Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
10.24053/VOX-2024-004
0217
2025
831
Kristol De StefaniTornare al testo per diradare il «fumo»: alcune note sul prologo del Chevalier de la charrette
0217
2025
Luca Barbierihttps://orcid.org/0000-0002-6761-6622
Cette contribution analyse le prologue du Chevalier de la charrette de Chrétien de Troyes à partir d’un nouvel examen philologique de la tradition manuscrite. Les nombreuses hypothèses interprétatives antérieures sont reprises et évaluées sur la base de leur conformité au texte résultant de l’analyse philologique et de la reconstruction du haut degré d’élaboration rhétorique.
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DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 Tornare al testo per diradare il «fumo»: alcune note sul prologo del Chevalier de la charrette Luca Barbieri (Université de Fribourg/ CNR - Opera del Vocabolario Italiano) https: / / orcid.org/ 0000-0002-6761-6622 Résumé: Cette contribution analyse le prologue du Chevalier de la charrette de Chrétien de Troyes à partir d’un nouvel examen philologique de la tradition manuscrite. Les nombreuses hypothèses interprétatives antérieures sont reprises et évaluées sur la base de leur conformité au texte résultant de l’analyse philologique et de la reconstruction du haut degré d’élaboration rhétorique. Parole chiave: Letteratura francese medievale, Filologia romanza, Chrétien de Troyes, Chevalier de la charrette, Prologo Sul prologo del Chevalier de la charrette di Chrétien de Troyes sono stati versati i proverbiali fiumi d’inchiostro, e forse nessun prologo di un testo medievale è stato discusso e commentato quanto questo. Perché allora tornare di nuovo su questo passo, quando difficilmente si potrà pretendere di apportare novità significative rispetto a ciò che è già stato scritto quasi su ogni singola parola? Chiunque si accosti alla vasta letteratura critica dedicata a questo prologo non potrà fare a meno di constatare come nel tempo lo stesso passo si sia potuto leggere in maniere a volte diametralmente opposte e quanto l’accanimento ermeneutico abbia progressivamente fatto astrazione dalla verifica del testo nei suoi testimoni manoscritti. I romanzi di Chrétien de Troyes sono talmente noti e familiari agli studiosi di letteratura medievale che l’indagine filologica sul loro testo viene spesso trascurata o relegata in secondo piano. Non solo nessuno ha più tentato di produrre un’edizione ricostruttiva basata sul confronto dei testimoni, dopo quella pionieristica di Wendelin Foerster 1 , ma neppure il criterio del bon manuscrit è stato applicato con rigore filologico. 1 Foerster (1899). Non si tratta della prima edizione moderna in assoluto, ma certamente della prima, e in un certo senso dell’unica, che tenta di applicare in modo rigoroso il criterio filologico del confronto fra i diversi testimoni ai fini della ricostruzione del testo. Non ha contribuito alla fortuna dell’edizione di Foerster neppure la scelta di affidarsi a un manoscritto di base diverso dal manoscritto di Guiot, e cioè all’unico altro manoscritto completo dell’opera siglato T (Paris, B.N.f.fr. 12560). Traggo dalle edizioni di Foerster tutte le citazioni dei romanzi di Chrétien de Troyes, soprattutto perché esse offrono la possibilità di verificare le varianti di tutti i testimoni. 102 Luca Barbieri DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 Certo, il ricorso alla copia di Guiot 2 come manoscritto di base è ormai considerato imprescindibile, ma la decina abbondante di edizioni che si sono susseguite sono intervenute sul suo testo attingendo ai bagagli culturali più disparati e spesso affidandosi al gusto e alla sensibilità degli editori più che alla probabilità che una determinata lezione corrispondesse o meno al testo originale. Non mancano peraltro le possibili giustificazioni di un tale approccio: dal numero ridotto dei testimoni, in particolare quelli completi, all’impossibilità di pervenire a uno stemma codicum affidabile, alla sicura presenza di una massiccia contaminazione 3 , alla complessità di un testo imperfetto che in più occasioni sorprende e lascia interdetti. In questo contributo vorrei quindi provare a ripartire dalla lezione dei manoscritti per sviluppare qualche considerazione su alcuni dei punti più discussi del testo senza pretendere di render conto di tutti gli interventi precedenti, ma riprendendo le principali interpretazioni per ricondurle negli argini forniti dalla tradizione 4 . Non si tratta quindi di incrementare il numero delle già molteplici interpretazioni, ma semmai di provare a sfoltirlo indicando quali sono quelle che maggiormente corrispondono alle indicazioni fornite dal testo e cercando nei limiti del possibile di aggiungere qualche minimo contributo personale. Per procedere in questo senso ho anzitutto approntato una nuova edizione del prologo, fondandomi sugli studi della tradizione manoscritta effettuati da altri studiosi nell’impossibilità di procedere a una nuova collazione completa dei testimoni. Gli unici che hanno abbordato seriamente il problema dei rapporti tra i manoscritti, Wendelin Foerster e Alexandre Micha, sono giunti com’è noto a conclusioni diverse. Foerster ha disegnato uno stemma a due rami, facendo dipendere dallo stesso subarchetipo i due manoscritti completi (CT) e riunendo gli altri testimoni nel secondo ramo (CT vs. V, F, AE) 5 ; Micha ha invece proposto uno stemma tripartito con C e T separati (il secondo unito a F nel secondo ramo) e gli altri testimoni riuniti a costi- 2 Paris, B.N.f.fr. 794 (ms. C). Il manoscritto è stato esemplato a Provins in Champagne nel primo terzo del XIII secolo, probabilmente verso il 1230. 3 Sulla questione della contaminazione va ricordato che benché l’applicazione rigorosa del metodo lachmanniano preveda l’impossibilità di ricostruire un testo sulla base dello stemma codicum in caso di tradizione aperta, nella pratica si è sempre tentato di servirsi di soluzioni di compromesso. Partendo dalla premessa che sostanzialmente non esistono tradizioni prive di contaminazione, si è cercato di circoscrivere nel modo più chiaro possibile gli effetti di tale fenomeno, in modo da potersi comunque servire delle indicazioni fornite dallo stemma codicum , qualora risulti possibile disegnarne uno affidabile. Nel caso del Chevalier de la charrette , per esempio, l’esistenza di un gruppo AEGV indipendente tanto da C quanto da T sembrerebbe assodata. 4 Ripartire dal testo non significa solo riconsiderare la bontà delle lezioni offerte dai manoscritti, ma anche tener conto della sua elaborazione strutturale e retorica, che si rivela estremamente utile ai fini della comprensione del significato. Si veda in questo senso l’analisi di Bähler (2005). Per un esame sintetico della tradizione e della storia editoriale del testo si veda per esempio Beltrami (2004: 19-31). 5 Foerster (1899: I-XI). Lo studioso austriaco ammette tuttavia l’esistenza di lezioni comuni ai mss. TF e dichiara la sua incertezza riguardo alla possibilità di riunire C e T nello stesso ramo. 103 DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 Tornare al testo per diradare il «fumo» tuire il terzo ramo (C vs. TF vs. VEA) 6 . L’edizione di Charles Méla conferma sostanzialmente lo stemma proposto da Micha, pur non fornendone alcuna giustificazione aggiuntiva, integrando nel terzo ramo anche il ms. G ignoto agli altri due studiosi (C vs. TF vs. A, VGE) 7 . Le osservazioni recenti di Stefano Asperti, Caterina Menichetti e Maria Teresa Rachetta (2012), pur fondate su un numero molto ridotto di loci critici e inserite in un contributo che non ha alcuna pretesa di ridisegnare un nuovo stemma codicum , sembrano confermare invece la plausibilità dell’ipotesi di Foerster. Dopo Foerster, unico editore insieme a Tarbé a fondare il suo testo sulla lezione del ms. T, tutte le edizioni successive condividono due principi: l’elezione di C a miglior manoscritto e quindi a testimone di base dell’edizione; la rinuncia a servirsi della lezione degli altri testimoni, anche quando essi sono tutti uniti contro C, se non in caso di un errore di Guiot ritenuto evidente. Nonostante queste premesse comuni, i risultati sono assai divergenti, a testimonianza del fatto che almeno per quanto riguarda la tradizione del Chevalier de la charrette il reperimento di veri e propri errori nel testo risulta particolarmente difficile o in ogni caso troppo subordinato alla sensibilità e al gusto degli editori invece che affidato a rigorose analisi filologiche e linguistiche. Mi sembra importante rilevare che, volendo stabilire una nuova edizione del prologo fondata sul confronto di tutti i testimoni e tenendo conto dei loro raggruppamenti, le divergenze fra le proposte di Foerster e di Micha-Méla non hanno sostanzialmente alcuna incidenza. Poiché solo quattro dei sette testimoni conservano il prologo 8 , non c’è alcuna possibilità di far prevalere la testimonianza di C su quella compatta degli altri tre testimoni. Nel caso di uno stemma a due rami, l’accordo di T con EG non farebbe che confermare la bontà della lezione del secondo ramo, mentre nel caso di uno stemma tripartito si avrebbe sempre l’accordo di due rami (T e EG) contro uno 9 . Si tratta di una conferma del fatto che la fiducia quasi incondizionata accordata alla lezione di C ha senz’altro impedito di attribuire il giusto credito alle lezioni alternative della tradizione, che in numerosi casi si rivelano nettamente preferibili, con la conseguenza di viziare l’esercizio dell’interpretazione del testo, che 6 Micha (1939: 128-45). Micha ammette tuttavia l’esistenza di numerosi indizi di contaminazione praticamente in tutti i testimoni. 