eJournals Vox Romanica 83/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
10.24053/VOX-2024-006
0217
2025
831 Kristol De Stefani

Un «groviglio di voci»: questioni stilistiche nei trovatori della generazione di mezzo

0217
2025
Susanna Barsottihttps://orcid.org/0000-0002-0836-0938
Autour de l’année 1170, le dialogue entre les deux troubadours Giraut de Borneill et Raimbaut d’Aurenga apparaît décisif dans l’élaboration d’une théorie du style qui remet en question les présupposés formels et idéologiques du trobar hermétique marcabrunien. Différentes pièces attribuables aux troubadours mentionnés s’agrègent autour du thème de la pertinence de l’expression du sentiment ou, au contraire, de son masquage sous des vêtements formels difficiles avec l’insertion d’éléments allusifs qui renvoient à la poétique de Marcabru ou de Peire d’Alvernhe. Un cas d’étude particulièrement intéressant est donné, par exemple, par l’image de la bouche comme symbole du mot poétique, dans les lemmes (assez rares dans le corpus) cays (‘bocca’) et dens (‘dents’). La référence fait en effet partie d’un répertoire d’expressions marquées qui conduisent à la réflexion sur le trobar clus et le sens de l’extériorisation (ou, inversement, de la dissimulation) du mot. Raimbaut d’Aurenga se place au centre de ce «tarabiscotage» en raison de sa haute noblesse et de sa position sociale et du fait qu’il représente le centre d’un échange qui a aussi une importance historique. À partir de ces cordonnées, le but de l’article est d’extrapoler des considérations méthodologiques utile à l’approche (critique et philologique) des rappels allusifs dans le corpus troubadouresque et sur le rapport entre textes et circonstances historiques. La valorisation de l’intertextualité chez les troubadours de la génération centrale a d’ailleurs pour but de garantir, par l’identification des vecteurs dialogiques, une appréciation plus profonde des textes, ainsi qu’une lecture plus consciente et raffinée des références formelles d’une période cruciale de l’histoire du trobar.
vox8310193
DOI 10.24053/ VOX-2024-006 Vox Romanica 83 (2024): 193-212 Un «groviglio di voci»: questioni stilistiche nei trovatori della generazione di mezzo Susanna Barsotti (Sapienza Università di Roma) https: / / orcid.org/ 0000-0002-0836-0938 Résumé: Autour de l’année 1170, le dialogue entre les deux troubadours Giraut de Borneill et Raimbaut d’Aurenga apparaît décisif dans l’élaboration d’une théorie du style qui remet en question les présupposés formels et idéologiques du trobar hermétique marcabrunien. Différentes pièces attribuables aux troubadours mentionnés s’agrègent autour du thème de la pertinence de l’expression du sentiment ou, au contraire, de son masquage sous des vêtements formels difficiles avec l’insertion d’éléments allusifs qui renvoient à la poétique de Marcabru ou de Peire d’Alvernhe. Un cas d’étude particulièrement intéressant est donné, par exemple, par l’image de la bouche comme symbole du mot poétique, dans les lemmes (assez rares dans le corpus) cays (‘bocca’) et dens (‘dents’). La référence fait en effet partie d’un répertoire d’expressions marquées qui conduisent à la réflexion sur le trobar clus et le sens de l’extériorisation (ou, inversement, de la dissimulation) du mot. Raimbaut d’Aurenga se place au centre de ce «tarabiscotage» en raison de sa haute noblesse et de sa position sociale et du fait qu’il représente le centre d’un échange qui a aussi une importance historique. À partir de ces cordonnées, le but de l’article est d’extrapoler des considérations méthodologiques utile à l’approche (critique et philologique) des rappels allusifs dans le corpus troubadouresque et sur le rapport entre textes et circonstances historiques. La valorisation de l’intertextualité chez les troubadours de la génération centrale a d’ailleurs pour but de garantir, par l’identification des vecteurs dialogiques, une appréciation plus profonde des textes, ainsi qu’une lecture plus consciente et raffinée des références formelles d’une période cruciale de l’histoire du trobar . Mots-clés: Trovatori, Lirica medievale, Tradizione occitanica, Intertestualità, Questioni stilistiche, Dialoghi poetici, Storia del trobar 1. Introduzione: intertestualità e questioni di metodo La poesia dei trovatori è notoriamente caratterizzata da una forte propensione dialogica che si lega anche allo sfondo ludico e talora giullaresco del mondo cortese, dove cultura e gioco, serio e faceto si mescolano inscindibilmente creando reti complesse di allusività. A fronte della vasta bibliografia prodotta, anche recentemente, sull’argomento (tra cui, in ultimo, lo studio sul concetto esteso di «rete» condotto da Simone Marcenaro nel 2023), do avvio a queste riflessioni limitandomi a richiamare il fondamentale studio di Maria Luisa Meneghetti, e, in particolare, il capitolo 194 Susanna Barsotti DOI 10.24053/ VOX-2024-006 Vox Romanica 83 (2024): 193-212 La ricezione-ricreazione della poesia trobadorica all’interno del volume Il pubblico dei trovatori , che verrà tenuto in considerazione specialmente per le osservazioni di metodo (Meneghetti 1992: 71-120, 2012: 181-96). Con il titolo si intende richiamare l’immagine della rete attraverso quella, affine, di «groviglio» - impiegata da Aniello Fratta nel 1993 come metafora della fitta trama intertestuale che connette alcuni trovatori della generazione aurea del 1170 - per concentrare l’attenzione sulle relazioni tematico-formali che riguardano, più strettamente, la figura storica e letteraria di Raimbaut d’Aurenga in rapporto alle questioni di poetica che lo vedono dialogare con Giraut de Borneill 1 . Presupposto fondamentale, per poter cogliere la stratificazione allusiva della poesia del principe d’Orange, è considerare il peso, nell’eredità trobadorica e nel suo evolversi attraverso la formazione endogena di modelli, del lascito di Marcabru. La fortuna del trovatore guascone, morto all’incirca nel 1150 2 , innesca intorno il 1170 una vera e propria tendenza: quella del dialogo a distanza tra la di lui poesia e quella dei trovatori più giovani, che tenteranno di confrontarsi con temi e forme del «maestro». Un rapporto, quello tra i trovatori che sembrano dibattere su questo nodo cruciale, spesso contraddistinto da questioni stilistiche che si fanno identitarie e che si realizza nelle forme di un «dialogo implicito indiretto» nei più svariati contesti della ricezione post mortem del trovatore guascone 3 . La poesia di Marcabru porta dunque esplicitamente a compimento la valorizzazione del nesso tra contenuti e forme, amore e stile, incidendo con originalità sulle riflessioni formali che coinvolgeranno le generazioni successive: tra i trovatori che ne raccolgono l’eredità si inseriscono infatti non solo Raimbaut d’Aurenga, ma anche Peire d’Alvernhe, Giraut de Borneill, il leu Bernart de Ventadorn e i poeti guasconi del suo cenacolo (su cui ha dato un ricco prospetto testuale ed ecdotico Riccardo Viel nel 2011). Molti di questi trovatori (all’altezza della seconda generazione) rispondono a una naturale propensione dialogica che, facendo perno sulla realizzazione formale di certi argomenti marcabruniani - quale il rapporto tra espedienti lessicali, rimici e contenuto morale, o, più in generale, tra difficoltà stilistico-ermeneutica e capacità di affinamento etico - offre spazio ad argomenti in grado di supportare ipotesi inedite di intreccio allusivo 4 . Il dialogo con Marcabru si manifesta, naturalmente, con carat- 1 Fratta (1993). Sulla rete di allusioni intertestuali che caratterizza i testi di questa generazione il dibattito critico ha inizio con Roncaglia (1958) e verrà ripreso dagli studi successivi. Tra questi, cf. anche Topsfield (1974: 1149-58 e 1975: 120s.), Di Girolamo (1984: 17-26 e 1989: 120-41), Rossi (1987), Cingolani (1989), Meneghetti (1992: 101-06), Borghi Cedrini (2000), Gubbini (2005: 298-99), Spetia (2017). 