eJournals Vox Romanica 82/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
10.24053/VOX-2023-003
121
2023
821 Kristol De Stefani

L’Avviso strasordinario e il Bollettone: studio linguistico con un’ipotesi attributiva

121
2023
Martina Ludovisihttps://orcid.org/0009-0006-9777-3553
La présente contribution vise à décrire le romanesco de deux documents anonymes du XIXe siècle, l’Avviso strasordinario et le Bollettone, tous les deux concernant le théâtre dialectal de l’époque. La bibliographie de référence a jusqu’à présent traité les deux documents comme un seul texte. En tenant compte des résultats obtenus à partir de l’analyse linguistique et des similitudes stylistiques identifiées entre ces deux documents et un manifeste théâtral contemporain, l’article avance une proposition d’attribution.
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DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Vox Romanica 82 (2023): 75-101 L’Avviso strasordinario e il Bollettone: studio linguistico con un’ipotesi attributiva * Martina Ludovisi (Universität Zürich) https: / / orcid.org/ 0009-0006-9777-3553 Résumé: La présente contribution vise à décrire le romanesco de deux documents anonymes du XIXe siècle, l’Avviso strasordinario et le Bollettone, tous les deux concernant le théâtre dialectal de l’époque. La bibliographie de référence a jusqu’à présent traité les deux documents comme un seul texte. En tenant compte des résultats obtenus à partir de l’analyse linguistique et des similitudes stylistiques identifiées entre ces deux documents et un manifeste théâtral contemporain, l’article avance une proposition d’attribution. Parole chiave: Romanesco, Avviso strasordinario , Bollettone, Manifesti teatrali romani, Filologia attributiva 1. Introduzione La sera del 3 febbraio 1838, seguendo le orme della tradizione settecentesca, il teatro della Pallacorda di Roma offriva al proprio pubblico sia La Didona abbandonata , opera in tre atti di Alessandro Barbosi, trasposizione dialettale della celebre Didone abbandonata del Metastasio, sia il relativo antefatto dal titolo Un teatro drento na casa ciovè Er Provemio de la Commedia de sotto di Luigi Randanini 1 . A queste due opere si * Lo studio nasce in seno al progetto Grammatica storica del romanesco (GSR) diretto da Michele Loporcaro e finanziato dal Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica per il periodo 2018- 2022 (FNS 100012_169814/ 1). Ringrazio il direttore del progetto e i collaboratori C. Bianchi, S. Cristelli, V. Faraoni, L. Pesini, M. Wild per la condivisione dei loro paragrafi della Grammatica e per i commenti a una versione precedente di questo studio presentata al XXXe Congrès international de linguistique et de philologie romanes (Tenerife, 4-9 luglio 2022). Sono qui impiegate le sigle in uso nel suddetto progetto, raccolte in nota allo studio di Cristelli (2019), e le seguenti abbreviazioni: C ‘consonante’; c. ‘carta’, cc. ‘carte’; es. ‘esempio’, ess. ‘esempi’; f. ‘femminile’; m. ‘maschile’; loc. ‘locuzione’; occ. ‘occorrenze’; r. ‘recto’; RF ‘raddoppiamento fonosintattico’; rg. ‘rigo’, rr. ‘righe’; s. ‘sostantivo’; suff. ‘suffisso’; t. ‘totale’; V ‘vocale’; vb. ‘verbo’. 1 Se la Didona è una trasposizione perlopiù fedele del testo metastasiano - con gli accorgimenti del caso, dovuti all’imposizione di «una connotazione spaziale e sociale che […] interferisce con quella originale ed esclude una fedeltà assoluta» Biancini 1998: 144 - il Provemio , invece, ha carattere metateatrale e descrive i preparativi per la rappresentazione della Didona stessa, recitata da alcuni popolani improvvisatisi attori. Per l’intera questione e ulteriori indicazioni bibliografiche cf. ora Ludovisi (in stampa). 76 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Martina Ludovisi Vox Romanica 82 (2023): 75-101 collega uno dei testi oggetto di questo saggio, l’anonimo Avviso strasordinario , il programma di sala della Didona , che con uno stile vivace e accattivante riassume atto per atto le vicende che di lì a poco il pubblico avrebbe visto sul palco. Di questo testo - cui fanno cenno Caira Lumetti (1994: 927, in particolare 931-32, 937-40), Teodonio (2004: 238-43) e cui è dedicato il lavoro di Biancini (2003) - la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma conserva sia la minuta manoscritta (A.R.C. 4, II, 6, cc. 21-25), sia la versione a stampa pubblicata nello stesso anno in previsione della rappresentazione. Tuttavia, dal riesame di entrambi i documenti in vista di una loro nuova edizione da pubblicarsi in appendice a La Didona abbandonata (Ludovisi, in stampa), è emerso che la versione a stampa dell’ Avviso (da qui in poi AvS) riproduce, con alcune varianti, solo le prime quattro carte (cc. 21-24) della relativa minuta: l’ultima carta (c. 25), del resto, si distingue dalle altre tanto per caratteristiche materiali (colore dell’inchiostro, strumento scrittorio e tipo di carta), quanto per contenuto 2 . Nasce, quindi, il sospetto che la c. 25 sia la redazione manoscritta di un ulteriore documento, erroneamente archiviata con le carte 21-24, forse in ragione del soggetto comune. Il presente lavoro, dunque, dopo aver fatto chiarezza sull’intricata situazione documentaria e aver dimostrato l’esistenza di due testi distinti, l’AvS e il Bollettone (su cui si veda il §2), offrirà dapprima un esame della lingua (§3), quindi un’ipotesi attributiva (§4). L’importanza dell’analisi linguistica dei testi che testimoniano il cosiddetto romanesco «intorno a Belli», d’altronde, è stata messa in luce recentemente da lavori come quelli di Vaccaro (2014), Picchiorri (2019) e Lorenzetti (2020) che, fra l’altro, attirano l’attenzione sulla marginalizzazione talvolta operata dagli studiosi nei confronti di quei fenomeni assenti in Belli. In questo filone di studi si inserisce il presente contributo: si vedrà, infatti, che se da un lato la varietà di romanesco qui analizzata aderisce al modello linguistico stabilito dai Sonetti , dall’altro è possibile individuare un insieme non trascurabile di elementi che si distanzia da quanto attestato dal Belli, arricchendo la conoscenza del dialetto capitolino della metà del sec. XIX. Anche alla luce di ciò che emergerà dall’analisi linguistica, si proporrà infine, al §4, un’ipotesi sull’identità dell’anonimo autore, circa la quale sinora erano in campo due ipotesi 3 . Come si argomenterà (§4), prove indirette unite a considera- 2 La stampa dell’ Avviso riassume in maniera piuttosto puntuale le vicende della Didona , mentre alla c. 25 l’autore, rivolgendosi al pubblico romano, mette in risalto gli elementi principali della rappresentazione dando al testo la fisionomia di un vero e proprio bollettone. Questi manifesti, d’altra parte, aderivano a un modello ricorrente e facilmente riconoscibile, costituito essenzialmente da un appello ai romani, necessario a introdurre la commedia, dal titolo di questa seguito da avvertimenti al pubblico - ampiamente corredati da convenevoli, sproloqui, talvolta dai nomi dei commedianti - e, infine, dai punti di forza della rappresentazione. Il testo della c. 25 rispecchia pienamente a questa struttura. 3 Le due ipotesi avanzate in precedenza attribuivano il testo (Bollettone + AvS, finora considerati un tutt’uno, vedi supra ) da un lato al Randanini in base al fatto che «la minuta è conservata nell’Archivio di Filippo Chiappini al quale andò l’intero archivio all’indomani della sua morte», e più specificamente perché il commediografo non era estraneo alla vicenda teatrale della Didona essen- 77 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Vox Romanica 82 (2023): 75-101 L’ Avviso strasordinario e il Bollettone: studio linguistico con un’ipotesi attributiva zioni stilistiche derivate dal confronto con testi strutturalmente simili (vedi il punto (2) al §4) sembrano indicare quale autore dell’AvS e del Bollettone il capocomico Gian Battista Trabalza, la cui compagnia, che ha portato sul palco proprio Didona e Provemio , era particolarmente attiva negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento 4 . 