Itinerari salvioniani
Per Carlo Salvioni nel centocinquantenario della nascita
1006
2011
978-3-7720-5418-1
978-3-7720-8418-8
A. Francke Verlag
Michele Loporcaro
Il volume propone al lettore un accostamento alla figura e all'opera di Carlo Salvioni (Bellinzona 1858-Milano 1920), affrontando diversi aspetti della sua vicenda biografica e intellettuale e della sua produzione scientifica. Allievo a Lipsia dei neogrammatici, poi collaboratore di Graziadio Isaia Ascoli all'<<Archivio Glottologico Italiano>> - rivista con cui Ascoli gettò le basi della moderna linguistica italiana - all'Ascoli succedette nella direzione dell'<<Archivio>> e poi sulla cattedra milanese, dopo aver insegnato a Torino e Pavia. Accademico della Crusca e Linceo, membro di varie società scientifiche e accademie europee, Salvioni è figura chiave per la linguistica in Italia a cavallo tra Otto e Novecento, e non è meno importante per la nativa Svizzera, dove fondò nel 1907 il Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana. Lasciò centinaia di studi - che tuttora fanno testo - sui più diversi aspetti della storia linguistica italiana e della struttura dell'italiano letterario e dei suoi dialetti, nonché studi di argomento gallo- ed iberoromanzo, tutti ripubblicati negli Scritti linguistici stampati dalle Edizioni dello Stato del Cantone Ticino per il centocinquantenario della nascita (2008).
A. FRANCKE VERLAG TÜBINGEN UND BASEL ROMANICA HELVETICA VOL. 132 Itinerari salvioniani Per Carlo Salvioni nel centocinquantenario della nascita A cura di Michele Loporcaro ROMANICA HELVETICA EDITA AUSPICIIS COLLEGII ROMANICI HELVETIORUM A CURATORIBUS «VOCIS ROMANICAE» VOL. 132 Itinerari salvioniani Per Carlo Salvioni nel centocinquantenario della nascita A cura di Michele Loporcaro 2011 A. FRANCKE VERLAG TÜBINGEN UND BASEL In copertina: due immagini di Carlo Salvioni, conservate presso l’Archivio di Stato di Bellinzona. Inoltre: in alto a destra, lettera di Salvioni a G. I. Ascoli del 14 aprile 1906, conservata presso la Biblioteca Nazionale dell’Accademia dei Lincei e Corsiniana, Carte Ascoli 115/ 10; in basso a sinistra, manoscritto del paragrafo Note fonologiche dei Saggi intorno ai dialetti di alcune vallate all’estremità settentrionale del Lago Maggiore, poi usciti sull’«AGI» IX (1886), conservato presso il Centro di Dialettologia e di Etnografia (Bellinzona), Mat. Salvioni 62 e recante correzioni dell’Ascoli. Si ringraziano le Istituzioni su menzionate per aver liberalmente concesso la riproduzione degli originali. Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http: / / dnb.d-nb.de abrufbar. Publiziert mit Unterstützung des Schweizerischen Nationalfonds zur Förderung der wissenschaftlichen Forschung © 2011 Narr Francke Attempto Verlag GmbH + Co. KG Dischingerweg 5 · D-72070 Tübingen Das Werk einschließlich aller seiner Teile ist urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung außerhalb der engen Grenzen des Urheberrechtsgesetzes ist ohne Zustimmung des Verlages unzulässig und strafbar. Das gilt insbesondere für Vervielfältigungen, Übersetzungen, Mikroverfilmungen und die Einspeicherung und Verarbeitung in elektronischen Systemen. Gedruckt auf chlorfrei gebleichtem und säurefreiem Werkdruckpapier. Internet: www.francke.de E-Mail: info@francke.de Druck und Bindung: Laupp & Göbel, Nehren Printed in Germany ISSN 0080-3871 ISBN 978-3-7720-8418-8 Indice Premessa .............................................................................................................. VII 1. Chi era Carlo Salvioni Michele Loporcaro ................................................................................. 1 2. Gli Scritti linguistici di Carlo Salvioni: considerazioni e note di uno storico della lingua italiana Paolo D’Achille ........................................................................................ 15 3. L’arte della recensione secondo Salvioni Vittorio Formentin ................................................................................. 27 4. Salvioni dialettologo fra Italia e Svizzera: in tre quadri (con tre lettere inedite) Michele Loporcaro ................................................................................. 37 5. Salvioni sul sostrato, fra Ascoli e Merlo Luca Lorenzetti ........................................................................................ 69 6. L’opera omnia di Salvioni, fonte per gli studi romanistici Lorenza Pescia .......................................................................................... 81 7. Dialetto, Stato e anarchia: Salvioni e Bakunin Giancarlo Schirru .................................................................................... 97 Elenco degli estensori dei contributi al volume ................................. 115 Indice analitico................................................................................... 117 Indice dei nomi .................................................................................. 121 Premessa Il volume propone al lettore un accostamento alla figura e all’opera di Carlo Salvioni (1858-1920), senza dubbio il maggior linguista che la Svizzera italiana abbia espresso. Salvioni fu personaggio centrale per il consolidarsi del metodo scientifico in linguistica, in particolare negli studi romanzi e ancor più in quelli di linguistica storica e dialettologia italiane. La recente ricorrenza del centocinquantenario della nascita è stata solennizzata nel corso del 2008 con diverse iniziative, fra cui la pubblicazione dell’opera omnia per le Edizioni dello Stato del Cantone Ticino, 1 un convegno nella nativa Bellinzona ed uno presso l’Istituto Svizzero di Roma. 2 Da quest’ultimo incontro di studi, che ha visto convergere linguisti e dialettologi, storici della lingua italiana ed esperti di storiografia della ricerca, sono scaturiti i saggi raccolti qui di seguito a comporre il percorso di accostamento al Salvioni che il titolo del volume, con la sua immagine odeporica, promette. Data la varietà degli approcci e dei temi trattati, in tale percorso è auspicabile possano trovare motivi di interesse diverse tipologie di lettori. Il capitolo introduttivo, Chi era Carlo Salvioni, traccia un profilo biografico tale da servir d’inquadramento anche a beneficio di chi non sia strettamente addetto ai lavori (s’intende, i lavori di linguistica storica italiana e romanza). Vi si ricordano le tappe essenziali della formazione e della carriera, tra la nativa Svizzera, la Lipsia dei neogrammatici ed infine l’Italia, con l’apprendistato alla scuola dell’Ascoli e del Flechia e il successivo cursus honorum accademico; al contempo si ripercorre anche la vicenda umana del glottologo bellinzonese, per molti aspetti tragica e comunque emblematica della temperie culturale dell’Italia a cavallo tra Otto e Novecento, in particolare nel suo passaggio da posizioni anarchiche e internazionaliste nella prima gioventù all’acceso nazionalismo degli ultimi anni. Di taglio più specifico, i sei capitoli seguenti mettono a fuoco diversi aspetti dell’opera e del percorso intellettuale del Nostro. Paolo D’Achille (cap. 2) perlustra gli Scritti linguistici da un lato mettendone in luce la perdurante attualità per gli studi linguistici italiani, dall’altro analizzandone, da storico della lingua, dettato, impasto linguistico e struttura, a documentazione della (moderata) patina di antico che riveste le pagine salvioniane: una patina meno avvertibile che nel caso dell’Ascoli non solo per ragioni cronologiche ma anche per l’apertura - rileva D’Achille - ad alcune soluzioni manzoniane. Su di uno specifico genere testuale verte il saggio di Vittorio Formentin, L’arte della recensione secondo Salvioni (cap. 3), che analizza stile, tono e sostanza scientifica delle discussioni di opere altrui che tanta parte occupano nella produzione salvioniana: approfondite, agguerrite, inattuali - se commisurate all’odierna attualità dei costumi accademici italiani - in quanto mai acquiescenti, ma attualis- 1 Carlo Salvioni, Scritti linguistici, a cura di Michele Loporcaro, Lorenza Pescia, Romano Broggini e Paola Vecchio, Bellinzona: Edizioni dello Stato del Cantone Ticino - Locarno: Dadò 2008. 2 Un linguista oltre i confini. Carlo Salvioni fra Svizzera e Italia. Giornata di studio nel centocinquantenario della nascita, lunedì 15 dicembre 2008. Michele Loporcaro VIII sime per la ricerca sui temi ove intervengono, in quanto, ispirate a un’idea alta del progresso degli studi come impresa collettiva, esse apportano sempre un contributo di merito che entra a pieno titolo a far parte della bibliografia di riferimento in materia. Chi scrive interviene quindi (cap. 4) sui rapporti fra Carlo Salvioni e alcuni dei massimi esponenti della dialettologia romanza dell’epoca sua, documentati dall’epistolario con colleghi d’oltralpe in larga parte inedito. Dal carteggio, non meno che dagli scritti scientifici editi, emerge la statura di uno studioso che, nonostante la sua opera tramandi l’immagine di un tecnico superspecializzato, ebbe una visione larga ed aggiornata degli sviluppi contemporanei della disciplina che frequentò, ivi incluse le direttrici (come la geolinguistica) sulle quali non convergevano le priorità della sua propria ricerca. Luca Lorenzetti, Salvioni sul sostrato, fra Ascoli e Merlo riprende al cap. 5 un tema classico degli studi glottologici nella tradizione ascoliana, facendo il punto su quanto è stato scritto, da diverse parti, intorno all’atteggiamento di Salvioni verso la teoria ascoliana del sostrato. Il cap. 6 di Lorenza Pescia, L’opera omnia di Salvioni, fonte per gli studi romanistici, permette al lettore di gettare uno sguardo entro la bottega del progetto zurighese di edizione degli Scritti linguistici, svolgendo in margine ad essi alcune considerazioni, in particolare circa il valore aggiunto degli indici di cui l’edizione è corredata, comparabili per mole ad un dizionario etimologico romanzo. Infine il capitolo conclusivo di Giancarlo Schirru, Dialetto, Stato e anarchia: Salvioni e Bakunin, torna a mettere in primo piano il percorso intellettuale di Salvioni, che fu in contatto negli anni giovanili coi maggiori esponenti del socialismo e dell’anarchismo europei. Mentre l’opera linguistica resta qui sullo sfondo, essa non è però eclissata, perché il saggio mostra persuasivamente come, spesso con passaggi non ovvi, tematiche agitate nella riflessione anarchica e socialista (circa l’oggetto lingua/ dialetto e in alcuni casi anche - Friedrich Engels - circa la disciplina linguistica) arrivino, recepite o negate, sino all’opera linguistica, tecnicissima, del glottologo bellinzonese. Un caloroso ringraziamento va, al momento di licenziare il volume, al Fondo Nazionale Svizzero per la ricerca scientifica, che ha stanziato il contributo per la stampa, nonché alle Istituzioni che hanno sostenuto finanziariamente la giornata di studi del dicembre 2008: la Divisione della Cultura del Dipartimento dell’educazione, della Cultura e dello sport della Repubblica e Cantone Ticino, rappresentata al convegno dal dott. Carlo Monti, la Pro Helvetia, la Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Zurigo e, last not least, l’Istituto Svizzero di Roma, il cui direttore, prof. Christoph Riedweg, ha aderito con entusiasmo alla proposta di onorare nella magnifica cornice della Villa Maraini quel «linguista oltre i confini», studioso italo-svizzero nel senso più pieno, cui si è intitolato l’incontro di studi che ora trova forma di volume in questi Itinerari. Nella sua confezione definitiva mi hanno assistito Alessandra Debanne e Vincenzo Faraoni, che pure ringrazio cordialmente. Zurigo, marzo 2011 Michele Loporcaro 1. Chi era Carlo Salvioni Michele Loporcaro 1.1. PROLOGO Il compito di presentare Carlo Salvioni non è facile, per molti motivi. 1 Da un lato, presso un pubblico di specialisti di dialettologia e di linguistica (storica) italiana e romanza, un tale studioso non ha bisogno di presentazione, rientrando tuttora nel novero dei riferimenti bibliografici con cui dialoga la ricerca attuale nel settore. D’altro canto, presso chi non sia addentro alla disciplina, è difficile render ragione del valore e dell’interesse di questa figura di studioso senza entrare in materia tecnica. Poiché il volume - e l’occasione per cui le pagine presenti sono state concepite - si rivolge a un pubblico misto, si è ritenuto opportuno non escludere i non specialisti cercando di fornir loro, nonostante la difficoltà del compito, una prospettiva generale che permetta d’inquadrare la personalità di Carlo Salvioni. Prendiamo le mosse dal ricordo del Nostro ad opera di Michele Scherillo, italianista, suo collega all’Accademia Scientifico-Letteraria di Milano (così si chiamava alla sua fondazione, alla nascita del Regno d’Italia, quella che sarebbe poi divenuta l’Università Statale di Milano). Lo Scherillo, aprendo la commemorazione di Salvioni all’Istituto Lombardo nell’adunanza dell’11 novembre 1920, scrive: Nella nostra famiglia accademica egli, per la sua vasta dottrina, per l’immacolata integrità del carattere, per l’immutabile serietà dei propositi era più che amato, venerato come un maggior fratello (Scherillo 1920: 661). Bisognerà qui far la tara alle parole di circostanza, soprattutto quanto alla «famiglia», 2 pur registrando che spendono un «venerato» che, anche per il genere commemorazione, non è proprio neutro. Il ricordo prosegue quindi iniziando il ritratto insieme dell’uomo e dello studioso: D’una schiettezza nitida, trasparente, quasi montanara, preferiva di esser reputato rude anzi che dar sospetto di manierato. Tale nella vita come nella scienza. I suoi lavori sono scevri di qualunque lenocinio d’arte. Meglio che alla letteratura, si di- 1 Il contenuto delle pagine seguenti riprende in larga misura la commemorazione commissionata a chi scrive dall’Archivio Storico Ticinese (v. Loporcaro 2010). Ringrazio la direzione della rivista per aver liberalmente acconsentito alla pubblicazione nella sede presente. 2 Si sa ad esempio che in seno alla «famiglia» dell’Accademia milanese con lo Scherillo e con Franceso Novati, anche lui come Scherillo studioso di letteratura e amico del Salvioni, l’Ascoli (su cui v. oltre, §1.4), maestro e dunque “padre” accademico del Salvioni, era in rapporti pessimi. Michele Loporcaro 2 rebbero affini alle matematiche. A pochi periodi di proemio, disadorni, spesso scabri, d’informazione precisa e di ragionamento serrato, seguono pagine e pagine di formule, di elenchi, di schemi: le parole cedono il passo ai segni grafici (Scherillo 1920: 661-2). Quanto alla descrizione degli scritti, vi è una qualche esagerazione: stilisticamente la pagina di Salvioni è tutt’altro che trascurata, il che è messo in rilievo da Gianfranco Contini, secondo cui «[n]on di rado echeggiano nelle cadenze del Salvioni fino gli artificiati stilemi del Rajna» (Contini 1961: 330). Vero è che molto spesso Salvioni è telegrafico nell’esposizione: come dice Scherillo, i suoi saggi presentano generalmente una introduzione ed una conclusione stringate. Non per trascuraggine, però, ma per scelta stilistica e testuale: nel mezzo sta il corpo principale dell’articolo, consistente in una serie di dati impeccabilmente organizzati ed è questa la parte del testo che deve risaltare. 3 Non mancano d’altro canto, tra gli scritti salvioniani, passi che denunciano una elaborazione retorica. Si consideri il brano seguente, tratto dalle pagine introduttive della recensione durissima al saggio sui germanismi in italiano di Bertoni (1914): È un giudizio severo che qui pronuncio; ma stimo di non dover usare reticenze di fronte ad un libro che emana da un professore universitario, da uno studioso che s’impanca a dottore nelle riviste ritenute più serie, e per questo è ritenuto serio lui stesso; a un libro che si presenta sotto le parvenze esteriori di un’opera scientifica e seria, e per questo è presa sul serio da studiosi altrimenti seri. Un tal libro può riuscire estremamente dannoso alla educazione scientifica della gioventù nostra, e ritengo perciò imprescindibile dovere mio di dire su di esso ciò che ne penso; su di esso, che altrimenti potremmo abbandonare a un pietoso e troppo meritato silenzio [corsivi aggiunti, M.L.] (Salvioni 1917a: 1012 [ IV 1136]). Una prima versione di questo passo si legge nel manoscritto in bella copia conservato a Milano alla Biblioteca Ambrosiana: 4 È un giudizio severo che debbo dare sul libro, ma stimo dover mio non usar reticenze, di fronte a un libro che può far molto danno, visto che si presenta sotto l’aspetto esteriore di una elucubrazione fondata sulla scienza, e che [qualche] 5 purtroppo è presa sul serio da studiosi altrimenti seri [corsivi aggiunti, M.L.]. Come mostra il confronto, le due originarie ricorrenze di forme dell’aggettivo serio si sono espanse nel testo a stampa in una quintuplice anafora. Ma in fin dei conti non è questo il punto: non è la stringatezza di tante delle pagine di Salvioni il motivo principale che potesse spingere un italianista come Scherillo a definire i suoi scritti «affini alle matematiche», né questo giudizio può dunque essere smentito con l’additare l’elaborazione retorica che pure in talune pagine si osserva. Il motivo profondo della definizione è altro, e lo si capisce se si considera la formazione di studioso del glottologo ticinese. 3 V. le considerazioni al proposito di Paolo D’Achille qui al cap. 2, §2.2, e di Loporcaro (2008: 48). 4 La segnatura del documento (un manoscritto di 42 fogli di mm. 308 x 210), nel fondo ambrosiano che riunisce le carte del Salvioni, lasciate alla biblioteca dalla vedova Enrichetta Taveggia nel 1929, è T 1 inf. V (v. l’inventariato approntato da Faré 1968: 7). 5 Parola cancellata. 1. Chi era Carlo Salvioni 3 1.2. SALVIONI MATEMATICO? Nato a Bellinzona il 3 marzo del 1858, a 17 anni, nel 1875, dopo soli due anni al liceo di Lugano (un po’ turbolenti, conclusi senza un diploma) si iscrive all’Università di Basilea alla Facoltà di Medicina, dove resta soltanto un anno. Dall’ottobre 1876 prosegue gli studi a Lipsia, sempre in medicina. 6 Non è tuttavia per questo che i suoi saggi «si direbbero affini alle matematiche» bensì perché a Lipsia, dopo due anni, «Dominus Carolus Salvioni hodie ad philologica studia transit, L. 25 men. Novbrs. MDCCCLXXVIII». 7 Passa dunque a studiare linguistica. E studiare a Lipsia linguistica fra 1878 e il 1883, quando si addottora, «tradita dissertatione admodum laudabili quae inscribitur | Fonetica del dialetto moderno della Città di Milano | et examine magna cum laude superato», 8 vuol dire studiare nel MIT dell’epoca. 9 L’Università di Lipsia, infatti, negli anni successivi alla chiamata, nel 1861, del grecista Georg Curtius (1820-1885), «aveva raggiunto una posizione preminente nel campo della linguistica» (Morpurgo Davies 1994: 226). Allievo di Curtius è Karl Brugmann (1849-1919) che proprio nel 1878, mentre Salvioni comincia a seguirne i corsi, pubblica con Hermann Osthoff (1847-1909) il manifesto della scuola dei neogrammatici, la Prefazione alle Ricerche di morfologia indoeuropea. 10 In questo manifesto si additano le leggi della fisica a modello per lo studio della struttura linguistica, o per meglio dire, del suo mutare nel tempo: è infatti proprio il mutamento l’aspetto che, nel regno dei fenomeni linguistici, è all’epoca messo a fuoco come oggetto centrale della disciplina. Nasce qui il principio della cosiddetta ineccepibilità delle leggi fonetiche, bandiera dei neogrammatici, che assurge a ipotesi di lavoro fondamentale per la ricerca linguistica successiva. 11 Così lo riporta 6 Alla ricostruzione della biografia di Salvioni ha dedicato diversi lavori Romano Broggini (1958, 1971, 2008), che mette in particolare risalto il primo incontro con la dialettologia romanza avvenuto, già a Basilea, nel semestre estivo 1876 quando Salvioni fu tra i sei o sette allievi dei corsi dell’allora giovane docente vodese Jules Cornu (1849-1919), poi professore a Praga e infine a Graz. 7 Così recita il suo certificato d’iscrizione, conservato alla Biblioteca Ambrosiana (T 13 inf. A4). In Faré (1968: 106) la menzione del certificato è viziata dal refuso «Dominicus» per «Dominus». 8 Il certificato di laurea, datato Lipsia 8.X.1883, si trova alla Biblioteca Ambrosiana (T 13 inf. A6); v. Faré (1968: 106), dove però la data è riportata erroneamente come 8.XI.1883 (l’imprecisione passa di lì in Broggini 1971: 29). 9 Per i non addetti ai lavori, oggi al Massachusetts Institute of Technology di Boston insegna Noam Chomsky, a torto o a ragione il più famoso linguista vivente. 10 Se ne legge una traduzione italiana parziale in Bolelli (1997 2 : 158-70). 11 L’ipotesi di lavoro che il mutamento si produca con regolarità e non per sostituzioni arbitrarie era venuta cristallizzandosi negli studi linguistici nel corso dell’Ottocento. L’Ascoli, in particolare, lungi dal riconoscer loro la paternità del principio dell’ineccepibilità, polemizzò coi neogrammatici proclamando «la insussistenza, non dirò di una rivoluzione, ma pur di un qualsiasi innovamento sostanziale nei principj o nel metodo» (Ascoli 1886: 452). Milizia (2010: 34-5) e Lazzeroni (2010: 47) mostrano però come così facendo l’Ascoli retrodatasse (in sostanza, alla fase in cui la maggior parte della sua produzione riguardava temi indoeuropeistici) un’idea di regolarità alla quale Michele Loporcaro 4 Salvioni, nel suo unico scritto esplicitamente e integralmente dedicato a considerazioni di metodo, Di qualche criterio dell’indagine etimologica: La proposizione dei neo-grammatici suona precisamente così: “Ogni evoluzione di suono in quanto dipenda da un processo meccanico, si compie in base a leggi ineccepibili; vale a dire, la spinta fonetica va sempre nella stessa direzione per tutti i componenti di una comunità linguistica, eccettuato il caso di una scissione dialettale; e tutte le parole, nelle quali il suono soggetto all’evoluzione si presenta in condizioni identiche, partecipano senza eccezione al movimento” (Salvioni 1905: 6 [ IV 17]). 12 La figura scientifica di Salvioni è profondamente determinata dall’esperienza degli studi lipsiensi. Egli torna in Italia con le stimmate di neogrammatico, identità scientifica a cui, come scrive commemorandolo nel centenario della nascita il suo allievo Clemente Merlo, rimase sempre fedele [...] perché, come soleva dire, le proprie idee le abbandona facilmente soltanto il ‘girella’ che, di idee, non ne ha mai avute di salde (Merlo 1958: 186). 