eJournals Vox Romanica 83/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
10.24053/VOX-2024-009
0217
2025
831 Kristol De Stefani

Gaia Gubbini, Vulnus amoris. The transformations of «love’s wound» in medieval Romance literature, Berlin (De Gruyter) 2023, viii + 212 p. (Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie).

0217
2025
Eleonora Cannavacciuolohttps://orcid.org/0009-0001-1488-6557
vox8310219
219 DOI 10.24053/ VOX-2024-009 Vox Romanica 83 (2024): 219-223 Besprechungen - Comptes rendus g aia g ubbini , Vulnus amoris. The transformations of «love’s wound» in medieval Romance literature , Berlin (De Gruyter) 2023, viii + 212 p. ( Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie ). La monografia di Gaia Gubbini, pubblicata da De Gruyter per la collana Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie, si articola in sette capitoli ed è il risultato della tesi di abilitazione dell’autrice, nella quale sono confluiti molti dei suoi contributi scientifici apparsi nell’ultimo decennio, ripresi integralmente o dopo parziale rielaborazione. Il corpus di analisi consiste di un gruppo di testi oitanici, occitani e italiani redatti tra il XII e il XIV secolo, sul quale viene condotta un’indagine che mira a mettere in luce le diverse funzioni e declinazioni che il tema del vulnus amoris , erede tanto dei testi biblici quanto della cultura classica, assume nelle letterature romanze medievali. L’obiettivo è quello di investigare le rappresentazioni della ferita d’amore nelle diverse tipologie testuali. In particolare, G. vuole mostrare come il percorso del vulnus amoris si sovrapponga a quello del concetto di passio , che ha subito una simile rifunzionalizzazione da tema originariamente religioso a motivo letterario dell’amor profano. Nel capitolo introduttivo si propone una definizione di vulnus amoris piuttosto ampia - «the wound caused by love as in a subjective genitive, whether metaphorically (struck by Cupido) or medically (the malady caused by love)» (p. 2 N6) - e infatti il discorso chiamerà in causa immagini e situazioni narrative che, pure essendo accomunate dal dato primario della ferita o della malattia, si collocano lungo tutto l’arco che va dalla massima referenzialità alla metafora, dalla dimensione mistica a quella profana. L’argomentazione prende avvio dall’immagine più topica della ferita d’amore: il secondo capitolo propone infatti un percorso all’interno della lirica, in cui, com’è noto, il vulnus amoris è impiegato entro costrutti di natura metaforica e si mostra particolarmente produttivo. G. adotta un approccio di tipo intertestuale, sostenendo, attraverso riscontri concettuali e lessicali, che la rappresentazione del vulnus amoris che Raimbaut d’Aurenga fa in Un vers farai de tal mena ( BEdT 389,041) mostri l’influenza della ponha d’amor di Jaufre Rudel, che quest’ultimo avrebbe a sua volta derivato - applicandola però all’amor profano - dal concetto di compunctio amoris sviluppato da Gregorio Magno. Il capitolo presenta poi altre modalità di rappresentazione del vulnus amoris nella tradizione lirica italiana, francese e occitana, in particolare quelle della ferita inflitta attraverso lo sguardo e attraverso il bacio della donna amata. Siamo dunque di fronte alla più classica delle rappresentazioni del vulnus amoris . L’allargamento della definizione di ferita d’amore si fa evidente nel capitolo successivo, che si articola intorno a testi per lo più narrativi. L’obiettivo dell’autrice è di mostrare come il vulnus amoris assuma nei testi non lirici una funzione innanzitutto diegetica. È per esempio il caso del lai di Guigemar , che sarebbe «entirely built on the metaphors of the vulnus amoris and of the aegritudo amoris » (p. 53) 1 : la ferita, che il protagonista riceve dalla freccia da lui 1 A p. 54 l’autrice afferma che «in the manuscripts in which it has been handed down, the text Guigemar is the first lai that opens the collection of the lais of Marie de France», tuttavia questo è vero solo per due dei tre codici che ci hanno conservato il testo: nel manoscritto B.N.f.fr. 2168 Guigemar segue infatti Yonec . 