2. Testualità Per procedere con l’analisi, sarà opportuno riprendere quanto anticipato nel §1 in merito all’esistenza di due testi distinti che la bibliografia di riferimento, complice l’errata catalogazione dei documenti, non ha mai correttamente individuato 5 ; l’utilizzo generalizzato di «avviso», «programma di sala» e «bollettone» per riferirsi all’intero testo contenuto nelle cc. 21-25 ha contribuito a fornire un quadro impreciso della realtà testuale. Del resto, i tre termini non possono essere impiegati in maniera sinonimica: con «bollettone» (anche nella forma bullettone ) si indica il manifesto teatrale di un’opera, voce che probabilmente deriverà, «con cambio di suff. ino > one (in virtù del formato più grande dei manifesti in questione)», dal diffuso « bullettino […] avente anche il sign. di «avviso pubblico cartaceo» ( VRC-B , s. bullettóne ) 6 , del tutto diverso, quindi, dal libretto dell’opera. A ciò si aggiunga che già Ceccarius (1942), autore del primo studio su questi manifesti, aveva impiegato il termine «bollettoni» specificando che essi «venivano distribuiti o erano affissi all’ingresso per richiamare l’attenzione del pubblico» (ivi, 94). Prendendo atto di questa divisione, nel presente contributo ci si riferirà al programma di sala con Avviso (sigla AvS, cc. 21-24) e al manifesto teatrale (vale a dire il testo nella c. 25) con Bollettone. Peraltro, che si tratti di due documenti distinti è ora confermato dal recente ritrovamento (luglio 2022), ad opera di Giulio Vaccaro 7 , della versione a stampa del Bollettone contenuta nel ms. 449 (busta 1, fascicolo III, c. 86, 140 x 190 mm) della do anche l’autore del Provemio secondo Biancini (2003: 152 e 156). Sulla scia di questa ipotesi, anche nell’antologia di Teodonio (2004: 238), ci si riferisce al Randanini come al più probabile autore. D’altro canto Caira Lumetti (1994: 931-32), a proposito della redazione dei manifesti murali del teatro della Pallacorda, indica quale estensore dei manifesti Jacopo Ferretti, senza addurre argomenti a riprova. 4 Per ulteriori notizie sulle compagnie teatrali operanti a Roma nel sec. XIX si rimanda a Bragaglia (1958: 444s.). 5 Avrà contribuito a questa confusione l’ambigua denominazione dell’AvS «Avviso strasordinario de una cummedia» dove però con «avviso» non si intende certo ‘manifesto da affiggere’, trattandosi, in realtà, di un programma di sala la cui stampa consta di 22 pagine. 6 In questo luogo i redattori osservano che entrambe le forme, bullettone e bullettino , sono «attestate in uno stesso sonetto di Belli (cf. Teodonio 1998: sonetto 836): «Tutti li bbullettoni e bbullettini/ che se vedeno a Rroma appiccicalli/ o ddall’ommini veri, o bburattini,/ pe ccommedie, pe mmusiche e ppe bballi […]». 7 Si ringrazia Giulio Vaccaro per aver condiviso copia dei materiali da lui rintracciati nella Biblioteca Alessandrina e, più in generale, per la generosità di suggerimenti. 78 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Martina Ludovisi Vox Romanica 82 (2023): 75-101 Biblioteca Universitaria Alessandrina, ove il testo della c. 25 è riprodotto perlopiù fedelmente. A questo punto, la situazione documentaria può essere così precisata: (1) a. Avviso strasordinario (AvS): redazione manoscritta (A.R.C. 4, II, 6, cc. 21-24) + opuscolo a stampa (1838) 8 . b. Bollettone: redazione manoscritta (A.R.C. 4, II, 6, c. 25) + versione a stampa (ms. 449, busta 1, fascicolo III, c. 86). Sul piano paleografico alcuni indizi consentono di individuare un’unica mano per entrambi i testi: si notino, ad esempio, le aste di ‹q›, ‹b› e ‹p› (spesso l’asta di ‹p› si allunga sotto l’intera sillaba che la precede) che hanno la forma della ‹l› corsiva, la perfetta corrispondenza dell’esecuzione di ‹f› e ‹j›, realizzate con tratti appuntiti, i raccordi fra le aste di ‹n, nn› e ‹m, mm› con la convessità verso il basso (allo stesso modo di ‹u›), la ‹d› arcuata verso sinistra di forma onciale eseguita in un unico tempo, il trattino orizzontale di ‹t› che spesso sormonta l’intera parola 9 . È ovviamente possibile che queste carte siano state vergate da una stessa mano, ma che questa appartenesse a un copista incaricato dalla Compagnia di allestire belle copie in vista della stampa. Tuttavia, considerate le affinità linguistico-stilistiche dei testi qui esaminati (osservabili nel §3 e nella tabella in (6)), molte delle quali ascrivibili più all’ usus di un autore 10 che non all’appartenenza di due individui a un comune ambiente culturale 11 , è più che plausibile che entrambi i testi, a prescindere dalla mano di chi li ha esemplati, autore o copista, siano da ricondurre a una stessa persona. 3. La lingua Preliminarmente, specifichiamo che il commento linguistico vale per i due testi, le cui forme saranno però tenute distinte impiegando una diversa numerazione: cifre arabe per l’AvS e numeri romani per il Bollettone 12 ; in caso di ricorrenze numerose, 8 Diverse le copie conservate presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. Si elencano di séguito le segnature per rendere più agevole agli interessati la visione del documento: Misc DIAL. III.26, Misc A 771.34, Misc. A 139.1, documento 40.8. A 5.2. Per completezza, è bene specificare l’esistenza di un’ulteriore copia a stampa presso la Biblioteca Vaticana ( Raccolta Ferraioli ), indicata da Caira Lumetti 1994: 927, ma non visionata da chi scrive a causa di lavori in corso al momento della verifica. 9 Si ringrazia Luca Pesini per gli utili consigli ricevuti in sede d’analisi. 10 Per es., tra le affinità raccolte in forma tabulare in (6), la tendenza a scrivere ce non univerbato davanti a Ve l’utilizzo di espressioni simili per elogiare la messa in scena. 11 L’ambiente di riferimento è ovviamente quello della Compagnia Trabalza e degli attori-autori che ne facevano parte. 12 Si cita dalle edizioni poste in appendice a Ludovisi (in stampa). 79 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Vox Romanica 82 (2023): 75-101 L’ Avviso strasordinario e il Bollettone: studio linguistico con un’ipotesi attributiva si indicano le prime tre seguite dal totale delle attestazioni tra parentesi quadre 13 . Le forme in apparato sono seguite da un asterisco. I fenomeni ormai sistematici in romanesco (ad es. il monottongamento di [wɔ] di qualsiasi origine, la caduta di -re finale degli infiniti ecc.) non saranno, di norma, oggetto di trattazione; si privilegerà invece la discussione di fenomeni incipienti o di esiti non comuni ai Sonetti belliani, «il ‹vero› precipitato del romanesco dell’Ottocento» (Lorenzetti 2020: 103). 3.1 Grafia La rappresentazione di b postvocalica, che in romanesco è sempre geminata, oscilla tra ‹b› e ‹bb›: abbitava 57, abbiti 37, arrubba 60, Frabbiano 38, Sabbito I, Subbito 231, 244, vennibbile XXIII, ma si vedano anche sgrabelli 129, strabarzone 228, subito 93, 113, 119 [t. 4]. L’affricata palatoalveolare intervocalica intensa è graficizzata quasi sempre con ‹g› mentre la grafia fonetica ‹gg› ricorre unicamente in Cartaggine 11, 22, 131 [t. 6] e Cartagginesi 33. Ancora in posizione intervocalica, si registra ‹z› per [tts] (cf. ad es. aringrazià 223, disgrazie 236, grazia 233, negozione 65, nigozio XXV), che solo in due casi è rappresentato da ‹zz› combinazzione 101 e Metastazzio 3; dopo consonante nasale o liquida si rintraccia sempre ‹s› in luogo di [ts] (esito dell’affricazione della sibilante nei nessi ns , rs , ls ). Il digramma ‹ci› è usato per indicare [ʃ], sia come esito locale del nesso sj sia come risultato della pronuncia romanesca di c prima di vocale palatale 14 . Per la nasale palatale si ha solitamente ‹gn›; davanti ad e : agnede 121, dipigne 18, gnente 2, 70, 80 [t. 6], gnentemeno 183, magnera XI, piagne 5, 172, 200, piagnenno 84, stregne 147, tigne XV, tignerà XV ecc.; davanti ad a cagnara 25. Il trigramma ‹gni› compare davanti ad a e o : antimognia 29, matrimognio 65, 147, Muritagnia 99, smagnia 175. L’autore preferisce scrivere ce non univerbato davanti a Ve nelle forme flesse del vb. avecce : ce arimanerà 51, ce averete gusto VII-VIII, ce ha d’annà 231, ce ha da rimane 245, ce ha messo 30, ce ha sudato 31. In generale, si osserva l’assenza di una ratio chiara nell’impiego dei segni d’interpunzione. 13 Ciò vale anche per gli esempi tratti dalla letteratura capitolina. 14 Si noti però la forma sbiescio* (v. 159) dove ‹sc› indica verosimilmente la [ʃ] di sbiecio ‘sbieco’. Sulla voce cf. anche il §3.5. 80 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Martina Ludovisi Vox Romanica 82 (2023): 75-101 3.2 Fonetica Vocalismo tonico 3.2.1 Dittongamento di e tonica aperta (< ĕ) e e tonica chiusa (< ĭ) Si registrano fenomeni di dittongamento da ĕ in sillaba libera, così come in toscano. Le forme [e] (< ĕ ), senza il dittongo imposto da tale modello, sono classificabili come relitti dell’esito indigeno: dereto 97 e (pasta de) mele 75 15 . Non stupisce la presenza di deto 38, 215, forma tipica della varietà antica, ma ben documentata tanto dal romanesco letterario dei secc. XVII-XIX 16 , quanto dalle indagini dell’AIS (cf. carta I, 153, punto 652). 