2 DBT (347a: «1149…»). 3 Cruciale è stata in questo senso la possibilità di estendere i contatti dialogici tra Marcabru e successori anche a Bernart de Ventadorn: figura che a sua volta partecipa al groviglio allusivo che si costruisce intorno a un epicentro tematico ben preciso, e cioè il problema dell’amore e della sua espressione; sulla questione cf. Fratta (1993: 25s.), Gubbini (2005: 298-99), Mocan (2014: 1163s.). 4 Un altro indizio di legame intertestuale è dato dal ritorno di terminazioni rimiche dai valori semantici peculiari come, ad esempio, quelle in uc(s) , studiate da Barachini, Viel (2016) o in ura . Un «groviglio di voci»: questioni stilistiche nei trovatori della generazione di mezzo 195 DOI 10.24053/ VOX-2024-006 Vox Romanica 83 (2024): 193-212 teri diversi in ciascuna delle personalità poetiche menzionate: l’imitazione del poeta guascone può avvenire infatti talora per concordia - come, in molti casi, in Peire d’Alvernia - talora per opposita - come in Raimbaut d’Aurenga e in Bernart di Ventadorn (Gubbini 2009: 147). L’oltranza erotica di Raimbaut, in particolare, trova riflesso sul piano della verbalizzazione lirica in un’oltranza stilistica che lo situa sulla scia di Guglielmo IX, e quindi «strutturalmente» contra il moralismo marcabruniano 5 . Al centro del «groviglio di voci» che impegna gli «allievi» (diretti o indiretti) di Marcabru, la figura di Raimbaut d’Aurenga si staglia agli occhi dei critici in tutta la sua complessità storica - per la vivacità delle sue relazioni letterarie (fu mecenate e interlocutore di molti dei trovatori già qui menzionati, a cui si aggiungono tra gli altri Peire Rogier, Gaucelm Faidit e perfino la trovatrice Azalais de Porcairagues) - e ermeneutica - per le interessanti conseguenze che tali relazioni hanno sul piano dell’ imitatio e del rapporto con i modelli. Oltre alla formazione nel segno di Marcabru, Raimbaut si distingue però anche per il piglio ironico - dai tratti aristocratici - sui dibattiti dell’epoca, oltre che per l’abilità di costruire forme ricercate con giochi rimici cervellotici e, infine, per il fatto di essere avvolto dalla leggenda 6 , giacché la morte avrebbe interrotto prematuramente la sua intensa attività nel 1173, al ventisettesimo anno di età 7 . Proprio in virtù della sua posizione nel quadro politico e letterario dell’epoca, Raimbaut rappresenta un caso di studio metodologicamente cruciale e che consente di estrapolare dei parametri in grado di segnalare relazioni di intertestualità tra i componimenti trobadorici. I senhals , così come le coincidenze e sovrapponibilità nella struttura metrico-strofica hanno permesso di individuare vettori dialogici come, ad esempio, il noto scambio tra Raimbaut ( Non chant per auzel ni per flor , BdT 389,32), Bernart de Ventadorn ( Can vei la lauzeta , BdT 70,43) e Chrétien de Troyes ( D’amors qui m’a tolu a moi ). D’altronde, come ha acutamente osservato Federico Saviotti, il senhal potrà essere inteso come marchio distintivo, come «segno» (in senso etimologico), piuttosto che, come si è spesso creduto, come espediente di mascheramento di un’identità 8 . In tal senso, disporre di un repertorio di senhals anco- Questo ricorrere di rime e rimanti si è rivelato di un qualche valore intertestuale soprattutto nei dibattiti in funzione marcabruniana o antimarcabruniana: l’espediente rimico ha dunque consentito a poeti di generazioni differenti di confrontarsi su elementi ideologici della poesia dell’«acre moralista» Marcabru, su cui Roncaglia (1969: 35); tra questi rientra senz’altro anche Raimbaut, su cui cf. Gubbini (2005: 281-313) e Barsotti (2023a). Cf. inoltre, su Marcabru e sulla ricezione delle sue riflessioni stilistiche, Zambon (2004: 100-01 e 2021: 25). 5 Pasero (1973) mostra infatti che il primo bersaglio polemico di Marcabruno è proprio il dissoluto Guglielmo IX. 6 Si veda a tal proposito Milone (1979). A proposito dello stile di Raimbaut, cf. anche Di Girolamo (2022). 7 Ciò non ha impedito che ne sopravvivessero almeno trentanove testi di attribuzione certa e tre apocrifi (l’edizione di riferimento resta quella di Pattison del 1952). 8 Cf. Saviotti (2015: 109, dove il senhal viene definito «le sceau du poète, la marque de sa propriété intellectuelle»). 196 Susanna Barsotti DOI 10.24053/ VOX-2024-006 Vox Romanica 83 (2024): 193-212 rati a un contesto storico e geografico di riferimento potrebbe essere d’aiuto per l’identificazione di vettori dialogici, come accade per gli svariati pseudonimi che contrassegnano la persona di Raimbaut d’Aurenga 9 . Un altro indizio è senz’altro quello della vicinanza metrico-formale, che ha costituito conferma del rapporto dialogico tra Raimbaut d’Aurenga, Bernart de Ventadorn e Chrétien de Troyes nello scambio cui si accennava. Esistono tuttavia anche casi in cui si può parlare di strutture non identiche, ma di analoga organizzazione strofica. In virtù della loro eccezionalità credo ad esempio che sia possibile riconoscere delle relazioni tra i due rarissimi esempi di canzoni a coblas ternas che sono Assaz m’es bel di Raimbaut d’Aurenga e Can vei la flor, l’erba vert e la folha di Bernart de Ventadorn ( BdT 70,42). Va specificato che si tratta di schemi ternari differenti: quello di Raimbaut d’Aurenga presenta uno schema 3+3 ( coblas unissonàns all’interno di ogni terna) mentre quello di Bernart uno schema 1+2+3/ 1+2+3 ( coblas singulàrs all’interno di ogni terna), ma essendo questo tipo di organizzazione strofica molto raro, varrà comunque la pena di notarlo qui nella sua atipicità e rapportarlo ad elementi di tipo tematico 10 . Assaz m’es bel è, per l’appunto, una canzone dai toni parodici: esordendo con l’affermazione (v. 9-11): «eu sec mon cor/ e⋅n mostri for/ tot aisso don ilh m’es cossens» Raimbaut mostra di prendersi gioco della linea poetica vigente, che d’altro canto intorno al 1170 si afferma proprio sul postulato della «sincerità poetica», di cui è emblema la poetica di Bernart de Ventadorn. Nel farlo Raimbaut ribadisce il pregio, al contrario, del suo comporre ermetico e ingegnoso, da distinguere dal volgare trobar plan dei semplici (che sono chiamati enfan , ‘bambini’); la canzone di Raimbaut è dunque leu in senso provocatorio e sfida la poetica ventadoriana. Dato il particolare schema strofico, la tematica di fondo e la presenza dell’invio al senhal « Tristan » degli ultimi versi di Can vei contenuti nel solo manoscritto P, credo che sia possibile mettere in comunicazione i due testi: la presenza di un senhal e di una peculiarità strofica può dunque indicare un percorso da seguire per individuare dei rapporti dialogici, sia pure a maglie larghe, su particolari temi che riguardano principalmente l’amore e la poetica 11 . 