Italienisch
ita
0171-4996
2941-0800
Narr Verlag Tübingen
10.24053/Ital-2022-0034
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2022
4488
Fesenmeier Föcking Krefeld OttBianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato
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2022
Antonio Catalfamo
Dieser Aufsatz befasst sich mit der schwierigen Beziehung der Schriftstellerin und Psychoanalytikerin Bianca Garufi zu Cesare Pavese auf der einen und zu ihrer Heimat Sizilien auf der anderen Seite. Diese Diskussion erhellt die Komplexität ihrer Persönlichkeit und ihres vielseitigen Werks und bestätigt ihre künstlerische Autonomie im Verhältnis zu Pavese, anders als es die Forschung bisher annahm, und enthüllt zudem unbekannte Aspekte ihres Lebens, bezüglich ihrer Gefühlswelt, aber auch ihres Engagements für Veränderungen in der Gesellschaft, das sie von Jugend an, gemeinsam mit Persönlichkeiten, die es auch verdient hätten, wieder entdeckt zu werden, pflegte.
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ANTONIO CATALFAMO Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato Bianca Garufi ha mantenuto per tutta la vita una presenza discreta nel mondo letterario e culturale, pur essendo una scrittrice di valore ed una psicanalista di fama, fra le più autorevoli della scuola junghiana. Questa riservatezza le ha nuociuto, perché è stata considerata da buona parte della critica come una sorta di ‘ appendice ’ di Pavese, che l ’ ha amata e si è ispirato a lei, pur in mancanza di una dedica esplicita, per le poesie de La terra e la morte 1 e per i Dialoghi con Leucò 2 («leucò» dal greco «leucòs», che vuol dire, per l ’ appunto, «bianco»), anche se la scrittrice siciliana dimostra nei propri libri e pure in quello scritto a quattro mani con Pavese e rimasto incompiuto, Fuoco grande, autonomia di stile e di visione estetica. Anche sulla sua vita privata e sentimentale la Garufi ha mantenuto un riserbo assoluto, non partecipando per nulla ai vari ‘ gossip ’ che venivano messi in piedi periodicamente dai mass-media, man mano che si scoprivano nuovi aspetti della sua relazione con Pavese. A poco più di cento anni dalla nascita (1918), s ’ impone, dunque, una ridefinizione della sua figura, sia di donna che di scrittrice e di intellettuale, che approfondisca i caratteri della sua opera letteraria e il suo profilo biografico, evitando le letture a tinte rosa e andando al fondo della sua personalità, forte e, nel contempo, delicata, riservata e, nello stesso tempo, consapevole del proprio valore. Un contributo fondamentale, sul piano biografico, è venuto dalla pubblicazione, a cura di Mariarosa Masoero, dello scambio epistolare intervenuto, tra il 1945 e il 1950, proprio con Cesare Pavese, ristampato, dopo il successo della prima edizione, nel 2020 3 , che chiarisce molti aspetti del rapporto intercorso tra i due scrittori, ma va anche al di là dell ’ aspetto strettamente biografico, gettando luce sui caratteri dell ’ opera di Bianca Garufi e sulla sua autonomia rispetto a quella dello scrittore langarolo. Quello tra la Garufi e Pavese fu un rapporto molto contrastato, che solo ora emerge in tutta la sua complessità. Pavese ha parlato, con la sua consueta ironia ed autoironia dolce-amara, ma penetrante, di una «bellissima coppia discorde». Bianca Garufi, da parte sua, in una pagina del suo diario datata 13 agosto 1946, scrive: «Pavese è sempre più la mia “ anima gemella ” . Stasera abbiamo riso amaro DOI 10.24053/ Ital-2022-0034 1 Cesare Pavese, La terra e la morte, in: Le Tre Venezie, n. 4-5-6, aprile-maggio-giugno 1947, pp. 127 - 150; poi in Pavese 1998, pp. 119 - 130. 2 Pavese 1947. 3 Garufi/ Pavese 2020. 74 su questa faccenda e deplorato ampiamente il fatto che non possiamo sposarci causa quel piccolo particolare dell ’ amore sessuale 4 .» Si tratta, dunque, di un rapporto che, almeno secondo la visione che ne ha la scrittrice siciliana, va al di là di quello fraterno e dell ’ intesa letteraria, ma che, dall ’ altro lato, non può approdare alla dimensione dell ’ amore completo di coppia, per mancanza di corrispondenza sessuale. In data 12 agosto 1946, la Garufi, in una pagina diaristica, precisa meglio questo concetto di «anima gemella» che la lega a Pavese: «L ’ anima gemella, la persona cioè con cui vai d ’ accordo spiritualmente. [. . .] L ’ anima gemella è Pavese. Glielo voglio dire. In fondo io e Pavese abbiamo lo stesso destino: benché per motivi diversi, tutti e due dobbiamo contentarci di ‘ anime gemelle ’ nel senso più spirituale della parola 5 .» Com ’ è noto, Pavese e la Garufi si incontrano nel 1945, nella sede romana della casa editrice Einaudi, in via Uffici del Vicario, n. 49, presso la quale lo scrittore viene momentaneamente trasferito con funzioni dirigenziali e con il compito di rilanciarla, mentre la giovane siciliana svolge funzioni di segretaria di redazione. Nasce subito un rapporto di simpatia personale, di scambio di opinioni in campo artistico, ma anche di collaborazione letteraria, che sfocia, come già detto, nella pubblicazione a quattro mani del romanzo Fuoco grande 6 , rimasto incompiuto dopo la morte di Pavese (1950), pubblicato postumo, nel 1959, e successivamente completato dalla Garufi, con il titolo de Il fossile 7 , mantenendo la struttura della narrazione a voci alterne tra un personaggio maschile e uno femminile (in Fuoco grande i rispettivi capitoli erano scritti alternativamente da Pavese, per il personaggio di Giovanni, e dalla Garufi, per il personaggio di Silvia). Pavese rimane per la Garufi, anche negli anni a venire, l ’ «anima gemella», nell ’ ambito di un rapporto che fa soffrire entrambi, anche se Pavese, con l ’ ironia dolce-amara che abbiamo già evidenziato, dice di considerare «bello» questo reciproco «maltrattarsi insaziabile» (si veda a tal proposito la lettera indirizzata a Bianca il 17 aprile 1946 8 ). La difficoltà a comunicare, soprattutto con l ’ altro sesso, porta Pavese al suicidio, il 27 agosto 1950, in una stanza dell ’ Albergo Roma, a Torino. Bianca Garufi annota nel proprio diario, in data 31 dicembre 1950: «Ho scritto su queste pagine, che Pavese si è suicidato? Sì il 28 [sic] di Agosto. Pavese, sciocco, non potevi farti aiutare? Io forse, adesso, ti potevo aiutare 9 .» Bianca Garufi fa 4 Garufi/ Pavese 2020, p. 18, nota n. 8. 5 Garufi/ Pavese 2020, p. 11, nota n. 2. 6 Pavese/ Garufi 1959/ 2003. 7 Garufi 1962. 8 Garufi/ Pavese 2020, p. 68. 9 Garufi/ Pavese 2020, p. 147. Antonio Catalfamo Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato 75 affidamento, probabilmente, oltre che sulle proprie capacità di comprensione umana, su quelle ormai acquisite di psicanalista. Lo scambio epistolare tra Cesare Pavese e Bianca Garufi getta luce, inoltre, su aspetti della biografia della scrittrice siciliana che non hanno a che fare direttamente con la sua relazione letteraria e sentimentale con Pavese, ma con altri personaggi, che furono legati alla Garufi da rapporti molto stretti e che meritano di essere richiamati. Sotto questo aspetto, oltre alle lettere, sono preziose le note a piè di pagina, aggiunte, con acribia filologica, dalla curatrice, Mariarosa Masoero. Uno di questi personaggi è Fabrizio Onofri, intellettuale comunista al quale la scrittrice fu legata sentimentalmente durante la Resistenza e negli anni successivi, anche se il legame assume col tempo connotati diversi. Accanto a lui la Garufi prende parte alla lotta clandestina, nella Roma occupata dai nazisti. La curatrice riporta una preziosa testimonianza di Mario Spinella, anch ’ egli intellettuale comunista, vissuto a Messina, al pari della Garufi, negli anni dell ’ infanzia e dell ’ adolescenza (il padre è calabrese e la madre umbra), e perciò da lei conosciuto nella prima giovinezza trascorsa nella città dello Stretto, poi «istruttore politico marxista» nelle file partigiane. Leggiamo nella testimonianza di