Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
10.24053/VOX-2023-013
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2023
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Kristol De StefaniVincenzo Faraoni/Michele Loporcaro (ed.), ’E parole de Roma. Studi di etimologia e lessicologia romanesche, Berlin/Boston (De Gruyter) 2020, xxii + 367 p
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Daniele Iozziahttps://orcid.org/0009-0000-0362-057X
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335 DOI 10.24053/ VOX-2023-013 Vox Romanica 82 (2023): 335-342 Besprechungen - Comptes rendus conservation de certains emplois anciens ou sur des possibles innovations survenues. Néanmoins, ceci ne changerait pas l’essentiel des résultats déjà obtenus et judicieusement décrits. En suivant les auteurs, nous avons remarqué, à chaque moment, leur érudition ainsi que leur aptitude à choisir les exemples les plus parlants pour soutenir en permanence la démarche théorique appliquée. Les deux syntacticiens nous ont montré une nouvelle perspective sur le marquage différentiel de l’objet (DOM) qui, en roumain, est de manière évidente complexe et très bien représenté. Adrian Chircu (Université «Babeş-Bolyai» de Cluj-Napoca) https: / / orcid.org/ 0000-0001-6288-3337 ★ Italoromania v incenzo F araoni / m ichele l oporcaro (ed.), ’E parole de Roma. Studi di etimologia e lessicologia romanesche , Berlin/ Boston (De Gruyter) 2020, xxii + 367 p. Il volume ospita gli studi su questioni etimologiche e lessicali del romanesco al crocevia tra le attività del Romanisches Seminar dell’Università di Zurigo, il progetto di ricerca Etimologie del romanesco contemporaneo ( ERC ), finanziato dal Fondo Nazionale Svizzero, e un convegno tenutosi all’Università di Zurigo il 17-18 novembre 2016 ( Prospettive dell’etimologia e della lessicologia romanesche ). Nell’ Introduzione , Vincenzo Faraoni e Michele Loporcaro sottolineano come alla gravosa ipoteca che da circa un secolo pende sul romanesco (quella di non avere ancora né un dizionario dell’uso odierno né un dizionario etimologico) venga ora in soccorso una capillare attenzione che, spingendosi oltre il Vocabolario romanesco del Chiappini (1967) e i vocabolari dell’uso letterario di Belli e Trilussa (Vaccaro, 1969 e 1971 1 ), ha inaugurato due cantieri di alta rilevanza scientifica: il Vocabolario del romanesco contemporaneo ( VRC ; Università di Roma Tre), diretto da Paolo D’Achille e da Claudio Giovanardi, e le Etimologie del romanesco contemporaneo ( ERC ; Università di Zurigo), a cura degli stessi Faraoni e Loporcaro. I diciassette saggi di ’E parole de Roma correggono il tiro dell’ipotesi miglioriniana di un «disfacimento» progressivo del romanesco nell’italiano 2 , mostrando come, per quanto sia innegabile un’osmosi tra lingua e dialetto all’indomani dell’Unità d’Italia, in realtà non man- 1 c hiappini , F. 1967 [ 1 1933]: Vocabolario romanesco , ed. B. m iGliorini , con aggiunte e postille di U. r olandi , Roma, Chiappini Editore; v accaro , G. 1969: Vocabolario romanesco belliano e italiano-romanesco , Roma, Romana Libri Alfabeto; v accaro , G. 1971: Vocabolario romanesco trilussiano e italiano-romanesco , Roma, Romana Libri Alfabeto. 2 m iGliorini , B. 1932: «Dialetto e lingua nazionale a Roma», Capitolium 10: 350-56 (ristampa in Id. 1948: Lingua e cultura , Roma, Tumminelli: 109-23, da cui si cita). 