Italienisch
ita
0171-4996
2941-0800
Narr Verlag Tübingen
10.24053/Ital-2023-0016
61
2023
4589
Fesenmeier Föcking Krefeld OttGiuseppe Antonio Camerino: Interrogare i testi. Da Dante a Leopardi. Roma: Edizioni di Storia e Letteratura 2022, pp. 233 + xvi, € 28,00
61
2023
Luca Mendrino
ita45890175
175 DOI 10.24053/ Ital-2023-0016 liche überlieferte Fehler, die wahrscheinlich emendiert, aber nicht in einen kritischen Apparat aufgenommen worden sind, wäre eine sinnvolle Ergänzung gewesen. Außerdem hat Rauchhaus nützliche Paratexte in den Text eingefügt, wie die Angabe der Folia, aber leider nicht die Nummerierung der Verse des Pianto und der Paragraphen der Prosatexte, die für die Lesenden eine große Hilfe hätten sein können. Sehr lobenswert ist jedoch die von Rauchhaus bereitgestellte deutsche Übersetzung, die schwer verständliche Texte - ihre Schwierigkeit hängt nicht nur von der Archaizität der Sprache ab, sondern auch von der Tatsache, dass sie in der veronesischen Vernakularsprache geschrieben sind - einem deutschen Publikum zugänglich macht. Dies bietet ein sehr nützliches Mittel, um den Inhalt dieser Legenden zu erforschen. Darüber hinaus ist die Qualität der Übersetzung hervorzuheben, die in den wenigsten Fällen von der wortwörtlichen Struktur des Textes abweicht, um den Sinn ins Deutsche zu übertragen. Dies gilt sowohl für die Übersetzung von Gedichten als auch von Prosatexten. Anzuerkennen ist auch, dass Rauchhaus auf eine archaisierende oder komplizierte Sprache verzichtet, ohne dabei jedoch Genauigkeit in der Übersetzung einzubüßen. Nicht zuletzt handelt es sich um eine sehr vergnügliche Übersetzung, die dem Publikum einen hervorragenden Einstieg in dieses mittelalterliche Manuskript bietet. Andrea Baldan Giuseppe Antonio Camerino: I nterrogare i testi. Da Dante a Leopardi. Roma: Edizioni di Storia e Letteratura 2022, pp. 233 + xvi, € 28,00 I primi capitoli sono dedicati a Dante e sono particolarmente suggestivi e innovativi. Nel primo il motivo centrale e pur variegato dell’acqua, dal poeta collegato col tema dell’ingegno, racchiude una articolata invenzione di significati, a cominciare dal nesso molto originale creato dal poeta tra i lemmi acqua e ingegno , tramite una catena di richiami: dai casi mitologici, legati all’elemento equoreo (si pensi al mito di Dafne), alla ripresa della metafora dell’acqua anche e soprattutto su un piano biblico-cristiano; nesso che collega in varie fasi il tema della fede e l’incondizionata vocazione alla poesia da parte dell’autore. Una costruzione inventiva preparata già nel paradiso terrestre ( Pg . XXVIII, 121-126) allorché l’ acqua , che alimenta l’ ingegno , è tenuta nettamente distinta dall’acqua come elemento naturale, che sgorga per «voler di Dio» da una sorgente perenne. Nel capitolo secondo («[ … ] di tratti pennelli avean sembiante» ( Pg. XXIX, 75) . Dante e il linguaggio delle percezioni ) l’ analisi testuale rivela come il poeta perseveri nel costruire proprio nei canti finali del Purgatorio uno specifico linguaggio retorico delle percezioni sensibili, mai statiche, bensì in movimento e Buchbesprechungen und Kurzrezensionen 176 in trasmutazione, anche perché, come si legge al v. 48 di questa cantica: «[…] l’obietto […] ’l senso inganna». Sull’inconfondibile linguaggio dell’esperienza sensibile e dei fenomeni fisici Camerino si è già ampiamente soffermato nella sua raccolta di studi danteschi del 2016 ( Con più arte la rincalzo. Percorsi compositivi nella Commedia di Dante , 2016) a cominciare dalle pagine dedicate alla funzione centrale del verbo parere in alcuni luoghi del Purgatorio e del Paradiso , ma già emersa in Vita nuova , dove pure è anticipata, rispetto alla Commedia , la formulazione dantesca di spirto [i.e., spirito visivo ], che riguarda il terzo capitolo del volume e