figura 5: distribuzione sulle mappe di beverei se ci fosse acqua fresca Le Mappe 5-8 documentano le varianti rilevate dall’AIS. 8 8 Segnalazione dei punti gallo-italici Th.K.; / : varietà detta gallo-italica nell’AIS; / : varietà con varianti gallo-italiche secondo Trovato (2013). 212 <?page no="213"?> Il gallo-italico siciliano e la resilienza linguistica di migrazioni medievali scenario (1): bilinguismo dialettale stabile: gallo-italico | siciliano scenario (2): bilinguismo dialettale, ambito d’uso limitato scenario (3): assenza di bilinguismo dialettale; consapevolezza di parlare un dialetto particolare Mappa 4: Varietà migratorie gallo-italiche in Italia meridionale registrate nell’AIS 213 <?page no="214"?> Thomas Krefeld Mappa 5: estratto da AIS 1035 “beverei” Mappa 6: estratto da AIS 1036 “se ci fosse” 214 <?page no="215"?> Il gallo-italico siciliano e la resilienza linguistica di migrazioni medievali Mappa 7: estratto da AIS 1037 “acqua” Mappa 8: estratto da AIS 1038 “fresca” 215 <?page no="216"?> Thomas Krefeld 3.2.1 Fonetica Porterebbe certamente a risultati importanti un’analisi sistematica della fonetica, che riveste indubbiamente un’importanza primordiale per lo studio del contatto tra varietà apparentate. Da un lato, è evidente la resilienza spiccata di determinati tratti fonetici; dall’altro, lo studio fonetico fornisce numerose indicazioni chiare per determinare la provenienza di determinate forme, come si evince da uno sguardo ai cognati del latino aqua (cfr. Mappa 7): alcune varietà galloitaliche (P 817, P 836, P 865) si distinguono dal resto delle forme siciliane per la palatalizzazione della [a] latina > [ E ]/ [ E w]; è specifico inoltre lo sviluppo del nesso [kw] > [gw]/ [w]. Le forme corrispondenti [ E wa] e [ E wgwa] trovano paralleli diretti nell’Italia nord-occidentale: Mappa 9: [a] > [e] e [kw] > [w] / [gw] in varianti di acqua nell’Italia settentrionale (estratto da AIS 1037) 216 <?page no="217"?> Il gallo-italico siciliano e la resilienza linguistica di migrazioni medievali D’altra parte, alcune varietà gallo-italiche (P 818) o influenzate dal gallo-italico (P 838, P 875) mostrano l’adozione delle forme siciliane senza alcun adattamento. Sarebbe interessante verificare se questa sostituzione è particolarmente favorita laddove le forme gallo-italiche e siciliane sono intese dai parlanti stessi - intuitivamente - come varianti fonetiche di uno stesso tipo lessicale. Ciò è molto probabile nel caso di [ E wgwa] vs. [ak(k)wa], mentre lo è molto meno nel caso di [ E wa] vs. [ak(k)wa], perché a livello percettivo la variante gallo-italica differisce in modo tale che i parlanti potrebbero interpretarla come un tipo lessicale particolare. Per comprendere meglio l’interazione delle varianti/ varietà in contatto sarebbero utili dei test percettivi. In ambito fonetico, oltre alla resilienza e alla sostituzione, si osservano anche evidenti fenomeni di innovazione, indotti dal contatto, ma originali. Eccone un esempio, non proprio scontato: in Sicilia, come altrove in una vasta area dell’Italia meridionale, la lunga [-ll-] intervocalica diventa retroflessa [-- -] ([d ˙ ] nella trascrizione AIS), come dimostra il tipo ‘coltello’ (cfr. AIS 979 “togli il coltello (a codesto bambino)”). La Mappa 10 mostra che solo le varietà gallo-italiche o influenzate dal gallo-italico non seguono questo sviluppo (l’unica eccezione è P 875), bensì presentano forme con [-ll-] (P 838) o con [-ll-] vocalizzata come in [ku " t(j) E w]: Mappa 10: [-ll-] intervocalica > [-- -] sull’esempio coltello (estratto da AIS 979) 217 <?page no="218"?> Thomas Krefeld La Mappa 10 mostra inoltre, con l’esempio del verbo levari ‘togliere’, che la [l-] iniziale è perfettamente stabile in siciliano. Tuttavia, proprio tre varietà gallo-italiche (P 817, P 836, P 865) sostituiscono questa iniziale laterale con la plosiva retroflessa [ - ( - )-]. Questo suono, così come la quantità consonantica in generale, è completamente estraneo non solo all’area di origine, ma anche a tutta l’Italia settentrionale e centrale; deve quindi trattarsi di un prestito, il cui uso, però, ubbidisce a condizioni fonotattiche completamente diverse. Altre carte suggeriscono che lo sviluppo di [l-] > [ - ( - )-] è un processo del tutto sistematico, come è evidente, ad esempio, in [ - æt] ‘latte’ al posto di siz. latti, it. latte (cfr. AIS 1199 “il latte”). Per di più, l’esempio di [ - æt] ‘latte’ richiama l’attenzione su una resilienza fonotattica estremamente robusta, ossia la già citata riduzione delle vocali finali (eccetto [-a]), caratteristica dell’area di origine e non solo; ne consegue la frequente struttura sillabica CVC, già menzionata sopra (cfr. p. 205), in contrapposizione alla struttura CVCV assolutamente dominante in Sicilia come nell’Italia centrale e meridionale in generale. 3.2.2 Morfosintassi L’esempio iniziale beverei se ci fosse acqua fresca è una frase condizionale irreale; in costruzioni romanze di questo tipo, l’uso dei modi varia notevolmente. Le Mappe 5 e 6 hanno evidenziato che le varietà siciliane usano sistematicamente il congiuntivo II sia nella principale che nella subordinata; solo l’informatore di P 819 usa il condizionale in entrambi i casi. Le varietà gallo-italiche e quelle influenzate dal gallo-italico hanno adottato il più possibile il tipo siciliano (così anche AIS 1630 “non sarebbe contento”); solo in P 817 compare un condizionale nella subordinata (furra < lat. fuerat; cfr. Rohlfs 1968: § 603). Non c’è quindi corrispondenza con le costruzioni della regione d’origine, in cui, esattamente come nella varietà di riferimento (ovvero nell’italiano standard), si utilizzano il condizionale nella principale e il congiuntivo II nella subordinata (cfr. AIS 1035 “beverei” e AIS 1036 “se ci fosse”). In altre parole, non si nota la minima resilienza. Colpisce invece l’innovativa congiunzione saráw, che sembra essersi grammaticalizzata in Sicilia sulla base di una variante dialettale della 3 a pers. condizionale di essere (it. sarebbe), attestata nell’uso modale della regione d’origine (cfr. AIS 1630). 218 <?page no="219"?> Il gallo-italico siciliano e la resilienza linguistica di migrazioni medievali 3.2.3 Lessico Nel contatto linguistico, il lessico deve essere giudicato in modo fondamentalmente diverso dalla fonetica e dalla morfosintassi. Questo perché le denominazioni devono essere viste nei loro rapporti con la realtà extralinguistica a cui si riferiscono. La resilienza lessicale in situazioni post-migratorie presuppone quindi spesso - anche se non sempre - una continuazione altrettanto resiliente delle tecniche culturali corrispondenti. Queste tecniche possono persino rivelarsi così attraenti da diffondersi al di là dell’ambiente specifico dei gruppi di immigrati. Anche il gallo-italico ne fornisce esempi prototipici, come illustrato in Valenti (2019). È esemplare il nome generico del formaggio: quasi ovunque in Sicilia, lo si chiama tumazzu, diminutivo di tuma, attestato al punto 819 dell’AIS: Mappa 11: il nome generico del ‘formaggio’ in Sicilia (estratto da AIS 1217 “salare il formaggio”) In realtà, la parola base tuma è più diffusa in Sicilia di quanto non risulti dalla Mappa 11; tuttavia, di solito non ha un significato generico, ma indica il ‘formaggio fresco’. Senza entrare nei dettagli (cfr. lo schizzo in Krefeld 2018), va notato che tuma è una parola specificamente alpino-occidentale, originariamente pre-romana (celtica? ), che può essere arrivata in Sicilia solo con gli immigrati gallo-italici. Questa diffusione secondaria al di là dei dialetti gallo-italici in tutta la Sicilia difficilmente può essere spiegata se non con la diffusione di specifiche tecniche di pro- 219 <?page no="220"?> Thomas Krefeld duzione a cui la parola era associata. La Mappa 12 mostra la distribuzione nelle Alpi: Mappa 12: diffusione del tipo fr. tomme/ it. toma nelle Alpi occidentali 9 La resilienza degli utensili e la loro diffusione nelle regioni di origine è esemplificata, nel contesto della lavorazione del latte, dall’uso di recipienti in legno per il latte, utilizzati in forma identica anche nelle Alpi (v. Figura 6a/ b). Come ha mostrato Iride Valenti (2011), l’intero vocabolario culinario del siciliano è massicciamente marcato da varianti immigrate, per cui non è sempre facile separare l’apporto gallo-romanzo da quello gallo-italico. Questa difficoltà è evidente nel caso del tipo travagghiári (cfr. VSES: 1085ss.), che designa il concetto ‘lavorare’ in tutta la Sicilia (v. Mappa 13). La determinazione dell’origine è problematica, dal momento che il verbo è diffuso sia in Normandia e nella Gallo- Romania (cfr. fr. travailler) sia nell’Italia nord-occidentale. Tuttavia, è indubbio che si sia affermato un diverso modello culturale e sociale direttamente con i Normanni, che non da ultimo portarono con sé l’introduzione del sistema feudale (cfr. Krefeld 2021b: cap. 2.4). Naturalmente, anche la famiglia degli Aleramici, responsabile dell’immigrazione della popolazione gallo-italica dal suo dominio originario nell’attuale Piemonte, era legata a questo modello. 9 VerbaAlpina, ⟨ https: / / www.verba-alpina.gwi.uni-muenchen.de/ it? page_id=27&db=222&tk=4685 ⟩ ; ultimo accesso: 18/ 03/ 2023. 220 <?page no="221"?> Il gallo-italico siciliano e la resilienza linguistica di migrazioni medievali (a) recipiente da latte siciliano delle Madonie 10 (b) recipiente da latte alpino di Unterschönau, Berchtesgaden 11 Figura 6: resilienza di una tecnica culturale Mappa 13: sic. travagghiári (estratto da AIS 1615 “lavorare”) 10 Da Sottile (2002: 214). 11 Da Krefeld (2021a: § 19). 221 <?page no="222"?> Thomas Krefeld 4 Epilogo: i limiti metodologici della fonte I grandi progetti atlantistici della prima generazione (cfr. Krefeld 2021c) - l’AIS in primis - offrono un panorama della variazione linguistica più ampio di quanto si possa pensare a prima vista; vengono forniti, ad esempio, anche dati rilevanti per la linguistica migratoria. Allo stesso tempo, è evidente che gli autori, sullo sfondo dell’orizzonte scientifico del loro tempo, non erano in grado di affrontare metodologicamente la multidimensionalità della realtà linguistica documentata. Anche questo risulta immediatamente chiaro dall’esempio dei punti gallo-italici indagati, quando si osservano i verbali di registrazione. Seguono alcuni estratti rivelatori: 12 817 [...] San Fratello [...] 817 San Fratello Gemeinde: Die gallo-italienische Mundart, die in der ganzen Ortschaft von sämtlichen Einwohnern gesprochen wird, ist durchaus reinlich geschieden vom Sizilianischen, das in die Bürgerkreise der Stadt eindringt und auch im Verkehr mit Leuten aus anderen Ortschaften gebraucht wird. Comune: Il dialetto gallo-italico, parlato da tutti gli abitanti dell’intero paese, si distingue nettamente dal siciliano, che penetra negli ambienti borghesi del paese ed è usato anche nella comunicazione con persone di altre città. Suj.: [...] 33 Ist bewusst bodenständig und scheidet scharf zwischen Sizilianisch und eigener Mundart. Inf.: 33 È consapevolmente locale e distingue nettamente il siciliano dal proprio dialetto. (Jaberg/ Jud 1928: 131) 818 [...] Fantina [...] 818 Fantina Gemeinde: [kein Hinweis auf Gallo- Italisch; Th.K.] Comune: [nessun riferimento al gallo-italico; Th.K.] Suj.: [...] 47 [...] Mundartlich im allgemeinen zuverlässig, doch zum Teil schriftsprachlich beeinflusst [...] Inf.: 47 Dialetto generalmente affidabile, ma in parte influenzato dalla lingua scritta (Jaberg/ Jud 1928: 131) 12 Traduzione Th.K. 222 <?page no="223"?> Il gallo-italico siciliano e la resilienza linguistica di migrazioni medievali 836 [...] Sperlinga [...] 836 Sperlinga Gemeinde: [...] Die alte galloitalienische Mundart wird noch von allen Schichten der Bevölkerung gesprochen. Wenn auch das Sizilianische noch wenig üblich ist, so geht die Mundart doch infolge des Einflusses des Sizilianischen und Italienischen langsamer Zersetzung entgegen. Comune: Il vecchio dialetto galloitalico è ancora parlato da tutte le classi della popolazione. Sebbene il siciliano sia ancora poco usato, il dialetto si sta lentamente decomponendo a causa dell’influenza del siciliano e dell’italiano. Suj.: [...] 35 [...] Sachlich und mundartlich vorzüglich. Inf.: [...] 35 [...] Eccellente nella conoscenza degli oggetti e nel dialetto. (Jaberg/ Jud 1928: 133) 838 [...] Bronte [...] 838 Bronte Gemeinde: [kein Hinweis auf Gallo- Italisch; Th.K.] Comune: [nessun riferimento al gallo-italico; Th.K.] Suj.: [...] 30 [...] Mundartlich sattelfest, wenn auch hie und da schriftsprachlich beeinflusst [...] Inf.: 30 Dialettalmente solido, anche se qua e là influenzato dalla lingua scritta (Jaberg/ Jud 1928: 133) 865 [...] Aidone [...] 865 Aidone Gemeinde: [...] Die gallo-italische Mundart ist stark im Rückgang begriffen, da das Sizilianische auch von den Bauern im Verkehr mit den ‘Herren’ bevorzugt wird. Daher bestehen oft für dieselbe Sache mehrere Ausdrücke. Comune: Il dialetto gallo-italico è in forte regresso, perché il siciliano è preferito anche dai contadini nei loro rapporti con i “signori”. Quindi spesso ci sono diverse espressioni per la stessa cosa. Suj.: [...] 44 [...] Infolge beständigen Verkehrs mit den Bauern hat er die alte Mundart noch gut bewahrt. [...] die Sicherheit in der Unterscheidung des Inf.: 44 Grazie ai continui rapporti con i contadini, ha conservato bene il vecchio dialetto. [...] la sicurezza nel distinguere l’espressione siciliana da 223 <?page no="224"?> Thomas Krefeld sizilianischen vom einheimischen Ausdruck lässt hie und da zu wünschen übrig. quella autoctona lascia qua e là a desiderare. (Jaberg/ Jud 1928: 134s.) 875 [...] San Michele di Ganzaria 875 San Michele di Ganzaria Gemeinde: [kein Hinweis auf Gallo- Italisch; Th.K.] [...] Die Mundart lehnt sich stark an das Gemeinsizilianische an [...] Comune: [nessun riferimento al gallo-italico; Th.K.] [...] Il dialetto si appoggia molto al siciliano comune. Suj.: [...] 40 [...] Mundartlich und sachlich vorzüglich. Inf.: 40 Eccellente nel dialetto e nella conoscenza degli oggetti. (Jaberg/ Jud 1928: 135) Vengono fornite informazioni in parte sulla situazione linguistica della località e sul dialetto oggetto dell’indagine, in parte sulla competenza degli informatori. Tuttavia, manca una caratterizzazione sistematica della loro competenza individuale. Non da ultimo, data l’età relativamente giovane degli informatori, spesso non è chiaro quanto essi siano rappresentativi. Così, in tre dei sei schizzi (P 817, P 836, P 865) si fa riferimento al bilinguismo del punto e, nel caso di P 817, anche al bilinguismo dell’informatore. Però, cosa si intende esattamente quando si dice che il dialetto è in «forte regresso» (P 865) o che «si sta lentamente decomponendo» (P 836)? Il «regresso» indica che la popolazione sta passando dall’uso del gallo-italico a quello del siciliano e/ o dell’italiano? O indica che, magari al contempo, si sta verificando una restrizione dei domini d’uso del gallo-italico? La “decomposizione” riguarda il dialetto in quanto tale o la competenza di alcuni gruppi di parlanti, ecc.? Per quanto riguarda specificamente Aidone (P 865), si vorrebbe sapere se l’incertezza «nel distinguere l’espressione siciliana da quella autoctona» sia un problema individuale dell’informatore, dal momento che questo comportamento corrisponde esattamente all’osservazione generale che «spesso ci sono diverse espressioni per la stessa cosa». In tal caso, però, sarebbe proprio l’informatore incerto a essere rappresentativo e la nozione di varietà stabile sarebbe inappropriata di per sè, ecc. Nel caso di una forte dinamica variazionale, il principio del singolo informatore considerato rappresentativo si rivela irrimediabilmente sovraccarico. 224 <?page no="225"?> Il gallo-italico siciliano e la resilienza linguistica di migrazioni medievali Riferimenti bibliografici AIS = Jaberg, Karl/ Jud, Jakob (1928-1940): Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz. 8 voll. Zofingen: Ringier. Berruto, Gaetano (1987): «Lingua, dialetto, diglossia, dilalìa». In: Holtus, Günter/ Kramer, Johannes (a c. di): Romania et Slavia adriatica. Festschrift für Žarko Muljačić. Hamburg: Buske, 57-81. Bresc, Henri (1984): «La formazione del popolo siciliano». In: Quattordio Moreschini, Adriana (a c. di): Tre millenni di storia linguistica della Sicilia. Atti del Convegno della Sociatà Italiana di Glottologia (Palermo, 25-27 marzo 1983). Pisa: Giardini (= Atti della Società Italiana di Glottologia 7), 243-266. Cardona, Giorgio Raimondo (1987): Introduzione alla sociolinguistica. Torino: Loescher. 