eJournals Italienisch 45/89

Italienisch
ita
0171-4996
2941-0800
Narr Verlag Tübingen
10.24053/Ital-2023-0005
61
2023
4589 Fesenmeier Föcking Krefeld Ott

Senso del tattoo e percezione di realtà nelle versioni in rima di Bernardo Giambullari e di Bartolomeo Davanzati della Novella del Grasso legnaiuolo

61
2023
Rebecca Bardi
Dieser Aufsatz analysiert den Zusammenhang zwischen Tastsinn und Realitätswahrnehmung in zwei Gedichten von Bernardo Giambullari und Bartolomeo Davanzati, die der Novella del Grasso legnaiuolo (Novelle des fetten Holzschnitzers) gewidmet sind. Es wird gezeigt, wie das Bedürfnis des getäuschten Holzschnitzers, seinen Körper zu berühren, um sich selbst zu erkennen, ein zentrales Merkmal von Erzählungen um das Doppelgänger-Motiv im Florenz der Renaissance ist.
ita45890058
58 DOI 10.24053/ Ital-2023-0005 REBECCA BARDI Senso del tatto e percezione di realtà nelle versioni in rima di Bernardo Giambullari e di Bartolomeo Davanzati della Novella del Grasso legnaiuolo 1 Il presente intervento si propone di esaminare le ottave delle versioni in rima di Bernardo Giambullari e di Bartolomeo Davanzati tratte dalla celeberrima Novella del Grasso legnaiuolo che mettono in luce il rapporto tra la percezione della corporeità e il tema dello sdoppiamento. 2 Questi componimenti - a dispetto della patente autonomia delle redazioni da cui dipendono (il poema di Davanzati deriva dalla redazione della cosiddetta Vulgata, quello di Giambullari da una versione in prosa indipendente) - si configurano come due organismi poetici genuini che insieme si fanno garanti della proverbiale comicità 3 e storicità della Novella , ridotta a trascrizioni parziali dopo la morte del suo ideatore Filippo Brunelleschi (1446). Come nella Novella , in queste versioni in rima permane l’incrinatura che il leitmotiv del doppio insinuava nel concetto di dignitas hominis umanistica, per cui la perdita del senno equivaleva alla perdita della credibilità sociale. 4 L’obiettivo è quello di mostrare come nella vicenda del Grasso, tanto 1 Queste pagine sono il frutto della rielaborazione della relazione su Le versioni in rima della Novella del Grasso legnaiuolo che ho presentato all’interno del ciclo di lezioni del dottorato in Filologia, Letteratura italiana, Linguistica dell’Università di Firenze, tenuto congiuntamente dal prof. Luca Degl’Innocenti e dalle prof.sse Christine Ott e Patrizia Pellizzari dal titolo La novella nel Rinascimento (febbraio-marzo 2023). Alla prof.ssa Ott va il mio ringraziamento per averne incoraggiato la stesura e la pubblicazione in questa sede. 2 Per le versioni in rima di Giambullari e di Davanzati faccio riferimento rispettivamente all’edizione Marchetti 1955, pp. 91-139, e all’edizione Procaccioli 1987. 3 L’effetto comico che la beffa suscita va ricondotto all’inquadramento teorico proposto da Michail Bachtin della letteratura carnevalizzata quale espressione della cultura popolare tra Medioevo e Rinascimento: cfr. Bachtin 1979 [1965]. Sul comico e sul reale intento della Novella cfr. Borsellino 1989, pp. 76-77: «La beffa, che ha un’esplicita motivazione iniziale ma nessuna finalità o altro vantaggio fuori dalla sua riuscita, genera il comico, cioè ne determina le situazioni, ma fa affiorare nell’indugio della soluzione e con la messa in scena dell’apparato della simulazione (l’intesa tra personaggi, figure e oggetti), una rete di micro-significati che dirottano l’attenzione verso realtà situazionali latenti. È lecito in definitiva domandarsi: la beffa opera solo in funzione del comico, del riso che il narratore suscita in proporzione alla sua capacità di rievocarla, o è anche un rito su cui si organizza una novella di trasformazione, addirittura di guarigione, e perciò anche penitenziale? ». 4 Già prima di Ficino, Giannozzo Manetti aveva celebrato l’ homo faber e il senso della centralità dell’uomo, cfr. Orvieto 1996, pp. 346-347. Sul rapporto pazzia-ironia umanistica cfr. Klein 1975. 59 nella Novella quanto nelle versioni in rima, il ‘toccarsi’ e il ‘palparsi le membra’ corrisponda a un elemento imprescindibile della codificazione del personaggio sdoppiato perché arriva a costituire, nel momento di massima crisi esistenziale, «un valore di supporto alla credibilità di una vicenda che ha bisogno per lo stesso protagonista di certificazioni autorevoli». 5 I Introduzione. La Novella e la ricezione del tema del doppio in età laurenziana Com’è noto, la Novella del Grasso racconta di una beffa, altrimenti detta ‘giarda’ o ‘natta’, che si dice realmente organizzata da alcuni amici di brigata fiorentini nell’anno 1409 o 1410 ai danni dell’intagliatore («legnaiuolo») Manetto Ammannatini, detto il Grasso, cui viene fatto credere tramite una serie di astuzie e inganni di essere diventato un’altra persona, tale Matteo. 6 La beffa è nota attraverso una gran numero di versioni in prosa elaborate dagli anni Trenta agli anni Novanta del XV secolo; si usa distinguere una redazione A, che comprende una decina di manoscritti della cosiddetta Vulgata, il più rappresentativo dei quali è considerato il Palatino 51 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze; una redazione B, stravagante rispetto alla Vulgata, testimoniata dal Palatino 200, conservato nella medesima biblioteca e contraddistinto da una scrittura meramente cronachistica, e dal manoscritto Z 123 superiore della Biblioteca Ambrosiana di Milano, recentemente scoperto; 7 e una redazione M, posta a corollario della Vita di Filippo Brunelleschi 8 di Antonio Manetti (dal cui nome deriva la sigla), versione in assoluto più isolabile rispetto alle redazioni appena esposte per la sua lunghezza, complessità strutturale e ricchezza di particolari. 9 5 Borsellino 1989, p. 72. 6 Sulla Novella del Grasso legnaiuolo cfr. Rochon 1975, pp. 211-376; Billeri 1984; Borsellino 1989, pp. 69-82; Savelli 1994; Bartoli 2003; Menetti 2015, pp. 172-182. È da segnalare anche la recente messa a punto del portale Re.novella (2023) a cura del gruppo di ricerca dell’omonimo progetto PRIN (2017, principal investigator : prof. Stefano Carrai), che ha come obiettivo il censimento, l’inquadramento storiografico, bibliografico e tematico del panorama novellistico in latino e in volgare tra Quattro e Cinquecento. Per la Novella del Grasso esistono tre schede, una per ciascuna delle diverse redazioni, curate da Elena Niccolai, ora consultabili all’indirizzo: https: / / renovella.unisi.it/ corpus/ item/ spicciolate cui si rimanda per gli aggiornamenti bibliografici ivi citati. 7 La scoperta che il Palatino 200 non è più testimone unico della redazione B si deve a Marco Petoletti: cfr. Petoletti 2020. 8 Cfr. Tanturli 1975; De Robertis 1976. 