9 Sui senhals di Raimbaut d’Aurenga il panorama bibliografico è molto ampio. La scoperta dell’identità tra Linhaure e Raimbaut d’Aurenga, che risale a un’intuizione di Kolsen (1894: 44-51 e 55s.; 1910-1935, II: 62: BdT 242,37, Nr. 29 e II: 64: BdT 242,17, Nr. 30). Il senhal in questione sarebbe composto da linh (‘lignaggio’) e l’iniziale di Aurenga. Questa ipotesi, annota lo stesso Kolsen (1894: 45 N1), sarebbe stata suggerita da Tobler a Kolsen durante una conversazione, e fu accolta e approfondita da Lejeune (1939): secondo la studiosa Linhaure andrebbe ricollegato a Ignaure , personaggio dell’omonimo Lai . Cf. inoltre Sakari (1949), Pattison (1952: 23 N36), Delbouille (1957: 59s.). Sul senhal cf. il già menzionato contributo di Borghi Cedrini (2000 e 2012) e Vallet (2003). 10 Su Assaz m’es bel e sull’ipotesi di un sottotesto ventadoriano nella canzone mi permetto di rinviare a Barsotti (2021: 114-16). 11 Il già menzionato articolo di Fratta (1993: 6s.) dà una ricostruzione più ampia dei rapporti tra Raimbaut e Bernart, anche se non sempre, a mio avviso, fondata su elementi portatori di valori intertestuali, inserendo questo stesso testo ventadoriano in un più ampio dialogo con Raimbaut. Un «groviglio di voci»: questioni stilistiche nei trovatori della generazione di mezzo 197 DOI 10.24053/ VOX-2024-006 Vox Romanica 83 (2024): 193-212 A partire da questo spunto, mediante l’analisi di espressioni che concernono l’espressione poetica e le sue modalità, ci si propone ora di analizzare alcuni segnali allusivi che emergono da testi collocabili sulla scia del dibattito stilistico «post-marcabruniano». Si tenterà di fare il punto, dunque, sul terreno che sostanzia le idee e il lessico tecnico della riflessione sullo stile intorno al 1170, in un dibattito all’interno del quale il Signore d’Orange spicca come speculum e, nel contempo, come cartina al tornasole. 2. ‘sobre l cays’ Un caso di studio che ritengo interessante nell’ambito di questa riflessione è dato dall’immagine, rara all’interno del corpus, della bocca che si fa simbolo della parola, veicolata da lemmi rari quali cays (da caPSuS , ‘mascella’ > ‘bocca’) e dens (‘denti’) 12 . Trattasi di lemmi che possono comparire per rimandare alle riflessioni sul trobar clus e al senso dell’esternazione (o, viceversa, dell’occultamento) della parola, talora legandosi anche a ulteriori motivi, come quello equestre del fre (‘freno’), per indicare il trattenimento, e ai verbi retener (‘trattenere’) e eslaissar (‘rilasciare’), che indicano i due poli opposti di questa semantica. Recenti studi di Francesco Zambon hanno dato il meritato risalto a un passaggio cruciale di Per savi teing ses doptanza ( BdT 293,37) in cui Marcabru mostra di applicare, per la prima volta in poesia e su impronta agostiniana, le logiche e i valori dell’accesso al senso nascosto promossi tradizionalmente dai testi biblici e, in particolare, dal primo capitolo dei Proverbi (5-6) (Zambon 2021: 23, 37). Epicentro della tenzone tra Giraut de Borneill e Raimbaut d’Aurenga ( BdT 389,10a), la questione della comprensibilità della parola poetica si ricollega dunque all’obbedienza, da parte dei due trovatori, a un principio marcabruniano, rimodellato da ciascuno secondo due visioni differenti sull’opportunità di rendere più o meno accessibile il senso del testo. Non guarda tuttavia verso il modello Marcabru - che impiega, per riassumere la questione, il vocabolario chiaroscurale, nell’espressione «esclarzir paraula escura» ( BdT 293,37, v. 5) - il lessico mediante cui questo problema viene inscenato nel dibattito a due voci, che i due trovatori desumono dalla semantica dell’apertura e della chiusura 13 . Quest’ultima immagine viene associata alla difficoltà stilistica solo 12 Cenni alla questione qui sviluppata anche in Barsotti (2022: 406). 13 I concetti di clus e leu sembrano essere il risultato di una mescolanza-sovrapposizione dei livelli valutativi e dei parametri distintivi nella classificazione formale dei prodotti poetici. Essi rimandano difatti a due caratteristiche diverse del dettato: se con l’aggettivo clus si indica la ‘chiusura’ e, con essa, l’occultamento del senso, con leu si indica letteralmente la levitas , dunque la pianezza, che consente di accedere al significato senza sforzo. Per contro, genera qualche difficoltà anche l’assegnazione della categoria della «facilità» al trobar leu , di cui sembra essere responsabile, se mai, la facile bipartizione creatasi a partire da Ara ⋅ m platz, Girautz de Borneill ( BdT 389,10 a ), re- 198 Susanna Barsotti DOI 10.24053/ VOX-2024-006 Vox Romanica 83 (2024): 193-212 a partire da Peire d’Alvernhe, che nella prima cobla di Be m’es plazen ( BdT 323,10, 4-5) definisce il proprio trobar composto da « motz alqus / serratz e clus » 14 . È dunque da Peire d’Alvernhe, fedele seguace, a sua volta, della lezione marcabruniana 15 , che occorrerà partire per dare ordine al pensiero poetologico di un’epoca che prepara il terreno a scambi più elaborati, come la celebre Ara⋅m platz , Guiraut de Borneill ( BdT 389,10 a = 242,14). La dittologia «serratz e clus» esibita in incipit da Peire per coniare l’etichetta del « trobar ermetico» ha però forse gettato in ombra un’altra espressione, assai particolare, che il trovatore impiega poco più avanti nello stesso testo (ai v. 13-18 dell’edizione Fratta): Ben es auras totz crestias qu’el mezeis si vol encombrar, ni sobre⋅l cays leva tal fays que corren no⋅l puesca portar. L’immagine del peso sulla bocca («ni sobre⋅l cays/ leva tal fays», v. 17-18) sembrerebbe alludere, seppure con qualche variazione, a un’immagine legata alla stessa semantica già invalsa nella poetica antica per invitare i poeti alla prudenza 16 . Nell’ Ars poetica (38-40) Orazio invita a ponderare sulla base delle proprie capacità prima di cominciare a comporre: il monito si riassume in epoca medioevale nella formula del «sumite materiam», in un passaggio messo in evidenza anche dai commenti all’ Epistola oraziana e alle sue rielaborazioni duecentesche, e che nell’arte retorica passa a coincidere con il momento dell’ inventio 17 . Riadattato in forma nuova mediante l’agsponsabile della bipolarizzazione dei due stili nelle figure dei due poeti (Giraut de Borneill: trobar leu = Raimbaut d’Aurenga: trobar clus ). Sull’argomento cf. le note di Beltrami (2020: 199 N22) e, prima, di Scheludko (1931: 143). Zambon (2021: 66-67) definisce Raimbaut «l’inventore» di tale polarizzazione e il responsabile di «una sorta di errore di prospettiva» generatosi poi in seno alla critica moderna. Sul tema dell’opposizione tra luce e oscurità nei trovatori - con implicazioni sia morali, sia stilistiche - si veda Mocan (2014: 1163-67). 14 Si cita il testo dall’ed. Fratta (1996: 40). 15 Si pensi agli echi marcabruniani del sirventese Bel m’es, quan la roza floris ( BdT 323,7), che nel finale si esplicitano nella menzione diretta di Marcabru (v. 38s.): «Marcabrus per grain dreitura/ trobet d’atretal semblansa…». 