Spinella: «Roma, 9 agosto 1944, notte ׀ Quando suoniamo il campanello, viene ad aprirci una donna giovane e bruna, che parla con spiccato accento napoletano. [. . .] È Bianca, l ’ amica di un ’ estate messinese. ׀ Non la vedevo da anni: sapevo che era stata coinvolta, indirettamente, in una strana cospirazione antifascista, con altri amici e conoscenti. Era una storia della quale, benché conoscessi i protagonisti, non avevo capito molto: sembra che vi fosse un larvato appoggio di Ciano, che Mussolini doveva essere arrestato, o liquidato ‒ ma tutto era finito nel nulla. Chiedo a Bianca di quegli amici; mi dice che sono quasi tutti nel Partito. Così, per vie e per fili diversi, l ’ adolescenza e il presente si ricongiungono, le zone di ombra che la guerra aveva sostituito ai volti e alle immagini del passato, si colmano. ׀ Attraverso le parole di Bianca, e più ancora, forse, il suo accento che è quello a me ben noto delle persone colte nate e vissute a Messina, riemerge una esperienza di vita che le vicende ulteriori avevano respinto in un chiuso armadio della memoria. In quella società arcaica, esclusiva, ove le zone di confine tra le classi e i gruppi sociali erano severamente custodite dalle sentinelle armate della tradizione, Bianca e io appartenevamo a mondi, anzi a universi, incomunicabili. ׀ Figlia, lei, di un grosso proprietario terriero, vissuta nell ’ agio e nell ’ eleganza, la sua ribellione nasceva da ragioni opposte alle mie. Non perché oppressa, o meglio mantenuta a forza in un gruppo sociale stagnante e marginale, qual era il mio caso, ma al contrario, perché consapevole della violenza che la sua famiglia esercitava sui contadini, del diverso, artificiale isolamento, nel quale vivevano i ricchi nell ’ angusta città del sud. [. . .] Diversissimi, eppure usciti da un uguale Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato Antonio Catalfamo 76 nodo di arretratezza sociale, ci incontravamo così a un certo punto sui fogli dei giornali locali o intorno ai banchi dei librai [. . .]. ׀ [. . .] L ’ amicizia con Bianca mi aveva immesso in un nuovo giro di conoscenze, giovani e ragazze per lo più non legati all ’ ambiente locale. [. . .] Verso sera scendevamo nel grande caffè della piazza cittadina, a sorbire i gelati e a discutere di libri e di noi. [. . .] Non avevo ancora conosciuto la guerra e, con la guerra, quella profonda modificazione di me stesso che mi ha fatto quale allora ero, mentre parlavo con Bianca, nella notte romana del 1944 10 .» Comincia così a delinearsi, attraverso la testimonianza di Mario Spinella, la figura di Bianca Garufi, giovane appartenente a una famiglia aristocratica-borghese, che vive dapprima a Messina, in una città dominata dalla netta separazione tra le classi sociali (a parte qualche momento di ‘ socializzazione ’ , al bar Irrera, che caratterizza la centrale Piazza Cairoli, dove è possibile che giovani dell ’ alta e della piccola borghesia s ’ incontrino e consumino insieme un gelato, con l ’ esclusione, però, delle classi proletarie, tenute rigorosamente ai margini), retaggio del feudalesimo e del corporativismo medievale, che rimane pressoché inalterato in queste plaghe della Sicilia, e che poi si trasferisce al Nord, s ’ inserisce negli ambienti del Partito comunista e partecipa alla lotta clandestina per un senso di colpa, almeno secondo Spinella, dovuta alla consapevolezza dello sfruttamento perpetrato dalla sua famiglia nei confronti dei contadini, che, in epoca fascista, vivono ancora in Sicilia come servi della gleba. Se Pavese è l ’ «anima gemella», la persona che può dare conforto e sostegno morale e culturale nei momenti difficili, rappresentando la componente fragile, triste e umbratile della personalità complessa di Bianca Garufi, Fabrizio Onofri costituisce l ’ ideale, con la sua forza accattivante, la dimensione del «sogno in avanti», per dirla con Ernst Bloch 11 , l ’ impegno nella vita e nell ’ arte, che, come un filo rosso, unisce i vari momenti dell ’ esistenza, la voce lucida della coscienza che spinge a lottare per un futuro migliore, per sé e per gli altri. Perciò di lui la Garufi scrive nel suo diario, in data 9 agosto 1946: «[Fabrizio] è il grande amore della mia vita ‒ il mio fulmine, la mia strada di Damasco, la rivelazione dello “ stato di coscienza ” 12 .» Questa è l ’ immagine che Bianca Garufi ha di Pavese, quale emerge dallo scambio epistolare che ha avuto con lui, oggetto del presente studio, e dal confronto con la figura di Fabrizio Onofri. In altre occasioni la scrittrice ha confermato la sua visione di Pavese come fragile, impaurito persino dalla psicanalisi, come strumento che poteva far emergere ulteriormente dal «subconscio» le sue incertezze, le sue contraddizioni insolute e, addirittura, far venir meno 10 Spinella 1974, pp. 249, 251 - 253; citato da Garufi/ Pavese 2020, pp. 6 - 7. 11 Bloch 2005, pp. 135 - 209. 12 Garufi/ Pavese 2020, p. 11. Antonio Catalfamo Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato 77 la sua creatività artistica. Leggiamo in una testimonianza della Garufi, relativa alla scrittura a quattro mani di Fuoco grande e ai problemi di carattere anche psicologico ch ’ essa poneva a Pavese, molto significativa da questo punto di vista: «Pavese in una lettera a me scrive (inviata da Roma alla fine del 1946 [. . .]): ‘ Sapevo bene imbarcandomi in questo libro che questa impresa avrebbe portato a galla tutto il ‘ pus ’ che abbiamo dentro e non mi spavento delle parole, ma so che queste parole esprimono un subconscio che ha avuto ed ha per noi un significato non soltanto letterario ’ . Fra me e lui c ’ era una differenza, perché il cosiddetto ‘ pus ’ che abbiamo dentro, ossia i ricordi penosi, le aggressività non espresse, e tante altre cose, io li rivivevo in quel periodo in un ’ analisi molto interessante e intensa, mentre Pavese non aveva mai fatto un lavoro analitico su se stesso come avevo la fortuna di aver fatto io. [. . .] Di Pavese è stato detto spesso che era uno studioso di psicanalisi, ma, in realtà, non l ’ accettava, ne aveva paura. Personalmente, ho incontrato (ho riscontrato) spesso questa paura nei letterati, negli artisti, la paura di portare alla luce i propri contenuti inconsci, perché temono, facendo ciò, di esaurire la sorgente della loro creatività. Personalmente ritengo che questo timore sia infondato, non corrisponda a realtà, ritengo piuttosto che una strada di trasformazione individuale si ottenga soltanto attraverso l ’ elaborazione dei propri contenuti inconsci. Al contrario, anzi, sono spesso i contenuti inconsci non elaborati che bloccano la creatività. Che Pavese si difendesse dal lavoro sui contenuti inconsci lo si può vedere anche nelle lettere editoriali a me indirizzate: c ’ è sempre una vena un po ’ ironica su questo mio lavoro psicologico, l ’ analisi, cosa che lui non avrebbe mai potuto accettare, anche se ne era, come io credo, enormemente attratto 13 .» La personalità di Pavese, nei fatti, era più complessa di come la vive nel suo immaginario sentimentale e la rappresenta Bianca Garufi. È vero, al contrario di Fabrizio Onofri, così come di tanti amici ch ’ egli stesso ha frequentato con assiduità nella Torino antifascista, lo scrittore piemontese non ha partecipato alla lotta armata contro il fascismo. Ma viene arrestato nel 1935 dalla polizia nella retata che porta in carcere tutto il gruppo dirigente torinese di «Giustizia e Libertà» e buona parte degli intellettuali raccolti intorno alla rivista einaudiana La Cultura, da lui diretta. Documenti e testimonianze inoppugnabili dimostrano che il suo arresto non fu determinato dall ’ «amore per una donna», Tina Pizzardo, che aveva fatto recapitare al suo indirizzo lettere ritenute per lungo tempo “ compromettenti ” scritte a lei dal carcere dal fidanzato Altiero Spinelli, detenuto per motivi antifascisti. La stessa Pizzardo, in un libro autobiografico 14 , sminuisce il valore 13 Garufi 2006, pp. 173 - 174. 