3.2.2 i tonica (< ī) Si annovera in questa sede pisto 79 dal vb. pistà(re) con i che si dovrà a un etimo con ī forse per l’influsso di pīnsāre ( REW 6536), considerato che il verbo pistare , tuttora vivo nell’uso, è attestato nella varietà capitolina fin da Cron (Porta 1979: 794), e che il latino pīnsĕre ha ī «la quale può ben essersi conservata nel derivato pĭstare » (Costa 1991: 364). Per i si segnala anche il participio ditto 6, 62, 66 [t. 7], tipo maggioritario in Lav (Gasner 2021: 63), MichLib (II.65, IV.81, XI.77 passim molte volte), Caterbi (Matt 2016: 22), mentre già nei Sonetti la forma detto è prevalente (40 occ. vs. 13 per ditto ) e in DifSom esclusiva; ditto è quindi in graduale regressione tra Otto e Novecento 17 . 3.2.3 Sovraestensioni di -iee riduzione dei dittonghi Estensioni del dittongo ie si rintracciano nei paradigmi verbali di tenere e venire : tiengheno 219, vienghi 142, vierà 55, ma si vedano anche tené 149, tenella 139, teneva 92, venite XX. Davanti a parola con C-, si riducono al primo elemento i dittonghi nelle sequenze no’ semo ‘noi siamo’ XX e lu(’) puro ‘lui pure’ 151, 157, 165 [t. 6]. 15 Non sarà superfluo ricordare che mele fa parte di quel gruppo di voci - tra cui pure arèto , dereto e fele - che resistono per lungo tempo all’influsso toscano (ancora in Belli mele è esclusivo, fiele ha una sola occ. nel son. 2139 vs. t. 9 di fele ) cominciando a cedere solo alla fine del sec. XIX. 16 Nella fattispecie, in Jac I.32, Mis (cf. L. Lorenzetti 1999: 154), Belli (23, 32, 151 ecc. [t. 16], detone 44), Caterbi 136. 17 Stando alle ipotesi etimologiche sinora formulate, ditto è probabilmente un continuatore di * dīctu «con ī dovuta alle altre forme del paradigma di dīcere » (cf. Castellani 1956: 16 e Rohlfs 1966-1969: §50). Data la presenza della forma in territorio non metafonetico (fonte: Corpus TLIO), sarà da escludere l’ipotesi di F. A. Ugolini (1982: 107), che rubrica l’es. ditto di Strav proprio tra gli esiti metafonetici. Si noti, infine, che la forma ditto è del tutto assente nelle Poesie di G. Zanazzo, autore a cavaliere tra Otto e Novecento. 81 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Vox Romanica 82 (2023): 75-101 L’ Avviso strasordinario e il Bollettone: studio linguistico con un’ipotesi attributiva 3.2.4 [ɔ] e [o] La o tonica chiusa (< ō ) si innalza in u in curre 8, 10, 166 [t. 6], curreno 221, Curso 9, discureno 233, discurre 171, discurso/ -i (risp. 187, 198 e 35); la chiusura di o in queste forme rizotoniche del paradigma di ‘correre’ (e, per analogia, anche nelle altre che condividono il suo stesso morfema lessicale) si deve all’influsso delle forme rizoatone, dove o protonica passa a u (cf. il §3.2.8). Su fursi 161 cf. ora Barbato/ Loporcaro (2020: 381-82). Anche ŏ è coinvolta nell’evoluzione toscana secondo cui la o tonica in sillaba libera dapprima si dittonga, quindi, all’altezza del sec. XVI, si monottonga 18 ; il fenomeno è regolare e si omette l’esemplificazione (cf. il §3). Tuttavia, andrà notata la forma buecco 120, se si considera il dittongo esito residuale dell’antico sviluppo ue < ŏ in presenza di ū o ī , caratteristico della varietà antica. Sul tipo si è espresso già Ugolini (1932: 433), il quale giustifica una così tarda conservazione ritenendo che la parola, in forza del suo largo impiego, sarebbe riuscita a far «barriera contro il livellatore influsso culturale». Diversamente, sul simile muecco (< un buecco ), Ernst (1970: 48 N7) condivide il giudizio di Prati, il quale scorge uno scambio di suffisso (òcco > ècco ). La spiegazione però non soddisfa poiché l’etimo da cui il Prati farebbe derivare il cambio di suffisso sarebbe baiocco , ma la trafila secondo cui, pur ammesso il nuovo suffisso, si dovrebbe arrivare a muecco (o buecco ) rimane oscura. 3.2.5 Anafonesi Ormai regolare quasi come in toscano: tuttavia vi sono relitti di forme non anafonetiche occasionali e riconducibili a usi conservativi quali longo 230 e stregne ‘stringe’ 147 (sulla diacronia dell’anafonesi in romanesco cf. ora Bianchi/ Ludovisi, in stampa). Vocalismo atono 3.2.6 a protonica La vocale passa ad e in regazzo , -a 64, 100, 171 [t. 4], ma è possibile che si innalzi a i , per interferenza del pref. ari -, in voci inizianti per ra -: ricontato , -a 56, 58, con arisi veda arippresentanzia 21, arippresentalla 124, arippresenteranno XVIII, anche scempio aripresenterà 127. Per improprio accostamento con ‘triste’ si ha Tristevere 7, 33. 18 Bruno Migliorini (1983: 467), data il monottongamento del fiorentino al sec. XVII; tuttavia, almeno per il romanesco, il fenomeno andrà retrodatato di un secolo (cf. Costa 1991: 370); del resto, G. Ernst (1970: 47-48), poteva rintracciare una massiccia compagine di forme monottongate, di contro alla sporadica presenza di uo -, già in Strav, opera che offre l’ultima testimonianza del romanesco antico nelle battute della vecchia serva Perna. 82 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Martina Ludovisi Vox Romanica 82 (2023): 75-101 3.2.7 e protonica La tendenza di e atona a farsi i in particolari condizioni, peraltro tutte riconducibili a fenomeni di assimilazione, era stata già notata da Tellenbach (1909: 28s.) 19 in riferimento ai versi belliani. In particolare, per i prefissi dee re- (e analogamente per le voci inizianti con tali sillabe), che fino al Micheli si conservano intatti 20 , notiamo dimanna 139, 184 e addimanna 146, 159, rigalà 216, rigalo 151, 217 (ma regali 43). Reca e in luogo di i fenisce 250. Alcune voci tendono a presentare o in presenza di consonanti labiali e dopo nasale: carnovale 7, cammoriere 158; mostra a prima di nasale Fanicia ‘Fenicia’ 67. 3.2.8 Chiusura di o protonica Davanti ad accento, mostrano u in luogo dell’attesa o protoromanza le forme accusì 250, buteghino 251, cummedia 1, 6, 11 [t. 8] (ma Commedia XVIII), curenno 96, 225, discurrenno 135, 201 (su cui si veda il §2.2.4), giuvenotto/ -a risp. 161 e 60, mumento 191, 196, 242, pruvemio XIX. 3.2.9 a postonica Un esempio di a postonica > i : stommico 78. 3.2.10 o postonica Per il fenomeno con innesco morfologico descritto da Costa (1999: 48-49) si rintracciano casi come eccheme 196, ecchete 85, 135, 204 [t. 4] anche ariecchete 155, eccheve 23, titelo 123. Si ha i in «comodo» e derivati: si vedano commido 141, incommido 127 e per analogia anche nei casi accomidà 32 e accomidate 117 dove la vocale è protonica. 3.2.11 Suffissi -Vnza/ -Vnzia Per -anzia si vedano arippresentanzia 21, lontananzia 130, stanzia 179, mentre -enzia compare in ariconoscenzia VII, confidenzia 15, 145, licenzia 110. Si tratta di un suffisso proprio già del romanesco antico, ancora attestato, sebbene minoritario rispetto al tipo -Vnza , nel dialetto ottocentesco (DifSom apparenzia 52, differenzia 98, impo- 19 Nella fattispecie, si ha i in sillaba iniziale quando la vocale tonica è alta e, sempre per la sillaba iniziale, anche quando i e u sono protoniche; si ha inoltre i in sillaba intertonica quando la tonica è i . 20 Si vedano in MichPov (su cui cf. anche il commento di Costa 1999) desgusta 88, desperdene 70, despetto 62 e in MichLib desgusto X.34, desonesta II.20, desgrazia IV.40 e 77, VIII.4, retorna XI.61 e 64, retornacce IV.40, remediano V.30 remediato X.3, remedio I.22, X.95 responne I.57, III.53, IV.26 ecc. 83 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Vox Romanica 82 (2023): 75-101 L’ Avviso strasordinario e il Bollettone: studio linguistico con un’ipotesi attributiva tenzia 111, nzolenzia 93, prudenzia 117) e quasi estraneo all’uso belliano dove si generalizza -V nza (un’unica ricorrenza di seguenzia in Belli 1524). Consonantismo 3.2.12 Sorde e sonore La conservazione della sorda in posizione intervocalica e intersonantica al di là delle condizioni toscane riguarda pochi lessemi isolati: si vedano le forme loco 99, 164; patre 61, 67, 72, patrone/ -a 110 (2 occ.), 140, 147 e patronaccia 113. Pochi i casi di desonorizzazione: litica 193 e liticà 74, procramma 125. Per quatrijène 181, cf. il glossario al §3.5. 