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It is therefore a question of linguistic resilience, which can be analysed especially in Sicily due to the relatively good data situation in a diachronic longitudinal section of almost 1,000 years. Biographical sketch: Thomas Krefeld, born in 1955, was Professor of Romance Philology at the Ludwig Maximilian University of Munich from 1995 until his retirement (01/ 04/ 2021). Detailed information on his academic work can be found at ⟨ https: / / www.romanistik.uni-muenchen.de/ personen/ emeriti/ krefeld/ index.html ⟩ . 229 <?page no="231"?> Sabine Heinemann * Italiano popolare in den USA? Zur Entstehung des italo-americano Ende des 19. Jh. 1 1 Einleitung Seit der nationalen Einheit Italiens bis in die 1980er Jahre emigrieren über 25 Millionen Italiener, in der Frühphase in der Regel nicht-alphabetisierte Dialektsprecher. Viele von ihnen wandern ins englischsprachige Ausland aus, vornehmlich in die USA. Gerade für die Frühphase ist aufgrund der bestenfalls rudimentären Italienischwie Englischkompetenz der Emigranten von einer Dialektnivellierung auszugehen, um eine supralokale Verständigung zu gewährleisten, die vermutlich zur Ausbildung einer prekoine im Sinne von Siegel (1985) führt. Gleichzeitig führt der Einfluss des Englischen als dominanter Sprache zu unterschiedlichen, zunächst v.a. lexikalischen, Transferenzen, was letztlich in ein am ehesten als interlanguage beschreibbares italo-americano mündet. Bei dominantem Dialektgebrauch in der Mündlichkeit birgt die schriftliche Umsetzung des Italienischen große Schwierigkeiten, wie sich etwa für Stellenanzeigen in der Tageszeitung Il Progresso Italoamericano zeigen lässt. Interessant ist hier ein Abgleich mit Befunden zum italiano popolare, das entgegen früher Studien bekanntlich eher als panchrones Phänomen denn als durch die mit der Einheit verbundenen gesellschaftlichen Entwicklungen bedingt zu fassen ist. Tatsächlich zeigen sich in den Texten der frühen semicolti strukturelle Übereinstimmungen mit dem italiano popolare des frühen 20. Jh. Der Beitrag arbeitet die Parallelen heraus und beschreibt die Entstehung der Varietäten * Karl-Franzens-Universität Graz. 1 Zu einer ausführlicheren Darstellung vgl. Heinemann (2023). 231 <?page no="232"?> Sabine Heinemann als durch Dialektkontakt und entsprechendes levelling mit beginnender Koineisierung motiviert, bei mehr oder weniger klar intendierter Ausrichtung an der italienischen Norm, wobei im Falle des italo-americano natürlich der englische Einfluss ergänzend zu berücksichtigen ist. 2 Italo-americano Seit der nationalen Einheit Italiens bis in die 1980er Jahre wandern ca. 25,8 Millionen Italiener aus, davon alleine 5,7 Millionen in die USA (Haller 2011: 58), für die Phase der grande emigrazione in der Zeit vom Ende des 19. Jh. bis zum Ausbruch des Ersten Weltkriegs De Mauro (1970: 59) zufolge somit ca. 230.000 Personen im Jahr. Gerade in der Frühphase verlassen v.a. nicht alphabetisierte Dialektsprecher (v.a. Bauern, Tagelöhner, einfache Arbeiter) ihre Heimat, nicht einmal 1 der Emigranten gehört einer höheren Gesellschaftsschicht an. 2 Diejenigen, die lesen und schreiben können, haben bestenfalls die Grundschule besucht. 3 Bis in die 1960er Jahre dominiert Kettenmigration, so dass ein partielles Fortbestehen der sozialen Netzwerke im Ausland möglich ist (Macchetti 2011: 391-401, Vedovelli 2011b: 81-86, Prifti 2014: 240ff.). Dies führt aber nicht zur Herausbildung „italienischer“ Gemeinschaften (littles Italies), vielmehr zeigt sich eine stark regionale Ausrichtung (neapolitanisch, sizilianisch etc.). Der Kontakt unter den Emigrantengruppen dürfte auch durch die bestenfalls schwach ausgeprägte Italienischkompetenz zusätzlich erschwert sein; zudem fehlt trotz diverser italienischsprachiger Presseerzeugnisse faktisch weitgehend ein Modell für die Entwicklung der kommunikativen Gewohnheiten, durch den Kontakt zum Englischen ist eine Destabilisierung des (in der Emigration ohnehin reduzierten) italienischen Varietätensystems bedingt. In dieser Konstellation bildet sich ein instabiles hybrides, auch als Ethnolekt fungierendes italo-americano heraus, für das vorrangig das Amerikanische Englisch und weniger das Italienische als Zielvarietät gelten kann. 2 Bis zum Beginn des Ersten Weltkriegs emigrieren v.a. junge männliche Sprecher zwischen 10 und 30 Jahren. Dabei wandern, relativ zur Bevölkerung in Nord- und Süditalien, etwa doppelt so viele Südwie Norditaliener aus, wobei die Analphabetenquote für die nördlichen Regionen deutlich niedriger ausfällt als für den Süden (Macchetti 2011: 390). 3 De Mauro (1970: 42f.) nimmt an, dass eine umfassende Beherrschung des Italienischen erst nach dem Besuch der Mittelschule erreicht ist (ca. 0,9 der Kinder 1862/ 63). 232 <?page no="233"?> Italiano popolare in den USA? 2.1 Merkmale des italo-americano Das italo-americano - von De Mauro beschrieben als „rozzo gergo anglicizzante“ (De Mauro 1970: 44), als „il linguaggio degli immigrati italiani in America come un compromesso tra lo slang degli indigeni e i vari dialetti della Penisola (non l’italiano)“ (1970: 59) - wird v.a. von Sprechern der ersten und zweiten Generation der hier interessierenden Zeit der grande emigrazione verwendet - in späteren Jahrzehnten ist die Italienischkompetenz der Einwanderer höher, sie entstammen immer häufiger auch höheren Gesellschaftsschichten. Das italo-americano der ersten Generation zeichnet sich v.a. durch die Übernahme lexikalischer Elemente aus. Anglizismen machen ca. 1 / 4 des verwendeten Wortschatzes aus (ca. 1.000 Lexeme; vgl. Vaughan 1926, Prifti 2014: 262), z.B. storo (< engl. store), fattoria (< engl. factory), parcare (< engl. to park), wobei in einigen Fällen aufgrund der lautlichen Ähnlichkeit von Bedeutungsentlehnungen auszugehen ist (s. z.B. fattoria). In der zweiten Generation, die zwar den Dialekt der Eltern als Muttersprache übernimmt, aber mit dem Schuleintritt das Englische als weiteres Idiom erwirbt, treten neben den lexikalischen Übernahmen die für attrition typischen Merkmale auf, wie z.B. Zunahme paradigmatischer Regularität (s. Vereinfachungen, analogiebedingte Regularisierungen, Abbau der Flexionsmorphologie, Ersatz synthetischer durch analytische Strukturen), Abbau des italienischen Wortschatzes, Dominanz generischer wie semantisch konkreter Lexeme etc. (vgl. Prifti 2014: 34, Haller 1993: 10f. u. 19, Thomason 2010: 36-39). 4 Der Heimatdialekt der ersten Generation wird in der dritten zu einem defektiven Idiom, d.h. es entwickelt sich ein für den Migrationskontext typischer asymmetrischer, monodirektionaler Bilinguismus, der vielfach schon in der dritten, spätestens jedoch in der vierten Generation zum Sprachwechsel (language shift) führt (Prifti 2014: 213-220). 4 Für die Flexionsmorphologie lassen sich etwa nennen der Abbau der Allomorphie im Paradigma des definiten Artikels (z.B. mask. Pl. i), die Reduktion der Allomorphie der klitischen Pronomina, die häufig englisch beeinflusste Pluralbildung (vgl. pinotto - pinozzi < engl. peanut(s), sciùa - sciusi < engl. shoe(s)), der Abbau des Konjunktivs (bei weitgehend stabilem Indikativ und Konditional). Derivation mit englischen Basislexemen ist weit verbreitet, Alteration dagegen selten. Auffällig sind auch vom System her gesehen mögliche, aber der Norm nicht entsprechende Derivationen (vgl. insegnatrice für insegnante), der Ersatz reflexiver durch andere Konstruktionen (il farmista che devi vedere è chiamato ‘l’agricoltore che devi vedere si chiama’; lavo le mie mani ‘mi lavo le mani’) oder Kongruenzschwächen (le robe legale, le scuole superiore), vgl. Prifti (2014: 263-295), auch zu weiteren Merkmalen. 233 <?page no="234"?> Sabine Heinemann 2.2 Linguistische Kategorisierung des italo-americano Für die Großzahl v.a. der frühen Emigranten stellt das (Standard-)Italienische nur in eingeschränktem Maße eine Bezugsgröße dar. Bedingt auch durch die Unterschiede zwischen den Dialekten dürfte für den alltagssprachlichen Kontakt der Sprechergruppen neben entsprechenden Akkomodationsprozessen, 5 die zu neuen (kurzlebigen) Varietäten führen können, in Abhängigkeit von der jeweiligen Sprachkompetenz das Ausweichen auf das Englische als dominante Verkehrssprache (bzw. auf einzelne englische Versatzstücke) wesentlich sein. 6 Hybride Idiome wie das instabile italo-americano haben vielfach den Status einer lingua franca inne (auf funktionaler Ebene; die fehlende oder bestenfalls generationenbezogene Stabilität widerspricht aber dem lingua francawie dem Koiné- Begriff), 7 die Adaption des Pidginbegriffs lässt sich über gewisse Ähnlichkeiten in der Anfangsphase des Sprachkontakts hinausgehend ebenfalls nur in beschränktem Umfang rechtfertigen. Strukturell ist das italo-americano am ehesten als interlanguage charakterisierbar, 8 allerdings übertragen auf die Sprechergemeinschaft, in der die Heterogenität der individuellen Lernergebnisse partiell nivelliert werden dürfte, zumal das italo-americano anders als in anderen Kontexten des L2-Erwerbs durch ein Kommunikationsbedürfnis innerhalb der italienischen, dominant dialektophonen Sprachgemeinschaft gestützt 9 und nicht nur durch den Kontakt zur englischsprachigen Bevölkerung bedingt ist. 10 Interlanguages zeichnen sich im Verhältnis zur Zielsprache durch Reduktionen (z.B. auch im Vokabular), Transferenzen oder auch Vereinfachungen aus. Auch die im Erwerbsprozess mögliche Fossilisierung lässt sich für die individuellen Sprecher im Migrationskontext annehmen. 5 Für das Konzept der Akkommodation und die Entstehung dialektaler Kontaktszenarien vgl. z.B. Britain (2010). 6 Zu den zentralen sozialen Faktoren, die die Effekte von Sprachkontakt wesentlich mitbestimmen, zählen das Ausmaß der Kompetenz in der Kontaktsprache (im konkreten Fall Italienisch wie Englisch), die Intensität des Kontakts und die Sprechereinstellung (Thomason 2005: 9). 7 Zur Beschreibung des linguistischen Status des italo-americano werden in der Literatur unterschiedliche Konzepte verwendet, s. zu einer ausführlichen Diskussion Heinemann (2019). 8 Vgl. Selinker (1972: 214): „the existence of a separate linguistic system based on the observable output which results from a leaner’s attempted production of a TL [= target language, S.H.] norm.“ 9 Zum frühen Dialektkontakt und zur beginnenden Koineisierung s. Abschnitt 4. 10 Vgl. auch Vedovelli (2011c: 164), ähnlich Berruto ( 2 2012: 51f.) mit einer Ausdifferenzierung in interlingue intermedie oder avanzate. Krefeld (2010: 470) spricht von einer „pidgin-like interlanguage which [...] may pass from the status of an idiolect to that of a variety used by a social group.“ 234 <?page no="235"?> Italiano popolare in den USA? Die feststellbare, zunehmende sprachliche Erosion (language attrition 11 ) mit der zweiten Generation lässt sich ebenso mit dem Konzept der interlanguage vereinbaren. 2.3 Il Progresso Italo-americano Als interessante schriftliche Quelle für das italo-americano der grande emigrazione können Zeitungsanzeigen gelten (s. Arbeits- und Wohnungsgesuche und -angebote), zumal offensichtlich in Zeitungen wie Il Progresso Italo-americano bei privaten Inseraten keine redaktionelle sprachliche Prüfung und gegebenenfalls Korrektur erfolgt. 12 Il Progresso Italo-americano war eine der erfolgreichsten rein italienischsprachigen Tageszeitungen in den USA, die von 1880 bis 1988 Bestand hatte und zu Beginn des 20. Jh. als auflagenstärkste Zeitung dieses Typs ca. 100.000 Exemplare pro Tag verkaufte. 13 Für die Arbeits- und Wohnungssuchenden kann wohl davon ausgegangen werden, dass es sich um italienische Immigranten handelt. Für die Arbeit und Wohnstätten anbietenden Inserenten legt die Inserierung in einer rein italienischen Tageszeitung bereits nahe, dass sie selbst aus Italien stammen, es sich um Immigranten handelt, die in den USA Fuß gefasst haben (s. auch verschiedentlich Angabe des Namens, wie S. 237 in der letzten Anzeige, „John Silvestro“), auch wenn bei fehlendem Namen nicht ausgeschlossen werden kann, dass es sich bei einigen der Inserenten um (englischsprachige) Amerikaner handelt. Der Text einer ersten beispielhaften Anzeige aus dem Jahr 1889 lautet wie folgt: 14 11 Language attrition bezieht sich allgemein auf die Reduktion der Sprachkompetenz des einzelnen Sprechers im Zeitverlauf sowie die Übernahme von Strukturen aus der dominanten Sprache (vgl. Clyne 2003: 141). 12 Die redaktionellen Teile der Zeitung zeigen die Adaption eines standardnahen Italienisch. Bei in Italien, auch lediglich lokal oder regional erscheinenden Blättern scheint dagegen sehr wohl eine sprachliche Prüfung zu erfolgen; die dort aufscheinenden Annoncen zeigen kaum sprachliche Auffälligkeiten. 13 In den 1920er Jahren gab es rund 80 italienischsprachige Zeitungen mit einer Gesamtauflage von 500.000 Exemplaren. Zu den italienischen und zweisprachig italienisch-englischen Zeitungen, Zeitschriften und Radiosowie später Fernsehsendern vgl. Haller (1993: 67-82), zu Il Progresso Italoamericano Haller (1993: 64). 14 Groß-/ Kleinschreibung und Hervorhebung durch Fettdruck jeweils wie in der Anzeige. Digitalisate der zitierten Ausgaben sind unter ⟨ http: / / ddsnext.crl.edu/ titles/ 21986 ⟩ (1889) bzw. ⟨ http: / / digiteca .bsmc.it/ ? l=periodici&t=Progresso20italo-americano28Il29 ⟩ (1915) zugänglich (letzter Zugriff: 13.08.2022). 235 <?page no="236"?> Sabine Heinemann Una Bambinaia per la campagna. Una che abbia buon carattere e che parli un poco l’inglese o tedesco. Si preferisce una Svizzera. Bisogna conoscere il lavoro e stirare. [...] Neben der Syntax und morphosyntaktischen Schwächen fällt die Großschreibung bei Bambinaia wie Svizzera (s. Referenz auf das Land) auf - möglicherweise wird im ersten Fall über die Großschreibung versucht, zusätzlich zum Fettdruck Aufmerksamkeit zu erzielen. 15 Interessant ist die Wiederaufnahme des direkten Objekts im zweiten Satz (s. ohne Verb, z.B. cercasi/ si cerca una bambinaia che...), der Relativsatz zeigt die korrekte Verwendung des Konjunktivs, wenngleich bei tedesco der definite Artikel fehlt. Auffällig ist die Parataxe (Si preferisce una Svizzera. Bisogna conoscere...), auch die Koordination in Bisogna conoscere il lavoro e stirare, die wohl zu (bisogna) saper stirare zu ergänzen ist - möglicherweise wollte der Inserent deve vermeiden und das formeller erscheinende bisogna gebrauchen. 16 Un cuoco di Torino cerca una piazza in un ristorante o un hotel americano o italiano. Può presentare buone referenze. Dirigersi al Sig. MASSARNI AN- NIBALE, al N.259 East 10th Street. Dieses Inserat erweist sich v.a. aufgrund des Gebrauchs von piazza in der Bedeutung ‘Arbeitsplatz’ als interessant, möglicherweise bedingt durch eine Interferenz mit workplace. Auch hier ist ergänzend wieder die Formelhaftigkeit anzuführen (dirigersi al...). Die letzte Anzeige aus der Frühphase zeigt eine höhere Stilebene, birgt aber wiederum Fehler bzw. Interferenzen: So ist andare come englisch beeinflusst (s. to go as neben to work as), im Italienischen nimmt andare come v.a. Bezug auf die Kleidung (vgl. TB, s.v. andare). Auch die Zeitangabe spiegelt amerikanische Gewohnheiten (a.m./ p.m.) wider, wobei in 8 pom eine Überlagerung mit it. pomeriggio vorliegen dürfte: 15 Gerade bei Arbeitsgesuchen tritt die Berufsbezeichnung vielfach am Anfang einer Anzeige auf (zusätzlich typographisch hervorgehoben). 16 Vgl. auch Petrocchi (1887: 181) zu bisogna che; TB, s.v. bisogna verweist auf bisogna a, s. a tutti gli uomini bisogna mangiare. Sofern nicht anders vermerkt, finden sich in den konsultierten Grammatiken der Zeit (Fornaciari 1882, Petrocchi 1887, Morandi/ Cappuccini 1894) keine Hinweise auf vom heutigen Sprachgebrauch abweichende Regelhaftigkeiten. 236 <?page no="237"?> Italiano popolare in den USA? Una donna dell’Alta Italia, 17 desidera andare come cuciniera presso qualche distinta famiglia italiana. Si addatta a lavare e stirare, ma senza amido. Desidera lavorare dalle 8 ant alle 8 pom. [...] Addattarsi ist in diesem Kontext geläufig (s. TB, s.v.), die Geminate dürfte jedoch durch Hyperkorrektur bedingt sein. Auch die Anzeigen aus dem Jahr 1915 zeigen sprachliche Auffälligkeiten: D’affittarsi due splendidi stores in due nuove e moderne case dove già abitano 56 famiglie situate al 2339 2343 Arthur Ave. Bronx, 2 blocks dalla stazione [...]