che era già affiorata nel giovanile libello. Concordanze e rimandi interni emergono con alta frequenza nell’interrogazione testuale condotta dallo studioso. Si pensi, nel capitolo petrarchesco, alla tempesta di mare, metaforicamente raffigurata, sulla scia di Agostino e di Cicerone, come aegritudo in senso morale. O si pensi nel capitolo boccacciano all’acuta ricognizione del percorso attraverso cui lo studioso riesce a rivelare come il grande Certaldese crea un topos centrale della sua opera maggiore, e, tra l’altro, collegando due autorevoli luoghi diversi: un passo specifico di Severino Boezio, in cui si legge che l’avversa fortuna giova agli uomini più della prospera: «[…] plus hominibus reor adversam quam prosperam prodesse fortunam: […]», e un altro del dantesco Convivio I, iii , 4 («sono andato mostrando contro mia voglia la piaga della fortuna, che suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata»). Quanto al sesto capitolo, quello dedicato al machiavelliano Ritracto delle cose della Magna , concluso nella seconda metà del 1512, esercita una fondamentale funzione l’ampia analisi testuale che fa comprendere quanto sia stato azzardato attribuire anche all’idea machiavelliana della «Magna» le connotazioni di simplicitas o di libertas che ai Germani applicava Tacito, secondo il quale la rozzezza sarebbe stata frutto esclusivo di una condizione di vita selvaggia e primitiva. Proprio come in un ciclo intertestuale coeso, ai luoghi via via citati va aggiunto il richiamo, da parte di Machiavelli, ai Discorsi , di composizione seriore, che a loro volta costituiscono, anche per l’attenzione dedicata alla forma repubblicana di governo, un’opera molto diversa e pur tuttavia, almeno in qualche aspetto finora trascurato, complementare al Principe . Non a caso, nel cap. 55 del primo libro il Segretario fiorentino delinea un concetto fondamentale e nuovo, mai emerso in precedenti sue osservazioni sui popoli germanici, a cominciare dal fondamentale concetto di «bontà» (all’incirca: rettitudine, probità, onestà), richiamando, tra l’altro, un preciso episodio narrato da Livio nel quinto libro (21-25) di Ab Urbe condita , legato alla vittoria ottenuta dal dittatore Marco Furio Camillo contro la città di Veio (395 a.C.), in cui si dimostra l’assoluta fiducia riposta dal Senato di Roma nella «bontà» della plebe. Un’analisi, si aggiunga, che induce anche a sgomberare il campo da allusioni moralistiche o polemiche (per Buchbesprechungen und Kurzrezensionen 177 esempio, l’ipotesi di una censura della rilassatezza dei costumi nella repubblica fiorentina o l’ipotesi di un presunto rifiuto dei popoli della Magna di uno stato forte unitario), e, invece, a mettere in luce un legame molto importante col cap. 10 del Principe , dove, non a caso, si loda dell’Alemagna la capacità di «lavorare in quelli essercizii che sieno el nervo e la vita di quella città e della industria de’ quali la plebe pasca». Popoli che «tengono ancora li essercizii militari in reputazione, e sopra questo hanno molti ordini a mantenerli». Il successivo capitolo, Lo «stolto sguardo». Per un’autocitazione del Minturno , concerne un peritissimo esercizio sul dialogo Il Minturno overo de la bellezza , composto fra il 1592 e il 1593, in cui, tra l’altro, si rivela evidentissimo l’aggancio tra analisi del linguaggio poetico e filologia testuale in senso stretto nel momento in cui il poeta della Gerusalemme cita sei versi del suo giovanile sonetto Su l’ampia fronte al fine di rileggerli - osserva Camerino (p. 71) - «in un apparato d’argomentazioni erudite e filosofiche» derivate da versioni dell ’Ippia maggiore e del Plotino ficiniano, con la conseguenza di correggere la versione giovanile del suo sonetto. Tale rilettura comporta che la versione giovanile del sonetto sia rimaneggiata: è corretta infatti in «terrena» l’originaria lezione «celeste», riferita alle membra corporee. Una significativa varia lectio , questa, da collegare a «due interrogativi fondamentali» che impegnano l’ultima stagione di Torquato Tasso, la quale finisce per radicalizzare il concetto di bellezza, fino a considerarla, sulla scia della lezione di Marsilio Ficino, un mistero, «un non so che d’eterno e divino»: «sapiente e intelligibile» (nel senso di essere comprensibile anche dal nostro intelletto). L’impegno filologico e l’interrogazione testuale emergono anche nel successivo blocco di capitoli alfieriani del volume, a partire dal nono ( Alfieri e Dante. Ancora sul linguaggio tragico ), in cui il magistero dantesco viene applicato in rapporto alla nascita del verso tragico alfieriano, anche nel senso che la ripresa alfieriana d’«innumerevoli e originali figure retoriche dantesche» configura «un vero e proprio esercizio di emulazione»: in primo luogo sul piano della formazione del suo linguaggio tragico, che resta per Alfieri esclusiva e non assimilabile a quella del linguaggio lirico delle sue Rime , come si constata nel decimo capitolo, Su Alfieri e il Petrarca lirico. Limiti di un modello in cui tra l’altro si dimostra come l’ammirazione del tragediografo per il poeta di Laura non sia in ogni caso comparabile con la lezione di arte compositiva e di motivi tematici derivategli dalla lezione dell’Alighieri, anche se - come Camerino mostra nel cap. XI ( Sull’io di Vittorio Alfieri ) - proprio dal Petrarca della Posteritati l’Astigiano assumerà lo schema con cui scandire le età della sua vita nella sua tarda autobiografia. Un’attenzione a parte meritano in questo volume le interrogazioni testuali che lo studioso dedica a Leopardi nei capitoli compresi tra il XIII e il XVI, che Buchbesprechungen und Kurzrezensionen 178 sono preceduti da un capitolo di cerniera ( Componenti gotiche nella transizione al Romanticismo italiano ), molto innovativo, anche perché, come gli altri, apre non pochi sentieri inesplorati. Nel capitolo XIII, Alle origini dell’«insueto gaudio» di Saffo. Leopardi e la traduzione italiana del Werther , partendo dal distico «Noi l’insueto allor gaudio ravviva / Quando per l’etra liquido si volve», viene seguita minuziosamente tutta la traiettoria genetica del noto testo da parte del poeta, durata almeno cinque anni, dal 1817 al 1822: dalle due elegie per la Geltrude Cassi Lazzari, cugina di parte paterna, fino ai frammentari Argomenti di elegie e di idilli . Interrogazione dopo interrogazione, l’analisi testuale rivela per la prima volta che il motivo chiave del cosiddetto leopardiano «piacere dei pericoli del temporale» deriva chiaramente dal sintagma «orrenda delizia» («io mi stava a braccia aperte davanti l’abisso, anelante di gettarmivi, di perdermi in quell’ orrenda delizia »): un luogo che si legge nella prima traduzione italiana del Werther , ad opera di Michiel Salom, uscita a Venezia nel 1796 e basata sulla princeps del 1774. Tra l’altro, questa rivelazione costituisce una ragione ulteriore per sottolineare la ben più notevole incidenza del Werther italianizzato (in cui si legge infatti di «onde mugghianti» rispetto ai poemetti di Ossian, spericolatamente considerati invece finora come preminenti per Leopardi; a cominciare dal verbo mugghiare (p. 133). Un’interrogazione a più livelli - lessicali, stilistici, metrico-prosodico - offre il capitolo XIV, dal titolo «Chi mi ridona il piangere dopo cotanto oblio? ». Il Risorgimento di Leopardi e le risorse del cuore . Del primo canto pisano-recanatese viene indagato lo sviluppo genetico rispetto a lezioni attestate dall’autografo napoletano: si pensi a lessemi come il verbo sentire , che è di derivazione alfieriana; o si pensi alla semantica dello stupore e della meraviglia