eJournals Italienisch 45/89

Italienisch
ita
0171-4996
2941-0800
Narr Verlag Tübingen
10.24053/Ital-2023-0002
61
2023
4589 Fesenmeier Föcking Krefeld Ott

«Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo

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2023
Caroline Lüderssen
Giorgia Tamanini
ita45890003
3 DOI 10.24053/ Ital-2023-0002 «Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo A cura di Caroline Lüderssen e Giorgia Tamanini Paolo Di Paolo è nato a Roma nel 1983. Dopo aver ottenuto un dottorato di ricerca in Studi di storia letteraria e linguistica italiana all’Università Roma Tre, si è dedicato esclusivamente al giornalismo e alla scrittura. Collabora regolarmente con la Repubblica e con l’ Espresso . Come scrittore, ha esordito con i racconti Nuovi cieli, nuove carte (Roma: Empiria 2004, finalista Premio Italo Calvino per l’inedito 2003). Il suo primo romanzo, Raccontami la notte in cui sei nato (Roma: Perrone 2008) prende spunto dalla storia di Nicael Holt, un australiano che nel 2007 aveva annunciato di voler vendere la sua vita su e-bay. Nel 2011 esce Dove eravate tutti (Milano: Feltrinelli), che vince il Premio Mondello e il Superpremio Vittorini 2012. Segue Mandami tanta vita (Milano: Feltrinelli 2013), finalista del Premio Strega, vincitore del Premio Salerno Libri d’Europa e del Premio Fiesole Narrativa Under 40. I suoi romanzi Una storia quasi solo d’amore (Milano: Feltrinelli 2016) e Lontano dagli occhi (Milano: Feltrinelli 2019, Premio letterario internazionale Viareggio Répaci) sono stati tradotti in tedesco e pubblicati dalla casa editrice nonsolo di Friburgo (v. bibliografia). Recentemente è uscito un nuovo romanzo di Paolo Di Paolo intitolato Romanzo senza umani (Milano: Feltrinelli 2023), che affronta il tema della memoria e delle sue aporie. Il 7 novembre 2022 ha avuto luogo una presentazione di Lontano dagli occhi , durante la quale Paolo Di Paolo è entrato in dialogo con lo scrittore tedesco Ingo Schulze. La serata si è svolta presso la sede della Frankfurter Stiftung für deutsch-italienische Studien a Francoforte sul Meno, in cooperazione con lo stesso nonsolo Verlag, l’Istituto Italiano di Cultura di Colonia, l’Ufficio Culturale della Città di Francoforte sul Meno e la Deutsch-Italienische Vereinigung e.V. di Francoforte (interpretazione consecutiva: Marina Grones). Abbiamo parlato con l’autore in questa occasione. Il romanzo Lontano dagli occhi racconta di tre donne rimaste incinte involontariamente, e della lotta, interiore ed esteriore, relativa alla decisione di dare in adozione il neonato. Il libro si apre con un prologo dal titolo «Vicino» (in cui si parla della prospettiva dei padri), seguito da tre capitoli, «Aprile», «Maggio», «Giugno», dedicati rispettivamente alla storia di una delle future madri e da un capitolo «Lontano», che assume la prospettiva di un figlio abbandonato dalla madre. Il romanzo si conclude con un epilogo dal titolo «Vita 2». Il nostro colloquio, di cui si riporta solo una parte, si è concentrato su questioni poeto- 4 «Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo logiche e sui riferimenti intertestuali del romanzo. Nella versione scritta è stato mantenuto il carattere orale dell’intervista. Domanda: Nel tuo nuovo romanzo, Lontano dagli occhi , fai spesso riferimento ad altri autori, altri testi. Troviamo per esempio, a un punto chiave della storia, una citazione del poeta americano Walt Whitman. Qual è la funzione di questo riferimento? Paolo Di Paolo Per me quella poesia di Whitman che sta in Foglie D’Erba , 1 To a Stranger è quasi un riassunto complessivo del mio modo di guardare gli altri, sempre con l’idea che portino con loro un segreto, una rivelazione e nel momento in cui il poeta dice: «Sconosciuto che passi non sai con che desiderio ti guardo», quel desiderio è anche il desiderio di entrare nelle vite degli altri per coglierne la verità. Penso che dovrei mettermi questa poesia dietro al letto come se fosse un’icona sacra, perché istintivamente guardando gli altri, in treno per esempio o per strada, penso sempre a che storia potrebbero avere. È una cosa talmente naturale, connaturata, che credo nasca anche da questa spinta: immaginare una vita, un pezzo di vita che non conosco. Le coincidenze che hanno determinato la nostra vita sono talmente accidentali che bastava che la donna che è diventata tua madre scendesse a una fermata prima dell’autobus e tu non ci saresti, io non ci sarei o comunque ci saremmo in altre forme. È come le Sliding doors , come diceva quel film del 1998, prendi una porta che ti conduce in una direzione ma non esiste poi una vera e propria necessità. Potrebbe sembrare pure un po’ nichilista, invece è proprio un’apertura al caso, il caso di cui siamo figli. Non credo che le cose siano determinate come ce lo vogliamo raccontare, siamo frutto di una sequenza di coincidenze. Tornando al libro, avrei potuto scegliere di raccontare solo una vita: racconto la storia di un uomo e di una donna, dove la donna non voleva diventare madre e il padre si assenta, poi mettono al mondo un figlio e non lo riconoscono. Ma non andava bene una storia, perché una è quella, tre è il potenziale. Quindi nel momento in cui io dico tre è come se dicessi cento , mille . Proprio il mio primo vero romanzo, uscito nel 2008 da un piccolo editore, che mi ha aperto le porte della grande editoria, dal titolo Raccontami la notte in cui sono nato apre quel cerchio che questo nuovo romanzo, Lontano dagli occhi , chiude in qualche modo. In quel libro ero partito da una notizia di cronaca reale del 2007, in cui un ragazzo di 24 anni vende la sua vita su e-bay. Ora, che significa vendere la propria vita? 1 Walt Whitman, nato nel 1819 a Long Island, fu uno dei più conosciuti poeti americani dell’Ottocento e uno degli esponenti del trascendentalismo. La sua opera principale è Leaves of Grass , pubblicata in varie versioni dal 1855 al 1892, anno della morte dell’autore. «Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo 5 Evidentemente