336 DOI 10.24053/ VOX-2023-013 Vox Romanica 82 (2023): 335-342 Besprechungen - Comptes rendus chino né innovazioni autonome né risalite di voci romanesche nella lingua. Il volume è diviso in due parti: Etimologia e storia di parole e Lessicologia e lessicografia . Daniele Baglioni ( Per la storia di grattachecca, p. 3-19), traccia i percorsi diatopici del celebre termine in uso a Roma per indicare un sorbetto di ghiaccio tritato condito con sciroppi aromatici. L’autore si sofferma sulla trafila etimologica della seconda parte del composto, sgombrando il campo dalla pletora di spiegazioni para-etimologiche di gusto aneddotico-popolare che vedono in -checca l’ipocoristico romanesco dell’antroponimo Francesca . Baglioni affianca inoltre il caso di grattachecca a quello di grattamarianna ‘granita’ ma anche ‘attrezzo usato per raschiare il ghiaccio’ (anche al maschile u (g)rattamariannə ), di più ampia diffusione, dalla Puglia alla costa adriatica della Romagna alla Toscana e al Lazio meridionale. Facendo leva sul criterio dell’area maggiore di Matteo Giulio Bartoli e su quello della maggiore densità semantica di Mario Alinei, l’autore ipotizza la derivazione di grattachecca dal tipo più antico grattamarianna , la cui serie di rimotivazioni ha plausibilmente all’origine il/ la radimadia ‘pialla per raschiare il ghiaccio’, presente in area pisana e lucchese. La provenienza di quest’ultimo è fatta risalire a un’area in cui il tipo grattamarianna non è attestato, il lombardo gratamarna (con marna ‘madia’), verosimilmente disceso lungo la costa adriatica fino alla Puglia secondo modalità da indagare ulteriormente. Alessandro De Angelis ( Una proposta etimologica per il rom. giannetta , gianna ‘vento freddo e pungente’ , p. 20-35), passa in rassegna la serie delle attestazioni dell’anemonimo nella lessicografia romanesca, mediana e perimediana; la base etimologica è connessa all’italiano giannetta ‘lancia corta usata dalla cavalleria spagnola’ e all’arabismo spagnolo jinete ‘soldato armato di lancia’. Riscontrata la produttività dei nomi di persona per indicare venti e fenomeni atmosferici nel dominio italo-romanzo, la ricerca si allarga alle altre lingue romanze. L’ipotesi di De Angelis vede l’incrocio con il nome Gianni successivo al rapporto tra gianna e il lat. diana , dea pagana della caccia che con l’avvento del cristianesimo ha assunto il valore di ‘fata, strega’. Tale rimotivazione è largamente attestata già dal latino tardo, nonché dal drappello di continuatori popolari di diana . Il principale indizio del fatto che nel caso di giannetta l’accostamento a Giovanna sia una rianalisi secondaria è fornito dal genere del sostantivo: tra gli anemonimi deonomastici derivati da Giovanni , giannetta è l’unico femminile, giustificabile se si partisse dal lat. diana . L’incrocio tra una tradizione pagana e una cristiana è giustificato anche dall’analisi semantica: numerosi parallelismi attestano infatti nel dominio italo-romanzo lo slittamento dal significato di ‘strega’ a quello di ‘fenomeno atmosferico’. L’uso gergale di gianna spiega infine l’attestazione relativamente tarda nella documentazione, ammettendone la propagazione da un fondo rustico localizzato verosimilmente tra Campania e Lazio meridionale. Franco Fanciullo ( Romanesco e mediano mucinare , rimucinare , smucinare e toscano e italiano rimuginare (con un appunto su viterbese tucino ‘zipolo’) , p. 36-47) avanza una nuova proposta etimologica per il tipo mucinà ‘rimescolare, rovistare’. Attestatane la diffusione nel romanesco, in vaste zone del Lazio e dell’Italia mediana (Toscana compresa) e nell’italiano (nella variante rimuginare ), Fanciullo intreccia anche i riscontri provenienti dai principali dizionari etimologici ( DEI , DELI , EVLI ), notando alcune difficoltà interpretative. L’autore esamina il template di (ri)mucinare/ (ri)muginare per quel che riguarda il segmento in di molti 337 DOI 10.24053/ VOX-2023-013 Vox Romanica 82 (2023): 335-342 Besprechungen - Comptes rendus verbi mediani e