13 Salvioni è dunque un neogrammatico e non è un «girella»: è uno studioso che crede fermamente che il linguista debba operare con un armamentario concettuale impostato su salde deduzioni, come quello della fisica classica. Questa ferma credenza, che si riflette in tutti i suoi scritti, dà ragione dell’«affini alle matematiche» dello Scherillo, purché non lo si intenda come “improntati a pura astrazione”. La matematica di Salvioni è quella di Galileo: è il linguaggio in cui sono scritte le leggi della natura, poiché come parte del regno della natura sono intesi i fenomeni linguistici. A proposito di matematica, per dare un’idea del fermento intellettuale che anima la linguistica nella Lipsia degli studi di Salvioni, si ricorderà che in quegli stessi anni, nei medesimi corridoi si aggira un altro grande svizzero, il ginevrino Ferdinand de Saussure (1857-1913), che studia a Lipsia fra 1876 e 1880. Saussure è certamente un linguista che, applicando la metafora delle scienze non umanistiche, si può dire un matematico puro. A Saussure, considerato - in particolare grazie al postumo Cours de linguistique générale (Saussure 1922 2 ) - il fondatore della linguistica strutturale, non sarebbe mai venuto in mente di fondare un vocabolario diaegli giunse in realtà solo quando, con gli anni Settanta, prese a dedicarsi prevalentemente allo studio delle varietà romanze. 12 Il rimando, implicito come a riferimento che a nessun lettore fosse lecito ignorare, è a Osthoff e Brugmann (1878: 167). Sul principio dell’ineccepibilità delle leggi fonetiche si accese una controversia, a partire da Schuchardt (1885), che perdura, sotto mutate forme, ancor oggi nel confronto fra spiegazioni interne - in base a fattori strutturali - ed esterne - richiamantisi in particolare a fattori sociali - del cambiamento linguistico. 13 Il colloquialismo fra virgolette è segno dell’affettuosa vicinanza al maestro, e poi al suo ricordo, da parte di Clemente Merlo, che pubblica queste righe sull’ultimo volume della propria rivista, L’Italia dialettale, uscito lui vivente. Nei decenni precedenti aveva amministrato il lascito di Salvioni e pubblicato, su L’Italia dialettale e altrove, numerose sue pagine inedite. Nella bibliografia salvioniana a cura di Broggini et al. (2008), gli scritti editi postumamente da Merlo figurano ai numm. 314-348, compresi fra il 1924 e il 1956. 1. Chi era Carlo Salvioni 5 lettale come fa invece Salvioni nel 1907, dando inizio ai lavori del Vocabolario dei Dialetti della Svizzera Italiana. Per il Vocabolario Salvioni organizza con Clemente Merlo una sistematica campagna di rilevamenti sul campo - la prima nel suo genere in ambito italo-romanzo - i cui risultati si sedimentano in centinaia di quaderni e centinaia di migliaia di schede oggi conservati nella sede del Vocabolario a Bellinzona. Tutt’altro, dunque, che matematica pura. 1.3. LA RELIGIONE DEL DATO L’impresa si spiega con l’atteggiamento di fondo che accompagna Salvioni lungo l’intero arco della sua attività, atteggiamento così descritto efficacemente da Gianfranco Contini: Domina tale attività una illimitata fiducia nel mondo reale come riserva e cava inesauribile da cui estrarre frammenti documentarî (Contini 1961: 329). È una vera religione del dato che orienta l’opera del Salvioni. Ricorda ad esempio Benvenuto Terracini ch’egli «era molto orgoglioso dei suoi schedari e [...] li mostrava a coloro che gli facevano visita, come la parte principe del suo lavoro» (in Faré 1964: xv). Gli schedari accumulati religiosamente da questo «positivista ad oltranza», come lo definì Leo Spitzer (v. Contini 1961: 330), si possono vedere tuttora, presso l’opera bellinzonese del Vocabolario e a Milano alla Biblioteca Ambrosiana. Queste raccolte di materiali, unite alle testimonianze del Salvioni e di chi lo conobbe, permettono di farsi un’idea di com’egli lavorasse. Così Vittorio Cian, amico degli anni torinesi (v. §1.4), ricorda tra le abitudini che scandivano la sua «esistenza austeramente operosa»: Questa, fra le altre, di destarsi innanzi all’alba, qualunque fosse la stagione, e consacrare a mente fresca, le prime ore del giorno al più intenso e produttivo lavoro; onde soleva dire sorridendo - ma quanto seriamente! - che s’era guadagnata la Sua giornata quando i più iniziavano la loro (Cian 1923: 188). Questo lavoro, a monte della scrittura, si esplicava concretamente in un’infaticabile attività di schedatura delle fonti più varie (testi e vocabolari dialettali, testi letterari come documentari, edizioni di testi in volgari antichi, carte latine, atlanti dialettali, ecc.). All’opera di spoglio si aggiunge quella di escussione sul campo di materiali dialettali (tecnicismo oggi invalso in dialettologia, che Salvioni utilizza forse per primo: v. Salvioni 1904: 1043 n. 2 [ II 364]) raccolti dalla viva voce degli informatori. Sia gli spogli che le inchieste ci restano oggi in prime stesure spesso fissate sui supporti cartacei più vari e difformi, dalla busta da lettera al verso di lettere ricevute, ufficiali o private, di bozze di stampa, di foglietti di calendario, persino di annunci mortuari. 14 La mole di dati che Salvioni raccolse e ordinò è immane: ne dànno ora un’idea i conteggi prodotti da Lorenza Pescia (v. oltre, al cap. 6, §6.2) in base agli indici dell’edizione degli Scritti linguistici. Le migliaia di pagine di tali scritti, in effetti, 14 Si v. la documentazione discussa in Loporcaro (2008: 49-51). Michele Loporcaro 6 sul lettore hanno sempre prodotto l’impressione di un’urgenza del dato, di una «minuta, accurata, paziente ricerca, nella quale i fatti suggeriscono via via, per così dire, essi stessi le idee, o quasi sono tutta l’idea» (così Parodi 1922: 53). Nella sistemazione testuale dei dati, l’intervento della voce narrante è stringatissimo. Ma questa stringatezza, lungi dal doversi intendere come un soggiacere al casuale capriccio del fatto empirico, è il segno di un ordinamento della materia ferreamente logico: a lume di metodo, l’ordine si impone da sé, e Salvioni non usa neppure una parola di troppo. 15 1.4. FORMAZIONE E CARRIERA ACCADEMICA Detto ciò quanto al suo metodo di lavoro, torniamo alle circostanze esterne della vita del Salvioni, che abbiamo lasciato al §1.2, aprendo la digressione sul metodo, studente di linguistica a Lipsia. Qui i suoi maestri, personaggi chiave della scuola dei neogrammatici, sono specialisti di lingue indoeuropee i cui nomi ricorrono tuttora nella bibliografia degli studi in quest’ambito: Karl Brugmann, Ernst Windisch, August Leskien, nonché, della generazione precedente, Georg Curtius. Salvioni studia nel contempo anche romanistica, ma qui con nomi che oggi conosce solo chi si occupa di storia della ricerca: Franz Settegast, Adolf Birch-Hirschfeld, i quali, così come il loro maestro - che pure Salvioni segue e che ha lasciato una maggiore impronta negli studi, Adolf Ebert - sono specialisti di letterature romanze medievali. 16 Salvioni però si laurea con una tesi di linguistica romanza, la Fonetica milanese, la prima descrizione del dialetto di una grande città, non solo in Italia (Salvioni 1883). Maturato il proposito di dedicarsi a tale argomento di tesi, il giovane bellinzonese si accorge evidentemente che nella Lipsia dei linguisti indoeuropei e dei romanisti letterati mancano, per seguire il lavoro che ha in mente, dei referenti al livello delle sue ambizioni. Il che lo spinge, già prima di laurearsi, a prender contatto coi due maggiori glottologi italiani, specialisti - fra l’altro - di dialettologia: Giovanni Flechia (1811-1892) a Torino e Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907) a Milano. Due personaggi in vista, nell’Italia dell’epoca, entrambi Senatori del Regno. Sappiamo dalla corrispondenza, studiata da Paolo Faré e Romano Broggini, che Salvioni incontra l’Ascoli a Milano già nell’autunno 1880: dunque all’inizio del terzo anno di studi di linguistica a Lipsia. 17 Quanto ai rapporti con Flechia, non abbiamo documentazione per quegli anni: le prime lettere conservate tra i due sono del 1885 (cfr. Vitale Brovarone 1994: 395). Varie testimonianze concordano tuttavia nel dire che già da studente di Lipsia, assolti gli obblighi di frequenza ai corsi entro il 1881, Salvioni sia venuto a Torino 15 Diverso il discorso in particolare per le recensioni, dove la mole pure ingente di dati è corredata di porzioni di testo argomentativo (se n’è dato un esempio al §1.2). 16 Notizie su questi studiosi, con ulteriori rimandi bibliografici, in Loporcaro (2008: 71-2). Sugli studi a Lipsia del Salvioni v. Broggini (2008: 22-5). 17 V. Broggini (1971: 63, 2008: 25). 1. Chi era Carlo Salvioni 7 a studiare con Flechia, dove avrà probabilmente abitato presso lo zio paterno Giuseppe, incisore, che dal 1863 al 1888 insegna all’Accademia Albertina. 18 Sempre a Torino - e veniamo brevemente alla carriera universitaria - Salvioni ottiene la libera docenza, su proposta del Flechia, nel 1885. Qui insegna “Storia comparata delle lingue classiche e neo-latine” (ovvero, nella nomenclatura accademica dell’epoca, glottologia indoeuropea e romanza) fino al 1889, quando sale un ulteriore gradino divenendo incaricato a Milano, chiamatovi dall’Ascoli. Il che accade però a prezzo di passare a insegnare Letterature neo-latine (ossia Filologia romanza). La cosa gli provoca non poche sofferenze: se ne lamenta per lettera cogli amici, in particolare con l’italianista Angelo Solerti, cui scrive che la decisione è di «Giove Ascoli». 19 Anche il resto della carriera è sotto il segno di Giove-Ascoli che del resto, Senatore del Regno (dal 1889) poi (dal 1895) membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, in quegli anni decide pressoché tutto in questo settore. Nell’ottobre 1889 Salvioni riceve l’idoneità da una commissione presieduta dall’Ascoli, nel 1890 è chiamato come straordinario a Pavia, tornando alla linguistica, e nel 1902 succede infine all’Ascoli sulla cattedra dell’Accademia Scientifico-Letteraria di Milano. A questo punto, sulla scena della linguistica italiana nei due primi decenni del Novecento, Salvioni - che via via diventa accademico linceo (1913) e della Crusca (1914), e molto altro ancora - ha l’aura di successore e continuatore dell’Ascoli. Anche - e quanto all’attività scientifica, soprattutto - perché dal 1901 il maestro gli ha ceduto la direzione dell’Archivio Glottologico Italiano, la rivista fondata dopo lunga preparazione nel 1873, colla quale Ascoli ha dato l’impronta agli studi linguistici in Italia. Lo stesso Salvioni era stato apprendista in quella bottega, cominciando ancora da studente a lavorare a due articoli per l’Archivio, uno dei quali - il primo risultante da inchieste sul campo nella Svizzera italiana - l’Ascoli gli corregge infinite volte postillandone il testo dalla prima stesura alle bozze e accompagnando l’invio dei manoscritti rivisti con lunghe lettere di reprimenda. 20 Dopo due anni di rielaborazione, il lavoro sui dialetti dell’alto Verbano prende poi forma definitiva nel vol. IX dell’Archivio (Salvioni 1886). È così che l’Ascoli si guadagna l’epiteto di «Vero tiranno, ma tiranno meravigliosamente illuminato», che Salvioni (1910: 72) gli attribuisce quando, ricordando il 18 Sullo zio paterno del Salvioni v. Broggini (2008: 17). Di un soggiorno presso il Flechia già prima del compimento degli studi dànno notizia Zingarelli (1933: 1188) («La tesi dottorale egli venne a compiere e pubblicare in Torino nel 1883»), Gauchat (1920: 1) (che menziona, dopo gli studi dialettologici con Jules Cornu a Basilea, quelli presso «Flechia in Turin, dessen Lieblingsschüler er [scil. Salvioni] wurde») e, indirettamente, lo stesso Salvioni (1905: 27 [ IV 38]), che a suggello del citato saggio sul metodo dell’etimologia pone un suo ricordo di studente: «Vi raccomanderei di avere presenti, allora e sempre, le parole che soleva rivolgere ai suoi scolari un uomo che fu grande etimologo e insieme valoroso poeta, e il cui venerato nome mi è grato invocare in questa solenne occasione. Diceva dunque Giovanni Flechia» ecc. 19 La cartolina postale al Solerti, del 15 agosto 1889, è edita da Lanfranchi e López- Bernasocchi (1987: 148) (v. ora Broggini 2008: 31). 20 V. Broggini (2008: 28), Loporcaro (2008: 51-2). Michele Loporcaro 8 Maestro all’Istituto Lombardo, mette in giusto risalto il ruolo d’indirizzo da lui esercitato nelle funzioni di direttore della rivista: Fu predicando da quella tribuna [ovvero la direzione dell’AGI, M.L.] piuttosto che dalla cattedra che l’Ascoli fu maestro nel senso più stretto e didattico della parola (Salvioni 1910: 73). L’apprendistato di Salvioni all’Archivio dell’Ascoli può esser ricostruito in dettaglio, in base ai molti documenti pervenutici. Egli redige gli indici della rivista dal 1882 diventando progressivamente il braccio destro del direttore fino a succedergli nel 1901. Tiene però la direzione soltanto per un volume e la lascia nel 1905, in seguito a dissapori col maestro in parte già noti alla ricerca precedente e sui quali gettano ora nuova luce alcuni dei contributi di storiografia salvioniana pubblicati in occasione del centocinquantenario della nascita. 21 1.5. GLI ULTIMI ANNI Per gli anni successivi della vita del Salvioni sono da ricordare in particolare due date: maggio 1907 e maggio 1916. Nel maggio 1907 egli avvia i lavori per il Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, alla cui organizzazione si dedica sino all’ultimo, coordinando il lavoro dell’allievo Clemente Merlo che nel 1920 gli succede nella direzione. Nel maggio 1916 cadono al fronte, a due settimane di distanza, gli unici due figli Enrico e Ferruccio, partiti volontari nel 1915. Gli ultimi anni di vita sono tutti nel segno del loro ricordo: Salvioni attende alla preparazione di un volume in memoria, stampato in due versioni, entrambe apparse anonime, dapprima in forma privata nel 1917 e poi presso Treves l’anno successivo, a guerra finita. 22 Nel 1919 i due fratelli vengono commemorati pubblicamente, a Bellinzona, con la scopertura di una lapide, notizia con cui apre L’Àdula del 25 21 Cfr. Loporcaro (2008: 78-82), e qui oltre al cap. 4, §§4.3 e 4.6.2. 22 Si tratta rispettivamente di In memoria dei fratelli Ferruccio ed Enrico Salvioni [nel primo anniversario della loro morte]. Schizzo biografico, scritti, lettere dalla guerra, documenti diversi, Milano: Scuola Tipo-Litografica «Figli della Provvidenza» 1917, 209 pp. [più, non numerati, indice ed errata corrige; la dicitura «nel primo anniversario ecc.» figura in copertina, non sul frontespizio; viceversa per il sottotitolo, «Schizzo ecc.»] e di Lettere dalla guerra di Ferruccio ed Enrico Salvioni, con proemio di Vittorio Rossi, Milano: Fratelli Treves editori 1918, 258 pp. I due volumi sono esclusi dalla bibliografia degli scritti di Salvioni a cura di Broggini et al. (2008), senza motivo, come si argomenta in Loporcaro (2008: 89- 93), in quanto tale bibliografia è esaustiva e la paternità salvioniana dei due libri in questione è indubitabile. Per questo in Loporcaro (2008: 90 n. 161) se ne propone l’inserimento entro la bibliografia come numeri 295 bis e 303 bis rispettivamente. Un’altra omissione, in tutt’altro ambito, è ora segnalata da Bertoletti (2010: 167) sulla scorta di Contini (1957: 144) il quale dice «probabilmente di C. S ALVIONI » la recensione a Friedmann (1908) apparsa anonima sul vol. LIV del Giornale Storico della Letteratura Italiana (pp. 257-8). La recensione andrebbe dunque collocata al numero 225 bis. 1. Chi era Carlo Salvioni 9 ottobre 1919, periodico ticinese cui Salvioni destina molti dei suoi scritti degli ultimi tempi. 23 La morte lo coglie esattamente un anno dopo, il 20 ottobre 1920. Attraverso questa dolorosa vicenda, nell’ultimo quinquennio la parabola esistenziale di Salvioni - che per il resto è la vita di uno studioso assorbito dalla sua attività scientifica - torna a incontrare la grande storia. Scrive Contini (1961: 333) che l’uomo d’ordine Salvioni aveva in sé tacitato e vinto […] un giovane Salvioni, non per niente studente di medicina, anarchico e rivoluzionario. In gioventù, nel Ticino - la Svizzera è terra d’esilio - e poi a Lipsia, Salvioni è in contatto con figure di spicco della scena anarchica, internazionalista e socialista come il geografo comunardo Elisée Reclus e come Michail Bakunin (ai cui funerali a Berna nel luglio 1876 tiene un discorso in rappresentanza della gioventù rivoluzionaria italiana), con anarchici italiani di spicco quali Carlo Cafiero ed Errico Malatesta, in Germania con i fondatori della SPD. 24 Negli ultimi anni, in Italia, Salvioni aveva però assunto pubblicamente posizioni improntate ad acceso nazionalismo, partecipando ad esempio alle manifestazioni interventiste nel 1915. 25 Di questo fervore nazionalistico testimonia la dedica ai figli morti in guerra che apre il suo saggio Ladinia e Italia, letto all’Istituto Lombardo l’11 gennaio 1917, otto mesi dopo la scomparsa dei figli: 26 alla memoria de’ miei figliuoli Ferruccio ed Enrico caduti combattendo per Italia e Ladinia in terra ladina - alla loro Madre che li volle educati a quella morte (Salvioni 1917b: 40 [ II 407]). Dedica «da eroe di Plutarco», scrive chi ricordandolo nel 1920 ne condivide lo slancio nazionalistico, come lo Scherillo, Vittorio Rossi, Ernesto Giacomo Parodi, Nicola Zingarelli. 27 Ovvero dedica d’una disumana durezza, come scrive decenni più tardi, in tutt’altro clima, un altro grande studioso di ben diverso orientamento ideologico, Sebastiano Timpanaro: A me - che, pure, credo di comprendere appieno quale terribile prezzo costò al Salvioni la repressione del proprio dolore - essa è sempre parsa di una “spartanità” o “romanità” disumana (Timpanaro 1980: 66). 23 Tali articoli sono registrati ai numeri 252-6, 267, 270-74, 279-83, 293-4, 297-8, 304, 308-12 della bibliografia di Broggini et al. (2008: 130-5). 24 Questa fase giovanile è ricostruita in tanti suoi scritti da Romano Broggini: si v. ora la messa a punto e i riferimenti bibliografici in Broggini (2008: 18-23), nonché le considerazioni di Giancarlo Schirru qui al cap. 7. 25 Lo ricorda Zingarelli (1933: 1193). 26 Il saggio stesso, che pure ha un solido nucleo di dimostrazione linguistica, introduce però tale dimostrazione con parole della medesima intonazione che la dedica, a proposito dell’entrata in guerra dell’Italia: «Nel discorso con cui, il 2 giugno 1914, Antonino Salandra dal Campidoglio bandiva al mondo il verbo della nuova Italia, l’oratore ebbe a toccare anche dei ladini» (Salvioni 1917b: 41 [ II 408]). 27 La formulazione citata, in particolare, è di Scherillo (1920: 661). V. per le altre commemorazioni di simile tenore Loporcaro (2008: 91 nn. 167-8). Michele Loporcaro 10 1.6. EPILOGO: DAL NON FINITO AL CORPUS SALVIONIANO Oggi a questi diversi aspetti della figura del Salvioni possiamo guardare col distacco della prospettiva storica, distacco che consente di mettere a fuoco su piani nettamente distinti da un lato la vita dell’uomo Salvioni, dall’altro il suo lascito scientifico. E mentre la prima è oggetto di approfondimento storiografico, l’interesse del secondo va ben oltre la storiografia della ricerca, poiché l’opera di Salvioni continua a interagire produttivamente con la ricerca attuale nei settori in cui egli operò, come mostrano - fra l’altro - da diverse prospettive tutti i capitoli di questo volume. È per sottolineare questa inesausta produttività che si sono raccolte e ripubblicate nel centocinquantenario della nascita le oltre quattromila pagine dei suoi Scritti linguistici. Tali scritti si presentavano sin qui dispersi, poiché dopo la tesi dottorale sul milanese (Salvioni 1883) l’autore non aveva più dato alle stampe un volume unitario, lasciando incompiuti la progettata edizione delle poesie di Carlo Porta, il vocabolario etimologico e la grammatica italiana che aveva promesso rispettivamente agli editori Winter di Heidelberg e Teubner di Lipsia. 28 Vuoi, come scrive Clemente Merlo, a causa delle traversie dell’esistenza, che gli tolsero l’energia per trascendere la misura dell’articolo scientifico: Fu scritto ch’Egli amava il perfetto; ed anche questo è vero [...]. Ma la causa maggiore fu la morte che lo colse improvvisa a sessantadue anni, e più le ansie, le preoccupazioni, i dolori familiari che dai quarant’anni in poi non gli diedero tregua (Merlo 1958: 190). Vuoi per il «rifiuto alla chiusura» del saggista Salvioni, di cui parla suggestivamente Gianfranco Contini: Che un lavoratore tanto assiduo non abbia mai prodotto il suo vocabolario etimologico o la sua grammatica storica dell’italiano [...] non è frutto del caso o segno di stanchezza, ma indizio di questo rifiuto alla chiusura: come certi saggisti rimasti in punta di penna ai margini del libro, senza cimentarsi ma nemmeno imprigionarsi in un volume unitario (Contini 1961: 329). Come che sia, nel centocinquantenario exegimus monumentum: da semplici muratori, beninteso, perché non solo sono di Salvioni i mattoni, le migliaia di pagine di cui il monumento si compone, ma egli ne è anche l’architetto. A posteriori, infatti, la raccolta dei suoi scritti mostra bene l’organicità di concezione, l’unitarietà intrinseca dell’opus vitae di questo grande studioso. 29 28 Cfr. la documentazione al riguardo menzionata oltre, cap. 4, §4.6.2 n. 55. 29 Il monumento non si sarebbe potuto erigere senza l’impegno e la lungimiranza di chi l’ha finanziato: in primo luogo la Repubblica e Cantone del Ticino (Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport), il Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica (progetto FNS 100012-109717, «Edizione degli scritti linguistici di Carlo Salvioni»), la Stiftung für wissenschaftliche Forschung an der Universität Zürich. I lavori preparatori dell’edizione si sono svolti, a Zurigo, con il decisivo sostegno del comitato per i «Testi letterari per la storia della cultura della Svizzera italiana», presieduto da Ottavio Besomi. A lui e ai membri del comitato (in particolare Alfredo Stussi) l’opera deve molto. 