eJournals Italienisch 45/89

Italienisch
ita
0171-4996
2941-0800
Narr Verlag Tübingen
10.24053/Ital-2023-0007
61
2023
4589 Fesenmeier Föcking Krefeld Ott

L’eredità dantesca nel lessico italiano e il nuovo Vocabolario Dantesco

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2023
Paola Manni
In diesem Beitrag soll vor allem gezeigt werden, dass Dantes Vermächtnis im italienischen Sprachgebrauch noch immer präsent und lebendig ist. Es gibt viele Wörter, Phrasen, Redewendungen, manchmal ganze Zeilen aus dem Gedicht, die in unsere gemeinsame Sprache eingegangen sind und frei zirkulieren, ohne dass man sich ihres Ursprungs bewusst wäre. Studien zum Wortschatz Dantes unter diesem Gesichtspunkt – in „prospektiver Diachronie“ (De Mauro) – sind einerseits recht neu. Andererseits erlaubt die Verfügbarkeit der großen Korpora des Altitalienischen, die die Grundlage des TLIO (Tesoro della lingua italiana delle Origini) bilden, auch eine retrospektive Untersuchung, die deutlich macht, wieviel älterer und heutiger Sprachgebrauch dem Wortschatz Dantes schuldet bzw. worin Innovationen bestehen. Aus der Notwendigkeit heraus, die Analyse von Dantes Wortschatz unter Berücksichtigung dieser Aspekte und unter einem spezifisch lexikographischen Gesichtspunkt durchzuführen, wurde in Florenz von der Accademia della Crusca und der OVI (Opera del Vocabolario Italiano) das neue Vocabolario Dantesco, www. vocabolariodantesco.it, ins Leben gerufen, das im letzten Teil des Artikels beschrieben wird.
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82 DOI 10.24053/ Ital-2023-0007 PAOLA MANNI L’eredità dantesca nel lessico italiano e il nuovo Vocabolario Dantesco I «Bazzecole, quisquilie, pinzillacchere! », diceva Totò in una delle sue più esilaranti battute, così famosa da essere divenuta quasi un aforisma. Il susseguirsi dei tre vocaboli, nel loro significato pressoché identico di ‘cosa da nulla’, ‘inezia’, moltiplica la carica espressiva e antifrastica dell’esclamazione, che ha il suo acme nell’enigmatico pinzillacchera , a quanto pare dovuto alla creatività linguistica di Totò stesso. 1 Di maggiore spessore storico le altre due voci: bazzecola , di etimo discusso, di cui si conoscono esempi fin dal Cinquecento in autori soprattutto toscani, 2 e quisquilia che fra le tre è sicuramente la voce più antica e più illustre, trovando il suo primo antecedente volgare nella Commedia di Dante e dovendo con ogni probabilità a quest’ultima la sua fortuna nell’italiano. Quisquilia , dal latino quisquilia (per lo più al plurale nel senso di ‘scorie’, ‘rifiuti’, ‘immondizie’), ricorre nel XXVI canto del Paradiso , allorché, arrivato quasi all’apice del suo itinerario celeste, Dante descrive il recupero della vista dovuto all’intervento di Beatrice, che purifica il suo occhio da ogni residua impurità predisponendolo alla visione suprema: «così de li occhi miei ogne quisquilia / fugò Beatrice col raggio d’i suoi» (Par. XXVI 76-77). Un’altra attestazione del sostantivo, pressoché contemporanea a quella dantesca, si trova nel volgarizzamento del De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico composto agli inizi del Trecento dal mantovano Vivaldo Belcalzer, dove sulla scorta di un passo biblico (Amos 8, 6: quisquiliae frumenti vendamus ), quisquilia indica propriamente la pula, ovvero il residuo della trebbiatura dei cereali. 3 È evidente che Dante, nel contesto paradisiaco, imprime al termine un valore squisitamente metaforico: come spesso accade nella terza cantica, il poeta si serve di un’immagine concreta per dare espressione a una realtà soprannaturale, arcana e ineffabile. L’impiego dantesco condizionerà in modo decisivo la storia della parola, che entrerà a far parte del patrimonio lessicale dell’italiano nel significato astratto di ‘cosa trascurabile’, ‘bazzecola’, appunto, come recitava Totò. 1 Cfr. GDLI , s.v. 2 Cfr. GDLI , s.v.; inoltre per l’etimo, ricondotto a *battiare, cfr. LEI , 5, 293.33. 