7 Méla (1992: 31-36). È interessante notare che nella riedizione del testo all’interno del volume Chrétien de Troyes (1994), al posto di «d’après tous les manuscrits existants» si legge «d’après le manuscrit BN fr. 794», anche se si tratta del medesimo testo critico. Ho scelto di non prendere in considerazione il ms. I (Paris, Bibliothèque de l’Institut de France, 6138), il cui apporto è limitato a tre brevi frammenti del romanzo (v. 3616-54, 3735-74 e 4741-899 dell’edizione Foerster). 8 Si tratta dei mss. CEGT; il testo del ms. A comincia con il v. 31. 9 In realtà Beltrami (2004: 25), analizzando la lezione dei v. 1237-38, suggerisce la possibilità di uno stemma a due rami, uno dei quali sarebbe rappresentato dal solo C, ma l’analisi del medesimo passo in Asperti/ Menichetti/ Rachetta (2012: 11-13) sembrerebbe invece confermare la dipendenza di C e T da un medesimo subarchetipo. 104 Luca Barbieri DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 troppo spesso ha corso il rischio di applicarsi alla versione di Guiot piuttosto che al testo uscito dalla penna dell’autore 10 . Propongo qui di seguito il testo del prologo risultante dall’applicazione del metodo ricostruttivo, adottando la grafia di C che per ragioni cronologiche e geografiche s’impone quale manoscritto di superficie 11 . Aggiungo anche i versi immediatamente successivi perché le loro varianti fanno sistema con quelle degli ultimi versi del prologo: Des que ma dame de Chanpaigne vialt que romans a feire anpraigne, je l’anprendrai molt volentiers 4 come cil qui est suens antiers de quanqu’il puet el monde feire, sanz rien de losange avant treire. Mes tex s’an poïst antremetre 8 qui i volsist losenge metre; si deïst, et jel tesmoignasse, que ce est la dame qui passe totes celes qui sont vivanz, 12 tant com li funs passe les vanz qui vante en mai ou en avril. Par foi, je ne sui mie cil qui vuelle losangier sa dame. 16 Dirai je: tant com une jame vaut de pailes et de sardines vaut la contesse de reïnes? Naie, je nen dirai ja rien, 20 s’est il voirs maleoit gre mien. Mes tant dirai ge que mialz oevre ses comandemenz an ceste oevre que sans ne painne que g’i mete. 24 Del Chevalier de la charrete comance Crestïens son livre; matiere et sans li done et livre la contesse, et il s’antremet 28 de panser si que rien n’i met fors sa painne et s’antancïon. Des or comance sa reison. 10 Sulla tendenza all’«interventismo» di Guiot, atteggiamento condiviso in parte anche dagli altri copisti dei romanzi di Chrétien de Troyes, si veda Fuksas (2016). 11 Per una nuova elaborazione del concetto di manoscritto di superficie si veda Leonardi/ Morato (2018: 453-509). 105 DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 Tornare al testo per diradare il «fumo» A un jor d’une Acenssïon 32 fu venuz devers Carlïon li rois Artus et tenu ot cort molt riche a Camalot, si riche come au jor estut. CEGT - 1. Des que] Puis que C; ma] la E. 4. est suens] est bien E, siens est G. 7. poïst] peüst EG. 8. i] li C, il E. 9. jel] je ET. 10. qui] qu’il E. 12. tant] si C; li funs] li feuz E, le fu G; les vanz] li venz GT. 13. vante en mai] en mai vente G; ou] et T. 16. dirai je] mais ge di E, dire et T. 17. pailes] pierres E. 18. de] des E. 19. naie je nen dirai ja] naie voir je nen dirai C, et ja nen die nule E, nenil je nen dirai ja T. 20. s’est il voirs] si est il EG; maleoit] malaait T, maleit E. 24. de] a G. 26. sans] san C; li] l’en T; done] baille G. 28. si que rien] que gueres C. 30. om. C. ACEGT - 31. A un jor d’une A.] et dit qu’a une A. C, un jor de l’A. E. 32. om. C. 33. et tenu] cort tenue C, et tenue AG. 34. cort molt riche a Camalot] riche et bele tant com lui plot C; Camalot] Camehelot E, Chamaalot G. 35. au jor] a roi C; estut] estuet E. Il risultato, come si può constatare, è sorprendentemente simile a quello dell’edizione Foerster, e in qualche modo anche a quello dell’edizione Foulet-Uitti (1989), che, tra quelle fondate sul principio del bon manuscrit e quindi sulla lezione di C, è quella che più ragionevolmente evita di cadere nel rischio della venerazione del manoscritto di Guiot 12 . Va detto a scanso di equivoci che, anche se non lo si accosta con l’abituale pregiudizio favorevole, il ms. C si conferma in ogni caso un ottimo testimone. Nei v. 1-29, solo in sei casi il testo proposto si allontana dalla lezione di C, e si tratta quasi sempre di piccole variazioni formali che non incidono sulla sostanza del testo 13 . In tre casi ( Puis que per Des que al v. 1, si per tant al v. 12, que gueres per si que rien al v. 28) la scelta è resa obbligata dal fatto che la lezione di C è singularis e contrastata da un’alternativa attestata in modo unanime dagli altri testimoni. Al v. 12, peraltro, l’espressione tant com di EGT è simmetrica a quella del secondo paragone al v. 16, in un testo dove simmetria e specularità sembrano giocare un ruolo fondamentale 14 . Al v. 8, i è la lezione di GT, mentre C ( li ) ed E ( il ) hanno lezioni individuali. La par- 12 Si veda in questo senso l’edizione Roques (1958). 13 Non considero per ora la variante san per sans al v. 26 che merita un discorso più approfondito e sulla quale si tornerà in seguito. 14 Una costruzione simmetrica e speculare è infatti chiaramente evidente nei due paragoni strutturati come segue: 1) a supera b | tant com c supera d; 2) tant com c supera d | a supera b. Si aggiungano anche le riprese dame (v. 10) dame (v. 15) , contesse (v. 18) contesse (v. 27), passe (v. 10) passe (v. 12) , vaut (v. 17) vaut (v. 18), losange (v. 6) losenge (v. 8) losangier (v. 15); le anafore deïst (v. 9) , dirai je (v. 16) , nen dirai (v. 19) , tant dirai (v. 21); lo sviluppo sans-painne (v. 23) → matiere-sans (v. 26) + painne-antancïon (v. 29); le rime equivoche oevre (v. 21, verbo) oevre (v. 22, sostantivo) e livre (v. 25, sostantivo) livre (v. 26, verbo). L’alto grado di elaborazione retorica è certamente un elemento di cui tener conto nell’interpretazione del prologo. 106 Luca Barbieri DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 ticella avverbiale i è preferibile rispetto ai pronomi personali in quanto non è ancora stato detto che le lodi sono rivolte alla contessa; inoltre, essa si adatta meglio alla costruzione con il verbo metre . Al v. 19, l’avverbio ja è sostanzialmente attestato in modo unanime da EGT contro voir del solo C, benché E abbia una lezione individuale et ja nen die nule rien che indebolisce la ripresa anaforica di dirai attestata dagli altri tre testimoni. Negli altri casi di varianti adiafore si è sempre scelta la lezione di C, anche quando essa si oppone a quella di T (v. 9, 16, 19, 26; nel primo caso la lezione di T è condivisa da E). Un caso a parte è costituito dalla diffrazione di lezione del v. 12 che ha fatto molto discutere e sulla quale si tornerà in seguito. La situazione è completamente diversa se prendiamo in considerazione i v. 30-35. Qui le lezioni di C e del resto della tradizione sono talmente divergenti che è impossibile pensare a una serie di errori meccanici e bisogna necessariamente supporre una rielaborazione profonda e volontaria del testo originale che deve obbedire a ragioni letterarie, formali o stilistiche che hanno guidato la scelta del rimaneggiatore 15 . I v. 30 e 32 mancano interamente in C, e di conseguenza il v. 31 è modificato per connettersi sintatticamente con il v. 29 tramite una congiunzione di coordinazione. Al v. 33 del testo di C, la congiunzione anticipata al verso precedente viene sostituita anticipando a sua volta cort che negli altri testimoni si trova al verso successivo, e tutto il v. 34 viene rimodellato eliminando il controverso toponimo Camalot . Infine, al v. 35, C ha una sola variante a roi alternativa a au jor degli altri testimoni. Il criterio stemmatico che ho evocato mi obbliga ad assumere la lezione di AEGT come ipotesi di lavoro, nonostante il fatto che gli editori si attengano in generale alla lezione di C, con la sola eccezione di Foerster e di Foulet-Uitti; ma anche su questi versi si dovrà tornare più diffusamente in seguito. Una volta fissata l’ipotesi testuale sulla quale si lavorerà, non resta che passare in rassegna le questioni più dibattute del prologo, prima di riprenderle sommariamente in esame: 1) la possibile ironia o presa di distanza di Chrétien rispetto alla volontà di Maria di Champagne, secondo alcuni critici visibile in filigrana nei v. 1-5, e la questione relativa all’eventuale imposizione da parte della contessa di un soggetto che trasferisse la fin’amor trobadorica dalla lirica a un romanzo narrativo; 2) la questione della lode della committente e la possibile parodia polemica nei confronti di Gautier d’Arras e del suo eccesso di piaggeria nella costruzione retorica del panegirico (v. 7-18 in particolare); 3) la ricerca della lezione corretta e del reale significato dei due paragoni: quello della jame e soprattutto quello del funs (v. 10-13 e 16-18); 15 Nel caso specifico, la lezione isolata di C induce a considerare probabile che il rimaneggiamento sia da addebitare al copista Guiot. 