Italienisch
ita
0171-4996
2941-0800
Narr Verlag Tübingen
10.24053/Ital-2021-0006
Es handelt sich um einen Open-Access-Artikel, der unter den Bedingungen der Lizenz CC by 4.0 veröffentlicht wurde.http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/61
2021
4385
Fesenmeier Föcking Krefeld OttL’esperienza della Resistenza di Pietro Chiodi in Banditi
61
2021
Patrizi Piredda
Pietro Chiodi war einer der Philosophen unter den Partisanen – wie Ludovico Geymonat und Luigi Pareyson –, die zwischen 1943 und 1945 in der Gegend von Cuneo kämpften. Chiodi hinterließ eines der schönsten und prägnantesten Zeugnisse seiner Partisanenerfahrung, das Tagebuch Banditi, das erstmals 1946 von ANPI herausgegeben wurde. Chiodi, ein Freund von Leonardo Cocito und Lehrer von Beppe Fenoglio, rekonstruiert in Banditi die allmähliche Reifung seiner Entscheidung, am Widerstand teilzunehmen, und die wichtigsten Etappen seiner Erfahrung von Kampf und Deportation. Der vorliegende Artikel gliedert sich in zwei Teile: Der erste Teil skizziert die Biografie Pietro Chiodis als Intellektueller und existenzialistischer Philosoph; der zweite Teil analysiert den Text Banditi mit besonderem Augenmerk auf den Überlegungen des Autors zu den Themen Bewusstsein, Mut und Gerechtigkeit.
ita43850056
56 DOI 10.24053/ Ital-2021-0006 PATRIZIA PIREDDA Libertà, responsabilità e amicizia L’esperienza della Resistenza di Pietro Chiodi in Banditi In questo articolo analizzerò un testo letterario della resistenza italiana fondamentale: Banditi di Pietro Chiodi� La prima parte dell’articolo è dedicata a delineare la figura intellettuale di Pietro Chiodi, mentre la seconda è dedicata all’analisi del testo� Pietro Chiodi è stato un filosofo italiano molto importante perché, oltre ad essere un profondo studioso dell’esistenzialismo e del criticismo, è stato il traduttore delle opere di Heidegger in Italia� Ed è stato, inoltre, uno dei filosofi partigiani che hanno combattuto nella zona del Cuneese, assieme a Ludovico Geymonat e a Luigi Pareyson (cfr� Piredda 2016), che ha lasciato una delle testimonianze più belle e incisive dell’esperienza partigiana, il diario, pubblicato la prima volta nel 1946 a cura dell’ANPI� Pietro Chiodi è nato a Brescia il 2 agosto 1915 ed è morto a Torino, dove è stato per molti anni docente universitario di filosofia, il 22 settembre 1970� La sua formazione, influenzata da Nicola Abbagnano dal quale aveva assorbito la filosofia dell’esistenzialismo, è stata importante non solo per lo sviluppo del suo pensiero, ma anche per la maturazione della decisione di prendere parte alla Resistenza nel Cuneese dove, appena laureato a 23 anni, fu mandato con l’incarico di insegnare filosofia presso il liceo ginnasio ‘Govone’ di Alba e dove incontrò Leonardo Cocito, insegnante di italiano e medaglia d’oro al valore militare, e Beppe Fenoglio, allora giovane studente dell’ultimo anno� L’esperienza della Resistenza è stata fondamentale per Chiodi: la sua visione filosofica della vita non era scissa dal suo modus vivendi: come scrisse Nicola Abbagnano, Chiodi «fu filosofo per la stessa ragione per cui fu partigiano� Si trattava di realizzare con mezzi diversi uno stesso scopo, quello di contribuire ad emancipare l’individuo e ad affermarne in modo completo l’umanità» (Rizzo 1970, p�-180)� Una testimonianza ancor più preziosa al fine di comprendere meglio il modo in cui la figura di Chiodi si inserisce nel panorama dei protagonisti del partigianato cuneese è il Partigiano Johnny di Beppe Fenoglio� 1 Chiodi è 1 Il Partigiano Johnny, testo controverso perché oltre ad essere stato pubblicato postumo, abbiamo di esso due stesure, sulla quale i filologi si sono accaniti per decenni (la prima, sulla quale si basa il testo curato da Maria Corti, del 1968, e la seconda, edita da Dante Isella del 1992)� In questa sede non tratterò delle squisitezze filologiche ma tale premessa è utile per chiarire il fatto che in una versione i due professori Patrizia Piredda Libertà, responsabilità e amicizia 57 stato un esempio e un maestro di vita per Fenoglio il quale, in una intervista del 1962, ricordava: «il prof� Chiodi […] sapeva parlare ai giovani a scuola e nelle sale dei caffè e spalancava menti e coscienza� Quanti di noi andammo nei partigiani perché sapevamo che c’era anche lui? E quanti gli devono la propria formazione intellettuale e civica? » (Fenoglio 1963, p�-3)� Il Chiodi di Fenoglio Il romanzo si apre con il rientro di Johnny ad Alba dopo l’8 settembre, vissuto dal protagonista a Roma� Johnny, in un certo senso un alias di Fenoglio, decide di ritornare nel Cuneese dove passa un periodo da imboscato nella casa di famiglia in collina� Un giorno, decide di scendere in città per cercare il suo vecchio professore di filosofia, Chiodi� Lo trova all’Albergo Nazionale assieme a «un mezzo amico, e un totale taciturno», chiamato semplicemente nel testo Y (Fenoglio 1963, p�-94)� Fin da subito Fenoglio delinea in due righe sintetiche due caratteristiche fondamentali di Chiodi: montanaro (nozione fondamentale perché per essere partigiano nel Cuneese era essenziale conoscere le montagne) e filosofo� Scrive Fenoglio che «Chiodi si era alzato, nella sua orsina massiccità di montanino corretto da anni di esistenza pianurale» (Fenoglio 1963, p�-94): Chiodi era infatti un uomo di città, «pianurale», ma anche amante e conoscitore della montagna: questa informazione è funzionale al racconto perché la conoscenza della montagna era necessaria per chiunque