toscani. L’ampliamento con in sarebbe alla base di due ipotesi: 1) vedere in muc l’«allargamento» in -Jdi un participio passato con s -; 2) vedere in muc un participio passato in sibilante «ampliato» in -J-. Allegando una ricca documentazione, lo studioso propende per la seconda ipotesi e considera mucinare una variante allargata «affettivamente» tramite l’interfisso in di un (*)muciare ‘smuovere col muso’ (< mucio ‘muso’). L’accostabilità tra il tipo italiano muso e quello dialettale mucio è provata ammettendo una derivazione rispettivamente dalla base lat. musu e da * mus j u (che procederebbe a sua volta da un * mus eu , allotropo di musu ). Vincenzo Faroni ( Etimologia, fonetica storica e fonosimbolismo: rom. ciufolà(re) (e it. zufolare, p. 48-66) indaga l’etimologia del romanesco ciufolare , cifolare ‘mormorare, insinuare’. Documentati a partire dal Settecento, il verbo e i suoi derivati nominali sono già in Peresio e Berneri 3 e vengono spiegati dai principali vocabolari etimologici a partire dalla base basso-latina * suFolare , a sua volta derivata da sibilare . L’analisi si concentra dunque sull’evoluzione della sibilante ad affricata palatale (tipo romanesco e mediano) o alveolare (tipo italiano). Sconfessando le ipotesi di Meyer Lübke, Guarnerio e Rohlfs 4 , Faraoni spiega diversamente i passaggi di Sad affricata alveolare e palatale. Per il primo, incrociando riscontri provenienti dal TLIO e dal Corpus OVI 5 , l’autore conclude che la realizzazione come alveolare è attestata nei dialetti toscani moderni a partire dal Trecento; per il secondo avanza una spiegazione semantica, dovuta all’incontro con ideofoni quali ciù , ci , ce , riconducibili fonosimbolicamente al parlottio, mostrando come la lessicalizzazione di simili basi sia verificabile ampiamente in molte varietà italo-romanze. Michele Loporcaro ( Il confine fluido dell’etimologia romanesca e la diacronia del lessico capitolino , p. 67-93), si concentra da un lato sui rapporti e gli scambi tra romanesco e toscano (italiano) e tra romanesco e dialetti meridionali, dall’altro sull’evoluzione diacronica del lessico romanesco, crux di molte ricostruzioni etimologiche dovuta a un’«emorragia lessicale» (p. 69) che vede il dialetto stingersi in diverse misure entro la lingua comune e lasciare residui di sé in zone semantiche selettive come i disfemismi e gli eufemismi. L’autore, mostrando come da ciò derivi la difficile uniformità nei criteri di descrizione del materiale lessicale, propone due parametri idealmente convergenti per l’attribuzione del carattere romanesco a una voce: 1) la presenza di spie formali quali l’esito di -RJ- (specie nei suffissi in aro e arolo ) o il mantenimento di ar protonico; 2) la presenza di fattori extra-linguistici quali la percezione del carattere romanesco da parte delle fonti lessicografiche. Segue la discussione di voci ( infoiato ‘arrabbiato’, anche con riferimento sessuale, e cascherino ‘garzone del fornaio’) che mostrano una sfasatura rispetto a questi due parametri. Sempre su basi fonetiche poggia il 3 Cf. Jacaccio , XII, 114 e Meo Patacca , I, 90 e XI, 26. 4 m eyer l übke , W. 1890-1902: Grammatik der romanischen Sprachen , 4 vol., Leipzig, Reislan: §14; G uarnerio , P. E. 1918: Fonologia romanza , Milano, Hoepli: §382; r ohlFs , G. 1966-1969: Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti , 3 vol., Torino, Einaudi: §165. 