14 Pizzardo 1996, pp. 171 - 180. Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato Antonio Catalfamo 78 politico e cospirativo delle lettere, che avevano carattere privato. È emerso, inoltre, che la polizia fascista era ben informata da un delatore d ’ eccezione, lo scrittore Pitigrilli, al secolo Dino Segre (fiduciario numero 373) 15 , il quale, infiltratosi nel gruppo degli antifascisti torinesi anche per via di relazioni parentali, oltre che amicali, con alcuni di essi, faceva periodicamente rapporti dettagliati alle forze dell ’ ordine, e in un ’ informativa del 23 ottobre 1934 definiva proprio la rivista diretta da Pavese «un ago calamitato sul quale si raduna tutta la limatura di ferro dell ’ antifascismo culturale torinese» 16 . È vero che, inviato al confino di Brancaleone Calabro, dietro pressioni della famiglia, chiede la grazia a Mussolini, ma è anche vero che, tornato anticipatamente in libertà, viene considerato ancora pericoloso dal regime fascista, tanto che non è ammesso ad insegnare nella scuola pubblica e viene assunto in una scuola privata, il liceo «Giacomo Leopardi», gestita, assieme ai fratelli Massara, dal suo ex compagno di studi Ludovico Geymonat (come quest ’ ultimo testimonia in uno scritto da noi rinvenuto presso l ’ archivio dell ’ istituto a lui intitolato, in qualità di padre della Filosofia della scienza italiana) 17 , che rappresenta una sorta di ghetto in cui sono confinati parecchi antifascisti emarginati. A Torino Pavese continua a frequentare gli ambienti antifascisti. Auspice un giovane impiegato d ’ origini calabresi al quale dà lezioni private, Paolo Cinanni 18 , partecipa alle riunioni clandestine che si svolgono in casa dello stesso Geymonat e del comunista Guaita 19 , attraverso Geymonat conosce l ’ operaio comunista Luigi Capriolo, tornato dal carcere antifascista 20 . Frequenta, inoltre, il gruppo di «Giustizia e Libertà», di cui fanno parte Leone Ginzburg, Massimo Mila, Franco Antonicelli, anch ’ essi impegnati nell ’ antifascismo militante 21 . È vero che Pavese, dopo l ’ armistizio dell ’ 8 settembre 1943, mentre i suoi amici salgono in montagna per combattere in armi il fascismo, si rifugia nell ’ area compresa tra Casale Monferrato e Serralunga di Crea, dove la sorella è sfollata con la famiglia e dove impartisce lezioni, sotto falso nome, agli studenti del collegio Trevisio dei frati somaschi. È vero anche che nel periodo compreso tra l ’ agosto 1942 e il dicembre 1943 (tutt ’ al più i primi del 1944) scrive il cosiddetto Taccuino segreto costituito da una serie di note diaristiche, vergate in 29 pagine di block notes, ritrovato a distanza di anni da Lorenzo Mondo nell ’ abitazione torinese della 15 Zucaro 1977. 16 Le informative e i documenti di polizia, relativi a questa vicenda, già contenuti in diversi archivi, sono riportati in D ’ Orsi 2000, pp. 296 - 298. 17 Geymonat 2001. 18 Cinanni 1986. 19 Lajolo 2020, p. 266. 20 Lajolo 2020, p. 292. 21 Ibidem. Antonio Catalfamo Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato 79 sorella Maria, presso la quale lo scrittore viveva, e da lui pubblicato, su La Stampa, l ’ 8 agosto 1990 (ripubblicato, in occasione del settantesimo anniversario della morte di Pavese, in un volume a cura di Francesca Belviso 22 ), nel quale esprime giudizi positivi sul fascismo e persino sul nazismo. Ma si tratta di una parentesi circoscritta di sconforto, nella quale lo scrittore si sente isolato dagli amici ed ha un cedimento psicologico. Difatti, da lì a poco prende contatti con i partigiani comunisti e con gli ambienti della Resistenza locale. A tal proposito, Mariarosa Masoero 23 ha individuato tre articoli pubblicati da Pavese su La Voce del Monferrato 24 e firmati «Il Comitato del Partito Comunista» e «Il Partito Comunista Italiano», che riportano i seguenti titoli: Il nemico non è morto; Chi siamo; La giornata del Primo maggio. L ’ attribuzione certa allo scrittore è possibile, oltre che per mezzo di un ’ analisi filologica e di un raffronto con scritti successivi, attraverso un esame incrociato con la corrispondenza (che fa riferimento ai suddetti articoli) da lui intrattenuta con Michele Vallaro, dirigente comunista e antifascista del casalese, che rappresenta il tramite tra Pavese e gli ambienti locali della Resistenza. In questi tre articoli Pavese esalta la Resistenza e il Partito comunista italiano, che in essa ha avuto un ruolo fondamentale. Bisogna stare attenti alle date. Sappiamo, infatti, dalle lettere che Pavese rientrò a Torino il 2 o il 3 maggio 1945, riprendendo immediatamente il lavoro alla casa editrice Einaudi. Se gli articoli in questione sono apparsi su La Voce del Monferrato il 4 maggio, sicuramente sono stati scritti prima della partenza per Torino. La scelta comunista di Pavese risale, dunque, alla fase casalese. Se, d ’ altra parte, i partigiani comunisti gli consentono di scrivere articoli a nome del partito, vuol dire che esiste da tempo un rapporto fiduciario consolidato. Mariarosa Masoero riproduce, inoltre, il curriculum allegato da Pavese, in data 25 ottobre 1945, alla domanda di iscrizione alla cellula torinese del Partito comunista italiano intitolata ad un suo allievo partigiano, Gaspare Pajetta, fratello di Gian Carlo e di Giuliano, morto in combattimento in Val d ’ Ossola nella primavera dell ’ anno prima. In esso, Pavese scrive di se stesso: «Nel novembre 1943 venne ricercato dalla polizia germanica e visse nel Monferrato, dove entrò in contatto, nel febbraio 1945, con elementi comunisti e verso la fine di aprile fu iscritto post eventum al gruppo comunista di Casal Monferrato. Nel maggio collaborò con qualche articolo di terza pagina all ’ Unità di Torino 25 .» 22 Pavese 2020. 23 Masoero 2006. 24 La Voce del Monferrato, Ufficiale per gli Atti del Comitato di Liberazione Nazionale, a. I, n. 1, Casale, 4 maggio 1945, pp. 1 - 4. 25 Masoero 2006, p. 241. Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato Antonio Catalfamo 80 Il primo articolo di Pavese pubblicato sull ’ edizione torinese del quotidiano comunista sopra menzionato è del 20 maggio 1945 e s ’ intitola Ritorno all ’ uomo. Si tratta di un appello accorato a riconquistare il senso di umanità che era stato calpestato dal regime fascista, per tornare, appunto, ad un umanesimo antico, ma, nello stesso tempo, arricchito dall ’ esperienza resistenziale: un umanesimo comunista. Pavese, nel dopoguerra, rimane iscritto, fino alla tragica morte, nel 1950, al Partito comunista italiano, e motiva la sua scelta come scelta di libertà. In una nota del 1947, infatti, egli scrive: «È possibile che uno s ’ accosti al comunismo per amore di libertà? A noialtri è successo. Per uno scrittore, per un ‘ operaio della fantasia ’ , che dieci volte in un giorno corre il rischio di credere che tutta la vita sia quella dei libri, dei suoi libri, è necessaria una cura continua di scossoni, di prossimo, di concreta realtà. Noi rispettiamo troppo il nostro mestiere, per illuderci che l ’ ingegno, l ’ invenzione, ci bastino. Nulla che valga può uscirci dalla penna e dalle mani se non per attrito, per urto con le cose e con gli uomini. Libero è solamente chi s ’ inserisce nella realtà e la trasforma, non chi procede tra le nuvole. Del resto, nemmeno i rondoni ce la fanno a volare nel vuoto assoluto. Ora di tutte le realtà che riempiono le nostre giornate, la più conseguente, la più concreta e liberatrice ci pare, e non da oggi, la lotta ingaggiata dal Partito Comunista Italiano. Gli intellettuali divisi sulla questione della libertà, dovrebbero chiedersi sinceramente che cosa intendono fare con quella libertà di cui sono a ragione solleciti. E vedrebbero che - tolte le pigrizie, tolti gli interessi inconfessati di ciascuno - non esiste istanza in cui, se davvero cercano il progresso dell ’ uomo, diano una risposta