avesse voluto intraprendere l’esperienza di lotta della Resistenza nel Cuneese, dove sia Chiodi che Fenoglio hanno combattuto� La seconda caratteristica riguarda ‘l’essenza’ di Chiodi, ossia sottolinea che è un filosofo� Dopo essersi alzato, nel romanzo, Chiodi dà un «abbraccio filosofico» a Johnny e poi gli dice che se fosse morto a Roma avrebbe speso per lui «le parole del Fedone: anzitempo nell’Ade, egregie cose? » (Fenoglio 1963, p�-95)� Non è un caso che tra tutti i filosofi Fenoglio scelga per Chiodi una citazione da Socrate� Il passo al quale si riferisce è l’argomentazione di Socrate sull’immortalità dell’anima (Platone 2006, 102b-107b)� Non un’anima cristiana e neanche un’anima qualunque, bensì l’anima che ha vissuto in modo etico, come quella di Socrate, morta prematuramente e ingiustamente� Socrate, infatti, per comprendere il del liceo compaiono con i loro propri nomi, Chiodi e Cocito, mentre nell’altra sono ribattezzati Monti e Corradi� Basti dire, tuttavia, che non bisogna tanto intendere il romanzo di Fenoglio come una fonte di conoscenza diretta del Chiodi ‘storico’, quanto come un’importante testimonianza della sua statura etica e politica nel contesto della narrativa storico-testimoniale della Resistenza� Libertà, responsabilità e amicizia Patrizia Piredda 58 referto dell’oracolo che gli ha detto di essere l’uomo più sapiente, sapendo di non sapere, ha speso la propria vita a interrogare chiunque incontrasse nella sua Atene� Mettendo in questione le loro opinioni e svelando che spesso esse non sono altro che false opinioni o il frutto di un cattivo ragionamento, Socrate ricerca chi egli sia veramente al fine di vivere in accordo con se stesso e non seguendo opinioni che vengono proposte come delle verità ma che in realtà nascono dall’ignoranza� Per Chiodi (e per Fenoglio) Socrate rappresenta l’individuo che non vive da gregario seguendo dei modelli precostituiti, costruiti da chi è in grado di manipolare l’incapacità dell’essere umano, inconsapevole della propria volontà e quindi di governare le proprie passioni e i desideri, ma un individuo che sa governare se stesso e agire non mosso dalle passioni (la paura, la volontà di potere, il denaro), ma dalla razionalità e dal senso di giustizia necessari alla maturazione del pensiero critico� L’accostamento della forza di volontà morale di Socrate e quella di Johnny-Fenoglio, fu affermato da Chiodi in un breve articolo, «Fenoglio scrittore civile», che ricorda il coraggio e la forza morale di Fenoglio il quale, unico tra tutti gli studenti di ultimo anno, si rifiutò di scrivere il tema di elogio per la marcia su Roma� 2 Anche Chiodi fa riferimento nel suo Banditi all’argomentazione sull’immortalità dell’anima del Fedone� Quando è in prigione con Leonardo Cocito, il suo amico gli chiede se creda nell’immortalità dell’anima, al che il filosofo risponde: «non mi chiedi una cosa semplice -� E lui: io non ci credo affatto -� Il pensiero mi corre al Fedone e gli dico: - Ti ricordi come finisce l’apologia di Socrate: Sono cose oscure a tutti eccetto che agli dei» (Chiodi 1975, p�-54)� Qui in realtà il riferimento è a due delle tre opere di Platone dedicate alla morte di Socrate, l’Apologia di Socrate e il Fedone� L’Apologia è ambientata in tribunale e concerne il processo e la condanna a morte di Socrate, accusato di deviare i giovani; con il Fedone (così come anche il Critone, testo giovanile di Platone che parla delle ultime ore di Socrate) è ambientato invece nella prigione� L’ultimo è il racconto che Fedone fa a Echecrate sulle ultime ore di 2 «Io avevo ventitré anni quando giunsi ad Alba per insegnare filosofia e storia al liceo classico� Fenoglio ne aveva allora diciotto� Per il ventotto ottobre era obbligatorio svolgere un tema ministeriale di elogio della marcia su Roma� Nell’ora precedente la mia, il professore di italiano aveva dettato il solito insulso tema� Quando io entrai in classe notai subito uno studente nel primo banco con le braccia incrociate che guardava annoiato il foglio bianco� Era Beppe Fenoglio� Lo invitai a scrivere, ma scuoteva la testa� Preoccupato per le conseguenze, feci chiamare il professore di italiano� Era Leonardo Cocito� Parlottarono da complici� Ma non ci fu verso� La pagina rimase bianca� Fenoglio ebbe sempre uno struggente ricordo per Leonardo Cocito, sia per il coraggio con cui a Carignano il 7 settembre 1944 salì sul patibolo per mano tedesca, sia perché soleva, tra il serio e faceto, predirgli un avvenire da grande scrittore�» (Chiodi 1965, p�-2) Patrizia Piredda Libertà, responsabilità e amicizia 59 Socrate, accusato ingiustamente di azioni malvage, mentre quel che faceva non era altro che liberare le menti dei suoi interlocutori dalle false opinioni� Similmente, anche Chiodi, Cocito e gli altri resistenti erano accusati ingiustamente di essere dei banditi (da dove proviene il titolo dell’opera), mentre con la loro lotta non volevano altro che ottenere la liberazione della nazione dalla dittatura e da tutte le false opinioni propagandistiche da essa create� Nel Fedone, Socrate afferma che la sua condizione di cittadino libero, condannato ingiustamente a morte dal governo della sua città, la polis, non è da rimpiangere� Anzitutto perché come ogni filosofo egli desidera di morire, nel senso che non ha paura della morte, poi perché il corpo non è altro che una prigione dove è incarcerata l’anima (psyché), la quale è immortale� Ma nessuno può sapere, se non gli dei, cosa sia l’anima