5 TLIO = Tesoro della lingua italiana delle Origini . URL: http: / / tlio.ovi.cnr.it/ TLIO/ [23.06.2023]; OVI = Corpus OVI dell’Italiano antico , Opera del Vocabolario italiano-Istituto del Consiglio Nazionale delle Ricerche. URL: http: / / gattoweb.ovi.cnr.it/ (S(tr11borywvdhd2sf2pvp0qw0))/ CatForm01.aspx [23.06.2023] 338 DOI 10.24053/ VOX-2023-013 Vox Romanica 82 (2023): 335-342 Besprechungen - Comptes rendus riconoscimento di meridionalismi diffusi a Roma come cianghetta ‘sgambetto’ (con sonorizzazione postnasale tipica del Mezzogiorno). L’ipotesi di un mutamento (anche diacronico) per disfemismo si rivela infine utile anche nella spiegazione di trafile semantico-etimologiche: è il caso delle voci ciumaca ‘ragazza, sesso f.’ e racchia ‘ragazza, bruttona’. Luca Lorenzetti ( Sull’emergere di a allocutivo nel romanesco dell’Ottocento , p. 94-105) ricostruisce la genealogia documentaria dell’allocutivo a nel dialetto capitolino ottocentesco, a cominciare da una ricognizione di Paolo D’Achille che ne rintracciava gli esempi più antichi nei testi minori della letteratura romanesca dell’ultimo quarto del secolo, in cui l’allocutivo divergeva da ah vocativo. Estendendo la campionatura, Lorenzetti coglie la presenza del tratto nelle pagine del periodico anti-unitario La frusta (1870 e s.), nell’ Antefatto della Didona abbandonata (1851) di Alessandro Barbosi, redatto da Luigi Randanini tra il 1838 e il 1839, e nel poemetto in ottave Li maritozzi che se fanno la Quaresima a Roma (1851) di Adone Finardi. L’autore ipotizza che le dinamiche incipienti del fenomeno siano da retrodatare ai decenni precedenti, in parallelo alla produzione di Belli, ribadendo la necessità di considerare la lingua degli autori minori come testimonianza di livelli diversi dello stesso dialetto. Pietro Trifone (Burino e buzzurro : ipotesi etimologiche , p. 106-16) razionalizza il materiale per l’etimologia dei due lessemi. Quanto al primo, esso è attestato a partire dal Meo Patacca (1695) di Giuseppe Berneri fino al Vocabolario del Chiappini (1933), che riporta la variante con r scempia e l’accezione di ‘campagnolo’. Sulla scorta del DELI e delle osservazioni di Luigi Morandi su un componimento di Luigi Ferretti del 1879 6 , Trifone concorda nel ricondurre burrino ( burino nel romanesco postbelliano) alla base burra ‘bure, parte dell’aratro’, nel significato complessivo di ‘colui che lavora la terra con l’aratro’, analogamente ai nomina agentis in ino designanti mestieri, sebbene stando al LEI non sia da escludere nella variante con vibrante geminata un incrocio con burra ‘vacca rossiccia’ (< burrus , ‘rossiccio’). Buzzurro , invece, è parola che arriva a Roma da Firenze capitale italiana e indica i venditori ambulanti di caldarroste (in fior. bruciate ) provenienti dalla Svizzera. Trifone mette in discussione l’ipotesi già di Lurati 7 di una retroformazione da buzza(r)rone / buzzu(r)rone , corrispondente all’italiano buggerone ‘sodomita’, valutando infine la più stringente attinenza con il tipo lombardo-ticinese brusur ‘bruciore’, prossimo alle fiorentine bruciate . “Gricia? Like gray? That sounds like a sad dish”. Geografia e storia di un piatto romanesco (Giulio Vaccaro, p. 117-36) traccia la storia del celebre piatto di pasta a base di guanciale, pepe e pecorino, illustrando bene il «carsismo» (p. 133) del lessico romanesco. Dopo una panoramica sulle attestazioni della parola in rete, nei dizionari italiani e dialettali e nella letteratura, Vaccaro passa al vaglio alcune proposte etimologiche, le più pertinenti delle quali risultano essere quella proveniente da D-O 8 e Zingarelli 9 ( gricio ‘grigio’, forse per il mancato colore del 6 m orandi , L. (ed.) 1879: Centoventi sonetti in dialetto romanesco di Luigi Ferretti , Firenze, Barbèra: 156-57. 7 l uraTi , O. 2004: «‹Dar del ‘buzzurro’› e far battute sugli altri», Italienisch 51: 96-102. 8 d evoTo , G./ o li , G. C. 2008: Il Devoto-Oli 2009. Vocabolario della lingua italiana , ed. L. s erianni / M. T riFone , Firenze, Le Monnier. 