diversa da quella collettiva dei lavoratori. Sappiamo per esperienza che ogni individuale adesione a una parola, a un richiamo politico (anche astenersi è un prender parte) inserisce chi la fa in un gioco di botta e risposta, in una scottante trincea; ma proprio per questo non c ’ illudiamo che esista un «paradiso dei rondoni» dove si possa essere insieme progressivi e liberali. Nemmeno gli anarchici riescono a tanto. La nostra libertà è la libertà di chi lavora - di chi ha da fare i conti con l ’ opaco materiale, con la sua compattezza e durezza 26 .» Pavese si è ormai affrancato pienamente dai mostri sanguinari dell ’ inconscio che sono emersi in lui nello sbandamento temporaneo testimoniato dal «taccuino segreto». Ha maturato la sua svolta etica e la sua scelta politica. L ’ impegno civile dello scrittore in nome dell ’ antifascismo emerge dalle sue opere, a partire dalle poesie di Lavorare stanca, nell ’ edizione accresciuta, rispetto a quella solariana del 1936, e pubblicata da Einaudi nel 1943, in cui troviamo uomini e donne concreti, 26 Cesare Pavese, inedito, datato 13 novembre 1947; ora in Pavese 1978, pp. 232 - 233. Antonio Catalfamo Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato 81 della città e della campagna, sabbiatori, prostitute, ubriachi, dominati dalla pena di vivere, in una sorta di «avanzata della realtà» 27 , di contro alla propaganda demagogica del fascismo: lavoratori che dormono per strada e sembrano morti; combattenti antifascisti che finiscono in prigione, escono e ritornano alla lotta contro il regime mussoliniano. La sua scelta antifascista e comunista è ancora più chiara nel romanzo Il compagno 28 , che secondo Thomas Stauder, rappresenta «un esempio del cosiddetto ‘ realismo socialista ’ » 29 . Essa viene confermata coerentemente per tutta la vita, fino all ’ ultimo romanzo: La luna e i falò 30 . In esso la personalità di Pavese si scinde nelle figure di Nuto e di Anguilla, entrambi animati da spirito antifascista, dai valori della Resistenza, e rappresentanti di due anime della sinistra italiana: quella riformista, che auspica un mutamento sociale necessario ma graduale, e quella che persegue un cambiamento rapido e radicale della società italiana 31 . Una personalità, quella di Pavese, più complessa e articolata rispetto all ’ immagine che Bianca Garufi si è creata e che emerge dal suo epistolario e dalle sue pagine diaristiche. Ma ‒ come dicevamo ‒ anche la scrittrice siciliana ha una personalità complicata, caratterizzata da forti contraddizioni, che investono anche la sua concezione dell ’ amore, del rapporto uomo-donna, in cui una componente eroticosessuale convive ed entra in contrasto con il desiderio di affetto puro, spirituale. Così si spiega l ’ attrazione che ha per uomini diversi, anzi con caratteristiche opposte, come Cesare Pavese e Fabrizio Onofri. A tal proposito, leggiamo in una sua pagina diaristica datata 14 maggio 1951: «Oltre all ’ interesse iniziale che si basa sul desiderio di conoscenza e penetrazione reciproca c ’ è fondamentalmente in azione il mito di Circe, la volontà di seduzione e di rendere l ’ altro schiavo, bisognoso di fare all ’ amore con me. Giunto l ’ altro a questo desiderio, la mia volontà di potenza è appagata. Alla base di tutto ciò potrebbe esserci la paura di trovarmi io nella situazione analoga, cioè io che desidero di fare all ’ amore con un uomo, che ho bisogno di fare all ’ amore, che sono legata, schiava della sessualità vicino a qualcuno che prova fastidio vicino a me o che non mi desidera 32 .» Una conferma di questo continuo oscillare tra due poli opposti viene dalle caratteristiche del primo amore di Bianca Garufi, con il quale contrae il primo 27 Piromalli 1963. 28 Pavese 1947. 29 Stauder 2014, p. 110. 30 Pavese 1950. 31 Su questo punto si vedano: Moloney 2001, p. 143; Spinazzola 2001, pp. 99 - 106. 32 Garufi/ Pavese 2020, p. 21. Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato Antonio Catalfamo 82 matrimonio. Si tratta di Pierino Mondello, anch ’ egli siciliano, militante comunista, che rappresenta, dunque, una delle “ anime ” ideali di Bianca Garufi, quella della generosità senza limiti e della “ preziosa ingenuità ” , diremmo, che proietta in lui questa dimensione che è fortemente presente anche nel proprio «io». Il suo matrimonio con Bianca Garufi dura poco. Il 30 ottobre 1947, la scrittrice annota nel proprio diario: «Torno adesso dalla Sicilia. Vi sono stata 10 giorni (dal 17 al 28). Sono stati giorni molto faticosi. Ho firmato, il 27 ottobre, la divisione legale con mio marito 33 .» Ma Pierino Mondello, con la consueta generosità, continua ad aiutare economicamente l ’ ex consorte, che annota, ancora, nel diario, il 14 dicembre successivo: «Sono arrivate le tremila da Pierino. Ho pagato quasi tutti i debiti 34 .» Permane il rapporto di mutuo soccorso, al di là del matrimonio fallito, tanto che di lì a poco sarà Bianca a dimostrare tutta la sua disponibilità ad aiutare economicamente e psicologicamente Pierino, dopo che questi è stato lasciato solo dalla sua nuova ragazza per le festività natalizie. Leggiamo, infatti, in una nota del diario datata 27 dicembre 1947: «Pierino è rimasto solo. In un certo senso la sua ragazza lo ha abbandonato proprio il giorno di Natale o di Capodanno. Comunque è un giorno di festa. Io so anche che è rimasto con sole dieci lire forse perché ha dato tutto a quella ragazza. Allora io vado da Pierino per solidarietà e per non lasciarlo così solo. Lui è inconsciamente molto addolorato per questa sua solitudine ma fa finta di essere superiore e di non sentirla eccessivamente. Io ho per lui un gran buon sentimento di amicizia e di familiarità. Penso che forse passerò la serata con lui in quella casa vuota ma viene una coppia di amici della sua ragazza e suoi, un uomo e una donna molto giovani, e allora io decido di lasciarlo perché non ha senso che io sacrifichi una serata per passarla con quella gente. Per Pierino solo l ’ avrei fatto, ma se c ’ è anche altra gente me ne vado. Porto del denaro a Pierino benché io ne abbia molto poco e lo faccio dato che in altri tempi e anche adesso mi ha sempre aiutato a vivere 35 .» Pierino Mondello continua ad essere presente nei pensieri di Bianca Garufi, tanto che a distanza di alcuni anni, in una pagina diaristica datata 6 aprile 1951, la scrittrice siciliana manifesterà il proprio rammarico per il matrimonio fallito, ma, nel contempo, confermerà la compresenza in lei di tante componenti diverse, talvolta contraddittorie, che possono trovare appagamento in uomini dalle caratteristiche opposte, coma Pierino Mondello, per l ’ appunto, Fabrizio Onofri e Cesare Pavese. Leggiamo: 33 Garufi/ Pavese 2020, p. 110. 34 Ibidem. 35 Ibidem. Antonio Catalfamo Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato 83 «Mi viene in mente che domani Pierino compie 38 anni. Non riesco a non rammaricarmi che il nostro matrimonio sia finito. Fra tutti gli uomini che ho conosciuto, a parte Bern. e Fabrizio, era il più degno di stima. Ma anche questo è un discorso sbagliato. [. . .] Per Pierino bisogna dire: è stato bene nella mia vita, la sua presenza è stata positiva e così la sua assenza. Ogni altra considerazione, rimpianto e aggressione [sic], è stupida e non ha senso. E questo vale non solo per Pierino ma per tutto e per tutti 36 .» Andando indietro con la memoria, mentre si trova sul treno diretto per Roma, il 23 luglio 1942, sempre nel diario, ricorda, come in un flashback, i particolari della celebrazione del suo matrimonio con Pierino, a Trieste, il 6 febbraio 1937, con partecipazione emotiva, ma anche con distacco, sottolineando la differenza che esiste tra il «pensiero», la riflessione razionale, e il «sentire», i sentimenti spontanei che sgorgano dal cuore e confermando, ancora una volta, la complessità della sua personalità, oscillante, per l ’ appunto, tra ragione e sentimento: «Adesso lo scompartimento è pieno ‒ ci sono anche i classici sposini, lei con la borsa da viaggio nuova. ׀ Mi ricordo il mio matrimonio, e il ridere che facevamo Piero ed io, di tutto, del prete, dei testimoni, di noi stessi che ci eravamo vestiti in fretta con abiti comuni. Avevamo dormito fino a dieci minuti prima e il matrimonio era per le sette di sera in una piccola chiesa senza fiori. Non c ’ era nessuno nella chiesa a quell ’ ora e quando uscimmo due vecchiette ci chiesero l ’ elemosina e mi dissero che bella sposina [. . .]