107 DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 Tornare al testo per diradare il «fumo» 4) l’interpretazione corretta delle varie parole «tecniche» tipiche dei commenti scolastici ai testi latini: matiere , sans / san , painne , antancïon , reison (v. 21-30) e la questione delle diverse responsabilità di Chrétien de Troyes e di Maria di Champagne nella concezione del romanzo, sintetizzate in particolare nei v. 26-29 sui quali si è molto discusso; 5) la scelta della lezione e dell’interpretazione corretta dei v. 30-35 e in particolare la questione della presenza o assenza dei v. 30 e 32 e del toponimo Camalot (v. 34). I primi sei versi sostanzialmente non pongono problemi testuali e a prima vista nemmeno interpretativi, poiché si limitano a sottolineare che l’opera nasce su impulso della committente, in questo caso Maria di Champagne, e a dire che l’autore accetta la richiesta volentieri e con grande devozione, evitando semplicemente di dilungarsi nell’elogio retorico della contessa. Si tratta di una dichiarazione programmatica di brevitas conforme ai precetti delle arti poetiche, abilmente contraddetta tuttavia dalla lunga preterizione successiva. La possibilità di una lettura ironica evocata da numerosi critici non sembra apparentemente contemplabile, vista la linearità e la semplicità dell’assunto, ma va anche detto che la vera ironia non è mai del tutto trasparente, soprattutto se chi se ne serve è abile a mascherarla, e in ogni caso non deve mai essere esibita per non cadere nel grottesco. Solitamente è il contesto che dovrebbe permettere questo tipo di lettura attraverso un ammiccamento o un riferimento apparentemente marginale. In questo senso si potrebbero evocare i successivi v. 26-29, che sembrano presentare l’autore come un mero esecutore materiale di un’idea altrui, collocandosi nel solco dell’identificazione della creazione poetica con il lavoro artigianale, ma come vedremo il contenuto di questi versi sembra tutt’altro che ironico. Non è chiaro quanto autenticamente entusiastica sia l’adesione dell’autore al progetto propostogli da Maria di Champagne, ma il testo è troppo lineare per leggervi l’espressione di un conflitto o anche solo di una riserva. Aggiungo subito che non intendo soffermarmi sulle diverse interpretazioni del presunto contrasto tra l’autore e la committente, da un lato perché riguarda l’interpretazione generale del romanzo e solo marginalmente quella del prologo, e in secondo luogo perché si tratta proprio di uno degli aspetti che ha generato molteplici estrapolazioni e speculazioni interpretative spesso non basate sul dettato del testo. Mi limiterò a ricordare ciò che è stato notato sostanzialmente da tutti gli studiosi 16 , e cioè che il v. 4 del prologo è ripreso in modo identico al v. 5676, perché si tratta di un dato oggettivo e incontrovertibile, sebbene non sia stato da tutti tenuto nella giusta considerazione. Mi pare evidente che per un autore della finezza di Chrétien 16 Si veda in particolare Cohen (1948: 264-65, 300), Maranini (1951), soprattutto a p. 207, Rychner (1967: 3, 1969/ 2: 1126-27), Noreiko (1973), Fassò (2003), soprattutto a p. 47 N21, Bruckner (2005), soprattutto a p. 141. 108 Luca Barbieri DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 de Troyes il ricorso a questo artificio non può essere casuale né privo di significato, tanto più che il secondo verso in questione si trova al centro del torneo di Noauz, che è l’ultimo episodio raccontato da Chrétien prima di passare la penna a Godefroi de Leigni 17 . Il verso descrive la risposta di Lancillotto alla richiesta recapitatagli dalla regina di combattere au noauz , cioè nel modo peggiore possibile 18 . Il cavaliere Lancillotto accetta quindi per obbedienza alla regina (secondo i precetti dell’amore cortese) di fare male il suo mestiere, di sabotare scientemente l’attività che è propria della sua classe e nella quale eccelle al di sopra di chiunque altro, fino a umiliarsi pubblicamente. Secondo Per Nykrog (1996: 114), l’idea della rivolta dell’autore alle richieste della committente è un’invenzione moderna basata sull’unico elemento dell’identità dei versi menzionati. Personalmente - ed è l’unico accenno che mi permetto di fare alla questione dell’interpretazione generale del testo - non sono un acceso sostenitore della teoria del contrasto ideologico tra Maria di Champagne e Chrétien de Troyes sul tema della concezione amorosa trobadorica e della sua possibile applicazione in un contesto narrativo arturiano 19 , né penso che l’abbandono del romanzo da parte di Chrétien sia un gesto di ripicca nei confronti della committente, ma non mi pare possibile ignorare un elemento così indiscutibilmente oggettivo. Ritengo infatti che l’identità dei versi obblighi in qualche modo a considerare su piani paralleli la vicenda del personaggio del romanzo e quella metaletteraria dell’autore alle prese con un soggetto problematico, anche se la possibilità di una lettura ironica dell’«accusa» di Chrétien non è da escludere. Si potrebbe dire che come il personaggio di Lancillotto non riesce a dare una continuità e uno sviluppo al suo amore per Ginevra dopo la notte dell’adulterio, trovandosi al contrario sempre più lontano dalla regina, così l’autore fatica a narrativizzare il modello lirico trobadorico sviluppandolo all’interno di una vicenda di matrice più tristaniana 20 , finendo per tagliarne il filo riannodandolo a quello di un nuovo tipo di amore più conforme 17 È stato anche detto che l’episodio di Noauz segna la fine dell’amore tra Lancillotto e la regina, che non verrà più nominata e sarà anche ostentatamente ignorata dal cavaliere fino alla fine del romanzo. Mi limito a segnalare il contributo più recente di Di Lella (2017), in particolare le p. 130-31, ma si veda anche Nykrog (1996: 117). 18 Al torneo di Noauz Lancillotto combatte in incognito, ma è evidentemente riconosciuto da Ginevra, che per avere conferma dell’identità del cavaliere gli invia tramite un’ancella la richiesta di combattere male (si vedano i v. 5672-76: «‹Sire, ma dame la reine/ Par moi vos mande et jel vos di/ Que ‘au noauz’.› Quant cil l’öi,/ Si li respont: ‹Mout volantiers! ›/ Come cil qui est suens antiers»). Si noti che la corrispondenza col prologo si estende anche al precedente v. 5675, nel quale Lancillotto accetta la richiesta della regina mout volantiers , che è la stessa espressione usata al v. 3. Chrétien de Troyes offre un altro caso di versi identici, questa volta in due testi diversi: il v. 43 della canzone RS 1664 («biens adoucist par delaier») è ripreso in modo uguale al v. 2515 dell’ Yvain . Si veda per esempio la recente analisi di Zaganelli (2020). 19 Per un esame critico dei primi interventi in questo senso rimando a Rychner (1969/ 2), soprattutto le p. 1126-27. Si veda anche Frappier (1972: 369-70). 20 Il modello trobadorico si limiterebbe in questo caso a dare ragione della dipendenza totale e della venerazione del cavaliere nei confronti della dama, e in modo specifico della domna della corte, cioè la moglie del re, ma non può estendersi fino alla consumazione dell’adulterio e oltre, episodi che invece s’inquadrano maggiormente in un contesto tristaniano. 109 DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 Tornare al testo per diradare il «fumo» ai modelli già proposti nei romanzi precedenti e accettando così il suo personale fallimento 21 . Piuttosto che a una disputa ideologica sulla concezione della fin’amor , l’atteggiamento di Chrétien sembra dare voce a una preoccupazione letteraria. L’influenza trobadorica nella dinamica di venerazione e dipendenza del cavaliere dalla dama, forse trattata ancora una volta con un accento ironico, è infatti ben visibile anche negli altri romanzi di Chrétien, ma la relazione adulterina con la domna è un unicum nella produzione del romanziere e contrasta nettamente con l’esaltazione di un amore prevalentemente matrimoniale 22 presente in tutte le altre opere ad eccezione del Conte du Graal , che tuttavia dev’essere considerato come un romanzo d’iniziazione cavalleresca ed è oltretutto incompiuto. Non sarebbe dunque la concezione trobadorica in quanto tale a essere messa in discussione, quanto piuttosto il solo aspetto adulterino che, se nella poesia lirica rimane quasi sempre a un puro livello potenziale, nella narrativa assume uno sviluppo che lo conduce a pericolose derive, soprattutto nella sua declinazione tristaniana 23 . Senza dunque dover necessariamente supporre una frattura tra la parte attribuita a Chrétien e quella attribuita a Godefroi de Leigni, frattura peraltro smentita dalla dichiarazione di fedeltà e continuità dello stesso Godefroi (altro raro elemento oggettivo riscontrabile nel testo), si dovrà al contrario dire che la parte finale di Godefroi riporta la vicenda su binari più consoni alla sensibilità di Chrétien. L’impasse davanti alla quale quest’ultimo si è trovato è dovuta forse all’impossibilità, o all’incapacità, di dare alla relazione adultera tra Lancillotto e Ginevra uno sviluppo diverso da quello tristaniano 24 e forse più conforme alla richiesta indirizzatagli da Maria di Champagne. I primi versi del prologo mettono anche in evidenza l’attenzione retorica alle simmetrie e alle specularità che caratterizzerà tutto il testo. Oltre alla ripresa a di- 21 L’idea che il Chevalier de la charrette sia un tentativo fallito «di dare concretezza narrativa ai temi dell’amore trobadorico» è espressa per esempio da Meneghetti (2006); la citazione è a p. 115. 22 Amore matrimoniale che, occorre ricordarlo, non coincide necessariamente con l’interpretazione moralista e borghese di cui è spesso oggetto (è questo l’unico punto sul quale non concordo con l’analisi di Pietro Beltrami). I romanzi di Chrétien de Troyes s’inseriscono infatti in un contesto storico che vede una riflessione importante della Chiesa sull’istituto matrimoniale e una conseguente azione volta anche a sottrarre il sacramento del matrimonio all’uso politico e diplomatico che ne veniva fatto dalla nobiltà e dai potenti di ogni grado per restituirlo alla libertà degli sposi (e soprattutto delle spose) il cui libero consenso diventa elemento discriminante per riconoscerne la validità. Su questo tema ampiamente dibattuto dagli storici mi limito a rimandare a puro titolo esemplificativo a Duby (1981: 189-97) e a Gaudemet (1987: 139-93), soprattutto le p. 177-85. 23 Com’è noto, la polemica antitristaniana è chiaramente presente nelle opere di Chrétien, tanto nelle liriche quanto nei romanzi, e soprattutto nel Cligès . Non va peraltro dimenticato che tra le opere perdute che Chrétien si attribuisce nel prologo dello stesso Cligès ve n’è una dedicata a Isotta e al re Marco, che fin dal titolo - grazie all’assenza di ogni menzione di Tristano - lascia supporre uno sviluppo ben diverso della storia d’amore della coppia. 