9 Sulle tre diverse redazioni cfr. Rochon 1975; Tanturli 1980; Billeri 1984; Procaccioli 1990, pp. XLIII-LXIV. Rebecca Bardi Senso del tatto e percezione di realtà 60 A queste redazioni in prosa si affiancano le versioni in rima oggetto del nostro interesse, che verranno introdotte con maggior dettaglio nel paragrafo II. Secondo la redazione manettiana, l’idea di questa beffa viene a Filippo Brunelleschi durante una cena cui il Grasso non partecipa suscitando il malcontento della brigata. Al momento in cui il burlato vuole rientrare in casa, la trova chiusa dall’interno, assiste al dialogo tra il falso Grasso e la falsa Giovanna, sua madre, si sente chiamare Matteo e ne resta sconvolto; segue il suo arresto per i debiti di Matteo, e un giudice lo persuade della possibilità di simili metamorfosi; liberato dai fratelli di Matteo, viene portato a casa loro e fatto confessare da un prete che cerca ugualmente di convincerlo di essere Matteo e non il Grasso; la beffa finisce con l’espediente del sonnifero che lo riporta a casa, dove il giorno seguente il Grasso prende coscienza di quanto accaduto e decide di scappare in Ungheria per lasciarsi alle spalle la vicenda. Proprio per via delle numerose varianti di redazione 10 André Rochon suddivideva l’azione della Novella in nove episodi principali: 1) Cena iniziale; 2) Il Grasso lasciato fuori di casa; 3) Suo arresto; 4) Il Grasso in prigione; 5) A Santa Felicita; 6) Ritorno a casa; 7) Discussioni di S. Maria del Fiore; 8) Rivelazione della beffa; 9) Epilogo. 11 La risonanza a dir poco eccezionale della Novella si può desumere non solo dalla consistenza della multiforme tradizione appena scorsa, ma anche dal rilievo che il personaggio del Grasso acquisì nel tessuto popolare a livello proverbiale dal XV secolo in avanti. 12 In questa chiave è particolarmente interessante l’esempio offerto da un sonetto “della risposta” di Bernardo Bellincioni a Lorenzo de’ Medici pressoché coevo alla redazione Manetti: 13 10 Cfr. Billeri 1984, p. 20: «Il criterio orientativo tra i numerosi codici si fonda sul rinvenimento di varianti funzionali. Le varianti, cioè, assumono importanza non in base alla loro estensione o alla loro provenienza, per il quale il manoscritto che le contiene può essere avvicinato ad un codice piuttosto che ad un altro sull’asse della tradizione, ma in base al valore di cui sono investite per la loro presenza, assenza e posizione nell’organizzazione del materiale narrativo e per il quale interagiscono nel testo provocando per amalgama un effetto complessivo». 11 Rochon ha dedicato cure attente alla forma della Novella : cfr. Rochon 1975, pp. 224-229. 12 Cfr. Rochon 1975, p. 211: «Dès le XV e siècle, il devint un personnage proverbial, souvent rapprocché de Calandrino à cause de sa naïvete». Il riferimento al Calandrino di Boccaccio va ovviamente al passo della redazione manettiana dove il Grasso si chiede: «Ohimmè! sarei io mai Calandrino, ch’io sia diventato un altro sanza esserne avveduto? », cfr. Procaccioli 1990, p. 12. Per alcuni esempi letterari della fortuna della Novella tra Cinque e Seicento, cfr. Rochon 1975, pp. 211-212. 13 Qui i corsivi sono miei. Il sonetto è riportato come in Orvieto 1992, pp. 1103, posto che questo segue sostanzialmente l’edizione contenuta in Fanfani 1878, p. 59. Sulla datazione del sonetto si deve considerare come termine postquem il 1480, data in cui è stato probabilmente composto il sonetto della proposta” di Lorenzo: cfr. Zanato 1991, p. 285; Orvieto 1992, p. 1101. Ringrazio Dario Panno Pecoraro per aver discusso con me alcuni aspetti di questo sonetto. Senso del tatto e percezione di realtà Rebecca Bardi 61 S’invoco Berlingaccio o Befania da un sarto dottor sarò appuntato, e dandomi più dubbj qui ch’un piato el Grasso mi par essere o il Sosia. Pallante che scoprì la mummieria 5 volle mostrar com’Arno è foderato; e s’Avicenna calamita è stato, non facciàn più finestre a gelosia. O amici imbrattati, o ermellini, se non c’è più farina da cialdoni, 10 per la gola s’impicchino e cammini. Perché ‘l Bisticci el farro die’ a’ pippioni, Si fuggono ne la vigna e Saracini ché ‘l sacco non fe’ mai buoni e poponi. E però e’ camicioni 15 paion Crespegli: oh, rompi ogni lor tazza che dentro son come di fuor la gazza. Tralasciando il nonsense tipicamente burchiellesco del resto di questo sonetto - nel quale si potrebbe leggere un doppio senso politico, essendo questa una delle alternative proposte per il sonetto laurenziano che lo precede -, 14 la prima quartina stabilisce in modo evidente una relazione tra i fantocci portati in processione durante le feste fiorentine (il Berlingaccio e la Befana, che essendo fatti di stoffa giustificano il riferimento al sarto ) e le ‘maschere’ del Grasso e del Sosia plautino: dire «Grasso» sembrerebbe significare, ancora a decenni di distanza dalla composizione della Novella , l’uomo burlato per antonomasia, la vittima dell’equivoco, del paradosso, la persona che ‘si dà più dubbi [sulla sua identità] 14 Cfr. Orvieto 1992, p. 1101. Si noti che anche il sonetto di Bellincioni Lascia pur fare a me la ciurmaria è in risposta di un sonetto di Lorenzo in cui si richiede una missione di spionaggio politico. L’incipit è eloquente: Va’ Bellincion, e fa’ il Sosia , per cui Orvieto 1992, pp. 1104-1105. Sul modello del servus Geta in Bellincioni cfr. Bisanti 2000. Rebecca Bardi Senso del tatto e percezione di realtà 62 che un uomo che fa domande («dubj») 15 in un’aula di tribunale («piato»)’ 16 . In una prospettiva di ricerca futura, sarebbe interessante prendere in considerazione la totalità dei testi della cerchia laurenziana in cui si fa riferimento al Grasso o al paradigma del doppio in generale; ma già dai sonetti scambiati tra Bellincioni e Lorenzo, di cui il testo sopra riportato è l’esempio più lampante, si può arguire che il tema incarnato dal Grasso fosse prerogativa di una dimensione “di brigata”. Del resto, già André Rochon notava che i primi quattro versi del sonetto attestano «en tout cas non seulement qu’autour de 1480 la nouvelle était assez connue dans les cercles médicéans pour faire l’objet de plaisantes allusions, mais encore que ses rapports avec l’ Amphitryon de Plaute et avec le Geta e Birria n’avaient pas échappé à l’attention des écrivains.» 17 Questa citazione ci permette di ricordare che non solo la Novella , ma almeno altri due testi largamente diffusi prima e durante l’età laurenziana concorrevano alla notorietà del personaggio-simbolo della crisi d’identità: l’ Amphitruo e il Geta e Birria . Tra le commedie di Plauto oggetto di importanti (ri)scoperte nell’Umanesimo, all’ Amphitruo spetta senza dubbio il primato per antichità del tema, declinato nella creazione del doppio tramite sortilegio, accanto alla commedia dei Menaecmi basata sul doppio ‘naturale’ dei personaggi gemelli: 18 Sosia si trova a combattere con il dio Mercurio, che ne ha assunto le sembianze, per entrare a casa propria. Anche il fortunatissimo cantare di Geta e Birria , derivato dalla rielaborazione medievale della commedia Geta di Vitale de Blois - a sua volta esemplata sull’ Amphitruo - realizzata da Ghigo d’Attaviano Brunelleschi con la successiva aggiunta di diciotto ottave per mano di Domenico Gherardi 15 GDLI IV, p. 1016, anche ‘controversia’. 16 GDLI XIII, p. 311. 17 Rochon 1975, p. 212. 18 Sappiamo che entrambe le commedie circolarono e furono rappresentate nelle principali corti ben prima degli anni Ottanta cui si fanno risalire le prime messinscene conosciute, in coincidenza, quindi, con la diversificazione della tradizione della Novella . I Menaecmi furono recitati a Firenze il 12 maggio 1488 con prologo di Angelo Poliziano, cfr. Del Lungo 1875, e a Ferrara il 25 gennaio 1486, cfr. Hardin 2003-2004. Sull’ Amphitruo non si hanno notizie di rappresentazioni analoghe, tuttavia sappiamo che la commedia era tutt’altro che sconosciuta: Benedetto Borsa inserì formalmente Plauto nel programma dello Studium ferrarese nel 1443 affermando nella sua Lectio inauguralis dal titolo eloquente De legendo Plauto potius quam Terentio la sua indiscussa superiorità di commediografo (cfr. Tontini 2014, p. 483). Al netto di futuri accertamenti, una testimonianza della forte presa del testo dell’ Amphitruo nell’area letteraria fiorentina sembra essere offerta dalle ottave 1-76 del ii libro del Driadeo di Luca Pulci databile non più tardi del 1465, le quali costituirebbero la più originale ‘versione in rima’, pur estremamente rielaborata, della commedia plautina. Senso del tatto e percezione di realtà Rebecca Bardi 63 da Prato, 19 inscena lo stesso equivoco plautino in chiave parodica della filosofia scolastica: dei due servi di Anfitrione, è Geta a interloquire con un uomo che ha la sua stessa voce e che davvero par essere Geta ma che altri non è che il dio Arcade (il Mercurio plautino). 