dentro la mia testa c’è sempre stata questa dimensione del «mi spossesso della mia vita e ne vivo un’altra». Ma in realtà possiamo vivere solo la nostra vita, non esiste un’altra vita, esiste in potenza, ma quella che viviamo, fatta di casualità e di scelte, diventa la nostra. E tu ti immagini cosa potevi essere nei panni di un altro, come nel racconto di Mark Twain 2 , tu sei il povero e lui il principe, allora tu dici che daresti tutto per diventare il principe ma allo stesso tempo il principe darebbe tutto per diventare il povero. In un certo senso siamo sempre connessi con una possibilità che non si esprime, e uno scrittore da un certo punto di vista non fa che immaginare delle vite per altri o vite sue diverse. D.: In questo modo affronti, forse, anche l’aporia dello scrivere, nel senso che questo tuo raccontare tre vite significa: anche se abbiamo una vita che ricordiamo bene, alla fine non è detto che la ricordiamo bene; ricostruire le nostre scelte è un lavoro continuo, e con questo libro aiuti il lettore, a prescindere dalla storia, a fare questo. Di Paolo Qualche volta un io ti costringe ad essere solo spettatore, cioè nell’ autofiction qualche volta tu sei messo in una posizione solo di contemplazione di quell’io, e non riesci davvero fino in fondo - puoi essere turbato, commosso, ricattato - ma non è detto che tu riesca a riempire gli spazi che quella vita compatta davanti a te. D.: Principalmente è sua, dell’io, non ci puoi entrare tu. Di Paolo Esatto, principalmente è sua. Mentre qui invece io volevo rompere uno schema. Se uno dice «allora io vi racconto la mia storia di ragazzo o bambino adottato» questo può essere commovente, può essere un romanzo dickensiano, il bambino abbandonato, l’orfanotrofio. Volevo un’altra cosa, volevo che ognuno pensasse che ciascuno di noi è un figlio adottivo. Perché, quando vieni al mondo non è automatico che la persona che ti ha messo fisicamente al mondo ti riconosca. Per fortuna nel 99 % dei casi è così, però c’è un momento in cui quel bambino viene messo in braccio a una madre e si devono riconoscere. Quindi entri nella tua vita nel momento in cui qualcuno si prende cura di te e non nel momento in cui qualcuno ti mette al mondo. D’altra parte, la stessa cosa succede quando cresciamo e riconosciamo i nostri genitori come nostri genitori, è un percorso che non finisce mai, un riconoscimento continuo, un’adozione continua. Anche dei 2 The Prince and the Pauper (1881). «Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo 6 nostri amici, delle persone che scegliamo, dei compagni di vita, di strada, degli amanti, degli amori; è un adottarci continuamente, reciprocamente. Quello che ha fatto la differenza non è la cosiddetta linea del sangue, che è molto presente nella cultura otto/ novecentesca (e in alcune culture politiche deteriori ancora attive), il sangue come appartenenza, che poi sta sempre sul limite della retorica dell’identità, dell’identità come qualcosa di monolitico che poi può diventare individuale, collettiva, la regione, il Paese, la lingua, come qualcosa di blindato. In questo senso c’è una cabala, come un gioco a dadi che ti rende quello che sei ma nel tempo, non nell’istitutivo momento del venire al mondo. D.: Ci sono affinità elettive… Di Paolo …poteva essere diversamente, poi magari ecco per temperamento, per frequentazioni tu ti senti più vicina a un mondo diverso. Tu lo conquisti. Infatti, dico alla fine del libro, che noi siamo la somma di veramente tante sollecitazioni, di tante cose, di tante frequentazioni e quindi non si può ridurre l’identità a qualcosa che passa come linea genetica. Mi ha impressionato l’intervista di una studiosa italiana che era molto famosa perché aveva vinto il Nobel per la medicina, Rita Levi Montalcini 3 . Lei aveva fatto degli studi sulle proteine del cervello e dice che alla fine quello che conta non è tanto la genetica quanto quella parte della genetica che chiamiamo epigenetica, che si può riassumere come lo studio del colloquio, della relazione dei geni con l’ambiente circostante. Quello ci determina più della genetica, quell’ambiente dove tu vieni messo al mondo dialoga con te. Per dire questo, riempire gli spazi da parte del lettore per me è fondamentale, se non accadesse mai per me sarebbe un libro fallito. D.: Mi sembra importante evidenziare che lasci fuori il giudizio, cioè non accusi. Riesci a rimanere neutro lasciando al lettore lo spazio per fare la sua personale valutazione dei personaggi che si trova davanti. Di Paolo Ma guarda, era molto semplice anche scrivere un libro, non dico di accusa, ma di risentimento, cioè di rancore, perché io comunque conosco storie di figli adottivi che ovviamente mettendosi sulle tracce dei loro genitori hanno sentito addirittura un duplice rancore, nei confronti di chi li aveva adottati e di chi li aveva abbandonati. Ciò diventa qualcosa di devastante nella vita di una persona; infatti, magari tu cerchi le tracce dei tuoi genitori però poi ti accorgi che quelli 3 Neurologa italiana (1909-2012), premio Nobel 1986. «Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo 7 hanno scelto un’altra strada, che forse tante volte c’è proprio un mancato riconoscimento, anche in ritardo, e un po’ accusi quelli che ti hanno adottato perché ti sembrano degli usurpatori. Quindi il modo in cui ho guardato quelle vite è proprio quello della totale assenza di giudizio. Perché è una questione che riguarda te, di pacificazione anche. Ma in realtà è sempre una questione letteraria, cioè se tu la vuoi estendere letterariamente credo che lo scrittore sia tenuto a non giudicare i suoi personaggi. Anche se io avessi raccontato la più squallida, la più terribile delle storie, il giudizio non spetta a me, spetta al lettore. Anzi, credo che il lettore intelligente riesca ad affiancarsi a me nel non giudicare, che non vuol dire non avere una morale o una visione del mondo; vuol dire non essere un tribunale della coscienza. In una presentazione del libro una signora ha detto, «queste donne che mettono