Italienisch
ita
0171-4996
2941-0800
Narr Verlag Tübingen
10.24053/Ital-2023-0010
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2023
4589
Fesenmeier Föcking Krefeld OttSu Dante e la cultura visuale: l’Inferno illustrato da Tom Phillips
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Alberto Casadei
Der Aufsatz betrachtet die Illustrationen, die der englische Künstler Tom Phillips (1937–2022) für Dantes Inferno angefertigt hat, das er auch übersetzt hat. Die Analyse zeigt die Bedeutung der allegorischen Wiederverwendung von Bildern und Materialien, die bereits in der Tradition vorhanden sind, gemäß einer ‘postmodernen’ Vorgehensweise, die hier jedoch durch eine sorgfältige Interpretation von Dantes Text untermauert wird. Auf diese Weise erhält man wirklich originelle Interpretationen der verschiedenen dargestellten Gesänge
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112 DOI 10.24053/ Ital-2023-0010 ALBERTO CASADEI Su Dante e la cultura visuale: l’Inferno illustrato da Tom Phillips 1 1 La progressiva riscoperta dell’importanza degli apparati grafici (miniature, vignette, tavole di varie dimensioni ecc.) a corredo delle edizioni antiche e moderne della Divina Commedia ha prodotto ormai alcuni contributi di notevole rilievo, compresa una sintesi ricca e ben rappresentativa dell’evoluzione storica. 2 Sebbene siano in corso ulteriori opere di archiviazione digitale e di classificazione sistematica, 3 sono da considerare acquisite alcune verifiche critiche di notevole importanza: prima fra tutte, la constatazione che le singole illustrazioni potevano essere coordinate a una precisa valenza esegetica, e addirittura andare a integrare il commento scritto, sino a creare un paratesto fortemente vincolante. 4 Ma sino alla seconda metà del xviii secolo prevale l’accostamento al contenuto testuale, che viene recepito come il primum a cui le illustrazioni si devono attenere, per esempio sottolineando gli snodi narrativi o evidenziando alcuni episodi di rilievo, specie quando si tratta di rappresentare personaggi o mostri che il lettore poteva voler identificare con una qualche precisione. 5 Viceversa, almeno dai prodromi romantici in poi, l’apparato visuale assume un rilievo sempre più autonomo ed esibisce elementi che appartengono più 1 * Una prima versione del presente contributo si legge in Casadei 2021, pp. 147-160, qui rielaborata con tagli e aggiornamenti. 2 Fra i lavori più recenti, con ampia bibliografia, si veda Battaglia Ricci 2017. In generale: Dante visualizzato 2017, con numerosi contributi sui principali codici miniati tre-quattrocenteschi, ora proseguiti in Dante visualizzato 2019. Spunti aggiornati si ricavano da Immaginare la «Commedia» 2022. 3 Dal sito della Società Dantesca si può ricavare questo materiale: https: / / www.danteonline.it/ italiano/ codici_indice.htm; in fase di realizzazione l’ Illuminated Dante Project dell’Università Federico II di Napoli, di cui si veda il sito http: / / www.dante.unina.it/ public/ frontend. Per un elenco parziale delle iniziative dantesche del 2021, in parte dedicate anche agli aspetti qui esaminati, si veda il sito: https: / / www.beniculturali.it/ dante2021. 4 Si vedano i casi esaminati da Balbarini 2011 e Pegoretti 2014. 5 Si veda a questo proposito Battaglia Ricci 2011 e anche la tesi magistrale di Deborah Grigolo, Il Bestiario dell’ ‘Inferno’ dantesco. I manoscritti italiani della ‘Commedia’ illustrati in area toscana nel XIV secolo (Università Ca’ Foscari, a.a. 2016-2017), con ampio apparato. Persino gli esiti più eccelsi del Quattro-Cinquecento, da Botticelli a Zuccari, non si staccano sostanzialmente da questa prospettiva: si veda da ultimo Dante visualizzato 2021. Alberto Casadei Su Dante e la cultura visuale: l’Inferno illustrato da Tom Phillips 113 all’intuizione di tratti subliminari, addirittura biologico-cognitivi e trans-storici, che persino un lettore culturalmente, oltre che cronologicamente molto lontano dal periodo di genesi del testo può ancora cogliere. In termini più generali, mentre la critica ufficiale e i commenti al poema si indirizzavano verso una filologia sempre più