20 Non è perciò un caso che il Grasso e il Sosia siano posti sullo stesso piano al v. 4 del sonetto di Bellincioni. Una rapida e sommaria rassegna delle caratteristiche in astratto del Sosia, del Geta e del Grasso serve a chiarire come essi siano di fatto costruiti su una comune ‘semantica’ del doppio. Il personaggio colto da crisi d’identità: a) esplica la necessità di vedere chi gli sta davanti (la vista di Sosia è offuscata dalla notte, quella del Geta e del Grasso è ostacolata dalla porta chiusa); 21 b) nel momento del confronto con il proprio doppio teme una condizione di malattia, o peggio: Sosia pensa di essere morto e di non essersene accorto ( Ubi ego perii? ubi inmutatus sum? ubi ego formam perdidi? Amph . i,456) 22 , il Grasso crede di essere impazzito (in Giambullari «Oh, i’ non son Matteo, i’ sono el Grasso, / s’i’ non mi son con un altro scambiato, / o se ’l cervel non mi s’è ito a spasso » 70,1-3; in Davanzati: «può fare Iddio ch’ i’ sie stasera pazzo? » 36,2, «[…] Può far questo la Fortuna / ch’ i’ sie però così del senno pazzo ? » 39,1-2), e il Geta ipotizza prima l’una, poi l’altra cosa («[…] non so quando / morte mi diè di questa vita bando» 109,7-8; «Son impazzato , od ho il cervello secco , che da me fuggo, e non so vedere d’onde? » 110,1-2); c) siccome lo sdoppiamento «è un fenomeno che attacca sempre le categorie della logica e del linguaggio» 23 , è costretto a esprimere la propria identità con affermazioni paradossali (Sosia, ad esempio, esclama: tam consimilest atque ego i,443; 24 Geta si chiede: «dunque siàn fatti due ch’eravam’uno? » 108,3; il Grasso di Davanzati: «Che e’ sie me ne metterei la testa! » 36,3); 19 Cfr. Rossi 1992, pp. 395-396; Lanza 2007, pp. 235-237. 20 Tra le differenze dell’azione narrativa tra il cantare e la commedia di Plauto, oltre all’inserimento del secondo servo Birria, che è rimasto a casa con la moglie Alcmena mentre Geta ha seguito Anfitrione nel suo viaggio ad Atene per imparare la filosofia, si registra anche la situazione dell’incontro tra il servo e il suo doppio divino, che non avviene mentre Arcade (il Mercurio plautino) è fuori di casa a guardia della porta, bensì quando questi è già dentro: Geta e Arcade hanno uno scambio di battute dal ritmo veloce attraverso la porta chiusa, esattamente come nella Novella del Grasso . 21 Si noti che anche nel caso delle versioni in rima è buio, ma non è l’ostacolo principale al riconoscimento del Grasso da parte degli amici beffatori (in Giambullari: «Egli era ben chiaro, ben che fussi sera» 78,1 e in Davanzati: 39, vv. 3-4: «E così stando al lume della luna, / inverso San Giovanni ne fu ito»). 22 Cfr. Traina 2011, p. 51: «Dove mi sono perduto? Dove mi sono trasformato? O dove ho perduto il mio aspetto? ». 23 Fusillo 2012, p. 75. 24 Cfr. Traina 2011: «tale e quale a me». Letteralmente: «Mi assomiglia come io assomiglio a me stesso» (traduzione mia). Rebecca Bardi Senso del tatto e percezione di realtà 64 d) riceve dal proprio doppio la minaccia di essere ammazzato di botte (è il caso del Geta) o bastonato (come nel caso del Sosia e del Grasso); e) infine, cerca di affidarsi a prove concrete: la conoscenza di fatti che nessun altro può sapere (nel caso di Sosia, lo svolgimento della battaglia contro i Teleboi; nel caso del Grasso di Giambullari l’intesa amorosa tra la madre e il prete di Polverosa; nel caso di Davanzati, il malore della madre di Brunelleschi), il riconoscimento da parte di terzi (da parte di Anfitrione nell’ Amphitruo e nel Geta e Birria ; da parte degli amici nella Novella ) e, per venire a quanto più ci preme, il senso del tatto come certificazione di realtà del corpo. L’interrelazione tra le figure del Sosia, del Geta e del Grasso, benché non implichi tout court un dialogo intertestuale tra i tre testi, offre una visione d’insieme della parabola del doppio all’interno della cultura letteraria fiorentina: il Grasso non è solo un punto di partenza per l’aneddotica locale del secondo Quattrocento, ma è anche un punto di arrivo di una più estesa tradizione incentrata sul doppio. 25 II Senso del tatto e percezione di realtà nelle versioni di Giambullari e Davanzati Detto che la memoria narrativa della Novella del Grasso era estremamente attiva negli anni della cultura laurenziana, conviene adesso presentare le due versioni in rima di Giambullari e di Davanzati che si collocano in quello stesso ambito di diffusione. Le 160 ottave sulla vicenda del Grasso di Bernardo Giambullari (1450-1529), che l’autore dice di aver composto «per passar tempo e lasciar memoria / della mie gioventù dopo mie vita» (160,1-2), 26 nonostante il loro pregio non occupano un posto di primo piano nella sua copiosa produzione: su richiesta di Lorenzo il Magnifico, Giambullari si fece continuatore del poema cavalleresco del Ciriffo Calvaneo , lasciato incompiuto prima dalla morte di Luca Pulci (1470) e poi da quella di Luigi Pulci (1484) con una ‘gionta’ di quasi due- 25 Nella tradizione novellistica la carica comico-drammatica della crisi d’identità era materia altamente produttiva: basta pensare alla novella di Ganfo pellicciaio di Giovanni Sercambi (1347-1424), la cui beffa consiste nel far credere al protagonista di essere morto; o a quella di Triunfo da Camerino nelle Porrettane di Giovanni Sabadino degli Arienti (1445 ca.-1510), in cui la quotidiana licenza carnevalesca del protagonista di assumere identità fittizie nel chiuso delle sue stanze lo porta inesorabilmente all’ossessione. Per il riferimento alla novella di Ganfo ho tratto giovamento dall’intervento di Christine Ott in sede di seminario; sulla novella di Triunfo in particolare cfr. Degl’Innocenti 2021. 26 Ovvero, la datazione della versione in rima della Novella deve essere stata nella gioventù di Giambullari, tra i venticinque e i trentacinque anni (1475-1485). Senso del tatto e percezione di realtà Rebecca Bardi 65 mila ottave; 27 le sue rime, affidate al manoscritto Laurenziano-Ashburnham 419 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, spaziano dalla lirica ai componimenti rusticali e spirituali, in terza e in ottava rima. 28 La versione della Novella del Grasso di Giambullari dimostra di dipendere, secondo l’indagine di Michele Barbi, dalla redazione B perché condivide con questa l’aggiunta di una scena dalla spiccata comicità: le insinuazioni da parte di Brunelleschi di un rapporto illecito della madre del Grasso con il prete di Polverosa. 29 Anche Bartolomeo Davanzati (1460- post 1498), terzo figlio del poeta del Certame Coronario fiorentino (1441) Mariotto Davanzati, compose le sue 189 ottave tratte dalla Novella negli anni di gioventù, non prima del 1485 e non più tardi del 1493. 