24 Il debito con la materia tristaniana è particolarmente visibile nell’episodio del sangue sulle lenzuola, mentre la volontà di non identificare le vicende delle due coppie si manifesta in modo evidente, per esempio attraverso le reazioni di Ginevra, che contrariamente a Isotta si dimostra ben attenta a non compromettere la sua posizione all’interno della corte, anche a costo di prendere le distanze da Lancillotto. 110 Luca Barbieri DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 stanza dei due versi che ho menzionato, che di fatto aprono e chiudono la parte composta da Chrétien, va anche rilevata la ripresa ampraigne-amprendrai dei v. 2-3. Ma è nella parte immediatamente successiva che simmetria e anafora contribuiscono in modo particolare a consolidare lo scheletro dell’edificio retorico elevato dall’autore. Il passo, sapientemente congegnato, costituisce allo stesso tempo una condanna della lode eccessiva che alcuni autori dedicano alla committente e un’esemplare preterizione nella quale, attraverso la condanna della lode eccessiva, il valore della contessa è comunque affermato. Alla triplice ripetizione losange (v. 6) losenge (v. 8) losangier (v. 15) corrisponde la triplice anafora che introduce i tre elementi della lode, tutti costruiti in forma comparativa. Ma non si tratta di una semplice anafora, quanto piuttosto di una gradatio che partendo da ciò che direbbe chi volesse lodare la dama in modo eccessivo ( si deïst , v. 9) e passando da ciò che l’autore stesso potrebbe dire se volesse cedere all’eccesso di lode ( dirai je? , v. 16 e nen dirai , v. 19) giunge fino all’unico elemento di lode pienamente assunto da Chrétien ( tant dirai je , v. 21). Se i paragoni condannati sono quelli tradizionali con elementi della natura (i venti nel primo caso, le pietre preziose nel secondo), l’ultimo entra nel merito dell’arte poetica e della concezione del romanzo, attribuendo a Maria di Champagne un ruolo fondamentale per la riuscita dell’impresa letteraria. Alcuni studiosi hanno visto in questa parte del prologo una critica parodica all’ampollosità del prologo dell’ Ille et Galeron di Gautier d’Arras 25 . Se il prologo di Gautier pecca in effetti di eccessiva preziosità adulatoria, e se è ben possibile che Chrétien faccia in questo caso un riferimento allo stile degli autori a lui contemporanei, va detto che gli elementi oggettivi a supporto di tale tesi sono anche in questo caso assai deboli. Il tutto si ridurrebbe alla menzione della jame , evocata in effetti da Gautier d’Arras al v. 80 del suo prologo, e al fatto che il v. 20 del Chevalier de la charrette («s’est il voirs maleoit gre mien») potrebbe configurarsi come una risposta al v. 88 dell’ Ille et Galeron («et si est voirs si com je cuit»), che trasferirebbe a livello oggettivo nei confronti di Maria di Champagne ciò che Gautier diceva in modo soggettivo di Beatrice di Borgogna. Va aggiunto anche che per quanto riguarda i primi due paragoni Chrétien non si limita alla preterizione classica, ma si premura di sottolineare esplicitamente la sua condivisione sostanziale delle lodi attribuibili a Maria di Champagne (Bruckner 2005: 139-40). Se si deve leggere in questi versi una critica ironica nei confronti dell’eccesso di lusinga praticato da alcuni colleghi occorre farlo accettando, sulla scorta di quanto l’autore stesso afferma, che tale critica non riguarda la sostanza delle lodi ma solo la forma (Bähler 2005: 149). Jan Janssens giustifica la sua lettura in chiave ironica dei paragoni del prologo a partire dal fatto che gli elementi valorizzati sono in realtà di valore inferiore rispetto agli altri 26 . In particolare la jame evocata al v. 16 avrebbe nella tradizione biblica 25 Si veda per esempio Fourrier (1960: 206-07), Rychner (1967: 6-8), Frappier (1972: 341-42), Fassò (2003: 34), Bähler (2005: 157). 26 Si veda Janssens (1986). Questo sarebbe vero anche nel caso del funs del v. 12, la cui interpretazione però come vedremo è particolarmente problematica. Mi pare al contrario che la natura più di- 111 DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 Tornare al testo per diradare il «fumo» e nei lapidari cristiani un valore inferiore rispetto alle perle e al sardonio. In realtà, la metafora della gemma è usata altrove da Chrétien de Troyes con una connotazione estremamente positiva 27 . Inoltre, la stessa jame esprime spesso nei paragoni, anche ma non solo in senso figurato, l’elemento più prezioso di una lista o di un insieme. In questo senso non mi pare che vi siano elementi sufficienti per corroborare l’interpretazione ironica dei paragoni, e il valore della gemma in questione potrebbe risiedere, come sostiene Rychner, nella sua luminosità e trasparenza (l’espressione clere jame è particolarmente frequente) che spesso caratterizza la gemma lavorata rispetto alle altre pietre, soprattutto quelle grezze 28 . Molto più problematico è il primo paragone dei v. 10-13, sul quale la critica si è particolarmente accanita. Il dibattito ruota soprattutto attorno all’interpretazione da dare al sostantivo funs del v. 12, al cui significato principale di ‘fumo’ si affiancano quelli secondari di ‘vapore’ e ‘bruma’ 29 . In linea di principio nessuno di questi significati si adatta al senso del paragone, soprattutto perché la lezione del ms. C interpreta chiaramente funs come il soggetto del verbo passe e quindi come l’elemento di maggior valore nel paragone rispetto a les vanz , indiscutibilmente caso regime plurale; questo vincolo morfologico inoltre obbliga a considerare la relativa del v. 13 ( qui vante , con verbo al singolare) correlata proprio con li funs e non con il più prossimo les vanz . La difficoltà di attribuire un significato positivo a funs ha condotto alcuni editori e critici a modificare il testo proponendo di leggere les funs (caso regime plurale) e li vanz (caso soggetto singolare, correlato quindi con la relativa seguente), che diventerebbe così il soggetto di passe ristabilendo una gerarchia apscreta e meno appariscente dei due elementi valorizzati nei paragoni rientri perfettamente nella logica di una lode non iperbolica e più aderente alla realtà che Chrétien dice di voler perseguire. Nel caso della jame , peraltro, la presunta bassa posizione gerarchica nei confronti delle altre pietre preziose corrisponde alla differenza di rango tra contessa e regina e questo rende più difficile accettare un’interpretazione ironica del passo che non implichi al contempo un’intenzione derisoria nei confronti di Maria di Champagne. 27 Si veda in particolare Erec 2405-10: «Antor ot mainte bele dame,/ Mes ausi con la clere jame/ Reluist dessor le bis chaillo,/ Et la rose sor le pavo,/ Ausi iert Enide plus bele/ que nule dame ne pucele»; al di fuori di Chrétien si veda per esempio Piramus et Tisbé 63-66: «Tant com gemme sormonte voirre,/ Or argent, rose primevoirre,/ Tant sormonterent de biauté/ Cil dui toz ceulz de la cité» e Guillaume d’Angleterre 2392-95: «Ja n’i avra si chiere jame/ Ne nul si precïeus avoir,/ Que li sire ne puisse avoir,/ Se li plest et si abelist». Il fatto che Chrétien ricorra altre volte al paragone della gemma indebolisce ulteriormente il possibile riferimento a Gautier d’Arras. Sull’uso delle pietre preziose nei romanzi di Chrétien de Troyes si veda Gontero (2002). 28 Si veda Rychner (1967: 5-6) e si considerino in questo senso le interpretazioni proposte da Roques (1958) nel glossario (‘diamant’) e da Foulet/ Uitti (1989: 3): «Par jame ‘gemme’ Chrétien entend peut-être qu’une pierre précieuse, taillée ou polie par un orfèvre ou un joaillier, l’emporte sur une perle ou une sardoine restées à l’état brut»; si veda anche Uitti (1984: 283-84). Sebbene non si trovino attestazioni che permettano di identificare chiaramente la jame con il diamante, l’esaltazione della lucentezza tipica di una pietra lavorata va nella direzione di queste interpretazioni. 29 Si veda la voce fum in DEAFpré e AND . Godefroy aggiunge anche il significato più interessante di ‘parfum’; si veda in questo senso anche FEW (3: 854). 112 Luca Barbieri DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 parentemente più logica 30 . Ma il confronto dei testimoni manoscritti contribuisce a sgombrare il campo dalla possibilità di questa lettura. Nei mss. CET il primo termine del paragone è inequivocabilmente un caso soggetto singolare e solo il ms. G propone l’alternativa le fu (contestualmente a li vens caso soggetto singolare). Si tratta certamente di una lectio facilior , oltre che singularis , che verosimilmente tenta di risolvere i due problemi interpretativi che abbiamo enunciato: la difficoltà di attribuire un significato positivo a funs e la posizione innaturale del termine al quale si riferisce la frase relativa. Va detto inoltre che le fu non può in alcun modo essere considerato una variante di funs (l’assenza della nasale non è mai prevista nelle varianti grafiche di questo termine), ma sarà da considerare una variante di feu ‘fuoco’ del ms. E, con conseguente alterazione semantica che mal si accorda con il vento (o i venti) del secondo termine di paragone 31 . Non solo quindi la scelta di les funs promuove a testo una variante isolata e banalizzante, ma modifica sostanzialmente la natura della lezione di G col risultato d’introdurre nel testo una forma non attestata da alcun testimone. Va aggiunto che tutta questa elaborata operazione non risolve comunque il problema del valore semantico da attribuire a funs , visto che l’altro paragone non mette a confronto una cosa positiva e una negativa, ma una positiva con una ancora più positiva, e l’attenzione alla simmetria che pervade tutto il prologo non permette d’interpretare diversamente il paragone tra funs e vanz 32 . È proprio grazie a casi di questo tipo che si può constatare quanto l’urgenza interpretativa di un testo ricco d’insidie come questo prologo abbia a volte condotto i critici ad abbandonare qualsiasi criterio filologico, finendo per mettere sullo stesso piano anche varianti evidentemente deteriori e banalizzanti e scegliendo di volta in volta quella più adatta a sostenere la propria interpretazione 33 . La medesima simmetria che abbiamo già più volte evocato suggerisce che debba trattarsi in questo caso di un paragone tra venti, come nel passo immediatamente successivo si tratta di un paragone tra pietre preziose. In questo senso può forse 30 Si tratta della scelta di Foulet/ Uitti (1989) e di Méla (1992). Si veda per esempio la traduzione del passo nell’edizione Foulet/ Uitti: «tout comme sur les effluves du sol l’emporte la brise, qui souffle en mai ou en avril», e si tenga conto anche delle giustificazioni fornite da Uitti (1984), soprattutto alle p. 288-90, e Bähler (2005: 150-51). Aggiungo di passaggio che l’argomento della rima ricca instaurata dalla lezione li vanz proposto da Uitti (1984: 280) e ripreso da Barbiellini Amidei (2011: 310) non è ricevibile in quanto la rima vanz-vivanz è già ricca e paronima. 