al mondo dei figli e poi non li vogliono non le capisco». Cosa vuol dire «non le capisco»? È chiaro che è una scelta estrema da un certo punto di vista, che tu metti al mondo qualcuno e poi lo abbandoni, ma nel 99 % dei casi sarà stata anche dolorosa, sarà stata anche straziante, sarà stata che questa, anche se era la persona più disperata al mondo, avrà sentito un rimorso, o magari è morta nel momento stesso del parto. Quello che tu puoi contemplare come ipotesi dovrebbe metterti nella condizione per l’appunto di aprirti a quelle esistenze senza arrivare a una condanna oppure a un’assoluzione. Però credo che oggi veramente, in Italia io lo sento tantissimo, i lettori ma anche gli spettatori delle serie tv e del cinema non riescono tante volte ad accettare la complessità delle cose e devono per forza rassicurarsi, ridurla a un giudizio. D.: In un tuo articolo, rispondendo a delle critiche a riguardo di un personaggio del romanzo Dove eravate tutti 4 , citi gli inetti sveviani che sono stati soggetto di giudizio in questo senso… Di Paolo Ecco, uno può crederci ancora nella letteratura se ti costringe a fare quello che non fai mai, cioè a metterti in contatto con una realtà talmente diversa dalla tua, dalle tue convinzioni, dalle tue certezze, che mette in discussione almeno per un’ora o due tutto il tuo paesaggio di certezze. Visto che questa cosa, secondo me, istintivamente non siamo portati a farla, perché ciascuno è confinato nella propria visione del mondo, nel proprio giudizio etico/ politico sulle cose, la letteratura dovrebbe proprio tentare di pungolare e qualche volta proprio di sovvertire la tua sicurezza 4 Dove eravate tutti , Milano: Feltrinelli 2011. Si fa riferimento ad un testo di Paolo Di Paolo dal titolo «Processo al personaggio», uscito su Il Sole 24 ore , 23/ 10/ 2011 (reperibile su paolodipaolo.it). «Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo 8 sulle cose. Non sempre i lettori riescono a farlo, però quando molti lettori, soprattutto molte lettrici mi hanno detto che in questo libro [ Lontano dagli occhi ] sentivano che verso quelle madri non c’era nessuna condanna, c’era un tentativo di comprensione, questa cosa mi ha emozionato. Forse qualche volta passa l’idea che tu puoi accettare l’umano senza necessariamente diventare un giudice. Ora io non volevo diventare nemmeno un giudice delle mie potenziali madri, perché è vero che loro hanno fatto una scelta che comunque ti lascia un po’ atterrito, spiazzato, potrebbe lasciarti persino un po’ risentito perché dici «perché mi hai abbandonato». Forse è la cosa più inaccettabile l’abbandono, ti ferisce perché sembra proprio che stia negando la tua identità di persona. Devi fare un percorso, qualche volta serve l’analisi, qualche volta ce la fai da solo, io credo che la scrittura in questo senso mi abbia aiutato. Però arrivo alla fine a dire: va bene, Luciana, Valentina, Cecilia, chiunque sia, non riesco a giudicarvi, non riesco a condannarvi. D.: C’è un riferimento a questo ragionamento anche nel titolo? Di Paolo Il titolo si riferisce ad un proverbio in Italia che tutti i lettori italiani riconoscono e completano istintivamente ‘lontano dagli occhi, lontano dal cuore’. In realtà il libro dice il contrario perché non è detto che la lontananza dallo sguardo, la distanza dallo sguardo implichi una distanza dai sentimenti. Allora io ho sempre pensato che queste madri un giorno, un’ora, magari per tutto il tempo abbiano pensato «chi è quel ragazzino? Chi è diventato? Chi può essere? Che faccia ha? Che vita fa? », allora non è detto che quella lontananza sia una negazione. C’è anche una canzone di Sergio Endrigo, che fa ‘lontano dagli occhi, lontano dal cuore’, quindi in realtà in Italia, quando leggono ‘lontano dagli occhi’, pensano subito a quella canzone del 1969. Diciamo che è talmente un titolo comunicativo che completandolo mentalmente tu arrivi a una verità che io invece smentisco per tutto il libro. D.: Questo proverbio c’è anche in tedesco: ‘Aus den Augen, aus dem Sinn’, che in italiano sarebbe ‘lontano dagli occhi, lontano dalla mente’. Di Paolo Sì, però ‘lontano dalla mente’ sembra troppo ‘lontano dal senno, dalla razionalità’ più che dai sentimenti. 5 5 Per questo motivo la traduzione tedesca del libro porta il titolo Und doch so fern . V. bibliografia. «Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo 9 D.: Posso chiederti se questa cosa del non giudicare e di lasciare anche al lettore stesso lo spazio di non giudicare e di trarre le sue conclusioni è anche il motivo per il quale non hai rivelato alla fine chi è effettivamente la madre che ha abbandonato il figlio? Di Paolo Sicuramente sì. Era anche fedele al mio non sapere, non ho mai fatto quella ricerca, ho solo immaginato. La condizione in cui metto il lettore è la mia stessa. In più quelle sono donne - non dico che questa può essere un’autocritica però una coscienza, se vuoi, di un dato discutibile del libro - un po’ stereotipiche. Spero non proprio stereotipi in senso meccanico, però rappresentano delle situazioni, delle categorie. Non potevo che fare così, ti viene in mente una ragazzina che non poteva gestire un bambino a quell’età, ti viene in mente una ragazza magari borderline, può essere anche una che è morta per parto; infatti, anche l’ombra della morte per parto è presente, e infine volevo anche, che poi è la prima storia, quella più difficile, quella più aspra, la storia di una donna che sarebbe nelle condizioni di tenere un bambino ma qualcosa le impedisce di voler essere madre. D.: Il libro è ambientato nel 1983. Si può vedere quello che racconti anche nel contesto della discussione sul ruolo della madre, un riflettere se veramente può essere considerato un problema o meno che non tutte le ragazze sentono il bisogno di diventare madri? Di Paolo Per molti uomini (forse anche per molte donne di altre generazioni) è scontato ancora oggi, in Italia, che una donna debba avere un istinto materno. L’idea retrograda è che una donna che non diventa madre non si sia realizzata. Ma questo è assurdo. E chiama in causa, naturalmente, lo sguardo giudicante dei maschi. Forse anche per questo a un certo punto ho pensato che l’incipit definitivo del romanzo dovesse riguardarli. Così, ho deciso di partire da questi padri 'slegati', poco lucidi, poco responsabili ... D.: Tornando un attimo al tema dell’autobiografismo, qual è il tuo rapporto con Italo Calvino? Ad un certo punto del romanzo parli implicitamente di Palomar . 