3 Cfr. TLIO , s.v. Paola Manni L’eredità dantesca nel lessico italiano e il nuovo Vocabolario Dantesco 83 Se oggi si dice a qualcuno «Non andare in quella bolgia! che bolgia al mercato! » non ci sono dubbi che nella voce bolgia sopravvive la bolgia con cui Dante designa ciascuna delle dieci fosse in cui si divide l’ottavo cerchio dell’Inferno. In questo caso il poeta trasferisce nella topografia infernale un gallicismo (francese bolge/ bouge , di probabile derivazione germanica) vivo nell’uso toscano due-trecentesco nel significato di ‘sacca o borsa destinata a vari usi’, ‘tasca’. 4 Ma è nel nuovo senso dantesco che bolgia si è impresso nell’immaginario collettivo e si è insediato nell’italiano, andando incontro a una serie di usi estensivi e traslati: da bolgia ‘fossa infernale’ a ‘luogo di peccato’, ‘luogo di sofferenza’ e poi anche ‘luogo pieno di gente, confusione, disordine’ e anche ‘affollamento, calca’, che corrisponde all’uso oggi prevalente. È comunque interessante notare che, in questo caso, il significato primitivo non scompare del tutto: in Toscana bolgia sopravvive in ambito sartoriale nel senso di ‘piega o rigonfiamento di un abito’. 5 Ed è proprio degli anni più recenti il recupero del diminutivo bolgetta per indicare un tipo di cartellina fornita dalle Poste italiane in cui si raccolgono documenti con affrancatura automatizzata. Corsi e ricorsi della lingua! Noi oggi usiamo scialbo nel senso di ‘pallido’, ‘tenue’ e, più figuratamente, nel senso di ‘inespressivo’, ‘insignificante’, ‘banale’. Decisivo per l’affermarsi del termine l’impiego che ne fece Dante, nella terzina del XIX canto del Purgatorio , nel raffigurare la ripugnante e al tempo stesso potentissima immagine onirica della femmina balba: «mi venne in sogno una femmina balba, / ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta, / con le man monche, e di colore scialba» (Purg. XIX 7-9). In rima rara con balba ‘balbuziente’, Dante colloca scialba , parola toscana derivata da scialbare (a sua volta dal latino exalbare ), verbo ben noto nel campo della pittura e dell’edilizia nel significato di ‘ricoprire d’intonaco, intonacare’, così come il sostantivo scialbatura voleva dire ‘intonacatura’. Sia il verbo sia il sostantivo ricorrono più volte come tecnicismi in documenti fiorentini e toscani dei secoli XIII-XIV, dove si trova anche scialbato ‘intonacato’, nonché scialbo sostantivo per indicare l’intonaco stesso che si applica sui muri . 6 In modo del tutto inusitato e indubbiamente audace Dante impiega scialbo con valore aggettivale per riferirsi a un’effigie umana e indicare il non colore, l’aspetto terreo, smorto, cereo del volto della femmina balba apparsagli in sogno. La svolta semantica impressa al termine svincola scialbo dal primitivo significato tecnico e lo immette nel lessico italiano come aggettivo nel significato di ‘pallido, tenue, fioco’, da cui poi deriveranno le accezioni più astratte di ‘insignificante’, ‘privo di valore’, ‘banale’. Dell’antica vitalità di scialbare nel senso di ‘intonacare, imbiancare 4 Cfr. LEI , s.v. bulga; *bulgia, 7, 1430.20; Cella 2003, pp. 345-346; TLIO , s.v. 5 Cfr. GRADIT , s.v. 6 Per tutti cfr. TLIO , s.vv. L’eredità dantesca nel lessico italiano e il nuovo Vocabolario Dantesco Paola Manni 84 muri e pareti’ e di scialbatura , ‘intonacatura’, restano però alcune tracce tuttora vive in ambito regionale toscano. 7 Ancora un caso interessante, costituito questa volta non da un singolo termine ma da una locuzione. Perché noi diciamo stare freschi , quando vogliamo alludere a una condizione difficile e sgradevole? «Se vai là, stai fresco! » si dice a un amico per metterlo in guardia da una situazione pericolosa. La spiegazione si trova nel XXXII canto dell’ Inferno , quando Dante è ormai giunto nel fondo dell’abisso, nell’ultimo cerchio, ovvero «là dove i peccatori stanno freschi» (Inf. XXXII 117): verso secco, incisivo, non privo di sarcasmo, in cui si fissa l’immagine degli ultimi dannati, confitti insieme a Lucifero nel ghiaccio eterno. Ed è indubbio che un’espressione come questa trae la sua forza impressiva dallo sconvolgente contesto visionario in cui è inserita. Si potrebbero poi citare gli inserti di più ampio respiro, talora interi versi della Commedia che, svincolati dal contesto originario, sono entrati nel linguaggio comune, prestandosi a dare enfasi ed espressività ai nostri discorsi. Volendone fornire un elenco (non certo esaustivo), potremmo iniziare con l’ incipit stesso del poema: «Nel mezzo del cammin di nostra vita» (Inf. I 1-3), e proseguire con «mi fa tremar le vene e i polsi» (Inf. I 90), «Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate» (Inf. III 9), «sanza ’nfamia e sanza lodo» (Inf. III 35-36), «non ragioniam di lor, ma guarda e passa» (Inf. III 51), «colui / che fece per viltade il gran rifiuto» (Inf. III 60), «fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza» (Inf. XXVI 119-120), «del bel paese là dove ’l sì suona» (Inf. XXXIII 79-80), «E quindi uscimmo a riveder le stelle» (Inf. XXXIV 139), «conosco i segni de l’antica fiamma» (Purg. XXX 48), «State contenti, umana gente, al quia » (Purg. III 37), «uomini siate, e non pecore matte» (Par. V 80), «ben tetragono ai colpi di ventura» (Par. XVII 24), «Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui» (Par. XVII 58-60). Fa parte dell’esperienza comune constatare come queste espressioni, nella loro circolazione libera e spesso immemore della matrice dantesca, non solo possano adattarsi alle occasioni più diverse, ma vengano spesso citate in modo distorto e scorretto: si pensi a «sanza infamia e sanza lodo» che perde quasi sempre il sanza tipico del fiorentino antico, sostituito da senza ; e a «far tremar le vene e i polsi», certo una delle espressioni più fortunate, ma anche una delle più banalizzate e arbitrariamente ritoccate nella forma: essendosi persa la consapevolezza che nel passo dantesco polsi vuol dire ‘arterie’, essa viene trasformata in «far tremare le vene ai polsi», o anche «far tremare le vene dei polsi». La storia della fortuna di questi prelievi dal poema è quasi tutta da scrivere e costituisce un oggetto di indagine veramente affascinante e al tempo stesso 7 Cfr. GRADIT , s.vv. Paola Manni L’eredità dantesca nel lessico italiano e il nuovo Vocabolario Dantesco 85 difficile, anche perché ci mette a contatto con quella parte dell’eredità dantesca che si è fatta deposito non solo di lingua, ma anche di situazioni, di sentimenti, di stati d’animo e quindi di vita vissuta. È certo comunque che, di fronte a tali componenti del lascito dantesco, non si può fare a meno di ricordare ancora una volta come la Commedi a, questo capolavoro della letteratura di tutti i tempi, abbia infranto in Italia gli argini delle differenze geografiche e sociali, propagandosi non solo attraverso i canali tradizionali della cultura alta, ma percorrendo anche strade alternative, fra cui importantissime quelle legate al canale dell’oralità. Sappiamo del resto come il passaggio di versi del poema in testi di genere pratico - testi giuridici, libri di conti, cronache - sia assai precoce e rimandi ai primi lettori della Commedia appartenenti ai ceti mercantili e artigianali che furono il nerbo della civiltà comunale. E non ci sono dubbi che a divulgare e fissare nell’uso comune questi inserti di poesia dantesca, accanto alle riprese letterarie, un ruolo molto importante e forse decisivo spetta alle classi della borghesia cittadina, nonché a coloro che, magari incapaci di leggere e scrivere, hanno conosciuto e trasmesso il poema mandandone a memoria i versi, come il fabbro che in una delle Trecento novelle di Franco Sacchetti «cantava il Dante come si canta uno cantare»; 8 oppure quel Domenico Lenzi, modesto venditore di biade che, nel descrivere in un suo registro il tragico spettacolo dei poveri cacciati da Siena nel 1329, prorompe nel grido straziante del Conte Ugolino «Ahi dura terra, perché non t’apristi? » (Inf. XXXIII 66), 9 offrendoci un precocissimo esempio del trapianto di un verso dantesco nel proprio idioletto. Né ci meraviglieremo che questi prelievi provengano in assoluta maggioranza dall’ Inferno , la cantica di più violento realismo e di più facile divulgazione, la cantica che col suo impatto emotivo ha certamente raggiunto il pubblico più vasto. Prendendo atto della straordinaria forza penetrativa della parola dantesca, capace di coinvolgere tanto i letterati, quanto i comuni parlanti, Luca Serianni, anni fa, in una circostanza ancora estranea agli intenti celebrativi legati ai Centenari danteschi, parlò dell’«ecumenicità» di Dante e della sua «funzione simbolicamente unitaria», che continua ad essere percepita anche dopo il periodo risorgimentale che elesse Dante a «padre della lingua italiana». 