220 DOI 10.24053/ VOX-2024-009 Vox Romanica 83 (2024): 219-223 Besprechungen - Comptes rendus stesso scagliata contro la cerva bianca, avvia infatti l’azione del racconto. Gli studi ispirati a metodologie di stampo etno-antropologico e comparatistico hanno però messo in evidenza come in questo testo sia riconoscibile un’altra tipologia di ferita, meno specificamente associata all’esperienza dell’amore, vale a dire una ferita magica o feerica 2 . Nel nucleo narrativo ripreso da Maria di Francia, in cui l’identificazione della cerva con la donna era con ogni probabilità esplicita, è facilmente individuabile un diffuso schema folklorico (TI: D 2161.4.10.2, Wound healed only by person who gave it ) che si ritrova in molti altri testi medievali che presentano il motivo della ferita insanabile. G. accenna, naturalmente, al fatto che ci troviamo in una dimensione magico-folclorica; tuttavia, nella sua analisi tende a prescindere da questo dato primario, tanto che ferite riconducibili a un simile modello sono considerate separatamente (è per esempio il caso di quella inflitta da Morholt a Tristano, analizzata nel sesto capitolo). Il tema è tanto fecondo e interessante che sarebbe stato forse utile identificare un sottogruppo di testi che presentano questa particolare sovrapposizione tra ferita magica e ferita d’amore e trattarlo nella sua specificità. La doppia funzione, metaforica e referenziale, del vulnus amoris è invece più evidente nel lai di Equitan : l’innamoramento del re per la moglie del suo siniscalco è rappresentato attraverso l’immagine topica della saetta lanciata da Amore nel cuore della sua vittima, ma la malattia che consegue è reale e il re presenta i sintomi tutti fisici della aegritudo amoris . G. aggiunge che forse è possibile leggere anche l’elemento narrativo del salasso come metafora dell’eccesso d’amore, e identificarvi quindi un’ulteriore declinazione del vulnus amoris . In questo capitolo l’autrice conferma la predilezione per un orizzonte di lettura ispirato al metodo intertestuale. Prendiamo, per esempio, il caso della canzone Cuer desirrous apaie che G. propone di attribuire a Blondel de Nesle sulla base della presenza del tema della ferita d’amore, particolarmente frequentato dal troviero. L’attribuzione sarebbe supportata dalla presenza, nella canzone, di quella che l’autrice identifica come una citazione letterale di Guigemar e che, per prossimità cronologica (gli anni 1175-1180) e culturale (l’Impero plantageneto) sarebbe più verosimile in Blondel de Nesle che in Guiot de Dijon, l’altro autore a cui la tradizione manoscritta attribuisce il componimento. I due passaggi, presi singolarmente, sono indubbiamente vicini: «Premiers basiers est plaie / d’Amours dedenz cors ,/ mout m’angoisse et esmaie/ se n’i pert dehors » ( Cuer desirrous apaie , v. 9-12) e « Amur est plaie dedenz cors / E si ne piert nïent defors » ( Guigemar , v. 483-84). Appare però legittimo chiedersi se non si sia di fronte a una formula topica o comunque di larga diffusione, che del resto si ritrova quasi identica nell’estratto di Cligès citato dalla stessa G. nel capitolo introduttivo (p. 10-11): «Mes trop me bat, ice m’ esmaie ./ Ja n’i pert il ne cop ne plaie ,/ Et si m’an plaing? Don n’ai ge tort? / Nenil, qu’il m’a navré si fort,/ Que jusqu’au cuer m’a son d art trait,/ Mes ne l’a pas a lui retrait./ Comant le t’a donc trait el cors ,/ Quant la plaie ne pert de fors ? » ( Cligès , v. 681s.). Connessioni intertestuali sono rilevate da G. anche tra il lai di Guigemar , che tira in causa la relazione tra Natura e vulnus amoris («Jamais n’aies tu medecine ! / Ne par herbe ne par racine / Ne par mire ne par pociun/ N’avras tu jamés garisun/ De la plaie je as en la quisse», v. 109-13 2 Si veda, soprattutto, il brillante contributo di Carlo Donà: d onà , C.: «La cerva divina, Guigemar e il viaggio iniziatico», Medioevo romanzo 20 (1996): 321-77 e 21 (1997): 3-68. 