6 6 Italo Calvino, Palomar , Torino: Einaudi 1983. «Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo 10 Di Paolo Sono molto contento che tu l’abbia notato. Palomar è l’ultimo libro di Calvino che esce nell’ ’83 e quindi nel periodo in cui la mia storia è ambientata era nelle vetrine. Non è che l’ho messo in modo posticcio ma ho avuto la scena davanti agli occhi di uno che passa davanti a una vetrina e vede questo libro di un autore italiano importantissimo che è il suo ultimo libro. Palomar è il nome di Mount Palomar, un monte in California, dove c’è un osservatorio astronomico. In più in Palomar c’è, e questo ovviamente nel mio libro non è esplicito, anche questo tratto autobiografico, di camuffamento, però, dell’autobiografia. Tant’è vero che forse è il più autobiografico dei suoi libri. D.: Calvino stesso l’ha detto… Di Paolo Allora io potrei dire la stessa cosa di questo mio libro, è proprio il più autobiografico, e non si rivela come il più autobiografico che è lo stesso meccanismo che c’è in Palomar . Qualche volta i libri che meno apertamente si manifestano come autobiografia sono per paradosso i più autobiografici, perché nel momento in cui tu ti inventi quell’io a tua misura e ci giochi stai anche costruendo un personaggio di te stesso. Carrère è un caso interessante, Emmanuel Carrère 7 , lo scrittore francese, dove tu ti accorgi che lui parla di sé però quella è anche una finzione letteraria in qualche modo, ti vuole turbare, ti vuole provocare, è veramente Carrère? Ecco, intendo questo tipo di libri proprio perché in apparenza non sembrano connessi con la vita dell’autore invece lo rivelano in modo molto più aperto, molto più doloroso. D.: L’aspetto autobiografico sta anche nel modo di guardare… Di Paolo …esatto, il suo modo di guardare. D.: C’è una frase verso la fine del romanzo per cui mi sono accorta che è, forse, autobiografico: «Qualcuno, per me, ne ha scelto uno [un nome], senza sapere che più tardi si sarebbe agganciato a un cognome che lo ribadiva.» 8 7 Scrittore, sceneggiatore, regista, nato nel 1957 a Parigi. 8 Paolo Di Paolo, Lontano dagli occhi , Milano: Feltrinelli 2019, p. 179. «Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo 11 Di Paolo Il nome che richiama il cognome. Ecco, quello l’hanno notato in tre tra mille lettori … D.: La storia, come abbiamo detto, ha luogo negli anni Ottanta, e questo contesto è presente nel libro, per esempio attraverso le canzoni. Nella versione tedesca è stata aggiunta alla fine anche una ‘playlist’ che invece nella versione italiana non troviamo. Questa presenza della musica mi ricorda, però, un romanzo di Pier Vittorio Tondelli, un romanzo chiave degli anni Ottanta dal titolo Rimini 9 , in cui troviamo alla fine una pagina con una soundtrack. Di Paolo Sì, infatti la playlist aggiunta nella versione tedesca in qualche modo richiama Tondelli, che io apertamente cito perché a un certo punto Luciana sta leggendo Pao Pao che è un libro di Tondelli. 10 Anche quella è una cripto-citazione perché un libro fondamentale per me per ricostruire gli anni Ottanta è stato un libro di Tondelli, Un weekend postmoderno 11 , che è una raccolta di testi sugli anni Ottanta. In Italia non abbiamo fatto questa cosa della playlist scritta, però avevo messo su Spotify una playlist quando uscì il libro. Alla fine, il gioco era proprio questo, se tu devi ricostruire un clima hai bisogno delle canzoni. Il primo forse ad autorizzare nella letteratura italiana contemporanea italiana questo rapporto con gli oggetti pop, cioè con la canzone, il cinema, la televisione è stato forse Tondelli stesso, lui guardava i nuovi scrittori, guardava i giovanissimi, guardava gli under 25. Quando fa quella antologia molto importante che si chiama Under 25 12 , chiede alle ragazze e ai ragazzi di quegli anni di raccontare la loro vita, ma di raccontarla con tutti gli oggetti che la compongono, quindi la pubblicità, le icone pop, la musica. Quindi anche quella playlist che sembra un gioco è un modo per dire che un’epoca la ricostruiamo anche attraverso cose che entrano nella nostra vita e la orientano, la scaldano. Per me Tondelli è stato fondamentale per varie ragioni, ma anche per il fatto che, scrivendo molto sui giornali, pur non essendo un giornalista in senso stretto, quella lezione di Tondelli è fondamentale, cioè di uno che, come scrittore, 9 Pier Vittorio Tondelli (1955-1991) esordisce nel 1980 con Altri libertini (Milano: Feltrinelli). Il suo romanzo Rimini è uscito nel 1985 presso Bompiani (Milano). 10 Pao Pao , Milano: Feltrinelli 1982. 11 Pier Vittorio Tondelli, Un weekend postmoderno. Cronache degli anni Ottanta , Milano: Bompiani 1990. 12 Sono uscite tre antologie del progetto «Under 25»: Giovani blues (1986), Belli & perversi (1987), Papergang (1990). «Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo 12 si espone a tutti i segmenti della realtà, e Un weekend postmoderno è per me un modello in questo senso. Va a un concerto rock, poi a una mostra di arte contemporanea, va a vedere una prima cinematografica, va a un raduno di amanti della motocicletta, qualsiasi cosa può entrare nell’orizzonte di uno scrittore, non esiste un confine tra te e quei pezzi di mondo. Il problema è proprio lo sguardo, è il tuo sguardo che fa la differenza, è sempre il modo come guardi le cose. Penso che quello che tu fai come giornalista entra in modo imprevedibile nella dimensione del romanzo. Qualunque cosa può entrare, non è che quella cosa ti depaupera o ti svilisce. D.: Un contesto tutto diverso è toccato con la citazione di Paul Davies 13 