10 Quella riflessione mi colpì e parlandone in seguito, arrivammo alla conclusione che fra le forme d’arte che in Italia hanno avuto questa capacità «ecumenica» e hanno assunto una così potente funzione identitaria solo l’opera lirica potrebbe forse ambire a stare al passo col capolavoro dantesco. 8 Si tratta della novella CXIV, cui si unisce, per situazione analoga, la CXV: cfr. Zaccarello 2014, pp. 260-263. 9 La citazione è tratta dal cosiddetto Libro del Biadaiolo (codice Tempi 3 della Biblioteca Laurenziana di Firenze): cfr. Pinto 1978, p. 322. 10 Serianni 2013, p. 296. L’eredità dantesca nel lessico italiano e il nuovo Vocabolario Dantesco Paola Manni 86 II Non ci sono dubbi che l’ultimo quarto del XX secolo ha rappresentato un’epoca di straordinario progresso negli studi sulla lingua dantesca con iniziative che, grazie alle tecnologie informatiche, hanno veramente aperto nuovi orizzonti e gettato luce su aspetti che precedentemente si sottraevano a indagini sistematiche e esaurienti. L’allestimento dei grandi corpora dell’italiano antico, realizzati in seno all’OVI (Opera del Vocabolario Italiano - CNR), che hanno costituito la base su cui si è edificato il TLIO , grande dizionario storico dell’italiano antico che abbraccia i secoli delle origini fino alla fine del Trecento, consentono finalmente di contestualizzare il lessico dantesco nella temperie linguistica della sua epoca, mettendone in luce con precisione e coerenza di metodo i debiti rispetto all’uso coevo e al contempo il dirompente grado di originalità. Ma accanto a questo approccio, si è pure affermata insistentemente, negli ultimi decenni, l’esigenza di seguire le sorti di quel lessico nelle epoche successive e valutarne il lascito nel nostro comunicare di oggi. Accanto a quella che chiamiamo la «diacronia retrospettiva» ci si interroga anche sulla «diacronia prospettica». L’invito più diretto e appassionato a indagini di quest’ultimo tipo proviene da uno dei più eminenti linguisti del Novecento, Tullio De Mauro, che, soprattutto nell’ultima parte della sua vita, si è soffermato spesso sul ruolo svolto da Dante nel processo di formazione e stabilizzazione del lessico italiano. Sono ben noti i rilievi statistici contenuti nella Postfazione al GRADIT relativi al lessico fondamentale dell’italiano (le circa 2000 parole a più alta frequenza), caratterizzato da una continuità dal Trecento ad oggi che, dopo la Commedia , arriva a toccare il 90 %. 11 Meno noti, ma forse ancora più significativi, i calcoli che De Mauro sviluppò e ripropose nella loro forma più compiuta (ma pur sempre definita provvisoria e aperta a ulteriori sviluppi) negli ultimi suoi interventi. Egli richiamò l’attenzione sui dati desunti da un confronto fra il tasso di sopravvivenza del lessico italiano antico, calcolato sulla base dei lemmi del TLIO appartenenti alla lettera A-, e il tasso di sopravvivenza dei vocaboli della Commedia inizianti per A-. Se nel primo caso si registra un tasso pari al 32 % (31,86), nel secondo caso la percentuale sale all’82%, ovvero si ha un tasso due volte e mezzo superiore. 12 Ciò vuol dire in sostanza che la parola dantesca possiede oltre il doppio delle possibilità di arrivare fino a noi rispetto a una qualunque parola antica. È possibile che questi calcoli, una volta sottoposti a ulteriori verifiche, subiscano degli aggiustamenti e delle correzioni, ma non credo che essi possano perdere il loro 11 De Mauro 1999, p. 1166. 