31 Si noti anche che il tentativo maldestro di risolvere un problema evidentemente rilevato da tutti i copisti arriva nel caso del ms. T a produrre un testo con due soggetti ( li funs e li venz ) e nessun complemento. Tale costruzione è peraltro difesa da Seaman (2003: 27-28) e accettata da Barbiellini Amidei (2011: 309). Ma gli esempi addotti da Seaman riguardano autentiche comparative costruite con il verbo estre , che in effetti permette il doppio caso soggetto, mentre nel nostro caso la costruzione con il verbo passer non lo permette. 32 L’edizione Méla (1992) tenta di risolvere questo problema proponendo una traduzione diversa che presuppone tuttavia la medesima lezione difficilmente accettabile: «comme surpasse tout parfum la brise qui vente en mai ou en avril». 33 Un ottimo esempio di questa sfiducia nel metodo filologico giustificata dalla presenza della contaminazione si trova in Rychner (1972: 264-65). 113 DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 Tornare al testo per diradare il «fumo» soccorrere l’analisi del binomio ricorrente funs et aleine , che generalmente indica il fiato, il respiro (‘souffle’) 34 . L’uso metaforico con il significato di ‘soffio di vento’ è ben attestato per il sostantivo aleine 35 , ed è verosimile che il suo sinonimo funs possa essere stato usato con lo stesso significato, anche se non se ne trovano attestazioni sicure. Inoltre, appoggiandosi sul significato secondario ‘profumo’ di funs , ben attestato anche per il sinonimo aleine e per il verbo alener , si può probabilmente suggerire per l’espressione li funs […] qui vante en mai ou en avril il significato di ‘brezza profumata di primavera’, già suggerito dal glossario di Roques e accolto da Catherine Croizy-Naquet nella sua traduzione 36 . Meno convincente mi pare la proposta di legare funs al germanico foehn ‘favonio’ 37 , che oltre a porre evidenti problemi fonetici e geolinguistici designa, come ben argomentato da Uitti, un vento tutt’altro che gradevole 38 . Si arriva così al terzo e ultimo paragone, che apre la parte più importante del prologo, quella più «tecnica» dove l’autore ci spiega come è stato concepito e realizzato il suo romanzo. I primi versi non presentano particolari problemi testuali, ma ci dicono qual è l’unico vero aspetto per il quale Chrétien si sente di lodare la sua 34 Si veda a titolo d’esempio Roman de Troie 23013-14: «S’espasmi, si que a grant peine/ Eissi de li puis funs n’aleine». È interessante notare che la tradizione manoscritta del romanzo di Benoît de Sainte-Maure presenta per il sostantivo funs lo stesso spettro di varianti che abbiamo messo in evidenza nel verso di Chrétien de Troyes ( funs ] fus B, feu M1). Osservazioni analoghe si trovano già in Rychner (1967: 5). 35 Si veda FEW (24: 579) e Guiot de Dijon RS 21, 39: «Quant l’alaine douce vente», ma non vanno trascurati gli esempi trobadorici che Chrétien poteva ben conoscere, in particolare Marcabru BdT 293.2, 1: «A l’alena del vent doussa»; si veda anche Arnaut de Maroill BdT 30.10, 1: «Belh m’es quan lo vens m’alena». 36 Si veda Croizy-Naquet (2006: 71): «comme surpasse tous les autres vents la brise soufflant en mai ou en avril». Anche Foulet/ Uitti (1989) e Méla (1992) si servono della traduzione ‘brise’, applicandola però al sostantivo vanz . Anche in questo caso l’elemento valorizzato nel paragone è discreto e poco appariscente. Si è già accennato al fatto che Janssens (1986) vede in questo rovesciamento la spia che giustificherebbe una lettura ironica del passo. A mio parere la scelta di Chrétien conferma invece la sua intenzione di privilegiare elementi che esprimono un valore più discreto ma più incidente sulla realtà (la lucentezza della jame e il tepore primaverile del funs ), preparando così il terreno all’esaltazione del ruolo attivo di Maria di Champagne nella concezione del romanzo. Si ricordi peraltro che nella Bibbia in 1Re 19, 11-13 Dio si manifesta a Elia nel «mormorio di un vento leggero» e non negli altri fenomeni naturali più impetuosi. 37 Questa interpretazione, già proposta da Foerster (1899: 361-62), è ripresa da Poirion (1994) malgrado le serie obiezioni di Uitti (1984: 274-75). 38 Le obiezioni di Uitti (1984) s’innestano su alcune perplessità già espresse dallo stesso Foerster: non esiste in francese nessun’altra attestazione di funs col senso di ‘vento dell’ovest’ e il latino favōnius avrebbe dovuto dare in francese medievale fëuns e non funs . Frappier (1962), partendo probabilmente dalla stessa ipotesi di Foerster, traduce ‘zéphyr’, e la possibilità d’identificare il favonio con lo zefiro è suggerita da Beltrami (2004: 37 N3) sulla base di un passo del De natura rerum di Isidoro da Siviglia ripreso da Onorio d’Autun nell’ Imago mundi ( De natura rerum , XXXVII, 4: «Quartus cardinalis [ventus] Zephirus, qui et Favonius»), al quale si può aggiungere almeno un’attestazione italiana nella chiosa di Andrea Lancia a Par. 12, 49 («[ Zephiro ], Zephiro è il vento che vivi fa i fiori e li germugli della terra ed è detto Favonio»), che deriva probabilmente dalle medesime fonti. Permangono tuttavia le serie obiezioni di natura linguistica. 114 Luca Barbieri DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 committente, assumendo pienamente il contenuto della lode. E si tratta di un aspetto inedito, perché l’autore non intende esaltare la dama in modo generico per la sua nobiltà, magnanimità o saggezza, ma per il suo contributo specifico alla concezione e alla realizzazione dell’opera. Il suo rifiuto della retorica della lode s’indirizza nei confronti della convenzionalità dei paragoni figurati e metaforici per far risaltare al contrario le qualità della committente più direttamente pertinenti alla dinamica letteraria della concezione e della realizzazione del romanzo 39 . Chrétien dice infatti che la specifica richiesta di Maria (il comandemenz ) ha più valore per la riuscita dell’opera di tutto ciò che l’autore potrebbe metterci a livello di riflessione intellettuale ( sans ) e di tecnica compositiva ( painne ). Vedremo più avanti che painne sembra in effetti designare il lavoro di versificazione concepito come un’attività di tipo artigianale, conformemente ai precetti delle arti poetiche che si servono spesso della metafora dell’artigiano (e specialmente della figura del fabbro) per indicare l’elaborazione della tecnica poetica 40 , mentre sans sembra indicare un’attività principalmente intellettuale e andrà quindi connesso non solo e non tanto al «significato» del romanzo quanto all’investimento intellettuale volto a determinare l’argomento e lo sviluppo della storia. Sull’importanza del comandemenz del committente o della «musa ispiratrice» s’insiste in molti prologhi di testi narrativi e in molti versi incipitari di testi lirici 41 , ma mi limiterò a evocarne uno solo perché contiene altre parole chiave che caratterizzano il prologo del Chevalier de la charrette ; si tratta dell’ Escanor di Girart d’Amiens, v. 4-9 (il corsivo per evidenziare è mio): Pour coi Gerardinz apenssez s’est un bel conte en rime metre au miex qu’il onques entremetre s’en saura ne plus plaisanment, car il en a conmandement de dame noble, bele et sage. Ma varrà la pena di menzionare anche un passo del prologo del Conte du Graal , v. 61-68: Donc avra bien sauve sa painne Crestiiens, qui antant et painne A rimoiier le meillor conte Par le comandemant le conte Qui soit contez an cort real: Ce est li contes del Graal, Don li cuens li bailla le livre , S’orroiz comant il s’an delivre. 39 Si veda Bähler (2005: 152-53). 40 Su questo punto mi permetto di rimandare al mio contributo Barbieri (2019). 41 Un primo breve elenco si trova già in Rychner (1967: 1-3). 