che si riferisce alle «due vite» di cui parli nel libro… Di Paolo Secondo me è legato anche a quello che si potrebbe definire una dimensione di cosmogonia o comunque di attenzione al cosmo. Sicuramente il personaggio dell’infermiere, che è un piccolo personaggio ma importante, quando alla fine del libro ha quel bambino fra le braccia, quel bambino che è stato abbandonato, ad un certo punto lo assimilo ad un alieno nel senso proprio dell’extraterrestre. Questo sguardo al cosmo, all’idea che possa arrivare una presenza aliena da un altrove, mi ha spinto a ragionare proprio sulla dimensione delle vite altre, delle vite che non conosciamo. Non però in termini di ufologo, quelli che hanno la passione per gli ufo e gli extraterrestri in cui diventa tutto un po’ ridicolo, ma nel senso che noi abbiamo un’unica certezza nell’universo e cioè che è quasi sicuro che ci siano altre forme di vita. Questo mi ha molto affascinato perché ho pensato che in qualche misura quell’essere alieni, essere estranei, quell’essere provenienti in qualche misura da un altrove, poi precipitati in questa vita su questo pianeta mi sembrava che creasse una parentela interessante. La Vita 2 mi è venuta in mente proprio leggendo quel brano di Davies, mi è sembrato illuminante perché c’è una vita prima del tempo reale, del tempo materiale. Basti pensare al fatto che tutti transitiamo da un utero materno, quello è un tempo strano, non dico fuori dal tempo ma precedente al tempo reale; quindi, anche 13 «una forma di vita che ci è sconosciuta: ‘vita strana’, come qualcuno la chiama, o ‘vita 2’. […] La vita 1 e la vita 2 potrebbero abitare regioni non sovrapposte o essere confinate in range differenti di un determinato spazio» / «representatives of life as we do not know it - ‘weird life’, as it is sometimes called, or ‘Life 2’. […] Life 1 and Life 2 might inhabit ono-overlapping regions or be restricted to different ranges of a particular parameter space» (da Paul Davies, A Cosmic Imperative: How Easy Is It For Life To Get Started? , in: Aliens, Science Asks: Is There Anyone Out There? , London 2016, citato da Paolo Di Paolo, Lontano dagli occhi , cit., p. 173). «Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo 13 quello in fondo è una prima vita a cui poi segue una vita due. Prima siamo stati un ammasso di cellule, siamo stati qualcosa di più, poi un feto e in quel buio del ventre materno esisteva già in qualche modo il tempo, ma scorreva in modo completamente diverso e senza coscienza. Era un po’ questo il gioco, cioè capire che questa vita è fatta da tante vite; uno potrebbe anche dire vita due, vita tre, vita quattro, forse ogni volta che sentiamo una cesura, uno scarto, dopo un lutto, dopo un trauma, dopo un incidente a cui sopravvivi, uno può pensare che quella sia la vita tre, la vita quattro. Mi sembra che questa idea della vita due possa essere allargata a tante prospettive, come se la vita non fosse compatta come noi crediamo che sia. D.: Quindi l’idea di «vita 2» un po’ si ricollega anche al concetto della costruzione della vita, o di una vita che non è propriamente determinata, ma dove ci sono momenti in cui tu stesso la crei? Di Paolo Penso di sì. Non è che ho delle idee chiare, altrimenti rischio di fare il filosofo che non sono. Noi entriamo in un mistero, alla fine uno può credere/ non credere in Dio o in altre forme di spiritualità, ma quello che devi accettare, anche se uno si dichiarasse ateo, è che è tutto incredibilmente misterioso e quindi il fatto stesso di esserci in un certo modo, in un certo tempo, dentro un certo spazio, tutto mi sembra come una sequenza di misteri che si mettono in una sorta di dominio casuale. E allora vedi che Vita 2 è come una specie di… per usare un’immagine propria della filosofia pascaliana o comunque della filosofia della tradizione moderna… è come tirare i dadi. C’è qualcuno che tira i dadi e viene fuori un numero, una cabala, una sequenza. Da un certo punto di vista il punto fondamentale, il punto di aggregazione di tante teorie, di tante visioni è proprio questa imprevedibilità dei destini, questa multi-formità. Per cui io non credo alla reincarnazione, ma mi affascina l’idea che uno possa reincarnarsi in un’altra forma di vita: sei stato questa cosa qui e poi ne sarai un’altra. È bello come concetto, non so se riesco a crederci ma mi affascina comunque. D.: Questo discorso mi fa pensare al motto che hai inserito all’inizio del romanzo, preso da E.M. Forster, quasi come un motto poetologico, dici che tutto è visto dall’esterno, il neonato potrebbe raccontarci la verità e invece non è possibile perché non c’è un modo per comunicare con lui. Forster dice: «[The novelist] «Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo 14 knows all the hidden life» 14 . Non solo indica la ricerca del narratore, ma si riferisce anche alla funzione che la lettura ha per ognuno di noi. Di Paolo Ci sono, secondo me, due aspetti: uno è che quell’epigrafe di Forster dice al lettore - non lo dice in modo trasparente però glielo dice - ‘guarda che questo è anche un libro su che cosa significa scrivere, cioè su che cosa significa la letteratura’. Infatti, nelle recensioni italiane qualcuno ha notato che c’è un atto di fede nelle possibilità della letteratura ed il fatto è che questo libro è anche un libro sulla letteratura intesa come possibilità di immaginare e di far esistere ciò che non esiste o esiste solo in una forma non concreta. Il secondo punto, proprio perché è una conferenza sulla scrittura, è che sono rimasto molto colpito da quella frase di Forster quando dice che la lingua dei trapassati, dei morti, dei neonati, quindi la lingua del cadavere, la lingua del neonato, non ci arriva perché non è in sintonia con il nostro ricevitore. 