9 z inGarelli , N. 2017: Lo Zingarelli. Vocabolario della lingua italiana , ed. M. c anella / B. l azzarini , Bologna, Zanichelli, 2017. 339 DOI 10.24053/ VOX-2023-013 Vox Romanica 82 (2023): 335-342 Besprechungen - Comptes rendus condimento) e da Ravaro 10 (da grici ‘oliandoli, venditori di pane’). Sulla base dell’ Archivio della Tradizione del Romanesco ( ATR ) che restituisce l’accezione di gri(s)cio ‘vecchio’ (con occorrenze dal ’600 all’ ’800), l’autore propone un parallelismo con i nomi della pasta all’amatriciana, rintracciando sotto la stessa denominazione e in contesto romano la compresenza di una versione «in rosso» e di una «in bianco». Dall’esame della storia dei due piatti Vaccaro conclude che la denominazione alla gricia è posteriore al 1945 e che il suo recupero (più pertinente nel senso di orzarolo dato da Ravaro) orienta verso una «creazione onomastica prodottasi in qualche osteria» (p. 132). Stefano Cristelli ( Appunti lessicali sul Misogallo romano (n. 407), p. 139-62) si concentra su quattro espressioni in rima poco perspicue di un sonetto a forti tinte anti-francesi. La prima, pilacche è probabile alterazione di pilucche ‘parrucca’, presente nel romanesco e in alcuni dialetti centro-meridionali. La seconda, aria de Mambrucche , è ricondotta da Cristelli a una nota canzone francese tardo-settecentesca, Malbrough s’en va-t-en guerre , di cui danno conto anche Sabatini e Zanazzo 11 . La terza, tricche tracche , è attestata nei repertori romaneschi nell’accezione di ‘battola’, strumento sostitutivo delle campane nella liturgia della Settimana Santa, il cui furto testimonia l’avidità dei francesi, incapaci di arrestarsi di fronte al rispetto dei riti religiosi. La quarta, fa policche ‘far piazza pulita’, è avvicinata dall’autore a espressioni mediane e perimediane come te manno a puliccu ‘ti mando fallito’, alla cui completa sovrapponibilità osta però la selezione del verbo (m)andare al posto di fare . Paolo D’Achille e Anna M. Thornton ( La storia di un imperativo diventato interiezione : ammazza! , p. 163-94) tracciano la diffusione nel romanesco della forma imperativale con valore interiettivo (e della sua variante eufemistica ammappa! ). Gli autori ne inquadrano l’evoluzione richiamandosi da un lato alla teoria della grammaticalizzazione di Hopper/ Traugott (1993) e Heine (2002), dall’altro alla categoria della miratività messa a fuoco da Aikhenvald (2012). Escluso l’uso interiettivo della forma nel romanesco prebelliano e belliano, D’Achille e Thornton forniscono un’ampia serie di riscontri provenienti dalla lessicografia italiana e romanesca; l’analisi dei contesti rivela che l’uso di ammazza! / ammappa! , prima seguiti da clitici di 2 a e 3 a persona ( ammazza-te! / ammazza-le! ) e poi usati in senso assoluto e infine ridotti alla forma aferetica ’mazza! / ’mappa! , ha avuto corso tra la fine del XIX e la fine del XX secolo. A un primo stadio in cui la forma imperativale col clitico è usata in contesti in cui il parlante è sorpreso di apprendere qualcosa giudicandola in modo riprovevole ne segue un secondo in cui a sorpresa e riprovazione si accompagna ammirazione. In L’elemento gergale nella Cronica d’Anonimo romano (Vittorio Formentin, p. 195-214), si indaga il ricorso al gergo nel più celebre testo in romanesco del XIV. Formentin lima la spie- 10 r avaro , F. 1994: Dizionario romanesco , introduzione a cura di M. T eodonio , Roma, Newton Compton. 11 s abaTini , F. 1878: Saggio di canti popolari romani , Roma, Tipografia Tiberina: 7; z anazzo , G. 1910: Tradizioni popolari romane, vol. 3: Canti popolari romani, con un saggio di canti del Lazio e uno studio sulle melodie romane, con note musicali del Prof. Alessandro Parisotti , Torino, Società Tipografico-Editrice Nazionale: 243-44 (ristampa anastatica Sala bolognese, Forni, 1982). 