. Neben der Verwendung gleich mehrerer Anglizismen (stores, blocks) ist die im Italienischen nicht gebräuchliche Voranstellung längerer oder gar koordinierter attributiver Adjektive anzumerken (due splendidi stores; due nuove e moderne case); auch die Stellung von situate, das sich auf case bezieht, ist auffällig (eine Verschiebung des mit dove eingeleiteten Relativsatzes wäre wohl erwartbar). Einleitendes d’affittarsi ist dahingehend interessant, dass sich häufiger da + Infinitiv + enklitisches si findet, affittarsi selbst scheint allerdings nicht gebräuchlich zu sein (in TB, s.v. affittare ist es nicht angeführt). Konstruktionen des Typs da + Infinitiv + si (enklitisch) sind möglicherweise einer Überlagerung aus da + Infinitiv und 3. Pers. Sg./ Pl. + si (enklitisch) geschuldet. Das nächste Beispiel zeigt die Adaption der für englisches [ 2 ] gängigen graphischen Realisierung <u> für it. basso (s. entsprechend busso) und somit eine Überlagerung der englischen und italienischen Graphie-Phonie-Relation: 3 belle camere d’affittare, busso prezzo; famiglie italiane rispettose. [...] mezzo mese gratis. Anche botteghe d’affittare. DA VENDERSI Case, lotti, siti per fabbriche. - Perché pagare alte pigioni nelle troppo popolate insane case della Città, quando con $500 contanti si può comperare case da una o due famiglie nei sobborghi, ove si combina le delizie della campagna, salute, con tutti i conforti della Città? Il Subway da New York o Brooklyn porta a Winfield Long Island in pochi minuti, per cinque soldi. Fatevi persuaso, venite a vedere. John Silvestro, Winfield, L. I. 17 Verweise auf die Herkunft aus Norditalien finden sich häufiger, vielleicht mit bestimmten Attributen assoziiert, die für eine Tätigkeit in einem Privathaushalt qualifizieren (z.B. Ordentlichkeit, Zuverlässigkeit? ). Hier dürfte aber auch die gerade zu Beginn des Jahrhunderts in Italien ausgeprägte Stigmatisierung von Süditalienern mitschwingen. 237 <?page no="238"?> Sabine Heinemann Hinsichtlich der letzten Anzeige ist zunächst auf die komplexe Nominalphrase hinzuweisen (nelle troppo popolate insane case, hier ist auch die Bedeutung von insane fraglich, s. sowohl it. als auch engl. ‘mental krank’, ‘unvernünftig’, möglicherweise ausgehend von insano ‘ungesund’ im Sinne von ‘gesundheitsschädigend’ gemeint), daneben finden sich erneut Großschreibungen (Città, Subway). Weiter sind zu nennen quando statt se, stilistisch markiertes ove, die Italianisierung in conforti (s. comfort, auch engl./ frz. confort) sowie die Kongruenzprobleme in den Konstruktionen mit si passivante (s. korrekt si possono comperare case, si combinano le delizie); erwartbar wäre wohl auch ein vi vor porta (vi porta a Winfield Long Island), in fatevi persuaso - sofern die 2. Person Plural hier pluralisch verwendet ist - fehlt die Kongruenz (persuasi), auch bei contanti ist die Verwendung mit Präposition (z.B. in contanti) üblicher (TB, s.v. contante). Das einleitende da vendersi ist wie d’affittarsi ebenfalls ungewöhnlich, erwartbar ist da vendere oder vendesi/ vendonsi; da vendersi findet sich aber häufiger im fachsprachlichen und bürokratischen Kontext, aus dem es womöglich übernommen worden ist. Schon diese wenigen Beispiele zeigen, dass sich für das italo-americano ähnliche Merkmale wie für das italiano popolare ausmachen lassen, auch die Mechanismen - Interferenz, Hyperkorrektur, Vereinfachung 18 - finden sich in beiden Fällen. Interessant ist, dass verschiedentlich für den (amerikanischen) Migrationskontext ein italiano popolare angenommen wird (s. z.B. Haller 2011: 67). 19 Nicht unproblematisch scheint hier aber, vor dem Hintergrund der klassischen Definitionen nach De Mauro (1970) und Cortelazzo (1972), die damit aufgerufene Ausrichtung an der italienischen Standardvarietät, die wie gesehen für die frühen Auswanderer nur eingeschränkt angenommen werden kann, da hier nur über Massenmedien (zunächst die Zeitung) oder z.B. die Kirche als einheits- und identitätsstiftende Institution eine Ansprache auf Italienisch erfolgt (Lorenzetti 1994: 651). 20 18 Berruto ( 2 2012: 137); zur Diskussion des Vereinfachungskonzepts vgl. v.a. Berruto ( 2 2012: 44-53). 19 An anderer Stelle nimmt Haller (1993: 7) eine lingua franca dialettale an, wobei der Terminus der lingua franca für den Dialektkontakt im Migrationskontext wenig günstig ist. 20 Zum heutigen Status des italiano popolare als vornehmlich diaphasische Varietät vgl. Berruto (2015), s. auch Fresu (2014: 220, 2016: 341) mit Blick auf ein italiano neopopolare. 238 <?page no="239"?> Italiano popolare in den USA? 3 Italiano popolare (als panchrones Phänomen) In den 1970er und 1980er Jahren wird das italiano popolare als diatopisch und diastratisch markierte Varietät beschrieben, die durch die mit der Einheit Italiens verbundenen sozio-kulturellen, wirtschaftlichen und politischen Entwicklungen verstärkt sichtbar wird. Die zentralen Definitionen stammen von De Mauro (1970) und Cortelazzo (1972), wobei ersterer die kommunikative Funktion des durch mündlichen Sprachgebrauch ungesteuert erworbenen Italienisch in den Vordergrund rückt („modo d’esprimersi di un incolto che, sotto la spinta di comunicare e senza addestramento, maneggia quella che ottimisticamente si chiama la lingua ‚nazionale‘, l’italiano“, 1970: 49) und letzterer die Varietät als interlanguage, also als Lernervarietät im Sinne eines (nicht vollständigen) Spracherwerbs von Sprechern mit Dialekt als Muttersprache beschreibt („l’italiano imperfettamente acquisisto da chi ha per madrelingua il dialetto“, 1972: 11; vgl. auch Berruto 2 2012: 127f., Lepschy 2002: 53). Beide Autoren betonen dabei die Überregionalität der Varietät, wobei die Idee eines italiano popolare unitario auf die Grundlage der Schule und der volkstümlichen Kultur gestützt und gleichzeitig durch die Untersuchung primär schriftlicher Sprachzeugnisse (s. z.B. Briefe) bedingt ist und so die v.a. in der Lautung sichtbar werdende diatopische Markiertheit ausblendet (die Morphosyntax zeigt dagegen überregional weitgehend gleiche Charakteristika). Das italiano popolare dürfte vor dem Hintergrund seiner Entstehung für die fraglichen Sprecher wohl die einzige Varietät des Italienischen sein, das auch als Muttersprache weitergegeben wird (vgl. auch D’Achille 1994: 49, Lepschy 2002: 66). Zu den wesentlichen Merkmalen des italiano popolare 21 zählen Probleme in der Orthographie (Probleme bei Zusammenbzw. Getrenntschreibung, Groß-/ Kleinschreibung und Interpunktion), morphologisch und morphosyntaktisch interessant sind Regularisierungen nominaler und adjektivischer Paradigmen, daneben z.B. verstärkte Superlative, die adverbiale Verwendung von Adjektiven, im Verbalbereich analogiebedingte Formen und die Reduktion von Tempora und Modi, in der Syntax das che polivalente als eine Art universaler Subordinationsmarker oder auch die concordantia ad sensum. Der Wortschatz zeigt neben dialektalen 21 Die Abgrenzung zum italiano colloquiale und zum italiano regionale ist aufgrund der ihnen gemeinsamen Substandardspachlichkeit bzw. gemeinsamer, dialektal bedingter Merkmale nicht einfach; die Varietäten lassen sich auf dem Kontinuum zwischen Dialekt und Standard verorten, wobei das italiano popolare klar diastratisch markiert ist (vgl. auch Berruto 2015: 278, 2 2012: 134, 140-144). 239 <?page no="240"?> Sabine Heinemann auch ausdrucksstarke, volkstümliche Bezeichnungen wie analytische lexikalische Strukturen und Versatzstücke aus dem bürokratischem Sprachgebrauch. Auf der textuellen Ebene wird der geringe Planungsgrad (bei mündlichen wie schriftlichen Verwendungen) etwa in einer starken Fragmentierung und einer fehlenden Kohäsion sichtbar (s. ausführlicher Sanga 1980: 52-57, Berruto 2 2012: 140, 154f.). Die von Spitzer untersuchten Soldatenbriefe aus dem Ersten Weltkrieg erweisen sich nicht als homogen, was auf die Variabilität des italiano popolare verweist (vgl. Vanelli 2016: 438f., Berruto 2 2012: 135f.). Einige Briefe zeigen sehr deutliche Normabweichungen, andere hingegen nur vereinzelte (hier v.a. mit Blick auf die Graphie). In den meisten Fällen ist aber durchaus ein mehr oder weniger deutlicher dialektaler Einfluss erkennbar, der sich v.a. in der Umsetzung der Lautung und im Wortschatz niederschlägt. Weiter sind die Texte durch einen z.T. mischsprachlichen Charakter sowie die Übernahme von Strukturen aus der gesprochenen Sprache geprägt, was letztlich auf die sprecherseitige Intention einer effizienten Vermittlung von Inhalten verweist - etwaige stilistische Ansprüche erscheinen dabei nachrangig. Vereinfachungsstrategien zeigen sich in der Regularisierung nominaler und adjektivischer Paradigmen zugunsten nicht markierter Flexionsklassen, in einem ausgeprägten Synkretismus bei den klitischen Pronomina oder Analogiebildungen (Vanelli 2016: 449-453). Die den Texten gemeinsamen sprachlichen Merkmale lassen sich Vanelli (2016: 455) zufolge auf allgemeine Entwicklungstendenzen zurückführen, die sich auch in den Texten der semicolti aus früheren Jahrhunderten belegen lassen; auch die Supralokalität einer größeren Zahl von Merkmalen, die sich in frühen Texten wie denen vom Beginn des 20. Jh. finden lassen, erweist sich hier als zentral (Vanelli 2016: 445, D’Achille 1994: 47). Ein Vergleich der semicolti mit den Kriegsgefangenen des frühen 20. Jh., Emigranten und einfachen Arbeitern scheint auch soziokulturell gerechtfertigt, da es sich bei ersteren vielfach um Angehörige des niederen Klerus, um Handwerker oder Kleinhändler handelt, die zwar alphabetisiert sind, aber über keine umfassende Kompetenz des Italienischen verfügen (D’Achille 1994: 41, 45). Für die semicolti früherer Jahrhunderte gibt es also genauso überregionale Modelle, wobei die frühen italographischen Texten v.a. aus Gegenden stammen, in denen der Dialekt keinen hohen Stellenwert genießt (also z.B. nicht aus Venedig). Die Intention der semicolti ist also, situationsabhängig die höchstmarkierte Varietät des eigenen Repertoires zu nutzen - auch die Soldaten des Ersten Weltkriegs versuchen, sich an das deutlich prestigeträchtigere, formellere und in der Schriftlichkeit dominante Italie- 240 <?page no="241"?> Italiano popolare in den USA? nisch anzunähern und nicht den Dialekt heranzuziehen (D’Achille 1994: 50-54, Testa 2014: 15-22, Vanelli 2016: 440, Fresu 2014: 197). 22 Die frühen Texte (v.a. Briefe, Tagebücher, Autobiographien etc., scritture esposte, aber auch Texte, die sich heute als administrativ-bürokratisch charakterisieren lassen, wie Aushänge, Wirtschaftsanzeigen, Rechnungen etc.) 23 zeigen nun, wie angesprochen, Merkmale, die als typisch für das italiano popolare angeführt werden, allerdings mit der Normierung zu Beginn des 16. Jh. kaum mehr belegt sind, d.h. ab diesem Zeitpunkt ist von einer zunehmenden Annäherung an die Standardsprache auszugehen (vgl. Berruto 2 2012: 132, Fresu 2014: 198). So zeigt sich auch für die Zeit bis zum 16. Jh. eine deutliche Tendenz zur Vereinfachung, v.a. auf morphologischer Ebene, wobei hier insbesondere Analogiebildungen (s. z.B. Reduktion, Restrukturierung von Paradigmen) oder auch Hyperkorrekturen (d.h. Übergeneralisierung nicht gut beherrschter Merkmale) häufiger auftreten. V.a. in der Phonetik (bzw. der graphischen Realisierung) und im Lexikon lassen sich, wenngleich nicht allzu starke, Interferenzen mit dem jeweiligen Dialekt des Schreibers ausmachen; die Toskanisierung ist unterschiedlich stark ausgeprägt (Fresu 2014: 202). Viele Merkmale sind somit überregional, panchronisch und textsortenübergreifend (Fresu 2014: 210- 214, 2016: 329, Testa 2014: 23, 52f., 107, Vanelli 2016: 447, 456, D’Achille 1994: 48, 66-72). Das italiano popolare kommt also keineswegs erst infolge der mit der Einheit Italiens zunehmenden Alphabetisierung der Bevölkerung auf (vgl. auch Berruto 2 2012: 131, D’Achille 1994: 63, Fresu 2014: 198), sondern tritt hier deutlicher zutage. Es entsteht schon im ’500 als Komplement zum kodifizierten Italienisch der Gelehrten und zeigt damit eine unzureichende, nur partielle Ausrichtung am kulturellen Modell und damit eine Abgrenzung zur lateinkundigen Elite (Renzi 2016: 13). 24 Über die Norm wird der Sprachwandel für den Standard blockiert; die in den 22 Zur Frage des Sprachgebrauchs mit Blick auf das Ausmaß der gegenseitigen Verständlichkeit der Dialekte sowie früher Koineisierungsprozesse sowie die Rolle von Priestern und Händlern vgl. Carlucci (2020), aber auch Testa (2014). 23 Auch wenn weit verbreitet, so fallen Händler, die Kontobücher anlegen oder auch einen intensiven Briefwechsel pflegen und damit in der Tradition der Handelskorrespondenz verankert sind, aufgrund ihrer deutlich höheren Vertrautheit mit dem Schriftmedium nicht in die Kategorie der semicolti (D’Achille 1994: 58). 24 Wichtig ist neben der sprachlichen Norm auch die v.a. über den Buchdruck geförderte graphische Vereinheitlichung und die deutliche Abgrenzung vom Erwerb der Lesekompetenz einerseits und der Schreibfähigkeit andererseits (D’Achille 2008: 2340; vgl. auch Fresu 2014: 196, Testa 2014: 113-159). 241 <?page no="242"?> Sabine Heinemann Texten der semicolti vor dem 16. Jh. aufscheinenden Merkmale zeigen vom Standard abweichende Entwicklungen, die zu einer ausgeprägten Polymorphie führen, graphische, morphologische und syntaktische Archaismen. Deshalb spricht Vanelli, allerdings wiederum mit stärker historischem Bezug, von einem italiano avanzato (z.B. Vanelli 2016: 455; vgl. auch D’Achille 1994: 66, 77); Testa (2014) führt den Terminus italiano nascosto an, der auf die Verdeckung durch die Norm abstellt. Neben dem innovativen Charakter hebt D’Achille (2008: 2342) aber auch hervor, dass sich in den Texten der semicolti ein „italiano ‚datato‘ con tratti di arretratezza“ zeigt. 25 4 Italienisch im Migrationskontext Das italo-americano weist, wie gesehen, Ähnlichkeiten zum italiano popolare auf, wenngleich die Verbreitung des letzteren sicher trotz seines panchronen Charakters für die Zeit nach der Einheit Italiens als vielfach durch eine - regional stark unterschiedliche - flächendeckende Alphabetisierung der Gesellschaft massiv gefördert wird. 26 Parallel sind die diversen Möglichkeiten der Ansprache auf Italienisch (Politik, Bürokratie, Massenmedien, s. zunächst Radio und Kino neben Zeitungen) zu berücksichtigen. Im Zuge der in Italien verspätet, aber umso intensiver erfolgenden Industrialisierung ist ergänzend die arbeitsbedingte Binnenmigration zu berücksichtigen, die zum Kontakt von Sprechern mit unterschiedlichsten Herkunftsdialekten führt (vgl. zu den Entwicklungsszenarien Lorenzetti 1994: 631, 643, 648; Sanga 1980: 45). Wesentlich sind hier drei Prozesse: die zunehmende Italianisierung des eigenen, alltagssprachlichen Idioms, der Verlust der Kompetenz des muttersprachlichen Dialekts und der Kontakt der unterschiedlichen Dialekte durch die Neuansiedlung von Sprechern aus unterschiedlichen, v.a. süditalienischen Regionen und die damit einhergehende Dialektnivellierung oder gar Koineisierung. Die vielfach v.a. seitens der Dialektsprecher selbst eingeforderte 25 Trotz der Parallelen ist auf den unterschiedlichen Entstehungskontext zu verweisen: Während ab der Einheit über die Einführung der Schulpflicht der Erwerb der Lese- und Schreibkompetenz staatlich geregelt ist, muss im Fall der semicolti ein privater, partieller und z.T. wohl auch zufälliger Erwerb des Italienischen angenommen werden (D’Achille 1994: 78). 26 Vgl. Renzi (2016: 7f.), D’Achille (1994: 50), Fresu (2014: 204, 211) zur Vergleichbarkeit der Textproduktion der semicolti und früher Emigranten. 242 <?page no="243"?