30 Il testo ci è stato tramandato da una editio sine notis forse uscita dai torchi di Francesco di Dino ancora vivente l’autore. 31 Secondo quanto osservato prima da Rochon e poi da Procaccioli, per la sua composizione Davanzati dovette essersi servito di un testimone della redazione A di cui dimostra di aver seguito il cui modello in modo quasi del tutto acritico. 32 Al di là delle singole particolarità delle loro versioni in 27 Marchetti 1954. 28 Marchetti 1955, pp. 19-23 e 91-139. 29 Barbi 1927. «Polverosa» corrisponde alla zona di Novoli, nella parte nord di Firenze. 30 Procaccioli 1987, p. 30. Il 1493 è la data che Paolo Procaccioli indica come sicuro termine antequem perché anno della congiura contro Piero de’ Medici che vide coinvolto il dedicatario del poema, il nobile Cosimo Rucellai. La dedica a Cosimo Rucellai si trova in calce al poema, cfr. Procaccioli 1987, pp. 110-111 (miei i corsivi): «Legendo io, Cosimo mio, alcune cose per pascere l’animo vago sempre innell’ocio d’intendere cose nuove , vennemi alle mani una novella piacevole certo del Grasso intitulata, la quale sì perché fu trattata da eccellenti uomini e sì per il dilettevole e inaudito errore d’esso Grasso , mi parve degna che fussi più nota; e acciò che più grata fussi e al lettore e all’uditore insieme e per esercitare ancora un poco il mio rozzo ingegno, di prosa in verso colle mie basse rime l’ho ridotta . Ed essendo questo il primo frutto dell’inculto mio ingegno , non come suave frutto, ma come primaticcio, a te, come di tutti gli amici a me carissimo, il mando. Acciò che, asaggiato tu questa, se in alcuna parte ti piacerà, sia certo tutti gli altri che da questa infeconda silvestre pianta nascere potranno a te tutti essere dedicati in perpetuo. Riceverai questi versi adunque lietamente, non come dono degno della tua nobiltà, ma come un certo pegno del singulare amore mio verso di te». Con questa testimonianza Davanzati non solo connota la beffa come piacevole elemento di coloritura locale, calata nella sua dimensione cittadina, ma addita anche un’altra ragione d’interesse: il fatto che vi abbiano partecipato eccellenti uomini della levatura di Brunelleschi, Donatello e Giovanni Gherardi da Prato; e si noti che tra i beffatori menzionati da Davanzati è presente anche un Rucellai. 31 Nel frontespizio dell’esemplare E.6.4.32 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze si legge: NOVELLA DI MATTEO E DEL | GRASSO LEGNAIVOLO PER | BARTHOLOMEO DAVANZA | TI CITTADINO FIORENTINO | ALSAPIENTISSIMO GIOVA | NE COXIMO DIBERNARDO | RUCELLAI. Cito dalla trascrizione del frontespizio da Procaccioli 1987, p. 37. Sulla datazione della stampa cfr. Ridolfi 1958, pp. 134-38. 32 Rochon 1975, pp. 221-223. Procaccioli 1987, p. 18, parla di Davanzati come di un poetascolaro «così preoccupato di non tralasciare nulla di quanto contenuto nel testo in prosa, da introdurre la sua variazione solo dopo aver fedelmente trascritto (e, troppo spesso, Rebecca Bardi Senso del tatto e percezione di realtà 66 versi, né Giambullari né Davanzati aggiungono alla vicenda elementi di novità, o si soffermano per approfondire momenti specifici o caratteristiche psicologiche: entrambi operano una diligente esposizione dei fatti servendosi delle forme di un repertorio ‘popolareggiante’ ben collaudato, che nel caso di Davanzati ha più senso chiamare ‘canterino’. 33 Tra le due versioni, semmai, persiste un divario dal punto di vista stilistico che si risolve a favore di Giambullari «sulla base di una maggiore padronanza del lessico e della sintassi, e di una migliore organizzazione interna dell’ottava, di una maggiore scioltezza della varietà delle rime». 34 Serve un riepilogo dei fatti della Novella presenti nelle due versioni, che per chiarezza si struttura secondo lo schema di Rochon (cfr. supra , p. 2): Versione di Davanzati (redazione A) Versione di Giambullari (redazione B) 1) La brigata si riunisce in casa di Tommaso Pecori per una cena (1409); l’assenza del Grasso è spiegata per sua «bizzarria» (§ 32); 1) La brigata si riunisce in casa di uno dei membri per sfuggire alla pestilenza (1410); l’assenza del Grasso è spiegata con la sua avarizia; 2) Alterco tra Grasso e Brunelleschi davanti alla porta chiusa; riconosciuto da Donato; 2) Alterco tra il Grasso, Brunelleschi e un compagno di brigata davanti alla porta chiusa; riconosciuto da ser Iacopo; il Grasso si tasta il corpo per assicurarsi di essere ancora lui; 3) Il Grasso viene arrestato per i debiti di Matteo; 3) Il Grasso viene arrestato per i debiti di Matteo; 4) Il Grasso in prigione; colloquio con il giudice, «il cui nome si tace»; incontro con i fratelli di Matteo; 4) Il Grasso in prigione; colloquio con il giudice; incontro con i fratelli di Matteo; parola per parola) la versione del modello e giustapposto meccanicamente la ‘chiosa’ alla ‘lettera’, con il risultato di accumulare una serie di duplicazioni inutili quanto contorte che rallentano di molto lo svolgimento della vicenda e la privano della sua intrinseca drammaticità (come quando, in un cumulo di replay, ci fa assistere per ben tre volte consecutive al risveglio del Grasso nella sua vera casa)». Una spia dell’approccio al testo di riferimento da parte di Davanzati è in un riferimento cronologico del protagonista: all’ottava 188,2 Davanzati parla del Grasso come ancora vivente mentre egli scrive, cosa di fatto impossibile perché, se come detto all’ottava 28,8, nel 1409 il Grasso aveva ventotto anni, all’epoca di Davanzati ne avrebbe avuti circa cento (cfr. Procaccioli 1987, p. 115). 33 Su questo punto cfr. Procaccioli 1987, p. 15. 34 Procaccioli 1987, p. 17. Senso del tatto e percezione di realtà Rebecca Bardi 67 5) Santa Felicita; confessione dei peccati; cena con i fratelli al termine della quale il Grasso è drogato; 5) Santa Felicita; confessione dei peccati; cena con i fratelli al termine della quale il Grasso è drogato; 6) Il Grasso è riportato nel proprio letto e chiuso in casa. Gli attrezzi della bottega vengono montati al contrario; 6) Il Grasso è riportato nel proprio letto e chiuso in casa. Gli attrezzi della bottega vengono montati al contrario; 7) Il Grasso si sveglia e caccia i fratelli che sono venuti a cercare Matteo; 35 7) Il Grasso si sveglia; impazzisce perché non sa lavorare con nessuno strumento; caccia i fratelli che sono venuti a chiedere notizie di Matteo; 8) Incontro con l’amico di via delle Terme che è stato in Ungheria; 36 8) - 9) Lascia una lettera per la madre ancora a Polverosa 37 . Rivelazione della beffa. Partenza per l’Ungheria. In visita a Firenze, incontra Brunelleschi. 9) Rivelazione della beffa. Partenza per l’Ungheria. Incontra Giovanni Peser a Buda, cui racconta la beffa di cui è stato vittima. Le ottave che si prendono adesso in esame fanno riferimento all’alterco tra il Grasso e Brunelleschi davanti alla porta chiusa (punto numero 2 della tabella), al colloquio con il giudice (punto numero 4) e al risveglio del Grasso in camera da letto (punto numero 7), le quali mettono in luce la problematica percezione del proprio corpo in due momenti di spaesamento del soggetto colto da crisi d’identità. Occorre ricordare che il valore conoscitivo che assume la corporeità nelle due versioni è ovviamente slegato dalla tematica della vista e della cosiddetta «somiglianza perturbante» 38 tra i due doppi: entrambe le scene, infatti, si distendono solo sugli effetti che l’intrigo comico orchestrato da Brunelleschi e compagnia hanno sul Grasso, senza dare luogo alla paradossale presenza di due uomini identici come nella commedia di Plauto. Venendo a mancare la vista del doppio, 35 Nella redazione Manetti il Grasso si tasta le braccia per sincerarsi di essere sveglio, cfr. Procaccioli 1990, p. 36. 