115 DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 Tornare al testo per diradare il «fumo» Apparentemente ci si trova in una situazione analoga a quella illustrata nel Chevalier de la charrette che mette in rilievo il comandemant del committente (in questo caso Filippo di Fiandra) e l’esecuzione pratica che ne dà l’autore. Si può senz’altro ammettere con Beltrami che non vi sia nulla di strano nel fatto che il committente detti il tema dell’opera richiesta, come in effetti avviene in diversi casi ed è ben attestato da numerosi prologhi medievali 42 . Tuttavia, una particolarità del prologo della Charrette va sottolineata. Solitamente la fonte è chiaramente e materialmente indicata 43 , ed è così anche negli altri romanzi di Chrétien. Nell’ Erec , per esempio, la fonte è detta conte d’avanture (v. 13), mentre il romanzo è detto estoire (v. 23); nel Cligès il romanzo è detto conte (v. 8) e la fonte è un’ estoire (v. 18), di cui l’autore ha trovato una versione scritta in un des livres dell’ aumaire della cattedrale di Saint- Pierre a Beauvais (v. 20, 28, 44); nel Conte du Graal il romanzo è detto romans (v. 8) mentre la fonte è ancora una volta un livre (v. 67), che per l’appunto è fornito all’autore dal committente, in questo caso Filippo di Fiandra. Ma nella Charrette non si parla esplicitamente di una fonte, se non attraverso il sostantivo matiere , e il romanzo stesso di Chrétien è definito livre come le fonti delle opere precedenti 44 . Questo scarto sembra indicare che la matiere del Chevalier de la charrette non sia della stessa natura delle fonti delle altre opere, ma sia una sorta di «materia illibata», per prendere in prestito l’espressione di Matteo di Vendôme citata da Douglas Kelly (1966: 34), un materiale non precedentemente trattato in letteratura o forse una nuova declinazione di un materiale noto; in ogni caso qualcosa di diverso rispetto alle fonti dei romanzi antichi e delle altre opere di Chrétien de Troyes. Se così fosse, il ruolo di Maria di Champagne nella concezione del romanzo ne risulterebbe esaltato, e questo giustificherebbe la sottolineatura degli apporti diversi della committente e dell’autore alla concezione del romanzo operata nel prologo. Dopo la menzione del titolo del romanzo e del nome dell’autore, Chrétien esplicita la «divisione dei compiti» tra lui e la committente alla quale ho accennato in precedenza: nel comandemenz di Maria di Champagne sarebbe compresa anche la fornitura di matiere et san(s) , mentre Chrétien ci metterà sa painne et s’antancïon . Molti critici hanno insistito sulla presunta distinzione tra sans del v. 23 e san del v. 26, facendo leva sulla diversa etimologia che darebbe luogo a significati differenti 45 . Se nel primo caso quasi tutti si accordano ad attribuire a sans l’espressione di una qualità intellettuale che si opporrebbe al lavoro materiale ( painne ), nel secondo caso si è voluto attribuire a san il significato più specifico e «tecnico» di un orientamen- 42 Si veda Beltrami (2004: 11) e valga come esempio il già citato v. 64 del Conte du Graal . 43 Si pensi all’«estoire que Daire ot escrite» del Roman de Troie , o anche ai misteriosi lais che avrebbero ispirato Marie de France. 44 Alcune osservazioni su questa particolarità si trovano già in Ollier (1974: 27-29). 45 Per la discussione circa l’etimologia di san , a partire dall’ipotesi di un’origine germanica formulata da Friederich Diez, si veda in particolare Gier (1977) e Bähler (2005: 157-58). Anche Frappier (1972: 348-49) insiste sulla diversa etimologia di sans e san ai fini di attribuire a san il valore di ‘signification’, ‘idée maîtresse’. 116 Luca Barbieri DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 to dato alla materia 46 . Ma ancora una volta l’esame dei testimoni manoscritti permette di escludere questa ipotesi. La distinzione fra sans e san si trova infatti esclusivamente nel ms. C, mentre gli altri testimoni adottano unanimemente l’identica grafia sens nei due casi 47 . È sempre l’uso sapiente della simmetria che permette d’interpretare correttamente il passo evitando interpretazioni troppo elaborate e fantasiose. Se dapprima l’autore riconosce che il comandemenz della committente dà alla realizzazione dell’opera un contributo maggiore di quello che l’autore avrebbe potuto fornire mettendoci tutto il suo talento intellettuale ( sans ) e la sua abilità compositiva ( painne ) 48 , in seguito chiarisce che nella realtà dei fatti 49 il sans (raddoppiato da matiere ) è appannaggio di Maria mentre all’autore non resta che lo sforzo dell’elaborazione formale del testo ( painne , raddoppiato da antancïon ) 50 . Seguendo questa logica appare chiaro che, come le due occorrenze di painne hanno necessariamente lo stesso significato di lavoro materiale e fatica, così anche i due sans , pur ammettendo sfumature semantiche diverse, devono appartenere alla medesima sfera della dimensione intellettuale e culturale, e che la seconda occorrenza deve in qualche modo intrattenere un rapporto di parziale sinonimia con l’altro elemento della coppia. In fin dei conti non aveva torto Rychner a ritenere che la parola san(s) indicasse semplicemente un’ispirazione intellettuale, ma fino a che punto si spinge tale ispirazione nella concezione del romanzo? È la diversa risposta a questa domanda che ha generato la fioritura di molteplici interpretazioni del testo 51 . Così è stato detto per esempio che se la matiere è costituita dal mito della dama rapita e/ o della liberazione 46 Nell’impossibilità di riportare tutte le diverse interpretazioni di sans e san mi limiterò a rimandare alla sintesi di Bähler (2005: 155, 157-58) e a segnalare le traduzioni di Frappier (‘talent’ e ‘idée maîtresse’), Foulet-Uitti (‘intelligence’ e ‘orientation’), Méla (‘sagesse’ e ‘sens’), Poirion (‘réflexion’ e ‘idée directrice’), Beltrami (‘sapere’ e ‘senso’). 47 La stessa cosa accade al v. 6941, dove a san di C corrisponde sens di FTV. Ai v. 1393 e 2008 invece tutti i testimoni hanno san / sen in rima, ma questo non fa che confermare la consapevolezza della scelta di EGT al v. 26, che pur prevedendo la possibilità di una forma asigmatica non ne fanno ricorso. 48 Si noti in questo senso il congiuntivo mete del v. 23, che confina i sostantivi precedenti all’ambito della pura potenzialità, una potenzialità sconvolta dall’iniziativa inusuale della committente. 49 Stavolta, al v. 28, il verbo metre è al presente dell’indicativo. 50 Il chiasmo matiere et sans | painne et antancïon , dove gli elementi precedentemente citati si trovano rispettivamente in seconda e prima posizione, non fa che confermare la particolare cura formale dedicata al prologo e l’uso sapiente e insistito di simmetrie e specularità. Per l’uso del chiasmo in Chrétien de Troyes si veda Witt (2002), in particolare, per i versi conclusivi del prologo, le p. 190 e 199-201. Si noti peraltro che la rinuncia a prendere seriamente in considerazione le lezioni alternative a C conduce a considerazioni divergenti anche per ciò che riguarda la natura e la distribuzione dei chiasmi nel prologo, con conseguenze sull’interpretazione del testo; si veda per esempio Bähler (2005: 158-59). L’idea della separazione e duplicazione dei termini sans e painne del v. 23, il primo attribuito a Maria ai v. 26-27 e il secondo a Chrétien ai v. 28-29, mi sembra enormemente più efficace rispetto alla separazione tra san e sans e all’interpretazione di antancïon come sostanziale sinonimo di sans ai fini di ricostruire la simmetria del binomio precedente. 51 Per Rychner (1967: 13-15) tale ispirazione non era molto diversa da quella generica indicata dall’espressione frequente doner sens de ‘suscitare il desiderio di’, ‘mettere in grado di’; l’interpretazione di Rychner è sostanzialmente ripresa da Hunt (1972: 326-28). Ma ai fini di questa lettura di «grado 117 DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 Tornare al testo per diradare il «fumo» dei cavalieri prigionieri nell’Altro Mondo, il sans sarà l’orientamento ideologico più specifico e inedito che riguarda il legame adultero tra Lancillotto e la regina 52 . Ma le interpretazioni proposte sono tali e tante che non è possibile addentrarsi nella loro disamina, tanto più che in molti casi esse sembrano assumere inevitabilmente i tratti di speculazioni scarsamente supportate da riscontri oggettivi. Neppure al binomio painne et antancïon è stata risparmiata la ridda d’ipotesi interpretative, soprattutto per quanto riguarda il secondo termine interpretato come parola «tecnica» a significare lo scopo dell’autore o il suo sforzo intellettuale 53 . In realtà in questo caso la coppia sinonimica è frequente e ben attestata, soprattutto con entente al posto di antancïon . Già Faith Lyons ne aveva segnalato alcune occorrenze attribuendo a antancïon il senso di ‘care, attention’, e molte altre se ne potrebbero aggiungere 54 . Qui mi limiterò a riportare l’occorrenza che si trova in un altro romanzo di Chrétien de Troyes, e più precisamente nel prologo del Conte du Graal , che riferendo i verbi antant et painne all’attività del rimoiier conferma che le due forme indicano l’attività poetica pratica di mise en forme del testo; si veda Conte du Graal 61-63: «Donc avra bien sauve sa painne/ Crestiiens, qui antant et painne/ a rimoiier le meillor conte». La medesima coppia terminologica della Charrette si trova invece nella Vie de Sainte Catherine d’Alexandrie 138-41: «En li avoit mise nature/ Tel entencïon et tel paine/ Qu’aprés li poïst feire a paine/ Autre qui ceste resemblast» (Todd 1900: 21), che conferma il significato di cura e applicazione in un’attività di creazione 55 . Alla luce della lezione maggioritaria dei manoscritti, il testo di questa parte del prologo appare piuttosto lineare e chiaro. Il contenuto che si vuole attribuire alle parole matiere et sans può dar luogo a un dibattito interpretativo, ma non il significato delle parole, che è in linea con il loro uso in altre circostanze analoghe e non sembra richiedere particolari acrobazie interpretative. L’autore dice che è solito inzero» risulta problematico che nel prologo del Chevalier de la charrette l’espressione non preveda la preposizione de . 52 Questo tipo d’interpretazione si trova già nel fondamentale articolo di Gaston Paris che introduce per la prima volta l’espressione amour courtois ; si veda Paris (1883). Giungono a conclusioni analoghe anche Cross/ Nitze (1930) e Frappier (1972: 368-69). Per Rychner (1968: 72) invece proprio la liberazione dei prigionieri costituisce il sans del romanzo. Per una sintesi dei principali significati attribuiti a san si veda ancora Frappier (1972: 344). 53 Si vedano per esempio le traduzioni di Foulet/ Uitti (1989) ‘effort intellectuel’ e Beltrami (2004) ‘sapere’ e il commento di Bähler (2005: 159). Per un’interpretazione di antancïon come sforzo creativo che permette alla matiere di generare un sans si veda Kelly (1966: 36-39) e soprattutto Ollier (1974: 32-33). 54 Per esempio, Première continuation de Perceval (Roach) T 4217 e E 5262 e 9841; Mort le roi Artu (Frappier) §115 (p. 126, 29) e 149 (p. 169, 12); Tristan en prose (Curtis) §692, 6. Si veda Lyons (1954). 