12 De Mauro 2015, pp. 20-21. Paola Manni L’eredità dantesca nel lessico italiano e il nuovo Vocabolario Dantesco 87 significato sostanziale nel mettere in luce come la «funzione Dante» abbia fortemente inciso nella nostra tradizione linguistica, e non solo agendo sul versante letterario, per sua natura predisposto fin da subito a recepire la parola dantesca nel proprio circuito. In modi diversi e attraverso una pluralità di percorsi - sui quali c’è ancora molto da indagare - essa si è insinuata nella struttura profonda dell’italiano, ne innerva la composizione e, ben oltre la nostra consapevolezza, è presente e viva nel nostro parlare di oggi. Per quanto concerne i mezzi e i modi attraverso cui la «funzione Dante» ha agito nel tempo, l’indagine è dunque aperta a nuovi e necessari sviluppi e certo non potrà prescindere, come abbiamo già ricordato, dalla “memorabilità” della Commedia , opera capace di imporsi grazie anche al fascino dell’esecuzione orale, all’energia vocale dei versi, ai loro valori fonico-ritmici. Un utile supporto per seguire il lessico dantesco nel suo irradiarsi nell’italiano proviene dalla Crusca in rete , una risorsa informatica realizzata dall’Accademia della Crusca, che permette di sfogliare e interrogare le cinque impressioni del Vocabolario degli Accademici della Crusca (dal 1612 alla prima metà del Novecento), consentendo così di monitorare la vitalità delle singole voci attraverso un’opera che ha indubbiamente segnato la strada maestra della lessicografia italiana. Al Vocabolario della Crusca va peraltro riconosciuto il merito di aver contribuito a dare al lessico dantesco una continuità anche nelle epoche, come il periodo fra Seicento e Settecento, in cui il culto di Dante era in declino. D’altro lato, in tempi recenti, si stanno moltiplicando gli studi dedicati all’approfondimento in termini qualitativi del nesso che lega il lessico delle Origini alla contemporaneità. Di qui l’attenzione doverosamente prestata all’aspetto semantico che entra decisamente in causa nel condizionare le sorti successive della parola dantesca, spesso soggetta a traslati, usi estensivi o restrittivi, banalizzazioni, cambiamenti di registro, ecc. Le voci citate nel primo paragrafo ne danno una parziale testimonianza, che può essere notevolmente arricchita con gli esempi e le considerazioni che al tema dedica con grande sensibilità Luca Serianni nel suo ultimo libro su Dante, in un capitolo significativamente intitolato Continuità reale e apparente . 13 Fra le tipologie di termini che meritano una particolare attenzione sotto questo punto di vista, si annoverano i latinismi, sicuramente una delle più cospicue fonti di arricchimento lessicale messe in campo da Dante. Come oggi appare sempre più evidente grazie allo scavo retrospettivo, si tratta spesso di vocaboli direttamente ripresi dal poeta stesso dalle fonti latine e latino-medievali che gli erano accessibili: latinismi di prima mano potremmo dire. E non è affatto raro che essi, una volta entrati nella Commedia , mettano radici nell’italiano, in virtù di quella «funzione Dante» di cui parlava 13 Cfr. Serianni 2021, pp. 37-50. L’eredità dantesca nel lessico italiano e il nuovo Vocabolario Dantesco Paola Manni 88 De Mauro. Emblematico il caso di quisquilia , citato all’inizio di questo intervento, ma potremmo aggiungere anche qui molti altri latinismi danteschi che nel prosieguo della loro storia hanno conosciuto processi di evoluzione semantica più o meno vistosi. Potremmo ricordare ad esempio i due aggettivi molesto e mesto , utilizzati congiuntamente in tutta la loro carica di cupa drammaticità nel canto dei suicidi («per la mesta / selva saranno i nostri corpi appesi, / ciascuno al prun de l’ombra sua molesta» Inf. XIII 106-108) e oggi divenuti indicativi di uno stato di sofferenza indubbiamente più blando ( mesto non vuol più dire ‘disperato’ ma designa uno stato di tristezza, di malinconia e depressione, e molesto non indica più qualcosa di violentemente dannoso, come può essere l’atto del suicida verso sé stesso, ma qualcosa di fastidioso e irritante). E anche voci dal significato apparentemente più stabile, come eccellente , egregio , illustre , magnificare , profano , puerile , dovevano avere nel primitivo uso dantesco un tono assai elevato, coerente con l’etimologia, e uno stigma di rarità che oggi si sono in parte perduti. 14 III Le riflessioni fin qui esposte, insieme alle ricorrenze dei due Centenari del 2015 e del 2021, hanno dato forza propulsiva al progetto e alla realizzazione, ormai in fase avanzata, di un nuovo Vocabolario Dantesco ( VD ), www.vocabolariodantesco.it, diretto da me e da Lino Leonardi, in cui convergono le forze dell’Accademia della Crusca e dell’Opera del Vocabolario Italiano (CNR), due istituzioni che da sempre hanno fatto dell’attività lessicografica il nucleo fondante del loro operare. 