221 DOI 10.24053/ VOX-2024-009 Vox Romanica 83 (2024): 219-223 Besprechungen - Comptes rendus e anche « Amur est plaie dedenz cors / E si ne piert nïent defors ./ Ceo est un mal que lunges tient,/ Pur ceo que de Nature vient », v. 483-86) e il romanzo di Flamenca , relativamente al passaggio che mette in scena Guilhem in preda ai sintomi della aegritudo amoris : « Al vostre mal queres mecina ,/ Mais non ges erba ni resina / Ni nulla re en qu’ieu obs aia,/ Car no.s coven a vostra plaia ./ Amors es plaia d’esperit ,/ En que.s deleiton li ferit/ Tan que de garir non an cura,/ Per que no.s n’entramet Natura » ( Flamenca , v. 3023-26). Prendendo le distanze da Alberto Limentani - che in relazione a questo estratto del romanzo accennava a Guigemar come facente forse parte dei «materiali discesi dall’ Eneas che sarebbero potuti confluire in Flamenca vicini ormai a uno stadio di detrito memorizzato, confuso e rifuso» 3 -, G. sostiene che si tratti di una citazione consapevole: in the passage of Flamenca we do not find a simple quotation, but, I would say, a quotation that partially seems per opposita . Both texts agree that the aegritudo amoris is a malady that lasts long. Yet whereas the passage in Guigemar affirms that this sickness lasts long because it comes from Nature […], the text in Flamenca says that Nature does not intervene […] because the ills, unlike in other cases, do not heal, and also because ‹love is a sore of the spirit› (‹Amors es plaia d’esperit›) and not a simple malady of the body. Why this change of perspective in Flamenca compared to Guigemar ? Are we dealing with a change of perspective in the crucial concept of natura from the twelfth to the thirteenth centuries? (p. 63). Va detto, tuttavia, che la circolazione dei Lais di Maria di Francia nel Midi del Duecento non può essere data per scontata e che dunque i dati materiali non supportano una conoscenza diretta di Guigemar da parte dell’autore di Flamenca . Del resto, il tema della malattia d’amore che Natura non può guarire è estremamente diffuso e lo si trova già nelle Metamorfosi di Ovidio (I, 519-24). Quanto ai riscontri lessicali, la rima racine : medecine 4 è piuttosto documentata, così come il suo corrispettivo occitano racina : mezina 5 . Le conclusioni di G. sulla diversa concezione della Natura tra XII e XIII secolo restano d’altronde plausibili anche senza dover ammettere una filiazione diretta tra Guigemar e Flamenca : il rilievo di una formularità lessicale nei testi che mettono in scena il vulnus amoris è certamente pertinente e proficuo, non soltanto perché «it is possible to discover new connections between texts apparently distant from each other» (p. 57) ma anche perché, pur in assenza di prove definitive circa la derivazione di un testo da un altro, dimostra come gli autori medievali abbiano progressivamente elaborato specifiche modalità di rappresentazione che tendono a ripetersi e ad associarsi all’oggetto rappresentato anche in contesti molto diversi. 3 L imentani , a. 1977: L’eccezione narrativa: la Provenza medievale e l’arte del racconto , Torino, Einaudi, p. 206. 4 Da notare, tuttavia, che nei due testi la parola che rima con medecine / mecina non è la stessa: in Guigemar si ha racine , che significa ‘radice’, mentre in Flamenca troviamo resina , cioè ‘resina’. 