340 DOI 10.24053/ VOX-2023-013 Vox Romanica 82 (2023): 335-342 Besprechungen - Comptes rendus gazione già data da Francesco A. Ugolini e da Alberto Zamboni 12 a espressioni come aizare la più corta ( de la più corta ) e levare la fronnosa ‘andare via da un luogo, togliere il disturbo’, feltrenga ‘paura’, primo delli Decretali e sesto delle Clementine ‘sedere’, per giungere infine a conclusioni di taglio stilistico. L’impiego di simili espressioni, lungi dal rappresentare una stonatura, si amalgama nell’impasto linguistico del testo, spingendo verso un potenziamento del significato e contribuendo alla condensazione semantica e agli effetti ritmici. Claudio Giovanardi ( Sui neologismi della lettera «A» del Vocabolario del romanesco contemporaneo ( VRC ), p. 215-26) passa in rassegna la tipologia di neologismi della lettera «A» del VRC (ca. 800 lemmi). L’autore intende «neologismo» in senso ampio, includendo tanto le parole incipienti nell’attuale lessico capitolino quanto le numerose voci che, pur essendo attestate da tempo a Roma, non hanno ricevuto attenzione da parte della lessicografia dialettale precedente. La carrellata procede da alcune voci grammaticali, come a preposizione, il prefisso a -, l’articolo determinativo e pronome aferetico ’a ‘la’, i suffissi assai produttivi arello , aro e arolo . Tra le voci lessicali il VRC annovera parole sfuggite ai lessicografi precedenti come abbiocco ‘sonnolenza improvvisa’, formazioni parasintetiche con a prefissale come abbaraccato ‘chi vive nelle baracche’, altri prefissati in a con uso sovraesteso in romanesco molto più che in italiano ( accriccato ‘irrigidito’). È forte, inoltre, l’apporto del lessico giovanile: cf. accollà ‘raggranellare denaro’, accollasse ‘incollarsi a qualcuno’ etc. Gianluca Lauta ( Usi metalinguistici del lessico di Roma nei testi italiani tra Cinque e Ottocento: materiali per un glossario , p. 227-45) censisce le forme e le espressioni del romanesco «citato» (la cui romanità è cioè denunciata dagli scriventi). L’autore ripartisce questi riferimenti in due macro-gruppi: 1) le forme condizionate dal contesto e 2) le forme cosiddette «libere». Appartengono al primo gruppo le annotazioni contenute in testi di ambientazione romana; le forme «libere» sono tutte quelle che prescindono da uno stimolo esterno. In questi casi, il dialetto a) colma una lacuna lessicale; b) vede messa in discussione la propria autorità linguistica sulla scorta di pregiudizi positivi o negativi; c) è riportato come geosinonimo. Tra le tipologie testuali più adatte al censimento, Lauta privilegia i vocabolari, le grammatiche e alcuni testi settoriali. Dalle prime due il lessico romanesco risalta come opzione anti-puristica. I testi settoriali, invece, sono preziosi perché per designare con precisione un referente gli autori si rimettono ad alternative regionali, tra cui il romanesco. Un glossario di 33 espressioni chiude il capitolo. Luca Pesini ( Tipi lessicali mediani (e romaneschi) in testi aretini antichi , p. 246-71), indaga le intersezioni lessicali tra la Toscana aretina, l’area (peri)mediana e il romanesco. La zona di transizione delimitata da questi domini dialettali ha un forte carattere individuale che emerge già dal glossario latino-aretino di maestro Goro (XIV sec.). Tale autonomia lessicale si fa più evidente intorno al XVI secolo, stando alle voci schedate dal Vocabolario aretino di Francesco Redi 13 . Di queste sono esaminate sia la diffusione areale antica e moderna sia le nuove 12 u Golini , F. A. 1983: « Intorno a una recente edizione della ‹Cronaca› romanesca di Anonimo», Contributi di dialettologia umbra II 6: 371-423; z amboni , A. 1992: «Osservazioni sul romanesco antico», Studi linguistici italiani 18: 136-49. 