1. Chi era Carlo Salvioni 11 Riferimenti bibliografici 30 Ascoli, Graziadio Isaia (1886), Due lettere glottologiche. Di un filone italico, diverso dal romano, che si avverta nel campo neolatino. - Lettera a Napoleone Caix. Dei Neogrammatici. - Lettera al prof. Pietro Merlo, in Miscellanea di filologia e linguistica in memoria di N. Caix e U. A. Canello, Firenze: Le Monnier, 425-71. Bertoletti, Nello (2010), Salvioni commentatore di testi italiani antichi: Lombardia e Piemonte, in Loporcaro et al. (2010: 165-92). Bertoni, Giulio (1914), L’elemento germanico nella lingua italiana, Genova: Formíggini. Bolelli, Tristano (1997 2 ), Per una storia della ricerca linguistica, Napoli: Morano. Broggini, Romano (1958), Carlo Salvioni, 1858-1920. Note biografiche e bibliografiche a cura di Romano Broggini, Bellinzona: Arti Grafiche Salvioni. Broggini, Romano (1971), Due anniversari: Carlo Salvioni, 1858-1920, Clemente Merlo, 1879-1960, Bellinzona: Humilibus consentientes. 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Gli Scritti linguistici di Carlo Salvioni: considerazioni e note di uno storico della lingua italiana Paolo D’Achille 2.1. INTRODUZIONE La pubblicazione degli Scritti linguistici di Carlo Salvioni in quattro poderosi volumi, completati da un quinto contenente biografia, analisi critica dell’opera, bibliografia, indici, ecc., suscita anzitutto ammirazione: nei confronti dell’Ente svizzero che ha finanziato questa importante iniziativa culturale, dei colleghi e amici (capeggiati da Michele Loporcaro) che l’hanno curata con impegno e acribia, ma anche e soprattutto dello stesso Salvioni, uno studioso che certo non era mai stato dimenticato, data l’importanza che ha avuto nella storia della linguistica italoromanza, ma che, specie negli ultimi anni, non era stato neppure troppo frequentato (se non nelle ricerche sull’area altoitaliana, dove il suo contributo è sempre stato considerato imprescindibile), forse anche a causa della dispersione dei suoi saggi in sedi diverse, non tutte facilmente raggiungibili. La difficoltà del reperimento dei testi viene ora superata grazie a questa raccolta, la cui ampiezza consente anche di cogliere appieno la statura di Salvioni, tanto che non è difficile immaginare, nel futuro prossimo, un suo “rilancio” nelle citazioni bibliografiche degli studi di linguistica e dialettologia italiana, grazie anche ai preziosi indici analitici del quinto volume, che consentono di recuperare le tante osservazioni su singole parole e forme disseminate nelle note dei vari studi. Ma la pubblicazione costituisce un’occasione preziosa non solo per rileggere e spesso (confessiamolo pure) leggere per la prima volta i lavori di questo illustre linguista, ma anche per riflettere sui notevoli cambiamenti che ha subìto - ai vari livelli di analisi - la lingua della linguistica italiana, nell’arco di un secolo e oltre. L’impressione che ho avuto, leggendo in particolare i testi dedicati a temi di morfologia, è quella di una discrasia tra la validità e, diciamo pure, l’attualità che essi ancora conservano sul piano scientifico (anche dal punto di vista metodologico, oltre che per la ricchezza dei dati proposti) e il loro aspetto formale, che risulta invece per molti versi (ma non per tutti) antiquato o comunque abbastanza lontano da quello delle attuali ricerche di linguistica italiana. Anche per questo, a mio parere, la scelta di riprodurre anastaticamente i vari testi (mantenendo anche, sfumate in grigio, parti di altri articoli eventualmente comprese nelle pagine iniziali o finali di ciascuno di essi), sebbene probabilmente dettata da comprensibili ragioni di carattere economico più che da una deliberata volontà editoriale, risulta particolarmente felice, perché conferisce agli scritti salvioniani una suggestiva patina di “antico” che ben gli si confà e che altrimenti sarebbe andata perduta. Paolo D’Achille 16 2.2. ELEMENTI DI INATTUALITÀ FORMALE Nella prima parte del mio discorso vorrei precisare quali sono gli elementi di distanza tra gli studi di Salvioni e le attuali ricerche di linguistica italiana dal punto di vista formale e testuale. Ovviamente, c’è stato anzitutto un mutamento profondo nella terminologia, ma su questo aspetto basterebbe rinviare al contributo di De Felice (1954) e citare forme ben note come mascolino ‘maschile’, palatino ‘palatale’, ecc., non senza però notare che Salvioni usa anche (cfr. per es. Salvioni 1896: 217 [ II 47]) il termine mozione, che è stato recuperato negli studi italiani più recenti dedicati al genere grammaticale (Sgroi 2007). Ma sottolineerei soprattutto altri fatti, solo apparentemente esteriori, che possono forse costituire un utile elemento di riflessione. Anzitutto, i criteri di citazione sono sempre molto sintetici: Salvioni cita prevalentemente da periodici, il cui titolo è indicato compendiosamente in forma abbreviata (per es. Zts. f. r. Phil. per Zeitschrift für romanische Philologie; Bollettino stor. d. Svizzera ital.; Rend. Ist. Lomb.; per Archivio Glottologico Italiano basta Arch. glott. o anche solo Arch., oltre che la sigla AGI, tuttora usata), seguito dal numero (romano) dell’annata e dalla sola pagina a cui rinvia, senza neppure sentire sempre il bisogno di precisare l’autore del saggio citato. Anche le monografie sono per lo più citate semplicemente col cognome dell’autore, il titolo, spesso abbreviato, e le indicazioni delle pagine. Oggi negli studi scientifici, compresi quelli linguistici, le citazioni bibliografiche sono divenute più complete, per una più che lecita esigenza di chiarezza e di precisione: i vari normari di periodici, atti di convegni o volumi miscellanei prescrivono spesso ai collaboratori (se pure con modalità tutt’altro che uniformi) di indicare, accanto ai cognomi, i nomi per esteso degli autori, le case editrici, oltre che i luoghi di stampa dei volumi, le indicazioni complete delle pagine degli articoli citati, ecc., il che richiede un grande impegno ai collaboratori, ma soprattutto ai curatori, che devono colmare i numerosi vuoti lasciati e, soprattutto, uniformare dati che variano dall’uno all’altro contributo. Il metodo salvioniano, che non è, ovviamente, esclusivo di Salvioni ma proprio della sua epoca, può risultare dunque obsoleto; ma esso può anche essere valutato come un tratto da linguaggio settoriale: esisteva allora un patrimonio bibliografico e direi più generalmente culturale comune nel campo della linguistica romanza (certo più circoscritto rispetto a oggi) e per gli addetti ai lavori era sufficiente un riferimento compendioso, che per un verso poteva fare affidamento su una condivisione di letture (lo studio dei lavori altrui e l’aggiornamento bibliografico avevano allora nell’ambiente universitario uno spazio assai maggiore di oggi) e per altro verso consentiva allo studioso di concentrarsi sui contenuti dei testi, senza soffermarsi troppo sugli aspetti formali. Offrono motivi di riflessione anche i titoli dei saggi: gli scritti non sono tutti tra loro confrontabili, perché accanto a studi molto ampi su temi complessi ci sono anche articoli brevi o brevissimi, dedicati a singole parole, ma i diversi titoli presentano qualche tratto in comune. Ne riporto qualcuno: L’influenza della tonica nella determinazione dell’atona finale in qualche parlata della valle del Ticino (Salvioni 1894 [ I 87-92]); L’elemento volgare negli statuti latini di Brissago, Intragna e Malesco (Salvioni 1897 [ I 523-61]); Di dun per un nella poesia popolaresca alto-italiana (Salvio- 2. Gli Scritti linguistici di Salvioni: considerazioni di uno storico della lingua 17 ni 1901a [ I 126-32]); Del pronome enclitico oggetto suffisso ad altri elementi che non sieno la voce verbale (Salvioni 1903a [ II 96-105]); Sul dialetto milanese arcaico (Salvioni 1919 [ III 181-204]). Come si vede da questi esempi, i titoli rientrano in una struttura sintattica ben definita: un sintagma nominale introdotto ora da un articolo determinativo ora da una preposizione, semplice o articolata (di, del, sul), oppure, in altri casi, da una locuzione (a proposito di), che hanno la funzione di introdurre il “complemento di argomento”. In un caso come nell’altro, i titoli risultano assolutamente referenziali, poco accattivanti e del tutto privi di orpelli retorici, e sono finalizzati semplicemente a indicare con chiarezza il tema di ogni saggio. Tuttora, tra gli studiosi c’è chi preferisce titoli del genere, ma spesso la ricerca di un titolo retoricamente ben confezionato è considerata importante anche negli studi scientifici (in particolare in occasioni congressuali), oltre che nel giornalismo (per cui cfr. De Benedetti 2004) e talvolta capita di doversi spremere le meningi per trovare un bel titolo, sebbene a questa ricerca di originalità e di brillantezza facciano poi da corrispettivo alcune tendenze standardizzanti come quella di aprire il titolo con una citazione virgolettata. Tornando a Salvioni, è notevole che nel caso dello studio La declinazione imparisillaba in -a -áne, -o -óne, -e -éne -íne, -i -íne -éne nelle carte medievali d’Italia (Salvioni 1906a [ II 123-82]), l’autore all’inizio sente perfino il bisogno di giustificare il titolo, che «è lungo; e può parere anche pretensioso» (con arcaismo di cui oltre) - a causa di quel «nelle carte» che potrebbe essere inteso come “in tutte” - ma che pure ha deciso di lasciare «tal quale come [gli] è inavvedutamente caduto dalla penna, perché forse [può] lusingar[si] di offrire ai lettori un quadro abbastanza compiuto del fenomeno morfologico» studiato (Salvioni 1906a: 198-9 [ II 123-4]). In alcuni casi, i titoli sono addirittura generici e, in qualche modo, tendono a minimizzare, quasi per modestia, il contenuto dei saggi, o comunque a rimarcarne la desultorietà, la asistematicità: si parla spesso di note, appunti, noterelle, bricciche, spigolature. 1 Ma, ancora più spesso, gli studi di Salvioni non hanno neppure un titolo: una parte considerevole dei testi della raccolta è costituita infatti da recensioni, una tipologia testuale oggi purtroppo ingiustamente in declino (come rileva Vittorio Formentin al cap. 3) e che invece all’epoca di Salvioni da un lato poteva essere sfruttata dal singolo studioso per presentare dati tratti da ricerche personali appoggiandosi a quadri complessivi già disegnati da altri, dall’altro serviva alla comunità scientifica per cogliere l’effettivo contributo che le novità editoriali avevano apportato al progresso delle ricerche (e tuttora le recensioni salvioniane consentono di cogliere l’impatto effettivo di alcuni lavori all’interno di uno specifico filone di studi). Rispetto alla circospezione con cui si muovono, di norma, le attuali recensioni che si leggono sulle riviste scientifiche, anche le frequenti stroncature di Salvioni possono colpire, ma vanno spiegate anzitutto con i diversi obiettivi che aveva allora la recensione e quindi costituiscono anch’esse elemento significativo in diacronia. Vari altri studi salvioniani, anche se non costituiscono formalmente delle recensioni, partono però da lavori altrui, per apportare dati nuovi, di supporto o di 1 Su questi titoli v. Faré (1964: xv, 220), Loporcaro (2008: 97 n. 192). Segnalo che secondo Serianni (1990: 60), Salvioni fu «alieno da lavori di sintesi e in generale da opere di vasto impianto». Paolo D’Achille 18 critica: da Di un recente lavoro sui dialetti di Lugano e Mendrisio (Salvioni 1901b [ I 245-52]) a Il dialetto di Poschiavo: a proposito di una recente descrizione (Salvioni 1906b [ I 253-325]), sino alle fondamentali Giunte italiane alla Romanische Formenlehre di W. Meyer-Luebke (Salvioni 1896 [ II 13-69]). Insomma, la categoria della intertestualità, che all’epoca di Salvioni non era ancora stata definita, costituisce una chiave importante per esaminare complessivamente i suoi scritti, ognuno dei quali si inserisce in una tradizione di studi costantemente tenuta presente, con cui si dialoga (a volte anche duramente), per approfondire le conoscenze e far progredire la ricerca più che per far mostra della propria dottrina. Un ultimo elemento di carattere testuale che vorrei richiamare è lo spazio che, nei singoli testi, occupano le note: che si tratti di uno spazio ampio può sembrare scontato, e in questo, tutto sommato, le cose non sono cambiate poi troppo nell’arco di un secolo, almeno sul piano dei lavori propriamente scientifici, anche se sembra innegabile, oggi, una certa tendenza alla riduzione delle note: questa, almeno, l’indicazione fornita da molti normari, che invitano a farne un uso “parco”: indicazione che un po’ è finalizzata a evitare problemi di impaginazione, un po’ dettata dalla consapevolezza che molti lettori saltano le note a piè pari (e che non a caso, infatti, è praticamente tassativa nei manuali). Ma per Salvioni (come del resto spesso per Ascoli e per altri autori coevi) le note, che in qualche studio sono distribuite addirittura su un doppio livello (abbiamo così le note al testo e le note alle note! ), costituiscono non solo lo spazio per precisazioni e approfondimenti, destinato quindi all’alleggerimento del testo e alla migliore messa in evidenza del tema principale, ma anche un’occasione per digressioni, per trattare, più o meno sinteticamente, argomenti che solo in parte hanno a che vedere con l’oggetto di studio del saggio. Anche per questo gli indici del quinto volume della raccolta risultano preziosi, perché consentono di recuperare osservazioni dell’autore su voci e fenomeni linguistici che non ci si aspetterebbe di trovare in studi che trattano d’altro, o meglio il cui tema centrale è un altro. 2.3. LA LINGUA DEGLI SCRITTI DI SALVIONI Sul piano della lingua, segnalo rapidamente alcuni aspetti arcaici, basandomi sui titoli dei saggi e su uno spoglio di due studi specifici (Salvioni 1903b [ I 148-50]; 1906a [ II 123-82]). Un utile punto di riferimento, per questa breve caratterizzazione, è costituito dalla splendida analisi di Dardano (2010) sulla lingua di Ascoli (su cui v. anche Serianni 1990: 121-23). A livello grafico, non più di un cenno meritano la resa con <j> della i semiconsonantica (compaja, conjugazione, objezioni), all’epoca ancora diffusa, sebbene «in forte regresso» (Migliorini 1960: 699), e grafie come pò invece di po’ o traccie (l’assenza di accento su se in attrarre a se [ II 129] parrebbe invece un errore di stampa). A livello fonetico, va segnalata anzitutto la riduzione dei dittonghi nelle preposizioni articolate (de’ dialetti, ne’ primi), e, soprattutto, l’abbondanza delle elisioni (d’altri nomi; potrebb’essere) e dei troncamenti (indicazion della pagina; citar gli esempi, Premetto esser mia ferma convinzione; nella trattazion dell’infinito; trattiam come una 2. Gli Scritti linguistici di Salvioni: considerazioni di uno storico della lingua 19 forma sola; latin volgare; region meridionale; la sua vocal caratteristica). A cavallo tra grafia e fonetica si segnalano varianti arcaiche come quisquiglie, pretensioso, quistione, feminili. Degni di nota anche la i prostetica in non istupirà e il dittongo in intiera. In morfologia e in sintassi si possono segnalare la presenza di forme come sieno ‘siano’, del pronome qualcheduno, di punto nel senso di ‘affatto’, di onde con valore di vero e proprio pronome relativo (‘da cui’, ‘di cui’); l’uso del clitico pronominale espletivo gli ad apertura di una frase scissa (Gli è che) e di la nel senso di ‘la cosa’ (Come la s’abbia a spiegare, non so), di avervi nel senso di esserci (non v’ha dubbio), di doppie preposizioni come su di, circa a (su d’altri nomi; circa all’esistenza); 2 da citare, ancora, qualche enclisi pronominale in condizioni Tobler-Mussafia (ma parmi), usi particolari del si passivante (che si contengono ‘che sono contenute’), reggenze preposizionali cadute in disuso (intende solo a raccogliere), completive oggettive all’infinito (Premetto esser mia ferma convinzione), posposizioni del soggetto al verbo (distingue egli; non ammetta il Philipon), participi passati non accordati al genere del soggetto posposto (essersi un giorno avuto anche questa alternanza). Sul piano del lessico, segnalo l’arcaizzante galloromanismo esitanza ‘esitazione’, così come, a vario titolo arcaizzanti, per incidenza ‘incidentalmente’, ho intrapreso a studiare, poco monta ‘poco importa’, ci guarentiscono ‘ci garantiscono’, a buon dritto ‘a buon diritto, legittimamente’. Notevole, dal punto di vista stilistico, che in un passo in cui Salvioni ricorre alla metafora essere in alto mare la mantiene alla fine della stessa frase, che parla del «tentativo di guadagnare la riva» (Salvioni 1906a: 202 [ II 127]). Se per questi tratti la lingua di Salvioni ci appare oggi antiquata, si nota però, rispetto ad Ascoli, una minore lontananza da certe innovazioni di matrice manzoniana (alcuni dei fenomeni sopra riportati sono senz’altro toscaneggianti). In generale, poi, la struttura del periodo risulta piuttosto lineare e non si abusa dell’ipotassi; se la frequenza dei nessi relativi (con il quale all’inizio di periodo), per l’epoca normale, è un tratto tipicamente scritto, affiorano anche strutture proprie del parlato, come alcune dislocazioni a sinistra: «qualche esempio par proprio che le iscrizioni della Gallia lo forniscano» (Salvioni 1906a: 201 [ II 126]); «L’origine di barba -báne io poi l’attribuirei alla speciale influenza di un *barbo -bonis» (ivi: 203 [ II 128]); «una reciproca influenza tra queste due categorie la trova naturale anche il Meyer-Lübke» (ivi: 204 [ II 129]). Anche nell’uso delle congiunzioni testuali le pagine di Salvioni, rispetto a quelle di Ascoli, hanno un minor sentore di arcaicità: è frequente, naturalmente, onde, ma troviamo dunque e non adunque; sono numerosi gli e e i ma ad inizio di periodo (Sabatini 1997); tra gli altri legamenti usati figurano congiunzioni ancora in uso come orbene, tuttavia, poi. 2.4. ATTUALITÀ SOSTANZIALE Come ho detto all’inizio, dal punto di vista dei contenuti (che è poi quello centrale), le pagine salvioniane risultano decisamente attuali nei metodi e nei risultati e anzi l’analisi dei fenomeni indagati ha spesso un’ampiezza di orizzonte che tutto- 2 Da segnalare anche un di partitivo dopo un avverbio di quantità in molto di spesso, secondo un uso non raro nell’Ottocento (cfr. Migliorini 1960: 633). Paolo D’Achille 20 ra dovrebbe fare testo. Anche per questo gli studi di Salvioni conservano interesse sul piano metodologico anche quando vanno considerati una tappa rispetto alla quale la ricerca è ulteriormente progredita: cito per esempio le note etimologiche su pazzo (Salvioni 1899 [ IV 363]) e su cerretano (Salvioni 1938 [ IV 377]) che i dizionari etimologici hanno respinto (cfr. rispettivamente le voci del DELI e del DI; ma per pazzo si vedano ora le osservazioni di Loporcaro 2008: 66 n. 71). 3 Per quanto riguarda i saggi di carattere morfologico in particolare, Salvioni considera la morfologia legata alla fonetica, limitata sostanzialmente alla flessione, ma ne coglie anche, innovativamente, i rapporti con la sintassi. Nella sua precisa caratterizzazione di Salvioni linguista, riferendosi a questi due livelli di analisi, Loporcaro (2008: 61) rileva giustamente «come l’interesse per la diacronia si accompagni sempre ad una sensibilità acuta per il sistema grammaticale, anche inteso sincronicamente», come «le spiegazioni dei mutamenti morfologici appaiano sempre condivisibili a tutt’oggi, e come perlopiù le si possa rileggere alla luce di strumenti concettuali messi a punto soltanto successivamente dalla ricerca in linguistica generale». A mio parere il valore degli studi di Salvioni è assicurato in particolare da due aspetti. Da un lato, il fatto che l’autore non si prefigga innovazioni teoriche, ma si muova nel solco della metodologia neogrammatica e ascoliana 4 è un elemento propizio, che tra l’altro consente spesso allo studioso una certa elasticità nella interpretazione dei dati. Per esempio, il montalese strego ‘stregone’ a suo parere è stato «creato forse [d]a stregone sulla norma di dragone : drago, ma [...] anche potrebb’essere uno strega fatto mascolino, o anche un semplice compromesso tra mago e stregone» (Salvioni 1896: 184-5 [ II 14-5]). Le tre spiegazioni - la retroformazione (come diremmo oggi) 5 da stregone, la mozione dal femminile strega, l’incrocio tra i quasi sinonimi stregone e mago - sembrano tutte plausibili e potrebbero anche essere complementari, non alternative. In altri casi, lo studioso preferisce rinunciare a spiegazioni di carattere generale puntando a raccogliere dati concreti: Di fronte alla parziale conservazione del tipo mascolino rappresentato da amiko -ći, sorprende però la totale mancanza del tipo parallelo feminile sing. *amika plur. -će. Come la s’abbia a spiegare, non so; e più volentieri mi ristringo qui a ricercare se l’Italia offra qualche sicuro testimonio dell’essersi un giorno avuto anche questa alternanza (Salvioni 1903b, 608 [ I 149]). Dall’altro lato il punto di forza dei suoi lavori è la possibilità - che è particolarmente evidente in Salvioni (1896 [ II 13-69]) - di attingere a una messe considerevolissima di dati: i dialetti moderni, quelli antichi, i documenti della latinità volgare e medievale, la toponomastica, ma anche i testi della lingua letteraria, di varie epoche. Nel caso dei dialetti, lo studioso si avvale di conoscenze dirette 3 Lo studioso discute a tal proposito il contributo di Zamboni (2006-07: 613-26), il quale, pur opponendosi con una proposta alternativa all’etimo PATIENS ipotizzato da Salvioni, ammette che non ci sono elementi davvero cogenti ad esso contrari. 4 Per una rilettura critica della linea di studi dialettologici tradizionalmente indicata come Ascoli-Salvioni-Merlo cfr. Loporcaro (2010a). 5 Sul fenomeno mi permetto di rinviare a D’Achille (2005). 2. Gli Scritti linguistici di Salvioni: considerazioni di uno storico della lingua 21 dell’area ticinese e lombarda, di indagini sul campo, di notizie attinte a studi dialettali; per le aree più lontane (spesso in assenza ancora di studi specifici e, naturalmente, di atlanti linguistici) si serve di informatori amici, ma non disdegna neppure il ricorso a testi nella letteratura dialettale riflessa (a cui la dialettologia ha sempre guardato con sospetto): così ho rilevato con una certa sorpresa la citazione non solo del Belli per l’imperativo romanesco essi ‘sii’ (Salvioni 1896: 204 [ II 4]), ma anche, contemporaneamente alla loro utilizzazione nello studio di Campanelli (1896), che Salvioni non cita, dei Sonetti scritti in dialetto reatino nel sec. XVII da Loreto Mattei (nell’ed. del 1877, la terza, di difficilissima reperibilità: cfr. Formichetti 1997: 43), delle Pasqualoneidi del pesarese Odoardo Giansanti (1887) e delle Poesie in dialetto velletrano di Giovan Battista Iachini (1890), che di certo ebbero una circolazione limitata. 