. ׀ Quando eravamo fidanzati leggevamo lunghe ore Dante, gli scritti di Napoleone, discutevamo di Dio, di Pascoli e Carducci, furiosamente ‒ ed è così che decidemmo di vivere insieme. Adesso leggiamo altri libri, e sono altri i nostri discorsi; forse non è cambiato nulla da allora; soltanto adesso sappiamo che pensare non è come sentire. ׀ Lo seppi un giorno e fu una rivelazione 37 .» Bianca Garufi ha, dunque, rapporti molto stretti con uomini, come Pierino Mondello, molto generosi, dai tratti mitici per questa loro generosità che certamente rimonta nei secoli come segno di un ’ antica civiltà, che provengono dalla sua terra d ’ origine, la Sicilia, alla quale sente di essere legata, nonostante l ’ allontanamento, i suoi spostamenti nel Nord Italia e l ’ insediamento poi a Roma, le esperienze all ’ estero, da un cordone ombelicale indissolubile, che emerge chiaramente da una pagina diaristica datata 21 aprile 1947: «Sono tornata a casa e con Silvana abbiamo parlato un po ’ in cucina mentre io preparavo il caffè per domani. Le ho detto (riassumendo): ׀ la mia relazione con 36 Ibidem. 37 Garufi/ Pavese 2020, pp. 110 - 111. Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato Antonio Catalfamo 84 la geografia è molto stretta poiché già la mia terra (sola) è un fatto geografico e perché molti elementi geografici mi sono familiari e per esempio il vulcano, il terremoto, l ’ isola, il continente, il mare, il maremoto, le correnti dello stretto, l ’ Africa, in fondo, oltre l ’ orizzonte. In collegio, durante la lezione di geografia avevo sempre la gola stretta dall ’ emozione e dalla commozione. ׀ Lo stesso accadeva per l ’ Odissea, Polifemo e gli scogli di Aci Trezza, Ulisse, la magna Grecia, Agrigento, l ’ orecchio di Dioniso; per cui posso dire che una gran parte di storia e di mitologia io l ’ abbia vissuta come un fatto familiare, collegata a immagini e impressioni della mia infanzia. Ecco perché queste cose in me non sono e non saranno mai ‘ cultura ’ , ma cose vive, e producenti appunto perché hanno profonde radici nella realtà e nella fantasia della mia vita stessa 38 .» La visione che la Garufi ha del suo rapporto con la Sicilia si può senz ’ altro far rientrare nell ’ ambito del concetto di «biogeografia culturale». Il territorio non ha solo una dimensione geografica, ma anche umana, nel senso che in esso si stratificano le varie civiltà che si sono succedute nei secoli, con i valori e le culture di cui esse sono portatrici. Anche nello scrittore, se è in armonia con quel mondo, avviene lo stesso processo, cosìcché si viene a determinare in lui un rapporto di «corrispondenza biunivoca» col territorio di riferimento, tale per cui egli è in grado di comprendere e di esprimere nella sua opera i messaggi “ cifrati ” che vengono da quell ’ universo umano e geografico. Bianca Garufi manifesta sempre, nella sua vita, un interesse spiccato per la geografia, tanto che, prima di laurearsi in lettere con una tesi su Jung, discussa all ’ Università di Messina (5 dicembre 1951), medita di laurearsi, per l ’ appunto, in geografia. E questo interesse per la geografia è determinato dal desiderio di approfondire l ’ universo culturale che, con le sue varie componenti, si è stratificato dentro di lei. Tant ’ è che pensa di specializzarsi in etnologia. Leggiamo in una pagina diaristica del 6 ottobre 1946: «Sto facendo serie indagini per vedere se è possibile ottenere il passaggio al 4° anno della facoltà di geografia. Vorrei specializzarmi in Etnologia. Per caso ho incontrato, al Partito, De Martino che forse è in Italia la persona più competente in materia ‒ dice che verrà a trovarmi 39 .» La famiglia di Bianca Garufi ha solide e lontane radici siciliane. Il rapporto con la Sicilia, per lei, è mediato soprattutto attraverso la figura della madre, Giuseppina Melita, unica sopravvissuta di una numerosa famiglia al terremoto di Messina del 1908 (per pura fortuna non era nei luoghi del disastro), «donna forte e indipendente» 40 , appartenente all ’ aristocrazia borghese isolana, con vasti posse- 38 Garufi/ Pavese 2020, p. 5. 39 Garufi/ Pavese 2020, p. 120, nota n. 5. 40 Garufi/ Pavese 2020, p. 3, nota n. 1. Antonio Catalfamo Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato 85 dimenti terrieri ed immobiliari, tra cui il grande palazzo settecentesco che si trova ancor oggi a Letojanni, a pochi chilometri da Taormina, in corsoVittorio Emanuele 107. La scrittrice medita di tornare definitivamente, un giorno, in Sicilia, a vivere proprio con la madre, per riappropriarsi delle proprie radici e rimuovere le esperienze che si sono stratificate in lei durante tutta la vita, fuori dall ’ isola, facendo riemergere la sua «sicilianità» primigenia. Leggiamo, infatti, in una pagina diaristica datata 11 ottobre 1946: «Già da qualche tempo ogni tanto intravedo un pensiero in me. Dura un attimo, e come se un lampo illuminasse di un tratto la vena d ’ acqua segreta nel buio di una grotta. L ’ infiltrazione c ’ è e non so quando e come è cominciata. Un giorno o l ’ altro me ne andrò in Sicilia, ritornerò a vivere in Sicilia, mi scrollerò di tutta la mia vita e andrò a vivere in Sicilia, in casa di mia madre, come se non fossi più io, senza più niente che mi somigli, con solo ricordi che il tempo passando renderà sempre più inverosimili così come è inverosimile sia per lei che per me, a ripensarci, oggi, che mia madre sia stata dama di corte, amazzone elegante, donna che scrive racconti sentimentali e che parla francese 41 [. . .]. Ecco, farei una vita in cui il ricordo dell ’ ‘ arte pura ’ , della lotta clandestina, della vita politica, il problema della tecnica del giorno d ’ oggi, ecc. ecc. sia quanto di più assurdo e lontano, inesistito, si possa immaginare 42 .» Siamo in presenza di una sorta di riedizione, in forma originale, del mito platonico della caverna, interpretato nel senso che esso serve al filosofo greco per rappresentare il processo ‘ asintotico ’ della conoscenza umana, che avviene per gradi di illuminazione progressiva, fino a giungere alla conoscenza più ampia possibile. Gli schiavi, nella caverna platonica, dapprima rivolti verso il muro, vedono immagini riflesse degli oggetti e, quindi, ingannevoli. Ma, girandosi in direzione della luce, avanzano, a poco a poco, verso la sua fonte, e, quindi, verso la conoscenza effettiva. Una luce improvvisa illumina la caverna in cui si colloca la scrittrice e che forse rappresenta il grembo materno. Questa luce guida il suo processo conoscitivo a ritroso, facendola regredire verso il mondo primigenio della Sicilia, dal quale proviene, riacquisire la dimensione mitica della sicilianità, che affonda le radici nei millenni, annullando, nel contempo, tutte le esperienze successive della vita, dal trasferimento al Centro-Nord, alla partecipazione alla lotta resistenziale e poi politica, all ’ attività artistico-letteraria. È qui presente il mito dell ’ infanzia, che troviamo in Pavese, nelle sue opere letterarie, ma anche nei suoi studi teorici, nonché nella cosiddetta «collana viola» di studi etnologici, psicologici e religiosi, da lui curata, dapprima assieme ad 41 Garufi/ Pavese 2020, p. 52, nota n. 1. 42 Garufi/ Pavese 2020, p. 94, nota n. 1. Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato Antonio Catalfamo 86 Ernesto de Martino, che successivamente prende le distanze. L ’ infanzia come età in cui tutto accade, in una visione archetipica, in cui i comportamenti umani si configurano come «destino», che, riproponendosi, diviene «mito». La Sicilia assume per la Garufi la dimensione di mondo «mitico», primordiale, al quale, alfine, ritorna per capire se stessa e realizzare appieno la propria personalità di donna e di artista. Questa Sicilia mitica è fortemente presente nel romanzo Rosa cardinale 43 , che rappresenta un viaggio a ritroso nella memoria da parte della protagonista, Sandra, alla ricerca delle proprie radici culturali, ma anche delle ragioni inconsce del proprio malessere, che la porta a ritirarsi in una clinica e a sottoporsi ad analisi. Il romanzo si conclude con la guarigione di Sandra, il suo secondo matrimonio e il trasferimento in America. Rivivono in queste pagine ‒ come dicevamo ‒ la cultura archetipica della «collana viola» pavesiana, il ‘ passo indietro ’ verso l ’ infanzia e oltre, verso le radici primitive dei comportamenti umani. Già l ’ incipit del romanzo ci indirizza su questa strada: «Mai che una cosa cominci. È già sempre cominciata. Quando? È stato quel giorno che l ’ ho conosciuto, lui, Nicola, davanti al portone di casa mia, oppure il giorno in cui m ’ innamorai di Enzo, il bell ’ uomo della mia vita, solido, ricco, equilibrato; o forse dieci, vent ’ anni prima, o prima ancora che io nascessi, o mia madre, o mia nonna, o il bisnonno, o chissà quale lontano antenato 44 .» Ogni azione umana è, dunque, già stata compiuta, per capirla bisogna scavare in quelle forme «a priori» che chiamiamo «archetipi». L ’ infanzia di Sandra si svolge in Sicilia, precisamente a Taormina, nella villa di famiglia, chiamata «Lo Sparviero», assieme alla nonna inglese, Judith Albaro. La villa era stato un fortilizio saraceno, a strapiombo sul mare: «L ’ Etna da una parte, Letojanni e il castello di Sant ’ Alessio dall ’ altra, lo stretto di Messina in fondo. Di notte, quasi di fronte, come un miraggio una striscia luminosa, la costa di Calabria; e allora lo stretto si rimpiccioliva, non si pensava né ai vortici né alle correnti rapide come fiumi, e i mostri omerici diventavano due cani da guardia imbalsamati messi uno qui uno lì sui pilastri di un cancello di fronte a un lago placido e sicuro punteggiato di lampare simili a stelle lucenti 45 .» Si tratta di un ’ infanzia in cui la morte è elemento del vissuto quotidiano: la morte del nonno, la follia della nonna Judith, la morte dei genitori: 43 Garufi 1968. 44 Garufi 1968, p. 13. 45 Garufi 1968, p. 19. Antonio Catalfamo Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato 87 «La morte divenne per me fin d ’ allora un problema di tutti i giorni, un problema naturale, come la frutta di stagione, come l ’ arrivo delle quaglie o le rondini che tornano proprio in quel nido, qualcosa d ’ ineluttabile e fatale, una forza segreta ma determinata, né più né meno del venire in vita in quella casa, in quel ventre, in quel paese 46 .» Ma il contatto con la morte è assicurato anche dal ‘ magismo ’ che domina nella villa-castello. La nonna non si rassegna alla perdita del marito, lo considera ancora vivo, entra in rapporto medianico con lui attraverso sedute spiritiche, propiziate da medium che vengono d ’ oltreoceano. Lo «spiritismo» è una componente fondamentale della letteratura siciliana. Luigi Capuana ne era interessato, anzi affascinato, visto che questo interesse costituisce un filo rosso, che unisce le sue opere, dal Diario spiritico del 1870 al Mondo occulto del 1896, dando vita ad una miscela originale tra positivismo verista ed irrazionalismo spiritualista 47 . Capuana segue con assiduità tutto quello che si va pubblicando sul tema dello «spiritismo» e si vanta di essere il primo scrittore ad aver pubblicato un libro su questo argomento. In una Lettera aperta a Pirandello parla di una seduta spiritica alla quale hanno partecipato entrambi. Probabilmente da questa vicenda ha preso spunto lo scrittore agrigentino ne Il fu Mattia Pascal, precisamente nel capitolo XIV, intitolato Le prodezze di Max. Qui, per l ’ appunto, il protagonista del romanzo assiste ad una seduta spiritica e ne descrive gli effetti nei particolari: «Chi poté più badare alle prodezze di Max nel bujo? Il tavolino scricchiolava, si moveva, parlava con picchi sodi o lievi; altri picchi s ’ udivano su le cartelle delle nostre seggiole e, or qua or là, su i mobili della camera, e raspamenti, strascichi e altri rumori; strane luci fosforiche, come fuochi fatui, si accendevano nell ’ aria per un tratto, vagolando, e anche il lenzuolo si rischiarava e si gonfiava come una vela; e un tavolinetto porta-sigari si fece parecchie passeggiatine per la camera e una volta finanche balzò sul tavolino intorno al quale sedevamo in catena; e la chitarra come se avesse messo le ali, volò dal cassettone su cui era posata e venne a strimpellar su noi. . . 48 .» Questo interesse di Pirandello per lo «spiritismo», l ’ «occultismo», il «paranormale», dipende dal suo desiderio di conoscere l ’ uomo nella sua interezza, nelle sue componenti consce ed inconsce, razionali ed irrazionali. La valorizzazione dell ’ irrazionalismo rappresenta la risposta del decadentismo alla crisi delle certezze positiviste che aveva investito il mondo intellettuale in seguito ai risultati delle nuove scoperte scientifiche, come quelle di Einstein, che avevano spinto 46 Garufi 1968, pp. 48 - 49. 47 Capuana 1995. 48 Pirandello 1974, p. 180. Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato Antonio Catalfamo 88 verso il «relativismo» in ogni campo del sapere, anche in quello artisticoletterario. Anche Bianca Garufi, come scrittrice e come psicanalista di scuola junghiana, vuole conoscere l ’ uomo in tutte le manifestazioni della sua personalità, anche in quelle che si ricollegano al riemergere dell ’ inconscio, individuale e collettivo. Ma il ‘ magismo ’ , oltre a caratterizzare le classi colte isolane, è anche elemento essenziale della cultura popolare siciliana, che rivive nelle pagine della Garufi attraverso la figura di don Alvise Mamazza, «un uomo alto bruno, vestito e cappellone neri, un po ’ fra il frate e il contadino, con una faccia pallida, trasognata» 49 , il quale, secondo la credenza popolare, era dotato di una forza medianica straordinaria. Don Alvise richiama in vita lo spirito del nonno, sostituisce nelle sedute spiritiche della nonna Judith i medium stranieri. Ma a lui si rivolge anche il popolo per «tagliare» la tromba marina con parole arcane e gesti ancestrali. Bianca Garufi ripropone riti ormai dimenticati, tramandati di padre in figlio, in Sicilia, e, segnatamente, nella provincia di Messina, alla quale è particolarmente legata, che sono documentati da Giuseppe Pitrè nel volume Proverbi, motti e scongiuri del popolo siciliano 50 . Secondo le credenze popolari, la tromba marina, per la forma che assume nel cielo, è una coda di ratto o di drago che dev ’ essere tagliata con un coltello o con altri strumenti affilati, per impedire che colpisca i naviganti, pronunciando nel contempo formule di scongiuro aventi effetto apotropaico, che sono conosciute solo da pochi individui appartenenti alla comunità e dotati di poteri soprannaturali. Così don Alvise racconta alla piccola Sandra il «taglio» della tromba marina: «Una tromba così mai vista, mai. C ’ è voluto un tronco d ’ ulivo per poterla tagliare. Era una tromba speciale, lunga e dritta come un fuso. Prima le ho detto quello che bisognava dire; ma lo sapevo, lo sapevo benissimo che non bastava. Poi ho provato col temperino. Sei volte almeno ho intaccato il legno nero che adopero per la funzione. Anche questo però non servì a gran cosa. Allora segai il tronco d ’ ulivo. Ce l ’ avevano tutti con me perché non mi spicciavo. Le barche erano a mare, lontano, a pesca di alalunghe: la tromba se le sarebbe succhiate come uova all ’ ostrica, a una a una, se non mi spicciavo. Quando è così, dritta e lunga, è un vero castigo di Dio. Alla fine però lo stesso ce l ’ ho fatta; segata, spezzata, due pezzi in cielo, due monconi, come a terra in due pezzi il tronco d ’ ulivo. Nel cielo brutto, scuro, i due spezzoni stettero un po ’ a ciondolare. Pian piano poi si sono assottigliati, pian piano si sono fatti meno densi e neri. Alla 49 Garufi 1968, p. 46. 