15 È affascinante perché è come se dicesse che potrebbero parlarci, potrebbero dirci qualcosa, perché loro conoscono il prima e il dopo, conoscono il niente del buio che precede, il niente del buio che segue, però non possono raggiungere le nostre orecchie perché le nostre orecchie non riescono a percepirli. La trovo incredibile come osservazione perché è come se lui delegasse all’artista, al poeta, allo scrittore questo ruolo di costruire un ricevitore ideale capace di percepire le frequenze dei morti e dei vivi, o degli appena nati, cioè di tutto quel mondo di umanità che non può esprimersi. E allora ho pensato che nell’ultima parte del libro è come se parlasse il neonato, poi diventa bambino, poi diventa più che bambino, poi diventa adolescente, poi diventa l’autore che adesso sono. Quando cerco di infilarmi nella situazione dell’infermiere che tiene in braccio il bambino, ho cercato di raccontarla come se anche il bambino fosse dentro quella storia e percepisse qualcosa. C’è una scena in cui si dice che il neonato percepisce appena appena i movimenti intorno alla culla, percepisce i rumori, trova famigliare una voce, immediatamente. E poi immediatamente la sua memoria cancella, quindi anche il tentativo di stare su quegli istanti dalla prospettiva del neonato, è proprio legato a questa idea che Forster ha, secondo me molto alta, molto fiduciosa della letteratura; ovvero che la letteratura possa dire l’indicibile, possa far parlare i morti che è molto frequente nella letteratura, ma possa anche sentire come sente 14 E. M. Forster, Aspects of the novel [1927], edited by Oliver Stallybrass, Harmondsworth: Penguin 1985, p. 58. 15 «But it is all from the outside, and the two entities who might enlighten us, the baby and the corpse, cannot do so, because their apparatus for communicating their experiences is not attuned to our apparatus for reception» (Forster, cit., p. 57-58). «Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo 15 un neonato o qualunque altra forma vivente che non è in grado di esprimersi secondo il linguaggio costituito. D.: Può essere una metafora non solo per lo scrivere ma anche per il leggere. Il lettore può andare oltre la storia e collegarsi ad altri mondi. Di Paolo Sì, credo che il rovescio sia sempre quello perché, se fosse solo una riflessione che riguarda chi scrive escluderebbe chi legge, ma il lettore per me è sempre uno che riscrive, cioè, come stiamo vedendo anche adesso, alla fine il lettore che sia più o meno attrezzato è un ri-scrittore, nel senso che tutto ciò che lo scrittore gli ha messo di fronte lui lo riscrive facendolo aderire alla sua esperienza del mondo, alla sua visione, alle sue domande. È come se uno dovesse concludere dicendo che possiamo trovarci su una linea di interpretazione comune, ma se andassimo al fondo di ciascuna lettura, cosa che però non possiamo fare se non astrattamente, le interpretazioni sarebbero così flessibili tanto da dire che quel libro esiste tante volte quante è stato letto. Penso che la riflessione sulla scrittura si completi sempre e solo nella riflessione sulla lettura. D.: Forse è dovuto anche al fatto che lo scrittore deve fare delle scelte di fronte a quel «mare della realtà» 16 . C’è anche un riferimento alla memoria leopardiana? Di Paolo Per me Leopardi è stato un autore fondamentale, nel senso che fin da ragazzino quando ho cominciato a scrivere le prime cose ero molto affascinato non solo dal Leopardi poeta ma anche da un Leopardi meno conosciuto, ovvero un Leopardi in prosa. Ad un certo punto, per esempio, negli anni dell’università ho scoperto Le Operette Morali, opera molto complessa che proprio per questo motivo non viene studiata a scuola. È un Leopardi in prosa che si fa delle domande sullo stare al mondo. C’è una prima operetta morale che si chiama Storia del genere umano in cui è come se lui si confrontasse con l’universo nella sua grandezza, con la natura nella sua anche inquietante presenza. E questo mare della realtà, certo, è come se fosse quell’infinito che lui vede al di là della siepe e a questo sicuramente ho pensato quando ho riletto quel verso famosissimo che recita «il naufragar m’è dolce in questo mare». Quindi lui ha davanti non il mare, ma ha 16 «Il mare della realtà è lì, immenso, stupefacente e spaventoso. Si increspa appena, come per il lancio di un sasso. Il sasso sono io, sei tu» (Paolo Di Paolo, Lontano dagli occhi , cit., p. 176). «Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo 16 davanti una realtà non liquida in qualche modo. Sono stato a Recanati nelle Marche a vedere ciò che lui vede, e vede un orizzonte, vede un verde, vede il cielo, non vede direttamente il mare, lo vede molto lontano, è una striscia lontana. È chiaro che il mare è una metafora ed è in particolare una metafora della vastità del reale. È sempre stata molto presente per me questa immagine del naufragio nell’infinito del reale e la tensione che c’è in quel verso, che amo moltissimo ovviamente, questa solitudine, questa capacità di visione che ti salva per certi versi perché sei lì da solo ma vedi, vedi qualcosa che magari non tutti vedono e quindi quel naufragio è tuo, ma nel momento in cui trova le parole si dilata e coinvolge anche chi lo legge. Quindi è sicuramente presente questa memoria leopardiana. D.: Antonio Tabucchi ha scritto che il tuo stile è esemplare per una nuova generazione di romanzieri, ti ritrovi in questa affermazione? 