agguerrita, nell’intento di riaccostarsi il più possibile a un testo non manipolato e alla corretta interpretazione dei tanti luoghi controversi, una critica non accademica, magari a forte propensione allegorica quando non esoterica, si andava avvicinando al mondo della nuova ri-creazione di Dante attraverso un apparato iconografico che addirittura poteva sostituire il testo, come avviene per la prima volta con la grande edizione di Gustave Doré (1861-1868). In effetti la mirabile sintesi di tecnica e stile chiaroscurato nell’incisione, reinterpretazione del ‘michelangiolesco’ nella corporeità e del ‘grottesco pseudogotico’ nella mostruosità, idealizzazione laica delle credenze religiose medievali, giunge a un livello di compattezza ancora non superato. Ma appunto, si tratta di una sorta di visione tardoromantica e già nella direzione di un’autonomia del visuale rispetto allo scritto. 6 Con il successo del modello Doré, che tuttora rappresenta per molti lettori la più convincente versione visualizzata di Dante, si è aperta la strada per reinterpretazioni visuali del poema sempre più autonome: dai tentativi, spesso velleitari, delle versioni cinematografiche (dove sono gli scenari grandiosi a generare il valore aggiunto rispetto alle tante pièces teatrali otto-novecentesche); 7 alle riduzioni-rielaborazioni interamente visualizzate, in stile middlecult o pop , sino al fumettismo alla Disney. 8 La parabola in questo caso è già stata abbondantemente seguita ed è quella della progressiva appropriazione di Dante da parte di un’industria culturale capace di rielaborare la dimensione narrativa della Divina Commedia in una nuova codifica internazionale e poi globale. 9 6 Su Dante e Doré, oltre a Battaglia Ricci 2017, specie pp. 194-197 e 200, cfr. La Salvia 2016 (e, su Rodin, Schütze 2016). 7 Sull’argomento, si vedano almeno i contributi in Dante nel cinema 1996; Dante, cinema, and television 2004, specie pp. 21-50; nonché l’ampio repertorio nel sito http: / / www.danteeilcinema.com/ . Da ultimo, Speranza 2021; Dante intermedial 2022. Quanto alle performance dantesche, importante il repertorio proposto da Paolo Gervasi in Casadei/ Gervasi 2021. 8 Si veda Winter 2018; Lazzarin/ Dutel 2018, specie pp. 91-164 (sull’interessante versione manga di Gō Nagai, pp. 123-129). Per altra bibliografia si veda anche Lazzarin 2019, specie p. 170. Per un’importante disamina delle modalità di rilettura nel fumetto italiano si veda « A riveder la china » 2021 (disponibile anche in open access: https: / / edizionicafoscari.unive.it/ en/ edizioni4/ libri/ 978-88-6969-566-7/ ). 9 Oltre al volume curato da Lazzarin/ Dutel 2018 si vedano gli importanti contributi contenuti nei fascicoli monografici di Dante e l’arte , rivista dell’Universitat Autònoma de Barcelona, specie il 3 (2016), il 5 (2018) e il 7 (2020), consultabili dal sito https: / / revistes. uab.cat/ dea. Su Dante e la cultura visuale: l’Inferno illustrato da Tom Phillips Alberto Casadei 114 A fianco di questo filone si è mantenuto, nel corso del XX e all’inizio del XXI secolo, quello in cui possiamo inserire tutte le reinterpretazioni ‘colte’ del poema dantesco, consapevoli che si tratta di esempi spesso non interagenti fra di loro: il Dante di Dalì, di Rauschenberg, di Guttuso e tanti, per arrivare sino a quelli di Mattotti o di Paladino, 10 sono nella sostanza tra loro autonomi e ambiscono a una chiara e a volte esibita originalità rispetto alla tradizione. Si crea quindi un dialogo che coinvolge l’artista contemporaneo, pienamente affermato in quanto tale, e il Grande Classico, in una sorta di emulazione tra codici distinti, che può generare interazioni di notevolissimo rilievo. 2 Ma forse più ricco di implicazioni teorico-critiche è il caso di chi vuole reinterpretare da vicino il testo dantesco, con un corpo a corpo che giunge a confrontare la stratificazione esegetica dantesca (e non solo l’inattingibile ‘originale’) con la cultura contemporanea in tutti i suoi aspetti. Si tratta quindi di una nuova versione del modello Doré basata su tecniche e consapevolezze assai scaltrite, e magari segnate dai crismi del postmodernismo (continua allusività, citazionismo colto, rielaborazione di materiali già pronti, cifra intellettuale prima ancora che emotiva). In questa direzione, un esempio di alto livello è costituito dalla versione illustrata dell’ Inferno prodotta dall’artista inglese Tom Phillips (1937) e pubblicata nel 1983. 