13 n ocenTini , A. (ed.) 1989: Il vocabolario aretino di Francesco Redi, con un profilo del dialetto aretino , Firenze, Elite. 341 DOI 10.24053/ VOX-2023-013 Vox Romanica 82 (2023): 335-342 Besprechungen - Comptes rendus attestazioni in testi di carattere pratico (XIII-XVI sec.). Particolare rilievo hanno gli scambi tra l’area aretina e quella metafonetica, con la sopravvivenza di forme isolate nel sistema morfologico della prima (cf. capritto e maggiure ), così come i riscontri di voci aretine in testi in antico romanesco quali (s)catòrcio ‘chiavistello’, di probabile mediazione bizantina. L’esame complessivo della documentazione mostra come il tipo aretino si distacchi progressivamente (col procedere dalla fase medievale a quella rinascimentale) dal fiorentino e dall’italiano letterario. Giancarlo Schirru ( Osservazioni sul glossario trecentesco di Judah Romano , p. 272-85) analizza le glosse di Giuda Romano ai termini ebraici del Mishneh Torah di Mosé Maimonide 14 , mostrando come nel riassestamento identitario della Roma due-trecentesca la varietà giudeoromanesca fosse avvertita come livello prestigioso del repertorio linguistico cittadino e legata al romanesco di prima fase, di cui offre anche riscontri lessicali pre-moderni. È il caso, ad esempio, di kwbsym glossato con il volgare kanikatori , riconducibile al romanesco can(n)icatore ‘lavandaio’, attestato variamente in fonti mediolatine, in statuti cittadini fino al DEI (s.v. canicare ‘lavare’). L’esame di Schirru rivela dunque l’importanza del glossario in prospettiva diacronica, con l’attestazione di voci a noi note dal romanesco delle epoche successive e ora, grazie a questo documento, databili al romanesco di prima fase. Ugo Vignuzzi e Patrizia Bertini Malgarini ( Fonti extravaganti della lessicografia romanesca , p. 286-98) analizzano tre fonti poco frequentate dalla lessicografia romanesca. La prima allarga l’orizzonte in diatopia, integrando dati da aree marginali. Gli autori adottano la denominazione di romanesco «coloniale»: è così per le varietà contermini a Roma nelle quali si sono diffuse forme urbane che in alcune località hanno soppiantato varietà precedenti (Anzio, Nettuno, Civitavecchia etc.). La seconda fonte è la letteratura noir. Nel cosiddetto giallo all’italiana non mancano inserti in romanesco a restituire una coloritura locale (Vignuzzi parla appunto di «effetto Roma»): molto materiale proviene infatti dai romanzi di Alessandro Varaldo, Mario Quattrucci, Massimo Mongai etc. fino alle trasposizioni televisive del vicequestore Rocco Schiavone ideato da Antonio Manzini. Infine, i testi di cucina, il cui interesse è da collegare sia al Vocabolario storico della cucina italiana postunitaria ( VoSCIP ) dell’Accademia della Crusca, sia ai riferimenti alla gastronomia romanesca in Artusi 15 e in altre fonti della cucina romana. Mario Wild ( Sull’integrazione (morfologica e morfosintattica) di alcuni grecismi indiretti nella diacronia del romanesco , p. 299-325) esamina l’inclusione in romanesco di sedici grecismi giunti al toscano da mediazione latina. Si tratta di voci utili per misurare il passaggio dalla microclasse flessiva della prima declinazione (a / ae ) al paradigma flessivo italiano a / i . Per quanto riguarda i grecismi in a (eccezion fatta per quelli assegnati semanticamente al maschile come idiota o profeta ), essi assumono il femminile fino alle soglie del Cinquecento, per poi essere (ri)assegnati al maschile: il metaplasmo di genere è dunque condizionato dal para- 14 Cf. nella bibliografia del cap. 15 i contributi di c assuTo (1971), d’a chille / G iovanardi (1984: 74), s ermoneTa (1989), c ardini (1995: 34-35), z onTa (2004; 2018: 696). 