55 Non sarà inutile aggiungere che al v. 27 il verbo s’entremet indica precisamente il fatto d’intraprendere un’attività e che panser del v. 28 è stato associato da Rychner (1967: 21-22) al lavoro proprio dello scrittore, cioè la mise en forme in senso ampio, l’elaborazione formale del romanzo. Si vedano anche le traduzioni di Roques (1958) ‘mettre en forme’ e di Frappier (1962) ‘veiller à la façon’. 118 Luca Barbieri DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 vestire nella creazione di un nuovo romanzo tutto il suo talento intellettuale e la sua capacità e competenza compositiva, ma in questo caso la parte intellettuale è tutta appannaggio della committente, e a Chrétien non resta che dedicarsi con cura e applicazione alla scrittura e alla versificazione del testo 56 . Avrà quindi ancora una volta ragione Beltrami (2004: 11) a mettere in guardia dal rischio di trasformare le parole in termini tecnici e di conseguenza le ovvietà in dottrina. Tuttavia, non si potrà fare a meno di aggiungere qualcosa che a un’osservazione minimamente attenta del testo non può che risultare evidente. Le parole usate da Chrétien sono parole tecniche, perché corrispondono perfettamente al lessico della presentazione dei testi tipica dei manoscritti scolastici medievali, ben esemplificata da alcuni accessus ad auctores . Basterà qui dare un esempio tratto dal Dialogus super autores di Corrado di Hirsau 57 : Nec te lateat, quod in libris explanandis VII antiqui requirebant: auctorem , titulum operis , carminis qualitatem, scribentis intentionem , ordinem, numerum librorum, explanationem. Sed moderni quatuor requirenda censuerunt, operis materiam , scribentis intentionem , finalem causam et cui parti philosophiae subponatur quod scribitur. [Non ti sfugga che, al momento di commentare i libri, gli antichi indagavano su sette punti: l’autore, il titolo dell’opera, il genere, lo scopo dell’autore, la strutturazione del testo, il numero delle sue partizioni, il commento. I moderni invece decisero che i punti da chiarire fossero quattro: il soggetto, lo scopo dell’autore, la causa finale, e a quale parte della filosofia vada riferito ciò che è stato scritto] La ripresa della terminologia da parte di Chrétien è patente: oltre alla materiam = matiere e all’ intentionem = antancïon , si ha certamente anche la declinazione del nome dell’autore e del titolo dell’opera (v. 24-25), mentre il sans potrà essere identificato con l’ explanationem o più probabilmente con la finalis causam . L’ammiccamento di Chrétien alla tradizione scolastica pare evidente, ma le parole sono usate nel loro senso più comune che non corrisponde all’accezione tecnica degli accessus 58 . 56 L’uso topico della metafora artigianale di cui ho parlato sopra tende infatti a identificare l’attività della versificazione con un lavoro manuale e non intellettuale. Tuttavia, ciò non implica affatto una svalutazione del contributo dell’autore al testo, ma andrà semplicemente connesso con l’ humilitas che caratterizza spesso l’offerta di un’opera letteraria al proprio committente o mecenate fin dalla letteratura latina. Andranno dunque temperate in questo senso le osservazioni di Frappier (1972: 366-67) e Bähler (2005: 160-61) che tendono a ricondurre i contributi di Maria di Champagne e di Chrétien de Troyes alla sola sfera intellettuale. 57 Corrado di Hirsau, Dialogus super auctores , 215-20 (p. 78). Per le citazioni di Corrado di Hirsau e Bernardo di Utrecht si veda Huygens (1970); la traduzione è quella di Meneghetti (1992: 218). 58 Basterà in questo senso rimandare alla definizione di intentio data da Bernardo di Utrecht o dallo stesso Corrado di Hirsau; si veda Bernardo di Utrecht, Commentum in Theodolum , 223-24 (p. 67): «Intentio est affectus animi circa materiam vel oratio quae animum maxime intendit libro legendo» [L’intenzione è il sentimento dell’animo riguardo alla materia o il discorso che cattura maggiormente l’attenzione dell’animo nella lettura del libro] e Corrado d’Hirsau, Dialogus super auctores , 226-27 (p. 78): «Intentio est quid auctor intendat, quid, quantum, de quo scribere proponat» [L’intenzione è ciò che ha in mente l’autore: cosa, in che termini e a che motivo si proponga di 119 DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 Tornare al testo per diradare il «fumo» Resta infine da valutare l’importante divergenza di lezione tra C e gli altri testimoni per quanto riguarda i v. 30-35. I v. 30 e 32 mancano completamente in C; la mancanza del verbo venir del v. 32 comporta anche un aggiustamento al v. 33, dove la congiunzione et che negli altri testimoni coordina i due verbi venir e tenir viene sostituita da cort , complemento oggetto di tenir anticipato dal v. 34, nel quale a sua volta viene eliminato il secondo toponimo Camalot 59 sostituito dalla formula generica tant com lui plot . Ancora una volta la situazione stemmatica dei testimoni imporrebbe di accogliere a testo la lezione di AEGT 60 contro quella isolata di C, ma quasi tutti gli editori finiscono per subire l’aura di sacralità che circonda il manoscritto di Guiot 61 . L’obiezione principale portata contro la lezione dei mss. AEGT si basa sul fatto che i v. 29-32 condividono la medesima rima -on . A ciò si aggiunge l’osservazione che la presenza del toponimo Camalot al v. 34, che sarebbe un hapax nelle opere di Chrétien de Troyes, si spiegherebbe come un’aggiunta tarda dovuta all’influenza del successo di tale toponimo nei romanzi arturiani in prosa. In realtà, la prima obiezione non può ritenersi determinante in quanto la sequenza di due couplets con la medesima rima, rara ma non rarissima, si trova in altre occasioni nei romanzi di Chrétien 62 ; inoltre questi versi costituiscono la cerniera tra il prologo e l’inizio della narrazione e potrebbe trattarsi di un artificio esplicitamente ricercato. Al contrario, due argomenti importanti, in aggiunta a quello stemmatico, sembrano suffragare la lezione di AEGT. Innanzitutto, va ricordato che tutti gli altri prologhi di Chrétien finiscono sempre con un couplet e mai con un verso isolato, in rima con il verso che avvia la narrazione 63 ; inoltre anche il sostantivo reison , qui inteso con il scrivere]. All’elenco delle parole «tecniche» si può certamente aggiungere anche sans , che, secondo Rychner (1972: 269-70) appartiene «au langage de l’école». 59 Il primo ( Carlïon ) viene eliminato contestualmente al v. 32. La scelta della grafia Camalot è dovuta al fatto che si tratta di quella attestata dai due autorevoli mss. AT (contro Camehelot di E e Chamaalot di G) e che tale grafia trisillabica impone di leggere il verso inserendo uno iato tra riche e a , cosa che costituisce una lectio difficilior . 60 Il ms. A non riporta il prologo, ma il testo comincia con un couplet di versi a rima baciata e non con un verso a rima isolata come sarebbe avvenuto nel caso di una lezione simile a quella di C, dove il primo verso della parte propria del romanzo rima con l’ultimo verso del prologo. Inoltre, la lezione di A è praticamente identica a quella dei mss. EGT, e questo permette di supporre che la tradizione da cui deriva dovesse avere anche il v. 30 del prologo. 61 Come si è già anticipato, fanno eccezione solo le edizioni di Foerster (1899) e di Foulet/ Uitti (1989). Gli studiosi che optano per la soppressione del v. 30 tacciono sulle ragioni della loro scelta, affidandosi alla presunta autorità del ms. C, o forniscono giustificazioni che mettono sempre in secondo piano il dato offerto dalla tradizione manoscritta. Per Bähler (2005: 147 N4), per esempio, la presenza del v. 30 perturberebbe la suddivisione del prologo in parti simmetriche che costituisce la sua ipotesi di lavoro. Su Guiot «enfant chéri des philologues», o piuttosto di certi filologi, in quanto precursore della tendenza a emendare i testi sulla base di criteri personali piuttosto che di una rigorosa analisi filologica, si veda Cerquiglini (1989: 65). 62 Sul fenomeno delle rimes jumelées si veda James-Raoul (2007: 496-501), Doutrelepont (2008: 347- 48), Abiker (2008: 424), Berardi (2017: 116-27). Il fenomeno sarebbe più frequente nei primi romanzi (in particolare nell’ Erec ) per poi diventare vieppiù sporadico ed è del tutto assente nell’ Yvain . Si veda per esempio Cligès 75-78 e 423-26, Charrette 1497-500, Graal 2357-60. 63 Si veda Erec 25-26, Cligès 43-44, Graal 67-68; l’ Yvain non ha un vero e proprio prologo. 120 Luca Barbieri DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 senso comune di ‘proposito, discorso’, riprende la forma ratio usata frequentemente negli accessus ad auctores . Si veda per esempio un accessus a Marziano Capella 64 : Propositum Marciani fuit tractare de nupciis Mercurii et Philologie, per Mercurium volens intelligere eloquentiam, per Philologiam amor sapientiae. Et hec fuit ratio composicionis operis circa quam versatur intencio auctoris. [Il proposito di Marciano era quello di trattare delle nozze di Mercurio e della Filologia, volendo intendere con Mercurio l’eloquenza, e con la Filologia l’amore per la sapienza. E questa fu la ragione della composizione dell’opera sua, alla quale si rivolse lo scopo dell’autore] Per quanto riguarda infine la presenza o assenza della lezione Camalot , va detto innanzitutto che essa non è vincolata alla presenza o assenza dei v. 30 e 32 e può trattarsi dell’innovazione indipendente di un copista, sebbene la tipologia delle varianti dei v. 30-35 faccia pensare piuttosto a una rielaborazione complessa e coerente 65 . L’argomento stemmatico resta tuttavia quello di maggior peso, e il fatto che si tratti dell’unica occorrenza nell’opera di Chrétien de Troyes non costituisce una seria obiezione. Anzi, viene da pensare che difficilmente gli autori dei romanzi arturiani in prosa avrebbero inventato di sana pianta questo toponimo senza un minimo appiglio suggerito dalle opere originali in versi. Si aggiunga che, tra tutti i toponimi usati da Chrétien, Camalot è l’unico che non si riesce a ricondurre neanche ipoteticamente a una località reale 66 , e forse proprio questo ne avrà favorito l’elezione a sede leggendaria di Artù nei romanzi in prosa. Concludendo questo esame del prologo del Chevalier de la charrette alla luce della testimonianza dei manoscritti desidero innanzitutto ribadire di aver consapevolmente evitato di addentrarmi nel ginepraio delle innumerevoli interpretazioni generali del romanzo. Ho cercato invece di concentrarmi su una rilettura dei versi iniziali privilegiando l’attenzione al dato e spero di essere riuscito almeno in parte a riportare l’attenzione su ciò che l’autore intende dire e effettivamente dice, contribuendo 64 Przychocki (1911: 47), citato da Meneghetti (1992: 221). Per i significati di ratio nei testi latini e francesi medievali si veda Flasche (1936), in particolare le p. 61-106. La formula comancer une reison ‘iniziare un discorso, un’esposizione’, piuttosto frequente nei testi francesi medievali, ha altre due attestazioni nelle opere di Chrétien de Troyes in Cligès 2277 e Charrette 6173. Sul senso di reison ‘discorso’ si veda anche DECT , s. raiSon . 