6 Per ricostruire la situazione dialettale più antica Salvioni utilizza invece testi medievali, nel trattare i quali rivela anche notevoli competenze filologiche (alcuni studi, sono, di fatto, edizioni di testi antichi); 7 successivamente, il rapporto tra filologia e dialettologia sarebbe diventato molto più problematico (per un panorama della situazione alla fine degli anni Ottanta cfr. Stussi 1987) e molti dialettologi avrebbero lamentato una sorta di “invasione di campo” da parte dei filologi nella pubblicazione di testi antichi in dialetto (lamentela non del tutto infondata, ma che richiederebbe anche qualche mea culpa). Ma, oltre ai testi lombardi, Salvioni cita anche autori di altre regioni, come per esempio, per il romanesco antico, il Diario di Stefano Infessura (Salvioni 1896: 209 [ II 39]), per quello moderno Belli (in vari passi), per i dialetti toscani le commedie di G.B. Fagiuoli (Salvioni 1896: 202 [ II 32]). Quanto all’interesse per i documenti della latinità volgare e medievale, 8 a documentare l’attualità della lezione salvioniana basta citare la recente affermazione di Formentin (2008: 25): «non si può fare storia degli antichi volgari d’Italia senza un’adeguata considerazione del ricco e variegato materiale documentato nel coevo latino, in particolare negli strati meno elevati rappresentati dai testi notarili e statutari, che spesso rivelano chiaramente, sotto la maschera della forma latina, una sostanza linguistica tutta locale». Sull’importanza che oggi viene conferita alla toponomastica per le ricerche dialettologiche è sufficiente rinviare a Marcato (2002: 115-7), con l’avvertenza che la disciplina si inserisce ora in una fioritura di ricerche sull’onomastica in generale che all’epoca di Salvioni era impensabile. 6 Cfr. lo scarso numero di esemplari posseduti dalle biblioteche italiane registrati nel catalogo ICCU in rete, da cui risulta che la pubblicazione delle Pasqualoneidi risalirebbe al 1897 (ma sembra corretta la data riportata da Salvioni) e che l’edizione del 1890 delle poesie di Iachini sarebbe la seconda e non la terza, come afferma Salvioni; ma anche in questo caso, pur essendo possibile un lapsus o un refuso, non si può affatto escludere che ci siano state due edizioni nello stesso anno e che lo studioso possedesse l’ultima, di cui si sono poi perse le tracce. Del resto, è noto come Salvioni fosse un bibliofilo appassionato: lo testimoniano i ricordi di quanti lo conobbero, tra gli altri Vittorio Cian e Nicola Zingarelli (cfr. Loporcaro 2008: 95 n. 185). 7 Emblematico il caso dell’egloga maggiore di Paolo da Castello, recentemente analizzato in dettaglio da Formentin (2010). 8 Cfr. in particolare gli studi sugli statuti basso-latini, come Salvioni (1897 [ I 523-61]) e, naturalmente, Salvioni (1906a [ II 123-82]). Paolo D’Achille 22 A proposito dei riferimenti alla lingua letteraria, viene spontaneo pensare all’accostamento fra i dati ricavati dai dialetti moderni e le attestazioni fornite dalla tradizione scritta compiuto successivamente da Rohlfs (1966-69). Va però rilevato che i paralleli e i confronti tra testi antichi e dialetti moderni sono condotti dallo studioso tedesco certamente a largo raggio, ma, nel dettaglio, con minore sistematicità e accuratezza rispetto a Salvioni, che si segnala, oltre che per la maggior cautela e competenza specifica che dimostra nell’utilizzazione dei testi letterari, specie antichi, anche per una sensibilità da vero storico della lingua. Lo dimostrano certi scorci, contenuti in vari studi della raccolta, sui rapporti tra lingua letteraria, toscano e varietà dialettali e regionali. 9 Tale sensibilità è a mio parere confermata dal fatto che Salvioni utilizza talvolta come fonti anche trattati di lingua e di grammatica, oltre che vocabolari italiani. Mi ha molto colpito, per esempio, la citazione, a proposito dei possessivi posposti «che si accompagnano a nomi di parentela e hanno in origine carattere di vocativo» (Salvioni 1896: 197 [ II 27]), del Discorso di Ascanio Persio (1582), che aveva avuto già una riedizione nel 1877, ma che sarebbe rientrato in circolazione nelle ricerche linguistiche italiane 10 solo grazie alla ristampa anastatica del 1968 promossa da Tristano Bolelli. Proprio per queste loro caratteristiche, come ho detto all’inizio, gli studi salvioniani si offrono oggi al lettore come una miniera di dati e di interpretazioni dalla cui consultazione si può certamente trarre profitto. Non è un caso, del resto, che alcune sue spiegazioni linguistiche possano essere rilette in un’ottica moderna e accolte anche all’interno dei nuovi quadri teorici che si sono affermati (rinvio naturalmente a Loporcaro 2008: 58-67). Talvolta Salvioni ha anticipato percorsi che le ricerche più recenti hanno ripreso: è il caso dell’ipotesi (avanzata in Salvioni 1906a [ II 123-82]) del mantenimento, nella fase preletteraria dell’italoromanzo, di un sistema di flessione bicasuale, su cui si è tornati di recente a discutere (cfr. almeno Zamboni 2000: 110-5). Anche gli storici della lingua italiana, specie quelli interessati alla «storia interna» più che alla «storia esterna» (sulla distinzione cfr. Stussi 1993: 54-5; 1998: 8), possono e anzi debbono guardare a questa raccolta con grande interesse, perché Salvioni va considerato non solo un linguista e un dialettologo, ma anche, ante litteram e a tutti gli effetti, uno storico della lingua italiana. 11 Vorrei anzi concludere segnalando, quasi a rafforzare questa affermazione, che il magistrale saggio salvioniano sull’enclisi dei pronomi atoni con elementi diversi dal verbo (Salvioni 1903a [ II 96-105]) venne ripreso, molti anni dopo, proprio dal “padre fondatore” della disciplina, Bruno Migliorini, il quale aggiunse vari esempi letterari alla ricca documentazione, in lingua e in dialetto, già proposta da Salvioni, accogliendo implicitamente in toto la sua spiegazione di questo costrutto, «per secoli assai vivo, più che di solito non si creda» (Migliorini 1975: 44). 9 Al proposito cfr. Moretti (2010), relativamente alla Svizzera italiana, e Bertoletti (2010) per la fase antica. 10 L’ho utilizzato anch’io per la segnalazione del periodo ipotetico col doppio imperfetto indicativo; cfr. D’Achille (1990: 297). 11 Cfr., al riguardo, Formentin (2010) e Loporcaro (2010b). 2. Gli Scritti linguistici di Salvioni: considerazioni di uno storico della lingua 23 Riferimenti bibliografici Bertoletti, Nello (2010), Salvioni commentatore di testi italiani antichi: Lombardia e Piemonte, in Loporcaro et al. (2010: 165-92). Campanelli, Bernardino (1896), Fonetica del dialetto reatino, Torino: Loescher (rist. anast. Rieti: Cassa di Risparmio 1976). D’Achille, Paolo (1990), Sintassi del parlato e tradizione scritta della lingua italiana. Analisi di testi dalle Origini al sec. XVIII, Roma: Bonacci. D’Achille, Paolo (2005), Le retroformazioni in italiano, in Claudio Giovanardi (cur.), Lessico e formazione delle parole. 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RECENSIONE COME COLLABORAZIONE Ogni recensore (e qui s’intenda la parola con riferimento a chi ha l’abitudine di recensire l’opera scientifica altrui) ha un suo schema. E così anche Salvioni: a una breve parte introduttiva, cui è affidata la presentazione della materia del saggio ovvero dell’edizione presa in esame, e che sempre contiene la formulazione esplicita di un giudizio, positivo o negativo, sul valore assoluto del lavoro, segue una fitta serie di correzioni e osservazioni particolari, che costituisce il cuore del contributo salvioniano. Dunque, la recensione, ovvero l’opera di critica, si identifica con l’opera di ricerca diretta, nella convinzione che il dovere di uno studioso consiste nel «portare, nella misura del suo sapere, un frammento, un contributo provvisorio all’opera comune» (Terracini 1922: 600). E Contini (1961: 330), sulla scia di Terracini, parla di una «credenza nell’oggettività della scienza e nell’impersonalità dell’elaborazione», che spiega «l’inclinazione del Salvioni verso la gestione collettiva in forma di collaborazione o di recensione, s’intenda di quell’attività recensoria che rifà e integra gli scritti in esame […]. Il comportamento del Salvioni non è di maestro, ma di compagno di lavoro; la sua non è cattedra, ma laboratorio di eguali». Questo atteggiamento risalta benissimo, certo, quando il recensito è un vero “eguale”, come per es. nelle splendide Giunte italiane alla «Romanische Formenlehre» di Meyer-Lübke (Salvioni 1896), che si aprono con il pieno riconoscimento dello spirito sintetico dello studioso svizzero, cioè con l’apprezzamento del diverso da sé e perciò stesso del complementare a sé: acutamente qui Salvioni riconduce la miglior riuscita del secondo volume della Grammatik der romanischen Sprachen rispetto al primo, dedicato alla fonetica, proprio alla natura della materia morfologica, che intrinsecamente si presta meglio a un’«esposizione organica», a un processo di «sintesi vigorosa» più consone, l’una e l’altra, alle «potenti qualità intellettuali» del Meyer-Lübke (Salvioni 1896: 183 [ II 13]). Collaborazione, quindi: «E l’aiutare qui l’opera dell’Autore è cosa che deve riuscir grata, più che a tutti, a lui stesso» (Salvioni 1896: 183 [ II 13-14]; e si pensi alle Postille italiane al REW). Espressioni simili sono adoperate in altre famose recensioni, dove pur il recensito è, spesso longo intervallo, inferiore al recensore, a riprova che quelle parole corrispondono a una sostanza di pensiero, non ad una formula retorica o accademica: «Ho pensato che questi miei appunti potrebbero essere non del tutto inutili a completare il lavoro del S[eifert]» (Salvioni 1886a: 411 [ III 14], dove si tratta del Glossar bonvesiniano di Adolf Seifert, un allievo del Tobler); e ancora, a proposito del codice di provenienza lodigiana pubblicato da Vittorio Formentin 28 Giovanni Agnelli: «M’è parso non inutile di allestire come un supplemento alla fatica dell’editore» (Salvioni 1904: 423 [ III 476]). Nello stesso comportamento s’inquadra il sincero riconoscimento dei meriti di quelli che potremmo definire dilettanti o divulgatori, pur nel rispetto del vero e dunque senza passar sotto silenzio le eventuali mende della loro opera, rilevate sempre col solito spirito collaborativo. Si vedano a questo proposito le belle pagine che prendono spunto dal saggio di Pietro Rolla sullo Spicilegium di Lucio Giovanni Scoppa, grammatico e umanista napoletano vissuto fra il XV e il XVI secolo, in cui si dà pienamente atto al recensito di aver per primo attirato l’attenzione sull’importanza lessicologica e dialettologica dello Spicilegium, una sorta di dizionario latino-volgare, «il quale veramente si merita uno studio esauriente» e «sarebbe un bel tema per un agguerrito romanologo» (Salvioni 1910: 402 [ II 349]). Oggi come allora, perché le osservazioni di Salvioni delineano un interessantissimo e complesso progetto di ricerca in sostanza ancora tutta da fare (come in tempi recenti ha riconosciuto Sabbatino 1995: 83 n. 17; da ultimo v. Valerio 2007 e Izzi 2007): occorrerebbe prima di tutto mettere ordine nell’ingente tradizione a stampa dell’opera, a partire dalla princeps napoletana del 1511 e 1512 per poi proseguire con l’esame delle varie edizioni settentrionali, soprattutto veneziane, che si susseguono attraverso buona parte del Cinquecento; si osservi, a questo proposito, come Salvioni rilevi puntualmente un fenomeno ben noto a chi, in tempi assai più recenti, si è occupato della tradizione di opere di scrittori meridionali stampate nella capitale della Serenissima, cioè la progressiva sostituzione di venetismi ai meridionalismi dell’originale: comparando la stampa Ravani del 1556 con la Varisco del 1561, entrambe appunto veneziane, Salvioni rileva che, s.v. AMBITUS , calisella [Var.] subentra a trasonda [Rav.] e, s.v. BUTYRUM , smalzo [Var.] sostituisce votorio [Rav.] ecc. Bisognerebbe poi procedere alla delicata operazione di distinguere le varietà meridionali che si affiancano alla napoletana nella dichiarazione delle voci latine (per es. ASSULA […] la tacca, tappa, ascha, stella de legname; LIMAX la maruzza, limaca, ciammaruca, babaluxa ecc.); si potrà infine procedere all’esame fonetico e morfologico del materiale dialettale complessivo. Certo, come afferma Salvioni, «ne verrebbe una monografia che, - supposta la possibilità di uguagliare il Mussafia nelle sue mirabili doti di indagatore e di espositore, - potrebbe rappresentare la controparte meridionale del Beitrag» (Salvioni 1910: 402-3 [ II 349- 50]), dove ancora una volta si deve rilevare l’insistenza sulla concezione complementare del lavoro scientifico. La recensione finisce in levare con un paio di quesiti che allargano l’orizzonte dalla storia dei dialetti alla storia della lingua italiana, ovvero ai rapporti intercorrenti tra dialetto e lingua nel secolo in cui si sono decise le sorti dell’italiano come lingua nazionale: E dallo Spicilegium sbuca fuori un altro problema relativo alla storia della lingua italiana e della sua recezione nelle varie parti della penisola. Nello Scoppa quella ch’è la lingua letteraria rappresenta la parte secondaria, la principale essendovi tenuta dal napoletano. Ora intendeva lo Scoppa, a principio del sec. XVI, che questo dovesse tenere un posto uguale o anche superiore a quello tenuto dal toscano? […] Ma la parte più interessante del problema non è ancora questa. Noi abbiamo visto le numerose ediz[ioni] veneziane succedentisi almeno sino al 1561, cioè un pezzo dopo le Prose del Bembo. […] Come si spiega nell’alta Italia questa fortuna d’un 3. L’arte della recensione secondo Salvioni 29 vocabolario che in fondo e più che tutto è un vocabolario latino-napoletano? (Salvioni 1910: 403 [ II 350]). A queste domande tutt’altro che impertinenti potremmo cercar di rispondere chiamando in causa, da una parte, la rilevanza non solo regionale dell’editoria veneziana, che esportava i propri libri in tutta Italia, dall’altra l’intenzione scolastica e insomma strumentale del vocabolario dello Scoppa, la cui fortuna editoriale poteva per ciò stesso prescindere dalla soluzione offerta dal Bembo, e più in generale dal dibattito teorico cinquecentesco, alla questione della lingua letteraria italiana (per una visione d’insieme della produzione libraria scolastica nel primo Cinquecento e del suo livello linguistico v. Trovato 1994: 27-32). Il grado di plausibilità di tali illazioni, per altro, potrà essere valutato solo al termine di un percorso di ricerca come quello indicato con tanta lucidità da Salvioni nel 1910. 3.2. LO STILE DEL SALVIONI RECENSORE Dunque, per il modo stesso in cui sono concepite e realizzate le recensioni di Salvioni sono sempre contributi originali che apportano un incremento secco di conoscenza: ne consegue che esse nei suoi Scritti linguistici hanno un ruolo di rilievo, nient’affatto ancillare. E invero non sovviene facilmente un altro grande studioso in cui il genere “recensione” sia altrettanto integrato nella propria attività scientifica: un magnifico esempio di questa contiguità perenne di critica e ricerca sono le note recensorie, equamente suddivise tra «Dialetti italiani antichi» e dialetti moderni, ospitate nel Kritischer Jahresbericht über die Fortschritte der romanischen Philologie, note che si spera possano essere presto raccolte in volume a degno complemento dei già sontuosi Scritti linguistici. Ma come recensisce Salvioni? Qual è il suo stile? Il tono, anche nelle pagine più severe, non è mai aggressivo o sprezzante: egli sa dire le cose più atroci col sorriso sulle labbra ovvero calandosi sul volto la maschera neutra dello scienziato che osserva e riferisce sine ira et studio. Anche quando è chiamato a rispondere e a giustificarsi è sempre elegantemente ironico, senza mai scendere ad eccessivi personalismi e senza mai perdere di vista il comune interesse scientifico: ceghedà [‘cecità’ in Bonvesin]; mi si consenta qui una parola pro domo mea: il S[eifert], della cui cortesia, d’altronde, io non debbo che lodarmi, dopo aver detto ch’io adduco questa parola di su i B[e]rl[i]n[er] Monatsber[ichte], pone lì un bel ‘(sic! )’, parentesi ed esclamazione che in Italia, non so se il S[eifert] lo sappia, non hanno nulla di lusinghiero per colui che ne è oggetto (Salvioni 1886a: 412 [ III 15]). Dopo aver chiarito, ad ogni buon conto, che le sue osservazioni, lungi dall’essere citazioni di seconda mano (dal celebre saggio di Mussafia 1868), derivano da una conoscenza diretta dei testi di Bonvesin pubblicati a puntate dal Bekker nei Monatsberichte der Preußischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin (anni 1850 e 1851), Salvioni innalza sùbito il suo discorso a considerazioni d’ordine generale, utili a illustrare i motivi del particolare interesse linguistico del termine commentato: se invece […] lo stupore del S[eifert] è stato eccitato dall’addurre ch’io faccio il ceghedhà di sul testo quando il Mussafia già ne tien conto assieme alle forme sorelle Vittorio Formentin 30 brutedhae e gordedhae, risponderò che all’intenzione mia bastava di citare quell’una come rispondente ad una parola latina che realmente ha vissuto cioè a CAECITATE e non ho allegate le altre come mi sono astenuto dal ricordare i vegedà ‘vecchiaia’, strachedà ‘stanchezza’ che odonsi sempre in Lombardia e che io ho succhiati col latte. - Se poi attribuisco qualche importanza a simili forme gli è ch’esse ci rappresentano come le reliquie della genuina tradizione popolare, mentre le forme in -ità, per quanto divenute popolari dippoi e per quanto possa farsi valere l’influenza del -tà di forme come bontà ecc., o anche l’influenza d’una forza dissimilativa (t-t), son tutte di provenienza dotta e non ne escludo la sacrosanta verità. - Quanto alla gutturale di ceghedà io ritengo o che questa forma è una derivazione seriore da ‘caeco’ o che la gutturale dell’aggettivo, se non ha salvata addirittura quella del sostantivo, almeno l’ha reintegrata (Salvioni 1886a: 413 [ III 16]). È evidente che qui Salvioni non parla semplicemente per sé ma veste i panni dello scienziato che prende spunto da un particolare di rilievo personale e aneddotico per avvicinarsi un po’ di più alla «sacrosanta verità». Naturalmente Salvioni ha scritto anche stroncature inappellabili, espresse senza tanti giri di parole: sempre in questi casi, però, si trattava di salvaguardare la serietà stessa del lavoro e degli studi, e stigmatizzare insufficienze di moralità scientifica. Sia il caso della recensione al lavoro del Donati sulla Raccolta d’esempi in antico veneziano: La quale dissertazione è, diciamolo subito e senz’ambagi, una ben misera cosa, una troppo misera cosa. Impossibile infatti l’accingersi ad un tale compito con minore preparazione di quello che faccia il D[onati]; al quale manca, malgrado una leggerissima vernice di metodo, il vero e retto criterio metodico, come gli fanno difetto l’informazione generale, la nozione de’ particolari, e, cosa ben grave, la coscienza (Salvioni 1890: 259 [ II 214]). Alla coscienza del Donati Salvioni rimprovera di non affrontare le vere difficoltà interpretative del testo e di dissimulare il debito contratto con gli altri studiosi, quando adotta emendazioni e interpretazioni altrui senza indicarne la paternità. Al di là di queste punte di “ira giusta”, in generale si può dire che la recensione di Salvioni, negativa o positiva che sia, aderisce allo scritto recensito come una seconda pelle, sicché, per chi viene dopo, non è più possibile citare l’uno senza l’altra, mentre capita ad ogni momento di citare questa senza far riferimento all’occasione che l’ha provocata, dato appunto che la recensione salvioniana mostra sempre l’impegno e l’intenzione del “contributo” autonomo. 