e cosa sia meglio tra la vita e la morte� La questione della vita dell’anima dopo la morte è posta, inoltre, da Socrate anche nelle ultimissime battute dell’Apologia, dopo il suo discorso di difesa nel quale dice che bisogna prendersi cura più dello spirito - ossia del bene e dei valori morali - che del corpo e che per questo, benché la condanna che subisce sia ingiusta, poiché egli ha sempre agito per il bene della società, non ha paura della morte, che invece tutti temono come il peggiore dei mali (Platone 2006, XVII, 29b, p�- 33), benché nessuno sappia che cosa essa sia� Tanto Chiodi quanto Fenoglio richiamano questi passi platonici per creare un paragone forte tra il saggio Socrate e il partigiano: Socrate afferma la propria libertà e il suo rispetto per le leggi della polis fino in fondo, nonostante che sia stato accusato di essere un corruttore� Il partigiano afferma la propria libertà e il suo desiderio di una società giusta, nonostante che i suoi oppressori lo chiamino bandito� Successivamente nel Partigiano Johnny, Fenoglio continua a delineare la personalità di Chiodi in contrapposizione con quella del professor Cocito, fervente sostenitore delle idee comuniste e convinto che non si possa essere partigiani se non si ha una fede ideologica: in questo caso il combattente partigiano sarebbe solo un Robin Hood e in quanto tale «infinitamente meno utile, meno serio, meno meritevole, e, bada bene, meno bello, dell’ultimo partigiano comunista» (Fenoglio 1963, p�- 100)� In opposizione a questa opinione, per Chiodi è sufficiente la libertà in sé per muovere l’individuo verso la decisione della resistenza attiva� Non un’idea prestabilita connessa a una ideologia, ma il semplice, elementare e basilare concetto di libertà è la causa sufficiente per essere un partigiano� Per questo, dopo il secondo incontro al quale ha preso parte anche Cocito, Chiodi dice: «ragazzi, teniamo di vista la libertà» (Fenoglio 1963, p�-100)� Fenoglio, che aveva come riferimento politico ideale l’Inghilterra repubblicana di Cromwell, benché fosse un partigiano monarchico-badogliano, «mentre apprezzava la pedagogia di Chiodi, criticava a Libertà, responsabilità e amicizia Patrizia Piredda 60 fondo l’orientamento comunista del ‘compagno Cocitoff’, rappresentato [nel Partigiano Johnny] come un commissario del popolo di orientamento staliniano» (Franzinelli 2016, p�- 23)� 3 Chiodi e Cocito sono quindi delineati da Fenoglio in base alle motivazioni che li avevano mossi a diventare partigiani: entrambi, indubbiamente antifascisti, l’uno però di fede comunista, l’altro estimatore esistenziale della libertà� Dopo la loro breve conversazione, Chiodi si alza «artriticamente» 4 e dice che appena arrivato a casa leggerà prima di addormentarsi per un’oretta il suo Kierkegaard, uno dei padri fondatori della filosofia dell’esistenzialismo, e alla domanda di Y il quale chiede se sia «igienico darsi a Kierkegaard» in quella situazione, Fenoglio fa rispondere a Chiodi che «l’angoscia è la categoria del possibile� Quindi è infuturamento, si compone di miriadi di possibilità, di aperture sul futuro� Da una parte l’angoscia, è vero, ti ributta nel tuo essere, e te ne viene amarezza, ma d’altra parte essa è il necessario sprung cioè salto verso il futuro» (Fenoglio 1963, p�-97)� Anche in questo caso la scelta delle parole di Fenoglio non è casuale: l’infuturamento è un termine prettamente esistenziale che indica il coinvolgimento del futuro nel tempo presente� 5 Per Kierkegaard l’angoscia è il tipo di rapporto che l’io ha con il mondo (Kierkegaard 2008) in relazione al suo vivere presente inteso come anticipazione del futuro, nel senso che proviamo angoscia nel sapere che le nostre scelte non sono stabilite e che quindi siamo liberi di prendere le nostre decisioni� L’angoscia ci proviene dal fatto che non possiamo essere sicuri se la nostra decisione sia la migliore o no: senza questa angoscia, tuttavia, sarebbe negata la possibilità della libertà di scelta e saremmo delle marionette che agiscono secondo un disegno necessario senza mai svilupparsi� Invece, l’angoscia della libertà garantisce la possibilità di sbagliare e quindi di imparare dagli errori e diventare consapevoli di noi stessi� L’angoscia per Kierkegaard è connessa al peccato originale e a un discorso morale e religioso; nel caso di Chiodi, invece, innestata sull’esperienza della resistenza, l’angoscia assume un significato di responsabilità morale-politica: l’uomo è libero se moralmente responsabile delle proprie azioni� Secondo Isaiah Berlin, la libertà può generalmente essere intesa in senso o negativo, come mancanza delle costrizioni (quindi l’uomo è libero in quanto non ha impedimenti all’azione), o positivo, come autonomia di pensiero e capacità dell’individuo 3 Il 23 gennaio 1943 Leonaro Cocito di ritorno dalla Croazia aderisce al Partito Comunista� 4 Fin da giovane Chiodi soffrì di reumatismi ai piedi� 5 Sulla presenza e il senso dell’infuturamento nel Partigiano Johnny rimando a Wampole 2011� Patrizia Piredda Libertà, responsabilità e amicizia 61 di autodeterminarsi tramite la conoscenza di se stesso (cfr� Berlin 1971)� Nel caso di Chiodi la libertà esiste in questo ultimo senso ed è il cuore della sua esperienza partigiana� In un breve articolo sulla Voce del 1952 Chiodi elenca le motivazioni per cui egli si sente orgoglioso di essere stato partigiano� L’articolo inizia con una asserzione: «l’orgoglio non è una virtù� Non si dovrebbe mai essere