65 In questo senso varrà la pena di sottolineare che anche per quanto riguarda i v. 34-35 la lezione di C sembra deteriore. Il riferimento alla corte riche et bele sembra un’iterazione riempitiva, visto che la corte è sempre e solo definita riche nelle altre opere di Chrétien (si veda Erec 29-30 e Yvain 4); per la variante a roi per au jor del v. 35 si veda la possibile influenza di Yvain 4: «Tint cort si riche come rois»; infine, anche la formula tant com lui plot del v. 34 sembra un banale riempitivo, per cui si veda Cligès 4283, 4952 e Graal 761, 794. 66 Le località sedi della corte di Artù nei romanzi di Chrétien de Troyes sono riconducibili principalmente al Galles, ma la geografia arturiana, solo parzialmente realistica, si estende dalle isole Orcadi fino alla Bretagna francese. La città di Carlïon menzionata al v. 32, citata altre tre volte nel Conte du Graal e identificata con Caerleon nel Galles, è anche quella indicata dalle fonti latine, in particolare dall’ Historia regum Britanniae di Goffredo di Monmouth. Sulla geografia arturiana nelle opere di Chrétien de Troyes si veda per esempio Duggan (2001: 209-10). 121 DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 Tornare al testo per diradare il «fumo» a sfrondare le interpretazioni che non sembrano suffragate dal dettato testuale. In sintesi, non vi sono elementi oggettivi che permettano di sostenere l’ipotesi di una lettura ironica del prologo e una presa di distanza di Chrétien rispetto alla volontà di Maria di Champagne; l’identità fra il v. 4 e il v. 5676 istituisce però un parallelismo fra la vicenda del personaggio del romanzo e quella metaletteraria dell’autore alle prese con un soggetto problematico; l’impasse del romanzo è dovuta forse all’ incapacità di dare alla relazione adultera tipica della fin’amor trobadorica uno sviluppo narrativo diverso da quello tristaniano. La retorica del prologo, più che realizzare una parodia di Gautier d’Arras, permette di evidenziare l’elemento di lode della committente pienamente assunto dall’autore; i paragoni non possono essere interpretati in modo ironico in quanto esaltano coerentemente il valore di elementi meno appariscenti ma più preziosi e più incidenti sulla realtà; la lettura attenta del testo proposto dalla maggioranza dei testimoni invita a un’interpretazione in questo senso del paragone dei venti (dove funs indicherà una brezza leggera e profumata) e soprattutto del terzo paragone dov’è messa a tema l’importanza del contributo della contessa alla concezione e realizzazione del romanzo. In questo senso, i v. 26-29, che presentano l’autore come un mero esecutore materiale, rimandano al topos della composizione letteraria intesa come lavoro artigianale e vanno legati al discorso sulla lode della committente; non è possibile distinguere sans e san attribuendo loro due significati diversi, ma si deve leggere in entrambe le occorrenze sans (come fanno tutti i testimoni tranne C) con riferimento all’investimento intellettuale necessario a definire la materia del romanzo, che nel caso della Charrette è appannaggio della committente. La materia della Charrette è una materia originale e non derivata da fonti scritte e il ruolo della contessa nella concezione del romanzo ne risulta esaltato; l’autore distingue chiaramente il suo ruolo di puro esecutore materiale a cui rimandano i sostantivi painne et antancïon rispetto al ruolo intellettuale della committente a cui si devono matiere et sans dell’opera. La natura critico-letteraria del prologo è confermata dall’uso della terminologia tipica della tradizione scolastica, per quanto usata nella sua accezione più comune. Infine, occorrerà tornare alla lezione maggioritaria dei v. 30-35 la cui correttezza è confermata dalla presenza di elementi che ben corrispondono alla retorica del prologo e all’ usus scribendi di Chrétien (la doppia coppia di versi con la stessa rima a indicare la separazione fra prologo e narrazione, l’inizio della narrazione con una coppia di rime e non con una rima isolata, la presenza del sostantivo reison che appartiene al lessico della tradizione scolastica già messo in evidenza nei versi precedenti). Il ricorso ai manoscritti aiuta senza dubbio a chiarire e semplificare l’interpretazione del prologo, che è stato troppo spesso sottoposto ad analisi invasive ed eccessivamente speculative, ma non permette di dissipare completamente il dubbio circa la natura della matiere e del sans forniti da Maria di Champagne a Chrétien de Troyes, così come non ci consente di escludere la presenza in essi di un elemento 122 Luca Barbieri DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 perturbativo che avrebbe condizionato la realizzazione dell’opera 67 . Anzi, l’identità dei v. 4 e 5676 ci obbliga a prendere in seria considerazione questa ipotesi. Questo aspetto, tuttavia, oltrepassa le ambizioni del presente contributo. Per ora si potrà solo ribadire che l’eventuale contrasto non riguarderà la natura adulterina del rapporto tra Lancillotto e Ginevra, una dimensione sicuramente accettata da Chrétien in quanto parte della sua formazione letteraria, come si vede almeno nelle sue composizioni liriche 68 , ma avrà più probabilmente a che fare con lo sviluppo dei princìpi della fin’amor in un contesto narrativo. Non credo in ogni caso che si possa sottovalutare la portata dell’inedita divisione dei compiti che fa della committente non solo la fornitrice di un generico soggetto o tema, ben simboleggiato dal «libro» che solitamente costituisce la fonte di un nuovo romanzo, ma di una vera e propria concezione e di un autentico indirizzo ideologico. Si tratta certamente di una novità che ridefinisce il senso della parola «autorità» e al contempo libera l’autore dai vincoli ai quali la parola «romanzo», per la sua stessa etimologia, risultava sottomessa. Poco importa in fondo che lo sviluppo narrativo non sia del tutto riuscito al punto da far pensare che si tratti di un tentativo fallito. Resta il fatto che l’assenza di una fonte esterna «riconoscibile» fa del Chevalier de la charrette il primo romanzo di pura fiction , e quindi il primo vero romanzo moderno della storia della letteratura europea. Bibliografia a BiKer , S. 2008: L’écho paradoxal. Étude stylistique de la répétition dans les récits brefs en vers XII e - XIV e siècles , Thèse de doctorat de langue et littérature françaises, Université de Poitiers (Centre d’Études Supérieures de Civilisation Médiévale, U.F.R. Lettres et Langues). AND = r othWell , W. et al. 1977-2005: Anglo-Norman Dictionary , London, Modern Humanities Research Association. 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Si vedano i v. 6262-71: «Mes une an i ot avuec eles/ qui suer estoit Meleagant,/ don bien vos dirai ça avant/ mon panser et m’antancïon ,/ por quoi j’an ai fet mancïon; / mes n’afiert pas a ma matire / que ci androit le doie dire,/ ne je ne la vuel boceiier/ ne corronpre ne forceiier,/ mes mener buen chemin et droit» e 7120-22: «Seignor, se avant an disoie,/ ce seroit outre la matire ,/ por ce au definer m’atire». Si noti peraltro che nel passo di Godefroi il significato attribuibile a panser e antancïon sembra diverso da quello che si è postulato in occasione dell’analisi del prologo. 68 Le due canzoni liriche attribuite a Chrétien de Troyes, nelle quali la critica ha rilevato una fitta rete di riferimenti alla lirica trobadorica, testimoniano un’adesione sostanziale ai principi della fin’amor , sebbene con una declinazione particolare che esalta la perseveranza nel servizio amoroso e la fedeltà cordiale anche nella sofferenza e nell’assenza di reciprocità. Tale concezione trova spazio anche in alcuni romanzi di Chrétien, specialmente la Charrette e l’ Yvain . 123 DOI 10.24053/ VOX-2024-004 Vox Romanica 83 (2024): 101-126 Tornare al testo per diradare il «fumo» a SPerti , S./ m enichetti , C./ r achetta , M. T. 2012: «Manuscrit de base et variantes de tradition dans le Chevalier de la charrette », Perspectives médiévales 34. URL: https: / / journals.openedition.org/ peme/ 292 [05.09.2024]. B ähler , U. 2005: «Lire le prologue du Chevalier de la Charrette de Chrétien de Troyes», in: U. B ähler / E. t hommen / C. V ogel (ed.), Donner du sens: études de sémiotique théorique et appliquée . Actes du colloque international organisé par l’Association Suisse de Sémiotique les 11 et 12 avril 2003 à l’Université de Zurich , Paris, L’Harmattan: 145-64. B arBiellini a miDei , B. 2011: «Ancora per li funs . Chrétien de Troyes, Charrette , v. 12-13», R 129: 303-20. 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