> Italiano popolare in den USA? Vermittlung von Bildung zur Jahrhundertwende wird im Fall der Binnenmigration wie der Emigration forciert durch das Zusammenleben bzw. den Kontakt zu Personen aus anderen Regionen (D’Achille 1994: 63); gleichzeitig führt der interdialektale Kontakt zur schnelleren Aufgabe des eigenen Dialekts (Lorenzetti 1994: 656). Gleichzeitig kommt es bei derartigen Konstellationen gerade im Migrationskontext häufig zu einer Koineisierung, 27 mit der ein (regionaler) Dialektausgleich und eine Entdialektalisierung verbunden sind. Dialect levelling 28 wird gerade in der grande emigrazione wichtig, auch wenn eine Ansiedlung der Migranten in den USA vielfach nach Herkunftsregion abgegrenzt erfolgt. Eine Leitvarietät lässt sich über das Kräfteverhältnis der einzelnen Dialektgruppen ausmachen (vgl. Vaughan 1926: 431f., Prifti 2014: 228, Vedovelli 2011a: 37). Neben dem bzw. anstelle des Italienischen ist natürlich weiter ein stärkerer Einfluss des Englischen zu berücksichtigen. Auf der Grundlage des dialect levelling könnte es aufgrund des geringeren Kontakts zur Standardvarietät wie zu den Heimatdialekten zur Entwicklung einer (instabilen) prekoine im Sinne von Siegel (1985: 373f., 2001: 75) gekommen, 29 d.h. ein frühes Stadium des Koineisierungsprozesses über ein levelling erreicht worden sein (nicht aber das einer stabilized koine, Trudgill 1986; vgl. auch Kerswill/ Williams 2000: 67). Dabei ist die prekoine funktional einer lingua franca vergleichbar (Siegel 1985: 373f.). Aufgrund einer wohl klaren Abgrenzung innerhalb der italienischen Sprechergemeinschaft wäre die Entstehung einer, aber auch mehrerer prekoine(s) (z.B. nordvs. süditalienisch) denkbar. Diese könnte(n) mit Blick auf die italienische Komponente die Basis für ein italo-americano gebildet haben (vgl. auch Vedovelli 2011a: 42). Ähnlich wie für das italiano popolare ist aber Homogenität genauso wenig anzunehmen, regionale Merkmale (v.a. in 27 Der Koineisierungsprozess durchläuft nach Trudgill (1986: 373) folgende Stufen: Auf der ersten Stufe findet ein rudimentäres levelling statt; für die nachfolgende Generation zeigt sich extreme Variation mit weiterem Dialektausgleich; in der dritten Generation erfolgt in der Regel die Stabilisierung des Kontaktidioms (focusing) sowie die reallocation, d.h. die Refunktionalisierung von Varianten aus den in Kontakt stehenden Dialekten. 28 Kerswill/ Williams (2005: 1024) definieren dialect levelling als „process whereby differences between regional varieties are reduced, features which make varieties distinctive disappear, and new features develop and are adopted by speakers over a wide geographical area“. Zu einer ausführlichen Diskussion der Differenzierungsproblematik bei dialect levelling und Koineisierung vgl. Heinemann (2011), zur Koineisierung Kerswill ( 2 2013). 29 Siegel differenziert nach regional und immigrant koine, wobei das Konzept der regional koine auf die parallele Existenz einer solchen neben zugrunde liegenden Dialekten abhebt (1985: 363). Immigrant koines sind nach Siegel Varietätenmischungen, die als linguae francae funktonieren, aber keine supralokale Gültigkeit erlangen (vgl. auch Kerswill/ Williams 2000: 66, 92ff.). 243 <?page no="244"?> Sabine Heinemann der Phonetik) sind zweifelsohne anzusetzen. Unabhängig von der Beherrschung des Italienischen lässt sich über den Dialektausgleich und die gleichzeitige Ansprache auf Italienisch (und im Falle des italo-americano stärker auch auf Englisch) eine weitgehende Parallelisierung in der Ausbildung von italiano popolare und italo-americano ausmachen, wenngleich kontextabhängig und generationenübergreifend im ersten Fall eine zunehmende Orientierung am Italienischen und im zweiten am Englischen erfolgt, was wiederum ihre jeweilige Instabilität bedingt. 5 Zusammenfassung Das italo-americano lässt sich als kollektive interlanguage fassen (im Sinne eines Kontinuums in Abhängigkeit von der individuellen Sprecherkompetenz), ausgerichtet auf das Englische. Strukturell lässt es sich für die Frühphase darstellen als italienische Varietät mit einer Großzahl englischer Lexeme. Dabei stellt sich - bei Annahme einer gewissen Einheitlichkeit - die Frage nach der/ den zugrunde liegenden italienischen Varietät(en). Wahrscheinlich ist zunächst ein dialect levelling im Kontext einer supralokalen oder supradialektalen Verständigung. 30 Möglicherweise kommt es im Weiteren zur Ausbildung einer prekoine im Rahmen einer beginnenden Koineisierung, wobei hier sicher eine Differenzierung nach der regionalen Herkunft der Sprecher möglich ist. 31 Für diese Phase lässt sich eine größere Zahl konkurrierend und inkonsistent genutzter Formen aus den Kontaktvarietäten annehmen, gleichzeitig weiteres levelling sowie code-mixing (vgl. Siegel 1985: 373). Gerade für die Frühphase ist in der Genese wie strukturell die Ähnlichkeit zum italiano popolare auffällig: Die Merkmale sind z.T. dialektal bedingt, andere finden sich bereits in frühen Texten der semicolti und haben sich unabhängig von der Norm fortgesetzt, sind allgemeinen Entwicklungsprozessen geschuldet. 32 Auch die 30 Die Supralokalität bezieht sich hier auf die italienische Herkunftsregion des Dialekts, d.h. es geht um die Kommunikation zwischen gesellschaftlichen Gruppen aus unterschiedlichen Heimatorten/ -regionen. 31 Die Frage nach dem Stellenwert einer solchen prekoine muss offen bleiben, da ihr Kommunikationsradius auf lediglich wenige Domänen beschränkt sein kann. 32 Auch Fresu (2016: 330) verweist auf die Ähnlichkeit der sprachlichen Merkmale früher Texte von semicolti und Lernervarietäten. 244 <?page no="245"?> Italiano popolare in den USA? Mechanismen, wie sie in anderen Sprachkontaktkonstellationen auftreten (Vereinfachung, Analogiebildung etc.) lassen sich im Migrationskontext ausmachen. Es wird entsprechend angenommen, dass die Vergleichbarkeit des italo-americano (trotz englischer Transferate) und des als panchron zu wertenden italiano popolare (bzw. italiano dei semicolti) darin begründet ist, dass sie sich durch ein infolge des Dialektkontakts auftretendes dialect levelling und eine beginnende Koineisierung bei gleichzeitig eher oberflächlicher Ausrichtung an der (Gebrauchs-) Norm des Italienischen herausbilden; italo-americano wie italiano popolare lassen sich dann wiederum als kollektive interlanguages fassen (mit sprecherbezogenen Unterschieden, wobei es hier beim Individuum auch zu Fossilisierungen auf niedrigem Niveau kommen kann). Bibliographie Berruto, Gaetano ( 2 2012): Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo. Roma: Carocci (= Manuali universitari 131). 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Abstract: Mass emigration of Italians, mainly dialect speakers, since the end of the 19th century, due to the contact with American English led to the development of italo-americano, a hybrid, unstable idiom, which in its genesis, apart from the influence of English, shows a striking similarity to italiano popolare. After a short description of the linguistic status of italo-americano, the article shows the structural parallels to italiano popolare through the analysis of some selected advertisements of the Italian-language daily newspaper Il Progresso Italo-americano; although italiano popolare has become more visible as a result of the unification of Italy, it can in fact already be assumed for earlier centuries (cfr. italiano dei semicolti). For both varieties dialectal levelling is assumed, which probably led to the achievement of the status of a prekoine in the sense of Siegel (1985). Biographical sketch: 1992-1999 studies and doctorate at the Ludwig Maximilian University of Munich, doctoral thesis on prepositional semantics (Prof. Dr. Hans Geisler); 1997-1998 doctoral scholarship University of Padua (Prof. Lorenzo Renzi); 1998-2008 research assistant at the University of Regensburg (Prof. Dr. Gerhard Ernst, Prof. Dr. Maria Selig), habilitation project on the allomorphy of Old/ Modern French; 2011 cumulative habilitation; since 2008 professor of Italian and French linguistics at the Karl-Franzens-Universität Graz. Main research interests: cognitive semantics; minority languages (in particular Friulian); morphology (diachronic); advertising language and political language. 249 <?page no="251"?> Laura Campanale * La dimensione dello spazio nelle migrazioni stagionali dalla montagna veneta alla Baviera: un percorso al femminile tra tradizione e innovazione 1 Introduzione La presente relazione intende fornire un contributo agli studi, ancora poco approfonditi, sull’emigrazione femminile alpigiana (Grandi 2007: 21s., 127s.) che dal Bellunese si diresse stagionalmente da fine Ottocento, verso i territori di lingua tedesca, trovando impiego in diversi settori con svariate mansioni, soprattutto nei Länder meridionali della Germania, come la Baviera. Nello specifico, si esaminerà, dopo un breve excursus sulla tradizione secolare della mobilità femminile oltralpe, il ruolo delle donne all’interno dell’emigrazione stagionale dei gelatieri bellunesi (del Cadore e della Val di Zoldo), diretti, già dal 1880, dapprima verso le città dell’Impero asburgico e, in seguito, in Germania. Dalle informazioni desunte principalmente dalla nostra tesi di dottorato (Campanale 2006a), si analizzerà la variabile spaziale e come questa venga esperita, a seconda dei diversi domini, dalle donne. Nell’ambito del suddetto fenomeno migratorio, lo spazio territoriale (aree di provenienza) è, infatti, strettamente correlato a quello temporale (stagione), tanto che un’evoluzione o ampliamento di una delle due variabili determina, come vedremo, degli esiti divergenti a livello extraterritoriale, cioè in emigrazione. * Istituto Tecnico Statale Giuseppe Mazzotti, Treviso. 251 <?page no="252"?> Laura Campanale 2 La tradizione secolare dell’«andare altrove» 1 : migrazioni stagionali dalla montagna veneta verso i paesi di lingua tedesca Da sempre la precaria economia montana del Nordest (Veneto, Friuli, Trentino) trasse sostentamento dalla mobilità temporanea e stagionale verso le città della pianura, ma anche oltralpe, per cui anche l’area montana del Bellunese fu interessata per secoli da importanti fenomeni migratori (Grandi 2007: 128). Secondo le fonti bibliografiche (Ceschi 1994, Culatti 1997, Grandi 1994, 2007), si sarebbe registrata, nei suddetti territori, la presenza di un’emigrazione stagionale artigianale alpigiana «di medio e breve raggio» (Grandi 2007: 132), mentre in epoca preindustriale, flussi costanti di artigiani ambulanti, specializzati in determinati e specifici settori di attività, si sarebbero spostati dalle località montane del Bellunese per dirigersi verso le città, prima italiane, e poi straniere, principalmente austriache e tedesche (Culatti 1997: 35, Campanale 2024: 44). Si sarebbe trattato di un’«emigrazione di servizi e di commerci» o «girovaga» (Ceschi 1994: 16), fondata su «una rete informale che collegava il luogo di partenza a quello di destinazione, basata sulle interrelazioni all’interno del gruppo familiare e del gruppo locale» (Grandi 1994: 298; cfr. anche Campanale 2020: 147). Ogni valle avrebbe avuto una determinata specializzazione, che interessò anche le donne: dall’Alpago partirono ad esempio balie e domestiche (Culatti 1997: 35). A partire dal XVII secolo l’emigrazione stagionale dalle zone alpine divenne «un fattore strutturale» (Grandi 2007: 77), per cui le donne montanare, durante l’assenza degli uomini, riuscirono a contribuire all’economia familiare, «gest[endo] la famiglia ed i pochi beni» (2007: 135). Nel XIX secolo l’emigrazione stagionale e temporanea crebbe notevolmente: gli uomini trovarono impiego nelle costruzioni edili e ferroviarie dell’Impero austroungarico o nel settore minerario e metallurgico (miniere) della Renania-Vestfalia (Wennemann 1997: 41), mentre le donne lavoravano come cuoche e lavandaie per i propri uomini (De Martini Tihanyi 1985: 33-35, 41, 48), ma spesso erano adibite anche a pesanti lavori di manovalanza (Grandi 2007: 140, 152). Con l’industrializzazione, si assiste a un notevole incremento dell’emigrazione femminile: le giovani alpigiane, in età prematrimoniale, furono impiegate come 1 Grandi (2007: 50 e passim). 252 <?page no="253"?> La dimensione dello spazio nelle migrazioni stagionali manovalanza priva di qualifica, prima nelle fabbriche italiane (soprattutto dell’indotto tessile), in seguito in quelle straniere, inizialmente nelle industrie tessili e nelle filande austriache (nel vicino Voralberg), successivamente nei Länder meridionali della Germania, ma anche in Svizzera (Grandi 2007: 92s., 134, 156, 162). Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento si registra, infatti, un flusso consistente di donne bellunesi dirette nelle fornaci (con impieghi stagionali), nell’edilizia (come manovali), nelle filande, nelle industrie tessili (fabbriche di maglieria, cotonifici, setifici, jutifici anche con contratti biennali) e alimentari austriache e tedesche, soprattutto dei Länder meridionali (Baden-Württemberg, Baviera e Lorena; cfr. Grandi 2007: 167-169, Mazzi 2012: 46, 48, 57, 61). Considerevole e costante fu il flusso migratorio dal Veneto verso la Germania, tanto che tra il 1876 e il 1900 la Regione avrebbe fornito «299.739 emigrati alla Germania su un totale per il Regno di 353.896 unità» (Grandi 2007: 165), di cui, nel 1881, 1.108 solo da Belluno (2007: 164), pertanto: Il Veneto consolidava nel tempo il primato della direttrice tedesca, mantenendo sempre latenti però le informazioni su questa corrente e sulla presenza migratoria femminile, che si deve cercare altrove sino al 1901 perché la donna non era ancora individuabile come “unità statistica”, nonostante il suo costante aumento in emigrazione. (Grandi 2007: 166) Si calcola che «[n]el periodo 1890-1910 la manodopera femminile aumentò di ben 119 volte»: secondo il «censimento professionale del 1907 [...] vivevano in Germania 150.000 italiani di cui 18.567 donne» (Mazzi 2012: 45s.). A conferma della rilevanza del fenomeno migratorio femminile, la fondazione delle prime società italiane di beneficenza e di Mutuo Soccorso (la prima a Lipsia risale al 1883; cfr. Grandi 2007: 165), ma anche di case per emigranti (pensionati di fabbrica) o di convitti/ collegi per lavoratrici, in cui le donne (soprattutto giovani e nubili) venivano ospitate per tutta la durata del contratto. I Mädchenheime fondati da associazioni femminili o religiose (suore) offrivano protezione e controllo a tutte le operaie ospitate, oltre a vitto, alloggio, e, in alcuni casi, anche assistenza medica, corsi di alfabetizzazione e di economia domestica (Mazzi 2012: 62s., 72). È importante sottolineare che l’emigrazione femminile non fu sempre solo correlata a una motivazione economica, ma anche a una psicologica (desiderio di libertà e di emancipazione sociale dal ristretto ambito familiare e paesano): grazie alla «dislocazione dello spazio» sperimentato in emigrazione, soprattutto nelle fab- 253 <?page no="254"?> Laura Campanale briche, le donne riuscirono, pertanto, ad acquisire una maggiore autocoscienza di sé e delle proprie potenzialità (Grandi 2007: 15, 19, 60). 3 Le donne nella tradizione secolare dell’emigrazione stagionale dei gelatieri oltralpe La secolare tradizione migratoria femminile dalla montagna veneta è confermata anche dalle informazioni emerse dalla nostra tesi di dottorato 2 sui movimenti stagionali dei gelatieri veneti oltralpe, flussi che Krefeld (2019: § 2) definisce «Reste saisonaler Arbeitsmigration» tuttora presenti in Germania, contrariamente ad altre tipologie migratorie ormai scomparse, come quella ad esempio dei fornaciai friulani o dei pavimentisti (Del Fabbro 1996: 52, Melchior/ Krefeld 2008: 12, Krefeld 2019, Campanale 2024: 45). Dalle informazioni quantitative della nostra ricerca emerge che le donne, pur rappresentando solo il 25 del campione caratterizzato per il 75 dei casi da uomini, si distinguono per l’omogeneità della loro provenienza (dalle zone montane e pedemontane del Veneto, in particolare dalle province di Belluno e di Treviso) e della tipologia migratoria (emigrazione per due terzi stagionale; Campanale 2006a: 120-122, 125s., 2019: 2, Campanale 2024: 45). Superiore, rispetto a quella maschile, la percentuale di donne provenienti da famiglie d’antica tradizione, «con bisnonni (8) e nonni (21) a emigrare per primi»: si tratta principalmente di cadorine e zoldane che vantano una secolare tradizione migratoria (Campanale 2006a: 142). Considerevole il tasso di endogamia nei matrimoni: il 78 delle donne è coniugata con un veneto, mentre risultano molto basse le percentuali di matrimoni con tedeschi o con uomini d’altra nazione (5). Sono ancora una volta le cadorine e le zoldane, che sostengono la tradizione della stagionalità, a sposare uomini dello stesso paese con una storia migratoria simile (Campanale 2006a: 122, Campanale 2024: 45). 