11 Fra i tratti distintivi dell’elaborazione di Phillips è facile notare quelli che sono stati considerati eminentemente postmodernisti, per esempio il riuso citazionistico di opere celebri, oggetti di culto, icone della società di massa ecc. I rapporti con il filone della pop art britannica sono indiscutibili, e tuttavia sarebbe limitativo soffermarsi solo su questa modalità dello stile di Phillips. Infatti, la propensione inclusiva-rielaborativa postmodernista è qui solo strumentale, mentre l’obiettivo è quello di realizzare un commento visuale che dia conto dello statuto della Divina Commedia in quanto ‘House of Memory’, ossia grandioso repertorio 10 Si vedano le riflessioni di Battaglia Ricci 2018, pp. 219-263, con bibliografia. Molti spunti si ricavano anche dal volume del 2019 del Deutsches Dante-Jahrbuch (XCIV, 1, specie pp. 57-121). 11 La prima edizione ( The Divine Comedy of Dante Alighieri. Inferno . A Verse Translation by Tom Phillips with Images and Commentary) è stata edita in 180 copie da Talfourd Press di Londra nel 1983; una versione economica, con note di commento, è Dante’s Inferno 1985, da cui si cita. Per alcune riproduzioni, disponibili in vari siti, si rinvia a quello ufficiale dell’artista: http: / / www.tomphillips.co.uk/ . Lo studio più completo attualmente disponibile (con varie riproduzioni) è quello di Blum 2016), di cui si terrà conto nel corso di questa trattazione. Alberto Casadei Su Dante e la cultura visuale: l’Inferno illustrato da Tom Phillips 115 di caratteristiche umane perenni, adattabili al periodo coevo così come ai vari ‘presenti’ della ricezione. Le visualizzazioni del nuovo interprete vogliono indicare un percorso che riguarda gli uomini attuali, essendo il protagonista anche Everyman , secondo il noto assunto singletoniano qui recuperato. 12 Il primo riadattamento significativo è già palese nel paratesto, visto che Dante viene presentato (in copertina e nel controfrontespizio, p. 2) in una posa che dipende con evidenza dal celebre affresco di Luca Signorelli nella cappella di San Brizio a Orvieto (ca. 1499-1502). Ma mentre questo Dante umanista è intento a confrontare vari codici non riconoscibili e la sua azione viene posta in risalto dallo sfondo scuro, nella rivisitazione di Phillips il poeta è catturato dalla lettura di libri dedicati a questioni precise (su uno si legge chiaramente «Rome»), e nello stesso tempo verifica la correttezza di quanto scritto nel libro davanti a sé, che porta scritto « dvx » e sulla pagina a fronte, in miniatura, ripropone la stessa immagine di un Dante che legge e controlla, ma giocata su colori molto più sgargianti. Lo sfondo poi, anziché essere compatto e scuro, lascia intravedere sulla destra una croce e sulla sinistra una finestra che si apre su un paesaggio essenzialissimo: un albero fusiforme, un ammasso di terra, un piano verde intenso e in lontananza una montagna con vari gradoni (ovviamente il Purgatorio ). Al di là delle puntuali spiegazioni fornite dall’artista, 13 importa qui notare che il ritratto individua una modalità ermeneutica: il Dante che conosciamo è già distante secoli e secoli da quello autentico (rappresentato nella miniatura), e persino rispetto a rappresentazioni ormai entrate nell’immaginario collettivo, come quella di Luca Signorelli, noi nuovi interpreti siamo autorizzati a fornire nostre rielaborazioni, sulla base di un processo di surdeterminazione (qui evidente nei tratti profetici della Divina Commedia , subito esibiti). Su questo punto fondamentale dovremo tornare più avanti. Altri elementi paratestuali introducono più specificamente al testo, presentato - è bene sempre ricordarlo - nella versione inglese preparata dallo stesso Phillips. 