36 Nella redazione Manetti si tratta di un incontro tra Brunelleschi, Donatello, il Grasso e Matteo stesso, cfr. Procaccioli 1990, pp. 41-53. 37 Nella redazione Manetti il Grasso incontra la madre di ritorno da Polverosa, cfr. Procaccioli 1990, p. 53. 38 Fusillo 2012, pp. 181-182 parlava di una «antropologia della somiglianza» che da Plauto arriva fino alla tradizione ottocentesca del Doppelgänger . La «somiglianza perturbante» è il titolo della seconda sezione del saggio, pp. 181-249. Rebecca Bardi Senso del tatto e percezione di realtà 68 il corpo assume nella Novella un margine di identificazione significativamente maggiore. Nel poema di Giambullari, al momento della ritirata da casa propria perché inseguito dal «Grasso nuovo» che lo minaccia di bastonate, il Grasso si tocca il corpo in reazione al senso di annientamento scaturito dal non essere riconosciuto da ben due amici (l’uno che gli dà della «bestia» 75,8, l’altro che lo chiama Matteo 78,4): 75 El Grasso nuovo in casa se n’andava, e ’l compagno di fuori si dipartiva. El povero Matteo sopra sé stava com’una cosa più morta che viva; e appunto Pier Pecori passava su per la piazza, e ’ncontro gli veniva. El Grasso lo dimanda: «Chi son io? » «Se’ una bestia», e andossi con Dio. 76 «Può fare el ciel ch’i’ non sie conosciuto? Son io da dianzi in qua sì rimutato? Costui che tante volte è meco suto, e tante volte insieme abbiàn mangiato, ora ’l dimando, e par che mai veduto i’ non fussi da lui in nessun lato, e l’antica amicizia mi nasconde, e ch’i’ sono una bestia mi risponde». 77 E si toccava e guardavasi intorno, e pur pareva conoscer sé stesso. E pur pensando a così fatto iscorno, ser Iacopo viene: e quando presso e’ fu al Grasso, ed e’ come musorno diceva: «Or vedrò io s’i’ sarò desso. E’ m’ha veduto: i’ ’l vo’ lasciar venire: e’ mi doverrà pur qualcosa dire». 78 Egli era chiaro, ben che fussi sera. Ser Ïacopo vien con lente passo e salutòe el Grasso in tal maniera: «Buona sera, Matteo» col capo basso. Senso del tatto e percezione di realtà Rebecca Bardi 69 Rispose el Grasso colla boce altera: «Come diavol, Matteo? I’ sono el Grasso! » Ser Ïacopo allora el passo resta, e inverso di lui alzò la testa […]. Il conoscere se stesso non è completamente affrancato dalla dimensione corporea e risulta perciò capace di innescare nel Grasso la consapevolezza dei danni che potrebbe provocare ammettendo che i suoi beffatori hanno ragione a non riconoscerlo. 39 Il principio di autoconservazione del Grasso si fonda sulla dimostrazione logica della sua esistenza tramite il senso del tatto (77,1-2) e non viene mai abbandonato, anche se a volte a fatica, nell’itinerario di pazzia o bizzarria che il Grasso sperimenta, ben consapevole che il suo nome non è Matteo («vi prego che ’n servigio gli diciate / che venga insino alla Mercatantia, / a uno ch’è su’ amico in veritate, / ch’è chiamato Matteo, benché non sia» 93,3-6) e che non si tratti di un sogno («i’ so pur ch’i’ son desto e che non sogno» 94,8). La salvaguardia del sé continua in modo eccezionale anche davanti al giudice «che vuole / scrivere el nome suo, com’è ragione, / in sun un libro, dove iscriver suole della Mercatantia ogni prigione» (95,3-6) - il quale, benché mai chiamato per nome, si usa identificare con il giudice-poeta Giovanni Gherardi da Prato -, 40 davanti cioè a una figura dotta che con la sua intelligenza dovrebbe certificare il grado di verisimiglianza della situazione: con il giudice il Grasso simula, o meglio dissimula, non senza dolore («era quasi uscito fuor di sé ») la propria identità assecondando quanto è stato ripetuto fino a quel momento: 96 «Matteo, di chi e di che gente se’? El soprannome saper mi bisogna, e la somma del debito quant’è» El Grasso non risponde per vergogna. Egli era quasi uscito fuor di sé, e grattavasi pure, e non ha rogna. «Che somma o soprannome o di che gente? I’ son Matteo; or tenetelo a mente». 39 Borsellino 1989, p. 71. La stessa mimica che attesta la realtà del corpo davanti alla porta chiusa si ritrova nel Geta e Birria 139,1-8: «Pure s’i’ parlo, i’ m’odo, veggio e sento, / e più che d’altro di questa mi scocco; / po’, s’i’ mi tocco delle volte ben cento, / dicendo: ‘I’ giuro a Dio, ch’i’ pur mi tocco’ . / Questo come è che l’esser mio si è spento? / Potendomi toccar son i’ sì sciocco / che s’i’ fu’ che i’ perde’ l’essenza mia, / così sono et io non sono, et i’ non sia? ». Cfr. Chiarini 1982, p. 71 (miei i corsivi). Su questa coincidenza cfr. Kuhn 2017, p. 117. 40 Bausi 2000. Rebecca Bardi Senso del tatto e percezione di realtà 70 Benché il ri-conoscimento del proprio corpo risieda in una prospettiva di coincidenza tra nome e realtà, 41 il Grasso rinuncia al suo nome per prudenza sopravvivente l’incertezza e la paura della perdita di sé prima in prigione con il giudice, poi con i fratelli di Matteo che lo conducono a casa dopo averne pagato la cauzione («El Grasso quella stanza riguardava, fra sé dicendo: ‘Che diavol è questo? / Dove son io? ’; e pur cheto si stava, / fra sé dicendo: ‘I’ vo’ vedere el resto / di questo giuoco’ com’è capitava», 115,2-5), e infine con il prete che lo confessa come Matteo («e poi el frate e sua frate’ chiamava, / e ’n loro presenza il fé rettificare / non esser più quel Grasso che pensava, / ma per virtù del santissimo frate / gli pare esser Matteo in veritate» 130,4-8). È significativo che il Grasso si riappropri del proprio nome solo quando, nell’ordito della beffa, viene giudicato il momento di riconoscerlo definitivamente. Il giorno seguente, dopo essersi risvegliato nella propria camera messa sottosopra, il Grasso viene salutato dai fratelli di Matteo che però non danno segno di riconoscerlo («Buon dì, maestro, non siete voi el Grasso? » 147,7), dandogli modo di ricomporsi in ciò che sa essere vero («Rispose el Grasso: ‘I’ mi credo di sì’» 148,1). Il Grasso è insomma ben lontano dal Sosia plautino e dal Geta del cantare: non solo non cade mai nell’errore di pensare di «essere nulla», come proclama Geta al culmine del suo dialogo con Arcade (134,1), 42 ma capisce anche quando è necessario sacrificare temporaneamente una parte importante della sua identità (il suo nome) per sfuggire alla condanna sociale. La scena del Grasso che davanti alla porta di casa si tasta il corpo non è penetrata in tutte le versioni della Novella : tra i codici più rilevanti della redazione Vulgata, non se ne trova traccia nei testi del Palatino 51, del Riccardiano 2825 o del Magliabechiano II.IV.128 trascritti nell’appendice dei Textes inédits del saggio di Rochon; 43 nella redazione Manetti si trova “solo” il dettaglio del tocco dislocato al momento del risveglio del Grasso in camera da letto; 44 e, cosa più im- 41 Cfr. Kuhn 2017, p. 116, che chiama in causa la commedia di Vitale de Blois sul rapporto nome-identità: «In Vitalis, Geta’s discovery of his own nothingness is directly triggered by the loss of his name and can, as a logical consequence, be resumed in only four lines [144,1-4] because the name had guaranteed the existence of the thing, and as soon as the name is absent, the thing it denoted must necessarily be absent too». 