3.3. L’ATTUALITÀ DI SALVIONI L’attualità di Salvioni, il significato che la sua opera ha ancora per noi, si misura nell’ambito del genere recensorio non meno che in quello delle sue ricerche originali. A conferma della mia affermazione, metto in serie alcune osservazioni che, durante la lettura o rilettura delle varie recensioni salvioniane, mi hanno particolarmente colpito, o perché offrono geniali intuizioni approfondite poi dagli studi successivi o perché contribuiscono a chiarire alcuni problemi del mio attuale la- 3. L’arte della recensione secondo Salvioni 31 voro. Non credo che si potrebbe rendere un omaggio più pieno alla vitalità perenne del magistero salvioniano. Prima di tutto, metto in evidenza alcune affermazioni di Salvioni che sembrano anticipare, magari in iscorcio, aspetti della ricerca messi poi in piena luce da altri. E cominciamo dal rapporto maestro-allievo, cioè Salvioni-Merlo, dove è ben possibile, e anzi naturale, che alcuni temi così caratteristici della produzione scientifica dell’allievo siano stati primamente additati dal maestro. Nelle già citate Giunte italiane alla «Romanische Formenlehre» del Meyer-Lübke (Salvioni 1896), come più tardi in alcune osservazioni del commento al Pianto delle Marie marchigiano (Salvioni 1900), è più che percepito il problema del neoneutro centro-meridionale, che sarà poi chiarito dal Merlo, partendo proprio da osservazioni descrittive analoghe a quelle di Salvioni, nelle due puntate pubblicate sulla Zeitschrift für romanische Philologie (Merlo 1906-07): Notevole questa notizia del Leopardi […] relativa a S. Ginesio: “l’art[icolo] lo varia a capriccio lo pane, lu castrato, lo pesce, lu ca, restando sempre inalterato ne’ verbi sostantivati: lo piagne, lo cantà, lo pagà, mentre diventa lu nel vero sostantivo”. Peccato che il contraddirsi dell’A[utore] in così poche linee, non permetta di dire di più (Salvioni 1896: 197-98 [ II 27-28]). L’osservazione dell’erudito locale suscita evidentemente la curiosità di Salvioni: e lo vediamo allora cercar di procurarsi altri dati su quell’alternanza, che gli permettano di capire la regola in atto, di ridurre insomma all’unità della ragione la molteplicità, apparentemente confusa, del reale. Quel presunto «variare a capriccio» doveva urtare il senso, spiccatissimo in Salvioni, della regolarità grammaticale (ricordiamo tutti l’espressione che s’incontra all’inizio del famoso saggio Di «dun» per «un» nella poesia popolaresca alto-italiana, per cui quella stranezza sintattica «mi feriva come uno strappo alle corrette norme grammaticali», Salvioni 1901: 1 [I 126]). E nella nota apposta al passo citato delle Giunte italiane, col tono sobrio, tutto cose, che gli è proprio, vediamo Salvioni disporre in ordine i dati e avvicinarsi dunque alla “verità” fino a sfiorarla: Una persona da Macerata, che ho potuto interrogare, mi dà bensì lu gattu, lu cavallu, da una parte, lo magnà, lo bé dall’altra; ma mi assicura: lo ví, lo pà. - Nel Saggio del Papanti, è sempre lu, meno che in lo vendecà ‘il vendicare’ (v. anche lo sa ‘lo sa’) (Salvioni 1896: 198 nota [ II 28]). Ivi anche - e il precedente, assieme a quello del Mussafia, è esplicitamente ricordato nel magistrale saggio di Merlo (1909) - è colta l’importanza della distinzione mediana tra il tipo cau ‘cadono’, remittu ‘rimettono’ da una parte e il tipo tróano, amano dall’altra (Salvioni 1896: 199 [ II 29]) per ricostruire le vicende della terza persona plurale epitetica dell’italiano. Ancora dalla miniera inesauribile di queste Giunte si veda la spiegazione del mediano (e napoletano) antico desse ‘disse’ (Salvioni 1896: 210 nota [ II 40]): desse : disse ‘dissi’ = crese : crise ‘credetti’, prese : prise ‘presi’, spiegazione che rimanda all’azione di quella che oggi, con Fanciullo (1994), chiameremmo morfo-metafonia. O si consideri questa riflessione sul fenomeno che, con Castellani, siamo abituati a chiamare anafonesi (fenomeno naturalmente ben noto ai nostri vecchi glottologi), dove s’insiste sul fatto che si tratta di un carattere rivelatore della base specifica- Vittorio Formentin 32 mente fiorentina della lingua nazionale (si sta parlando delle forme dantesche del tipo lingua, pungere ecc.): Non v’ha dubbio che qui lo Z[ehle] avrebbe potuto e dovuto essere meglio informato, poiché questa, del permanere di í e ú in quelle formole, è peculiarità tutta fiorentina, ignota al resto della Toscana e dell’Italia, ed è quindi argomento poderosissimo in favore della fiorentinità [corsivo originale] della lingua nostra, la quale appunto adopera stringere, pungere e non strengere, pongere, come l’uso di tutta Italia vorrebbe (Salvioni 1886b: 437 [ II 209]). Di nuovo, dietro al glottologo, si affaccia lo storico della lingua italiana. Godibilissime sono le pagine sul fenomeno dell’allitterazione nell’Italoromania (Salvioni 1902), dove spiccano le riflessioni sui meccanismi linguistici che agiscono nella formazione di formule fisse del tipo culo e camicia, modo e maniera, d’amore e d’accordo, spendere e spandere ecc., richiamandoci alla mente il bellissimo saggio di Yakov Malkiel sui binomi lessicali irreversibili (Malkiel 1959): Salvioni descrive perfettamente, mediante una preziosa esemplificazione italiana e dialettale, alcune costanti di tali creazioni, come l’allitterazione, l’omoteleuto, la tendenza alla posposizione dell’elemento lessicale dotato di maggior massa fonetica, il parallelismo morfologico (lomb. curent e caminent ‘di corsa’; it. volente o nolente). Ma Salvioni mostra l’unghia del leone quando ci fa vedere come sia l’allitterazione che l’omoteleuto possono operare come agenti del cambiamento linguistico, si debbano cioè considerare un meccanismo inerente alla struttura della lingua: grosso e grasso («anche il gdi grasso = lat. CRASSU potrebbe esser nato nella formula *grosso e cr-», Salvioni 1902: 371 [ II 75]), piem. pom-podogn ‘mela cotogna’, lomb. nos-noscaa; su e giù (con DEORSUM rifatto su SURSUM ; o altrove vice versa: venez. so e zo), gr(i)eve rifatto su lieve, napol. socra e nocra ecc. Aggiungo, in margine a queste osservazioni di Salvioni, che la tendenza all’allitterazione può contribuire a fissare arcaismi o cultismi, come per es. nel binomio quomo et quantu, quomo et quintu del Ritmo su sant’Alessio, dove è verosimile che, ammessa la conservazione non solo grafica del nesso labiovelare (certo per latinismo) nel primo elemento, il fatto sia motivato dalla ricerca di un’allitterazione ricca con l’elemento seguente; e la stessa predilezione allitterativa conforta l’interpretazione fonetica dell’interrogativo que < QUID in testi antichi settentrionali, come in questo passo della Passione lombarda studiata dallo stesso Salvioni: que femena e quentre è quella, da avvicinare al frequente binomio settentrionale quente e quale. Quanto alla sintassi, ricorderò soltanto che Salvioni segnala in varie recensioni, come nei commenti in proprio a testi dialettali italiani antichi, il tipo ‘siamo radunati’ per ‘ci siamo radunati’ (per es. Salvioni 1910: 393-4 [ II 340-41], a proposito di un testo siciliano del Trecento), cioè segnala la frequente mancanza nelle varietà italoromanze antiche del pronome nei tempi composti dei verbi riflessivi: il pensiero corre ai successivi approfondimenti della Brambilla Ageno (1964) e ai recenti sviluppi teorici elaborati soprattutto in campo relazionalista (v. ad es. La Fauci 1992). Avviandomi alla conclusione, presento velocemente un caso concreto in cui le osservazioni del Salvioni recensore interagiscono con alcuni problemi della mia attuale ricerca. In un recente saggio riguardante alcune cruces lessicali della Cronica d’Anonimo romano (Formentin 2008) mi sono ben guardato dall’avventurarmi 3. L’arte della recensione secondo Salvioni 33 in ipotesi etimologiche, limitandomi ad offrire documentazione coeva (volgare e latina) dei lessemi in esame utile ad una precisazione del loro valore semantico. Una di queste cruces è la parola peta, che ricorre nell’episodio della condanna a morte di Fra Monreale: Abiato allo piano, per tutta la strada non finava volverse de là e de cà. Parlava e diceva: «Romani, iniustamente moro. Moro per la vostra povertate e per le mie ricchezze. Questa citate intenneva de relevare». Moite cose diceva. A peta a peta la croce basava (Porta 1979: 255). Sulla base appunto di alcuni riscontri antichi (d’area abruzzese) della parola, mi è sembrato che si debbano parimenti escludere le proposte d’interpretazione semantica ed etimologica di Ugolini (1983: 71-72), che pensava a un esito di PEDA ‘orma’ con desonorizzazione della - D - (a peta a peta ‘passo passo’), e di Castellani (1987: 79), che - dopo aver proposto di dividere i due a peta, leggendo: «Moite cose diceva a peta. A peta la croce basava» - ha formulato l’ipotesi di una derivazione dal nominativo PIETAS (a peta ‘in modo pietoso’): l’insieme dei riscontri disponibili («sappi, sorella, pigliare tempo et peta! » nella Leggenda di san Tommaso; «fo guaruto in quella peta» nella Leggenda di sant’Antonio) sembra indicare per peta un valore temporale, qualcosa come ‘momento’, ‘occasione’, sicché la locuzione a peta a peta potrebbe avere il senso di ‘ogni volta che poteva’, ulteriormente specificabile come ‘ad ogni momento’ oppure ‘ogni tanto’. Orbene, di fronte alla ricca esemplificazione dialettale offerta da Salvioni a complemento del par. 398 della Romanische Formenlehre del Meyer-Lübke, relativa ai sostantivi deverbali in -a da classi diverse dalla prima (mantena ‘corrimano’, saja ‘cavalletta’, dorma ‘dormita’, beva ‘bevuta’ ecc.: Salvioni 1896: 221 [ II 51]), mi sentirei quasi di proporre, per peta, l’ipotesi che si possa trattare di un deverbale di petere o petire ‘chiedere’, documentatissimo nei dialetti centro-meridionali antichi e moderni: saremmo dunque a un peta ‘(ri)chiesta’, ‘quel che il momento (ri)chiede’, donde si potrebbe essere sviluppato il significato più specifico di ‘occasione’. Si sa del cartello che Billy Wilder teneva appeso alla parete del proprio studio e che rileggeva ogni volta che scriveva una sceneggiatura o progettava un film: HOW WOULD LUBITSCH DO IT? Analogamente, di fronte ai molti problemi lessicali e linguistici che si pongono di continuo a chi si occupa di testi italiani antichi, mi capita spesso di chiedermi: che cosa ne avrebbe pensato Salvioni? Quali soluzioni avrebbe proposto e con quali argomenti? E ora mi domando: che cosa avrebbe detto dell’ipotesi etimologica avanzata a proposito dell’abruzzese e romanesco ant. peta? Certo i cinque preziosi volumi che raccolgono e rendono facilmente consultabile l’opera scientifica di Salvioni sono collocati in bella vista sullo scaffale della parete opposta alla mia scrivania. Riferimenti bibliografici Brambilla Ageno, Franca (1964), Il verbo nell’italiano antico, Milano-Napoli: Ricciardi. 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Di questa centralità si darà qui un saggio adducendo alcuni esempi concreti dall’epistolario, ad illustrazione della rete di rapporti che legavano il Salvioni ai colleghi italiani e svizzeri (e in particolare, in Svizzera, al seminario zurighese di lingue e letterature romanze). Il tema, dati i fitti rapporti di collaborazione che Salvioni intrattenne, meriterebbe d’esser trattato non già in un saggio della portata di quello presente bensì in una cospicua monografia. E del resto le relazioni di Salvioni con i colleghi elvetici sono già state oggetto di studio da parte del maggiore esperto della biografia salvioniana, Romano Broggini, che ha anche pubblicato negli anni parte della 1 Ringrazio i colleghi e amici Ursula Bähler, Marcello Barbato, Hans Christian Luschützky, Katharina Maier-Troxler, Lorenza Pescia, Dario Petrini, Alfredo Stussi, Richard Trachsler, Peter Wunderli e Peter Zürrer per i consigli ed il prezioso aiuto. Per i fondi manoscritti consultati si utilizzano le seguenti sigle: BA = Biblioteca Ambrosiana (carte Salvioni con segnatura T inf.; cfr. il regesto di P. A. Faré 1968); BANLC CA = Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana, Carte Ascoli (si cita con l’indicazione del numero di pacco e del numero progressivo della busta o del documento all’interno. Per le lettere di corrispondenti dell’Ascoli, la segnatura è preceduta da un «già» in quanto attualmente esse sono ricollocate in raccoglitori in ordine alfabetico per corrispondente); BIL MS = Biblioteca dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Manoscritti Salvioni: tre raccoglitori con segnatura «Archivio Manoscritti 20-22», qui citati con indicazione del raccoglitore in numero romano, seguito dalla lettera identificativa della busta e dal numero progressivo del documento; MNRT AN = Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, Torino, Archivio Costantino Nigra (v. il catalogo di Ceresa et al. 2006). Grazie a Gian Luigi Beccaria, Umberto Levra e Lorenzo Massobrio per avermi favorito l’accesso alle carte Nigra, e a Susanna Panetta per avermi più volte assistito nella consultazione del fondo Ascoli. Grazie infine alla Dott.ssa Adele Bianchi dell’Istituto Lombardo per avermi concesso la riproduzione dei documenti dal carteggio salvioniano visibili nelle figure in calce al saggio. Michele Loporcaro 38 corrispondenza tra Salvioni e i dialettologi d’oltralpe. 2 Ma molto resta ancora da fare, e di questo molto si darà qui soltanto un minimo saggio. Come dice il sottotitolo, il mio intervento presenta tre istantanee che in margine a tre lettere inedite di altrettanti romanisti svizzeri - Jakob Jud, Wilhelm Meyer-Lübke e Louis Gauchat - aprono uno squarcio su altrettanti momenti importanti della parabola scientifica e umana del massimo linguista ticinese. 3 4.2. JUD, L’AIS E L’ATLANTE DIALETTOLOGICO ITALIANO Alla fine del primo decennio del Novecento, fervono i preparativi per l’avvio di un Atlante dialettologico italiano. Fra 1908 e 1910 lavora al progetto una commissione guidata da Pio Rajna, presidente della sezione di Filologia e linguistica della Società italiana per il progresso delle scienze. 4 Oltre al Salvioni della commissione fanno parte Francesco D’Ovidio, Ernesto Giacomo Parodi e Pier Gabriele Goidanich. Quest’ultimo è incaricato di stendere un progetto per l’atlante, che verrà poi presentato al congresso della società a Padova nel dicembre 1909. In previsione del congresso, Goidanich chiede a Louis Gauchat (1866-1942), professore a Zurigo (1907-31), allievo di Heinrich Morf e fondatore, su impulso di quest’ultimo, nel 1899, del Glossaire des patois de la Suisse romande, di inviare alla commissione un’expertise a proposito dell’atlante per uso interno prodotto nel quadro dei lavori preparatòri per il Glossaire. A Goidanich, che allega alla sua relazione il dattiloscritto di Gauchat datato Zurigo 22.VI.1909, interessa sapere se questo atlante può essere assunto a modello per l’Atlante dialettologico italiano. Gauchat gli spiega: L’Atlas ling. de la Suisse romande ne peut guère servir de modèle à l’ouvrage que vous projetez pour l’Italie. Il était conçu comme instrument de travail de la rédaction du Glossaire. 5 La lettera è edita da Sanfilippo (1979: 230-1, nota asteriscata; v. anche 35 n. 110) in margine al carteggio Rajna-Salvioni. Inedita è invece una lettera che Jakob Jud (1882-1952) scrive a Salvioni il 28.VI.1909, tre giorni dopo l’invio di Gauchat a Goidanich: se ne veda il testo in appendice, §4.6.1, e la riproduzione in fig. 1. Siamo a metà del 1909: i lavori di inchiesta sul campo per l’AIS, da parte del primo raccoglitore, Paul Scheuermeier, allievo a Zurigo di Jud e di Gauchat, inizie- 2 Si vedano in particolare le appendici documentarie in Broggini (1971, 1994). Sui rapporti fra Carlo Salvioni e i linguisti italiani di cui qui sarà questione (G. I. Ascoli in primis) esiste un’ampia bibliografia, che sarà via via citata nel seguito. 3 Per la precisione, la terza delle lettere che qui si pubblicano (v. §§4.3 e 6.6.2) è già stata edita nella tesi di laurea non pubblicata di Elisabetta Faré (E. Faré 1987-88). Ringrazio l’autrice e la Biblioteca dell’Università Cattolica del S. Cuore di Milano per avermi liberalmente permesso di prenderne visione. 4 La vicenda è ricostruita da Sanfilippo (1979: 22-42) e Timpanaro (1980: 50-63), donde si attingono le notizie riportate nel seguito. 5 Sull’Atlas linguistique de la Suisse romande v. Wüest (1997b: 104). 4. Salvioni dialettologo fra Italia e Svizzera: in tre quadri (con tre lettere inedite) 39 ranno solo nel 1919. 6 Ma Jud e il collega bernese Karl Jaberg (1877-1958), presentando l’opera al pubblico, dicono di aver «accarezzato a lungo» il progetto, che iniziò a prender forma concreta - proseguono - nel 1911 (cfr. Jaberg e Jud 1928: 14). Entrambi hanno studiato a Parigi con lo svizzero (di La Neuveville, nel Cantone di Berna) Jules Gilliéron (1854-1926), ideatore dell’ALF: anche per questo, nella lettera di Jud, Atlas linguistique è in francese, lingua nella quale era stata concepita la prima grande impresa di geografia linguistica basata su inchieste sul campo. Il successivo, naturale territorio di conquista per la geografia linguistica è l’Italo-Romània. 7 E la nostra lettera mostra come fin dal 1909 Jud stia all’erta e osservi con «vivo interesse», com’egli stesso dice congedandosi, i progetti dei colleghi e potenziali concorrenti italiani. Non necessariamente perché, come scrive in esordio, lo «sping[a] la preoccupazione per la poderosa impresa» (italiana), bensì perché forse già lo anima l’intento di lanciarne una concorrente. A quest’epoca è appena diventato libero docente, nel semestre estivo 1908, avendo pubblicato all’inizio di quell’anno la tesi di abilitazione sul tipo lessicale fr. poutre (‘puledro’ e ‘trave’) < PULLITER (Jud 1908), discussa nell’ottobre dell’anno prima. Sempre nel 1907 aveva pubblicato la sua dissertazione dottorale (Jud 1907), la quale gli procurava il primo incontro con Salvioni, come racconta lo stesso Jud nel necrologio sulla Romania del collega ticinese: 8 C’est en 1907 que Salvioni, auteur de l’article si bien documenté sur la declinazione imparissillaba [sic] in -a/ -áne, -o/ -one (Romania, XXXV, 198 ss.) vint voir à Zurich l’auteur des Recherches sur la genèse et la diffusion des accusatifs en -ain et en -on (1907): ce fut le point de départ de rapports suivis et de rencontres cordiales (Jud 1920: 620). Nel 1909, dunque, da un anno Jud è libero docente e assiste nel seguire le tesi il cattedratico Gauchat, cui succederà poi come ordinario nel 1926. 9 Pertanto se qualcuno nel 1909 da Zurigo ha titolo per chiedere di andare a vedere direttamente le carte dei dialettologi italiani, questi sarebbe Gauchat che però, occupato dal Glossaire, non è direttamente interessato a lanciare una campagna d’inchieste dia- 6 Vero è che Jaberg e Jud (1928: 11-2) parlano di loro inchieste preliminari già nel 1908. Nondimeno, i lavori veri e propri per la raccolta dei materiali che troveranno sistemazione nell’AIS s’iniziano con le inchieste del primo dei tre raccoglitori ingaggiati da Jaberg e Jud. 7 Così Jaberg e Jud (1928: 11): «L’idea di far seguire all’Atlante Linguistico Francese una continuazione italiana e retoromanza veniva spontanea. Essa fu alimentata in noi dal maestro della ricerca geolinguistica, Jules Gilliéron, a cui entrambi dobbiamo le sollecitazioni scientifiche più importanti della nostra vita». 8 La prima lettera di Jud a Salvioni, del 15.I.1906 (BIL MS III B 1), verte proprio sulle forme in - A , - ÁNE : Jud, che lavora alla tesi, ha letto l’annuncio della prossima uscita sulla «Romania» del saggio di Salvioni (1906b [ II 123-82]) e prende contatto per chiederne notizie. Il nostro gli invia il lavoro in bozze nel giugno successivo, ricevendone una lettera (del 19.VI.1906, BIL MS B 2) di cinque facciate fitte di rilievi, in cui Jud si dichiara non convinto: «daß Ihre Auffassung der Frage, mich nicht hat überzeugen können» [sottolineato nell’originale]. 9 Notizie sul Seminario zurighese e sulla carriera di Jud in Gagliardi et al. (1938: 855 e 909) e Stadler (1983: 715). Michele Loporcaro 40 lettali nell’Italo-Romània. È vero il contrario per Jud: e sarà stata effettivamente sua, com’egli scrive, l’iniziativa di cercar di propiziare l’invito a Gauchat da parte della commissione italiana, invito dal quale Zurigo - o meglio chi a Zurigo si occupava di dialetti italiani, cioè Jud stesso - si riprometteva informazioni strategiche. Scrivendo a Salvioni, tuttavia, Jud valuta male i rapporti all’interno della commissione presieduta da Rajna. Sono rapporti tesi, ben documentati dall’edizione del carteggio Salvioni-Rajna da parte di Sanfilippo (1979). Un paio di citazioni basteranno a illustrare la disistima di Salvioni per Goidanich. 10 Scrive Salvioni a Pio Rajna il 23.III.1909, in relazione ai lavori per il progettato Atlante: Non ho altro da soggiungere sulle spiegazioni ch’Ella gentilmente mi fornisce sulla presenza del Goidanich nella commissione, e in seguito ad esse continuerò a far parte della commissione. Ma temo la presenza di chi non ha idee chiare (Sanfilippo 1979: 141). Già due mesi prima, reagendo alla notizia di esser stato incluso nella commissione, Salvioni il 15.I.1909 scriveva a Rajna protestando per la presenza di Goidanich e l’assenza di altri studiosi ch’egli teneva in maggior considerazione: Ho letto che per la faccenda dell’Atlante linguistico è stata nominata una commissione di cui fanno parte fra altri il sottoscritto e il Goidanich. Non ho avuta nessuna partecipazione ufficiale, ma quando mi giunga, dovrò con mio grande dispiacere, rispondere con un rifiuto. E ci tengo a dirne a Lei le ragioni. Io non capisco e non posso che considerare ingiustissima la esclusione di uomini come il Pieri, il Guarnerio, il Bartoli, e altri: ingiustissima nel senso che questi avevano centomila titoli in più del Goidanich per far parte della commissione (Sanfilippo 1979: 137). La partecipazione di Salvioni ai lavori preparatòri dell’Atlante si esaurisce entro il 1910. E in generale la discussione sull’Atlante dialettologico italiano si conclude, in questa fase, con un nulla di fatto. Ricominceranno a parlare di un atlante Bartoli e Parodi nell’immediata vigilia della prima guerra mondiale. Ma le inchieste di Ugo Pellis per il tuttora non ultimato ALI cominceranno poi solo nel 1925. Com’è noto, d’altro canto, Jud e Jaberg hanno tagliato il traguardo per primi, dopo una lunga preparazione di cui la lettera a Salvioni qui edita rappresenta, sinora, il primo documento; documento che apporta un nuovo elemento di conoscenza circa gli inizi di tale preparazione. Salvioni aiutò poi effettivamente i colleghi d’oltralpe, dapprima fornendo a Jud per lettera informazioni circa lo stato di avanzamento dei lavori dell’Atlante dialettologico italiano, 11 quindi stendendo nel marzo del 1920 - richiestone da Jaberg 10 Come osservava Timpanaro (1980: 61), uno dei maggiori storiografi della linguistica di quell’epoca, «L’ostilità del Salvioni per il Goidànich […] costitui[va] in larga misura un fatto ignorato», prima della pubblicazione di quell’epistolario. 11 Jaberg e Jud (1928: 14) riferiscono di aver chiesto notizie, nel 1912, al Salvioni e ad Ernesto Giacomo Parodi circa lo stato di avanzamento del progettato Atlante dialettologico italiano. Così rispondeva loro, il 18 agosto 1912, Salvioni: «L’Atlante linguistico italiano si libra ancora al disopra delle nubi, ed Ella può perciò attendere ai Suoi prossimi lavori senza preoccuparsi di esso, tranquillissimamente». Analoga per contenuto - ma con un «purtroppo» a parte subiecti che nella replica del Salvioni manca - la risposta del Parodi. 