14 Si trova dapprima (p. 7) una piccola mappa del mondo conosciuto nel xiv secolo, da cui viene però tolta una notevole parte a forma di triangolo nero: sarebbe appunto la rappresentazione dell’Inferno che esiste dentro (ma anche 12 Si veda Dante’s Inferno 1985, specie pp. 283 - 285. 13 Si veda Dante’s Inferno 1985, specie p. 284. Per alcune analisi su aspetti specifici dell’opera, che si terranno qui in considerazione, cfr. Calè 2017; Schmitz-Emans 2017; Lehner 2017, pp. 168 ss. 14 La traduzione di Phillips necessiterebbe di una disamina accurata, ma si può almeno notare la sua capacità di rispettare la semantica del verso originale, riadattando in inglese le figure retoriche più appropriate, come nel caso di Inf. V. 103 tradotto «Love that releases none, if loved, from love» (p. 44), con un’effettiva semplificazione ma nel rispetto del poliptoto «Amor ch’a nullo amato amar perdona». Su Dante e la cultura visuale: l’Inferno illustrato da Tom Phillips Alberto Casadei 116 sopra) la terra. E poi ancora, come tavola di apertura che prelude all’inizio del primo canto, si ha una pagina dai toni neri e verdecupo, nella quale si intravvedono lettere che sono gli elementi costitutivi della tavola, perché coincidono con quelle che formano le parole di avvio dell’opera: «selva oscura». Visivamente e concretamente, la selva è creata con le sue stesse lettere, cosicché si genera un nesso indissolubile tra parola e immagini. Il commento visuale di Phillips gioca sul continuo contrappunto fra il testo antico, però in versione moderna, e le immagini che vengono ad esso accostate, secondo un ritmo specifico ma compatibile con la regolarità triadica dell’originale: per ogni canto vengono proposte quattro tavole, una in apertura e tre in rapporto a passi o episodi salienti. Assai di rado esse sono dedicate a singoli personaggi, e mai a quelli più impressi nella memoria collettiva: siamo agli antipodi delle scelte di Doré, e siamo lontani pure dalla tradizione figurativa anglosassone, benché artisti come John Flaxman e soprattutto William Blake siano stati metabolizzati nella nuova versione. Un’eccezione alla regola è relativa a Virgilio, la cui figura (p. 17) costituisce un pendant di quella di Dante: senza volto ma con un calamo in mano e il manoscritto dell’ Eneide davanti (aperto, non a caso, alla pagina iniziale del VI libro), il Virgilio di Phillips viene raggiunto da una sorta di raggio azzurro, proveniente da uno strano ente luminoso e lontano, che dovrebbe corrispondere a Beatrice. In questa modalità si coglie un primo tratto ironico nei confronti delle verità rivelate, presente in molte altre immagini (si veda il Gerione-serpente di p. 137, che si presenta con tre volti sovrapposti in verticale e identici a quello del Cristo della Sacra Sindone), ma in ogni caso il secondo autore invocato rimanda alla trafila eminentemente letteraria che comprende un poema classico spesso considerato ‘sacro’ come la Divina Commedia . Altre immagini riprenderanno poi questa linea ereditaria, come quella di p. 167, relativa agli indovini (con allusioni all’immagine di Virgilio, strettamente implicato nel canto), o soprattutto quella di p. 121, in apertura del canto di Brunetto Latini, che riprende molti degli elementi iconografici delle prime dedicate a Dante e Virgilio, ma senza la presenza di una nuova figura, bensì solo del suo libro, cui viene riservata la tavola di p. 125: il Tesoretto è un altro degli ipotesti da identificare all’interno del poema dantesco, ma più in generale si deve indurre che la grande letteratura è fondativa per ogni essere umano, nel bene e nel male. Non a caso gli avelli degli eretici sono genialmente rappresentati come libri aperti, da una parte scritti e dall’altra scavati e infuocati, nella figura di p. 81. A uno sguardo d’insieme, le immagini risultano in molti casi pienamente autonome, e quasi mai prive di spessore culturale. Si va dal gioco con gli stereotipi della visual culture , per esempio nel canto dei giganti ( xxxi ) là dove (p. 253) compare un King-Kong pronto a distruggere tanto una New York attuale con tutti i suoi grattacieli quanto, in primo piano, le torri di una città antica, San Alberto Casadei Su Dante e la cultura visuale: l’Inferno illustrato