2 Campanale (2006a) si basa su un’analisi quantitativa con la compilazione di 196 questionari (dei circa 300 somministrati) e una qualitativa tramite il ricorso a interviste: «strutturat[e] a risposta prefissata» (circa 140 persone) e «semi-strutturat[e] a risposta libera» (Campanale 2006a: 116, 119). 254 <?page no="255"?> La dimensione dello spazio nelle migrazioni stagionali Per quanto riguarda l’evoluzione del fenomeno migratorio, possiamo suddividerlo, secondo le informazioni bibliografiche (Bortoluzzi 1991, Caltran 1999), che confermano quanto emerso anche dalla nostra indagine, essenzialmente in tre fasi: la prima dal 1880 al 1939, la seconda dal 1949/ 50 al 1975/ 80, la terza dal 1980 ad oggi. 3 Dalle montagne bellunesi del Cadore e della Val di Zoldo i gelatieri si diressero dapprima verso le città del Lombardo-Veneto, ma anche verso Vienna e le altre città dell’Impero austro-ungarico e in seguito verso il Mar Baltico e la Prussia. Si trattava di uno spostamento stagionale di forze lavoro maschili come venditori ambulanti di gelato, 4 mentre le donne, in assenza dei mariti, si occupavano della casa, dei campi, degli animali e dei figli. Tuttavia, tra le due guerre, le donne iniziano a seguire i mariti oltralpe, «fa[cendosi] carico di molte incombenze in bottega e soprattutto nel retrobottega» (Carnio 2008). Nella seconda fase, il fenomeno si espanse principalmente in Germania, in particolare nell’area della Ruhr, lungo il Reno/ Meno e in alcune città industriali come Stoccarda, Monaco, Hannover, tanto che fu necessario ampliare il bacino della manodopera, ricorrendo a bellunesi, trevigiani, friulani. Con il boom delle gelaterie negli anni Cinquanta/ Sessanta, sempre più donne emigrarono con i mariti in Germania con «competenze ben precise» all’interno della gelateria, mentre gli uomini si ritiravano nei laboratori (Carnio 2008, Storti 2010: 297, Campanale 2024: 46). Nell’ultima fase, si assisterà a una diffusione capillare del fenomeno in Germania che richiederà un ampliamento del ricorso a manodopera proveniente da altre regioni italiane, ma anche dall’estero. Dal 1980 alcune figlie di gelatieri decidono di proseguire l’attività familiare, diventando «imprenditrici [e] occupandosi in primo piano di tutta l’attività della gelateria» (Carnio 2008). Questo trend è confermato anche dalle ultime statistiche dello Zentralverband des Deutschen Handwerks (ZDH): nel 2021 risultavano 3.640 attività con produ- 3 Campanale (2006a: 37-40, 54, 56); si veda anche Campanale (2006b: 158, 2006c: 46, 2018: 107s., 2019: 2-5, 2021: 172s., 2022a, 2022b: 311s., 2024: 45). 4 Inizialmente l’emigrazione dei gelatieri e la conseguente vendita del gelato sono da collocare all’interno della tradizione secolare - di commerci ambulanti di vario genere -, tipica dell’esodo stagionale montano, per cui si passò dallo smercio di dolciumi e caldarroste alla vendita del gelato, assentandosi tutto l’anno per fare la «doppia stagione» (Bortoluzzi 1991: 231, Mosena 1995/ 96: 174, 250). 255 <?page no="256"?> Laura Campanale zione di gelato artigianale distribuite, come negli anni precedenti, soprattutto «ad Ovest e a Sud del Paese e precisamente nei Länder in cui si trasferirono i gelatieri nel secondo dopoguerra, ma anche con il maggiore flusso migratorio di italiani» (Campanale 2022b: 313). 5 Si distinguono, in particolare, il Nord Reno-Westfalia e la Baviera, con rispettivamente 923 e 613 attività, in cui operano come titolari d’impresa rispettivamente 194 e 130 donne 6 (Campanale 2024: 41). Ciò non stupisce, visto che «[l]a percentuale di emigrate italiane è nei flussi contemporanei molto più consistente e diffusa rispetto al passato [,] [...] [più] autonoma [e] [...] prodotto di un’evoluzione [...] della società italiana [...] in generale» (Barcella 2018). 4 Variazione linguistica in situazioni di extraterritorialità: possibili costellazioni per le donne gelatiere La spazialità del parlante in emigrazione è sottoposta a notevoli variazioni: 7 nella particolare tipologia migratoria dei gelatieri si rivelano determinanti le variabili “spazio territoriale” (aree di provenienza) e “spazio temporale” (stagione), tanto che un’evoluzione di una delle due determina degli esiti divergenti a livello di comportamenti linguistici nei vari domini e nell’educazione linguistica dei figli (Campanale 2024: 47s.). Possiamo sicuramente osservare che la gelateria italiana in Germania è lo spazio in cui, a seconda della composizione del personale, si manifesta la maggiore variazione linguistica, dato che entrano in contatto più lingue (anche straniere), dialetti italiani e tedeschi. Ciò è particolarmente evidente nei periodi di maggiore afflusso di clientela (estate) e nelle grandi e medie città tedesche (Campanale 2006a: 154, 158; 2021: 174). Per quanto riguarda il dominio della famiglia, si hanno all’estero costellazioni differenti a seconda della provenienza, della tipologia migratoria e delle relazioni 5 Dal 2012 al 2015 si rileva un «aumento dell’immigrazione» italiana in Germania con più di 130.000 iscrizioni. Al terzo posto, dopo il Baden-Württemberg e il Nord Reno-Westfalia, si colloca la Baviera con una quota di arrivi «più elevata rispetto alla media» (Gabrielli s. a.). 6 Si veda la ZDH-Betriebsstatistik. Le suddette statistiche ci sono state cortesemente fornite via mail il 21/ 10/ 2022 dalla Sig.ra Katja Kaule dello ZDH. 7 Krefeld (2002a, 2002b, 2004, 2006, 2008, 2019, 2020). 256 <?page no="257"?> La dimensione dello spazio nelle migrazioni stagionali affettive (matrimonio o convivenza; cfr. Campanale 2006a: 151-153, 157, 347s., 2021: 174). In linea di massima si registra una stretta correlazione tra l’origine (Cadore e Val di Zoldo), la tradizione migratoria stagionale, la scelta dell’endogamia e il mantenimento del dialetto, fenomeno particolarmente evidente nelle zoldane. Queste ultime si ergono a “custodi” del patrimonio linguistico locale, «dimostran[do] [con i figli] un forte attaccamento allo zoldano tramandato e praticato anche in emigrazione [...], pur con fenomeni di code-switching e code-mixing con il tedesco» (Campanale 2024: 48; si veda anche Campanale 2006a: 164s., 2021: 174): 1. Lo zoldano è la mia lingua, è il mio passato, è una lingua come il sardo. L’italiano lo impariamo a scuola. Anche in Germania in famiglia parliamo zoldano e quando capita tedesco (D 21 STAG HAHLEN / BL FORNO DI ZOLDO - TREVISO) Attraverso il mantenimento del dialetto, la donna «si fa portavoce dell’identità etnica e culturale del territorio di provenienza» (Campanale 2006a: 165), preservando in emigrazione «i contatti col patrimonio linguistico originario trasmettendolo per il tramite della cura e dell’educazione dei figli» (Vedovelli 2002: 143; si veda anche Campanale 2024: 48): 2. Sapere il proprio dialetto è importante per l’identità, se sai da dove vieni, sai dove andare (D 52 STAG VERDEN / TV GAIARINE) Si assiste, invece, ad un processo di standardizzazione nel caso delle generazioni più giovani di aree maggiormente urbanizzate (Alto-Trevigiano) o nelle donne di alcune regioni del Sud Italia che perdono più rapidamente il proprio dialetto d’origine (Campanale 2006a: 153, 244, 249s.). Per contro, il tedesco si impone più rapidamente in caso di emigrazione permanente e di matrimoni binazionali, soprattutto nelle zone più rurali della Germania, in cui ci sono meno possibilità di contatti con la popolazione italiana immigrata (Campanale 2006a: 157, 2024: 50). I ritmi della gelateria, specialmente nei periodi di punta e nelle grandi metropoli come Monaco, non consentono alle donne intervistate tanto tempo libero a disposizione, per cui amicizie e conoscenze ruotano per lo più all’interno dell’ambiente di lavoro (Campanale 2006a: 154, 160). A Monaco e nel caso delle informatrici più giovani emergono delle «reti sociali» eterogenee (Melchior/ Krefeld 2008: 17, Ingrosso 2017: 42), il che comporta 257 <?page no="258"?> Laura Campanale a livello identitario un’evoluzione da una dimensione locale a una nazionale, per lo più nelle donne provenienti dal Sud Italia e con emigrazione permanente (Campanale 2006a: 219). Dato il differente livello di istruzione e i meccanismi di selezione dell’offerta, non sembra, tuttavia, esserci contatto con gli expat italiani (Melchior/ Krefeld 2008: 22, Krefeld 2019). Ciò nonostante, la secolare tradizione migratoria (Melchior/ Krefeld 2008: 22) e la consistenza della comunità italiana, la terza a Monaco tra gli stranieri con quasi 30.000 presenze (Ingrosso/ Barberio 2020, Krefeld 2021), consente alle giovani gelatiere, pur se con scarse competenze del tedesco, di “orientarsi” nell’ambito della vita quotidiana, grazie alla presenza di negozi, servizi e associazioni italiane o bilingui in campo religioso e medico. 8 5 Donne gelatiere e distribuzione dello spazio in Baviera: passato e presente Al momento della nostra indagine, il 53 del nostro campione femminile lavorava in una gelateria della Baviera, mantenendo prevalentemente la tradizione della stagionalità: 9 la maggior parte operava come dipendente, dato che solo sette risultavano proprietarie o comproprietarie di gelaterie nell’Alta e Bassa Baviera, nonché in Svevia. La distribuzione dello spazio (campagna bavarese versus città metropolitana di Monaco) correlato alla provenienza delle informatrici produce, indubbiamente, degli esiti interessanti dal punto di vista sociolinguistico: al conservatorismo della campagna si oppone, come vedremo, il dinamismo della grande città. Dalle informazioni in nostro possesso emerge che le gelatiere provenienti dal Cadore e dalla Val di Zoldo erano presenti soprattutto in località della campagna bavarese situate nella Bassa Baviera e in Svevia. Altre lavoravano in Alta Baviera, a Freising e Fürstenfeldbruck, vicino ai distretti di Monaco. 8 Campanale (2006a: 56, 161s.). A tal proposito si veda anche Melchior/ Krefeld (2008: 17, 22s.). 9 Campanale (2006a: 337-345). Secondo le informazioni del Bayerisches Landesamt für Statistik del 1993, in tutta la Baviera sarebbero stati presenti 543 Eissalons (Campanale 2006a: 100, 2018: 109), mentre nel 2020 lo stesso Istituto ne registra quasi il doppio, ossia 1.011 sedi (cfr. Statistisches Unternehmensregister, Berichtsjahr 2020). 258 <?page no="259"?> La dimensione dello spazio nelle migrazioni stagionali Cadorine e zoldane, essendo le più anziane, erano partite per la stagione in Germania di solito con il marito o con i genitori tra gli anni 1949 e 1989. Vantando una secolare tradizione migratoria stagionale diretta verso i territori di lingua tedesca (soprattutto a Vienna, a Monaco e in Prussia; cfr. Campanale 2006a: 139s., 142s., 337-345), avevano ottime competenze audio-orali del tedesco mantenute attive anche al rientro in Italia tramite la fruizione dei mass-media tedeschi (soprattutto grazie alla TV satellitare). Discreta anche la conoscenza del dialetto bavarese praticato per lo più con i clienti e con i conoscenti, ma anche in loco nella vita quotidiana, in particolare in alcuni negozi frequentati regolarmente (Campanale 2006a: 186, 188, 237-240, 358; 2024: 48). Cadorine e zoldane, soprattutto se proprietarie, erano generalmente iscritte all’associazione di categoria UNITEIS 10 e attribuivano una notevole importanza alla tradizione del gelato artigianale. A causa della loro lunga esperienza migratoria familiare (alcune di loro erano nate e avevano trascorso i primi anni in Germania fino all’inizio dell’obbligo scolastico svolto come da “tradizione” in Italia; cfr. Campanale 2006a: 259-268), non avevano solitamente alcun problema d’integrazione in Germania e non si sentivano, pertanto, delle “emigrate”, in quanto figlie di proprietari per generazioni di una gelateria apprezzata dalla clientela tedesca (Campanale 2024: 48). Fondamentale, in questo caso, il concetto d’integrazione “economica” per effetto del riconoscimento all’estero del gelato come prodotto artigianale del nostro made in Italy, supportato dalla forte coscienza di gruppo “specializzato” nel proprio settore, da cui l’identificazione con la categoria di “imprenditore” (Storti 2010: 296, 301) o di “operatore economico”, come si evince dalle nostre interviste (Campanale 2006a: 233, 2024: 49): 3. Chi va all’estero ora è un operatore economico all’estero, è una scelta, non un obbligo (F 62 SONDRIO ZOLDO STAG) Per le stagionali, con una lunga tradizione alle spalle, la Germania è percepita come la “seconda casa”, in quanto elemento costitutivo del continuo migrare che da secoli ha caratterizzato le popolazioni montane di confine; d’altra parte, il rientro al paese non è vissuto come “traumatico”, ma come naturale conclusione della stagione lavorativa (Campanale 2006a: 206): 10 Dal 1969 UNITEIS tutela gli interessi dei suoi soci ( ⟨ https: / / www.uniteis.com/ 12-luglio-1969/ 2019/ 10/ 12-luglio-1969-nasce-uniteis-e-v ⟩ ; ultimo accesso: 09/ 10/ 2022). 259 <?page no="260"?> Laura Campanale 4. Quando siamo in Italia vogliamo rientrare in Germania, fa parte di noi. Ci manca alla fine il contatto con la Germania. Siamo integrati, ci sentiamo a casa anche là, non ci sentiamo degli stranieri (D 21 STAG AHLEN BL FORNO DI ZOLDO - TREVISO) Nella città di Monaco e nel suo distretto metropolitano si concentrano, oggi come allora, la maggior parte delle attività, tra cui numerose gelaterie. Attualmente, così come anni fa, i locali sono situati in posizioni centrali e strategiche, ossia nelle zone con maggiore afflusso di clientela e con una notevole quantità di ristoranti e negozi (Campanale 2006a: 105, 108s., 2018: 109). A Monaco la distribuzione delle gelaterie non coincide necessariamente con la maggior presenza di residenti italiani, bensì piuttosto con quella di altre attività della ristorazione, tendenza confermata anche negli ultimi anni, con una significativa espansione a Ludwigsvorstadt e a Maxvorstadt (sorprattutto a Schwabing). Dall’analisi di Krefeld (2006: 231, 234) risulta, infatti, che la comunità italiana a Monaco non risiede in ghetti (Krefeld 2021), ma è eterogeneamente distribuita all’interno della città, in particolare nell’Altstadt-Lehel, a Bogenhausen e a Trudering-Riem, mentre la maggior parte dei ristoranti si colloca, oltre che nell’Altstadt, a Maxvorstadt e a Ludwigsvorstadt, in cui ritroviamo anche negozi e associazioni, questi due ultimi presenti anche a Sendling, Neuhausen e Obergiesing. Ai tempi della nostra ricerca, la manodopera femminile delle gelaterie di Monaco e dintorni proveniva soprattutto dalla Pedemontana trevigiana (Conegliano, S. Vendemiano, Vittorio Veneto), da alcune regioni dell’Italia meridionale e insulare (pugliesi e sarde) e anche dall’estero (cubane e portoghesi). Le accomunava il fatto di essere, rispetto alle cadorine e zoldane, più giovani, di essere emigrate più tardi (tra il 1975 e il 2002) e di vantare una tradizione migratoria familiare più recente (dagli anni 1960). Nel complesso erano stagionali con matrimoni endogamici; poche le unioni esogamiche (Campanale 2006a: 141, 143ss., 337-345). In generale, il livello di competenza del tedesco riferito era inferiore rispetto alle cadorine e zoldane, il che influiva negativamente sui contatti sociali con i tedeschi, oltre a creare alcune difficoltà in ambito burocratico. Tuttavia, a Monaco era possibile, per le ragioni già espresse nel precedente capitolo, riuscire a “sopravvivere” grazie alla presenza di diverse istituzioni, associazioni (anche di medici e avvocati) e negozi italiani. 260 <?page no="261"?