4. Salvioni dialettologo fra Italia e Svizzera: in tre quadri (con tre lettere inedite) 41 - una relazione in cui raccomandava alle autorità italiane il progetto dell’AIS. 12 Che la cooperazione del Salvioni si sia spinta però sino a svolgere inchieste per i colleghi svizzero-tedeschi, come suppone Sanfilippo (1979: 170 n. 1), può essere escluso. La curatrice del carteggio Salvioni-Rajna lo ipotizza a commento dell’incipit della lettera del bellinzonese datata Milano 25.VI.1910: «In Val Malenco andai a fare il rilievo fonetico per il futuro atlante linguistico della Svizzera italiana (o meglio delle Alpi lombarde)». Chiosa la curatrice: Si allude probabilmente allo Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz […]; alla sua preparazione infatti Salvioni collaborò attivamente, come si apprende dai necrologi pubblicati all’indomani della sua morte da L. G AUCHAT […] e J. J UD . In realtà i necrologi dei colleghi d’oltre Gottardo menzionano, è vero, l’aiuto prestato dal Salvioni all’impresa elvetica, come poi farà l’introduzione all’AIS. Ma si tratta delle informazioni sull’Atlante dialettologico e della relazione del 1920 (di cui sopra alle nn. 11 e 12), non certo di inchieste che nel 1910 il libero docente Jud, fra l’altro, non avrebbe ovviamente avuto titolo per commissionare al cattedratico Salvioni. Questi i passi in questione dei due necrologi. Gauchat (1920: 1) ricorda l’aiuto offerto da Salvioni all’AIS come esempio di equanimità, anche nei confronti di studiosi di orientamento metodologico diverso dal suo: So ebnete er selber jüngst dem prachtvollen Projekte eines bündnerisch-tessinischoberitalienischen Sprachatlanten der Herren Jud und Jaberg die Wege, und seiner begeisterten Empfehlung an die italienische Regierung ist es vor allem zu danken, wenn Herr Dr. Scheuermeier, der mit den Aufnahmen an Ort und Stelle betraut ist, unbehelligt seine schwierige Arbeit verrichten kann. Altrettanto fa Jud (1920: 621), sottolineando la componente della cooperazione internazionale e con ciò trattando - si noti per inciso - Salvioni da italiano e non da svizzero: Au printemps de 1920, lorsque les initiateurs d’une enquête dialectologique dans l’Italie septentrionale s’adressaient à Salvioni pour demander son appui auprès du 12 Scrive Jaberg a Salvioni (cp da Berna) il 29.II.1920: «Mi permetto di mandarle separatamente un estratto che espone il progetto di quell’opera dialettologica della quale Le ho parlato» (BIL MS II E 14). Il riferimento è a un incontro a Milano, che Jaberg aveva richiesto al Salvioni tre settimane prima «per esporle il progetto scientifico suddetto per il quale il Suo appoggio ci sarebbe molto prezioso» (cp dell’8.II.1920, BIL MS II E 13). Il dattiloscritto inviato da Jaberg, «Progetto di un atlante linguistico della Svizzera italiana e ladina e dell’Italia settentrionale» (16 fogli), si conserva fra le carte Salvioni (BA T 18 inf. N, v. P. A. Faré 1968: 137). La redazione della perizia del Salvioni deve aver occupato il periodo a cavallo tra fine febbraio e inizio marzo, dato che già il 14 aprile Jaberg (cp conservata in BIL MS II E 15) lo informa dell’esito positivo della richiesta e lo ringrazia «della Sua efficace intercessione». Intercessione che, al momento in cui si preparava l’estensione all’Italia intera delle inchieste di Scheuermeier, ebbe per destinatario il Ministero della Pubblica Istruzione. Così Jaberg e Jud (1928: 15-6): «Il passaggio dalla Svizzera […] all’Italia fu agevolato dai buoni uffici delle autorità svizzere, che ci procurarono una raccomandazione del Ministero della Pubblica Istruzione italiano, a cui anche Salvioni aveva raccomandato caldamente la nostra impresa». Michele Loporcaro 42 gouvernement de son pays, il rédigea, après avoir examiné attentivement tous les travaux préparatoires, un rapport qui est un modèle de clarté et en même temps un témoignage de la sympathie spontanée qu’il manifestait envers tous ceux qui, comme lui, sont prêts à écarter tout parti pris national pour réaliser les grands projets scientifiques. Subito prima Jud, che ha appena scritto (v. il passo già sopra riportato) di aver conosciuto Salvioni nel 1907, data con precisione l’inizio delle discussioni col collega ticinese circa la realizzazione di un atlante linguistico per l’Italia: Je me rappelle que, dès 1909, nous avons discuté à Schönbrunn la nécessité d’un Atlas linguistique pour l’Italie: peu enclin alors à admettre l’importance capitale d’une pareille entreprise, il avait depuis changé d’attitude. 13 A ben vedere, dunque, questa testimonianza non appoggia, piuttosto smentisce l’ipotesi che Salvioni, l’anno dopo, svolgesse inchieste per l’AIS, inchieste fra 13 Si noti di passaggio che la testimonianza di Jud («sin dal 1909 […] abbiamo discusso la necessità di un atlante linguistico per l’Italia»), l’expertise salvioniana a favore dell’AIS e i suoi contatti con Louis Gauchat (v. oltre, §4.4) nonché l’organizzazione, sul modello del Glossaire diretto da quest’ultimo, delle inchieste preparatorie per il VDSI, le prime del loro genere in ambito italo-romanzo, mostrano come Salvioni - pur con le ovvie riserve del neogrammatico di fronte alla critica antineogrammaticale di un Gilliéron (v. Loporcaro 2008: 53-4) - fosse più che a giorno degli sviluppi della geografia linguistica. Per questo va relativizzata la formulazione di Telmon (2010: 108) che, facendo il punto sugli studi piemontesi del Salvioni, constatata «l’assenza […] di citazioni o di allusioni al “vento nuovo” della nascente geografia linguistica», aggiunge: «Si direbbe tuttavia che Salvioni in qualche modo riesca a fiutare quel vento». Va relativizzata, appunto, alla fase (gli ultimi due decenni del sec. XIX) in cui si colloca la più parte dei lavori piemontesi del Salvioni. E già che ho menzionato questo saggio, rispondo qui a un piccolo rilievo che l’amico Tullio Telmon muove alla disposizione della materia operata negli Scritti linguistici, considerando un «incidente», benché «microscopico se rapportato all’immane mole dell’opera», «l’avere rubricato al capitolo 2. Svizzera italiana e Lombardia del IV volume lo stelloncino dedicato da Salvioni alla voce borgomanerese bu š ‘molto’ […]. Benché, infatti, il borgomanerese appartenga a quei dialetti orientali del Piemonte che sono giudicati lombardeggianti dalla letteratura corrente, la sottodivisione regionale interna al IV volume suggerirebbe di classificare sotto la voce “Piemonte” la noticina» (Telmon 2010: 95-6 n. 3). Ebbene, alla citata sezione 2 fa seguito una sez. 3 Area settentrionale, mentre non ve n’è alcuna dedicata al Piemonte: il criterio seguito non è «regionale» ma di classificazione linguistica, essendo radunati insieme nella sezione 2 i lavori, numerosi, che trattano di lombardo dentro e fuori dei confini italiani. E qui va senza dubbio il borgomanerese, in provincia di Novara, che non è «lombardeggiante», come i dialetti del Vercellese, bensì lombardo: «Il Novarese e l’Ossola presentano parlate di carattere ormai spiccatamente lombardo», scrive Berruto (1974: 47), aggiungendo che il loro lessico «si oppone concordemente al lessico tipico panpiemontese». La classificazione di Berruto è sottoscritta da Telmon (1988: 476): «questa suddivisione può soddisfare pienamente». Aggiungerò ancora, ad abundantiam, che il dialetto di Borgomanero è addotto da Contini (1935: 56), per le condizioni conservative del vocalismo finale, a confronto coi dati medievali nel suo saggio Per il trattamento delle vocali d’uscita in antico lombardo. Lombardo, appunto. Come curatore del volume in cui appare Telmon (2010) ho eccepito per lettera (18.XII.2009), con gli argomenti ora ripetuti, alle formulazioni su citate, senza esito. 4. Salvioni dialettologo fra Italia e Svizzera: in tre quadri (con tre lettere inedite) 43 l’altro all’epoca ancora di là da venire. Sin dal 1907, d’altro canto, Salvioni aveva avviato i lavori per il VDSI, lavori che prevedevano la messa a punto di un profilo fonetico per le diverse località indagate. È a questo suo autonomo piano d’inchieste che egli fa riferimento parlando al Rajna di «futuro atlante linguistico della Svizzera italiana»: la formulazione si spiega bene se si tien presente che il piano di lavoro del VDSI ricalcava quello del Glossaire, per il quale Gauchat aveva realizzato quell’Atlas linguistique de la Suisse romande, ad uso interno della redazione, di cui scrive, nel giugno 1909, nella summenzionata perizia richiestagli dal Goidanich. In effetti, nella serie dei quaderni fonetici del VDSI conservata presso la sede bellinzonese, il numero 21 contiene, di pugno del Salvioni, l’inchiesta in Val Malenco, condotta a Chiesa, Caspoggio, Spiana e Lanzada. Come tutti i quaderni fonetici del Salvioni, anche questo non è datato: il passo della lettera al Rajna permette di collocarlo nel giugno del 1910. 14 4.3. ASCOLI, MEYER-LÜBKE E LA CHIUSURA DELL’ AGI Negli stessi anni in cui si discute dell’Atlante dialettologico Goidanich succede a Carlo Salvioni come terzo direttore dell’Archivio Glottologico Italiano. Salvioni, a sua volta, era succeduto all’Ascoli nel 1901, anno in cui il fondatore della rivista che ha dato l’impronta alla «scuola italiana» (com’egli stesso la definisce) rivolge, aprendo il vol. XV, il suo scarno commiato «Agli amici dell’Archivio». 15 In quelle due pagine, Ascoli dichiarava l’intenzione di intervenire prossimamente, pur ceduta la direzione al Salvioni, dalle stesse colonne della rivista con un saggio metodologico sul modello delle sue precedenti lettere glottologiche, alcune delle quali affidate all’AGI: 16 L’Archivio, alla sua volta […], ecco accingersi a vita più che mai florida, sotto la sapiente direzione di C ARLO S ALVIONI , da me stesso invocata presso la ‘Casa Editrice Ermanno Loescher’: e arridermi perciò la speranza, che ancora in questa medesima Raccolta io possa, quando che sia, far sentire, con tranquilla esposizione, qualche parte di ciò che s’era venuto affollando nel mio pensiero intorno alle vicende e agli avanzamenti di alcune sezioni della nostra tanto superba e tanto ardua disciplina (Ascoli 1901: IV). In effetti questo rapido commiato sembra il preannuncio del futuro intervento. Ma tale intervento di bilancio non figura nel vol. XVI, diretto da Salvioni, il cui 14 Un riscontro cronologico che permetterebbe di verificar l’ipotesi qui formulata potrebbe evincersi dai registri anagrafici di Chiesa, poiché per quel solo paese sono indicati nome, cognome ed età dell’informatrice: «Vittoria Ferrario d’anni 29», con l’annotazione «andò qualche volta in Engadina a servizio temporaneo». 15 Sulla preparazione della successione, a partire dall’inizio del 1899, verte la corrispondenza fra l’Ascoli e il Salvioni in P. A. Faré (1964: 80-6, 97-8, 100-1, 108-13). V. al riguardo Stussi (1993: 55). 16 Cfr. Ascoli (1886b), ristampa, «con scarse modificazioni», di Ascoli (1886a). Altra destinazione aveva avuto la prima lettera (Ascoli 1882). Michele Loporcaro 44 primo fascicolo si stampa già nello stesso 1901 (nonostante il frontespizio rechi le date 1902-1905). 17 Sappiamo d’altro canto che già sin dal 1900 a un tal saggio metodologico l’Ascoli lavorava alacremente. Si tratta della Quinta lettera glottologica i cui materiali preparatòri - decine di fogli molti dei quali con intestazione «Lett. a Salv.» o sim. - con alcune parti già stese in pulito per la stampa, giacciono inediti fra le sue carte ai Lincei. 18 Lo scritto era indirizzato a Salvioni e nel corso dell’elaborazione sempre più venne assumendo la forma di un attacco frontale da parte dell’Ascoli nei confronti del suo successore. Nel 1906 l’elaborazione della Quinta lettera sfocia in uno scontro fra Ascoli e Salvioni, quando il primo dà da leggere all’allievo, alla seduta dell’Istituto Lombardo del 12 aprile, un paragrafo del lavoro circa l’etimologia di guancia: di ciò resta traccia nell’ultimo scambio di lettere pervenutoci (Salvioni rifiuta, il 14 aprile, di discuterne ed Ascoli risponde con veemenza il 16: v. P. A. Faré 1964: 125-8, Broggini 2008: 39, Loporcaro 2008: 78-82). Compromessi i rapporti fra i due, la direzione dell’AGI da parte di Salvioni si esaurisce con l’unico vol. XVI, dopo il cui completamento nel 1905 Salvioni non destinerà più alla rivista un solo rigo. Il vol. XVII esce, dal 1910 - dopo un intervallo quinquennale, dunque - proprio sotto la direzione del collega istriano di cui Salvioni - s’è visto al §4.2 - temeva le idee «non chiare», il Goidanich. Il quale, aprendo il primo volume da lui diretto, inizia nel nome dell’Ascoli annunciando la ristampa, poche pagine dopo, della commemorazione tenutane dal D’Ovidio come Presidente dell’Accademia dei Lincei, per poi far cenno sbrigativamente al Salvioni: Ancora aggiungo, a evitare qualsiasi equivoco, che io assunsi questa direzione di pienissimo accordo col Salvioni, che, con tanta sapienza, aveva diretto il vol. XVI (p. I). Nel «con tanta sapienza» sarà lecito vedere un’enfatizzazione ironica della «sapiente direzione» preconizzata pubblicamente da Ascoli (1901: IV). E quell’«a evitare qualsiasi equivoco» è una negazione che afferma. Ma a parte questo e pochi altri sbrigativi cenni nelle commemorazioni (Parodi 1922: 80, Terracini 1922: 592), su come e quando esattamente Salvioni abbia lasciato l’AGI non siamo informati. Nel vuoto d’informazioni circa la successione Salvioni-Goidanich, un tassello importante è fornito da una lettera da Vienna di un altro grande romanista elvetico, Wilhelm Meyer-Lübke (1861-1936). Addottoratosi a Zurigo il 14 marzo 1883 (pochi mesi prima, dunque, che Salvioni a Lipsia, v. cap. 1, §1.2), è ivi nominato libero docente nel 1884 e parte quindi nel 1886 per Jena, per poi passare nel 1892 a Vienna. 19 Di lì Zurigo cerca di richiamarlo nel 1901, come successore di Heinrich 17 Il saggio del Salvioni con cui si apre il volume (Salvioni 1901 [ I 126-32]) è ricevuto in estratto dall’Ascoli il 22 agosto 1901 (v. P. A. Faré 1964: 111-2). 18 Il sommario (foglio senza segnatura conservato in BANLC CA 115/ busta 4, ma indicato come 115/ 9 nell’inventario manoscritto del fondo opera di Vittoria Dompè) e parte dell’Esordio (BANLC CA 115/ 29-30) furono resi noti da P. A. Faré (1964: 127-8 n. 408) in nota al carteggio Ascoli-Salvioni (v. ora anche Broggini 2008: 39 n. 73 e Loporcaro 2008: 80 n. 112). 19 Informazioni sulla carriera del Meyer-Lübke in Gamillscheg (1937), Spitzer (1938), Gagliardi et al. (1938: 851), Wunderli (1997: 57-9), (2009: 181-8). 4. Salvioni dialettologo fra Italia e Svizzera: in tre quadri (con tre lettere inedite) 45 Morf, allievo di Gaston Paris e professore a Zurigo dal 1889 al 1901, che ha lasciato la Svizzera per Francoforte, chiamatovi come rettore alla fondazione della Akademie für Handels- und Sozialwissenschaften (la futura università francofortese). La trattativa zurighese di Meyer-Lübke, nel 1901, si conclude però dopo tre settimane con un nulla di fatto (v. Trachsler 2009: 156) e lo zurighese resta a Vienna, da dove passerà poi nel 1915 a Bonn soggiacendo al fascino del Diez-Lehrstuhl, la cattedra del fondatore della disciplina, Friedrich Christian Diez, lasciata vacante da Heinrich Schneegans. 20 Ma nel 1905 è ancora a Vienna e di lì scrive a Salvioni il 4 dicembre la lettera qui edita in appendice, al §4.6.2 (v. la riproduzione in fig. 2). Oggetto principale della lettera è la proposta a Salvioni di scrivere per l’editore Winter di Heidelberg un vocabolario etimologico italiano, impresa nella quale Salvioni in effetti si imbarcherà lasciandola incompiuta. 21 Ma a noi interessa il primo paragrafo della lettera, in cui lo studioso zurighese spiega che cosa l’abbia incoraggiato a proporre un’impresa sì onerosa ad un collega già tanto impegnato: la chiusura [! ] dell’AGI. L’esordio della lettera è infatti univoco: di una tale chiusura il Salvioni deve avergli scritto, offrendo spunto alla risposta consolatoria dell’amico e collega. Il compimento del vol. XVI, nel 1905, deve dunque aver coinciso non con le dimissioni del direttore bensì con una chiusura d’imperio, non certo motivabile oggettivamente in base ad inadempienze dato che il vol. XVI raduna scritti di alto livello, e neppure conseguente alla rottura con l’Ascoli attestata dallo scontro epistolare dell’aprile 1906 bensì ad essa precedente. Questo scambio di lettere cade, al contrario, in un periodo, seguito appunto alla chiusura, in cui la testata è di nuovo attiva e la direzione è riassunta de facto dall’Ascoli. 22 A questi Costantino Nigra scrive infatti il 28.V.1906 menzionando la proposta ch’Ella benevolmente mi fa di dare all’Arch.[ivio] Gl.[ottologico] il saggio di Suppl.[emento], di basso lat.[ino] curiale piemontese al Gloss.[arium] ducangiano. 20 Alla delusione per il peggioramento delle condizioni di lavoro conseguente al trasferimento in Germania Meyer-Lübke dà voce nella postfazione alla seconda edizione (1920) del REW (cfr. Gamillscheg 1937: 393, Wunderli 1997: 59). Sulle motivazioni reali del trasferimento, v. oltre, alla n. 34, la diversa opinione espressa da Spitzer (1938: 218). 21 Le schede approntate per il vocabolario si conservano in BA T 15-16 inf. (v. P. A. Faré 1968: 127-32). 22 Tra le ricostruzioni della storia dell’Archivio, un cenno alla ripresa del controllo della rivista da parte del fondatore negli ultimi anni, dopo l’uscita di scena del Salvioni, si legge in Mastrelli (1986: 259): «Quando l’Ascoli andò a riposo nel 1902, la direzione dell’Archivio passò nelle mani di Carlo Salvioni; ma, stante la sua formazione scientifica e con l’Ascoli ancora vivo, non vi potevano essere mutamenti sostanziali: del resto la sua direzione durò solo un triennio e cioè fino al 1905. Nel 1907 moriva l’Ascoli e l’Archivio subì un primo contraccolpo: solo nel 1910 ne venne ripresa la pubblicazione sotto la guida di Pier Gabriele Goidanich». Nulla si dice, però, sulle modalità dell’abbandono (o della rimozione) del Salvioni. Michele Loporcaro 46 Di quel lavoro il Nigra aveva scritto in una precedente lettera il 6.V.1906. 23 Nel maggio 1906, dunque, il mese dopo l’ultimo scambio di lettere col Salvioni, l’Ascoli, prima di ammalarsi definitivamente ridispone dell’AGI, e sicuramente non di concerto col suo già successore. 24 Sulla cesura che determina questo nuovo ed effimero assetto nella gestione della rivista, ossia la chiusura dell’AGI nel 1905, 23 Le due lettere rispettivamente in BANLC CA già 32/ 11 e 32/ 2. Lo studio, presentato dal Nigra al nono Congresso Storico Subalpino a Torino nel settembre 1906, vedrà la luce postumo in due puntate (Nigra 1909, 1919). Della prima il Nigra, scomparso poco dopo l’Ascoli il 1° luglio 1907, fece in tempo a corregger le bozze per il Bollettino Storico Bibliografico Subalpino, che si conservano fra le sue carte (MNRT AN 189/ 3). Il contributo, dunque, non pare sia mai stato destinato effettivamente all’AGI. Ma non è possibile aggiungere altro, circa la proposta dell’Ascoli, dato che tra le lettere di quest’ultimo al Nigra conservate nel suo archivio (tre in tutto), inventariate in Ceresa et al. (2006), l’ultima è dell’11.IX.1905 (MNRT AN 183/ 105) e nessuna ne resta del 1906. Se si tiene presente che del Nigra restano in BANLC CA ben 215 lettere, due biglietti e due telegrammi, appare più che probabile che le lettere dell’Ascoli siano scomparse nella distruzione delle carte private (non poche delle quali relative a relazioni galanti) cui il Nigra attese, sul finire della sua esistenza, nella sua casa veneziana di Campo San Simeon Profeta, sul Canal Grande (v. Craveri 2008: 135, Levra 2008b: 40). 24 Dei rapporti tesi fra i due negli ultimi anni dell’Ascoli fa testo, oltre alla Quinta lettera e alla corrispondenza del 1906 ora esaminata, un’ampia gamma di testimonianze di varia natura. Pio Rajna (lettera del 19.II.1910 in Sanfilippo 1979: 165) scrive a Salvioni, complimentandosi con lui per la commemorazione del maestro all’Istituto Lombardo (Salvioni 1910): «Più forse che col giudizio quando si trattò del conferimento del premio, l’Ascoli si compromise con atti posteriori». Il riferimento è al premio linceo concesso nel 1904 ad Alfredo Trombetti da una commissione presieduta dall’Ascoli. Tale concessione è criticata da Salvioni (1910: 81), dove nulla si dice sugli «atti posteriori» dietro cui si potrebbe forse scorgere un’allusione alla vicenda che abbiamo ricostruito: posteriori al 1904, ergo del 1905-06. Analoga - e pure essa vaga - la formulazione di Parodi (1922: 35): «Verso l’Ascoli - del quale pur credeva, almeno negli ultimi anni, di aversi a dolere - non mutò mai il suo contegno, estremamente riguardoso e di affettuosa devozione». Simmetricamente, di doglianze a proposito del Salvioni da parte dell’Ascoli testimonia la lettera a quest’ultimo di Costantino Nigra del 5.VIII.1906 (BANLC CA già 39/ 178): «Quanto Ella mi scrive del Salvioni mi rincresce, ma non mi stupisce. Abbia pazienza. L’ha eretto Lei. E bisogna, pur non risparmiando le correzioni, essere indulgenti» (e vale qui, per l’irrecuperabilità del pendant, quanto detto alla n. 23). Di un commento sarcastico dell’Ascoli - pur nel contesto polemico di una replica alla stroncatura di Salvioni (1917 [ IV 1134-91]) a Bertoni (1914) - riferisce Bertoni (1917: 3): «Narrasi che G. I. Ascoli, alludendo a una critica che C. Salvioni fece alla tesi di laurea di Giov. Michael - critica ingenerosa e sovente ingiusta per la poca o nessuna misura nel valutare le immancabili deficenze [sic] e lacune di un giovane che s’addottorava a Zurigo - esclamasse: “questa non è glottologia, questi sono singhiozzi glottologici”». Pur fatta la tara al malanimo del Bertoni, la cronologia collima, poiché la recensione fiume (settanta pagine) di Salvioni (1906a [ I 253-325]) alla monografia sul poschiavino di Michael (1905) esce sui Rendiconti dell’Istituto Lombardo in più puntate comprese fra le adunanze del 22 marzo e del 17 maggio 1906: a cavallo, dunque, della fatidica seduta del 12 aprile. 4. Salvioni dialettologo fra Italia e Svizzera: in tre quadri (con tre lettere inedite) 47 si dovrà indagare ulteriormente: la lettera di Meyer-Lübke, al momento, è l’unica fonte che ce ne dia notizia. 