3.2.13 Esiti di ng + vocale palatale e di nj Da ng + vocale palatale si ha regolarmente una nasale palatale. Si vedano, ad es., dipigne 18, piagne 5, 172, 200, piagnenno 84, stregne ‘stringe’ 147, tigne XV, tignerà XV ecc. Quanto a (-) nj- , il nesso si conserva nelle forme capitanio (anche capitano 106), genio 36, Sichenio 65, 66, 75 [t. 6], Silenia 12, 155, 161 [t. 16], mentre si registra [ɲɲ] in casi come gnente 2, 70, 80 [t. 5] e gnentemeno 183, magnera XI, matrimognio 65, 147, Mauritagnia 99, smagnia 175. 3.2.14 Esiti del nesso labiovelare e di W - Il nesso labiovelare si conserva intatto davanti ad a , così come in toscano. Una diversa risoluzione si ha in qutrini 29, 95, le cui attestazioni nel romanesco di II fase (pl. e sing. in MichLib I.23, V.26, XI.88 [t. 6], ProvDid 31, 778, Belli 118, 394, 426 [t. 11], cutrini in FrRim, su cui cf. Spagocci 2021: 146) consentono di escludere l’ipotesi di refuso 21 . A quest’altezza cronologica da W germanica si ha regolarmente [gw]; un trattamento non univoco è ancora possibile solo per ‘guardare’: varda 44 e guardà 88 22 . 21 Al contrario, leggeva quatrini l’edizione del Provemio di Randanini curata da Bonanni (1982: 120 e 137). L’assenza di a nella forma qutrini è forse da confrontare col trattamento simile riservato a tale nesso nel napoletano del Quattrocento (cf. la voce qurela ‘querela’ nei Ricordi di Loise De Rosa, in Formentin 1998: 198 e N547). 22 Sugli esiti di W germanica nei dialetti italoromanzi cf. in generale G. Rohlfs (1966-1969: §168); osservazioni sugli sviluppi [g] e [v], con attenzione rivolta alla varietà romana, sono ora raccolti in Bianchi/ Ludovisi (in preparazione). 84 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Martina Ludovisi Vox Romanica 82 (2023): 75-101 3.2.15 l preconsonantica La laterale preconsonantica interna di parola passa regolarmente a [r]: carcio 78, civirtà 108, corpo ‘colpo’ 233, quarche 81, porso 166, sordati 167, sporverata 112, urtimo III ecc. Tuttavia, davanti a parola con lsi ricorre all’articolo el , variante sincronica di er 23 : si vedano dal letto 95 e, con l caduta solo graficamente, i casi e letto 116 (ma el letto* ) e in su letto 177 ( sul letto* ). 3.2.16 Esiti di sj e ssj Atteso lo sviluppo [ʃ] < SJ in abbrucia IX e camiciola 89; le scrizioni con ‹ci› (cf. il §3.1), si dovranno verosimilmente all’applicazione del modello ortografico italiano. Per SSJ si individua imprescia 95. 3.2.17 / ks/ Per questo nesso si può ancora documentare il duplice sviluppo [ss] e [ʃʃ], limitato alle forme del vb. ‘lasciare’: lassà 172 e lasceno 221. 3.2.18 Esiti di gl e lj In un quadro di generale scadimento a jod della laterale palatale (cf. Loporcaro 2012) - si veda ad es. fijo 72, lassaje 32, mejo 52, moje 80, 89, pija 95, sbajasse III, sveja 94, vermijo 107 ecc. - si notino l’isolato glie 196 (di contro a je 34, 44, 68 [t. 54]) e gli ipercorrettismi Troglia 17, 105, Trogliani 13, 33. 3.2.19 Nessi nd ( j )-, mb ( j )- Il nesso nd è quasi sempre assimilato: aggiustannose 112, dannose 111, dicennoje 90, entranno ‘entrando’109, mannà 18, piagnenno ‘piangendo’ 84, quanno 26, 67, 100 [t. 8], spenne ‘spende’ 116, speranno 28, stenneve 54 ecc. Si conserva però in indisposte 210, indove 92, 124, 159 [t. 6], conservazione favorita dal confine di morfema. Se seguìto da j , si ha il passaggio ndJ - > (nnj - >) -[ɲɲ] come in agnede 121. Venendo agli esiti di MB , si registrano [mb] e [mm]: Embè 111, combinazzione 101, gamma , -e 68 e 193, impiommallo 164-65, mentre non si rintracciano voci che attestano il nesso MBJ 24 . 23 I casi di el otto-novecenteschi non sono in continuità con l’articolo el d’ascendenza toscana attestato nei secoli precedenti. Al contrario, l’ el qui rintracciato è il risultato di un’assimilazione regressiva della vibrante di er davanti a parole inizianti per l- (cf. VRC-E , s. el ed er ). 24 Per gli esiti del nesso nel romanesco di metà Ottocento cf. S. Capotosto (2013). 85 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Vox Romanica 82 (2023): 75-101 L’ Avviso strasordinario e il Bollettone: studio linguistico con un’ipotesi attributiva 3.2.20 Raddoppiamenti e degeminazioni Le nasali si raddoppiano di frequente dopo la tonica di un proparossitono: cennere 51, commido 141 (anche incommido 127, ma si vedano accomidate 117, accomidà 32), gommito 207, ommini 212, 219, XVI, stommico 78; la geminazione si può avere anche dopo l’accento secondario come, ad es., in cammoriere 158, su cui è probabile però il parallelo influsso analogico del corradicale rizotonico cammora , diffuso nel romanesco coevo. Non si tratta di raddoppiamento per commanna 93, dove mm è etimologica. Quanto a doppo 55, 69, 89 si ha [pp] per un’antica analogia su appo (Loporcaro 1997: 144-45), che in passato «valeva anche ‘dopo’, oltre che ‘presso’ e ‘dietro’ (< lat. * ad + pŏst , incrociatosi con apud )» (cf. VRC-D , s. doppo ). Si segnala lo scempiamento di rr in arabbiata 206, ariva 196, 243, arivato , -i risp. 139 e 105, cariera 247, curenno 96, 225; inattesa invece la forma discureno ‘discorrono’ 233, che parrebbe la più antica testimonianza nota di degeminazione postonica 25 . Più cospicuo il gruppo di casi che mostra rr sia in sillaba protonica ( arriccieno 84, arrostita 249, arrubba 60, currete XX, discurrenno 135, 201, susurraccio 168, vorrà 36, vorrebbe 197 e vorrebbi 133, 137, 175 [t. 4]) che postonica ( curre 8, 10, 166 [t. 5], ferri 218, terra 114). Altre consonanti scempie in corrispondenza della doppia toscana: adrittura 166, aducata 64, alitterati 53, amazzi 218, aripresenterà 127 (ma si vedano anche arippresentanzia 21, arippresentalla 124 e arippresenteranno XVIII), asicurateve 30, azeccatece 217 (ma azzeccatece II), ochietti 145 (ormai diffuso occhietto , -i cf. Belli 96, 97 227 [t. 10]; ochietti solo in LibConti 66), Palaccorda ‘Pallacorda’ IV, forma verosimilmente dovuta a una metatesi quantitativa, palida 242, sgrafiataccia 186. Per la forma qutrini 28, 95 (già nel §3.2.14), da quatrino «moneta di poco valore», si ipotizza una derivazione da quattro (lat. quattŭor ) + suff. ino e conseguente scempiamento di tt , mutamento non sistematico nella II fase, dove la forma è però documentata; in alternativa, è possibile una derivazione da quarto (lat. quărtum ) con metatesi di rt 26 . Si annovera di séguito anche susurraccio 168, derivato di susurro (< lat. SuSurruS ): forme con s scempia per questa famiglia lessicale sono presenti a Roma fin dai primi testi e risultano ancora episodicamente documentate nel Seicento 27 , il che potrebbe far ipotizzare che il nostro esempio sia residuale. Tuttavia, considerato che i testi del 25 Degeminazione inattesa in quanto i dati esposti in Palermo (1993) hanno dimostrato che la degeminazione intacca dapprima rr di sillaba protonica e solo in un secondo momento quella di sillaba postonica. Circa la cronologia e l’area di diffusione del fenomeno si vedano le posizioni di Palermo da una parte e Capotosto (2017: 106-26) e Trifone (2017), dall’altra; si torna sulla questione, con nuovi apporti documentari, in Bianchi/ Ludovisi (in stampa). 26 Si dà conto di entrambe le ipotesi, s. squatrinà , nel Vocabolario del Romanesco Contemporaneo (lettera S); il volume è attualmente in fase di allestimento, ma se ne è potuto consultare il manoscritto grazie alla cortesia di V. Faraoni. 27 Nella fattispecie, vedi il toponimo Palatio Susurriano Mir 580, susurrassi Nup 101, susurro Jac VIII.92, IX.89, MP XII.5. 86 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Martina Ludovisi Vox Romanica 82 (2023): 75-101 Sei e Settecento testimoniano regolarmente forme con ss per tutta la famiglia lessicale (si vedano sussurrà MP XI.90, MichLib IX.20, sussurrìo II.43, sussurro XII.24) e che nell’Ottocento ormai sussurro e derivati con sibilante geminata si erano ormai affermati (cf. ad es. Belli, sussurro ,i , risp. 2168, 1651 e sussurrone 1912), non potrà che trattarsi di scempiamento. Del resto, sussurro è documentato sia dall’AvS al rg. 81 e che dal Bollettone al rg. V; ciò vuol dire che la sibilante scempia in susurraccio si dovrà a degeminazione di ss , favorita dalla posizione intertonica della sillaba. A parte andranno elencati i seguenti casi, per i quali non si può parlare di scempiamento: buteghino 251 (da bottega < apothēca ) e matina 64 (prob. da lat. Ma ( tu ) ti naM ), noti al romanesco ab origine ; inoltre davero 227 (cf. VRC-D ) e alegrìa 73, arilegra 134, che muovono da basi in cui la consonante era scempia ( allegro < b. lat . * aLecriS , dal lat. class. alăcer cris , cf. LEI I, 1439-40). 