15 Lunga e complessa è stata l’elaborazione del progetto, che richiedeva metodi innovativi, legati alla specificità di un vocabolario d’autore, e di un autore della grandezza e della complessità di Dante, per il quale subito si poneva come delicata e problematica la scelta delle edizioni di riferimento. La decisione di 14 Per un approccio teorico a questi temi si veda Burgassi-Guadagnini 2017. I due autori si propongono di valutare il rapporto fra lessico antico e moderno alla luce delle dinamiche che investono il significato e il grado di marcatezza dei vocaboli che, per le fasi storiche della lingua, vengono ricostruiti attraverso parametri quali il «quoziente connotativo» e la «posizione» occupata all’interno dell’architettura del vocabolario. 15 Il Comitato di Direzione è formato da Giancarlo Breschi, Rosario Coluccia, Giovanna Frosini, ✝ Aldo Menichetti, Alessandro Pancheri e Mirko Tavoni (per l’Accademia della Crusca); inoltre da Rossella Mosti e Zeno Verlato (ricercatori dell’OVI) e Giuseppe Marrani (associato all’OVI). La squadra dei redattori è ad oggi (novembre 2022) formata da Francesca De Cianni, Barbara Fanini, Elena Felicani (assegniste di ricerca) e Francesca Spinelli (dottoranda). Paola Manni L’eredità dantesca nel lessico italiano e il nuovo Vocabolario Dantesco 89 iniziare il lavoro con la Commedia rendeva quanto mai spinoso il problema, risolto con l’adozione del testo curato da Giorgio Petrocchi (1994), cui però si univa l’impegno a registrare, come suggerisce la lessicografia storica più aggiornata, le varianti lessicalmente significative documentate dalla tradizione più antica del poema. Quest’apertura alla variantistica è un ulteriore aspetto innovativo del VD , che ha richiesto soluzioni inedite e tali da potersi trasferire convenientemente nell’architettura del vocabolario, concepito fin da subito in modalità informatica, avvalendosi delle competenze di Salvatore Arcidiacono cui si devono la piattaforma web e il software lessicografico. Nella Fig. 1 si può vedere il frontespizio del VD , con la sua grafica sobria ispirata ai disegni che Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici, cugino del Magnifico, commissionò a Sandro Botticelli. Nella Fig. 2 vediamo come si presenta, in apertura, la scheda lessicografica, che si suddivide in tre sezioni: 1) il lemma di entrata con la relativa categoria grammaticale, 2) un pannello di approfondimento, 3) la struttura semantica della voce, che costituisce naturalmente il nucleo fondante dell’articolo. L’atto definitorio è infatti il compito primario di ogni “vocabolario”, compito che di fronte a Dante, canone della nostra tradizione letteraria e linguistica, richiede ovviamente il massimo della cura. Le definizioni sono quindi organizzate in griglie semantiche che mirano a registrare in modo esaustivo tutte le accezioni attestate, ciascuna corredata dai relativi esempi. Ed è in questo senso, per la centralità e la cura che è riservata alla struttura semantica che si giustifica il titolo dell’opera che, pur essendo un lessico d’autore, non si propone come Glossario ma come Vocabolario , termine che trova peraltro degno riscontro nell’aggettivo dantesco , che rimanda a un autore che come nessun altro ha sperimentato e dilatato le risorse del proprio volgare facendone una lingua capace di esprimere un’universalità di temi e di modularsi in una varietà estesissima di registri espressivi. E qui voglio sottolineare il ruolo cardine che spetta alle marche semantiche e d’uso che concorrono alla definizione delle voci, ed assumono un ruolo imprescindibile proprio in funzione della poliedricità e plasticità della lingua dantesca, mettendo in luce la ricchezza delle componenti settoriali e il continuo ricorrere di usi metaforici, estensivi, metonimici, ecc.: aspetti, questi, che si colgono anche nel nostro esempio, la voce febbre che, nella sua pur semplice struttura semantica, evidenzia con la marca [Med.] la primitiva accezione di ambito medico e con fig. l’uso figurato che ne deriva. Da notare che le marche d’uso e semantiche sono