5 La troviamo ad esempio nello stesso Blondel de Nesle, nella canzone Li rossignous a noncié la nouvele , v. 22-23: «Quar mieuz conoist de mes maus la racine ./ Ne puis sanz li recouvrer medecine ». Particolarmente rilevante in Marcabru, L’iverns vai e·l temps s’aizina ( BEdT 293: 31, v. 27s.), in un passaggio che insiste specificamente sulla natura dell’amore. 222 DOI 10.24053/ VOX-2024-009 Vox Romanica 83 (2024): 219-223 Besprechungen - Comptes rendus Nel quarto capitolo la definizione di vulnus amoris si allarga alla sfera pienamente religiosa: si analizzano in particolare le modalità di rappresentazione delle ferite di Cristo sulla croce nella Passion des Jongleurs e nella Passion catalane-occitane . Nel primo testo la cruda rappresentazione delle piaghe è funzionale alla celebrazione del Cristo, mentre il secondo attribuisce al vulnus una connotazione di salvezza. Una seconda sezione si concentra sulle laude italiane e sul crescente realismo nella rappresentazione della Passione di Cristo. È particolare l’impiego del tema in Iacopone da Todi, che riprende il vulnus amoris in funzione metaforica, riutilizzando forme e moduli della lirica profana, a rappresentare però «mystical involvement and deep emotion, a felling both physical and spiritual» (p. 75). Nel capitolo 5 si torna alla narrativa, in versi e in prosa. La prima sezione esamina tre testi in cui il modulo della ferita si concretizza in una puntuale declinazione, vale a dire un personaggio maschile ferito che macchia di sangue le lenzuola della donna amata: il lai di Yonec , il Tristan di Béroul e il Chevalier de la Charrette . Attraverso il motivo delle macchie di sangue, G. vuole mostrare l’«increasing ‹Christianisation› of the metaphor of love’s wound in the passage from the lais , to the romances, first in verses and then in prose» (p. 112). Se è pacifico il rapporto tra le scene in cui Tristano e Lancillotto sporcano di sangue le lenzuola rispettivamente di Isotta e di Ginevra, senza accorgersene perché presi dalla passione, il legame che questi due testi intrattengono con Yonec è più labile, e G. lo individua nel contesto della caccia, presente nel lai e in Tristan . Tuttavia la ferita in Yonec ha un rapporto meno stretto, o quantomeno diverso, con l’amore, rispetto agli altri due testi. Il personaggio di Muldumarec è ferito dal marito della donna che ama: la ferita è in questo caso mortale, ed è dettata dalla gelosia e dalla volontà di vendicarsi, in seguito alla scoperta del rapporto clandestino. Invece in Béroul e in Chrétien il sangue sulle lenzuola è l’elemento attraverso cui la relazione adultera viene scoperta e le ferite hanno un’origine ancora diversa: a Tristano si riapre una piaga procuratagli il giorno precedente da un cinghiale, mentre quella di Lancillotto è una ferita che il protagonista si autoinfligge su due dita forzando l’inferriata che lo separa da Ginevra. Quanto alla ferita del Re Pescatore nel Conte du Graal , che G. analizza nella seconda parte del capitolo, essa è verosimilmente riconducibile allo stesso schema folclorico della ferita magica insanabile applicabile a Guigemar . Nel sesto capitolo lo sguardo si allarga notevolmente, spostando l’attenzione sul concetto di guarigione, opposto ma complementare a quello della ferita: l’analisi si concentra sui «cases of healing or solace provided by female characters […] as a therapy for emotional ‹pain› in a more general sense, including the solace that the beloved can provide to a lover who is shattered and destroyed by amorous passion as such» (p. 115). Il tema è analizzato tramite numerosi testi, da Guglielmo IX a Dante, passando anche per opere narrative, con l’obiettivo di mostrare come «the healing of the passion gradually loses its corporeality, until it fades into the supernatural light of the heavenly Beatrice» (p. 183). Attraverso il punto di vista della guarigione G. ritorna anche su alcuni dei testi e autori già analizzati nei precedenti capitoli, come la Charrette di Chrétien de Troyes, o Blondel de Nesle. Di quest’ultimo, per esempio, si analizza un’altra canzone, Bien doit chanter qui fine amours adrece , che riprende il motivo del vulnus amoris così come si presenta tipicamente nei testi lirici, ma sviluppandolo poi ulteriormente nella possibilità di guarigione, attraverso il tema del guerredon . 