orgogliosi», asserzione ironica perché subito dopo viene capovolta nel suo contrario: «ma, alle volte, dentro di me, mi succede di sentirmi pieno di infinito orgoglio e sempre solo per una sola cosa: d’aver fatto il partigiano» (Chiodi 1952, p�- 3)� L’ultima e la più importante motivazione data da Chiodi per il suo orgoglio riguarda la libertà, infatti scrive: «soprattutto sono orgoglioso di aver fatto il partigiano quando qualcuno mi dice che non dovrei esserne orgoglioso: perché penso che sono io che, combattendo per la libertà, gli ho conferito il diritto di dirmelo» (Chiodi 1952, p�-3)� Dal partigiano al bandito Fenoglio e Chiodi avevano due sensibilità molto diverse� Hanno quindi vissuto due diverse esperienze della Resistenza che hanno raccontato attraverso due diverse modalità letterarie� Fenoglio scrisse dei romanzi a sfondo autobiografico, mentre il diario di Chiodi, scritto tra il 1945 e il 1946, ha lo scopo di testimoniare i fatti della sua vita partigiana: tutti i personaggi e i fatti narrati quindi non sono inventati ma realmente esistiti, e per questo Chiodi scrive nella prima Introduzione che il libro deve essere considerato un documento storico e che l’autore si assume tutta la responsabilità di quel che vi è narrato� Il linguaggio usato, dunque, non è romanzesco né poetico, ma asciutto e analitico� La divergenza delle due diverse esperienze, nei monarchici-badogliani Fenoglio e nella 103° Brigata Garibaldi battaglione ‘Leonardo Cocito’ Chiodi, ci offrono due diverse rappresentazioni della vita partigiana e dello stato emotivo e intellettuale dei personaggi� Per questo, quando uscì I ventitré giorni della città di Alba, pur amando l’amico e ammirando lo scrittore, Chiodi come tutti i vecchi compagni di Fenoglio rimase allibito «di fronte al quadro di violenza cieca e di furore freddo che egli vi aveva disegnato» (Chiodi 1965, p�-4)� Chiodi, in particolare, non riusciva a riconnettere il carattere e il pensiero dell’uomo che aveva conosciuto e frequentato giornalmente per anni e «quel suo mondo a prima vista così vuoto delle dimensioni umane e degli atteggiamenti che riempivano la sua vita di ogni giorno» (Chiodi 1965, p�-5)� Soprattutto Chiodi non capiva come «Fenoglio aveva trattato la materia partigiana, l’assenza completa nei suoi personaggi proprio di quei ‘valori’ che io sapevo così gelosamente custoditi nella rimemorazione della sua attiva par- Libertà, responsabilità e amicizia Patrizia Piredda 62 tecipazione e nel rimpianto per i suoi amici scomparsi» (Chiodi 1965, p�-5)� Solo dopo anni, Chiodi avrebbe ammesso che cercare di vedere nell’opera letteraria la persona così com’è nella realtà era stato un errore (Chiodi 1965, p�-5): differentemente dal suo Banditi, infatti, le persone delle opere di Fenoglio erano trasfigurate in personaggi letterari� In realtà anche il testo di Chiodi ha un lato prettamente letterario� Nell’introduzione a Banditi, Gianluigi Beccaria scrive che «c’è molto nel libro di montaggio e regia, per esempio: si apre con Cocito e con Cocito drammaticamente si chiude» (Beccaria 1975, p� IX)� Per essere più precisi, si può aggiungere che, oltre a Cocito, il quale compare già nelle prime pagine ed è una presenza costante del testo, il racconto inizia e termina nella terra natale dell’autore in presenza di un’altra persona fondamentale, l’amico d’infanzia Leone� Nell’incipit del testo, datato 15 settembre 1939, Chiodi scrive: «voglio bene a Leone e leggo nei suoi grandi occhi scuri che è contento di vedermi […] è bello, forte e buono Leone� Lo amo come amo i miei monti e la mia gente» (Chiodi 1975, p�-7); in chiusura del testo, datata 20 di maggio 1945, Chiodi scrive che, parlando con il dottor Gianni Stefanini a Brescia gli chiede: «e Leone? - Mi risponde: - è stato uno dei primi e dei più audaci� Ma un giorno … - Lo interrompo, e scendendo le scale gli dico: - Lo sapevo» (Chiodi 1975, p�-157)� Si chiude così il cerchio della narrazione letteraria� Il racconto di Chiodi inizia quindi a Brescia, si sposta ad Alba dove Chiodi è insegnante di filosofia, poi prosegue sui monti dove avviene la prima esperienza partigiana, seguita dall’arresto, la deportazione a Innsbruck, il ritorno in Italia e la seconda esperienza partigiana sui monti, fino alla conclusione con il ritorno a Brescia� La prima esperienza partigiana: empatia e compassione Il primo incontro di Chiodi con i partigiani avviene il 10 novembre quando una sera entrano nell’officina del suo padrone di casa ad Alba «tre uomini con giacche militari e pantaloni borghesi� A tracolla hanno delle armi automatiche� Sul petto spicca una coccarda tricolore� Ritirano un pezzo di ricambio e se ne vanno� Hanno lasciato un buono in testa al quale sta scritto: ‘Comando Partigiani delle Langhe’» (Chiodi 1975, p�- 17)� Il 26 aprile incontra Marco, comandante della banda di Sommariva Perno: diventano subito amici e Chiodi decide di fare «per lui il collegamento con le formazioni garibaldine di Barolo» (Chiodi 1975, p�-22) e di organizzare scambi di armi, farmaci e messaggi� Successivamente, il primo giugno 1944, avviene il primo incontro reale con la violenza del fascismo contro i partigiani: Patrizia Piredda Libertà, responsabilità e amicizia 63 «Stamane passando innanzi alla caserma ho assistito ad una scena impressionante� Una ventina di militi caricavano su un camion quattro giovani legati mani e piedi […] non posso trattenermi dall’infilare la bicicletta e recarmi al Mussotto� A cento metri dalla