codificate informaticamente; pertanto, attraverso una maschera di ricerca, si potranno effettuare delle interrogazioni mirate a richiamare le diverse categorie di termini. Il pannello di approfondimento o, più semplicemente intestazione, è una parte dinamica della scheda che consente l’accesso a varie sezioni, nelle L’eredità dantesca nel lessico italiano e il nuovo Vocabolario Dantesco Paola Manni 90 quali il lettore può inoltrarsi ottenendo ulteriori informazioni che riguardano la Frequenza (vedi ancora la Fig. 2), ovvero il numero totale delle occorrenze nella Commedia (e nelle altre opere volgari dantesche); e poi di seguito l’Index locorum, cioè l’elenco ordinato alfabeticamente delle forme attestate con il relativo luogo; le Locuzioni e fraseologia, cioè l’eventuale presenza di espressioni polirematiche associate al lemma (come febbre aguta che indica una precisa patologia); le Corrispondenze, sezione, quest’ultima, che presenta un’articolazione interna su cui dovremo soffermarci più a lungo. Entrando nelle Corrispondenze (Fig. 3), il lettore, grazie a una serie di collegamenti ipertestuali, potrà consultare strumenti e banche dati che gli consentono di approfondire la voce nel suo spessore storico, sia in direzione retrospettiva (e qui si mettono a frutto, oltre al TLIO e alla banca testuale del Corpus OVI , le banche dati del DiVo - Dizionario dei Volgarizzamenti , della LirIO - Lirica italiana delle Origini, e di altri due sottocorpora creati appositamente dal Corpus OVI , costituiti rispettivamente dai testi in prosa fiorentini del secolo XIII e dalle opere volgari di Petrarca e Boccaccio), sia in direzione moderna (percorso che potrà avvalersi della già citata Crusca in rete ). Né può mancare il collegamento con la corrispondente voce dell’ Enciclopedia Dantesca ( ED ), che resta opera imprescindibile per gli studi danteschi anche sotto l’aspetto linguistico. Dalla sezione Corrispondenze è anche possibile rimandare, se esiste, alla corrispettiva voce presente nelle opere latine di Dante, grazie al collegamento al Vocabolario Dantesco Latino ( VDL ), www.vocabolariodantescolatino.it, diretto da Gabriella Albanese, Paolo Chiesa e Mirko Tavoni, che ha preso più recentemente avvio a cura di un consorzio di istituzioni, fra cui l’Accademia della Crusca e l’Opera del Vocabolario Italiano. Alla sezione Corrispondenze segue la Nota (Fig. 4), alla quale spetta il compito di tirare le fila di quanto l’articolo nel suo complesso ha messo in luce, aggiungendo ulteriori notizie di interesse linguistico-filologico, metrico, nonché l’esplicita segnalazione delle voci che costituiscono delle prime attestazioni ( Prima att. ) o appartengono a determinate categorie lessicali, come neologismi, latinismi, germanismi, gallicismi, arabismi, ecc. Abbiamo infine il nome del Redattore della voce (Fiammetta Papi) e la data della redazione; mentre attraverso la funzione Tutto/ Stampa si potrà visualizzare l’intero articolo e ottenerne una versione stampabile (Fig. 5). Indicazioni più ampie sul VD , le sue finalità e i suoi metodi, si troveranno, oltre che nell’ Introduzione , nel volume « S’i’ ho ben la parola tua intesa », che raccoglie gli Atti della giornata di presentazione, 16 avvenuta il 1° ottobre 2018, 16 Cfr. Manni 2020 e le relazioni ivi comprese (di Paola Manni, Francesca De Blasi, Barbara Fanini, Cristiano Lorenzi Biondi, Veronica Ricotta, Salvatore Arcidiacono, Rossella Mosti, Zeno Verlato, Carla Marello, Rosario Coluccia, Mirko Tavoni, Gabriella Albanese, Lino Leonardi). Paola Manni L’eredità dantesca nel lessico italiano e il nuovo Vocabolario Dantesco 91 giorno in cui prese avvio anche la pubblicazione dell’opera. Alla presentazione, svoltasi a Firenze presso l’Accademia della Crusca, intervennero molti studiosi, e mi piace ricordare che fra questi avemmo il piacere di ospitare anche Rainer Stillers, Presidente della Deutsche Dante-Gesellschaft, la più antica fra le associazioni dantesche, fondata nel 1865, con l’intento di promuovere, come lui stesso ricordava nel suo saluto, lo scambio interculturale fra i paesi germanofoni e l’Italia, e mantenere quindi vivo, insieme alle altre Società Dantesche che sarebbero