> La dimensione dello spazio nelle migrazioni stagionali Al rientro in Italia, finita la stagione, alcune donne intervistate percepivano una notevole differenza tra la mentalità e le opportunità della grande città rispetto a quelle offerte dalla provincia italiana, sperimentando, talvolta, difficoltà sia in ambito familiare e locale (con la gente del paese), sia a livello burocratico-amministrativo (Campanale 2006a: 199). L’esperienza migratoria provocava, pertanto, nelle giovani un cambiamento identitario per effetto di una maggiore consapevolezza delle proprie capacità (Grandi 2007: 39, 146), nell’ambito di una più ampia autonomia sperimentata a livello umano e professionale in una grande metropoli straniera: 5. i primi giorni mi sento estranea, la nostra mentalita è diversa, qui sono più libera, come donna in Italia è tutto più difficile (F 25 LE COPERTINO STAG) 6. Gli amici ti fanno notare la differenza, che sei cambiata, la tua mentalità e il tuo modo di esprimersi (F 26 BR PESANIA PERM) Tale aspetto era particolarmente evidente nelle giovani trevigiane che dimostravano in tutti i campi una maggiore emancipazione e spirito d’iniziativa: diverse, infatti, quelle che decidevano di emigrare anche da sole, con l’obiettivo di realizzarsi e di “mettersi alla prova”. Oggi come allora, le titolari d’impresa del Trevigiano sembrano applicare anche alla gelateria la mentalità imprenditoriale della piccola-media industria veneta (Dematteo 2009, Campanale 2024: 49): 7. Nel Trevigiano c’è più voglia di rischiare, c’è la mentalità dell’imprenditore, più autonoma. Anche quelli che non hanno esperienza, partono per fare i gelatieri, nonostante ci siano delle possibilità di lavoro in zona. (D 52 STAG VERDEN ALLEN TV GAIARINE) Per quanto riguarda, invece, la situazione attuale, le ultime informazioni forniteci via mail dal Bayerisches Landesamt für Statistik sulle imprese registrate nel 2020 (cfr. Statistisches Unternehmensregister, Berichtsjahr 2020), ci confermano ai primi posti per presenza di Eissalons l’Alta Baviera con 342 locali, seguita dalla Svevia, Media Franconia e Bassa Baviera, rispettivamente con 134, 132 e 107 gelaterie. Nella capitale bavarese si registra, inoltre, un significativo aumento di nuovi locali: 85 nel 2020, contro gli 81 rilevati nel 2019 dall’Industrie- und Handelskammer für München und Oberbayern, a fronte di 390 in tutta l’Alta Baviera, gestiti per la metà da italiani tra i 18 e gli 81 anni (IHK München und Oberbayern 2019). 261 <?page no="262"?> Laura Campanale Figura 1: i distretti della Baviera 11 Dalle statistiche forniteci dallo Zentralverband des Deutschen Handwerks sulle attività con produzione di gelato artigianale, risulta, altresì, una progressiva presenza di titolari donne in Baviera, passando da 108 unità al 31/ 12/ 2016 a 130 al 31/ 12/ 2021 12 (Campanale 2024: 41). A novembre 2022 secondo i dati delle Handwerkskammern dei diversi distretti bavaresi (cfr. Figura 1), 13 ai primi posti per numero complessivo di titolari femminili del settore rinveniamo l’Alta Baviera (36 su 162), seguita dall’Alta Franconia (26/ 162), dalla Bassa Baviera (25/ 162) e dalla Svevia (24/ 162). 11 ⟨ https: / / upload.wikimedia.org/ wikipedia/ commons/ a/ ab/ Landkreise_Bayern.svg ⟩ ; ultimo accesso: 28/ 05/ 2024. 12 Si vedano le ZDH-Betriebsstatistiken, cortesemente forniteci via mail il 21.10.2022 dalla Sig.ra Katja Kaule. 13 Su espressa richiesta delle diverse Handelskammern bavaresi, che qui ringraziamo per la preziosa collaborazione, non possiamo riportare per motivi di privacy alcun dato sensibile tramite tabelle o qualsiasi altro riferimento, se non quanto sopra espresso. 262 <?page no="263"?> La dimensione dello spazio nelle migrazioni stagionali Questo trend, già visibile tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi del 2000, risulta in crescita a partire dal 2016/ 2017. Tuttavia, la maggiore presenza di titolari italiane, per lo più venete, si registra in Bassa Baviera (16 su 25), 14 nei distretti di Passau, Deggendorf e Straubing, lungo il corso del Danubio. Seguono la Svevia (14/ 24) e l’Alta Baviera (14/ 36). In Svevia la distribuzione delle attività si concentra nei distretti di Augsburg, Dillingen e nel Centro Sud, cioè nell’Unter-, Obere Ostallgäu. In Alta Baviera, “spicca” la capitale bavarese con il suo hinterland (Planegg e Kirchheim), ma troviamo attività anche a Nord (distretto di Freising), ad Est (distretti di Mühldorf e Altötting) lungo il corso del fiume Isar, oltre che ad Ovest (distretti di Fürstenfeldbruck e di Landsberg) vicino alla Svevia. Inoltre, soprattutto a Monaco, operano anche gerenti (Geschäftsführerinnen) di imprese registrate come GmbH (Srl). In linea di massima, i dati attuali confermano, quindi, la distribuzione spaziale rilevata già ai tempi della nostra indagine, pur con un considerevole incremento generalizzato delle attività, in particolare nella Baviera nordorientale. 6 Conclusioni Per la precaria economia della montagna veneta le donne rappresentarono, da sempre, un’enorme risorsa, tuttora non adeguatamente valutata e investigata. Grazie alla loro flessibilità, ma al contempo, “solidità”, esse hanno saputo adattarsi alle diverse circostanze, riuscendo a provvedere al sostentamento della propria famiglia e della collettività durante l’assenza dei mariti emigrati oltralpe, ma allo stesso tempo hanno sperimentato spazi di autonomia che le consentirono di «uscire dai consueti schemi» (Grandi 2007: 136). Innegabile l’importanza delle donne dal punto di vista linguistico-educativo e professionale, anche se statisticamente poco rappresentate all’interno del nostro campione. Grazie all’esperienza della mobilità e del lavoro in gelateria, la donna acquisisce, infatti, nuove competenze sociali e linguistiche che la emancipano e le 14 La presenza di titolari tedesche è piuttosto scarsa in Bassa Baviera (6 su 25) e in Svevia (5/ 24), contrariamente all’Alta Baviera (20/ 36) e all’Alta Franconia (12/ 26). 263 <?page no="264"?> Laura Campanale consentono, se possibile, di intraprendere anche un’attività in proprio (Campanale 2024: 50). In situazione di extraterritorialità si evidenziano, quindi, atteggiamenti innovativi che si esprimono nell’entroterra tedesco con l’acquisizione ed espansione economica-commerciale, mentre la città si distingue come polo attrattivo e “emancipatorio” per le nuove generazioni, con effetti sia sul comportamento linguistico (tendenza alla standardizzazione), sia a livello psicologico, tramite l’acquisizione di una maggiore autoconsapevolezza (Campanale 2024: 50). Monaco si riconferma, pertanto, «centro irradiante» (D’Agostino 2006: 51) di innovazione, «crogiuolo di presenze e di costellazioni linguistiche e comunicative italiane» (Melchior/ Krefeld 2008: 23), in opposizione al “conservatorismo” sociolinguistico della campagna. Soprattutto nella capitale bavarese, le gelaterie hanno perso, per lo più, il loro carattere familiare e la loro identità regionale per diventare punto di incontro e contatto di più lingue e culture, in cui clientela e personale, ormai multietnici, rispecchiano l’immagine di una società globale. Riferimenti bibliografici Barcella, Paolo (2018): «Quelli che se ne vanno: la nuova emigrazione italiana». - ⟨ https: / / www.che-fare.com/ almanacco/ societa/ corpi/ quelli-che-se-nevanno-emigrazione-italiana/ ? url=/ quelli-che-se-ne-vanno-emigrazioneitaliana ⟩ ; ultimo accesso: 01/ 12/ 2022. Bortoluzzi, Tiziana (1991): «Il flusso migratorio dei gelatieri bellunesi nell’area mitteleuropea». 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Thanks to the informations of our doctoral thesis (Campanale 2006a), we investigate the spatial variable and how it is experienced by women in the different linguistic domains. Biographical sketch: Laura Campanale graduated in 1990 in «Modern Foreign Languages and Literature» at the University of Padua; in 2005, she obtained her Ph.D. in «Language Studies» from the Ludwig Maximilian University of Munich; since 1995 she is a teacher in the Italian public school. From 2006 to 2015 she worked as a Lecturer on behalf of the Ministry of Foreign Affairs of International Cooperation (MAECI), teaching Italian language and culture at the German Universities of Kassel and Trier. She participated in several international conferences and published books and articles on migration issues and their educational implications. 269 <?page no="271"?> Mari D’Agostino * «Noi che siamo passati dalla Libia». Appunti per la sociolinguistica del XXI secolo 1 Linguaggio e migrazione. A cento anni dalle grandi inchieste sul campo negli U.S.A. La riflessione sul rapporto fra migrazione e fenomeni linguistici non è certamente nuova. Datano infatti più di cento anni le prime notazioni su cosa succede agli idiomi e ai parlanti durante un fenomeno migratorio, per altro di dimensioni straordinarie, come lo spostamento, a partire dai primi decenni dell’800 e per circa un secolo, di circa trenta milioni di persone dall’Europa agli U.S.A. Vengono da questa ultima area sia alcune osservazioni non sistematiche sia, dopo alcuni decenni, una importante visione di insieme sui reciproci influssi fra lingue parlate dai migranti e lingue autoctone. Le prime sono contenute in un volume pubblicato per la prima volta nel 1919 ma ristampato già nel 1921 con una versione arricchita e che da allora ha conosciuto una notevole fortuna: The American Language. An Inquiry into the Development of English in the United States. Il suo autore, Henry Louis Mencken, giornalista, editore e parlante nativo di inglese americano, come egli stesso si definisce, chiarisce nell’introduzione che il suo lavoro ha come punto di partenza la constatazione che vi è una significativa differenza, a livello lessicale, sintattico, fonetico, fra l’inglese della Gran Bretagna e quello degli Stati Uniti sia nel parlato che nello scritto. Dopo avere passato in rassegna le caratteristiche dell’inglese americano, relative soprattutto al lessico e alla pronuncia, in appendice è collocato un capitolo sui «Non-English Dialects in * Università degli Studi di Palermo. 271 <?page no="272"?> Mari D’Agostino America» (Mencken 1921: 397-422) e in particolare su alcuni fra questi (in ordine «German», «French», «Spanish», «Yiddish», «Italian», «Dano-Norwegian», «Swedish», «Dutch», «Icelandic», «Greek», «The Slavic Languages»). Tranne poche e generiche considerazioni sullo stato di salute di questi idiomi, cioè sul loro utilizzo da parte degli immigrati di prima e seconda generazione, la trattazione si concentra sulla penetrazione dell’American language all’interno delle lingue immigrate con liste di prestiti di vario tipo (semantici, adattati, non adattati, ecc.). Se l’impianto complessivo del lavoro di Mencken, come di altri degli stessi anni, tra i quali anche linguisti “professionisti” come il filologo della Columbia University Arthur Livingston (cfr. Livingston 1918), conduce a risultati poco interessanti, limitandosi a una lista di termini, i cosiddetti “americanismi”, individuati per lo più in fonti scritte, lo scenario cambia completamente dopo una ventina di anni. Ciò avviene grazie a uno studioso che aveva vissuto l’esperienza migratoria in maniera molto profonda: il grande linguista Einar Ingvald Haugen, docente ad Harvard a metà degli anni ’60. Nato negli U.S.A da genitori migranti norvegesi, insieme al suo assistente, il linguista Magne Oftedal, lavorò sul campo nel Midwest dal 1935 al 1948 raccogliendo interviste, ciascuna delle quali durava dalle 10 alle 12 ore, di 207 informanti, una parte nati in U.S.A. da genitori norvegesi e una parte nati in Norvegia. Si tratta di un’opera straordinaria i cui dati in parte digitalizzati e trascritti sono conservati presso il Text Laboratory del Departement of Linguistics and Scandinavian Studies dell’Università di Oslo. Essi vengono ancora oggi utilizzati e confrontati con ricerche successive. Coevo alla ricerca sul campo citata appena sopra è l’articolo dello stesso Haugen Language and Immigration del 1938, ripubblicato in Haugen (1972a). In questo saggio il linguista norvegese non solo analizza il complesso mondo del contatto linguistico ma avvia la descrizione di fenomeni di decadimento linguistico in rapporto alla prima, seconda e terza generazione, e, soprattutto, analizza ciò che avviene quando a ogni passo si pone un “problema di lingua”. L’equilibrio linguistico e la solidarietà su cui si basava la vita prima della partenza, segnala Haugen, va in pezzi e il migrante cerca di ricostruire un nuovo equilibrio: With emigration this whole pleasant state of things was broken; the equilibrium which had permitted language to go unnoticed was upset, and the emigrant was faced with linguistic problems on every hand [...]. It has been noticed that most immigrants show a strong tendency to settle in groups from 272 <?page no="273"?> Appunti per la sociolinguistica del XXI secolo the same districts of the homeland, whenever possible. This has its obvious cause in the desire of friends and relatives to live together, but it is also a linguistic phenomenon, because of the greater ease of communication and sympathy of understanding that can exist between speakers of the same dialect. As one of my informants declared of the early immigrants, «They always preferred to associate with their own kind». (Haugen 1972b: 13) Queste ed altre riflessioni di Haugen si collegano esplicitamente a quelle che in quegli stessi anni venivano condotte dall’educatore Leonardo Coviello, nato in Basilicata e naturalizzato come Leonard Covello negli U.S.A. 1 Immigrato a nove anni a New York, nel quartiere di Harlem, Covello in quegli stessi anni riflette, progetta e realizza l’implementazione di modelli interculturali e bilingui nelle scuole del suo quartiere ad alta presenza di italiani prima, e di portoricani poi. Straordinaria è l’esperienza di direzione, a partire dal 1934 e per 22 anni, della Franklin High School, una scuola sperimentale dell’East Harlem, divenuta luogo di incontro di una larga comunità immigrata (cfr. Covello 1936). Questo importante lavoro di innovazione didattica è sorretto da una costante attività di ricerca sul campo (basata su interviste, storie di vita, studi di caso, strumenti quantitativi) che sfocerà nel 1967 in un ponderoso studio di sociologia dell’educazione: The Social Background of the Italo-American School Child. A Study of the Southern Italian Family Mores and Their Effect on the School Situation in Italy and America (Covello 1967). La direzione verso cui guardavano sia Haugen che Covello era l’enorme sconquasso che avveniva nelle teste, nelle emozioni, nei rapporti sociali, di chi stava in quel momento vivendo l’esperienza dello sradicamento spaziale e culturale e di come il linguaggio fosse al centro di questi radicali mutamenti. Di fronte a tutto questo la conservazione e valorizzazione della lingua della famiglia e il suo insegnamento sembrano a Covello scelte indispensabili e le uniche capaci di integrare anche nel contesto scolastico le nuove popolazioni arrivate negli U.S.A. Se ai tempi di Haugen e Covello queste riflessioni avevano un sapore pionieristico, il rapporto tra migrazione, lingua, scuola e didattica oggi è certamente una delle aree di ricerca più importanti legandosi strettamente a una serie di temi chiave della linguistica del XXI secolo: il rapporto fra cittadinanza e diritto di parola, il 1 In una nota a un passo relativo all’importanza del linguaggio nella conservazione della vita di gruppo del migrante, indispensabile alla buona riuscita del percorso migratorio, Haugen rinvia al lavoro di Covello del 1937, «Language as a Factor in Social Adjustment», giudicato «excellent» e improntato alle sue stesse idee, maturate in modo indipendente («similar views, arrived at independently», Haugen 1938: 15, n. 10a/ 1972a: 35). 273 <?page no="274"?> Mari D’Agostino superamento della nozione di norma monolingue, la riflessione su multilinguismo, eterogeneità e pratiche ibride con il proliferare di una serie di nuove denominazioni (fra le quali heteroglossia, translanguaging, flexible bilingualism, transidiomaticity, translingual practice, metrolingualism), e ancora le pratiche di comunicazione in assenza di una lingua comune, ecc. Su alcuni di questi temi torneremo nella sezione 5. 