16 Vaga la nota di Del Monte (1955: 85), ai v. in questione: «L’immagine, presa dal costume giullaresco, è di quelle fra astratte e grottesche predilette dai seguaci del trobar clus ». 17 Si riportano per intero i versi di riferimento dell’ Ars poetica : «Sumite materiam vestris, qui scribitis, aequam/ viribus et versate diu quid ferre recusent,/ quid valeant umeri cui lecta pudenter erit res,/ nec facundia deseret hunc, nec lucidus ordo»; per la fortuna di questo principio cf. ad es. Giovanni di Garlandia, De arte prosayca, metrica et rithmica (1129 circa): «D e i nVentione . Sicut dicit Oratius in Poetria de inuencione materie et electione, prius debemus inuenire quam inuenta eligere, et prius eligere quam electa disponere, Dicit ergo: Sumite materiam […]»; cf. Lawler (1974: 75-89). Se da una parte Orazio e Cicerone vengono per lo più sovrapposti e confusi nelle Poetriae e nel Brunetto teorico (ad es. Tresor , III,1,8), dall’altra non possiamo dire lo stesso in Dante dove le Un «groviglio di voci»: questioni stilistiche nei trovatori della generazione di mezzo 199 DOI 10.24053/ VOX-2024-006 Vox Romanica 83 (2024): 193-212 giunta del riferimento alla bocca 18 , il motivo qui riproposto (tramite allusione all’ingombro della razo mal ponderata sorretta dal verbo raro encombrar ), si allinea al principio oraziano; ipotesi, del resto, supportata dal tema metapoetico con cui si apre la canzone di Peire. Lemma centrale all’interno del passo in questione è dunque cays (lat. caPSuS ), ‘bocca’ o ‘mascella’ 19 , il cui rilievo si lega al fatto di richiamare l’atto poetico o, più in generale, la «favella» 20 . L’invito a evitare di sovraccaricare la propria bocca di un «peso» che non si è in grado di sorreggere sembra essere in effetti un richiamo alla moderazione in poesia: non sia dunque, la bocca, ingombra di un discorso che, una volta cominciato, non si ha la capacità di portare avanti. Ma il lemma cays compare significativamente anche nell’ incipit di Chantarai, pus vey qu’a far m’er ( BdT 323,12), 1-7: Chantarai, pus vey qu’a far m’er, d’un chant nou que ⋅ m gronh dins lo cays : chantars m’a tengut en pantays, cum si chantes d’aital guiza qu’autruy chantar non ressembles; qu’anc chans no fo valens ni bos que ressembles autruy chansos 21 . La locuzione dins lo cays non ricorre spesso nel corpus occitanico, così come è tutt’altro che frequente - seppure indiscutibilmente più diffusa - la formula issir del cays 22 . allusioni al «sumite materiam» ( Vita Nova XVIII 9, De vulgari II iV 4, Convivio II xiii 10, Purg. XXI 93, Par. XXIII 64-66) non vanno mai a mobilitare echi ciceroniani, cosa che fa forse supporre che Dante sia passato oltre i modelli e i testi di mediazione dei classici che gli giungevano forse attraverso la figura del maestro Brunetto; che questi siano stati completati, insomma, con commenti e lecturae che in qualche modo ne prescindevano. 18 Che sembra sostituirsi, in particolare, alle orecchie cui Orazio allude nelle Satire (I, 10, 9), dove stavolta il tema del peso viene rifunzionalizzato nell’ambito di un invito alla brevitas : «Est brevitate opus, ut currat sententia neu se/ impediat verbis lassas onerantibus auris». 19 Cf. Rayn., Lex., II: 287a; e FEW , II: 316. Il lemma compare spesso nell’espressione far col e cais ; sulla questione cf. Jeanroy (1913) e Poe (1992: 163): « Cais (from Latin * caPSuS , ‘box, chest’) is by itself not much more problematic than col . It designates the lower face, or any part of it, including the cheeks, jaws, mouth and chin»). 20 Sul passo in questione sono state avanzate, inoltre, interpretazioni in senso allegorico e scritturale sulla moderazione del buon cristiano; questi riferimenti e relativa bibliografia (tra cui Scheludko (1937: 235): «Leichtsinnig ist der Christ, der sich selbst Schwierigkeiten macht») sono riportati in nota da Fratta (1996: 184). 21 Fratta (1996: 65 e 197). 22 Del primo caso, infatti, si ha soltanto un’unica altra attestazione, in una cobla esparsa di Uc de Saint Circ di difficile interpretazione, rivolta a un Raimon di cui viene contestato l’atteggiamento grossolano; cf. Raimonz, en trobar es prims ( BdT 457,32), 3-7: «C’aissi⋅n venez a dasdos,/ com se marcavaz raizims,/ e parlatz a boca plena,/ qe par c’un sester d’avena/ aiatz ades dinz lo cais». Cf. Jeanroy, Salverda de Grave (1913: 107 e 206). Due occorrenze in particolare della locuzione issir del cays catturano l’attenzione: una in Peire Vidal, Per ces dei una chanso ( BdT 364,34), v. 15: «que quant us motz l’ieis del cais» (Avalle 1960: 181); Guillem de Berguedan, Quan vei lo temps camjar 200 Susanna Barsotti DOI 10.24053/ VOX-2024-006 Vox Romanica 83 (2024): 193-212 In questo secondo testo dell’alverniate, la bocca - in quanto «contenitore» e insieme organo di emissione della parola - riassume efficacemente l’idea della chiusura ermetica del flatus (ossia la parola in forma di voce) - di per sé intangibile, giacché nascosto dins , intus - con cui si identifica la manifestazione del sentimento 23 . L’immagine della bocca-barriera può quindi essere ricollegata alla concezione della voceparola come flatus , secondo le dinamiche della teoria pneumo-fantasmatica che nel XII secolo condiziona sensibilmente la concezione della poesia 24 . Per il fatto di prestarsi all’evocazione del passaggio o, viceversa, del trattenimento della parola - e dunque riassumendo in sé le implicazioni ideologiche dello stile chiuso o aperto - la bocca può configurarsi dunque come icona (o referente anatomico) della comunicazione poetica, designando una rete di scambi allusivi - cui si tenterà di dare risalto nelle note a seguire - in ispecie tra Giraut de Borneill e Raimbaut d’Aurenga. 3. Il trobar clus, la «copertura» e la parola trattenuta Le relazioni tra Raimbaut e gli altri poeti della sua generazione consentono di mettere in luce un ulteriore problema che costituisce a quest’altezza argomento di dibattito. Trattasi del tema del celar o, più in generale, della dissimulazione di amore, che diventa spunto per riflettere sullo stile ermetico: il trobar clus prende piede a partire dalla necessità di occultare il senso profondo della scrittura, e, per Raimbaut (come in Assaz m’es bel ) dei sentimenti. La scelta di manifestare o, viceversa, di occultare il sentimento d’amore ha quindi una ripercussione sulle scelte stilistico-formali. Non sarà un caso che il motivo della «copertura» nei trovatori (e in particolare in Raimbaut) venga affidata al verbo cobrir e al participio cubertz , in tal modo gettando un ponte tra il lessico specializzato per il topos del celar e quello del trobar clus . Sarà utile dunque confrontare adesso le espressioni concernenti la bocca e il trattenimento della parola con altre tracce che si raccolgono dai testi di scambio tra e refreidir ( BdT 210,16), v. 20: «que mandat m’a que no⋅m hiesca del cais» (Riquer 1996: 329); Raimon de las Salas, Deus aidatz ( BdT 409,2), v. 56: «no⋅us iesca del cays» (Chaguinian 2008: 179). 