3.2.21 Fenomeni generali L’epitesi di -ne si registra sia dopo monosillabo tonico (ad esempio ène 143, fane 43, line 98, 157, quine IV ecc.) che dopo polisillabo ossitono ( peròne 168, quatrijène 181, scropine 133, staràne 128 ecc.). La r , primaria o secondaria, è facilmente soggetta a metatesi. Per la vibrante del nesso pr si rintracciano casi come crape 98, crompa 98, crompimenti 205, XV, crompomette 151, cropirà 51, incrapicciò 114, scropì 144, 162 e scropine 133, scropisse 156, per il nesso br si vedano Frabbiano 38, frabbichenno 131, frebbe 68, Frebbaro 252, prubbico/ -chi risp. 28, 127, per i nessi di dentale + r si vedano drento 7, 34, 47 [t. 7] e Treato/ -i risp. 7, 56 e 25. L’influsso del prefisso strafavorisce la metatesi della sibilante in straportata ‘trasportata’ 6. Il raddoppiamento fonosintattico, invece, non viene mai rappresentato graficamente, a eccezione degli infiniti pronominali: forme di I coniugazione facce 129, sposatte 245, crompaccese 28, pensacce 28 ecc., II coniugazione persuadella 190, tenella 139, vedella 36 ecc., forme di III coniugazione ariducella 31 e mettella 27 28 . 3.3 Morfologia 3.3.1 Nome Davanti alla vocale anteriore i , non si palatalizza la velare radicale dei plurali maschili con singolare in -co : si vedano amichi 96, comichi IV e servatichi 45; non costituisce un’eccezione la forma buci ‘buchi’ 47 che è invece il pl. di bucio (cf. VRC-B). Si rintracciano solo due casi di terminazione in -e per i nomi femminili plurali deri- 28 Secondo l’interpretazione di cantallo = cantà + llo → cantà (+RF), elaborata in Faraoni/ Loporcaro (2021). Per le condizioni del fenomeno nel romanesco contemporaneo cf. Libbi (2019). 87 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Vox Romanica 82 (2023): 75-101 L’ Avviso strasordinario e il Bollettone: studio linguistico con un’ipotesi attributiva vanti dalla terza declinazione latina: arme 41 e convursione 228 29 ; la forma fume 34 è esito dell’antico neutro *fumen (cf. Rohlfs 1966-1969: §352). 3.3.2 Pronomi e aggettivi Andrà notata la preferenza per la forma scempia dei derivati di eccu iLLu anche quando la forma è pronome, dove solitamente, per ragioni prosodiche, ll si mantiene 30 . Contesti (in ordine di apparizione): L’abbiti so propiamente come queli, che se portaveno 37 31 , e doppo se vierà puro a dì quelo che se vederà in der Treato 55-56, che quela nun era più aria pe lei 91-92, Embè tutti queli Sordati 111, indove se vederà tutto quelo che se fa pe’ arippresentalla 124, In der vedé DIDONA co’ queli ochietti puntuti 145, e Quelo j’arisponne che lo manna er patrone 146-47, Jarbia rimane a chiacchierà co Raspe de quelo che hanno da fà 153-54, Lo vede line, ma nun se crede che sia quelo; 157-58, quela poveretta de DIDONA 244, in queli tempi de millant’anni fa XIII. Contesti del dimostrativo con ll : le parole de Tristevere co’ quelle de li Trogliani 33, perché quella Ciumàca je dia retta 43-44. Le forme apocopate del possessivo sono sempre anteposte al nome, mentre quelle piene sono sempre posposte; ciò vale sistematicamente anche per il numerale ‘due’ 32 . È documentato il tipo «voialtri» nella forma graficamente non univerbata vo’ antri VI, attestata già nel Seicento. Degno di nota anche il gergale sto fusto 246-47, caso non isolato nel panorama letterario romanesco 33 . 3.3.3 Articolo e preposizioni Sull’alternanza er/ el si è gia detto nel §3.2.15. Quanto alle preposizioni articolate, si registrano esclusivamente forme scempie non univerbate: si vedano ad es. a le 112, 156, a li 76, 222, da le 75, da li 87, de le 236 ecc.; per i cumuli di preposizioni si rintracciano casi come in de le 77, in de lo 78, in der 29, 36, 97 [t. 6], in d’un(a) 85, 89, 109 [t. 5], in ne la 63, in su(r) 72, 111, 177 [t. 5] ecc. 29 Sugli sviluppi diacronici dei femminili plurali di III classe in romanesco cf. ora Wild (2020). 30 Per la situazione belliana, si veda ora l’ampio lavoro di S. Capotosto (2018), in cui si dà conto dell’alternanza quella/ quela in riferimento ai singoli contesti prosodici. 31 Non è il caso però di considerare prepausale tale contesto (diversamente dall’esempio ai vv. 157- 158) visto quanto detto nel §2 circa la competenza dello scrivente nell’impiego dei segni d’interpunzione. 32 La sequenza duo | atti* (Bollettone vediXVIII, in apparato), è un’eccezione solo apparente: la barra | nell’edizione di riferimento indica il cambio di rigo a cui si dovrà, quindi, la forma piena prenominale. 33 Nella fattispecie, in FM 81, TV 65, MP I.5, II.20, III.47 [t. 9], nella lettera di H. Schuchardt analizzata nello studio di Baglioni (2012: 204) e nei giornali della Repubblica romana esaminati da Picchiorri (2019: 485). 88 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Martina Ludovisi Vox Romanica 82 (2023): 75-101 3.3.4 Verbi Per una più agevole consultazione si offre anche il regesto seguente: a. Presente indic.: 3 a sing. scomparisce 94; 1 a pl. capimo 24; 3 a pl. attaccheno 213, cascheno 242, chiacchiereno 182, conoscheno 27, dicheno 212, lasceno 221, parleno 187, peseno 220, pijeno 220, 228, resteno 250, scappeno 164, tiengheno 219, vonno V, VI, VIII [t. 5] 34 . b. Imperf. indic.: 3 a pl. scappaveno 103, staveno 67, vedeveno XIII 35 . c. Perfetto: 3 a sing. cascò 114, messe 72, 88, 101, vennè 99, 3 a pl. fecino 108, messeno 106, 111, mutorno 107, presentorno 112. d. Futuro indic.: arimanerà 51, averà avuto 68, averete VII, vederà 56, 124, vederai 246, vederanno 46, 48, 149, vederete 42. e. Cong. pres.: 1 a sing. dichi 35, 3 a sing. facci 152 lèvi 134, possi 52, pulischi 207, vadi 234, 240, vienghi 142. f. Cong. imperf.: 3 a sing. annassi 34, fussi 40, 48, 104, nascessi 81. g. Cond. pres.: 3 a sing. sarebbe 70, vorrebbe 197 e vorrebbi 133, 137, 175 [t. 4], 3 a pl. doverebbino 130. L’uscita -ebbi inizia ad affacciarsi già nel Settecento (1 a sing., magnerebbi IT XI.70, cf. Giovanardi 2006: 60) 36 e nell’Ottocento ricorre con -ebbe , terminazione più diffusa. h. Gerundio: cerchenno 157, chiacchierenno chiacchierenno 154-55, frabbichenno 131. L’estensione della desinenza enno ai gerundi di I classe è diffusa in vaste aree meridionali (Rohlfs 1966-1969: §618) e ulteriori occorrenze si rinvengono nella documentazione capitolina di Sette, Otto e primo Novecento: cf. cerchenno MichLib VI.30, cantenno 65, diventenno 53 DiscPL, girenno Lav (Gasner 2021: 107), studienno III.9 in BarbArit, ficchènno ZanUsi 395. i. Participio pres.: sostituzione di ante con ente in sbriluccichenti 42, desinenza non isolata nel romanesco di II fase 37 . Possibile che il cambio di classe in sbrilluccichente si sia verificato per accostamento ai participi pres. di II coniugazione, di identico significato, come ‘rilucente’ e ‘splendente’ (cf. VRC-S ). Participio pass.: allumàto 114, creso 54, ito 82, 104. 34 Sulla desinenza -eno , insorta grazie ad un complesso fenomeno di ristrutturazione analogica, cf. il già citato Costa (1999: 48-49). 35 Uno studio esauriente sulle desinenze dell’imperfetto indicativo in romanesco, in ottica diacronica, è stato condotto da Cristelli (2019). 36 Altre occorrenze ottocentesche dell’uscita ebbi : ProvDid: 1 a sing. poterebbi 183, averebbi 190, vorrebbi 193 e 197, 3 a sing. parerebbi , sarebbi , dovrebbi 187, per FrRim cf. Spagocci 2021: 171, altre ricorrenze in Randanini sono segnalate da Aprea (2019: 15). 37 Le forme di Jac sono raccolte in Bruschi (1987); cf. ancora luccichenti VI.66, pesenti VIII.76, pizzichente II.4 in MP, scottente VIII.54 in MichLib, luccichente 50, 1005 e ttrittichente 1607 in Belli. 89 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Vox Romanica 82 (2023): 75-101 L’ Avviso strasordinario e il Bollettone: studio linguistico con un’ipotesi attributiva 3.3.5 Kurzformen verbali Le uniche Kurzformen verbali rintracciate nei testi sono bigna 104, 132, 194 [t. 4] e gn’(a) III ‘bisogna’ (cf. Cristelli 2019: 249-55). 