17 Di Paolo Non credo di poterlo confermare perché mi sembrerebbe anche presuntuoso. È evidente che Tabucchi, con il quale ho collaborato, è stato una presenza fondamentale nella mia vita, così come Claudio Magris. Diciamo che ho avuto la fortuna di conoscere e di cercare una relazione, l’interlocuzione, il dialogo con scrittori di altre generazioni. Ho iniziato praticamente ancora prima di cominciare a scrivere cose mie a fare delle interviste e dei libri-conversazione, per esempio con Dacia Maraini, Raffaele La Capria, Tabucchi, Andrea Camilleri, Antonio Debenedetti, che è uno scrittore figlio di un critico della poesia italiana del Novecento molto importante di nome Giacomo Debenedetti, Magris eccetera. Allora in qualche modo questo dialogo con gli scrittori delle altre generazioni ha fatto parte non solo della mia formazione personale ma anche del mio modo di interpretare una staffetta che deve esserci fra le generazioni. Tra l’altro, anche se c’è una distanza anagrafica significativa - sto parlando di autori nati negli anni ’30 o addirittura negli anni ’20 come La Capria -, pur essendo nato negli anni ’80, ho sempre pensato che ci fosse una possibilità di dialogo, e questa possibilità di dialogo poi ha prodotto dei libri ma ha anche prodotto, e questa è stata la parte fortunata se vuoi di tutto il mio itinerario, da parte di alcuni di loro uno sguardo benevolo o comunque attento nei miei confronti, vale per Dacia Maraini, per Tabucchi, per Magris e altri. Io non posso assecondare la loro generosità non 17 «vedo con piacere che i giovani (e anche i meno giovani) scrittori italiani continuano a scrivere romanzi. O qualcosa che appartiene al genere che per convenzione definiamo ‘romanzo’ e che naturalmente non ha niente a che vedere con la creatura di cui si piange la futura scomparsa, essendo costei defunta da tempo per cause naturali.» Antonio Tabucchi su La Repubblica , 7/ 9/ 2001 (citato da paolodipaolo.it). «Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo 17 riconoscendola con gratitudine, però non posso dire se sono d’accordo o non d’accordo. Quello che dico è che mi ha molto molto commosso, quel pezzo di Tabucchi che tu hai citato, quando l’ho visto pubblicato sulla Repubblica , sono rimasto ovviamente molto toccato. Quello che posso confermare è che ho cercato sempre delle strade che non fossero prevedibili, non nuove nel senso dell’avanguardia o della sperimentazione esagerata, estremistica - in fondo anche Lontano dagli occhi è un libro molto tradizionale, almeno in apparenza, soprattutto nella prima parte -, ma ho sempre cercato, con tutto quello che ho scritto, di fare in modo che ogni romanzo fosse diverso dall’altro, perché ogni volta mi ponevo una diversa sfida formale o contenutistica. Un’altra cosa che è ancora più importante è che la componente narrativa fosse un pretesto per sviluppare anche un nucleo saggistico, di interrogazione del mondo. Detto in altri termini, ogni romanzo… almeno i quattro più significativi pubblicati con Feltrinelli in Italia 18 , sono quattro romanzi molto diversi tra loro. Dove eravate tutti è quello a cui fa riferimento Tabucchi, usa i ritagli di giornale, delle componenti grafiche particolari, è un romanzo che può sembrare anche apparentemente più sperimentale proprio da un punto di vista grafico. Mandami tanta vita è un romanzo ambientato negli anni ’20. Una storia quasi solo d’amore è raccontato in prima persona da una donna che - si capisce alla fine, per ritornare a quello che dicevamo di Forster - non c’è più ed è quindi raccontato da una persona che è già al di là. Non si capisce fino in fondo, uno può anche non essere sicuro che sia così ma nella mia intenzione c’è l’idea che lei stia raccontando da un altrove, un altrove laico, non altrove cristiano o specifico, ma da una oltre-vita e cioè da un tempo che non è questo tempo. Perciò se tu li prendi tutti e quattro, la linea che li tiene insieme è che ciascuno ha un nucleo saggistico, una sorta di esperimento per cui il romanzo non è fine a sé stesso, non è solo una storia, ma attraverso una storia pone delle questioni di ordine etico-politico (nel caso di Dove eravate tutti e Mandami tanta vita ), di questioni esistenziali (nel caso di Una storia quasi solo d’amore ) ma spirituali, perché parla di spiritualità, e in Lontano dagli occhi , come abbiamo detto, ci sono molte questioni come per esempio il rapporto con le radici. Ma io non accetterei mai l’idea di scrivere un romanzo se non fosse guidato anche da un’interrogazione di tipo saggistico. Un romanzo per me è sempre un materiale spurio, impuro, in dialogo con qualcos’altro, in dialogo con delle possibilità di espressione saggistica perché credo che il romanzo sia uno strumento e non sia un qualcosa che basta a sé stesso e quindi tendo sempre a renderlo ibrido. 18 Dove eravate tutti , Mandami tanta vita , Una storia quasi solo d’amore e Lontano dagli occhi . V. bibliografia. «Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo 18 Per paradosso Lontano dagli occhi , almeno per tre quarti del libro, è il più tradizionale dei miei romanzi, perché scorrono tre storie, però se pensi a quello che succede nell’ultimo piccolo pezzo è come se poi sovvertisse tutto l’equilibrio complessivo di quel libro. Se io mi fossi fermato prima della pagina nera sarebbe stato un romanzo bello o brutto, non importa, però un romanzo. Invece quelle ultime 15/ 20 pagine fanno la differenza perché ti danno una chiave di lettura. Infatti, ero quasi preoccupato quando è uscito il libro perché molti avendo letto i miei libri precedenti, che erano meno tradizionali se vuoi, avranno pensato «ma perché questo si mette a raccontare tre storie di gravidanze». Non si capisce, perché le racconta in modo parallelo e comunque in modo abbastanza tradizionale e temevo che il lettore potesse fermarsi prima. Se tu non arrivi alla pagina nera, e quindi a quello che viene dopo, l’idea che ti sei fatto del libro può essere completamente diversa da quella che ti fai nelle ultime pagine. Tant’è vero che un mio quasi coetaneo, Paolo Giordano, 19 che è un autore molto tradotto e letto - siamo abbastanza amici e come succede fra scrittori uno fa leggere in anticipo per farsi dare dei pareri, e mi ricordo che il libro stava per uscire, era l’estate del 2019 - in una telefonata mi disse che, secondo lui, avrei dovuto mettere l’ultima parte all’inizio del libro perché quell’ultima parte consente di capire che libro è questo, altrimenti lo capisci troppo tardi. Ho passato almeno due-tre giorni a pensare se effettivamente potesse avere ragione, ma ho pensato che se avessi messo l’ultima parte all’inizio poi tutto quello che veniva dopo era insignificante e quindi ho lasciato così il libro a mio rischio e pericolo. Ho sperato che il lettore - per fortuna molti mi hanno restituito questo - arrivasse fino in fondo. L’importante è che il lettore accetti un