da Tom Phillips 117 Gimignano (così specifica la nota di p. 307). Questa tavola, senz’altro in linea con le tendenze della pop art , è peraltro bilanciata da quella immediatamente precedente (p. 251), in cui l’ironia lascia decisamente il posto al trauma: un essere enorme e oscuro, dotato di uno dei primi microchip mai costruiti (cfr. ancora p. 307), è pronto a entrare in azione contro gli esseri umani (in basso, quasi inerti) ispirato da un sole nero (in alto a destra). Chi sono dunque i giganti per noi? I mostruosi esseri narrati dalla mitologia classica o questi che incarnano le paure contemporanee? Il problema riguarda, evidentemente, la teoria della ricezione delle opere letterarie di lunga durata, ossia i classici che restano vitali nonostante il passare del tempo. 15 Altre volte la rivisitazione riguarda opere di larga fama, ma rilette in contesti e modi imprevedibili. Nel canto xxiii , la similitudine di Virgilio con la madre che salva il proprio figlio dalle fiamme e fugge, sia pure svestita (vv. 38-42), viene incrociata con la celebre rappresentazione di una donna con un bambino morto in braccio che si trova all’estrema sinistra di Guernica : e la nota (p. 300) ci segnala che Picasso dipinse il quadro facendo riferimento al bombardamento nazista sulla città basca (26 aprile 1937), e lavorava a un bozzetto del disegno riportato esattamente il giorno in cui nasceva Phillips (25 maggio 1937; l’artista è scomparso il 28 novembre 2022). Qui il testo originale offre uno spunto per un commento che, da soggettivo, diventa collettivo (il dramma di coloro che devono abbandonare ogni cosa più cara). Poco più avanti, al canto xxv le metamorfosi dei ladri vengono rievocate attraverso una mostruosa scomposizione-ricomposizione della statua del Laooconte , trattata come un manufatto puramente grafico (creato non a partire da una foto dell’originale ma già da una sua prima rielaborazione), e ulteriormente ‘straniata’ per essere collocata su uno sfondo azzurro del tutto innaturale. In questo caso, un mito fondativo dell’arte antica, ripreso nelle varie versioni storico-estetiche del neoclassicismo e del romanticismo a partire dal xviii secolo, serve come pura icona per creare una sorta di iper-metamorfosi, quella dei corpi originariamente già contorti e distorti che vengono decomposti e rimontati come pezzi di una costruzione per bambini. E si noti che la tavola è l’ultima per questo canto, ma era stata preannunciata, come in un’oscura prolessi, da un’altra in apertura (p. 201), in cui alcune parti e il viso di Laocoonte venivano elaborate secondo princìpi grafici da raffinato puzzle (si vedano i commenti dell’autore, p. 302). Ancora una sfida, questa volta alla nostra capacità di immaginare forme mai pensate e mai viste. I riferimenti colti o pop si possono moltiplicare e coprono una gamma amplissima che va dai fumetti degli anni Sessanta a Francis Bacon, dalle immagini 15 Su questi temi, rinvio a Casadei 2018, specie pp. 139-171. Su Dante e la cultura visuale: l’Inferno illustrato da Tom Phillips Alberto Casadei 118 pubblicitarie e dai cartelli stradali usati come simboli di una semiotica infera al riuso di frasi o brani di opere più o meno facilmente identificabili. In quest’ultima dimensione si colloca una serie di microcitazioni dal Human Document (1892), romanzo dello scrittore ed economista inglese William Hurrell Mallock (1849-1923) preso da Phillips come base per il suo progetto-trattamento visuale A Humument , terminato nel 1980 e quindi almeno in parte sovrapposto con la genesi del suo Inferno , 16 È impossibile qui approfondire le connessioni fra le due opere: di certo per l’artista il nesso ‘interpretazione della società moderna e contemporanea / rilettura delle opere antiche / ricreazione di una nuova sintesi polisemica’ è fortissimo e va a toccare il nucleo fondativo del realismo di ogni opera d’arte, qualunque sia lo stile adottato. Ma nello specifico, il racconto nel racconto che le immagini dell’ Inferno phillipsiano fanno emergere riguarda i destini di tutti gli esseri umani, stilizzati, al grado zero, da una serie pressoché infinita di