2 Le rotte migratorie e la “battaglia attorno alle parole” Lo sguardo in profondità sul rapporto tra lingua e migrazione su cui insistono sia Haugen che Covello è garantito loro sia dall’avere vissuto essi stessi l’esperienza migratoria, sia dal lungo lavoro sul campo condotto da entrambi a diretto contatto con chi stava vivendo quella stessa esperienza in quel momento. Ritornare a quelle ricerche e a quel dibattito può essere utile anche oggi in un momento in cui vi è un generale abisso fra categorie della politica e della normativa, narrazioni dei media, proposte di organizzazioni internazionali da una parte e, dall’altra, le reali esperienze di chi migra (cfr. Crawley/ Skleparis 2018). Questa enorme distanza è particolarmente presente guardando alle migrazioni che attraversano “irregolarmente” i confini degli Stati utilizzando una rotta, cioè, come recita il glossario dell’European Migration Network (EMN) 2 , «[t]he geographic route along which migrants and refugees move via hubs in transit areas from their country of origin to their country of destination, often traveling in mixed migration flows» (EMN 2018: 259, «migration route»). La definizione dell’EMN fa riferimento sia alla dimensione spaziale (la presenza di nodi attraverso cui si muovono gli spostamenti) sia alla non omogeneità interna («mixed migration flows»). Nella definizione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) viene esplicitato a quale tipo di diversità si alluda: «People travelling as part of mixed movements have varying needs and profiles and may include, e.g., asylum seekers, refugees, victims of trafficking, unac- 2 L’EMN è una rete istituita con decisione del Consiglio dell’Unione Europea nel 2008 «to provide objective, comparable policy-relevant information and knowledge on emerging issues relating to asylum and migration in Europe» ( ⟨ https: / / home-af fairs.ec.europa.eu/ networks/ european-migrat ion-network-emn/ about-emn_en ⟩ ; ultimo accesso: 24/ 02/ 2024). Fra le attività della rete vi è quella di aggiornare costantemente il glossario specialistico e produrne versioni nelle varie lingue europee. 274 <?page no="275"?> Appunti per la sociolinguistica del XXI secolo companied/ separated children, and migrants in an irregular situation» (UNHCR 2016b: 282). La “battaglia attorno alle parole” che ha caratterizzato l’ultimo decennio del discorso istituzionale e mediatico sulle migrazioni, e che continua ancora oggi, si è combattuta in massima parte proprio attorno ai processi di nominazione, ma ha anche comportato il mutamento semantico di termini che hanno una lunga storia. La proliferazione delle etichette, alcune delle quali presenti nella citazione precedente, e la loro utilizzazione come categorie supposte neutre attraverso un continuo processo di “feticizzazione” è andata di pari passo, infatti, con il cambiamento semantico del termine “migrante”. Da vocabolo generico e inclusivo che designava un insieme di situazioni molto diverse, è divenuto, soprattutto nel linguaggio della politica e dei media, e in gran parte della terminologia specialistica, semplicemente sinonimo di “migrante economico” contrapposto a “rifugiato” e ad altre categorie che identificano uno status che consente di evitare il respingimento e dà diritto a rimanere nel Paese di arrivo. Su questa linea si muove come si è visto sia il glossario dell’EMN con l’etichetta “migrante e rifugiato” che rinvia a due profili diversi, sia l’UNHCR che ribadisce costantemente che i migranti “sono fondamentalmente diversi dai rifugiati”: «Migrants choose to move not because of a direct threat of persecution or death, but mainly to improve their lives by finding work, or in some cases for education, family reunion, or other reasons» (UNHCR 2016a). In una serie di fonti di primaria importanza il significato del termine “migrante” sempre più si è allontanato dalla visione generalista e inclusiva proposta anche dalle Nazioni Unite che considerava migrante internazionale «any person who lives temporarily or permanently in a country where he or she was not born, and has acquired some significant social ties to this country». 3 Tale definizione prescindeva dalle cause, volontarie o meno, e dai mezzi, regolari o irregolari, utilizzati per raggiungere il nuovo Paese e dallo status conferito alla persona nel corso dell’intero processo di movimento. Il processo di cambiamento semantico di “migrante”, «longtemps utilisé par les chercheurs comme un terme “générique”, englobant (“tout individu se déplaçant d’un lieu à un autre”), devenu un moyen pour “disqualifier les personnes ne relevant a priori pas de l’asile”» (così Canut 2016, citando Fouteau 2015), va di pari passo, come si è detto, con il continuo proliferare di categorie che dovrebbero indi- 3 ⟨ https: / / webarchive.unesco.org/ web/ 20160908121141/ http: / / www.unesco.org/ new/ en/ social-andhuman-sciences/ themes/ international-migration/ glossary/ migrant ⟩ ; ultimo accesso: 27/ 02/ 2024. 275 <?page no="276"?> Mari D’Agostino viduare le diverse tipologie di persone in movimento. Entrambi i processi, che stanno entrando anche nel vocabolario della ricerca scientifica, hanno contribuito alla costruzione di una rappresentazione del tutto falsa dei flussi migratori attraverso le rotte. Chi le percorre rimane per strada spesso per mesi e anni e in questo tempo si sovrappongono “libera scelta” (choose to move) e “coercizione” (need to move), desiderio di migliorare la propria situazione (cfr. EMN 2018: 109, la definizione di economic migrant) e necessità di fuggire da condizioni climatiche, politiche, sociali invivibili (cfr. EMN 2018: 168, la definizione di forced migration), componenti tutte queste spesso compresenti anche nelle motivazioni che inducono a partire. È bene sempre ricordare, inoltre, che il riconoscimento di forme di protezione dipende da un insieme di fattori assai diversi: le scelte politiche del momento, l’aiuto ricevuto da organizzazioni esterne, il caso che al momento dell’arrivo ha determinato l’inserimento in una struttura rispettosa dei diritti e che prevede l’assistenza legale e tanto altro. Sia chi riuscirà ad avere forme di tutela sia chi non riuscirà ad averne condividono non solo la stessa rotta ma anche, al momento dell’arrivo in Europa, per mesi, e a volte per anni, gli stessi spazi, gli stessi percorsi di inserimento più o meno significativi, le stesse attese per la definizione dello status, e le stesse speranze. Quasi sempre è questo il periodo durante il quale si realizzano la maggior parte delle ricerche scientifiche su queste nuove forme migratorie e proprio per questo distinguere le persone oggetto di studio sulla base delle categorie sopra elencate appare assolutamente fuorviante. È del tutto evidente, infatti, che si tratta di confini artificiali con nessuna capacità descrittiva o analitica, e la cui costruzione serve semplicemente a negare la possibilità di legalizzare la propria posizione all’arrivo a una fetta rilevantissima degli uomini e donne che si spostano attraverso le rotte migratorie. Per tutto questo appare indispensabile allontanare le scienze sociali in generale, e la sociolinguistica in particolare, da un vocabolario che sta inquinando il dibattito sulle migrazioni nel discorso pubblico e che è penetrato anche in parte della ricerca scientifica, tornando a utilizzare “migrante” nel suo significato generalista in discontinuità con il suo progressivo mutamento semantico. Useremo quindi le etichette volutamente generiche di “nuovi migranti” e “nuovi processi migratori” per focalizzare l’attenzione sul cambiamento rispetto ad altri percorsi migratori come quelli che sono avvenuti in momenti diversi della storia europea o che avvengono oggi, ad esempio, per ricongiungimento ad un familiare. L’aggettivo “nuovo” ci 276 <?page no="277"?> Appunti per la sociolinguistica del XXI secolo chiede infatti di addentrarci in mondi non ancora del tutto esplorati, segnati dalla lunghezza del viaggio e da cambiamenti nella traiettoria migratoria, da forme di isolamento e violenza drammatiche e, allo stesso tempo, in cui l’uso delle connessioni digitali prima, durante e dopo il viaggio modifica profondamente le relazioni con le diverse alterità, comprese quelle linguistiche. Considerare le migrazioni attraverso le rotte come composite ed eterogenee facendo riferimento ad elementi sociali e anagrafici, linguistici e geografici, invece che allo status giuridico-amministrativo che verrà attribuito a ciascun individuo dopo l’arrivo in Europa, può essere un importante punto di partenza, in particolare per chi fa ricerca in ambito linguistico. Nella rotta che giunge fino al Mediterraneo persone socialmente diverse, spesso provenienti da luoghi molto distanti, con repertori linguistici molto ricchi e diversificati, e non sempre con una lingua ponte comune, convivono fianco a fianco per un periodo di tempo che spesso si prolunga negli anni. Alla stessa maniera sulla rotta balcanica si muovono insieme pakistani, iracheni, iraniani, siriani poliglotti altamente istruiti e analfabeti afghani il cui repertorio, almeno all’inizio del viaggio, è limitato ad una sola lingua. Gli uni e gli altri si nascondono negli stessi boschi, abitano nello stesso centro di raccolta o nello stesso squat, come vengono chiamati i capannoni abbandonati in Bosnia o in Croazia. 3 Restituire la parola ai “nuovi migranti” Tocca anche alla sociolinguistica, insieme ad altre scienze sociali e insieme a un complesso di associazioni, volontari, artisti, che in ogni Paese europeo sono da anni in prima linea, rompere il monopolio della parola e del discorso saldamente nelle mani delle istituzioni statali e dei media dei paesi di arrivo e mettere in primo piano gli “atti di parola” dei nuovi migranti. È un compito questo che particolarmente attiene a chi fa ricerca linguistica sul campo. Dal dipanarsi di ricordi e racconti, dall’analisi di interazioni in contesti diversi, dall’esame delle comunicazioni a distanza e dell’utilizzo dei social media, emergono narrazioni meno stereotipate e ansiogene capaci di restituire complessità e profondità a un fenomeno che soffre di una continua politicizzazione. Questo lavoro di ascolto e osservazione di prima mano può, forse, anche indurci 277 <?page no="278"?> Mari D’Agostino a riconsiderare modelli linguistici ritagliati solo sulle esperienze di una parte del mondo. Qui di seguito passerò brevemente in rassegna alcune aree di indagine che rivestono particolare importanza in questo riorientamento di sguardo facendomi guidare prima di tutto da quanto negli ultimi anni ho appreso a Palermo a contatto con la migrazione subsahariana di giovani e giovanissimi che, in grandissima parte, hanno attraversato il Mediterraneo con barche di fortuna. 4 I dati e gli esempi, quando non altrimenti specificato, sono tratti dai miei lavori citati in bibliografia. 3.1 Auto ed etero-nominazioni e cultura della migrazione Cambiando radicalmente punto di vista si pone il tema del significato della migrazione per il migrante stesso e dei processi di costruzione di tale significato che avvengono attraverso una negoziazione costante con le società di partenza e di arrivo. Si tratta di un territorio di ricerca amplissimo nel quale vi sono da una parte i processi di creazione e diffusione lessicale di termini che designano genericamente il muoversi da un posto all’altro (per lavoro e per periodi consistenti), dall’altro nuove formazioni lessicali che si riferiscono alle “nuove migrazioni”. In una cultura della migrazione «antica spazialmente diffusa e socialmente radicata» (Turco 2018: 87) si sono innestati i movimenti degli ultimi decenni che riprendono in parte i rivoli non ugualmente robusti, eppure persistenti, origina- 4 I porti siciliani sono divenuti nell’ultimo decennio luogo di sbarco di una composita migrazione di popolazione proveniente in una prima fase prevalentemente dall’Africa subsahariana e successivamente anche dal Maghreb. Dal 2013 ad oggi parecchie migliaia di giovani e spesso giovanissimi migranti sono stati accolti nelle aule della Scuola di Lingua italiana per Stranieri (ItaStra) dell’Università di Palermo e ha preso da lì l’avvio una ricerca sia quantitativa (attraverso questionari e test) sia qualitativa attraverso cinquanta interviste/ narrazioni/ racconti/ osservazioni che sono confluite in un volume (D’Agostino 2021) e in una serie di articoli a partire dal 2016, alcuni dei quali citati in bibliografia. L’indagine si focalizza sui giovani uomini provenienti dall’Africa occidentale subsahariana che costituiscono negli anni 2017/ 18 la grande maggioranza delle persone entrate nei corsi di ItaStra, fra questi molti appartenenti alla categoria giuridica dei «minori stranieri non accompagnati», cioè di chi ha meno di 18 anni ed è arrivato in Europa privo di un adulto di riferimento che possa assumere un ruolo legale e di cura. La quasi totalità vivevano nel momento della ricerca in strutture di accoglienza e praticamente tutti avevano vissuto in luoghi destinati esclusivamente a migranti (o in carcere) durante il viaggio o in Libia. Un altro tassello rilevante per comprendere l’estrema complessità di queste forme migratorie è dato dal fatto che circa il 25-30 risultavano ai test di ingresso ai corsi di italiano totalmente o parzialmente analfabeti (cfr. D’Agostino 2017). Uno dei fili conduttori di tutta quanta la ricerca è il ruolo del multilinguismo nelle vite di questi giovani prima, durante e dopo il viaggio migratorio. 278 <?page no="279"?> Appunti per la sociolinguistica del XXI secolo tisi in età coloniale. L’introduzione del regime dei visa, cioè l’utilizzo del visto di entrata - un supplemento al passaporto rilasciato prima del viaggio dal consolato del paese di destinazione -, pratica oggi generalizzata per regolare i flussi internazionali di mobilità, e la progressiva impossibilità da parte di giovani africani (ma anche asiatici e di altre aree del Global South) di avervi accesso, hanno determinato l’irrompere sulla scena di un nuovo vocabolario migratorio. Di esso fa parte harraga usato in Tunisia, Algeria e Marocco e traducibile con ‘coloro che bruciano’, dall’arabo ah ˙ raqa ‘bruciare’. Gli harraga sono coloro che bruciano «la frontière, leurs papiers pour traverser la mer, sans identité, sans passé, sans histoire» (Arab/ Sempere Souvannavong 2009: 192). La caratteristica principale di questo termine, come degli altri che vedremo, è il riferirsi non a un gruppo di persone ma ad una attività, una esperienza temporalmente definita dell’esistenza. 5 Un altro termine simile è tahrib (termine arabo che significa ‘attività illegale’) utilizzato da somali che vivono in Somalia, nella Repubblica di Gibuti, ed Etiopia per designare la migrazione irregolare di giovani uomini (meno per le donne) che, con meta l’Europa, si muovono, via Etiopia, Sudan e Libia, e quindi attraversano il Mediterraneo. Sia harraga che tahrib hanno un consistente utilizzo mediatico in canzoni e documentari, programmi televisivi e radiofonici. Lo stesso è avvenuto per il terzo dei neologismi ad ampia diffusione a cui accenneremo: backway, tradotto generalmente come ‘strada secondaria’, in opposizione alla strada giusta, la right way che necessita di un permesso di entrata nella nazione di arrivo e quindi è preclusa ai più. Il termine è utilizzato dai giovani africani, soprattutto gambiani, per indicare il viaggio verso l’Europa e backboys (o backway boys) sono i giovani che si avventurano nella dangerous journey, il ‘viaggio pericoloso’ descritto anche in tante canzoni. Accanto a questi, altri nomi emergono da ricerche che focalizzano l’attenzione sulla percezione che i migranti stessi hanno della loro situazione. Ad esempio, Pian (2009) nella sua indagine sugli immigrati senegalesi in Marocco prende in esame il termine adventuriers, mentre Canut/ Sow (2014) si soffermano su voya- 5 Il termine harraga non è recentissimo. Esso ha iniziato a essere usato nel 1970, in Tunisia, in riferimento all’attraversamento illegale del confine tra Tunisia e Libia (luogo in quei decenni di massiccia immigrazione economica dai paesi circonvicini). Negli anni ’90 il termine sposta il suo riferimento ad una diversa realtà sociopolitica. L’introduzione del sistema dei visti di ingresso in Francia, reso rigido nel 1995 con la convenzione di Schengen, interrompe la tradizionale libertà di movimento fra essa e le aree del Maghreb sue ex colonie. 279 <?page no="280"?> Mari D’Agostino geurs, esaminato all’interno di rappresentazioni teatrali messe in scena da rifugiati a Bamako. Nell’indagine sul lessico delle nuove migrazioni particolare attenzione va posta al mettersi in moto di processi identitari con l’emergere di un “Noi” che, nel caso dei giovani migranti subsahariani osservati al loro arrivo a Palermo, appare di sovente legato non all’intero viaggio migratorio ma alla parte più drammatica e dolorosa, cioè l’attraversamento e per molti la permanenza per mesi e anni in Libia. «Noi che siamo passati dalla Libia», come segnala uno dei giovani intervistati, «ci incontriamo per strada e ci riconosciamo attraverso le parole che usiamo», «ci insultiamo in libico», «noi ci telefoniamo», ecc. L’esperienza della Libia segna un prima e un dopo, un “Noi” e gli altri, chi ha fatto un’altra strada, chi non ha visto e sentito. 