patto con lo scrittore e che cioè si fidi di dove lo scrittore vuole portarlo, ma se tu ti fermi prima vuol dire che quel libro ti sta lasciando un’immagine molto parziale e forse anche un po’ strana rispetto, ribadisco, al mio percorso. Quindi ogni volta, come nel romanzo che sto scrivendo, mi pongo una sfida cognitiva, una sfida di conoscenza, una sfida quindi che teoricamente potrebbe anche produrre un saggio al posto di un romanzo. D.: Una storia quasi solo d’amore , secondo me, dialogava molto con il teatro. Di Paolo Molto, moltissimo. La sfida era quella di costruire un romanzo che avesse una sorta di impianto teatrale. Alla fine del libro c’è una locandina dello spettacolo teatrale che viene messo in scena e mi pare che l’abbiano riportata anche nel- 19 Paolo Giordano, nato nel 1982 a Torino, ha vinto il premio Strega e il Premio Campiello Opera prima con il suo romanzo esordiente dal titolo La solitudine dei numeri primi (Milano: Mondadori 2008). «Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo 19 l’edizione tedesca, una specie di manifesto dello spettacolo, perché volevo che si creasse una dimensione metaletteraria, e cioè lo spettacolo che viene messo in scena all’interno del libro ha una sua espressione, una sua istantanea nel manifesto alla fine del libro. Questo tipo di gioco, come la pagina nera in Lontano dagli occhi , come i pezzi di giornale in Dove eravate tutti , come i caratteri tipografici in Mandami tanta vita che ad un certo punto in chiave quasi futurista invadono la pagina, tutte queste situazioni che io creo, anche da un punto di vista grafico, sono un modo di dire al lettore che questa non è solo una storia ma è anche una riflessione sulla storia che in qualche modo contiene anche quel nucleo di saggio o di sfida stilistica che voglio che il lettore percepisca. Ci sono scrittori molto più bravi di me, questo lo dico sinceramente, a raccontare delle storie pure, delle storie avvincenti. Io non ho scritto mai un libro, perché non sono capace, con una storia avvincente in senso pieno, cioè quel tipo di storia fatta di colpi di scena che ti tiene lì. Allora se tu resti lì sui miei libri è perché ti interessa capire dove vado, dove ti sto portando, ma non perché ti sto raccontando una storia travolgente dal punto di vista della trama. Se ci pensate, le trame dei miei libri sono molto esili, alla fine le puoi riassumere in una riga, tutte, non c’è differenza tra libro e libro. Cosa racconto? Una robetta da due righe. Il modo in cui la racconto è più importante. Opere di Paolo Di Paolo Romanzo senza umani . Milano: Feltrinelli 2023. Trovati un lavoro e poi fai lo scrittore, Milano: Rizzoli 2023. Il giorno in cui la letteratura morì , Viterbo: Tetra 2023. I desideri fanno rumore, Milano: Giunti 2021. Montanelli. Vita inquieta di un anti-monumento, Milano: Mondadori 2021. I classici compagni di scuola, Milano: Feltrinelli 2021. Quello che possiamo imparare in Africa (con Dante Carraro), Roma-Bari: Laterza 2021. Svegliarsi negli anni Venti, Milano: Mondadori 2020. Sold out, Roma-Bari: Laterza 2019. Lontano dagli occhi, Milano: Feltrinelli 2019. Traduzione tedesca: Und doch so fern . Aus dem Italienischen von Christiane Burkhardt, Freiburg: nonsolo Verlag 2022. Esperimento Marsiglia, EDT 2019. La classe operaia va in paradiso , drammaturgia a cura di Paolo Di Paolo per spettacolo teatrale. Liberamente tratto dal film di Elio Petri, Roma: Luca Sassella editore 2018. Papà Gugol , Milano: Bompiani 2017. Vite che sono la tua. Il bello dei romanzi in 27 storie, Roma-Bari: Laterza 2017. Una storia quasi solo d’amore, Milano: Feltrinelli 2016. Traduzione tedesca: Fast nur eine Liebesgeschichte . Aus dem Italienischen von Christiane Burkhardt, Freiburg: nonsolo Verlag 2019. Tempo senza scelte, Torino: Einaudi 2016. «Immaginare una vita alle spalle»: A colloquio con Paolo Di Paolo 20 Istruzioni per non morire in pace , Roma: Edizioni di Storia e Letteratura 2015. La Divina Commedia , raccontata da Paolo Di Paolo, illustrata da Matteo Berton, Roma: La Nuova Frontiera Junior 2015. Giacomo il signor bambino , illustrazioni di Gianni De Conno, introduzione Mario Martone, Macerata: Rrose Sélavy Editore 2015. Viaggio a Roma con Nanni Moretti , Milano: Bompiani, 2016 (1 a ediz. Roma: Lozzi Publishing 2015). Raccontami la notte in cui sono nato, Milano: Feltrinelli 2014 (1 a ediz. Roma: Giulio Perrone Editore 2008) Perché non sono ancora. La resurrezione , Cantalupa: Effatà Editrice 2014. La mucca volante , Milano: Bompiani 2014. Tutte le speranze. Montanelli raccontato da chi non c’era , Milano: Rizzoli 2014. (a cura di) Ci ha raccontati come nessuno. Fellini visto dagli scrittori , Roma: Empirìa 2013. Piccola storia del corpo , con Alma Gattinoni e Giorgio Marchini, Roma: Giulio Perrone Editore 2013 (1 a ediz. Roma: Edilet 2008). Mandami tanta vita , Milano: Feltrinelli 2013. La fine di qualcosa. Scrittori italiani tra Novecento e Duemila , Roma: Giulio Perrone Editore 2012. La miracolosa stranezza di essere vivi , Milano: Feltrinelli 2012 (eBook). Dove eravate tutti , Milano: Feltrinelli 2011. I libri sono figli ribelli. Tappe e segreti dell’avventura editoriale , Roma: Giulio Perrone Editore 2011. Scusi, lei si sente italiano? , con Filippo Maria Battaglia, Roma-Bari: Laterza 2010. Dove siamo stati felici. La passione dei libri , Napoli: Filema Edizioni 2009. Questa lontananza così vicina, Roma: Giulio Perrone Editore 2009. Raffaele La Capria. Risalire il vento , Courmayeur: Liaison editrice 2008. Queste voci queste stanze. Conversazioni con Paolo Di Paolo , con Elio Pecora, Roma: Empirìa 2008. Ogni viaggio è un romanzo. Libri, partenze, arrivi , Roma-Bari: Laterza 2007 . Come un’isola. Viaggio con Lalla Romano (1906-2006) , Roma: Giulio Perrone Editore 2006. Ho sognato una stazione. Gli affetti, i valori, le passioni , con Dacia Maraini, Roma: Laterza 2005. Un piccolo grande Novecento , con Antonio Debenedetti, San Cesario di Lecce: Manni 2005. Nuovi cieli, nuovissime carte , Roma: Edizioni Empirìa 2004.