3.4 Note di sintassi Per la «struttura a cornice» (cf. Cristelli 2019: 164-65 e la bibliografia ivi citata), modulo sintattico tipicamente popolare e mimetico del parlato, si registrano i seguenti casi: ce ha sudato quattro camice , ce ha sudato 31, che pareno de argento , pareno 42. Il fenomeno, tuttora attivo, è attestato già nel Cinquecento (cf. D’Achille 2005: 242) 38 . È appena il caso di menzionare l’impiego di tenere in espressioni vernacolari quali tenella in canzona ‘mantenere nella bugia, continuare il raggiro’ 139 e tené l’ormo 154, locuzione che secondo la chiosa del Belli (1175 N11) vale «al gioco delle passatèlle ‹esser condannato a non bere mai›» (sugli usi di «tenere» in romanesco cf. ora Ludovisi/ Pesini 2022 e in stampa). Si osservi, in entrambi i testi, il periodare con «frequenti spezzature» (Vighi 1966: 540), ricco di espressioni idiomatiche o di riferimenti alla realtà quotidiana: bicchiere de vino cor carbone smorzato 229, rimedio che veniva consigliato dopo un grande spavento, come je peseno le mano 220 ovvero ‘picchiare forte’, morire arrostita come un quarto d’abbacchio 249. Quanto all’andamento generale, in entrambi i testi prevale la paratassi, quasi una consecuzione di battute dialogiche, del tutto diversa, per esempio, dal periodare verboso dei manifesti redatti dal Belli (ma su questi si tornerà in maniera dettagliata nel §4). 3.5 Lessico Nelle pagine che seguono si fornisce un glossario delle forme notevoli presenti nel testo: si tratta di parole o espressioni non immediatamente decifrabili, ora perché estranee al repertorio lessicale italiano, ora perché presenti in romanesco con un valore diverso. Il lemma, in neretto, reca l’indicazione dell’accento sulla vocale tonica, distinguendo tra medio-alte e medio-basse, eccezion fatta per gli infiniti verbali, dove l’accento è posto sulla sillaba tonica e il resto della desinenza compare tra parentesi tonde. La voce è seguita tra quadre dal verso ove ricorre, poi dalla categoria grammaticale e dal significato tratto dai dizionari romaneschi 39 o desunto dal contesto. Ogni lemma è corredato, infine, da una serie di occorrenze dello stesso nella documentazione romanesca 40 e da qualche breve indicazione etimologica. 38 Il verso che qui interessa recita: «Me faco spesso scorocciar, me faco» (traggo il rinvio da Cristelli 2018: 164 N19). 39 Si adotta la sigla C per Chiappini (1967); con R si indica invece Ravaro (1994). Solo nel caso in cui il lemma sia assente nei suddetti repertori si citano M = Malizia (1991) e V = Vaccaro (1969). 40 La ricerca è stata notevolmente facilitata dalla consultazione del corpus ATR ( Archivio della Tradizione del Romanesco , a cura di Carmine e Giulio Vaccaro), su cui cf. Vaccaro (2012: 80). Si ringraziano gli autori per aver permesso la consultazione di una versione pilota del database. 90 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Martina Ludovisi Vox Romanica 82 (2023): 75-101 allumà(re) [114] vb. tr. Guardare attentamente, scorgere, adocchiare. C; R. Altre occorrenze: Lav 148-49, Jac IV.27, MichLib XI.36, MichPov 43, Mis 535.2, Belli 168. E: dal lat. * aLLuMinare ( LEI II, pp. 182-83). Il valore ‘guardare attentamente’ è un’evoluzione semantica caratteristica dell’it. letterario. capogàtto [74] s. m. Capogiro, da cui il val. capriccio o ghiribizzo. Forma comune alla lingua letteraria ma in romanesco solo in quest’ultima accezione. C; R. Altre occorrenze: Mis 670, Diol 110, Belli 1594. E: dal lat. caput captuM ( LEI XI, p. 1051). cianchétta (fare la) [213] loc. Fare lo sgambetto, far cadere a tradimento. C; R. Altre occorrenze: Jac IX.26, MP XII.26 [si vede ‘fare cianchetta’]. E: dim. di cianca < long. zanca ‘tenaglia’. diascuciàccio* [101] s. m. Diavolo. C; R. Altre occorrenze: MP III.72 ‹diascoci›, Lav 306, 691, 797, MichLib II.52, Belli 482, 2243. E: da diascucio (eufem. di diavolo ) + suff. -accio . fughènzia* [93] s. f. «con fretta» (FrRim 24, in nota), più in generale «fuga» (cf. Giovanardi 2013: 18). R (s. fughenza ). Altre occorrenze: FrRim funghenzia 14 (ma si tratterà di refuso), ZanProv 182 e nei giornali della Repubblica romana (cf. Picchiorri 2019: 482). E: da fuga + suff. -enzia . fumàssela [239] vb. rifl. Andarsene, svignarsela, scappare. - - Altre occorrenze: Lav 799, 987, 1028, DidAb 142, 158, FrRim 16, e nei giornali della Repubblica romana esaminati da Picchiorri (2019: 487). E: lat. fūmare . garòfolo [76] s. m. Percossa, schiaffo violento a mano aperta. Cf. anche le glosse «Con le cinque dita chiuse (il pugno), dicesi garòfolo (garofano) da cinque frónne (fronde), o semplicemente garòfolo » FerSon 52; Belli 942 chiosa «Cioè: ‹pugni›». C; R. Altre occorrenze: MichLib IV.76, Belli 942, ZanNov 142, ZanPoes 58.148. E: dal lat. caryophyLLuM ( DELI s. garofano ). Il valore ‘schiaffo’ si spiega per facile metafora sulla base dell’accostamento fra le cinque frónne del fiore e l’impronta delle cinque dita della mano. Il valore ‘pugno’ in Belli sarà secondario da schiaffo a percossa in generale. mammóne [93] s. m. Gruzzolo, denaro, ricchezza. In Belli 700 il termine è glossato «Il danaro : parola di provenienza scritturale». C; R. Altre occorrenze: MP VII.I, Belli 700, 2154, Ilardi 1886 (in Possenti 1966: 129), ZanProv 187, 195, SinOC 224. E: voce di origine biblica Luca 16, 9 « Facite vo[bi]s amicos de mammona iniquitatis » (Di Nino 2008: 102). 91 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Vox Romanica 82 (2023): 75-101 L’ Avviso strasordinario e il Bollettone: studio linguistico con un’ipotesi attributiva Màrco Sfìla (fare) [91] loc. Fuggire, andarsene precipitosamente. C; R. Altre occorrenze: Jac VI.78, Lav 816-17, MichLib VI.8, Belli 96, ZanNov 49, 175, 221 [t. 4], ZanPoes 36.14. E: dal nome di battesimo di Marco Sciarra, fuggiasco inafferabile; l’espressione è nota anche al napoletano (Gasner 2021: 142). quatrijène (a) [181] s. m. A quadretti. C, s. quadrijè . A eccezione di C, mancano attestazioni nella lessicografia romanesca così come nel Corpus ATR (anche per la forma con ‹d›). E: dal fr. quadrillé cioè ‘quadrettato’ ‘a scacchi’. sbièscio* [159] s. m. Sbieco. Belli 71 chiosa «A sghembo». C; R (s. sbiecio ). Altre occorrenze: MP X.60, XI.29, MichLib IX.36, Belli 71, 2274 E: da biescio ‘sbieco’ con s-. Il REW (1072) riconduce biescio al prov. biais (< probab. b. lat. * biasius ). scatolìcchio [41] s. m. «Legname di poco pregio, ridotto in fogli di minimo spessore ed usato, un tempo, per confezionare scatole e ceste o come fodera interna nei mobili più economici. Per estens., mobili leggeri, costruiti con il massimo risparmio di materiale e destinati a non durare nel tempo» (R, 561-62). C; R. Altre occorrenze: - - E: da scatola con il suff. icchio (lat. icuLuS ). sformàcce [136] vb. procompl. Restare male; aversela a male; perdere la forma, il controllo, il contegno; inquietarsi. R. Altre occorrenze: Belli 295, 926, 960 [t. 6], Caterbi (Matt 2016: 83), DifSom 120. E: dal lat. formāre ‘dar forma’ con il pref. s- ( VRC-S , s. sformacce ). strabarzóne (a) [228] loc. avv. barcolloni, stentatamente | camminare barcollando. - - Altre occorrenze: Zanazzo (1904: 250), Marcelli (Lattarulo 2009: 46). E: da strabalzare , variante di trabalzare ‘Sbalzare, spostare o spingere rapidamente da un punto a un altro’ (cf. LEI IV, 1007-9). sturbàsse [138] vb. rifl. perdere i sensi; venir meno; svenire. C; R. Altre occorrenze: Jac III.72, VIII.36, XI.93 [t. 7], MichLib II. 43, V.51, X.85 [t. 5], Belli 239, 865, 1341 [t. 6], Benai 12, MarSon 14, 38, 39, Bausani (Faraoni/ De Luca 2019: §5b). E: lat. exturbāre ‘cacciar fuori; turbare in modo intenso’ con slittamento semantico di tipo metonimico dalla causa (l’essere profondamente sconvolto e/ o scombussolato) all’effetto (il venir meno, cf. VRC-S , s. sturbà ). sussùrro [81, deriv. susurraccio 168, V] s. m. pettegolezzo, da cui litigio 41 , contrasto anche fisico. - - Altre occorrenze: cf. il §3.2.20. 41 Chiappini registra però le voci sussurrétta «chi mette sussurro in una brigata» e sussurróne , «accresc.» della prima ma «usata pure dalla borghesia» (cf. C s. sussurrétta ). 92 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Martina Ludovisi Vox Romanica 82 (2023): 75-101 E: lat. susurrus col val. di ‘chiacchiera’ ‘pettegolezzo’ (cf. Belli 1651 e 2168). Facile quindi lo slittamento semantico, di tipo metonimico, dalla causa (il sussurro malevolo) all’effetto (litigio, anche fisico). 