42 Cfr. Kuhn 2017, pp. 110-111. 43 Cfr. Rochon 1975, pp. 339-372. Per la redazione di Antonio di Tuccio Manetti faccio riferimento a Procaccioli 1990, pp. 5-61; cfr. anche Chiarini 1982, pp. 241-285. 44 Nella redazione Manetti: «E ricordandosi delle cose successe, e dove s’era coricato la sera, e dove si trovava allora, entrò subito in fantasia d’ambiguità, s’egli aveva sognato quello, o se sognava al presente ; e parevagli di certo vero quando l’una cosa quando l’altra, e guardava la camera dicendo: «Questa è pure la camera mia quand’io ero el Grasso; ma quando entrai io qui? E quando si toccava con l’una mano el braccio dell’altra e quando il contrario, e quando il petto, affermando di essere el Grasso; […]», cfr. Procaccioli 1990, p. 36 (miei i corsivi). In questo passo della redazione manettiana la fantasia d’ambiguità Senso del tatto e percezione di realtà Rebecca Bardi 71 portante, non va in scena niente di simile nella versione di Davanzati. Tuttavia, anche in quest’ultima versione viene fatto un discorso pertinente al tema della corporeità in relazione al fenomeno della metamorfosi . Procedendo con ordine, converrà dire che anche il Grasso di Davanzati dopo essere stato cacciato di casa prova lo stesso sgomento al tentativo fallito di farsi riconoscere dall’amico Donatello («[…] e tutto aviluppato, / sol di Donato si meravigliava, / sappiendo che costui lo conosceva / per l’amistà ch’ognun tenuto aveva» 40,5-8), cui si aggiunge una paura ben precisa che non sembra trovare riscontro né nelle altre versioni della Novella , né tanto meno in quella di Giambullari: teme che lo spirito di Matteo si sia impossessato del suo corpo e che la sua anima abbia fatto lo stesso nel corpo dell’altro: 35 E stupefatto stava tutto quanto, sendo di rabbia e di dolore acceso; e della casa discostato alquanto, diceva il Grasso: «S’i’ ho ben compreso, costui ch’è dentro mi somiglia tanto che le mie carne certo egli arà preso e ’l mio spirto fia in lui entrato, per che di sé in me s’è trasformato .» Che nel processo di distaccamento dal corpo l’anima - che oggi chiameremmo ‘personalità’ o ‘carattere’ - potesse prendesse il corpo sbagliato era una paura comune presso i contemporanei. 45 Non sarà certo un caso che in un poema scritto tra 1464 e 1465 a Firenze, niente poco di meno che dallo zio di Davanzati, un altro personaggio ‘doppio’ è colto dallo stesso timore: nel ii libro del poemetto mitologico del Driadeo composto dal maggiore dei fratelli Pulci, Luca (1431-1470) 46 si trova un’interessante riscrittura della vicenda di Anfitrione e innescata dall’essere stato sistemato dai beffatori al contrario nel suo letto non è più una questione di incertezza tra l’essere riconosciuto come il Grasso o come Matteo, ma tra ciò che è reale e ciò che è sogno. Cfr. Bartoli 2003, pp. 11-13. 45 Cfr. Tenenti 1978, pp. 173-176. Per la ricostruzione letteraria e filosofica dell’epoca cfr. Martelli 1996; Orvieto 1996; Vasoli 1996. Riguardo a diffuse idee sulla preesistenza delle anime e sulla metempsicosi nella Firenze laurenziana, e in particolare nell’opera di Matteo Palmieri, cfr. ora anche Ott 2023, p. 322. L’idea della metempsicosi palmieriana è stata suggerita dalla stessa Ott, che ringrazio per aver condiviso con il gruppo del seminario la suggestione. 46 La madre di Bartolomeo era Lisa Pulci, sorella minore di Luca, Luigi e Bernardo, sposata da Mariotto Davanzati nel 1452 in terze nozze: cfr. Procaccioli 1987, p. 112. Sulla biografia di Luca Pulci cfr. Decaria 2016. D’altra parte, che la relazione di parentela tra Davanzati e Pulci possa aver avuto incidenza sulla composizione del poema sul Grasso non è cosa da dare per scontata. La citazione dell’ottava del Driadeo è tratta da Giudici 1916, p. 60. Rebecca Bardi Senso del tatto e percezione di realtà 72 Alcmena in cui tutti i personaggi conservano l’onomastica latina; abbiamo così un altro Sosia, che condivide tutte le caratteristiche del doppio sopra elencate più l’idea, tutta umanistica, che l’anima viaggi nell’universo dei vivi separata dal corpo: 43 «Sogn’io? O qual pensier folle m’induce creder che questo me mai esser possa? I’ guardo in qualche specchio che traluce il proprio oggetto, e parmi carne et ossa; e gl’è di notte, e or che ’l sol non luce potrebbe aver da me l’alma remossa. Se non son nulla, Sosia ero pur dianzi: ho fatto, a venir qui, di begli avanzi! » Su una tale idea di vita ultraterrena dell’anima sembra fondarsi la giustificazione dell’affermazione del Grasso nell’ottava di Davanzati: «le mie carne certo egli arà preso e / ’l mio spirto fia in lui entrato» (35,5-6). Viene da chiedersi, per inciso, da cosa sia innescata la paura del Grasso: in fondo, non c’è nell’ottava 35 né in quelle che la precedono (o seguono) un accenno alla morte che legittimerebbe il richiamo alla separazione corpo-anima, che abbiamo detto essere presente nelle scene corrispettive con protagonisti il Sosia plautino e il Geta; forse, una spia che ne giustifichi l’associazione potrebbe essere l’ambientazione notturna: la notte e il buio sono la le condizioni del solstizio d’inverno in cui si compie il viaggio verso l’Inferno nella Città di Vita di Matteo Palmieri (1406-1475), poema allegorico che circolò con successo a Firenze dal 1466 al 1472, data della sua redazione definitiva. 47 ; ed è effettivamente «di notte», «or che ’l sol non luce», che nella mente del Sosia di Pulci balena l’idea dello scambio delle spoglie corporee. Tornando al poema di Davanzati, dall’ottava 35 in poi il convincimento del protagonista di non essere il Grasso è pressoché subitaneo e non ostacolato da nessun argomento di difesa («‘Però di questo fatto ho gran dolore / e a ogni modo per me la mal va: / sì ch’io non so quel che mi debba fare, / se Grasso o pur Matteo m’ho far chiamare’» 68,5-8). Il suo senso di annientamento è di un grado superiore rispetto a quello del Grasso di Giambullari: una volta perso il riconoscimento da parte del mondo esterno e gettato in prigione per i debiti di Matteo, il Grasso dice che potrebbe trarre conforto dalla vista del suo doppio solo per condividere il dolore dell’esperienza, ma non ne riceverebbe alcun indizio salvifico («‘Se pure il Grasso qui venir volessi, / ch’i’ gli potessi almanco 47 Cfr. Mita Ferraro 2005, pp. 180-249. Senso del tatto e percezione di realtà Rebecca Bardi 73 un po’ parlare, / i’ vedre’ pur quel che lu’ ne dicessi / di questo caso o quel che gliene pare. I’ so che converre’ che mi dicessi / per che cagion s’è voluto scambiare / con esso meco o perché lui l’ha fatto’» 69,1-7). La narrazione procede veloce al confronto del Grasso con il giudice, che si rivela estremamente umano nel trattare il suo caso e che ha sùbito l’intuizione di trovarsi davanti a un uomo vittima di congiura; è a questo punto che il livello di consapevolezza del Grasso si innalza alla constatazione che deve essere diventato un’altra persona. Chiede perciò conferma al giudice del fatto che il suo caso sia effettivamente paragonabile a una vera e propria metamorfosi , preoccupandosi della sorte di Matteo che ne è coinvolto tanto quanto lui: 48 81 «I’ so che voi avete lungamente letto in Istudio, e delle storie assai degli autori antichi veramente che hanno scri[p]to, trovasti vo’ mai per nessun tempo, o tornavi alla mente, che gnun dicessi mai: ‘I’ mi scambiai d’uno in un altro’, o esser ma’ caduto com’al presente a me è intervenuto? ». 