23 Il verbo di suono - a sua volta raro - gronhir aggiunge espressività a questo passaggio, con un’attenzione particolare alla fisionomia sonora della voce gorgogliante che ricorda l’uso marcato di verbi simili da parte di Marcabruno: cf. [A]d un estrun ( BdT 293,20), 13-18: «Grans er tot sens,/ si ren sai prens,/ per nuilla paor de chantar/ en rauca votz/ que ruich e glotz/ e non glafilla n’aut ni clar» (Dejeanne 1909: 94), dove tutti i verbi sembrano rimandare al repertorio della sonorità rauca o aspra; cf. inoltre Barsotti (2023b). 24 Tale fenomenologia è trasmessa probabilmente ai trovatori alla luce degli apporti della medicina e della teoria stoico-neoplatonica del pneuma, alla base della cui teorizzazione si colloca, ad esempio, il De insomniis del neoplatonico Sinesio, a cui si aggiunge l’attività di Boezio traduttore di Aristotele ( In librum Aristotelis De interpretazione libri sex ). Su questi aspetti cf. Agamben (1977: 109, 146-47), Bologna (2022: 41-47, 53-57) e Gubbini (2017 e 2020). Un «groviglio di voci»: questioni stilistiche nei trovatori della generazione di mezzo 201 DOI 10.24053/ VOX-2024-006 Vox Romanica 83 (2024): 193-212 Raimbaut d’Aurenga e Giraut de Borneill 25 . Al pari della bocca, anche la lingua e i denti sembrano assumersi l’incarico di veicolare metaforicamente il senso della parola poetica che passa, o che, al contrario, viene trattenuta 26 . Al v. 33 di Assaz m’es bel ( BdT 389,17) - canzone che Raimbaut d’Aurenga compose verisimilmente tra il 1170 e il 1171, cioè nel periodo di sodalizio con Giraut de Borneill 27 - un’espressione peculiare viene impiegata per richiamare la soglia tra l’ inz e il for . Riporto qui i versi di interesse (23-33): Ab sen novelh dic e favelh mon cubert ver e⋅l fas parer lay on tanh que sia parvens; que son enfan li mielhs parlan vas me; e sai qui⋅m n’es guirens, ab que⋅m demor gen dins mon cor si que ⋅ l dir no ⋅ m passa las dens 28 . La locuzione, piuttosto rara, passar las denz viene inserita (e non sarà forse un caso) in un luogo del testo dove il trovatore afferma di voler proteggere, con la sua poesia, un «cubert ver» (v. 25) 29 . Un passaggio, cioè, dove il signore d’Orange difende il proprio poetare chiuso in ragione della selettività che esso garantisce, in modo tale che il «vero segreto» del suo messaggio possa manifestarsi solo «lay on tanh que sia parvens» (v. 27), dunque, si deduce, solo presso i più meritevoli. Ma tornerò poco più avanti su questo testo e sulle ragioni ideologiche che lo connettono alla diatriba sul trobar clus . 25 L’amicizia tra Raimbaut d’Aurenga e Giraut de Borneill risale probabilmente alla fine del 1170, visto che nell’inverno 1171 i due partirono insieme per la corte di Alfonso II d’Aragona; cf. DBT (439a), e, precedentemente, Delbouille (1957: 58) e Pattison (1952: 23); d’altro canto Sharman (1989: 22) individua almeno una canzone di Giraut, la V ( Ailas, co muer! - Qe as, amis? , BdT 242,3), composta con Raimbaut d’Aurenga. 26 Sul riferimento ai dens si dirà tra breve. L’immagine della lingua, con il verbo escapar con soggetto i motz , compare in Raimbaut d’Aurenga, Ben s’eschai q’en bona cort ( BdT 389,20), 11-14: «An Mita ab lo nas cort,/ e qui l’apella dreich bort/ lau que la lenga l’arap/ que mais fols motz no⋅ill escap! »; Pattison (1952: 138). Essenziale sull’argomento Cabré (2003). 27 Sulla questione cf. ancora Barsotti (2021). 28 Testo Pattison (1952: 121); il corsivo è mio. 29 Raimbaut impiega il lemma dens anche nella battuta di risposta a Peire Rogier ( Seign’en Raimbaut, per vezer , BdT 356,7, 43-45) che gli chiede come preferisce essere chiamato, asserendo ( Peire Rogier, a trassaillir , BdT 389,34, 22-23): «Per me voletz mon nom auzir./ Cals son? - o drutz… Er clau las dens ! » (ivi, p. 88). Il riferimento ai denti compare anche altrove, nella lirica trobadorica, in espressioni correlate al «dire»: cf. Peire Vidal, Ges pel temps fer e brau ( BdT 364,24), Avalle (1960, II: 240), 65-66: «E dolon m’en las dens/ can parli d’aitals gens». 202 Susanna Barsotti DOI 10.24053/ VOX-2024-006 Vox Romanica 83 (2024): 193-212 Non sorprende, in un certo senso, che i denti e la bocca siano interscambiabili in questo genere di locuzioni. Un’espressione analoga a passar las dens , stavolta però tramite impiego marcato del lemma cais , compare (con stesso riferimento alla parola che sfugge) in Ges de sobrevoler no ⋅ m tuoil ( BdT 242,37), testo che Giraut de Borneill compose sulla scia dello scambio poetico con Raimbaut d’Aurenga e da annoverare, probabilmente, tra i prodotti postumi rispetto alla morte dell’amico 30 . Il riferimento si trova nei versi conclusivi della canzone, dove il trovatore tira le somme di quanto detto poco prima sull’amore infelice che lo tiene avvinto (55-58): E pero veiatz en l’escuoill Linhaura vers de trobador, e no⋅m n’aiatz per gabador si tant rics motz mi passa⋅l cais 31 ! Il passaggio si rende interessante per almeno due motivi: da un lato per il fatto di fare cenno a una escuoill/ Linhaura , che sembrerebbe alludere - al pari dell’ escola n’Eblo a cui fa cenno, come è noto, Bernart de Ventadorn 32 - all’esistenza di una vera e propria scuola poetica (identificabile forse in termini stilistici e capeggiata, si intende, dalla personalità di Raimbaut d’Aurenga) 33 ; dall’altro, per il fatto di impiegare, proprio in questo luogo strategico del testo, l’espressione (v. 58) «si tan rics motz mi passa⋅l cais». La nota di Sharman (1989: 158) è a tal proposito significativa: Giraut sta definendo sia il proprio vanto, sia il proprio stile, con una reductio ad unum che guarda, in ambo i casi, verso l’amico Raimbaut. Il riferimento all’ escuoill Linhaura viene mobilitato proprio nel momento del gap , con allusione all’atteggiamento oltranzista, da gabador per l’appunto (55-57: «E pero veiatz en l’escuoill/ Linhaura vers de trobador,/ e no⋅m n’aiatz per gabador»), che riconduce alla fama (anche stilistica) dell’istrionico conte d’Orange. Proprio qui Giraut impiega un’espressione connotata, quella della parola che sfiora la bocca, che in effetti è un prestito dalla stessa imagerie che questi trovatori mobilitano per indicare la favella, cioè il flatus che esce da « dinz » per diventare « for », linguaggio poetico. In tal caso i rics motz sono una specie di senhal dello stile rambaldiano, poiché additano un orizzonte allusivo che fa parte del repertorio di riflessioni sul trobar clus , richiamando il motivo della parola criptata, tenuta al segreto dentro (la bocca) e dunque «ricca» di significato nascosto; l’espressione non 30 Così Beltrami (2020: 374): «Giraut potrebbe dire en l’escolh/ Linhaure (55-6) il proprio vers o se stesso anche qualche tempo dopo la morte di Raimbaut, tanto più che la dedica non è a lui, ma al reis Ferans (Fernando II di León) e al reis n’Amfos (Alfonso VIII […])». 31 Sharman (1989: 154). 32 Lo tems vai e ven e vire ( BdT 70,30), v. 22-25: «Ja mais no serai chantaire/ ni de l’escola n’Eblo,/ que mos chantars no val gaire/ ni mas voutas ni mei so»; cf. Appel (1915: 180). 