223 DOI 10.24053/ VOX-2024-010 Vox Romanica 83 (2024): 223-226 Besprechungen - Comptes rendus Un settimo e ultimo capitolo torna molto sinteticamente sulle conclusioni dei cinque percorsi tematici precedenti, che a loro volta si chiudono tutti con un paragrafo riassuntivo dei nuovi apporti interpretativi. Lungo tutto il volume sono presenti degli excursus , che aprono parentesi su argomenti più o meno integrati nel discorso. Completano il libro la bibliografia e un indice degli autori antichi - dal quale rimangono purtroppo esclusi i testi anonimi. Il libro, seppur relativamente breve, esamina come si è visto un ventaglio eterogeneo di moduli legati alla ferita e alla malattia, accogliendoli dentro a una definizione di vulnus amoris che si allarga progressivamente. Un lavoro dedicato a un tema così centrale nelle letterature romanze medievali non può, per sua natura, essere esaustivo, ma il volume di G., mostrando la produttività e la dinamicità che il motivo della ferita ha assunto nella produzione artistica medievale, costituisce senza dubbio un punto di partenza per ulteriori indagini e approfondimenti. L’attenzione consacrata al riepilogo delle trame, che spesso introducono e contestualizzano gli estratti citati, e le traduzioni in inglese poste in nota permettono una fruizione anche al di fuori del pubblico specialista. Eleonora Cannavacciuolo (Université de Genève) https: / / orcid.org/ 0009-0001-1488-6557 ★ P aoLo C aniettieRi / m agdaLena L eón g ómez / L uCiLLa S Petia (ed.), I Re Poeti, Roma («L’ER- MA» di Bretschneider) 2023, xix + 431 p. ( Filologia classica e medievale 8). De muy reciente aparición, el volumen I re poeti cumple a la perfección el objetivo de la colección que lo acoge, es decir, participar en el estudio de «los orígenes del sistema literario europeo, los primeros desarrollos de sus géneros y la tradición textual de las obras que establecen su paradigma cultural». El libro, en el cual se publican las actas del Coloquio Internacional de idéntico título que tuvo lugar en la ciudad de L’Aquila del 16 al 18 de marzo de 2022, está compuesto de diecisiete capítulos prologados por una muy útil introducción, y completado por unos índices de nombres, lugares y obras, así como de los manuscritos y de las composiciones citadas por incipit o número de repertorio, a cargo de Emanuele F. Di Meo. Editado por colegas de reconocida competencia en el campo del análisis de la lírica del medievo central, esta publicación se caracteriza por su coherencia, pues se centra en la reflexión, siempre minuciosa y basada en la bibliografía más autorizada, sobre un patrimonio lírico singular, el constituido por la obra de varios monarcas. La secuencia cronológica es la de un amplio siglo XIII (salvo por la presencia del estudio introductorio de Franco di Vivo que versa sobre la acción poética del rey anglosajón Alfredo, quien vivió en el siglo IX). Son las figuras de Ricardo I de Inglaterra y de Denis I de Portugal las únicas que desbordan los límites del Doscientos, respectivamente, situándose una a finales del siglo XII y otra a principios del XIV. La cohesión de los estudios y su interdependencia mutua caracterizan por lo tanto, sin lugar a duda, este panorama completo de los estudios relativos a los reyes poetas de la Edad Media europea que compusieron obras poéticas en romance. I re poeti , además de proporcionar un sugerente paisaje de la función de la poesía en las cortes occidentales del siglo XIII y