nate in Italia e nel mondo, il dialogo fra la dantistica accademica e il crescente numero di lettrici e lettori di Dante non specializzati. Ricordando come «tanti lettrici e lettori di lingua tedesca si sono innamorati della lingua italiana proprio grazie alla lettura di Dante, che per i germanofoni è faticosa e al tempo stesso affascinante» 17 , Stillers auspicava che il VD , superando le frontiere, avrebbe reso un utile servigio a tutti coloro che, non essendo di madrelingua italiana, intendevano accostarsi a Dante come lettori, interpreti o traduttori. Nel ringraziare ancora Stillers per queste parole di apprezzamento e fiducia, non posso che raccogliere il suo auspicio, nella consapevolezza, oggi più che mai viva, di quanto sia importante non chiudersi nei propri confini ma rafforzare con ogni mezzo il dialogo e la collaborazione internazionale. Abstract. In diesem Beitrag soll vor allem gezeigt werden, dass Dantes Vermächtnis im italienischen Sprachgebrauch noch immer präsent und lebendig ist. Es gibt viele Wörter, Phrasen, Redewendungen, manchmal ganze Zeilen aus dem Gedicht, die in unsere gemeinsame Sprache eingegangen sind und frei zirkulieren, ohne dass man sich ihres Ursprungs bewusst wäre. Studien zum Wortschatz Dantes unter diesem Gesichtspunkt - in „prospektiver Diachronie“ (De Mauro) - sind einerseits recht neu. Andererseits erlaubt die Verfügbarkeit der großen Korpora des Altitalienischen, die die Grundlage des TLIO ( Tesoro della lingua italiana delle Origini ) bilden, auch eine retrospektive Untersuchung, die deutlich macht, wieviel älterer und heutiger Sprachgebrauch dem Wortschatz Dantes schuldet bzw. worin Innovationen bestehen. Aus der Notwendigkeit heraus, die Analyse von Dantes Wortschatz unter Berücksichtigung dieser Aspekte und unter einem spezifisch lexikographischen Gesichtspunkt durchzuführen, wurde in Florenz von der Accademia della Crusca und der OVI ( Opera del Vocabolario Italiano ) das neue Vocabolario Dantesco , www. vocabolariodantesco.it, ins Leben gerufen, das im letzten Teil des Artikels beschrieben wird. 17 Stillers 2020, p. XII. L’eredità dantesca nel lessico italiano e il nuovo Vocabolario Dantesco Paola Manni 92 Summary. The primary purpose of this paper is to show how Dante’s legacy in the Italian use of language is still present and alive. There are many words, phrases, idioms, sometimes entire lines taken from the poem, which have entered our common language and circulate freely, unaware of their origin. The studies on Dante’s vocabulary from this point of view ̶ in its “prospective diachrony” (De Mauro) ̶ are quite recent. On the other hand, the availability of the great corpora of ancient Italian, the basis of the TLIO ( Tesoro della lingua italiana delle Origini ), also allows retrospective study, highlighting debts and novelties of that vocabulary with respect to the older and contemporary use. From the need to satisfy the analysis of Dante’s vocabulary from a specifically lexicographic point of view and taking these aspects into account, the new Vocabolario Dantesco , www.vocabolariodantesco.it, was created in Florence by the Accademia della Crusca and OVI (Opera del Vocabolario Italiano), which is described in the last part of the paper. Appendice: illustrazioni Fig. 1 Paola Manni L’eredità dantesca nel lessico italiano e il nuovo Vocabolario Dantesco 93 Fig. 2 Fig. 3 L’eredità dantesca nel lessico italiano e il nuovo Vocabolario Dantesco Paola Manni 94 Fig. 4 Fig. 5 Paola Manni L’eredità dantesca nel lessico italiano e il nuovo Vocabolario Dantesco 95 Riferimenti bibliografici citati Burgassi, Cosimo & Guadagnini, Elisa: La tradizione delle parole. Sondaggi di lessicologia storica , Strasbourg: ÉLiPhi 2017. Cella, Roberta: I gallicismi nei testi dell’italiano antico (dalle Origini alla fine del sec. XIV) . Firenze: Accademia della Crusca 2003. De Mauro, Tullio: Postfazione al GRADIT : vol. VI, pp. 1163-1183. De Mauro, Tullio: «La “Commedia” e il vocabolario di base dell’italiano», in: La funzione Dante e i paradigmi della modernità a cura di Patrizia Bertini Malgarini et al., Pisa: ETS 2015, pp. 17-24. 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