4. Ipotesi attributiva Come anticipato nel §1, la comparazione tra i testi oggetto d’indagine - vale a dire i manifesti teatrali raccolti da Vighi (1966) 42 , il quale, contestualmente, avanza per ognuno proposte attributive, e quello edito da Vaccaro (2014: 75-76) - permetterà di formulare una nuova ipotesi. Data la premessa (cf. il §2) secondo cui è impossibile provare con certezza che l’estensore dei testi qui esaminati ne sia anche l’autore, è d’obbligo esercitare cautela nell’attribuire la paternità di entrambi a un solo individuo. Ne consegue che, sul piano metodologico, è bene analizzare dapprima le eventuali analogie dei singoli manifesti teatrali col Bollettone, in quanto tutti strutturalmente simili, e solo successivamente quelle ulteriori con l’AvS. Si vedrà, infatti, che i più solidi puntelli su cui trova appoggio l’ipotesi attributiva qui avanzata - comunque corredata da evidenze grafiche, fonetiche e, in minor misura, morfologiche - si individuano proprio nelle modalità d’organizzazione testuale e nello stile. Si raccolgono in (2) i manifesti teatrali da confrontare col Bollettone: (2) a. 3 bollettoni autografi del Belli (ca. 1835), che di séguito chiameremo B, le cui minute sono conservate nel fondo belliano della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele, ms. 697, 10, ff. 197-99 (classificati col titolo Appunti per il teatro romanesco ); nel corso delle stesse ricerche che hanno condotto Vaccaro a rinvenire la stampa del Bollettone sono emerse le locandine dei 3 autografi belliani (ms. 449, cc. 87-90, 200 x 270 mm) finora ignote 43 . b. I bollettone apocrifo per il Teatro Pallacorda che chiameremo T > attribuito al Trabalza da Vighi (1966: 544) e al Belli da Bragaglia (1958: 447- 48). c. II bollettone apocrifo 1843 per il Teatro Pace che chiameremo P > attribuito a Tacconi da Vighi (1966: 544). d. Bollettone anonimo del 1844, rintracciato e pubblicato da Vaccaro (2014: 75-76), che chiameremo V. Non vengono suggerite attribuzioni. 42 I testi sono stati pubblicati nuovamente da R. Marsico (2002: 261-71), da cui si citano i dati. Nelle indicazioni dei luoghi si segue la paragrafatura data dall’editrice, preceduta dal numero di pagina; analogamente per il bollettone pubblicato da Vaccaro (2014: 75-76). 43 Il recupero di queste stampe confuta l’ipotesi formulata da R. Vighi (1966: 523), poi accolta da Marsico (2002: 32), sulla possibilità che Belli non avesse mai pubblicato i suoi bollettoni. 93 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Vox Romanica 82 (2023): 75-101 L’ Avviso strasordinario e il Bollettone: studio linguistico con un’ipotesi attributiva Per quel che riguarda i bollettoni belliani (B), il periodare involuto e «artatamente prolisso», tale «da farci chiedere se essi siano veramente prosa del Belli» (Vighi 1966: 516 e 540), è lontano dallo stile del nostro testo (cf. il §3.4). Si vedano gli esempi in (3): (3) a. Lor signori siate puro certi de trovà robba pe la quale, ossia de botta sicura con scenario e vestiario anàgolo de gran strepito, a uso per modo de spiegasse che in ner teatro ce schioppassi, sarvognuno, un terremotone, che er tutto farà un bell’affetto a la recita. (261.8) b. Tanti e tanti darebbeno un occhio per inzeppaccese drento a uso de sarache e nnun troveno logo perché nun ce cape più un vago de mijjo e chi ha la fortuna d’appizzacce la capoccia, s’appricheno un coll’antro gommitate a cascà pe sbatte le mano a stroppiasse, e da lo strillà evviva s’arrochischeno tutti in zur fa de callarostari. (263.7) In definitiva, la complessità sintattica e il periodare prolisso - che, anche quando non particolarmente ricco di subordinate, necessiterebbe di uno stacco più netto tra le proposizioni 44 - sembrano difficilmente compatibili con l’andamento ben cadenzato del Bollettone, dove il periodo non supera mai le due righe di testo. (4) Sta Cumedia sarà in der parlà romano, perché a dilla in quell’antra magnera, hanno pavura de pijà quarche cantonata. Sarà però tutta quanta in Sonetti co li versi in ottava rima. Le scene saranno tutte come ereno in queli tempi de millant’anni fa. (Bollettone, X-XIII) Ancora, si noti che il Belli, talvolta, rappresenta graficamente alcuni tratti come l’affricazione (cf. ad es. concorzo 262.11, inzinenta 263.7, 264.12, univerzale 263.8 ecc.), il raddoppiamento intervocalico di ‹b› ( abbitanti 262.11, conciabbocca 263.9, debbito 262.13, nobbili 263.2), ‹g› ( raggione 261.7, staggione 265.11; anche in fonosintassi le ggente 263.5, st’urtimo ggiorno 265.9) e ‹z› ( grazzia 261.4, 265.11, servizzio 265.11), utilizza ‹sc› per rendere la [ʃ] di camisciola 263.4 e pascenza ‘pazienza’ 266.19, come pure per voci che in Toscana presenterebbero la corrispettiva sonora quali busciardi ‘bugiardi’ (261.5), fasciolo ‘fagiolo’ 263.3, e segnala il RF in una manciata di esempi quali e nnun 263.7, Ier’a ssera 265.2.2, pe ggrazzia 265.11. Questi ultimi casi sono pochissimi rispetto alla meticolosità con cui il RF è rappresentato nei Sonetti , ma sono 44 Infatti, anche in casi come quello in (3b) con struttura polisindetica, la coordinazione avviene tra frasi complesse sforzate al di là del lecito. Si tratta di un’organizzazione sintattica e stilistica ben più articolata di quella dell’autore del Bollettone che, diversamente, punta sulla brevità delle frasi e sulla chiarezza dell’esposizione. Questa osservazione, va detto, può estendersi anche al modello di narrazione dell’AvS. 94 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Martina Ludovisi Vox Romanica 82 (2023): 75-101 anche gli unici individuati in tutti i bollettoni pervenuti. In ultima analisi, tolti i raddoppiamenti intervocalici, comunque presenti in varia misura in tutti i documenti in (2), le analogie dei nostri testi con B sono piuttosto scarse. Andrà subito escluso anche il bollettone V per le ragioni seguenti: oltre ad avere una sintassi complessa, più vicina a quella belliana 45 - il cui confronto con il periodare semplice del Bollettone sollecita, già da solo, più di un dubbio - sotto il profilo grafico e fonologico il manifesto pubblicato da Vaccaro (2014) diverge in modo sostanziale dal testo del nostro Bollettone. Si veda, a titolo esemplificativo, la predilezione per la grafia univerbata in jò ‘gli ho’ 75.2, cià per ‘c’ha’ 76.6 (diversamente, il Bollettone ce averete VII, che è XXIII) 46 , casi come ve l’anno fatta 76.2 e ce male 76.5 per ‘c’è male’, là dove, invece, l’autore del Bollettone aderisce maggiormente alle norme in uso nell’italiano (si veda ad es. hanno fiato V), l’uso di vuantri 76.7 (di contro a vo’ antri VI) per ‘voialtri’ e macara 75.2 (2 occ.) per ‘magari’, quest’ultima altrimenti mai attestata (fonte: Corpus ATR). Questi elementi assumono maggior rilevanza alla luce dello studio di un altro bollettone, P: qui, infatti, si notano le medesime particolarità elencate per V, vale a dire la grafia ‹ce› per ‘c’è’ 270.1, 270.5 (2 occ.), ‹nu na pavura› ‘non ha paura’ 270.1, ‹vo ditto› ‘vi ho detto’ 271.6 e l’impiego di macara 270.1, 270.4 per ‘magari’. Non solo V e P mostrano fra loro tali similarità ma P presenta ulteriori differenze rispetto al Bollettone 47 come, per esempio, il generale tono «da cicalata» (Vighi 1966: 540) più vicino a V e ai manifesti belliani (B). Di qui il sospetto che dietro a questi due avvisi teatrali (V e P) possa esserci un medesimo autore, diverso, tuttavia, da quello dei nostri testi. Se questo fosse vero, allora le considerazioni di Vighi (1966: 544) sulla paternità di P (punto 2c) dovrebbero estendersi anche a V. Per lo studioso il testo di P sarebbe da attribuire all’attore, commediografo e capocomico Filippo Tacconi per una serie di motivi 48 ; fra questi il più persuasivo è il fatto che, lo segnala il Belli, fossero i capocomici, nella maggioranza dei casi, gli estensori dei bollettoni: 45 Ma il romanesco impiegato in V ci assicura che esso non è attribuibile al poeta: anche ammettendo che il Belli potesse adoperare alcune delle voci lì individuate, attribuendo al tipografo della versione a stampa le numerose anomalie grafiche, di certo non potremmo accettare come belliani macara per ‘magari’, scrivuta per ‘scritta’, intramezzo col val. di ‘nel mentre’ invece di intratanto (Belli 7, 69) o trattanto (34, 730), Pantomimma per ‘Pantomima’ voce che tanto nei Sonetti (Belli 836, 1477, 1830 [t. 4]) quanto nei bollettoni del Belli (B; vediad es. pantomine 264.16 nel secondo bollettone belliano) è sempre registrata nella forma pantomina ecc. 46 Anche l’AvS testimonia j’ha 216 e se n’ha d’annà 136. 47 La lingua del manifesto P si distingue, peraltro, anche da quella impiegata nell’AvS: vedi ad esempio Parco Sceno ‘palco scenico’ 270.3 vs. Parc’oscenico che ricorre in AvS 20, 46, 127. 48 Secondo Vighi (1966: 543-44), era possibile attribuire il bollettone in (2c) a Tacconi e quello in (2b) a Trabalza in quanto non solo entrambi erano i capocomici dell’opera pubblicizzata da questi manifesti, ma anche perché «alcuni elementi in comune […] lasciano supporre che entrambi i bollettoni a stampa possano risalire non tanto a un estensore unico, da escludere grazie alle sostanziali differenze, quanto a una cerchia comune». Questa cerchia comune, considerati i capocomici, poteva essere solo quella del Tacconi e del Trabalza che spesso lavoravano insieme alla riduzione scenica delle opere dialettali. 