82 Quando il dottore ogni cosa ebbe inteso e la sciagura che costui ha detto, fra sé dicendo: «S’i’ ho ben compreso, costui debb’aver fatto col barletto; s’a le parole sua ho bene atteso, delle duo cose l’una è in effetto; o veramente costui è impazzato o ell’è giarda, ch’egli è dileggiato.» 83 E rivolto a costui, sì gli diceva: «I’ ho trovato ch’egli è intervenuto di questi casi assai - gli conchiudeva - 48 La scelta di Davanzati di porre come interlocutore del Grasso il giudice in un discorso sulla metamorfosi non è senza rilievo: cfr. Bausi 2000, p. 568: «il Brunelleschi e il G[herardi] erano accomunati dal fatto, peraltro non inusuale, di affiancare competenze letterarie (in particolare, dantesche) e competenze architettoniche, nonché dall’interesse (attestato sia dalla Novella del Grasso , sia dal Paradiso degli Alberti ) per il tema filosofico della metamorfosi». Rebecca Bardi Senso del tatto e percezione di realtà 74 secondo gli autori ch’i’ ho veduto». Al quale il Grasso presto rispondeva: «Un’altra cosa dirvi m’è acaduto: se del Grasso Matteo son diventato, ch’è di Matteo, di ch’i’ son trasmutato? » 84 Disse il dottore: « E’ bisogna che sia, pell’oposita parte, diventato el Grasso lui, ché quest’è la via di chi si scambia, com’io ho trovato ». Rispose il Grasso: «Per la fede mia, s’i’ lo vedessi, i’ sare’ consolato, pur ch’i’ con lui affrontarmi e per un tratto a mie modo sfogarmi.» L’analogia che il Grasso fa tra la sua situazione e la metamorfosi non è priva di fondamento benché sia dismessa come parole a spasso dal prete che ne raccoglie la confessione («‘Che ti bisogna parlârgli o vedello? ’ / - diceva il prete - ‘Poi ch’ara’ tu fatto? / Tu dimostri d’avere poco cervello’» 141,1-3): in entrambi i casi si riscontra una crisi del senso d’identità e la percezione che l’aderenza del corpo al nome del proprietario sia minata forse irrimediabilmente. 49 Per le premesse del ritratto del Grasso nel poema di Davanzati, quindi, se anche questi tentasse di toccare e di riconoscere il proprio corpo non sortirebbe alcun affetto benefico: la comunità - la lobby dei beffatori, ma anche le autorità giuridiche e religiose incarnate dal giudice e dal prete - sta comunicando al Grasso che non è chi crede di essere; non gli resta che prendere atto del fatto che il suo corpo è cambiato e che la sua anima non ne è del tutto consapevole. La disavventura si conclude di fatto quando il Grasso, drogato con l’oppio durante la cena a casa dei fratelli di Matteo, rinviene nella propria camera il mattino seguente e riconosce il proprio contesto domestico: 49 Cfr. Fusillo 2012. Si noti che anche nel cantare di Geta e Birria si trova un nesso tra il tema della metamorfosi, anche se declinata in modo più deciso nel passaggio uomo-animale, e la crisi d’identità, cfr. Kuhn 2017, p. 115: «For Geta […] in the doppelgänger episode, the motif of metamorphosis is linked to the question of existence and thus turns out to play an incomparably more decisive role». Inoltre, con lo stesso sprezzo del prete, Anfitrione aveva rifiutato la possibilità di tale trasformazione: «Po’ disse al Geta: «Un uccel senza penne / ti fe’ natura; in qual libro si trova / ch’un altro in te, o tu in altro ti muti? / troppo se’ sciocco, se m’ajuti» ( Geta e Birria , 159,5-8). Senso del tatto e percezione di realtà Rebecca Bardi 75 Versione di Giambullari Versione di Davanzati 141 159 Rimase el Grasso che sodo dormia, […] e di po’ gli occhi apriva: e la possanza del loppio mancava per la camera cominciò a guardare a mano a man: sonòe l’avemmaria, e lo spiraglio vidde che veniva e per quel suono el Grasso si destava; drento, e cominciò pur a pensare e con affanno e gran maninconia a questo fatto. E di ciò sentiva pensando appunto ben si ricordava dolor assai, tu lo puoi pensare, di tutto el fatto com’egli era andato, e riconobbe, come fu sonata, ma stava in dubbio s’egli avea sognato . l’avemaria di Santa Liperata. 142 160 E con questo pensier pur combatteva: E d’ogni cosa lui si ricordava «Sono stato nel letto o sono andato? » che era stato, e tutto sapeva; E la camera sua pur gli pareva, e così fiso la stanza guardava e nel suo letto s’era pur trovato; e a punto ogni cosa conosceva, e pure in qua e ’n là si rivolgeva , e per paura quasi ne tremava, dicendo: «Dove diavol sono istato? » però che maraviglia si faceva, E combattuto un pezzo in tal forma sappiendo dove lui s’era posato uscìe del letto perché più non dorma. la sera, quando a letto ne fu andato. A questo punto della narrazione, in entrambe le versioni torna a essere centrale il senso della vista: nella versione di Giambullari, il rivolgersi in qua e ’n là richiama il guardarsi intorno attraverso cui il Grasso, appena fuori di casa, cercava di spiegare il suo fallace sdoppiamento (77,1); nella versione di Davanzati il nesso tra la vista e la conoscenza, qui sottolineata a maggior ragione dalle forme verbali rimanti ( ricordava : guardava, sapeva : conosceva ), è solidale con quanto affermato a 36,1-2: «‘ché, s’i’ potessi almanco un po’ vedere , / i’ sare’ chiaro della cosa a punto’». La percezione della realtà tramite la vista si direbbe avere un valore strutturale in entrambe le versioni in rima, collegando ‘a cornice’ il momento di inizio della beffa con la sua conclusione. Riassumendo, Giambullari e Davanzati dimostrano in modo indiscutibile di essersi confrontati con il racconto della beffa nel periodo dello sperimentalismo poetico giovanile, che per entrambi è coinciso con l’ acme politica e letteraria di Lorenzo il Magnifico. Le versioni in rima di Giambullari e Davanzati sono basate su due redazioni della Novella - rispettivamente, sulla redazione B e sulla redazione Vulgata - che insistono in modo diverso sulla pertinenza della dimensione corporea al tema della crisi d’identità. Giambullari eredita dalla redazione B Rebecca Bardi Senso del tatto e percezione di realtà 76 l’idea per cui il superamento della crisi d’identità debba passare attraverso una prova della realtà del proprio corpo: la soluzione del Grasso è dunque quella di toccarsi dopo l’ ‘incidente’ del mancato riconoscimento sotto casa (77,1-2). Davanzati, invece, nel seguire la redazione della Vulgata dove questo dettaglio è assente, riconduce lo sdoppiamento al fenomeno della metamorfosi sviluppandone il motivo nel colloquio del Grasso con il giudice (83-84). Il confronto di testimonianze eterogenee - gli esempi, anche quando minuti, tratti dalle versioni in prosa e in rima della Novella , dal cantare del Geta e Birria , dalla commedia latina dell’ Amphitruo di Plauto, dal poema in ottava rima del Driadeo di Luca Pulci e dal sonetto di Bellincioni confermano un ampio raggio di diversificazione - permette di vedere nella vicenda del Grasso l’attualizzazione di un elemento specifico del dramma del doppio (l’uomo che smarrisce se stesso cerca rassicurazione nei propri sensi: tatto, vista, udito) che nel corso dei decenni dell’èra laurenziana continuava a rivelare tutto il fascino delle sue profonde radici tragicomiche. Abstract. Dieser Aufsatz analysiert den Zusammenhang zwischen Tastsinn und Realitätswahrnehmung in zwei Gedichten von Bernardo Giambullari und Bartolomeo Davanzati, die der Novella del Grasso legnaiuolo ( Novelle des fetten Holzschnitzers ) gewidmet sind. Es wird gezeigt, wie das Bedürfnis des getäuschten Holzschnitzers, seinen