volti, ricavati da studi antropologici: la loro prima rappresentazione si trova non a caso nella tavola 1 relativa al canto III (p. 25), in cui i destini dei singoli contano pochissimo rispetto a quelli di tutto il genere umano. Come segnala la nota di p. 287, si tratta di un «portfolio of etchings» realizzato nel 1979 sulla scorta anche dell’Eliot della Waste Land , che traduce il verso di Inf. iii 57 con «I had not known death had underdone so many» (per esattezza, l’originale, WL I 63, porta «thought» al posto di «known»). Sono quindi evocati ancora i destini di tutti gli uomini, del genere umano nel suo insieme, da cui può emergere di volta in volta un singolo volto, che però fa parte di questa serie onnicomprensiva. Così accade con Omero, che campeggia grandioso e nel contempo indefinito a p. 35; Pier delle Vigne invece è confuso in un intrico di segni-rami-legno a p. 109; il Volto dell’essere umano primordiale viene poi riprodotto su una sorta di vetro-ghiaccio incrinato e non più facilmente leggibile nella tavola che apre il canto xxxii e annuncia quindi il Cocito (p. 257), seguita da un’altra serie inquietante, ma più specifica (p. 259), e così via, connessione dopo connessione. Sono davvero i destini umani e non soltanto le storie dei singoli dannati a emergere nel commento visuale di Phillips, che per questa via sottolinea implicitamente la sua posizione ideologica: inutile ormai cercare un Aldilà in cui un Dio giusto punisce i peccatori, mentre possiamo ancora riflettere sui nostri mali e le nostre colpe senza nasconderci gli errori che compiamo o le illusioni che ci creiamo, reificate meglio nell’immaginario collettivo che non in tentativi di nuove e assolute interpretazioni dei testi. E la riscrittura visuale di Phillips segue i suoi percorsi ‘a partire da’ Dante, arrivando a una grande conclusione con le im- 16 Per importanti autocommenti si veda Phillips 1992, specie pp. 219-249, con la riproduzione di materiali preparatori e collaterali. Alberto Casadei Su Dante e la cultura visuale: l’Inferno illustrato da Tom Phillips 119 magini del canto xxxiv . Il Lucifero tricefalo che viene posto in apertura (p. 273) è un anti-Cristo, perché le sue tre teste sono rovesciamenti-capovolgimenti del volto della Sindone (come chiarito a p. 310; e cfr. p. 137). Ma certo questo demonio che emerge da un nero plumbeo detiene molto delle angosce profonde e perenni dell’umanità, mentre le parole a commento (un inserto consueto, qui collocato in basso al centro) indicano forse una speranza a venire: «the final goodbye to faithless hate», «il definitivo addio all’odio sleale» potrebbe indicare una fuoriuscita dall’Inferno, letterario e reale. Ma intanto la seconda immagine (commentata per errore come terza a p. 310) riprende e completa quella iniziale relativa alla selva oscura (p. 9), e anche quella relativa alle tre fiere del canto I (p. 11), per tradurre il verso o versetto iniziale «Vexilla regis prodeunt inferni», implicitamente ribadendo la presenza del negativo che affiora, in forma di lettere sempre più evidenti, da un fondo ostinatamente oscuro. L’intera fuoriuscita dall’Averno viene poi rappresentata in un’immagine (p. 277) densa di allusioni corporee, sessuali e scatologiche (esse pure commentate a p. 310, per errore in relazione all’immagine 2), tanto che il luogo in cui termina il percorso è un anus che porta scritto «The end». La prospettiva di una rinascita può comunque essere ricavata dall’ultima tavola, questa volta riguardante l’intero poema, in cui molte delle immagini già esibite vengono riproposte (almeno per qualche dettaglio) come in uno stemma araldico collocato sullo sfondo di un cielo stellato e sopra un libro dorato, aperto in basso, con alcune pagine che formano una parte di ruota o quasi dei raggi solari, con evidenti allusioni alla terzina finale del Paradiso . 