95 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Vox Romanica 82 (2023): 75-101 L’ Avviso strasordinario e il Bollettone: studio linguistico con un’ipotesi attributiva (5) [il capocomico] «A ttirà ggonzi nun ce mette ggnente. | Pijja un fojjo de carta, te lo sbaffa | de ggiallo o rrosso, e ssopra te sce schiaffa | L’Orfino, o la gran Valle der torrente. | E ssempre, o ccarte rosse o ccarte ggialle, | c’è un sproloquio p’er popolo cazzaccio | sopra la gran grannezza de sta valle» (Belli son. 1418, vv. 5-11). Ciò è importante ai nostri fini: infatti, il capocomico dell’opera pubblicizzata da P è il medesimo di quella di V, Filippo Tacconi 49 . Questo fatto, unito alle similarità grafico-linguistiche e stilistiche individuate supra tra i due testi, porta a ritenere che l’estensore di V e P sia lo stesso e, con tutta probabilità, proprio il Tacconi. Torniamo ora al Bollettone, indagando le comunanze fra questo e l’ultimo testo rimasto (T), esposte di séguito in forma tabulare (6). Si è ritenuto opportuno inserire accanto due ulteriori colonne, una dedicata all’AvS, tenuto conto delle somiglianze fra il programma di sala e il Bollettone (visibili nel commento), e una dedicata ai Sonetti , la cui lingua, com’è noto, è rappresentativa della varietà dialettale capitolina del sec. XIX. (6) T (Marsico 2002: 269-70) Bollettone AvS Belli (Teodonio 1998) a. Nu antri 269.1, 269.3 Vu antri 269.1, 269.3 vo antri VI solo voantri/ voiantri , noiantri/ noantri b. no’ che spesso e volen tieri avemo avuto la testa ligiera 269.2 e cinque o se’ donne 269.2 che no semo calli e lesti XX Lu puro 157, 165, 185 [t. 6] mai attestata la cancellazione in fonosintassi di -i postvocalica per queste stesse voci c. si ce abbisogna 269.2 ce avemo gusto 269.1 che ce averete gusto VII-VIII ce ha messo le mano 30 ce ha sudato quattro camice, ce ha sudato 31 ce aveva sempre 119- 20 ce ha d’annà 210 nun ce ha da rimane manco un mattone 245 sempre ‹(c)ciavemo› o ‹cciarza› ‘ci alza’ (Belli 1939) 49 Che il capocomico di P sia Tacconi si ricava da una nota del Ceccarius (1942: 108), mentre che lo fosse anche di V è documentato dallo stesso bollettone (cf. Vaccaro 2014: 76). 96 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Martina Ludovisi Vox Romanica 82 (2023): 75-101 d. annà in declivio 269.3 se sente annà in declivio 203 va in decrivio (Belli 953, 2185) e. bon tone 269.3 bon-tone 111 - - f. arippresentanzia 269.3 arippresentanzia 21 - - g. intramente 269.1 intramente 83, 156 - - h. na mucchia de cose 270.5 na mucchia de strilli 175 na mucchia de parole in gergo 198-99 na mucchia de è riferito solo a persone (Belli 388 N6, 816) i. puro st’anno che quine 269.1 Quest’anno che quine IV - - j. principierà quanno sarà er comincio 269.3 Quanno se principia er comincio II - - k. saranno tutte quante in der parlà come sto pezzo de carta (romano) 269.3 sarà in der parlà romano X-XI l’ha fatta | tutta quanta arifà in der parlà romano 29 - - l. avemo, Serenella, studiato p’aridunà, pe’ metteve insieme certa robba proprio da stroppiati, certe commedie da sdilommasse dar ride 269.2 quattro camice, ce ha sudato pe’ ariducella co li versi, pe’ lassaje er senso der sentimento de prima, e pe’ accomidà le parole de Tristevere co’ quelle de li Trogliani, de li Mori, de li Cartagginesi, e perché nun se n’annassi in fume er bello che je sta drento 31-34 - - m. uscita 1 a sing. del cond. in -ebbi ( saperebbi 270.5) Cond. 3 a sing. vorrebbi 133, 137, 175 [t. 4] (1 sola occ. vorrebbe 197) Cond. solo la terminazione -ebbe per 1 a e 3 a sing. Pur con le dovute cautele, espresse nel §2 e riprese in apertura del presente paragrafo, l’inserimento dell’AvS nella tabella in (6) si è ritenuto necessario in virtù delle affinità linguistiche e stilistiche mostrate col Bollettone 50 e osservabili, in massimo 50 La maggiore estensione dell’AvS consente di osservare ulteriori affinità linguistiche; se prima, in virtù della diversa fisionomia testuale, si è preferito escludere l’AvS dal confronto col resto dei manifesti in (2) - anche perché le esclusioni si sono basate principalmente su evidenze di tipo 97 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Vox Romanica 82 (2023): 75-101 L’ Avviso strasordinario e il Bollettone: studio linguistico con un’ipotesi attributiva grado, nel commento. A queste si aggiungano ora le similarità di entrambi con il manifesto T: oltre a una comune tendenza a scrivere ce non univerbato davanti a V- (6c) e alla semplificazione del dittongo al primo elemento (6b), è persuasivo il ricorso a simili moduli espressivi usati per elogiare la rappresentazione, il Teatro e i commedianti (6h-l), formule che si ritrovano così espresse solo in questi testi 51 . A ciò si aggiungano l’impiego delle stesse voci ed espressioni non attestate nei Sonetti (2e-g), o qui rinvenute in forma diversa (per es. declivio - decrivio cf. 2d), e l’uscita ebbi del condizionale, anche questa sconosciuta al Belli (6m). Con un ragionamento analogo a quello operato per P e V, è possibile supporre che dietro a T e ai nostri testi si celi un medesimo estensore, non solo per le comunanze suddette (6) ma anche perché, ancora una volta, il capocomico delle opere pubblicizzate da entrambi i manifesti (T e Bollettone) è un’unica persona, Gian Battista Trabalza 52 . In conclusione: I) vi sono elementi grafici, linguistici e stilistici in comune tra T e i nostri testi; II) il capocomico delle opere presentate da T e dal Bollettone è, in entrambi i casi, Gian Battista Trabalza; III) il bollettone V della cui opera era capocomico il Tacconi è molto simile, quanto a lingua e stile, al secondo bollettone apocrifo (P) della cui opera era capocomico ancora il Tacconi; IV) alla luce di ciò assume maggior valore la testimonianza del Belli (5), secondo il quale i capocomici erano spesso gli autori dei bollettoni. Vi sono quindi elementi sufficienti per ritenere che Trabalza sia l’anonimo estensore dei nostri testi. Bibliografia a noniMo , 1838: Avviso strasordinario de una cummedia de tre atti che se chiama gnente de meno che la Didona der Metastazzio gran poveta romano , Roma, Stamparia ar Curso. a prea , F. 2019: «Sulla lingua di L. Randanini: i dialoghi romaneschi per ‹Arti e lettere› di Francesco e Benvenuto Gasparoni (1865)», in: G. 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F araoni / p. d i p retoro (ed.), Vicende storiche della lingua di Roma , Alessandria, Edizioni dell’Orso: 195-211. sintattico e stilistico, meglio osservabili, quindi, raffrontando testi strutturalmente simili - ora l’AvS non può più essere estromesso dall’analisi. 51 Convincono in particolare, i casi in (6i-k), dove la ripetitività dei moduli è più evidente. 52 Notizie su Didona , Provemio e sul fatto che Trabalza fosse il capocomico di queste opere si ricavano da Ludovisi (in stampa); quanto a T, il nome di Trabalza in qualità di capocomico figura, come Strasbarza , nel bollettone in Marsico (2002: 269, periodo 3). 98 DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Martina Ludovisi Vox Romanica 82 (2023): 75-101 B arBato , M./ L oporcaro , M. 2020: «Il romanesco antico forse ‘fosse’, l’avverbio omofono e le forme italo-romanze congeneri», RLiR 84: 373-403. B ianchi , c./ L udoViSi , M. (in stampa): «Un contributo agli studi sul romanesco: riletture e nuove acquisizioni», Philologie im Netz . 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DOI 10.24053/ VOX-2023-003 Vox Romanica 82 (2023): 75-101 The Avviso strasordinario and the Bollettone: a linguistic study with an attributive hypothesis Abstract: The paper analyzes the language of two anonymous nineteenth-century documents, l’ Avviso strasordinario and the Bollettone - both concerning dialect theater of that period -, which the reference bibliography has so far treated as a single text. Keeping in mind the data that emerged from the linguistic analysis and by virtue of the stylistic similarities identified between these and a coeval theater manifesto, the paper makes an attributional proposal. Keywords: Romanesco, Avviso strasordinario , Bollettone, Roman theater manifestos, Attributive philology L’ Avviso strasordinario e il Bollettone: studio linguistico con un’ipotesi attributiva 101