33 Cf. Sharman (1989: 158): «Perhaps this is evidence for seeing in Raimbaut the innovator of trobar ric ». Un «groviglio di voci»: questioni stilistiche nei trovatori della generazione di mezzo 203 DOI 10.24053/ VOX-2024-006 Vox Romanica 83 (2024): 193-212 può che ricordare, a mio avviso, il luogo in cui in Assaz m’es bel (v. 33) Raimbaut alludeva al rischio che il cubert ver sfuggisse attraverso las dens . Ma anche il lemma cais fa la sua comparsa in Raimbaut, in un passaggio di Entre gel e vent e fanc ( BdT 389,27), dove il trovatore afferma che, a causa dei rapporti di segretezza con midons , la bocca deve solo sapere ma non pronunciare il fatto che egli andrà da lei (47-49): Mas mandatz mi per plans essais, per tal cobrir sol sapcha ⋅ l cais ! Qu’eu irai lai de grant eslais 34 . Sintomatico che il lemma venga impiegato nell’ambito del topos del cobrir , che altro non è che una variazione del celar : in virtù del patto di segretezza che dovrà proteggere la sua signora, la bocca dovrà dunque solo «sapere», ma non «dire» - o, meglio, non «pronunciare» 35 - che andrà da lei; nell’immagine qui evocata, Raimbaut ribadisce, dunque, la funzione di barriera fisica e, insieme, espressiva dell’organo in questione. Le considerazioni sulla semantica del trattenimento e del rilascio del messaggio, a cui, si è visto, sembrano alludere in chiave simbolica i referenti organici della bocca e dei denti, possono essere estese ad altre espressioni peculiari impiegate, ancora una volta, da Giraut de Borneill. La poesia del trovatore limosino sembra d’altronde volgere verso lo stile ermetico nel momento in cui si tratta di orientare il testo all’espressione di un messaggio morale 36 ; in tal senso si distingue Si ⋅ m sentis fizels amics ( BdT 242,72) la quale - osserva Francesco Zambon (2021: 50) - «aggiunge […] dati importanti al trattatello sul trobar clus disseminato nel canzoniere di Guiraut de Borneil». Verso la fine della canzone, dopo aver riconosciuto al proprio testo lo statuto di un vero e proprio prezic (ossia di un «sermone», v. 56), il trovatore afferma (v. 60-66 dell’edizione Sharman): Mas, per miels assire Mon chan, vau cerchan 34 Cf. la traduzione di Pattison (1952: 115): «And, lady, why do I remain (away from you) so long? My seeing you does not cease because of anything else except that I fear - for this terrifies me - that it would harm you, gentle lady. But command me for a clear trial (of my love), with such secretiveness that only the mouth will know it! I shall rush swiftly into the trial». Questo passo è menzionato anche da Kolsen (1910-1935: 62: Ges de sobrevoler [Nr. 29], ‘ cais ’). 35 Cf. Kolsen (1910-1935: 62): «aber nicht aussprechen». 36 Di Giraut è stato in vario modo riconosciuto dagli studiosi lo statuto di trovatore «svolazzante fra trobar leu ed ermetismo»; cf. Contini (1976: 57-58). Su questa stessa linea anche Beltrami (2020: 197). Cf. su questo punto anche Zambon (2021: 54-55): «Per creare il trobar leu , Guiraut avrebbe in qualche modo separato i due atomi che formavano la molecola del trobar clus in Marcabru - la paraula escura e la razo morale - e combinato quest’ultima con una parola «chiara» per comporre una nuova molecola teorica. Così si spiegherebbe in lui l’alternanza degli stili, pur nella costanza degli intenti moralistici». 204 Susanna Barsotti DOI 10.24053/ VOX-2024-006 Vox Romanica 83 (2024): 193-212 bos motz en fre qui son tuit cargat e ple d’uns estrayns sens naturals , e no sabon tuit de cals 37 . È sempre Zambon a notare la stretta affinità semantica tra «l’idea di parole ‹tutte cariche di strani sensi naturali›» e «quella di un trobar ‹di sapienza gravido›», che di necessità è clus in quanto protegge «un senso nascosto», molto vicino non solo al cubert ver di Raimbaut, ma anche e soprattutto al trobar naturau di Marcabru, a cui sembra rimandare esplicitamente l’espressione «sens naturals» (v. 65) 38 . Le riflessioni sul trobar clus sembrano quindi appoggiarsi a espressioni ben connotate e volte ad esprimere il trattenimento del pensiero amoroso, che in senso metapoetico si concretizza in dichiarazioni sul controllo ferreo della parola poetica e sul suo potere evocativo. Anche il participio cargat , nel testo appena commentato, richiama d’altro canto l’ambito semantico dell’ingombro che si è visto proposto per la prima volta da Peire d’Alvernhe (richiamo di nuovo i versi 16-18 di Be m’es plazen : « ni sobre ⋅ l cays / leva tal fays / que corren no ⋅ l puesca portar »). L’immagine equestre del laccio che vincola - o, viceversa, della forza rilasciata - applicata alla questione ermeneutica e poetica (con il suo alludere alla semantica della chiusura e dell’apertura) connette invece questa lirica all’altra celebre canzone di Giraut, La flors del verjan ( BdT 242,42). Nella seconda cobla il trovatore giustifica il problema della difficile intelligibilità del suo dettato tramite l’immagine del laccio sciolto, veicolata dal participio eslaissatz (16-30) 39 : Donc drecgs es qu’eu chan c’a precs que per man; mas era diran que, si m’enforses com levet chantes, melhs m’ester’assatz. E non es vertatz; que sens enchartatz adui pretz e⋅l dona si com l’ochaizona nosens eslaissatz ; mas be cre que ges chans ancse 37 Sharman (1989: 181). 38 Zambon (2021: 51). I versi marcabruniani di riferimento sono ovviamente quelli di Lo vers comens quan vei del fau ( BdT 293,33), 7-12: «E segon trobar naturau/ port la peir’e l’esc’ e’l fozill,/ mas menut trobador bergau/ entrebesquill,/ mi tornon mon chant en badau/ en fant gratill»; testo Gaunt/ Harvey/ Paterson (2000: 415); su questo testo cf. anche De Conca (2009) e Roncaglia (1951). 39 Riproduco il testo Kolsen (1910-1935: 138) editato con modifiche da Zambon (2021: 243s.), in partic. al v. 23 dove viene introdotta la congettura enchartatz su echartatz (dovuta al mancato scioglimento di un titulus ): il significato dell’espresione è dunque ‘senso (in)scritto’ e, dunque, ‘celato’. Un «groviglio di voci»: questioni stilistiche nei trovatori della generazione di mezzo 205 DOI 10.24053/ VOX-2024-006 Vox Romanica 83 (2024): 193-212 no val al comensamen tan com pois, can om l’enten. Lo stesso testo ribadisce del resto poco dopo l’attenzione nei confronti dell’immagine del laccio e, insieme, della forza trattenuta e abbandonata, da intendersi in senso prettamente metapoetico, come Giraut parrebbe esplicitare ai v. 36-40: Car s’eu jonh ni latz menutz motz serratz, pois en sui lauzatz, can ma razos bona par ni s’abandona […]. La semantica del laccio che chiude il senso - ricorrente anche altrove nel corpus di Giraut 40 - non è tanto lontana dal significato che i trovatori, da Marcabru in avanti, conferiscono al verbo entrebescar : quest’ultimo si specializzerà tuttavia nel denotare soprattutto la complicazione formale (prima negativamente, in Marcabru, secondo cui l’artificio sarebbe riflesso di una corruzione interna, sostanziale). Queste immagini, al centro delle quali risaltano senz’altro la metafora tessile e quella equestre connessa al lemma fre (‘freno’), sembrano alludere agli impedimenti che rendono tortuoso l’accesso al senso profondo della parola, enfatizzando così i valori ermeneutici che derivano dal complesso rapporto tra forme e contenuti. A questo proposito appare interessante l’accostamento tra il participio di eslaissar e il lemma fre in Aimeric de Peguilhan, Totz hom qui so blasma que deu lauzar ( BdT 10,52), 17-24 (Shepard/ Chambers 1950: 240): A manhs homes aug Amor acuzar ez el maldir d’Amor asotilar, que cavaliers ai vistz e trobadors que de baissatz fes altz e d’altz aussors, tant eslaissatz que non tenion fre de dir d’Amor tot mal senes merce, aissi cum es de tracion mortal; e seh qu’a faitz de nien fan aital. Sebbene l’espressione sia inserita in un discorso lontano dal contesto metapoetico, peculiare è che essa ricorra in concomitanza con il verbo dir , cioè per indicare l’incapacità, in alcuni cavalieri e trovatori, del controllo nell’uso della parola laddove si tratti di parlare male d’amore (v. 22). Nel discorso sull’amore e sul suo trattenimen- 40 Lo stesso immaginario si trova al centro della V cobla di Ans que venia ⋅ l nous frugz tendres ( BdT 242,10), 33-38: «E si⋅l malvatz crup-en-sendres/ s’enardis qu’en lais s’eslaixe,/ vils sia tengutz o bas; / c’aixi desfil’e destejn/ desaffrenatz domneihars,/ qui⋅l pretz no⋅i garda ni⋅l sojn»; cf. Zambon (2021: 233s.). 