Körper zu berühren, um sich selbst zu erkennen, ein zentrales Merkmal von Erzählungen um das Doppelgänger-Motiv im Florenz der Renaissance ist. Summary. This essay analyses the connection between the sense of touch and the perception of reality in two poems by Bernardo Giambullari and Bartolomeo Davanzati dedicated to the Novella del Grasso legnaiuolo ( Novella of the Fat Woodcarver ) . It is demonstrated how Grasso’s need to touch his body in order to recognize himself is a main feature in narrations of the Doppelgänger -motive in Renaissance Florence. Bibliografia Bachtin, Michail: L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale . Torino: Einaudi 1979 [ Tvorčestvo Fransua Rable i narodnaja kul’tura srednevekov’ja i Renessansa . Izdatel’stvo: Chudožestvennaja literatura 1965]. Barbi, Michele: «Una versione inedita della Novella del Grasso legnaiuolo» in: Studi di filologia italiana , i/ 1927, pp. 133-144. Senso del tatto e percezione di realtà Rebecca Bardi 77 Bartoli, Lorenzo: «‘I Don’t Know Whether I’m Dreaming Now, or If I Dreamt What I’m about to Tell You’: Filippo Brunelleschi and the Perspectives of Sleep in the Novella of the Fat Woodcarver», in: Quaderni d’Italianistica , xxiv/ 2003, pp. 7-20. Bausi, Francesco: «Giovanni Gherardi», in: Dizionario Biografico degli Italiani , Roma: Istituto della Enciclopedia italiana, liii/ 2000, pp. 559-568. Billeri, Gabriella: L’esecuzione narrativa. Comicità e significazione nella ‘Novella del Grasso’ . Roma: Bulzoni 1984. Bisanti, Armando: «Bernardo Bellincioni e il Geta di Vitale de Blois», in: Schede umanistiche , i/ 2000, pp. 35-65. Borsellino, Nino: La tradizione del comico. Letteratura e teatro da Dante a Belli . Milano: Garzanti 1989. Chiarini, Gioachino: Novelle italiane. Il Quattrocento . Milano: Garzanti 1982. Decaria, Alessio: «Luca Pulci», in: Dizionario Biografico degli Italiani , Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, lxxxv/ 2016, pp. 662-665. Degl’Innocenti, Luca: «Il teatro privato dei conflitti pubblici nella camera di Triunfo da Camerino», in: XXII Congresso ADI (16 settembre 2022) in c.d.s. Del Lungo, Isidoro: «La recitazione dei Menaechmi in Firenze e il doppio prologo della Calandra», in: Archivio Storico Italiano , iii/ 89, 1875, pp. 341-351. De Robertis, Domenico: Vita di Filippo Brunelleschi preceduta da La Novella del Grasso , con introduzione e note di Giuliano Tanturli. Milano: Il Polifilo 1976. Fanfani, Pietro (a cura di): Bernardo Bellincioni, Rime . Bologna: presso Gaetano Romagnoli 1878. Fusillo, Massimo: L’altro e lo stesso. Teoria e storia del doppio . Modena: Mucchi 2012 [Firenze: La Nuova Italia 1998]. GDLI : Grande Dizionario della Lingua italiana , diretto da Salvatore Battaglia, poi da Giorgio Bàrberi Squarotti, Torino: Utet 1961-2008, 24 voll. Giudici, Emiliano: Il ‘Driadeo d’amore’ di Luca Pulci . Lanciano: Carabba 1916. Hardin, Richard F.: «Menaechmi and the Renaissance of Comedy», in: Comparative Drama , xxxvii/ 3-4, 2003-2004, pp. 255-274. Klein, Robert: La forma e l’intellegibile. Scritti sul Rinascimento e l’arte moderna . Torino: Einaudi 1975 [ La forme et l’intelligible . Paris: Editions Gallimard 1970]. Kuhn, Barbara: «’Nulla son io; […] due siam fatti d’uno’ ( Geta e Birria ) - Subtracting by Duplicating or The Transformations of Amphytrion in the Early Modern Period» in: Renaissance Rewritings , a cura di Helmut Pfeiffer, Irene Fantappiè, Tobias Roth, Berlin: De Gruyter 2017, pp. 99-125. Lanza, Antonio: «Il Geta e Birria», in : Il cantare italiano tra folklore e letteratura , Atti del convegno internazionale (Zurigo, 23-5 giugno 2005), a cura di Michelangelo Picone e Luisa Rubini. Firenze: Olschki 2007, pp. 235-257. Marchetti, Italiano: «Sulla ‘gionta’ al Ciriffo Calvaneo» in: Rinascimento , v, 1/ 1954, pp. 81-103. Marchetti, Italiano (a cura di): Bernardo Giambullari. Rime inedite o rare . Firenze: Sansoni 1955, pp. 91-139. Rebecca Bardi Senso del tatto e percezione di realtà 78 Martelli, Mario: Letteratura fiorentina del Quattrocento. Il filtro degli anni Sessanta . Firenze: Le Lettere 1996. Menetti, Elisabetta: La realtà come invenzione. Forma e storia della novella italiana . Milano: Franco Angeli 2015. Mita Ferraro, Alessandra: Matteo Palmieri. Una biografia intellettuale , prefazione di Cesare Vasoli. Genova: Name 2005. Orvieto, Paolo (a cura di): Lorenzo de’ Medici . Tutte le opere . Roma: Salerno Editrice 1992. Orvieto, Paolo: «Il Quattrocento», in: Storia della Letteratura Italiana , diretta da Enrico Malato, III. Roma: Salerno Editrice 1996, pp. 320-328, 328-337 e 342-349. Ott, Christine: «Heterodox Afterlives. Michelangelo between Metempsycosis and Resurrection», in: Capricci luterani? Michelangelo artista e poeta nel contesto del dibattito religioso del Cinquecento , a cura di Hans Aurenhammer, Marc Föcking, Christine Ott e Alessandro Nova, Berlin: De Gruyter 2023, pp. 311-350. Petoletti, Marco: «Per la tradizione manoscritta della ‘Novella del Grasso legnaiuolo’ Un nuovo testimone della versione palatina», in: Il colloquio circolare. I libri, gli allievi, gli amici in onore di Paola Vecchi Galli , Bologna: Patron editore 2020, pp. 433-443. Procaccioli, Paolo: Bartolomeo Davanzati. Novella di Matteo e del Grasso legnaiuolo . Roma: Istituto della Enciclopedia italiana 1987. Procaccioli, Paolo: «Bartolomeo Davanzati», in: Dizionario Biografico degli Italiani . Roma: Istituto della Enciclopedia italiana, xxxiii/ 1987, pp. 112-113. Procaccioli, Paolo: La Novella del Grasso legnaiuolo . Presentazione di Giorgio Manganelli. Parma: Guanda 1990. Ridolfi, Roberto: La stampa in Firenze nel secolo XV . Firenze: Olschki 1958. Rochon, André: «Une date importante dans l’histoire de la beffa: la ‘nouvelle du Grasso legnaiuolo’», in: Id., Formes et significations de la beffa dans la littérature italienne de la Renaissance (deuxième série): Sacchetti; Masuccio Salernitano; Castiglione; Le ‘Grasso legnaiuolo’. Paris: Université Sorbonne Nouvelle 1975, pp. 211-376. Rossi, Vittorio: Il Quattrocento , con aggiornamento di Rossella Bessi e introduzione di Mario Martelli. Padova-Milano: Vallardi 1992. Savelli, Giulio: «Una interpretazione della Novella del Grasso legnaiuolo», in: Strumenti critici n.s. 9, 1994, pp. 21-47. Tanturli, Giuliano: «Per l’interpretazione storica della Vita del Brunelleschi», in: Paragone Arte , 301, 1975, pp. 5-25. Tanturli, Giuliano: «Rapporti del Brunelleschi con gli ambienti letterari fiorentini», in: Filippo Brunelleschi. La sua opera e il suo tempo , Firenze: CentroDi 1980, pp. 125-144. Tenenti, Alberto: Il senso della morte e l’amore della vita nel Rinascimento (Francia e Italia) . Torino: Einaudi 1978 [Torino: Einaudi 1977]. Tontini, Alba: «Per la storia del testo di Plauto nell’Umanesimo», in: Rivista di cultura classica e medievale , lxvi/ 2, 2014, pp. 477-543. Traina, Alfonso (a cura di): Tito Maccio Plauto. Anfitrione , introduzione, testo e traduzione. Bologna: Patròn 2011. Senso del tatto e percezione di realtà Rebecca Bardi 79 Vasoli, Cesare: «Il Quattrocento», in: Storia della Letteratura Italiana , diretta da Enrico Malato, III. Roma: Salerno Editrice 1996, pp. 78-79. Zanato, Tiziano (a cura di): Lorenzo de’ Medici. Canzoniere . Firenze: Olschki 1991. Sitografia Re.novella (https: / / renovella.unisi.it/ , consultato l’ultima volta il 29/ 10/ 2023). Rebecca Bardi Senso del tatto e percezione di realtà