25 4.4. GAUCHAT E LA FINE DEI RAPPORTI DI COLLABORAZIONE INTERNAZIONALE NEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE Passiamo all’ultimo quadro, il quale ha anch’esso al centro una lettera di un dialettologo svizzero che abbiamo già incontrato, Louis Gauchat. Fra 7 e 9 settembre 1918, Gauchat riprende i contatti con Salvioni, dopo oltre un anno di silenzio con la lettera qui stampata in appendice, al §4.6.3 (v. fig. 3). Anche questa lettera ci riporta alla conclusione di rapporti scientifici, e in ciò si scorge un parallelo con le vicende sopra considerate ai §§4.2-3. Qui si tratta della fine dei rapporti di Salvioni con i colleghi dialettologi tedescofoni e (filo)germanici nel corso del primo conflitto mondiale: «Vous me demandez des nouvelles des collègues», scrive Gauchat, e se Salvioni domanda notizie è perché ha cessato la sua pluridecennale corrispondenza coi colleghi germanofoni. Con Hugo Schuchardt (1842-1927), che non fece in tempo a incontrare durante gli studi a Lipsia, 26 Salvioni corrispondeva, a quanto è dato vedere dalle lettere pervenute, almeno sin dal 1899: la prima lettera di Salvioni registrata dal catalogo di Wolf (1993: 337, n° 9912) è del 5.IV.1899. L’ultima missiva conservata di Salvioni a Schuchardt è del 10 dicembre 1914 (ivi, n° 9930), a conflitto già iniziato ma con l’Italia ancora neutrale. Nessun contatto ulteriore risulta dall’ispezione delle carte di Salvioni: il regesto di Faré (1968: 120) registra un’ultima lettera di Schuchardt (non datata) sotto l’anno 1914 (BA T 13 inf. V16a). Per illustrare le ragioni dell’interruzione basterà ricordare che Salvioni s’impegnò pubblicamente a favore dell’intervento italiano nel 1915 (ne riferisce Zingarelli 1933: 1193), mentre Schuchardt dal canto suo, che pure aveva alle spalle un passato di convinto internazionalista, sin dalla vigilia del conflitto dà alle stampe opuscoli «se non di propaganda, di polemica politica» (così Segre 1989: 303) contro l’interventismo italiano e dunque, di fatto, a pro del nazionalismo germanico (v. Schuchardt 1913, 1914, 1915). 27 25 Ho tentato, nell’aprile 2009, di verificare se esista tuttora presso la sede torinese dell’editore Loescher documentazione relativa alla gestione dell’AGI negli anni 1905- 1910. Le verifiche hanno dato sinora esito negativo. Parimenti, non mi è nota l’esistenza di una raccolta consultabile delle carte del Meyer-Lübke. Studiando le lettere di quest’ultimo al Salvioni, E. Faré (1987-88: iii n. ix) riferisce di sue ricerche, riuscite vane, a Vienna e a Bonn «per aver notizie su di un eventuale Fondo di manoscritti del Meyer- Lübke». Un’analoga verifica ha gentilmente condotto a Vienna nel 2009, su mia richiesta, e sempre con esito negativo, l’amico Hans Christian Luschützky. 26 Schuchardt, conseguita a Lipsia la libera docenza nel 1870, ne parte nel 1873 chiamato come ordinario a Halle, poi nel 1876 a Graz, dove rimase sino a fine carriera (v. Michael 1903-05: 18). Salvioni è invece a Lipsia dal 1876, come studente di medicina, quindi dal 1878 come studente di linguistica. 27 Si ricorderà, di passaggio, come lo stesso Salvioni avesse alle spalle un giovanile impegno politico nel movimento internazionalista anarchico: v. Broggini (2008: 18-24), con i precedenti scritti dello stesso studioso ivi citati, nonché, in questo volume, le considerazioni di Giancarlo Schirru al cap. 7. Michele Loporcaro 48 Anche con lo svizzero Meyer-Lübke i rapporti si esauriscono durante la guerra, «anche se sarebbe stato possibile ai due svizzeri comunicare tramite la patria comune» (E. Faré 1987-88: viii): l’ultima sua lettera a Salvioni, datata e oggi conservata in sede accessibile, è del 31 dicembre 1914. 28 Qui, con l’Italia ancora fuori del conflitto, Meyer-Lübke esordisce con una professione di fede nelle risorse delle armi germaniche e nel nesso che lega la forza di queste alla levatura intellettuale della nazione: Wien, 31.XII.1914 Lieber Freund! In dieser Zeit gewaltigen Ringens, in der die Errungenschaften der kulturellen Entwickelung eines halben Jahrhunderts in die Waagschale fallen, erscheinen unsere Beschäftigungen als etwas kleinliches, als wertlose Spielerei. Aber die ungeheure, den Gegnern ganz überraschend kommende Kraft Deutschlands beruht doch z. T. auf den hohen Durchbildung des ganzen Volkes; die geistigen Beschäftigungen haben nicht entnervend, sondern stählend gewirkt. Darum dürfen wir auch heute mit Stolz und Befriedigung von unserer Arbeit sprechen. 29 La lettera continua lodando l’opera intrinsecamente patriottica del linguista Salvioni: Ich habe neulich beim ordnen meiner Bibliothek das Bündel „Salvioni“ in die Hand genommen, habe da erst recht empfunden wie gross es ist, habe mich gefreut zu sehen, wie Sie Ihr Netz immer weiter spannen und doch immer wieder zum Ausgangspunkt, zu Ihrer Heimat zurückkommen, wodurch Ihre Arbeiten mehr als die anderen einen warmen Gemütston erhalten. 30 Parole rivolte a un collega di formazione germanica, patriota d’una patria per il momento neutrale e, non ancora denunciata la Triplice Alleanza, potenziale alleata della Germania. Con l’entrata in guerra dell’Italia, i patriottismi si fanno contrapposti e si creano i presupposti per la rottura, che però non è immediata, come mostrano altre due missive del Meyer-Lübke. Fra quelle non datate se ne annove- 28 BIL MS III L 20, edita in E. Faré (1987-88: 164-6). Osserva sempre E. Faré (1987-88: viii) che, non essendo pervenute le carte private dello zurighese, «non possiamo […] escludere che il Salvioni abbia scritto ed il Meyer-Lübke non abbia risposto». Ma v. oltre, alla n. 38. 29 Riporto, con alcune correzioni, la traduzione di E. Faré: «In questo tempo di lotta immane, in cui le conquiste dello sviluppo culturale di un mezzo secolo vengon messe sul piatto della bilancia, le nostre occupazioni appaiono come qualcosa di meschino, come passatempi senza valore. Ma la terribile forza della Germania, che giunge per gli avversari affatto sorprendente, poggia proprio in parte sull’alta educazione di tutto il popolo; le occupazioni spirituali non hanno agito snervando, bensì temprando. Perciò noi possiamo anche oggi parlare con orgoglio e compiacimento del nostro lavoro». 30 «Recentemente ho preso in mano, mettendo in ordine la mia biblioteca, l’incartamento “Salvioni”, e solo allora mi sono davvero reso conto di quant’è cospicuo, e mi sono rallegrato di vedere come Lei tenda la Sua rete a raggio sempre più ampio e tuttavia ritorni sempre al punto di partenza, alla Sua Patria, dalla quale i Suoi lavori ricevono, più degli altri, un tono di calda commozione». 4. Salvioni dialettologo fra Italia e Svizzera: in tre quadri (con tre lettere inedite) 49 rano infatti due, edite da E. Faré (1987-88: 168-70 e 184-6), che riferiscono di eventi bellici. 31 Nella prima cartolina, reagendo alle congratulazioni di Salvioni al proposito, lo studioso zurighese parla ancora al futuro del trasferimento da Vienna a Bonn avvenuto nella primavera del 1915, 32 o almeno dell’ambientamento in quella città: 33 «ich denke, in der national einheitlichen Stadt werde ich mich vielfach 31 Si tratta perlopiù delle vicissitudini al fronte e in prigionia degli allievi viennesi (Battisti, Gamillscheg, Pu ş cariu, Spitzer, ecc.). Le segnature indicate per le due missive dalla curatrice sono rispettivamente FM [= Fondo Merlo] AH 68 (cartolina postale datata «1914/ 15», senza indicazione di luogo) e FM AH 76 (lettera non datata e priva di busta, da Bonn). In sede introduttiva, la collocazione archivistica è così descritta: «Clemente Merlo tenne presso di sé (“Fondo Merlo - FM”) la parte più numerosa della corrispondenza, 2742 tra lettere e cartoline (276 sono del Salvioni a Merlo), più un numero imprecisato di biglietti da visita» (E. Faré 1987-88: xi). Non si dice però, né lì né altrove, dove il fondo si trovi, indicazione non superflua visto che il Merlo all’epoca era scomparso da quasi trent’anni. Se ne dedurrà che la Faré abbia consultato le carte nella collezione del padre, P. A. Faré, così come in precedenza aveva fatto Sanfilippo (1979: 44). Non è tuttavia ad oggi di dominio pubblico quali esattamente e quante siano le carte salvioniane conservate in tale raccolta privata a Milano e quante quelle in possesso invece, a Bellinzona, di Romano Broggini. Dunque i passi dalle due missive del Meyer- Lübke citati nel seguito sono al momento, per me, inverificabili. 32 La notizia della chiamata a Bonn dev’essersi diffusa, anche entro l’entourage del romanista zurighese, ai primi del 1915, come risulta da due lettere di Leo Spitzer a Elise Richter, recentemente pubblicate da Hurch (2009b: 205, 206). Spitzer, che scrive da Bratislava dove presta servizio militare, domanda prima (il 14 febbraio) «Was sagen Sie zu dem Schlag der Wegberufung Meyer-Lübkes? » parlando di un «colpo», ossia di un avvenimento evidentemente improvviso e ancor recente. Poco dopo (il 17 febbraio) menziona ancora al futuro il trasferimento a Bonn del comune maestro: «Wenn M-L weg sein wird, wird die Becker-Gamillscheg-Battisti-Winkler-Meute über Sie und mich stürzen! » («quando M-L se ne sarà andato, il branco dei Becker, Gamillscheg, Battisti, Winkler piomberà addosso a Lei e a me! »). 33 Sia in questa cartolina che nell’altra missiva non datata ora citata di Meyer-Lübke a Salvioni - quest’ultima inviata già da Bonn - si parla della ferita all’anca di Ernst Gamillscheg, anch’egli allievo a Vienna dello zurighese, che nel necrologio di quest’ultimo torna con la memoria alla visita in ospedale ricevuta dal maestro, «als er mich vor seinem Abschied aus Wien im Frühjahr 1915 als Kriegsverletzten auf der I. Wiener chirurgischen Klinik aufsuchte» («quando venne a visitarmi, ferito di guerra, nella I Clinica chirurgica viennese prima del suo congedo da Vienna nella primavera del 1915», Gamillscheg 1937: 393). Tale menzione è compatibile con la collocazione tra fine 1914 e i primissimi del 1915 della cartolina di Meyer-Lübke. Siamo, insomma, alla vigilia del trasferimento, ed un più puntuale indizio cronologico fornisce la chiusa: «Bis 1.IV. ist also meine Adresse: Universität Bonn! ». Il 1° aprile 1915 è terminus ante quem compatibile con la data «1914/ 15» che sulla missiva legge l’editrice (v. sopra la n. 31). Bisogna però intendersi sull’esatto significato dell’indicazione temporale «Bis 1.IV.», la cui più immediata lettura («fino al 1° aprile») appare qui incongrua. Se Meyer-Lübke scrive al volgere dell’anno, si trova ancora a Vienna dove conclude il suo insegnamento col semestre invernale 1914-15, che termina in febbraio: perché mai dunque dovrebbe indicare un termine cronologico ad anziché post quem per l’invio di corrispondenza al suo nuovo indirizzo accademico? La spiegazione sta nella polisemia di bis che vale anche ‘entro’. Benché ciò comporti una brachilogia (del resto compatibilissima con l’usus scribendi del Meyer-Lübke) e una certa frizione tra l’accezione di bis qui selezionata e l’uso Michele Loporcaro 50 besser befinden». 34 La seconda missiva, una lettera non datata, è posteriore di qualche mese. Il Meyer-Lübke ha già iniziato il suo insegnamento a Bonn, donde scrive, e l’atteggiamento riguardo alla nuova sede è ancora fiducioso, benché screziato dalle prime riserve: Ich habe mich in meine neue Stellung recht rasch eingelebt und fühle mich woler als in Wien. Aber ich erkenne gerne an, dass ich mich wissenschaftlich wol nicht so hätte entwickeln können wie ich es getan habe. 35 L’Italia, a questo punto, è entrata in guerra (nel maggio 1915). Meyer-Lübke sa dei figli di Salvioni al fronte e rivolge all’amico parole di augurio: 36 Und auch jetzt sind Sie ja, wo beide Söhne an der Front sind, die Sorge nicht los. Mögen Sie vor schwerem verschont bleiben. 37 L’amicizia di lunga data, dunque, ancora fa aggio sul solco determinato dalla guerra. 38 Ma nell’estate del 1918 vediamo Salvioni chieder notizie dei colleghi romanisti a Gauchat, che gliene dà anche del Meyer-Lübke (v. §4.6.3): i due non sono dunque più in contatto. 39 L’interruzione delle relazioni epistolari e personali colpisce non solo tutti i colleghi tedeschi e austriaci, ma anche gli svizzeri attivi in Germania. del praesens pro futuro, mi pare probabile che la frase sia da intendere: «entro il 1° aprile dunque il mio indirizzo è [= sarà, cambierà in]: Università di Bonn! ». Il termine indicato è quello entro il quale il nuovo indirizzo entrerà in vigore. 34 «Credo che nella città nazionalmente unitaria [scil. in contrapposizione alla multietnica Vienna] mi troverò molto meglio». Questo scambio privato par confermare l’interpretazione delle motivazioni soggettive del trasferimento offerta da Spitzer (1938: 218): «Une interview indiquait comme raison principale le désir d’occuper la chaire de Diez - mais la véritable raison était probablement un sentiment de déception que M.-L., et particulièrement sa femme, allemande passionnée et pangermaniste farouche, éprouvait au sujet de l’attitude autrichienne, toujours un peu sceptique et nonchalante, vis-àvis de la guerre». 35 «Mi sono ambientato molto rapidamente nella mia nuova posizione e mi ci sento meglio che a Vienna. Ma riconosco volentieri che [qui] non avrei potuto svilupparmi scientificamente così come ho fatto». 36 I figli Enrico e Ferruccio, entrambi sottotenenti dell’esercito italiano, si erano arruolati volontari rispettivamente nel gennaio del 1914 e nel gennaio del 1915. La loro morte nel maggio 1916 (v. sopra, cap. 1, §1.5 e qui oltre, §4.3 e n. 47) offre un terminus ante quem per questa lettera. 37 «E anche ora che entrambi i figli sono al fronte non si è certo liberato della preoccupazione. Che Lei possa restare indenne da duri colpi». 38 Ciò sfugge a E. Faré (1987-88: viii), secondo cui «[s]i conclude così nei primi mesi di guerra, quando Italia e Germania non erano ancora in conflitto, la corrispondenza tra i due massimi studiosi del tempo». Il riferimento è alla citata lettera del 31 dicembre 1914, e non si tiene conto delle due missive non datate, ma evidentemente - come si è visto - l’una dei primissimi del 1915 e l’altra posteriore al maggio dello stesso anno, riportate alle pp. 168- 70 e 184-6. 39 Non è possibile dire se ciò sia dovuto a un mutato atteggiamento del Meyer-Lübke, nel senso indicato da Spitzer (1938: 219), che dipinge il maestro a Bonn ancora fiducioso, nel 1918, nella vittoria della Germania e progressivamente sempre più incline a posizioni di radicale nazionalismo germanico, sino a salutare con favore nel 1919 l’assassinio di Liebknecht e della Luxemburg e, nel 1933, l’avvento al potere di Hitler. 4. Salvioni dialettologo fra Italia e Svizzera: in tre quadri (con tre lettere inedite) 51 Emblematica perché direttamente connessa agli eventi bellici è la conclusione dei rapporti con Heinrich Morf (1854-1921). Zurighese e professore a Zurigo fra 1889 e 1901, dove fonda nel 1894 il Romanisches Seminar, dal 1901 è in Germania, prima come rettore a Francoforte e poi, dal 1910, a Berlino come successore del conterraneo Adolf Tobler (1835-1910). 40 Il Morf è pienamente integrato nel sistema germanico, tanto da condividere lo slancio nazionalistico che ispira l’Appel des Intellectuels allemands aux Nations civilisées, manifesto in sostegno dell’entrata in guerra della Germania e dell’invasione del Belgio neutrale, pubblicato in francese nel 1914. 41 Morf lo sottoscrive e ne invia a Salvioni, il 7.X.1914, la versione italiana (Alle nazioni civili! ) dal proprio indirizzo privato berlinese (Kurfürstendamm 100) a quello milanese del Salvioni (Via Ariosto 4). 42 Neppure col Morf (anche con lui Salvioni corrispondeva da molto tempo, sin dagli anni Ottanta dell’Ottocento) constano scambi epistolari successivi. 43 Fra i romanisti firmatari insieme al Morf dell’appello, oltre a Karl Vossler, 44 figura anche Karl Vollmöller (1848-1922), col quale Salvioni aveva collaborato alacremente per anni nella redazione del Kritischer Jahresbericht über die Fortschritte der Romanischen Philologie, impresa che si esaurisce in questa fase storica (l’ultima lettera del Vollmöller a Salvioni, fra quelle oggi accessibili, è del 18.III.1914), 45 così come naufraga l’altra impresa dialettologica internazionale della Revue de dialectologie romane, alla cui direzione il Salvioni era stato associato sin dall’inizio, nel 1909. Gliene scrive Jud, pochi mesi dopo l’entrata in guerra dell’Italia: Mancherlei international angelegte wissenschaftl.[iche] Unternehmungen werden Mühe haben, weiterzuleben: die Revue de dialectologie romane wird sich kaum über Wasser halten können. 46 Non «resteranno a galla» né la Revue de Dialectologie Romane, né il Kritischer Jahresbericht e, come si è detto, con nessuno dei colleghi tedeschi e austriaci Salvioni riprenderà i contatti a conflitto terminato. 40 Tobler era nato a Hirzel, nel Cantone di Zurigo (v. su di lui, di recente, Bähler 2009 e Lebsanft 2009, nonché la precedente bibliografia ivi menzionata). 41 Sulla Revue Scientifique del 1° luglio-31 dicembre 1914, pp. 170-172. 42 BIL MS I C 12 (l’incipit è riprodotto in fig. 4). Tra i 93 firmatari dell’appello un gran numero di personalità di spicco della cultura tedesca dell’epoca, dai classicisti Diels e Wilamowitz-Möllendorff a scienziati come Max Planck e Wilhelm Röntgen, allo psicologo Wilhelm Wundt, a letterati e artisti come Max Klinger e Max Liebermann. 43 Presuppone relazioni già consolidate la prima cartolina del Morf reperibile tra le carte oggi accessibili di Salvioni, del 17.IV.1891 (BA T 13 inf. M3b): Morf ringrazia per l’invio del saggio di Salvioni (1890), e discute della voce gramadesie (Salvioni 1890: 27 [ III 257]). Come Salvioni, anche Morf muore poi poco dopo il termine del conflitto. Sin da fine 1917 soffre di turbe psichiche, che sfociano a partire dal maggio 1918 in ricoveri protrattisi fino alla morte, nel 1921 (v. Trachsler 2009: 160). 44 Manca invece il maestro di quest’ultimo, W. Meyer-Lübke. 45 BA T 13 inf. V11. E. Faré (1987-88: viii) parla incidentalmente di una ripresa dei rapporti («La guerra colpì dolorosamente il Salvioni […] ma ciò non gli impedì di riprendere contatti dopo la pace con studiosi tedeschi, come il Volmöller [sic] ed il Niemeyer»), ma senza fornire pezze d’appoggio. 46 «Diverse imprese scientifiche di respiro internazionale faranno fatica a sopravvivere: la RDR difficilmente riuscirà a restare a galla». Lettera del 10.VIII.1915 (BIL MS III B 25). Michele Loporcaro 52 Oltre che della fine di pluridecennali relazioni scientifiche, la lettera di Gauchat ci parla anche della fase conclusiva della vicenda terrena di Salvioni, laddove in apertura il collega zurighese replica all’invio del libro stampato nel primo anniversario della morte dei figli Enrico e Ferruccio, caduti entrambi al fronte nel maggio 1916. 47 Sopraffatto dal dolore, Salvioni muore sessantaduenne non molto tempo dopo, il 20 ottobre 1920: «das doppelte Abrahamsopfer, ohne des Engels Einhalt, war doch zu schwer gewesen», conclude il ricordo di Gauchat (1920: 2). 4.5. CONCLUSIONE La morte improvvisa non lasciò a Salvioni il tempo di terminare l’edizione di Carlo Porta, messa in cantiere sin dal 1898, 48 il vocabolario etimologico italiano di cui abbiamo visto parlargli il Meyer-Lübke e i tanti altri lavori che aveva in programma. Nondimeno, di lui ci è rimasta un’opera immane: lo attestano le migliaia di pagine raccolte nei quattro volumi dell’edizione dell’opera omnia (Salvioni 2008). Oltre a questi scritti, tuttavia, che hanno segnato la ricerca nei settori in cui Salvioni operò, importanti sono anche le sue pagine private. Con le presenti annotazioni si è cercato di dare un’idea di quale valore avrebbe, per la storia intellettuale della linguistica italiana e romanza, un’edizione completa della corrispondenza di una figura chiave quale fu quella di Carlo Salvioni. 49 4.6. APPENDICE DOCUMENTARIA 4.6.1. Jud a Salvioni, 28.VI.1909 50 28.VI.09 Geehrter Herr Professor! Die Nachricht, dass auch Italien sich anschiebt, einen Atlas linguistique zu schaffen, hat überall & besonders in der Schweiz lebhaften Nachklang gefunden. Da ich den Zeitungen entnehme, dass auch Sie geehrter Herr Professor der vorberatenden Commission angehören, so bewegt mich die Sorge um das gewaltige Unternehmen, um Sie mit einer kleinen Bitte zu gelangen. 47 Sulla sorte dei figli si vedano da ultimo le notizie in Broggini (2008: 35) e, in maggior dettaglio, Parodi (1922: 69-72). Sul volume in loro memoria v. Loporcaro (2008: 88-93). 48 V. la lettera ad Ascoli del 16.IX.1899: «La ediz. del Porta assorbe il mio tempo da circa un anno» (P. A. Faré 1964: 86). 49 Questi scritti privati sono oggi solo in parte accessibili in collezioni pubbliche (v. la nota iniziale). Parti consistenti si trovano invece in raccolte private a Milano e a Bellinzona (v. la n. 31). 50 La lettera si conserva a Milano presso la BIL MS III B 3. Il catalogo dattiloscritto del fondo la registra con la data del 28.VI.1907, dove l’indicazione dell’anno è però viziata da un errore di lettura, come dimostra il nesso cronologico con la perizia di Gauchat, datata 22.VI.1909. 4. Salvioni dialettologo fra Italia e Svizzera: in tre quadri (con tre lettere inedite) 53 Herr Prof. Goidanich in Bologna ersuchte H. Prof. Gauchat, seine Meinung über die Anlage eines künftigen Atlas von Italien abzugeben und, soviel ich weiss, ist das Gutachten von H. Prof. Gauchat bereits an H. Prof. Goidanich abgegangen. Allein es will mir scheinen, dass die Gelegenheit nicht versäumt werden sollte, H. Prof. Gauchat als einen der besten Kenner des Atlas linguistique de la France nach dem Orte einzuladen, wo die vorberatende Kommission tagt. Wäre es daher nicht möglich, dass Sie die Initiative ergreifen würden, um erstens die Commission in Norditalien zusammenzurufen und zweitens H. Prof. Gauchat einladen würden, an dieser Sitzung sein Gutachten persönlich zu vertreten und des eingehenden zu erörtern. Es will mir scheinen, dass durch eine solche münd- liche Aussprache die ganze Frage des Atlas eine gewaltige Förderung erfahren würde, die alle die begrüssen würden, welche so viel in ihren glottologischen Studien von den italienischen Mundarten gelernt haben. Ich möchte übrigens bemerken, dass dieser hier ausgesprochene Vorschlag durchaus meiner persönlichen Initiative entspricht; doch weiss ich, dass H. Prof. Gauchat sicherlich einem an ihn gerichteten Rufe sehr gerne Folge leisten würde. Es würde mich im Interesse der Sache freuen, wenn mein Rat etwas nutzen könnte. Meine wissenschaftlichen Arbeiten stocken; die barba-Frage wird von Kluge wieder aufgegriffen werden wie ich vermute zu Gunsten germanischer Herkunft. Eine eingehende Rezension der Arbeit von Walberg über Celerina ist bereits dem Abschluss nahe. 51 Empfangen Sie, geehrter Herr Professor, meine besten Wünsche und legen Sie meinen Rat als ein Zeichen des lebhaften Interesses aus, das ich der ganzen Frage entgegenbringe. Ihr erg.