cantoniera, sul bordo della strada, una gran pozza di sangue� Un vecchio cantoniere mi descrive, piangendo come un bambino, la orribile scena� Allontanatosi dice: - È meglio morire che sopportare questo�» (Chiodi 1975, p�-23) Dopo questo scioccante incontro, finalmente il 5 luglio Chiodi prende la decisione di diventare partigiano attivo: «sono a Montaldo da ieri sera� Ho deciso di non tornare più ad Alba […] dopo lo sbandamento di Sommativa alcuni uomini di Marco sono tornati a casa loro a Montaldo […] ho deciso di formare una banda con questi uomini» (Chiodi 1975, p�- 29)� Da questo momento in poi, Chiodi vivrà una serie di eventi, avventure, disavventure, pericoli e una serie di forti emozioni che pian piano lo modificheranno� La prima esperienza di Chiodi nella Resistenza finisce quasi subito� Il 18 agosto, mentre sta andando con altri partigiani a San Matteo con nel risvolto dei pantaloni il biglietto con cui Cocito gli affida il comando della sua formazione e che deve essere ratificato da un altro capo partigiano, Della Rocca, incontra le SS italiane� I partigiani vengono fermati e Cocito dice che sono partigiani, che stanno andando a Bra per arrendersi: vengono quindi portati in caserma e durante il tragitto Chiodi inghiotte il biglietto che lo indica come capo partigiano� Tutta la lunga parte dedicata alla descrizione dell’interrogatorio e dei giorni passati in prigione in attesa di sapere cosa dovrà accadere, sono descritti con dovizia di particolari: le domande e le risposte degli interrogatori, la condizione delle celle e lo stato di salute dei prigionieri che, prima di loro, vengono interrogati e torturati, le emozioni (paura e speranza), le sensazioni (dolore, fame, freddo) e soprattutto è messo in risalto il suo coinvolgimento empatico e compassionevole verso i compagni e le loro sorti, che, da lì a poco, dopo la deportazione e l’esperienza di molti atti di violenza, svanirà per lasciare completamente il posto al freddo calcolo razionale� Chiodi scrive: «Ci fanno scendere� L’ufficiale che ci ha arrestati entra negli uffici e ne esce poco dopo con due marescialli della Gestapo: uno si chiama Max e parla correttamente italiano� Ci si avvicinano e ci investono di insulti in tedesco� Max riassume: - Banditi! Per voi nessuna pietà, corda e sapone� […] Io penso a mia moglie e ai miei vecchi genitori� Vorrei alzarmi, afferrare le sbarre e scuoterle fino a spezzarle […] un terribile pensiero mi prende� Perché mi sono impegnato in questa lotta? Perché sono qui quando tanti più sani e forti di me vivono tranquilli sfruttando la situazione in ogni modo? Ripenso alla mia vita di studio, al mio lavoro su Heidegger interrotto� Perché ho Libertà, responsabilità e amicizia Patrizia Piredda 64 abbandonato tutto questo? Mi ricordo con precisione: una strada piena di sangue e un carro con quattro cadaveri vicino a Mussotto� Il cantoniere che dice: - È meglio morire che sopportare questo -� Sì, è allora che ho deciso di gettarmi allo sbaraglio� Avevo sempre odiato il fascismo ma da quel momento avevo sentito che non avrei più potuto vivere in un mondo che accettava qualcosa di simile, fra gente che non insorgeva pazza di furore, contro queste belve� Una strana pace mi invade l’animo a questo pensiero� Ripeto dentro di me: ‘Non potevo vivere accettando qualcosa di simile� Non sarei più stato degno di vivere’�» (Chiodi 1975, pp� 40-1) Questo è un punto fondamentale del racconto perché ci fa comprendere il percorso che porta Chiodi alla consapevolezza etica all’azione nella lotta: vivere giorno per giorno, accettando passivamente la violenza e l’ignoranza, senza curarsi degli altri non è sufficiente� Per vivere una vita che si possa definir tale, bisogna essere degni di vivere� È degno di vivere chi vive una buona vita, ossia, come abbiamo già accennato parlando di Socrate, colui che sviluppa un senso critico al fine di imparare a distinguere ciò che è bene da ciò che è male� In tal modo si maturano liberamente le proprie scelte e il coraggio di vivere nel presente le decisione che avranno un effetto sul futuro, con la responsabilità dei propri pensieri e delle proprie azioni� La lotta partigiana, quindi, differentemente da Fenoglio, per il quale può essere definita più come una questione privata (Saccone 2003, pp� 45-56), per Chiodi è la risposta giusta alle domande esistenziali ‘cosa significa vivere’ e ‘cos’è la libertà’� In carcere Chiodi ancora non sa che è l’ultima volta che vedrà il suo amico Cocito, accusato di essere un criminale comunista e di aver ucciso di sua mano l’Eremita di Pocapaglia, sua moglie e due bambini� Cocito sa di non poter salvarsi, così chiede a Chiodi di vendicarlo: ancora una volta, la ragione viene messa a tacere e Chiodi viene assalito dalla sua parte emotiva: «mi stringe forte forte un braccio� Mi sento sgorgare le lacrime� Decido di difenderlo con tutti i mezzi nel mio interrogatorio» (Chiodi 1974, p�-46)� L’emotività poi svanisce durante l’interrogatorio, che ha come scopo quello di non dare possibilità di difesa e si svolge attraverso una sequela di accuse e di intimidazioni� Verso la fine, Chiodi riporta un piccolo siparietto che sottolinea l’ignoranza che accompagna la violenza del fascismo: quando uno dei suoi interrogatori, Max, gli chiede se conosce il tedesco Chiodi risponde: «lo so leggere ma non saprei parlarlo� - Che libri leggi in tedesco? - Sto leggendo Heidegger� Max si rivolse all’agente della Gestapo dicendo: - Deve essere uno scrittore