17 Il commento visuale di Phillips si fonda sulla convinta adesione al metodo allegorico, che viene attribuito a Dante sulla base dell’Epistola a Cangrande (decisiva per l’interpretazione fornita da Singleton, qui reimpiegata): un’efficace e didascalica raffigurazione dei quattro sensi è quella del Veltro, grazie a una tavola, perfettamente in corrispondenza con quanto sopra messo in rilievo, che espone (p. 14) in quattro modi diversi la figura stilizzata del Greyhound ossia del levriero-logo di una celebre compagnia di autobus statunitense. L’allegorismo in senso largo diventa l’unico metodo interpretativo possibile per un lettore novecentesco: al di là dei riferimenti misteriosofici, qua e là affioranti, prevale una lettura che coinvolge tanto gli aspetti inconsci (specialmente relativi alle pulsioni biotiche e sessuali), quanto quelli socio-economici (molti i riferimenti alle forme di prevaricazione capitalistica) e antropologici (i volti antichi che 17 Prezioso il commento di p. 310, questa volta attinente alle modifiche rispetto alla versione originale di questa tavola, già pensata nel 1978. Altre note rimandano al percorso dell’autore (cui restano due eternità da raccontare: «and two eternities yet remain to be written»), e consentono di chiudere i conti con tutti gli elementi paratestuali e metaletterari, per una conclusione almeno provvisoria. 120 Su Dante e la cultura visuale: l’Inferno illustrato da Tom Phillips Alberto Casadei corrispondono a quelli di tutti gli uomini). L’allegoria implica un’attenta disamina dell’opera scritta, da cui si evincono gli aspetti costanti e oggi traducibili, grazie ad analogie più o meno ardite, in corrispondenti testi visivi. Detto in altri termini, la leggibilità della Divina Commedia è garantita non dalla filologia bensì dalla ricreazione consapevole del senso attribuito allo spartito iniziale: il gioco artistico e metaletterario, evidenziato nelle immagini, non è fine a sé stesso ma deve servire a giustificare quello contemporaneo. In fondo, noi agiamo su Dante come lui ha agito (o immaginiamo che abbia agito) su Virgilio: riattualizzandolo. Così come ora possiamo operare su immagini cariche di sovrasensi, come quella del Laooconte, facendole rivivere in un nuovo ambiente per dare seguito alle loro implicazioni cognitive ed emotive perenni. 18 Abstract. Der Aufsatz betrachtet die Illustrationen, die der englische Künstler Tom Phillips (1937-2022) für Dantes Inferno angefertigt hat, das er auch übersetzt hat. Die Analyse zeigt die Bedeutung der allegorischen Wiederverwendung von Bildern und Materialien, die bereits in der Tradition vorhanden sind, gemäß einer ‘postmodernen’ Vorgehensweise, die hier jedoch durch eine sorgfältige Interpretation von Dantes Text untermauert wird. Auf diese Weise erhält man wirklich originelle Interpretationen der verschiedenen dargestellten Gesänge. Summary. The article examines the illustrations prepared by the English artist Tom Phillips (1937-2022) for Dante’s Inferno , which he also translated. The analysis reveals the importance of the allegorical reuse of images and materials already present in the tradition, according to a ‘postmodernist’ procedure, which, however, is here substantiated by a careful study of Dante’s text. In this way, truly original interpretations of the various cantos illustrated are obtained. Bibliografia «A riveder la china». Dante nei fumetti (e vignette) italiani dal XIX al XXI secolo , a cura di Leonardo Canova, Luca Lombardo, Paolo Rigo. Venezia: Edd. Ca’ Foscari 2021. Balbarini, Chiara: L’ ‘Inferno’. Cultura artistica e letteraria a Pisa nella prima metà del Trecento . Roma: Salerno Ed. 2011 Battaglia Ricci, Lucia: «La tradizione figurata della ‘Commedia’. Appunti per una storia», in: Critica del testo , XIV, 2011, 2, pp. 547-579. 18 Si veda ancora Casadei 2018, specie pp. 23 ss. In generale, sul Dante di Phillips si veda ora il catalogo della mostra di Pisa (marzo-ottobre 2021) Tom Phillips «Dante’s Inferno» curata da Giorgio Bacci, accompagnato anche dalla traduzione delle didascalie dell’artista e da vari materiali complementari. 121 Alberto Casadei Su Dante e la cultura visuale: l’Inferno illustrato da Tom Phillips Battaglia Ricci, Lucia: Dante per immagini: dalle miniature trecentesche ai nostri giorni . Torino: Einaudi 2018. Blum, Kerstin F.M.: Im Anfang war das Wort. 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