15 a rTusi , P. 1911 [ 1 1891]: La scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie compilato da Pellegrino Artusi. 790 ricette e in appendice “La cucina per gli stomachi deboli” , Firenze, Bemporad & figli. 342 DOI 10.24053/ VOX-2023-014 Vox Romanica 82 (2023): 342-345 Besprechungen - Comptes rendus digma a / i per la pressione del modello toscano. Cronologicamente, il romanesco assume grecismi lungo tutto l’arco della sua storia, ma è solo a partire dal Quattrocento che cambiano le modalità della loro integrazione morfosintattica. L’analisi di Wild consente quindi di individuare un altro tratto sconosciuto al romanesco di prima fase che in fase rinascimentale mostra l’influenza del modello fiorentino sul dialetto. Concludono il volume un Indice dei nomi di persona (p. 327-36), un Indice dei nomi di luogo (p. 337-42) e un Indice delle forme ricorrenti (p. 343-67). Daniele Iozzia (Università di Siena/ Université de Lausanne) https: / / orcid.org/ 0009-0000-0362-057X ★ e lisa d e r oberTo / r aymund W ilhelm (ed.), Nuove prospettive sul lombardo antico , Heidelberg (Winter) 2022, 200 p. ( Studia romanica 231). Il lombardo antico gode da qualche anno di rinnovate attenzioni grazie ai progetti avviati in collaborazione tra le Università di Klagenfurt e di Roma Tre da Raymund Wilhelm e da Elisa De Roberto, per le cui cure (con la collaborazione di Lisa Struckl) è stato pubblicato il volume Nuove prospettive sul lombardo antico , che raccoglie gli atti dell’omonimo convegno svoltosi a Roma il 14 e 15 novembre 2019. Tra i frutti più recenti delle ricerche condotte in questo ambito si ricorderà almeno la pubblicazione dei due volumi su La scrittura privata a Milano alla fine del Quattrocento 1 , in occasione della quale è stato inoltre organizzato il seminario Lombardo antico. Presentazione di edizioni recenti e di progetti in corso 2 . Delle relazioni presentate al convegno romano ne sono qui pubblicate otto, precedute da una Prefazione di Elisa De Roberto (p. 1-2), che ne delinea i contenuti riconducendole ai due nuclei di interesse del volume (la tradizione testuale del lombardo antico e alcune sue specifiche strutture morfosintattiche), e da un’ Introduzione di Raymund Wilhelm (p. 3-19). Il saggio introduttivo, che reca come sottotitolo Per una storia del lombardo scritto dal XIII al XVI secolo , si apre con una riflessione sulla necessaria integrazione nella storia della lingua italiana delle tradizioni regionali, e in particolare della storia del lombardo antico: l’auspicio, pienamente condivisibile, è di provare in futuro a «impostare una storia diversa, più policentrica, capace di rappresentare l’insieme dei volgari italoromanzi (p. 9)». In seguito, l’A. riflette sulla periodizzazione interna dell’antico lombardo, inteso qui, come in tutto il volume, con le stesse delimitazioni geografiche e cronologiche stabilite per il Dizionario dell’antico lombardo ( DAL ): si tratta dunque del lombardo occidentale dalle origini alla metà del Cinquecento circa 3 . Wilhelm propone di 1 W ilhelm , r./ d e r oberTo , e. 2020: La scrittura privata a Milano alla fine del Quattrocento. Testi del manoscritto miscellaneo di Giovanni de’ Dazi (Triv. 92) , 2 vol., Heidelberg, Winter. 2 Klagenfurt, 16 aprile 2021. 3 Tali criteri sono esposti in d e r oberTo , e./ d örr , s./ W ilhelm , r. 2018: «Per un Dizionario dell’antico lombardo ( DAL ): lessicografia, filologia e sociolinguistica storica», in: d’o nGhia , l./ T omasin , l. (ed.), Etimologia e storia delle parole , Atti del XII Convegno ASLI (Firenze, Accademia della Crusca, 3-5 novembre 2016), Firenze, Cesati: 265-76.