comunista, vero? - L’altro guardò l’ufficiale italiano dicendo: - ja, ja» (Chiodi 1975, p�-49)� Patrizia Piredda Libertà, responsabilità e amicizia 65 La deportazione e il rimpatrio: il dominio della ragione Cocito viene impiccato qualche giorno più tardi assieme a Marco e ad altri compagni, mentre Chiodi viene deportato in Germania� La prima tappa del suo viaggio sono le Carceri nuove a Torino� Appena arrivati, tutti i prigionieri vengono portati uno dopo l’altro in un ufficio per essere perquisiti: sul foglio rilasciato a Chiodi c’è scritto Aktivbandit� Questa era la dicitura con la quale venivano denigrati: i partigiani non erano altro che banditi attivi, ossia delinquenti che commettevano atti violenti contro la popolazione� Subito dopo Chiodi viene portato in una cella di cui, anche in questo caso, dà una descrizione dettagliata: «Il fetore mi toglieva il respiro� Incominciai a vedere qualcosa� Davanti a me, a torso nudo, era un vecchio con una lunga barba sul volto pallidissimo, rigato di sudore� Respirava affannosamente e mi guardava con due occhi febbricitanti� Sdraiato per terra intravidi un ragazzo sui vent’anni col viso e le mani sudicie� Respirava con gran fatica […] il bagno della cella era inagibile quindi tutti gli escrementi erano da due giorni per terra, le gambe non mi reggevano e tuttavia non mi sentivo di sdraiarmi per terra� Resistetti qualche ora e poi mi lasciai scivolare appoggiando la schiena alla parete� Gli altri due dormivano già� Non potei addormentarmi che all’alba� Le cimici mi assalivano in ogni parte del corpo senza darmi un attimo di tregua�» (Chiodi 1975, p�-60) Chiodi viene poi portato al campo di Bolzano dove assiste ancora a molti atti di violenza gratuita: ricorda un ragazzo riuscito a fuggire dal campo e poi ripreso e picchiato violentemente; il più noto avvocato di Trieste condotto alla pazzia dalle sevizie; e gli ebrei che scavano le fosse per quelli che il giorno dopo dovevano essere fucilati� Parla della fame, degli atti di solidarietà, del freddo, della paura, della perdita della speranza� Poi il viaggio riprende e infine il 18 settembre arriva allo Innsbruck-Stipperlager dove è stato destinato al lavoro forzato per un’impresa di costruzioni� Appena giunto, viene accolto dal Lagerfuehrer: lungi dall’essere un nazista malvagio, il Lagerfuehrer, convinto che la Germania non abbia speranze di vittoria, appare a Chiodi come un uomo molto generoso con «due occhi umidi e buoni»: gli offre una sigaretta e gliene regala altre, e mentre parlano «si fa sempre più umano e cordiale� Sono imbarazzato perché mi accorgo di fargli pena» (Chiodi 1975, p�- 80)� Sarà proprio il Lagerfuehrer a salvare la vita di Chiodi� Il giorno successivo al suo arrivo, dopo sole poche ore di lavoro, è chiaro che Chiodi non può lavorare a causa dell’artrite ai piedi� Il Lagerfuehrer, dunque, lo fa chiamare, lo accoglie con un’aria «pietosa e cordiale», gli offre due panini bianchi, gli Libertà, responsabilità e amicizia Patrizia Piredda 66 dà da fumare e gli chiede quale sia la sua vera professione� Sapendo dell’odio dei nazisti verso gli intellettuali, Chiodi aveva dichiarato a Bolzano di essere un operaio, ma ora fidandosi del suo interlocutore dice la verità e dichiara di essere professore di filosofia� È allora che il Lagerfuehrer gli rivela che l’unico modo per salvarsi è dichiarare di essere andato a lavorare volontariamente in Germania anni prima e che ora che è malato ha il diritto di ritornare in Italia: la reazione di Chiodi è di grande stupore: «non potevo credere a quanto avevo udito» (Chiodi 1975, p�-85)� Non c’è quindi in Banditi una contrapposizione tra buoni e cattivi; ogni persona è giudicata non in base a uno stereotipo, ma è osservata e compresa in base a quel che dice e che fa� Questo è l’atteggiamento critico-socratico che per Chiodi attiva il circolo ermeneutico della comprensione dell’altro e la possibilità di liberarsi dai pregiudizi e dalle false opinioni, e permette di giudicare e sviluppare un pensiero libero e autonomo� Chiodi riporta nel testo un altro episodio dove compare un ‘tedesco buono’: è il 1 settembre 1944� Dopo tre giorni di viaggio, un ragazzo sviene dalla fame e allora «il tedesco più buono si avvicina� Avrà cinquant’anni� Mi aiuta a sollevarlo� Ritorna al suo posto e si toglie dal sacco un pezzo di pane� Vi spalma sopra della marmellata e glielo porge» (Chiodi 1975, p�-66)� Anche l’esperienza del Lager, dunque, finisce subito� Il viaggio di ritorno in Italia è a dir poco rocambolesco� È in questo lasso di tempo che Chiodi diventa consapevole del cambiamento che sta avvenendo in lui: piano piano, sente di non soccombere più alla emotività ormai annichilita dalla continua esperienza di violenza insensata e di dolore, mentre prende il predominio la fredda razionalità� Il 29 settembre, dopo aver ottenuto anche il timbro della Wehrmacht a Colinstrasse sul suo foglio di rimpatrio, lo stato emotivo di Chiodi è adrenalinico: ha detto che sarebbe tornato in Italia, ma non a far cosa� Appena rimpatriato, tornerà a fare il partigiano, stavolta con la fredda determinazione dettata dal biologico senso di sopravvivenza: «Potevo partire quando volevo� Questo pensiero mi dava un tuffo al sangue ogni volta che mi si presentava� Respingevo l’emozione per dominarmi ed agire con la più assoluta calma […] salì sul tram […] alcune studentesse coi libri sottobraccio ridevano guardandomi� Non mi sentivo umiliato� Avevo uno sten sotterrato dietro la casa a Montaldo […] guardai ad uno ad uno gli uomini e le donne che mi circondavano� Erano tedeschi� Sentivo qualcosa che superava in me l’emozione e mi rendeva l’anima fredda e decisa a tutto�» (Chiodi 1975, p�-86) Sul treno verso il Brennero, il filosofo aiuta una donna moribonda senza provare compassione: «la guardavo con una indifferenza strana� Non sentivo Patrizia Piredda Libertà, responsabilità e amicizia 67 nulla che mi commuovesse� Non mi riconoscevo e ne ero quasi sgomento» (Chiodi 1975, p�-86)� Ad ogni controllo sul treno mantiene la calma e scopre di avere un assoluto dominio di se stesso nel raccontare sempre in modo convincente la sua storia: è un immigrato italiano che torna a casa per malattia� Da Verona parte subito per Milano, ma nel tragitto il treno si ferma perché un ponte è interrotto� Durante l’attesa alcuni ragazzi gli offrono dei panini e soldi, che Chiodi prende con un velo di vergogna per la sua situazione miserevole: «non osavo guardarli in viso� Ad un tratto mi alzai allontanandomi senza ringraziare» (Chiodi 1975, p�-92)� Da adesso in poi, Chiodi riesce ad assumere il pieno controllo razionale di se stesso e a prendere le decisioni non sull’onda della passione, ma in base al calcolo razionale dei pericoli e dei vantaggi: «mi sdraiai supino sotto un gelso con le mani sotto il capo� Cosa dovevo fare? Di chi potevo fidarmi? » (Chiodi 1975, p�-92)� Camminando, scorge un treno in procinto di partire e decide di nascondersi sotto la carrozza e di aspettare la partenza: «mi distesi col corpo sul longherone prendendolo fra le gambe� Afferrai colle braccia l’asse della ruota� Potevo farcela»� Si stese a terra e quando tutti i passeggeri erano saliti riprese la posizione� Il treno si mosse: «Ebbi un momento di terrore seguito immediatamente da una calma fredda e risoluta� Era lo stato d’animo strano che da alcuni giorni sperimentavo in certe situazioni, Mi sentivo fuori di me, senza cuore né carne per provare dolore� Mi sorpresi a sorridere dopo ogni scossa più dolorosa� Mi sentivo una belva che non voleva morire�» (Chiodi 1975, p�-92) Quando arriva a Carmagnola chiede alla signora che lo aiuta se ci sono tanti partigiani nella zona e poi chiede di Marco, ma il contadino che gli dà da mangiare gli dice che Marco è stato impiccato: «Mi siedo sotto un gelso appoggiando la schiena ed il capo al tronco� Vorrei piangere ma non posso� Inorridisco di me stesso, ma non provo dolore� Chiudo gli occhi e sento dentro di me che è tutto finito ed io più di tutto� Anch’io sono uno di loro� Chissà dove� Ora mi capisco pienamente� Ora capisco perché non provavo dolore dopo le scene di orrore di Bolzano e davanti a quella donna sul treno� Stavo morendo, a poco a poco� Loro mi uccidevano�» (Chiodi 1975, p�-98) Con questi pensieri, Chiodi continua a camminare finché arriva a casa del suocero: «mi viene incontro nella semioscurità del corridoio come inebetito e poi mi getta le braccia al collo stringendomi convulsamente� Lo vedo che corre verso la sala da pranzo� La porta si spalanca� Entro barcollando� Vedo Carla e poi più nulla» (Chiodi 1975, pp� 98-9)� Libertà, responsabilità e amicizia Patrizia Piredda 68 Il ritorno dell’emozione: la seconda fase della resistenza di Chiodi Chiodi riprende l’attività di partigiano il 25 dicembre: «in famiglia mi dicono pazzo […] in cantina ho preparato una fossa per nascondere le armi� Tengo solo la gabilondon� La certezza di non cadere vivo nelle loro mani mi rende indifferente a tutto» (Chiodi 1975, p�- 102); il 2 gennaio assume il nome di battaglia di Valerio (Chiodi 1975, p�-107) e il 26 marzo decide con Bardato di costituire un battaglione di cui assume il comando militare, che porterà il nome di Cocito (Chiodi 1975, p�- 127)� Al di là della questione esistenziale della libertà e della scelta responsabile, questa seconda fase è caratterizzata anche per Chiodi da una questione personale: trovare i fascisti che hanno ucciso Cocito e vendicarlo� Dopo varie azioni, finalmente il 14 aprile ha l’occasione di incontrare i fascisti che avevano consegnato Cocito e Marco ai tedeschi perché l’impiccassero� Preparano un agguato in un bosco; anche in questo caso la descrizione è dettagliatissima: «Ero sdraiato a terra e sentivo il cuore battermi forte […] restavo solo io, tutto era nelle mie mani� Una calma gelida si impadroniva di me� Mi ritirai lentamente […] rinnovai la raccomandazione di non sparare fin che non avessi aperto il fuoco io� Con un pugno di uomini scavalcai il crinale cominciando a scendere lentamente� Intravvedevo i miei uomini che avanzavano qua e là con calma e decisione […] mi feci dare il moschetto da Droga e puntai il fuoco alle nostre spalle� I mitragliatori di Sandrino si alternavano con rapide sequenze mentre le 7,7 sparavano di conserva lunghe e velocissime raffiche … senza che alcuno potesse ordinarlo, in quell’inferno di esplosioni, balzammo in piedi come un sol uomo e ci gettammo avanti in una corsa pazza gridando come ossessi� Un ufficiale fece un passo innanzi e disse: - Ci siamo arresi� Cosa ci attende? - Gli risposi: - Non lo so� Ti posso assicurare però che non impiccherete mai più nessuno�» (Chiodi 1975, pp� 133-136) Poi il 21 aprile il tribunale militare della Brigata li condanna tutti a morte (Chiodi 1975, p�-140)� Infine, il 29 aprile, durante l’attesa per una battaglia a Torino che poi non avverrà mai, quando ormai giustizia per Cocito è fatta, in Chiodi si scioglie la fredda ragione e riinizia a scorrere il flusso dell’emotività: «Il ricordo di tutte le sofferenze passate mi incombe sull’animo senza che riesca a trovare la forza di reagire� La pioggia cade fitta fitta e mi cola giù per il viso� Più tento di uscire da questo stato d’animo e più esso si impadronisce di me� Sento i goccioloni che mi colano per il viso farsi stranamente tiepidi e amari� Piango e non so perché� Più mi sforzo di reagire e più fitte e calde si fanno le lacrime�» (Chiodi 1975, p�-147) Patrizia Piredda Libertà, responsabilità e amicizia 69 Conclusione La narrazione della Resistenza di Banditi ci fa comprendere come questa esperienza sia stata per Chiodi una sorta di percorso di passaggio e maturazione dalla fase ancora di fanciullezza alla fase della maturità attraverso la presa di coscienza pratica (e non solo teorica) del valore della libertà, della responsabilità e della scelta� Questo passaggio avviene per delle tappe che ricalcano quelle dei riti mitici dell’entrata nel mondo degli adulti, dove l’individuo, attraverso delle prove, matura una sua consapevolezza, impara a conoscere se stesso e i suoi limiti� Grazie a questo sapere l’individuo diventa pienamente responsabile delle proprie azioni, consapevole che soltanto agendo in base alla critica razionale e non al potere delle emozioni e delle passioni, l’essere umano è libero� Ciò per Chiodi non significa che l’uomo maturo non debba provare emozioni e passioni, ma che queste debbano essere sempre guidate dalla ragione� L’essere umano è libero se e solo se matura una propria coscienza morale e critica che deve applicare sia nel pensare che nell’agire� Questa è l’unica via, per Chiodi, che l’essere umano ha per non cedere alla violenza e all’ignoranza e per vivere così consapevolmente secondo giustizia e libertà� Abstract. Pietro Chiodi war einer der Philosophen unter den Partisanen-- wie Ludovico Geymonat und Luigi Pareyson -, die zwischen 1943 und 1945 in der Gegend von Cuneo kämpften� Chiodi hinterließ eines der schönsten und prägnantesten Zeugnisse seiner Partisanenerfahrung, das Tagebuch- Banditi, das erstmals 1946 von ANPI herausgegeben wurde� Chiodi, ein Freund von Leonardo Cocito und Lehrer von Beppe Fenoglio, rekonstruiert in-Banditi-die allmähliche Reifung seiner Entscheidung, am Widerstand teilzunehmen, und die wichtigsten Etappen seiner Erfahrung von Kampf und Deportation� Der vorliegende Artikel gliedert sich in zwei Teile: Der erste Teil skizziert die Biografie Pietro Chiodis als Intellektueller und existenzialistischer Philosoph; der zweite Teil analysiert den Text-Banditi-mit besonderem Augenmerk auf den Überlegungen des Autors zu den Themen Bewusstsein, Mut und Gerechtigkeit� Summary� Pietro Chiodi was one of the partisan philosophers-- together with Ludovico Geymonat and Luigi Pareyson- - who fought in the Cuneo area between 1943 and 1945� He left one of the most beautiful and incisive testimonies of his partisan experience, the diary- Banditi, published for the first time in 1946 by ANPI� A friend of Leonardo Cocito and Beppe Fenoglio’s teacher, Chiodi reconstructs in-Banditi-the gradual maturation of his choice to take part in the resistance and the most important stages of his experience Libertà, responsabilità e amicizia Patrizia Piredda 70 of struggle and deportation� The present article is divided into two parts: the first part gives an outline of Pietro Chiodi’s biography as an intellectual and existentialist philosopher; the second part analyses the text of Banditi, with particular attention to the author’s reflections on the topics of awareness, courage and justice� Bibliografia Beccaria, Gianluigi: «Introduzione� Chiodi e la letteratura della resistenza», in: Pietro Chiodi, Banditi, Torino: Einaudi 1975, pp� VII-XXXI� Berlin, Isaiah: Four Essays on Liberty, Oxford: Oxford University Press 1971� Fenoglio, Beppe: intervista di G� Bebiolo, «Questa è la citta ‘depressa’», in: Gazzetta del popolo, 9 ottobre 1963� Fenoglio, Beppe: Il Partigiano Johnny, in: Beppe Fenoglio, Tutti i romanzi II, Torino: Einaudi 2013� Franzinelli, Mimmo: «Banditi: autobiografia di una generazione ribelle», in: Pietro Chiodi. Filosofo, partigiano…, a cura di Anna Monica Canti, Brescia: Tipografia Valgrigna 2016, pp� 20-29� Chiodi, Pietro: Banditi, Torino: Einaudi 1975� Chiodi, Pietro: «Fenoglio, scrittore civile», in: La Cultura, 1, 1965, Roma, pp� 1-7� Chiodi, Pietro: «Orgoglio partigiano», in: La Voce, 28 settembre 1952� Kierkegaard, Soren: Il concetto di angoscia, Milano: SE 2008� Piredda, Patrizia: «Camminando sul sentiero della libertà� L’esperienza della resistenza di Geymonat, Chiodi e Pareyson», in: Con la guerra in casa. La provincia di Cuneo nelle Resistenza, a cura di Michele Calandri e Marco Ruzzi, Cuneo: Primalpe 2016, pp� 525-559� Platone: Apologia di Socrate. Critone, Roma-Bari: Laterza 2006� Platone: Phaedro, www�perseus�tufts�edu/ hopper/ text? doc=Plat�+Phaedo+102a&fromdoc=Perseus%3Atext%3A 1999�01�0170 (09�03�2021)� Rizzo, Gino: «Alle origini della memorialistica partigiana: ‘Banditi’ di P� Chiodi», in: Gino Rizzo, Su Fenoglio e tra filologia e critica, Lecce: Melella 1970� Saccone, Eduardo: «Questione privata, questione pubblica in Fenoglio», in: Beppe Fenoglio. Scrittura e Resistenza, a cura di Giulio Ferroni, Maria Ida Gaeta e Gabriele Pedullà, Roma: Fahrenheit 451 2003, pp� 45-56� Wampole, Christy: «Fenoglio’s Vitalist Impulse: primaverilità, infuturamento and the Force of life in Il partigiano Johnny», Quaderni del ’900, n 11, nov� 2011, pp� 47-58