206 Susanna Barsotti DOI 10.24053/ VOX-2024-006 Vox Romanica 83 (2024): 193-212 to il lemma fre ben si presta, dunque, anche al contesto semantico della locutio 41 . Se ne trova un altro esempio anche nella lirica di Gaucelm Faidit, un altro, cioè, dei possibili interlocutori di Raimbaut d’Aurenga (se è questi a partecipare al partimen Ara ⋅ m digatz, Gaucelm Faidit , BdT 167,8 = 188,4) 42 , in Mout voluntiers chantera per amor ( BdT 167,41), 15-18 (Mouzat 1965: 63): quar vos m’avetz mes ins el cor lo fre ab que ⋅ m tenetz la boca de parlar , que nulh’autra non vuelh ni non deman mas vos, cui am mais que dir no sabria. L’immagine del freno, accompagnata a quella della bocca o del laccio che slega la parola (veicolata dal verbo eslaissar ) vuole rappresentare in questi poeti un tema che connette la frontiera fisica tra la dimensione interiore (che custodisce, tenendolo sotto controllo, un messaggio al segreto) e l’esternazione in forma di liberazione della parola. Il lessico in questione stringe dunque le argomentazioni sul trobar clus e quelle sul celar all’interno di una stessa «nebulosa semica» (etichetta, questa, coniata da Pierre Bec nel 1968 e su cui tornerò poco oltre): il raggruppamento di lemmi e concetti caratterizzanti questi temi consente dunque di identificare delle griglie dialogiche tra alcuni specifici trovatori e di inserire i possibili riferimenti all’interno di una rete allusiva ben più complessa e sotterranea degli scambi espliciti presentati dalle tenzoni. 4. Conclusioni: «nebulose semiche» Il ricorrere di una «catena» o «nebulosa semica», categoria che fa da fondamento alle relazioni qui indagate, risale a un concetto elaborato in seno alla critica strutturalista nel 1968 da Pierre Bec a proposito di alcune isotopie all’interno dei testi di Bernart de Ventadorn ed è stato recentemente riproposto da Nicolò Premi in un intervento su Pons de la Guardia (Bec 1968: 546, Premi 2021). Credo che giovi selezionare, per parlare di intertestualità, il concetto di «nebulosa» più ancora che di «catena» per definire i temi oggetto di scambio dialogico e intertestuale. Il concetto 41 La metafora equestre e l’immagine del freno ricorrono nella lirica d’amore a partire da Jaufre Rudel, Quan lo rossignol el foillos ( BdT 262,6, 12-14; Chiarini 2003: 119) e arriva per questo canale anche alla lirica italiana delle origini; cf. Guido delle Colonne, Amor, che lungiamente m’ài menato , 1-3, su cui cf. Moleta (1977): «Amor, che lungiamente m’ài menato/ a freno stretto sanza riposanza,/ alarga le tue redine in pietanza». 42 Cf. DBT (202b): «Tali convinzioni però sono tutt’altro che indiscutibili, giacché nulla esclude che G. sia ricorso allo pseudonimo proprio in ragione della fama da cui esso era accompagnato. Nulla nemmeno impedisce poi che il coature della diatriba possa essere riconosciuto in Raimbaut (IV) d’Aurenga, o addirittura nell’altro omonimo, Raimbaut de Vaqueiras, col quale sappiamo per certo che, negli anni Novanta e nei primissimi anni della tredicesima centuria, il trovatore limosino ebbe rapporti poetici e personali assai stretti». Un «groviglio di voci»: questioni stilistiche nei trovatori della generazione di mezzo 207 DOI 10.24053/ VOX-2024-006 Vox Romanica 83 (2024): 193-212 positivista e strutturalista di «catena» è utile e interessante per il fatto di rendere l’idea del ricorrere di un pattern , di una struttura; ma il contatto intertestuale, per sua natura «multiplanare» ed estesa a più elementi del testo, può a mio avviso giovare dell’estensione, non sempre schematicamente definibile, di «nebulosa» (e quindi della metafora galattica), che offre una rappresentazione visuale migliore, in grado di rendere il concetto di «interferenza». I rapporti tra Raimbaut d’Aurenga e Giraut de Borneill possono essere valorizzati, ad esempio, anche dando valore a un espediente di tipo retorico-sintattico ossia l’uso del dialogo interno con interrogative, rivolte a un interlocutore esterno, fittizio o più spesso a sé stessi. Trattasi di un espediente che diverrà di larghissimo uso, nei trovatori successivi così come nei trovieri, e che le Leys d’Amors classificano come coblas tensonadas 43 . Questo modulo, che Raimbaut sfrutta a più riprese (ad esempio per aggiungere drammaticità alla topica disforica di amore in Amors, cum er, que farai? , BdT 389,8), comparirebbe secondo Sharman (1989: 66) nelle canzoni di Giraut che appartengono alla prima produzione del limosino (come la celebre Ailas co muer , BdT 242,3) 44 , cioè quella condizionata maggiormente dal sodalizio con Raimbaut. Ma quel che importa ribadire è che i risvolti epistemologici dell’intertestualità si intersecano, di necessità, con il piano storico delle vicende letterarie, consentendo 43 Cf. a questo proposito Riquer (1975, I: 486), Anglade (1919, II: 166), Fedi (2019: 318, 363). 44 Trattasi di una canzone che Kolsen ipotizzò essere parte di uno scambio con Raimbaut d’Aurenga, identificò un dialogo proprio con Raimbaut. Anche se non si può affermare con certezza che l’interlocutore sia propriamente Raimbaut (si veda, a tal proposito, la nota scettica di Beltrami (2020: 373-74) la trasmissione del testo reca indizio di questo possibile intreccio giacché il canzoniere V inserisce Ailas dopo sei canzoni del signore d’Orange; Raimbaut inoltre (se di Raimbaut si tratta) verrebbe qui incalzato da Giraut tramite l’appellativo Segnier , lo stesso che Giraut indirizza a Raimbaut nella famosa tenzone Ara ⋅ m platz, Guiraut de Borneill . L’espediente retorico-sintattico delle interrogative porta anche sulle tracce di un rapporto tra Raimbaut d’Aurenga, Giraut de Borneill e Peire Rogier, che in Ges non puesc en bon vers fallir ( BdT 356,4), v. 41-48, esprimerebbe l’intento di echeggiare Giraut. Nicholson (1976: 24-25), non solo nota che anche Peire nutre una certa simpatia per questo modulo retorico, ma ipotizza a sua volta il possibile influsso di Raimbaut d’Aurenga su questa cobla e quella successiva, nata da una forma di collaborazione poetica con il signore d’Orange (e rimanda ai noti sirventesi che li vedono fronteggiarsi, quali Seign’en Raïmbaut, per vezer , BdT 356,7, e la sua risposta Peire Rogier, a trassallir , BdT 389,34). Lo stesso modulo retorico riutilizzato, come notano gli studiosi già a partire da Kolsen, da parte dall’anonimo del romanzo Flamenca , dove mettendo