50 Pitrè 1910, p. 428. Antonio Catalfamo Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato 89 fine erano quasi trasparenti. Uno sparì dietro l ’ Etna e l ’ altro, già sulle case di Letojanni, scomparve dietro la roccia di Sant ’ Alessio. Ora il cielo è sereno 51 .» Luigi M. Lombardi Satriani 52 , sulla scorta degli studi gramsciani 53 , ha sottolineato come esista un reciproco condizionamento tra cultura delle classi dominanti e cultura delle classi subalterne e come questa reciprocità investa anche il campo delle credenze religiose e magiche, facendo particolare riferimento, nella sua analisi, al Meridione d ’ Italia e, segnatamente, alla Calabria e alla Sicilia. Questo spiega come il “ magismo ” di cui dicevamo investa sia il popolo siciliano, sia intellettuali ‘ colti ’ come Capuana, Pirandello e la stessa Bianca Garufi. Il legame della scrittrice con la Sicilia è molto forte, anche nei rapporti personali. Quando si trova a Roma, oppure al Nord, a Milano, dove svolge vari lavori, fra cui quello di segretaria presso la Casa della Cultura, si adopera per aiutare molti conterranei, che vogliono attraversare lo Stretto di Messina per affermarsi nel continente. Fra di essi vi è Bartolo Cattafi, anch ’ egli appartenente ad una famiglia aristocratica-borghese della provincia di Messina, precisamente radicata a Barcellona Pozzo di Gotto, popoloso centro agricolo e commerciale a circa 50 km dalla città dello Stretto, dove la famiglia di Bianca (precisamente la madre) ha dei possedimenti. Mariarosa Masoero, nel curare il carteggio tra Cesare Pavese e Bianca Garufi, ha individuato in mezzo al materiale documentario di quest ’ ultima, ora in possesso degli eredi (in particolare i nipoti Giampaolo Garufi e Cristina Ciuffo), uno scambio epistolare tra Bartolo Cattafi, Lillo Garufi e la sorella Bianca, risalente al 1947. Cattafi è agli esordi come poeta e si rivolge inizialmente a Lillo Garufi (1924 - 2006), allora studente di Medicina, poi valente pediatra e libero docente di Malattie infettive, affinché, attraverso la sorella, lo introduca negli ambienti culturali e letterari del «continente». Lillo è persona generosa e si mette subito all ’ opera. Cattafi gli scrive una lettera, datata 2 gennaio 1947, spedita da Castroreale Bagni, dove il giovane poeta soggiorna presso lo zio Enrico Barresi, prima podestà e poi sindaco della cittadina balneare, poco distante da Barcellona P. G. In essa leggiamo: «Caro Lillo, innanzi tutto accetta i miei migliori auguri: spero che questo ’ 47 ti porti un sacco di cose belle. ׀ Nel nostro ultimo incontro, quando t ’ ho detto della mia partecipazione al 3° concorso per la poesia della Fiera Letteraria, m ’ hai 51 Garufi 1968, p. 55. 52 Lombardi Satriani 1976. 53 Gramsci 1954, p. 220: «Così il folclore è sempre stato legato alla cultura della classe dominante, e, a suo modo, ne ha tratto motivi che sono andati a inserirsi in combinazione con le precedenti tradizioni. Del resto, niente di più contraddittorio e frammentario del folclore». Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato Antonio Catalfamo 90 chiesto, a ciò spinto dalla tua amicizia. . . fattiva, i nomi dei componenti la giuria. Eccoli: Enrico Falqui, Leonardo Sinisgalli, Giuseppe Ungaretti. Spero di vederti ben presto a Messina. ׀ Ringraziandoti ancora per tutto il tuo caro interessamento, e per quello gentile della Signora tua sorella, ti abbraccio affettuosamente 54 .» Lillo Garufi offre i suoi ‘ buoni uffici ’ e quelli della sorella Bianca per sostenere il giovane Cattafi nella sua partecipazione al premio di poesia messo in palio dalla rivista Fiera Letteraria, nel 1947, ancor prima che egli ottenga, nel 1949, il premio bandito dalla rivista Pagine Nuove, auspice Corrado Govoni, presidente della commissione giudicatrice, col quale Cattafi era entrato in contatto nel 1948, per intercessione di Nino Pino Balotta 55 , figura poliedrica di intellettuale, prima anarchico e poi comunista, deputato al Parlamento nazionale dal 1948 al 1963, scienziato (docente alla Facoltà di Veterinaria dell ’ Università di Messina), umanista, vincitore del Premio Viareggio per la poesia dialettale siciliana, nel 1956, anch ’ egli originario di Barcellona Pozzo di Gotto. Le conoscenze che Bianca Garufi ha negli ambienti letterari possono essere molto utili al poeta in cerca di affermazione nel «continente», tanto ch ’ egli rompe gli indugi e la tradizionale ritrosia, rivolgendosi nella stessa data della lettera a Lillo Garufi direttamente alla di lui sorella Bianca, con una missiva dal linguaggio cifrato, «fra il serio e il faceto» 56 , per usare l ’ espressione della Masoero, chiedendo «un filo sereno, una traccia assai preziosa» per mettere insieme «il suo accidentato discorso poetico» 57 e precisando che era solito chiedere favori solo «alle persone buone e gentili (: è stata la sua bontà ad incoraggiarmi); io non chiedo favori ai semidei gelidi e distanti; io questi li lascio al loro limbo mediocre, dato che la mia mano non vuole turiboli degradanti». Parte così un plico di poesie diretto a Bianca Garufi, inviato attraverso il conterraneo Peppino Cassata, descritto da Cattafi in termini leggendari, accompagnato da queste parole eloquenti: «Gentile Signora, eccoLe, Ambasciatore di Poesia, Peppino Cassata. Non so se il prezioso portatore del mio scartafaccio verrà a Lei vestito di velluto celeste come un principe, se avrà quella sua leggerezza umbratile e sorridente; non so se il jazz lo avrà momentaneamente distolto dal fragile giro di un minuetto. Ma lui, tanto delicatamente démodé, in modo singolare è tra quelli che più conoscono e comprendono la mia dinamica vitalità elementare, attuale. Le sarà, per ciò, di grande aiuto per una mia costruttiva notomizzazione (e Lei ha ferri formidabili: quelli della psicanalisi). Ora, eccoLe tutte le mie erbe a mazzo, 54 Garufi/ Pavese 2020, p. 97, nota n. 20. 55 Palumbo 1987, p. 3. 56 Garufi/ Pavese 2020, p. 97, nota n. 20. 57 Ibidem. Antonio Catalfamo Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato 91 quelle buone (o presunte tali), quelle cattive. Avrà modo così di conoscermi fino a dentro, di vedere il mio sangue e le sue scorie, le occasioni del mio sangue: e sono queste che gl ’ imprimono una rotta a zig zag, fuori d ’ ogni barriera programmatica, rigidezza aprioristica. ׀ Io seguo i momenti alterni, affidandomi inerme e scoperto agli scoppi felici o infelici, nella contingenza quotidiana, del mio sentimento che non ha mai preso i reumatismi nelle torri d ’ avorio. ׀ Dunque, vedrà che, se non altro, mi rimane fermo un costume di spregiudicata sincerità. ׀ A Lei, così dotata, così squisitamente sensibile ‒ e non sono questi i complimenti di rito, la solita e offensiva adulazione ‒ sarà facile vedere oltre l ’ intreccio delle interferenze, e rinvenire un mio fondo schietto ‒ : sempre, naturalmente, che ci sia. ׀ Ma forse Le chiedo troppa attenzione, l ’ attenzione che non merito. ׀ Ad ogni modo, mi sarebbe cara una sua parola sincera che puntualizzasse la mia situazione. Ho bisogno ancora di chiarirmi. Questa sua parola potrebbe anche essere un proficuo catalizzatore 58 .» Bianca Garufi si mette tosto all ’ opera ed il primo a cui si rivolge è Cesare Pavese, la sua «anima gemella», che ha un ruolo di rilievo presso Einaudi. Leggiamo in una lettera da lei rivolta allo scrittore langarolo, datata 24 gennaio 1947, risalente cioè a una ventina di giorni dopo l ’ invio della missiva a lei indirizzata da parte del giovane poeta Cattafi: «Ed ora stammi a sentire. Posso mandarti un fascicolo di poesie di un ragazzo Siciliano che non conosco amico di mio fratello che mi sembrano degne di essere lette ed aiutate? Se le leggi e non le perdi fammelo sapere subito che te le mando. Vorrei sapere che ne pensi perché se ti piacciono vorrei che mi consigliassi il modo di poter fare qualcosa per aiutarlo a farsi strada: tu non puoi sapere quanto sia difficile vivendo in provincia di Messina trovare qualcuno capace di interessarsi e di far qualcosa 59 .» Mariarosa Masoero non ha trovato una risposta di Pavese a questa richiesta di aiuto rivoltagli dalla Garufi a favore di Cattafi. Il fatto che la scrittrice siciliana si sia rivolta successivamente ad altri interlocutori, operanti nell ’ area milanese, fa presupporre che il tentativo di coinvolgere Pavese non sia andato a buon fine. Probabilmente lo scrittore langarolo è stato indotto al silenzio dalla notevole differenza che c ’ era tra il suo modo di fare poesia, improntato alla «poesiaracconto» di matrice nordamericana, sulla scia di Walt Whitman, e quello cattafiano, che, secondo Romano Luperini, «è il risultato di tutta una tradizione lirica, post-simbolista e surrealistica, non solo italiana ma europea» 60 . 58 Garufi/ Pavese 2020, pp. 97 - 98. 59 Garufi/ Pavese 2020, p. 94. 60 Luperini 1994, p. 773. Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato Antonio Catalfamo 92 Bianca Garufi non desiste. Concentra il suo impegno a favore di Cattafi in direzione del mondo culturale ed editoriale milanese. Fiducioso nell ’ intervento della scrittrice, Cattafi arriva a Milano ai primi di maggio del 1947, ma rimane nel capoluogo lombardo soltanto due mesi, e il 22 giugno ritorna in Sicilia 61 . I primi contatti non producono nell ’ immediato gli effetti sperati. Bianca Garufi ha scritto una «lettera di presentazione» 62 indirizzata ad alcune figure di rilievo nel mondo letterario milanese. Si tratta di Luciano Foà, Erich Linder, e Sergio Solmi. Il primo è un critico letterario, traduttore dal francese, impegnato con ruoli dirigenziali nell ’ Agenzia Letteraria Internazionale, fondata dal padre Augusto nel 1898, che si occupa dei diritti d ’ autore di scrittori stranieri ed italiani. Nel 1951 assumerà il ruolo di segretario generale della casa editrice Einaudi e nel 1962 fonderà a Milano la casa editrice Adelphi. Il secondo è anch ’ egli impegnato con ruoli di rilievo nell ’ Agenzia Letteraria Internazionale accanto a Luciano Foà, di cui assume poi la presidenza. Il terzo è uno scrittore e un poeta affermato. In una lettera del 30 giugno 1947 Cattafi riassume a Bianca Garufi i primi risultati interlocutori della sua lettera di presentazione. Definisce Foà e Linder «carissimi amici che meritano tutta la mia riconoscenza» 63 (di Foà, in una lettera precedente del 24 aprile, Cattafi ha scritto: «Sono stato da Foà. Molto gentile. ׀ Ha voluto qualche mia poesia per sottoporla a Solmi. Ma non s ’ è fatto più vivo, sono in attesa» 64 ), di Solmi scrive: «Ebbe parole lusinghiere per le mie poesie, e si mise pure lui ad aiutarmi. Parlò a Scheiwiller e gli lesse alcune mie poesie. Scheiwiller disse che aveva intenzione di chiudere la collana dei suoi volumi-francobollo, ma, indeciso, si portò a casa le mie poesie 65 .» Tornato in Sicilia, scrive un ’ altra lettera alla Garufi: «Mi trovo a tu per tu con la Sicilia. La guardo con occhio più nuovo, mi pare quanto mai fresca e antica, mi pare molto vergine il suo sangue. Siamo due amanti, e può darsi che sia tragico il nostro duello. Che io ne esca con le ossa rotte 66 .» Chiede, inoltre, alla Garufi consigli su come comportarsi nel caso in cui tutti i tentativi in corso per la pubblicazione delle sue poesie falliscano: «Se Scheiwiller non dovesse farne niente ׀ attendo risposta da Solmi, se Foà dovesse fallire con Einaudi proponendo un volume di mie poesie, come ha in mente di fare, che probabilità circa il lancio e la pubblicazione avrei a Roma? 67 .» Ma i risultati dell ’ interessamento dell ’ amica scrittrice presso autorevoli intellettuali operanti a Milano (ma non solo) col tempo arrivano. Nel 1951, Cattafi 61 Prandi 2007, p. 20. 62 Garufi/ Pavese 2020, p. 98. 63 Ibidem. 64 Ibidem. 65 Ibidem. 66 Ibidem. 67 Ibidem. Antonio Catalfamo Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato 93 pubblica presso le Edizioni della Meridiana la sua prima raccolta poetica, Nel centro della mano 68 . Significativamente dedica la prima sezione del libro, Festa, a Corrado Govoni e a Nino Pino, che lo hanno motivato con i loro giudizi positivi agli esordi, e la seconda, Nord, Sud, congiuntamente a Bianca Garufi, Luciano Foà ed Erich Linder (quest ’ ultimo divenuto, con il consolidarsi dei rapporti, agente letterario del poeta siciliano), a conferma del fatto che sono stati costoro a sostenerlo negli ambienti culturali ed editoriali milanesi nella pubblicazione di questa prima raccolta di versi. I successivi libri di Cattafi saranno pubblicati dalla Mondadori. Molto probabilmente la Garufi è «Bianca» a cui, in 18 dediche 69 , Cattafi dedicherà la poesia Nell ’ oroscopo, a riprova della gratitudine per l ’ impegno profuso a sua favore negli anni dell ’ esordio poetico. Leggiamo: Bianca dice Tuo Padre un Padre che non finisce mai e mi dice dove in quale casa casella punto stella del mio cielo le gambe ben piantate mani ai fianchi e occhi voce imperiosi vento impetuoso piega la mia sorte piccolo tozzo calvo cardiopatico che non mi vide nascere un ’ aria mite né sciocca né scaltra claudicante una gamba più corta dell ’ altra 70 . Infine, Lillo Garufi, pubblicando nel 1979, proprio nell ’ anno della morte di Cattafi, la raccolta poetica Alba di gesso 71 , scriverà in esergo la seguente dedica: «In memoria di Bartolo Cattafi, maestro e fraterno amico che ha speso la Sua breve esistenza per assorbire e diffondere Poesia». È questa l ’ ulteriore conferma del rapporto di amicizia e di stima perdurante nel tempo. Abstract. Dieser Aufsatz befasst sich mit der schwierigen Beziehung der Schriftstellerin und Psychoanalytikerin Bianca Garufi zu Cesare Pavese auf der einen und zu ihrer Heimat Sizilien auf der anderen Seite. Diese Diskussion erhellt die 68 Cattafi 1951. 69 Cattafi 1978/ 2019. 70 Cattafi 1978/ 2019, p. 500. 71 Garufi 1979. Bianca Garufi, Cesare Pavese e la Sicilia: un rapporto contrastato Antonio Catalfamo 94 Komplexität ihrer Persönlichkeit und ihres vielseitigen Werks und bestätigt ihre künstlerische Autonomie im Verhältnis zu Pavese, anders als es die Forschung bisher annahm, und enthüllt zudem unbekannte Aspekte ihres Lebens, bezüglich ihrer Gefühlswelt, aber auch ihres Engagements für Veränderungen in der Gesellschaft, das sie von Jugend an, gemeinsam mit Persönlichkeiten, die es auch verdient hätten, wieder entdeckt zu werden, pflegte. Summary. This article deals with the complex relationship that Bianca Garufi, writer and psychoanalyst, had with Cesare Pavese, on the one hand, and, on the other, with her homeland, Sicily. This discussion sheds light on the complexity of her personality and of her multifaceted work, recognizing her artistic independence from Pavese, contrary to what critics have thought for a long time, and revealing unknown aspects of her biography, regarding her feelings, but also her commitment for change in society, since her youth, together with personalities who would also need to be rediscovered. Bibliografia Bloch, Ernst: Il principio speranza. (Trad.: E. De Angelis, T. Cavallo) [1994], Milano: Garzanti 1994. Capuana, Luigi: Mondo occulto, a cura di Simona Cigliana, Catania: Edizioni del Prisma 2005. Cattafi, Bartolo: Nel centro della mano. Milano: Edizioni della Meridiana 1951. Cattafi, Bartolo: 18 dediche, Milano: All ’ insegna del Pesce d ’ Oro 1978; citato da Tutte le poesie, Firenze: Le Lettere 2019, pp. 497 - 506. 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