che Leopardi ha risemantizzato attraverso il percorso, peculiarissimo, dello spavento petrarchesco; o si pensi ancora alle originali analisi che lo studioso dedica al piano ritmico-metrico del componimento: in particolare all’opposizione sul concetto di acerbo vero . Opposizione a distanza di due anni, costruita non a caso, nel passaggio dall’epistola Al conte Pepoli alle strofe di Il risorgimento . Il capitolo XV, in cui si addensano molti richiami alla filosofia greca, è riservato a Leopardi e il mito della «nobil natura» nella Ginestra. La «nobil natura» del v. 111 della Ginestra è una figura «non storica, ma mitica», in cui Leopardi, traduce alcuni versi dal lucreziano De rerum natura («primum Graius homo mortalis tollere contra / est oculos ausus»). La potente immagine tollere oculos da parte del filosofo di Samo è ripresa alla lettera con l’inserimento (vv. 111-125) di un’articolata serie di verbi reggenti attraverso cui è definitivamente e inequivocabilmente formulata una filosofia radicalmente negativa del destino umano nella stagione ultima leopardiana: quella della Ginestra e del Dialogo di Buchbesprechungen und Kurzrezensionen 179 Tristano e di un amico , testo quest’ultimo molto contiguo al mito, e al mistero, della «nobil natura». E molto puntualizzante è anche il capitolo XVI ( Astonishment. Scrivere di stupore e meraviglia, ma senza dimenticare Leopardi ) che tratta del rapporto della poesia leopardiana con la categoria del sublime, a partire dal trattato anonimo Περὶ Ὕψους , a lungo attribuito al retore Cassio Longino che il poeta di Recanati lesse sia nell’edizione oxoniense del 1778 a cura di John Toup, con note di David Ruhnken, sia in traduzione, nelle edizioni bolognesi del 1748 e 1821, a opera di Anton Francesco Gori. Nel Settecento europeo il sublime pseudolonginiano alimenta le riflessioni di due importanti teorici, Edmund Burke e Hugh Blair, dei cui saggi erano apparsi nel primo Ottocento due rispettive traduzioni in lingua italiana: quella delle Lezioni di retorica di Blair (Venezia, 1803) e quella della Philosophical Enquiry (Macerata, 1804). Si tratta di indagini testuali e intertestuali già avviate dallo studioso nel suo libro Lo scrittoio di Leopardi (2011), a partire da due testi del 1815, il Discorso sopra Mosco e il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi. L’instancabile tendenza all’interrogazione testuale si riflette anche in uno dei due capitoli di appendice, Leopardi antiromantico? , allorché, ragionevolmente, corregge la tesi da Pier Vincenzo Mengaldo sostenuta: «attraverso una enunciazione storico-teorica che […] tenda a ricondurre il poeta di Recanati all’eredità di un Settecento amputato di non pochi riferimenti ben importanti, non certamente romantici, ma comunque diversificati rispetto a quelli più spiccatamente materialistici e razionalistici privilegiati dallo studioso patavino […]» (p. 197). E pagine importanti in questa stessa Appendice sono dedicate al Settecento di stampo classicistico degli illuministi dell’Italia meridionale, che sono anche e soprattutto teorici del buon gusto e delle belle arti, a cominciare da un nome di primo piano come Francesco Milizia, di cui s’interrogano e si analizzano passaggi cruciali del volume Arte di vedere nelle belle Arti del disegno secondo i principj di Sulzer e di Mengs (1781), in cui il grande teorico settecentesco - operando in un’ottica non nazionalistica, ma europea - tratta del concetto di grazia e di quello, alla prima complementare, di chiaroscuro . Questa raccolta degli studi fin qui esaminati, compresi tra l’età di Dante e quella di Leopardi, contiene anche, aggiornata, la bibliografia completa che registra tutti gli scritti dello studioso nell’arco mezzo secolo (1971-2021). Luca Mendrino Buchbesprechungen und Kurzrezensionen