3.2 Il viaggio come momento cruciale dell’esperienza e le nuove direzioni di contatto e cambiamento Il viaggio attraverso le rotte emerge dalle narrazioni e dai discorsi di prima mano come un aspetto cruciale dell’intera esperienza migratoria ed impone anche per la linguistica un radicale cambio di paradigma. Non è più tanto e solo il luogo di arrivo il focus del contatto e del cambiamento linguistico come nelle migrazioni indagate da Haugen e da tanti altri nel secolo scorso. I processi di contaminazione non avvengono solo fra lingue migranti e lingue autoctone ma agiscono in più direzioni. Il contatto prolungato fra persone che si muovono sulle stesse rotte, e la permanenza per mesi ed anni in luoghi che costituiscono solo tappe di una “traiettoria migratoria” lunga e complessa, innescano assai spesso processi di cambiamento verso lingue o varietà di altri partecipanti all’esperienza del viaggio, riattivano competenze da tempo inattive, e tanto altro. La nozione di “traiettoria migratoria”, definita come processo spazio-temporale aperto con una forte dimensione trasformativa (Schapendonk/ van Liempt/ Schwarz et al. 2020), risulta assai utile in quanto parte di un modello radicalmente diverso da quello push-pull che vede la migrazione come il risultato dello spostamento dal punto A al punto B sulla base di una decisione presa nel luogo di origine e che ricolloca automaticamente la persona nel luogo di arrivo (cfr. Cresswell 2010). Guardare al movimento mettendo in primo piano la comples- 280 <?page no="281"?> Appunti per la sociolinguistica del XXI secolo sità delle attese e degli esiti, i tentativi di raggiungere un luogo che soddisfi, almeno in parte, le speranze di partenza, i luoghi di arrivo diversi da quelli desiderati, consente di guardare ad un aspetto importante della specificità di queste forme migratorie. Come evidenziato da molte indagini degli ultimi decenni, il viaggio è un’esperienza profondamente formativa e trasformativa e agisce sia a livello individuale che di gruppo restringendo o ampliando i confini personali e mutando la percezione di sé stessi (BenEzer/ Zetter 2015), ampliando e riconfigurando il repertorio linguistico (per molti esempi cfr. D’Agostino 2021). 4 Comunicazione digitale e pratiche multilingui L’esperienza del viaggio, delle interazioni singole o di gruppo, delle reti trasnazionali che aiutano e supportano il suo svolgimento, reti fatte in primo luogo da giovani con i quali si condivide solo una piccola parte del repertorio o addirittura non se ne condivide alcuna parte, aumenta sicuramente il grado di familiarità con modalità di acquisizione di nuove abilità linguistiche sulla base di input molto limitati. Si accrescono inoltre enormemente le già importanti capacità di gestire e costruire la comunicazione in assenza di lingue comuni, servendosi, specie all’arrivo, anche dei nuovi strumenti costituiti dai media digitali. Questo ultimo aspetto è stato spesso descritto in termini di “migranti connessi”, a cominciare dal saggio così intitolato di Diminescu (2008). L’importanza di questo saggio sta nel non definire i migranti sulla base della sola esperienza fisica e psichica dello sradicamento e nel riconoscere ad essi una nuova dimensione del vivere: quella di essere qui e là allo stesso tempo. L’uso delle tecnologie digitali sembra indicare una «portability of the networks of belonging» (Diminescu 2008: 573) e la possibilità per i migranti connessi di mantenere un senso di compresenza in molteplici luoghi: con quei giovani rimasti nei villaggi di partenza, con quelli che stanno in questo momento facendo il viaggio, con quelli che sono intrappolati in Libia, con quegli altri che sono sbarcati in altre parti dell’Europa e che forse si muoveranno ancora. L’esperienza della comunicazione multilingue che fa parte del retroterra di partenza di moltissimi, e che spesso si è accresciuta durante il viaggio migratorio, si incrocia con le connessioni digitali che offrono anche contesti di acquisizione e 281 <?page no="282"?> Mari D’Agostino uso delle lingue nuovi e si mostrano capaci di rompere la diffusa e ripetuta condizione di segregazione che caratterizza fortemente, in diversi momenti, le nuove migrazioni e che è cruciale per comprenderne le specificità, anche linguistiche. 4.1 Social media e literacy La comunicazione a distanza può inoltre funzionare come un luogo di sperimentazione di forme di acquisizione di nuove abilità linguistiche (ad esempio della literacy) in autonomia, cioè al di fuori dei modelli di apprendimento scolastici. Alcune conferme in questa direzione vengono da una ricerca che ha avuto come oggetto l’alfabetizzazione emergente in giovani migranti subsahariani giunti sulle nostre coste completamente o parzialmente analfabeti (D’Agostino/ Mocciaro 2021). In particolare, la ricerca longitudinale relativa alle produzioni su Facebook di un gruppo di giovani “nuovi migranti” ha mostrato come essi, fuori dal controllo esercitato dai contesti canonici come i corsi di alfabetizzazione, siano in grado di gestire, imitare e produrre campioni di lingua scritta attraverso procedure e soluzioni non standard. Per i “nuovi alfabetizzati” tali forme di scrittura si esercitano attraverso pratiche di copia-incolla, imitazione e riuso dei frammenti che costituiscono l’input a cui sono esposti su Facebook, e solo in una fase successiva, attraverso sperimentazioni autonome. La scrittura emergente su Facebook riflette strategie di apprendimento generalmente ignorate nei contesti formali di acquisizione della scrittura (e della lingua) che possono migliorare progressivamente le abilità alfabetiche dei migranti. 4.2 Comunità multilingui su piattaforme digitali fra uso e apprendimento Una seconda area di particolare interesse riguarda le pratiche comunicative di gruppi di giovani migranti che si servono di piattaforme digitali per costruire reti di supporto e di attivismo. Un piccolo corpus di interazioni di questo tipo, consistente in meeting a cui partecipano solo migranti subsahariani residenti a Palermo, può costituire un esempio interessante di come modelli linguistici e pratiche comunicative ampiamente sperimentati in precedenza possano essere utilizzati anche in 282 <?page no="283"?> Appunti per la sociolinguistica del XXI secolo nuovi contesti (cfr. D’Agostino 2023). Ad una prima analisi gli elementi generali più interessanti che connotano il corpus possono essere così sintetizzati: a) l’utilizzo al suo interno di un varietà di codici (in prevalenza, inglese, italiano, wolof, mandinka, fula); b) l’utilizzo da parte dello stesso parlante di più codici in momenti diversi dello stesso incontro o di più incontri; c) l’utilizzo di più codici all’interno dello stesso turno di parola; d) il continuo utilizzo di strategie di auto-ripetizione ed etero-ripetizioni plurilingui attraverso il quale uno stesso parlante, o due diversi parlanti su due turni adiacenti, traducono porzioni più o meno lunghe della propria o altrui interazione. Osservando il dispiegarsi della comunicazione all’interno di queste attività comunitarie a cui partecipano giovani con abilità linguistiche assai frastagliate e disomogenee sia in relazione alle diverse lingue africane conosciute sia alle lingue coloniali e all’italiano, possiamo avanzare l’ipotesi che ci sia una precisa linea di continuità fra queste pratiche e quelle sperimentate durante il viaggio migratorio e forse anche all’arrivo in strutture di accoglienza fortemente multilingui. La presenza di una grande diversità fra i repertori dei membri del gruppo e l’assenza di una lingua “recettiva” comune, cioè di una lingua compresa da tutti gli interlocutori, fa sì che i parlanti (o almeno una parte dei parlanti) non solo selezionino e mescolino più lingue, fra queste anche l’italiano, ma affianchino a questo multilinguismo fluido costanti pratiche di facilitazione della comunicazione. A questo ruolo sembrerebbe assolvere l’utilizzo di auto-ripetizioni ed eteroripetizioni plurilingui che vanno sia dall’italiano alle lingue africane sia dalle lingue africane all’italiano (e all’inglese). All’interno dello stesso turno di parola, o in turni adiacenti, abbiamo infatti continui inserti traduttivi, che riguardano singoli lessemi, sintagmi più o meno complessi, un intero turno di parola. 283 <?page no="284"?> Mari D’Agostino 5 Nuove migrazioni e modelli di multilinguismo Nella sezione precedente abbiamo fatto cenno a contesti in cui l’osservazione della comunicazione a distanza di giovani nuovi arrivati fa emergere pratiche linguistiche di notevole interesse per la loro divergenza rispetto a quelle della società ospitante. Da questo punto di vista le migrazioni, specie quelle che sono state oggetto di queste pagine, non solo mettono in contatto lingue differenti, ma collocano l’uno accanto all’altro modelli di rapporto con la diversità linguistica per nulla sovrapponibili. Da alcune decine di anni la ricerca linguistica ha progressivamente messo a fuoco le profonde divergenze all’interno di modelli e pratiche comunicative in cui si utilizzano più lingue e più varietà, ragionando sia sull’uso sia sull’acquisizione. Suresh Canagarajah distingue due modelli diversi di compresenza di più lingue in una società e/ o in un individuo. Nel primo da un punto sociale e geografico le lingue hanno identità separate e da un punto di vista individuale il parlante ha come punto di riferimento competenze separate di più lingue «almost as if it [scil. individual multilingualism] constitutes two or three separate monolingualisms» (2009: 22). Nel secondo modello «the competence in the languages is integrated, not separated. In this sense, the different languages that constitute one’s repertoire are part of a continuum, not segregated» (2009: 23). Questi due modelli - in cui il primo potrebbe essere visto assai genericamente come tipico di parte del mondo occidentale, mentre il secondo è stato studiato soprattutto (ma non solo) in riferimento a situazioni precoloniali e a odierne realtà asiatiche e dell’Africa subsahariana - differiscono in vari aspetti. In primo luogo, per le pratiche comunicative e le strategie di negoziazione dei codici. Suresh Canagarajah e Adrian J. Wurr segnalano che nelle comunità non occidentali, dove la normalità è costituita dalla compresenza in ogni interazione di svariate lingue che si mescolano e si influenzano reciprocamente, gli individui per fare procedere e supportare la comunicazione, adottano costantemente strategie di negoziazione molteplici, superando le difficoltà e possibili incomprensioni: Language diversity is the norm and not the exception in non-western communities. In such communities, people are always open to negotiating diverse languages in their everyday public life. Their shared space will typically feature dozens of languages in every interaction. They do not assume that they will meet people who speak their own language most of the time. 284 <?page no="285"?> Appunti per la sociolinguistica del XXI secolo This mind-set prepares them for negotiating different languages as a fact of life. (Canagarajah/ Wurr 2011: 2) Un secondo aspetto cruciale che distingue i due modelli è l’acquisizione linguistica. L’immersione in quelli che continuiamo a chiamare sommariamente, e certamente impropriamente, modelli di multilinguismo non occidentale, fa sì che l’acquisizione sia strettamente legata all’uso: In such communities, language acquisition also works differently. Since the languages one will confront in any one situation cannot be predicted, interlocutors cannot go readily armed with the codes they need for an interaction. Therefore, in such communities, language learning and language use work together. People learn the language as they use them. They decode the other’s grammar as they interact, make inferences about the other’s language system, and take them into account as they formulate their own utterances. (Canagarajah/ Wurr 2011: 3) Se queste riflessioni vanno in una direzione giusta, per quanto ancora non del tutto esplorata e certamente ancora da approfondire, potremmo aggiungere che in situazioni in cui l’apprendente può sperimentare una totale autonomia, come quelle esaminate nelle sezioni 4.1 e 4.2, emerge abbastanza chiaramente un modello di rapporto con le lingue e con la diversità linguistica divergente da quello della società ospitante. Le abilità linguistiche richieste dal nuovo contesto (la scrittura) e la/ le lingua/ e del Paese ospitante (l’italiano e/ o il dialetto nel nostro caso) possono essere apprese e utilizzate al di fuori dei modelli scolastici e in generale degli autoctoni. Un’ipotesi di ricerca da continuare a esplorare è che l’esperienza del viaggio migratorio attraverso le rotte, con quello che significa in termini di contatto più o meno prolungato con una molteplicità di persone linguisticamente differenti, con una situazione dunque di “superdiversità” straordinaria, ma anche con l’urgenza di comunicare, possa essere stata per alcuni una prima, e per molti una ulteriore, sperimentazione di un modello di multilinguismo in cui differenti lingue fanno parte di uno stesso continuum e nel quale acquisizione e uso avvengono contemporaneamente. 285 <?page no="286"?> Mari D’Agostino Riferimenti bibliografici Arab, Chadia/ Sempere Souvannavong, Juan David (2009): «Les jeunes harragas maghrébins se dirigeant vers l’Espagne: des rêveurs aux “brûleurs de frontières’’». In: Migrations Société 2009/ 5 (no. 125), 191-206 - ⟨ https: / / do i.org/ 10.3917/ migra.125.0191 ⟩ ; ultimo accesso: 08/ 07/ 2023. 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Secondly, it involves conducting field research that allows migrants to share their experiences, thereby challenging the existing perspectives and politicolegislative classification models (which, for instance, establish dichotomies that categorize migrating individuals as either economic migrants or refugees, among others) employed in European countries of arrival. Biographical sketch: Mari D’Agostino is Full Professor of Sociolinguistics and Migration Linguistics at the University of Palermo. Her current research interests are in sociolinguistics of present-day Italian ad sociolinguistics of migration. 289 <?page no="290"?> BUCHTIPP Der Band bietet eine Überarbeitung eines Teils der Beiträge, die im Rahmen der Sektion Fachdidaktik des XII. Kongresses des deutschen Italianistenverbands vom 10. bis 12. März 2022 an der Ludwig-Maximilians-Universität München abgehalten wurden. Das Thema Movimenti - Bewegungen wird im Hinblick auf das Lehren und Lernen der italienischen Sprache behandelt, wobei interessante Überlegungen und nützliche Anregungen zu Theorie und didaktischer Praxis angeboten werden. Unter den vielfältigen Perspektiven, die sich dabei herauskristallisiert haben, wird Bewegung u. a. als Zirkulation von Ideen, als Kombination von Ansätzen in mehrsprachigen Aufgaben, als Austausch in virtuellen Räumen, als literarische Reise sowie als intertextueller und interkultureller Weg verstanden, um grundlegende Inhalte im Zusammenhang mit der Geschichte, Kultur und Gesellschaft Italiens zu behandeln. Domenica Elisa Cicala / Andrea Klinkner (Hrsg. / A cura di) Movimenti - Bewegungen I Akten der Fachdidaktischen Sektion des Deutschen Italianistentags 2022 Italianistica: Testi e Strutture - Strukturen und Texte, Vol. 1 1. Auflage 2025, 306 Seiten €[D] 68,00 ISBN 978-3-381-13031-3 eISBN 978-3-381-13032-0 Narr Francke Attempto Verlag GmbH + Co. KG Dischingerweg 5 \ 72070 Tübingen \ Germany \ Tel. +49 (0)7071 97 97 0 \ info@narr.de \ www.narr.de <?page no="291"?> ISBN 978-3-381-13051-1 Die Vielschichtigkeit des Begriffs der ‚Bewegung‘ zeigt sich nicht zuletzt in den Lesarten, die bereits in den ersten lexikographischen Werken festgehalten wurden. Die zwölf Beiträge in diesem Band illustrieren diese Vielschichtigkeit über drei Themenbereiche hinweg: Der erste Bereich betrifft die Bewegung von Einheiten innerhalb des Sprachsystems in morphologischer, syntaktischer und textueller Hinsicht; der zweite beschäftigt sich mit den Bewegungen von Wörtern und Texten im Raum, während sich der dritte mit soziolinguistischen Fragestellungen im Zusammenhang mit der Bewegung von Individuen befasst. Das Ergebnis ist ein Profil des Italienischen, dessen wesentliche Merkmale sich über seine ganze Geschichte hinweg und aus je verschiedenen Perspektiven immer wieder mit ‚Bewegung(en)‘ ganz unterschiedlichen Typs fruchtbar in Beziehung setzen lassen.