insieme le battute bisillabiche tra la protagonista e Guillem si ottiene una micro-poesia dialogata di cinque octosyllabes («‹Ailas! › ‹Que plans? › ‹Mur mi›. ‹De que? ›/ ‹Deu! › ‹Hoc, domna, bos es? › ‹Margarida, trop ben t’es pres/ et ja iers bona trobairis›»; cf. Manetti (2008: 38). La struttura sintattico-retorica in questione resta impressa dunque per la sua peculiarità e la sua componente teatrale nella memoria degli autori. La tendenza alla drammatizzazione dialogica di Raimbaut d’Aurenga e Giraut de Borneill, di cui questi testi costituiscono una sorta di laboratorio-retorico, raggiungerà il suo acme nella tenzone sullo stile Ara ⋅ m platz , la cui funzione teatrale, insita nel dialogo bipartito in due posizioni, è stata già opportunamente notata dagli studi quali Meneghetti (1992: 115). Questo modulo potrebbe aver influito anche sulla tradizione poetica italiana, se si pensa all’ incipit del Mare Amoroso (v. 1: «Amor mi’ bello, or che sarà di me? ») o a Petrarca, Rvf 286, v.1: «Che debb’io far? che mi consigli, Amore? »). Sui rapporti di scambio tra Peire Rogier e Raimbaut d’Aurenga si veda anche Beltrami (2022: 51-54). 208 Susanna Barsotti DOI 10.24053/ VOX-2024-006 Vox Romanica 83 (2024): 193-212 anche su un piano più ampio (si pensi all’incidenza, per i trovatori del 1170, del raduno di Poitiers 45 ) di ricostruire delle relazioni in base a eventi e periodi di produzione e dunque elucidando dinamiche di circolazione e ricezione che si rivelano cruciali per la nostra conoscenza dello spaccato storico delle corti provenzali. Lo sforzo che si è chiamati a fare è di provare ad immaginare l’attività poetica dei trovatori non come manifestazione di singole personalità isolate, ma come una «rete», fatta di cenacoli e sodalizi, ovvero di persone avvezze a riunirsi negli stessi ambienti e dunque a coltivare a stretto contatto la poesia 46 . Per quanto riguarda più strettamente il legame tra Raimbaut d’Aurenga e Giraut de Borneill, importante sarà dedicare attenzione ai rapporti con la Spagna, con Alfonso II d’Aragona e con la famiglia di Urgell (messi in luce recentemente da Gerardo Larghi): fatti rilevanti poiché fanno emergere in controluce l’incisività dell’incontro con l’amico limosino, con cui Raimbaut raggiunse nel 1171 la corte di Aragona; il soggiorno sarebbe durato pochissimo 47 , ma tanto bastò, a quanto sembra, per consolidare l’amicizia con il trovatore limosino e garantire un sodalizio che ha sicuramente dei risvolti sul piano della produzione poetica. Di qui la necessità, ribadita già da Cingolani, di fare interagire l’«operazione storiografica» con «la ricerca retorica e ideologica», essendo quest’ultima «costantemente interrelazionata con la produzione precedente e contemporanea in una fittissima rete di intertestualità» 48 . In ultima analisi, importante sarà ribadire la finalità ermeneutica di indagini che, a partire dal riconoscimento di un lessico specializzato allo sviluppo di un dato tema, possano aprire la strada a una conoscenza più approfondita di legami umani, dei cenacoli e dei sodalizi. Solo in questo modo, cioè tramite l’identificazione e lo studio semantico di quelli che si scoprono essere dei possibili vettori dialogici, si potrà aprire la strada ad un apprezzamento più profondo dei testi, nonché ad una lettura più consapevole e storicamente orientata di questioni cruciali che animano un periodo tanto centrale della storia del trobar . Bibliografia a gamBen , G. 1977: Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale , Torino, Einaudi. a nglaDe , J. 1919: Las Leys d’Amors , Toulouse, Privat. 45 Sull’argomento rinvio a Rossi (1995), Bonafin (1996), Guida (1998) e infine Zambon (2021: 169). 46 Su questo punto richiamo un’osservazione di Majorossy (2006: 127): «Il n’est pas tellement connu que les troubadours, comme tous les représentants de n’importe quel métier, formèrent des cercles, presque des écoles poétiques». 47 Nel giugno dello stesso anno Raimbaut sarebbe tornato a casa (dal momento che in questo mese il suo nome compare in un atto che attesta la ricezione del castrum di Pignan); cf. Pattison (1952: 217). 48 Cingolani (1989: 45). Simile è lo scopo, con estensione anche geografica, del progetto PARLI (Sapienza Università di Roma). Un «groviglio di voci»: questioni stilistiche nei trovatori della generazione di mezzo 209 DOI 10.24053/ VOX-2024-006 Vox Romanica 83 (2024): 193-212 a PPel , C. 1915: Bernart von Ventadorn: seine Lieder, mit Einleitung und Glossar , Halle, Niemeyer. a Valle , D’A. S. 1960: Peire Vidal, Poesie , Milano/ Napoli, Ricciardi. B arachini , G./ V iel , R., 2016: «Valore lessicale della suffissazione in ‹-uc› nel sistema rimico dei trovatori», in: E. B üchi / J.-P. c hauVeau / J.-M. P ierrei (ed.), Actes du XXVII e Cogrès international de linguistique et de philologie romanes (Nancy, 15-20 juillet 2013) , Strasbourg, EliPhi: 37-48. B arSotti , S. 2021: «Raimbaut d’Aurenga, Assaz m’es bel ( BdT 389.17)», LT 14: 89-138. B arSotti , S. 2022: [recensione] Francesco Zambon, Il fiore inverso. I poeti del trobar clus, Milano, Luni, 2021, 511 pp. , CN 82/ 3-4: 401-07. B arSotti , S. 2023a: « Marcabrus per gran dreitura . La rima in ura tra forma, ideologia e fortuna di Marcabruno», MR 47/ 1: 104-40. 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DOI 10.24053/ VOX-2024-006 Vox Romanica 83 (2024): 193-212 A «tangle of voices»: Stylistic issues in the troubadours of the middle generation Abstract: Around the year 1170, the dialogue between Giraut de Borneill and Raimbaut d’Aurenga highlights the elaboration of a «theory of style» that discusses the formal and ideological premises of Marcabru’s hermetic trobar . Several compositions attributable to these troubadours are grouped around the theme of the expression of feelings or, on the contrary, their concealment under difficult formal dresses with the insertions of allusive elements reminiscent of the poetics of Marcabru or Peire d’Alvernhe. An important case study is provided, for example, by the image of the mouth as a symbol of the poetic word, in the terms (rare within the corpus) cays (‘mouth’) and dens (‘teeth’). The reference is probably part of a repertoire of marked expressions that lead to reflection on the trobar clus and to the meaning of the externalization (or, on the contrary, concealment) of the word. Raimbaut d’Aurenga is at the center of this «tangle» because of his high social and noble position, as well as the fact that he represents the heart of an exchange that also has historical significance. With these coordinates, as a starting point, the purpose of this article is to extrapolate methodological considerations to approach the allusive references in the corpus and the relationships between texts and historical circumstances. From the hermeneutic point of view, the enhancement of intertextuality aims to guarantee a deeper appreciation of the texts, as well as a more conscious and refined reading of the formal references of a crucial period in the history of trobar . Keywords: Troubadours, Medieval lyric poetry, Old Occitan literature, Intertextuality, Stylistic issues, Troubadours’ dialogues, Troubadour history 212 Susanna Barsotti