[ebenster] J. Jud Traduzione: Stimato signor professore! La notizia che anche l’Italia si accinge a realizzare un Atlas linguistique ha trovato ovunque, e specialmente in Svizzera, viva risonanza. Poiché apprendo dai giornali che anche Lei, stimato signor professore, appartiene alla commissione consultiva, la preoccupazione per la poderosa impresa mi spinge a rivolgermi a Lei con una modesta preghiera. Il sig. prof. Goidanich di Bologna ha chiesto al sig. prof. Gauchat di fornire il proprio parere circa l’impostazione di un futuro atlante d’Italia e, a quanto ne so, 51 Si tratta di Walberg (1907). La recensione di Jud (1910) uscì sul secondo volume della «RDR», condiretta da Salvioni. O per meglio dire, ne uscì una prima parte, visto che il testo si interrompe con un «à suivre» mentre non mi consta che una prosecuzione abbia mai visto la luce né sulla stessa rivista né altrove. Anche Salvioni possedeva copia dell’opera, inviata con dedica «All’Egregio Sign. Prof. Carlo Salvioni | con rispettosa stima e gratitudine | L’Autore», copia conservata oggi (postillata parcamente, rispetto alle consuetudini di Salvioni) in BA Salv. 9087. Michele Loporcaro 54 la perizia del sig. prof. Gauchat è già stata inviata al sig. prof. Goidanich. Tuttavia, a me pare che non si dovrebbe perder l’occasione di invitare il sig. prof. Gauchat, in quanto uno dei migliori conoscitori dell’Atlas linguistique de la France, là dove si terrà la seduta della commissione consultiva [dell’atlante]. Non sarebbe perciò possibile che Lei prenda l’iniziativa affinché in primo luogo la commissione sia convocata in Italia del Nord e in secondo luogo affinché [la commissione] inviti il sig. prof. Gauchat a presentare personalmente e a discutere approfonditamente la sua relazione in questa seduta? Mi pare che attraverso una tale presa di posizione a voce l’intera questione dell’Atlante conoscerebbe un poderoso incentivo, che sarebbe benvenuto per tutti coloro che tanto hanno imparato dai dialetti italiani nei loro studi glottologici. 52 Vorrei d’altronde osservare che questa proposta cui qui dò voce corrisponde affatto ad una mia personale iniziativa; so tuttavia che il sig. prof. Gauchat sicuramente darebbe seguito ad un invito che gli fosse indirizzato. Sarei lieto, nell’interesse dell’impresa, se il mio consiglio potesse giovare a qualcosa. I miei lavori scientifici vanno a rilento; la questione di barba verrà ridiscussa da Kluge a pro, come suppongo, di un’origine germanica. Un’approfondita recensione del lavoro di Walberg su Celerina è già in vista della conclusione. Riceva, stimato signor professore, i miei migliori voti e consideri il mio consiglio come un segno del vivo interesse che porto all’intera questione. Suo dev.mo J. Jud 4.6.2. Meyer-Lübke a Salvioni, 4.XII.1905 53 Wien IV XII 05 Lieber Freund! So sehr ich das Verschwinden des Archivio Glottologico bedaure, so freut es mich auf der anderen Seite doch, dass Sie der Mühe und Zeit kostenden Redaktionsarbeit enthoben sind und Ihre Kräfte anderen Dingen zuwenden können. Das giebt mir denn auch den Mut zu meiner heutigen Anfrage. In der Winterschen Sammlung von Elementarbüchern möchte ich nun auch eine Reihe von etymol.[ogischen] Wörterb.[üchern] bringen. Das rumänische von Puşcariu ist ausgegeben, vielleicht Ihnen schon bekannt. 54 Als zweites denke ich 52 Si noti che l’aggettivo glottologico è normale nella tradizione italiana (ascoliana), mentre il glottologisch impiegato da Jud è, in tedesco, rarissimo: il suo uso sarà indotto dal rivolgersi, da parte di Jud, al maggior glottologo italiano dell’epoca. 53 La missiva è conservata in BIL MS III L 14. Trascrizione e traduzione sono mie. Nel maggio 2009 ho potuto confrontarle con quelle di E. Faré (1987-88: 99-103), che mi hanno aiutato in alcuni punti. Poche le note di commento: vi si adducono informazioni dall’inaccessibile Fondo Merlo (v. la n. 31) circa ulteriore corrispondenza dei due studiosi a proposito dell’etimologico italiano (v. oltre, la n. 55); nulla vi si dice però sull’esordio della lettera e sulla «chiusura» ivi menzionata dell’Archivio Glottologico Italiano. 54 Il dizionario di Pu ş cariu (1905) inaugurò la serie. 4. Salvioni dialettologo fra Italia e Svizzera: in tre quadri (con tre lettere inedite) 55 an ein italienisches und möchte Sie bitten es zu übernehmen. 55 Ich stelle es mir folgendermassen vor. Darzustellen ist der Wortschatz der Schriftsprache, also ungefähr das was bei Petrocchi 56 über dem Strich und ein Teil dessen was unter dem Strich steht oder etwas 57 was Rigutini-Bulle u[nd] H Michaelis enthalten. 58 Die Dialekte heranzuziehen würde zu weit führen. Es ist das Etymon anzugeben, die anderen romanischen Verwandten nur dann, wenn sie die Vermittlung zwischen dem ital.[ienischen] und dem Grundworte leisten, also zb giardino : frz. jardin germ. gardo. Wie sich typographisch am besten der Unterschied zwischen direkter u. indirekter Abstammung darstellt, wird man dann sehen. Besonderen Wert möchte ich darauf legen, zu zeigen wie viele fremde (franz[ösisch]-prov[enzalische], dialekt.[ale]) Elemente doch auch die Schriftsprache enthält. Litteraturangaben würde ich mit Auswahl geben: das wichtigste, die ersten Urheber, Stellen wo schwierige lautliche Verhaeltnisse nun erklärt werden. Offenbar unrichtige Deutungen können ohne weiteres wegbleiben. Sie fragen vielleicht warum ich nicht selber eine Arbeit mache, die in meiner Studienrichtung liegt. Da kann ich antworten, erstens weil ich Sie gerade für 55 Altre missive al Salvioni, due cartoline postali di Meyer-Lübke e una lettera di Winter, confermano che la pratica fu avviata. Le due del collega zurighese sono entrambe del dicembre 1905: nella prima, non datata (in E. Faré 1987-88: 103-4, cp FM AH 40), egli sollecita una risposta alla proposta avanzata «vor einigen Wochen», mentre nella seconda ringrazia «für Ihre Zusage» e accoglie a sua volta la proposta di Salvioni di rediger l’opera in italiano, informandolo di aver già scritto a Winter per caldeggiare tale soluzione (E. Faré 1987-88: 104, cp FM AH 39). Sempre dal Fondo Merlo (FM BD 30), E. Faré (1987-88: 101 n. 118) menziona «una lettera di Carl Winter del 16.I.1908, nella quale l’editore afferma di essere in attesa per la stampa “Ihres italienischen etymologischen Wörterbuch”». Quasi tre anni dopo, il 13.IX.1910, Salvioni scrive a Pio Rajna: «ho l’edizione del Porta sul telajo, la bibliografia dei dialetti e il Vocabolario etimologico italiano, già promessi e che vorrei, se Iddio mi dà forza e vita, compire» (Sanfilippo 1979: 175). Benché dunque il contratto con Winter non sia pervenuto fra le carte del Salvioni, diversamente da quello per la grammatica italiana presso Teubner (conservato in BA T 13 inf. D10, v. P. A. Faré 1968: 110, 1964: xv), un tale contratto dovette esistere, ed in base ad esso Salvioni dové preparare le 10.732 schede intestate «Dizionario etimologico della lingua italiana» tuttora visibili in BA T 15-16 inf. (cfr. P. A. Faré 1968: 127-32). 56 Si tratta del dizionario di Petròcchi (1887-91), «che distingue in due campi di testo il lessico comune da quello tecnico e antiquato». Me lo ricorda per lettera (28.IV.2009) l’amico Marcello Barbato, cui debbo la lettura del nome, tanto ovvia a posteriori quanto difficile nell’impervio corsivo del Meyer-Lübke, del quale scrive l’allieva Elise Richter ricordandolo: «seine Handschrift, für andere so gut wie gar nicht, war für ihn selbst auch kaum entzifferbar» (Richter 1936: 204), ossia «la sua scrittura, per gli altri in pratica assolutamente non decifrabile, lo era a mala pena per lui stesso». 57 Sic. Il senso del passo richiederebbe piuttosto «oder etwa, was» ‘o all’incirca ciò che’ ecc. Può darsi che si tratti di erronea anticipazione indotta dal was seguente. 58 I due dizionari menzionati sono rispettivamente Rigutini e Bulle (1902 3 ) e (probabilmente) l’altro dizionario bilingue italiano-tedesco di H. Michaelis, uscito in diverse edizioni: ne ho reperito la seconda (Michaelis 1882 2 ), mentre quella più vicina all’epoca in cui scrive Meyer-Lübke è, per quanto ho potuto vedere, del 1898. Michele Loporcaro 56 ital.[ienisch] für befähigter halte und zweitens weil ich jetzt meine ganze Kraft auf die Fertigstellung meines romanischen Sprachschatzes verwende. Noch kann ich sagen, dass der Verleger 40 Mark Honorar per Bogen bezahlt. Von mir kann ich wenig sagen. Mein Töchterchen entwickelt sich zu unserer Freude, aber das Sonnenkind von früher ist sie nicht mehr: der Bruder fehlt auch ihr, wenn sie auch tapfer es sich nicht merken lässt. Für uns Eltern ist dadurch aber der Schlag noch empfindlicher und die Wunde will noch langsamer heilen. Meine Arbeitslust kehrt ja allmaelich wieder und kleine Äusserlichkeiten wie die Ernennung zum Mitglied der Berliner Akademie wirken jetzt mehr als es sonst der Fall gewesen wäre. Bessere Zeiten werden ja wohl auch für uns wieder kommen: ich bin jetzt mitunter schon ganz zufrieden, wenn nichts schlechter wird. Empfehlen Sie mich Ihrer lieben Frau und gedenken Sie Ihres Sie hochschätzenden M.L. Traduzione: Caro amico! Per quanto mi dispiaccia la scomparsa dell’Archivio Glottologico, d’altra parte mi rallegra che Lei sia sollevato dal lavoro di redazione, che costa fatica e tempo, e che possa dedicare le Sue forze ad altre cose. Ciò mi dà quindi anche l’ardire per la mia richiesta di oggi. Nella collezione di libri di base di Winter vorrei ora introdurre anche una serie di dizionari etimologici. Quello rumeno di Puşcariu, a Lei forse già noto, è uscito. Come secondo penso ad uno italiano e vorrei pregarLa di incaricarsene Lei. Me lo figuro come segue. Andrà presentato il lessico della lingua letteraria, dunque all’incirca ciò che in Petrocchi figura sopra il filo tipografico e una parte di quanto figura sotto, ovvero all’incirca quanto contengono Rigutini-Bulle e H. Michaelis. Chiamare in causa 59 i dialetti porterebbe troppo lontano. Va indicato l’etimo mentre le altre voci romanze imparentate solo laddove esse forniscano la mediazione fra l’italiano e la parola di base, dunque ad es. giardino : franc. jardin germ. gardo. Come si possa rappresentare al meglio tipograficamente la differenza fra tradizione diretta e indiretta, lo si vedrà poi. Particolare importanza attribuirei al mostrare quanti elementi estranei (francesi-provenzali, dialettali) contiene anche la lingua letteraria. Di indicazioni bibliografiche ne darei solo una scelta: l’essenziale, i primi autori, luoghi in cui ora si spieghino condizioni fonetiche difficili. Interpretazioni palesemente erronee possono senz’altro essere omesse. 60 Lei chiederà forse perché non faccio io stesso un lavoro che si colloca nel mio indirizzo di studi. A ciò posso rispondere, primo, perché in particolare per 59 Traduco come se nell’originale si leggesse herbeiziehen, mentre Meyer-Lübke scrive in realtà heranziehen ‘consultare’. 60 È un invito, evidentemente, a omettere discussioni critiche di interpretazioni altrui, cui invece sono dedicate tante fra le pagine del Salvioni (v. al proposito le considerazioni di Vittorio Formentin, sopra al cap. 3). 4. Salvioni dialettologo fra Italia e Svizzera: in tre quadri (con tre lettere inedite) 57 l’italiano ritengo Lei più qualificato e, secondo, perché già impiego tutta quanta la mia energia per il compimento del mio vocabolario romanzo. 61 Ancora posso dire che l’editore paga 40 marchi di onorario per sedicesimo. Di me posso dir poco. La mia figlioletta cresce, per la nostra gioia, ma non è più la bimba spensierata di prima: anche lei sente la mancanza del fratello, benché coraggiosamente non lo faccia notare. Così, per noi genitori, ancor più duro è il colpo e ancor più lentamente guarirà la ferita. Mi torna pian piano la voglia di lavorare e piccolezze esteriori come la nomina a membro dell’Accademia di Berlino fanno ora più effetto di quanto non sarebbe stato altrimenti. Torneranno anche per noi tempi migliori: adesso sono a volte già ben contento se nulla peggiora. Mi saluti la Sua cara Signora e si ricordi del Suo M.L. che tanto la stima. 4.6.3. Gauchat a Salvioni, 7-10.IX.1918 62 Zurich 7-9 septembre Mon cher collègue et ami. Je m’empresse de répondre a votre carte postale qui m’est arrivée avec un grand retard. Oui, voilà bien longtemps que nous ne nous sommes vus et bien de choses se sont passées depuis. Je ne vous ai pas écrit après avoir reçu le livre où vous avez pieusement recueilli les lettres de vos fils, livre qui m’a touché aux larmes. 63 61 Il riferimento è ovviamente al REW, uscito sempre da Winter in prima edizione nel 1911. Da altra lettera del Meyer-Lübke E. Faré (1987-88: 119 n. 143) deduce che la definizione di Sprachschatz (‘Thesaurus’) fosse cara al Salvioni. Gli scrive infatti il collega (in italiano) da Fondo, in Val di Non, il 1°.IX.1908: «ritornato a Vienna, la mia sola e unica cura sarà il Dizionario etimologico o come preferirebbe ‘romanische [sic] Wortschatz’» (cp FM AH 49; originale inaccessibile: v. la n. 31). Chiosa la curatrice: «“Lessico romanzo”: dal contesto pare che questo sia stato il titolo proposto dal Salvioni». Si tenga però presente che il Meyer-Lübke, che conosceva moltissime lingue, parlava e scriveva non impeccabilmente anche quelle di cui era specialista: questa stessa cartolina postale, inviata dal Welschtirol, è un esercizio d’italiano (l’unico nell’intera corrispondenza con Salvioni a noi pervenuta) non privo di sdrucciolamenti. Quanto all’imperfe- zione del suo francese, v. il giudizio poco lusinghiero di Spitzer (1938: 214, 216), che anche in privato (si v. ad es. la lettera a Elise Richter del 18.VIII.1925 in Hurch 2009b: 236) si esprime in maniera sferzante circa le conoscenze d’italiano e di francese del Meyer- Lübke. E dunque a quell’«o come preferirebbe ‘romanischer Wortschatz’» della lettera a Salvioni del 1°.IX.1908 può ben soggiacere un tedesco «oder ‘romanischer Wortschatz’, wie sie möchten», con un ‘come preferisce’ puramente fàtico e non tale da prestarsi all’interpretazione della Faré. 62 Anche questa lettera, riprodotta in fig. 4, si conserva a Milano, BIL MS I E 28. Il timbro postale in partenza, da Zurigo-Hirslanden, dove Gauchat abitava in Hofackerstrasse 44, è del 10 settembre 1918. 63 Si tratta del volume In memoria dei fratelli Ferruccio ed Enrico Salvioni [nel primo anniversario della loro morte]. Schizzo biografico, scritti, lettere dalla guerra, documenti diversi, Milano: Scuola Tipo-Litografica «Figli della Provvidenza» 1917, 209 pp. [più, non numerati, indice ed errata corrige], apparso anonimo (la dicitura «nel primo anniversario ecc.» figura in copertina, non sul frontespizio: viceversa per il sottotitolo, «Schizzo ecc.»). Successivamente alla lettera di Gauchat, ottenuto il beneplacito della censura militare, nel dicembre 1918 Salvioni diede alle stampe, sempre anonima, una seconda versione del Michele Loporcaro 58 Ma femme, bien que comprenant peu l’italien, a voulu le lire aussi et en a été très émue. Vous comprenez que je ne vous aie pas écrit, ne voulant pas rouvrir des blessures en train de se cicatriser. Mais aujourd’hui je vous en dis un seul mot, heureux d’avoir appris par vous-même que vous allez tous les deux relativement bien. Ce printemps j’ai fait avec ma femme mon tour de noces d’argent à Lugano, où j’esperais beaucoup vous trouver. Mais les terribles barrières dressées entre nos deux pays nous ont empêché de venir chez vous comme elles m’empêchent depuis longtemps de revoir l’Italie que j’adore et où mes pensées vont si souvent. Dans ma famille tout va bien. Ma fille continue à travailler au bureau des disparus comme volontaire. Elle y va déjà depuis trois ans et attend avec impatience le moment où elle pourra quitter un peu la maison paternelle et apprendre à connaître le monde. Mon fils aîné étudie l’architecture et le cadet vient d’entrer à l’école des arts et métiers. Le Glossaire avance. Je compte terminer le classement l’année prochaine et en 1920 nous commencerons à publier! 64 Cette année encore nous voulons publier la première partie de nos tableaux phonétiques des patois de la Suisse romande. Ce sera un gros volume in-4° de 500 pages. Le papier, l’impression sont affreusement chers, mais on avance en âge, on doit utiliser les années qui nous restent et il faut déblayer le terrain pour concentrer tous les efforts sur le Glossaire. L’atlas doit être différé à des temps meilleurs, faute d’argent et de forces. 65 Je reçois régulièrement vos fonctionnaires et constate que votre belle oeuvre progresse malgré les difficultés des temps présents. Vous me demandez des nouvelles des collègues. Malheureusement j’ai très peu de rapports avec eux. Même avec Morf mes relations sont tendues à cause de la politique qui a creusé un abîme entre nous, hélas. Savez-vous qu’il est très grièvement malade depuis Pâques? Il a été pris subitement d’un complet épuisement de forces. En partie c’est son diabète, en partie un crise nerveuse causée par la guerre et ses suites funestes. Actuellement les nouvelles sont un peu meilleures, mais j’ai bien peu d’espoir. J’ai vu ici M. Meyer-Lübke, toujours très entreprenant, mais il a pourtant l’air vieilli. Ma correspondance avec Schuchardt est très intermittente et très laconique, toujours pour la même raison, parce qu’on ne peux pas se comprendre. Aussi Thomas va bien, mais est inquiet, parce qu’il a un ou plusieurs fils sur le front. Je n’ai pas revu Gilliéron depuis la guerre. Il prépare un gros volume de géographie linguistique à propos du mot abeille, volume qui paraîtra dans la bibliothèque de l’Ecole des Hautes Etudes. 66 De Lugano nous avons vu l’idyllique San Mamette, notre séjour des temps heureux, où on ne peux plus aller. Le pauvre ..telli, 67 mais il verra d’autres temps. Et nous aussi s’il plaît à Dieu. Quand nous nous reverrons nous nous trouverons vieillis. Aurons-nous au moins la consolation de laisser aux générations futures volume con diverso titolo: Lettere dalla guerra di Ferruccio ed Enrico Salvioni, con proemio di Vittorio Rossi, Milano: Fratelli Treves editori 1918, 258 pp. 64 La pubblicazione del Glossaire des patois de la Suisse romande iniziò in realtà nel 1924. 65 Si tratta dell’atlante di cui sopra al §4.2. 66 Effettivamente, il saggio di Gilliéron (1918) uscì in quell’anno come 225° fascicolo della collana. 67 All’iniziale, lettera (o sequenza di lettere con iniziale) maiuscola illeggibile. 4. Salvioni dialettologo fra Italia e Svizzera: in tre quadri (con tre lettere inedite) 59 un monde meilleur? Pour moi, je le crois fermement et c’est ce qui me soutient dans mon travail. Veuillez présenter mes amitiés à Madame et recevez vous-même une poignée de main bien amicale de votre L. Gauchat. Traduzione: Mio caro collega ed amico. Mi affretto a rispondere alla sua cartolina postale che mi è arrivata con grande ritardo. Sì, è da molto tempo che non ci si vede e molte cose sono accadute da allora. Non le ho scritto dopo aver ricevuto il libro dove ha piamente raccolto le lettere dei suoi figli, libro che mi ha toccato sino alle lacrime. Mia moglie, benché capisca poco l’italiano, a voluto leggerlo anche lei e ne è stata molto commossa. Capisce che io non le abbia scritto, non volendo riaprire delle ferite che andavano cicatrizzandosi. Ma oggi gliene dico una sola parola, felice di aver appreso da lei stesso che state entrambi relativamente bene. Questa primavera ho fatto con mia moglie il mio viaggio di nozze d’argento a Lugano, dove speravo proprio di trovarla. Ma le barriere terribili innalzate fra i nostri due paesi ci hanno impedito di venir da voi come mi impediscono da tempo di rivedere l’Italia che adoro e dove i miei pensieri vanno tanto spesso. Nella mia famiglia tutto va bene. Mia figlia continua a lavorare all’ufficio dispersi come volontaria. Ci va già da tre anni e attende con impazienza il momento in cui potrà lasciare un po’ la casa paterna ed imparare a conoscere il mondo. Mio figlio maggiore studia architettura e il minore è appena entrato alla scuola d’arti e mestieri. Il Glossaire avanza. Conto di terminare la classificazione dei dati l’anno prossimo e nel 1920 inizieremo a pubblicare. Quest’anno ancora vogliamo pubblicare la prima parte delle nostre tavole fonetiche dei patois della Svizzera romanda. Sarà un grosso volume in quarto di 500 pagine. La carta, la stampa sono terribilmente care, ma si va avanti coll’età, si devono utilizzare gli anni che ci restano e bisogna sgomberare il terreno per concentrar tutti gli sforzi sul Glossaire. L’atlante dev’esser differito a tempi migliori, per mancanza di danaro e di forze. Ricevo regolarmente i vostri funzionari e constato che la sua bella opera progredisce malgrado le difficoltà dei tempi presenti. Mi domanda notizie dei colleghi. Purtroppo ho ben pochi rapporti con loro. Anche con Morf le mie relazioni sono tese a causa della politica che ha scavato un abisso fra noi, ahimé. Sa che è gravemente malato da Pasqua? È stato preso all’improvviso da uno spossamento completo. In parte è il suo diabete, in parte una crisi nervosa causata dalla guerra e dalle sue conseguenze funeste. Attualmente le notizie sono un po’ migliori, ma ho ben poca speranza. Ho visto qui il signor Meyer-Lübke, sempre molto intraprendente, ma nondimeno dall’aspetto invecchiato. La mia corrispondenza con Schuchardt è molto intermittente e molto laconica, sempre per la stessa ragione, perché non ci si riesce a capire. Anche Thomas sta bene, ma è inquieto, perché ha uno o più figli al fronte. Non ho più rivisto Gilliéron dall’inizio della guerra. Prepara un grosso volume di geografia lingui- Michele Loporcaro 60 stica a proposito della parola abeille, volume che apparirà nella biblioteca dell’Ecole des Hautes Etudes. Da Lugano abbiamo visto l’idilliaco San Mamette, nostro soggiorno dei tempi felici. Dove non si può più andare. Il povero ..telli, ma vedrà altri tempi. E anche noi, se Dio vuole. Quando ci rivedremo ci troveremo invecchiati. Avremo almeno la consolazione di lasciare alle generazioni future un mondo migliore? Quanto a me, lo credo fermamente ed è questo che mi sostiene nel mio lavoro. Vogliate presentare i miei omaggi alla Signora e ricevete voi stesso un’amichevolissima stretta di mano dal vostro L. Gauchat. Riferimenti bibliografici AIS: Karl Jaberg e Jakob Jud, Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, 8 voll., Zofingen: Ringier 1928-40. ALF: Jules Gilliéron e Edmond Edmont, Atlas linguistique de la France, Parigi: Champion 1902-10. ALI: Matteo G. Bartoli, Giuseppe Vidossi, Benvenuto A. Terracini, Giuliano Bonfante, Corrado Grassi, Arturo Genre e Lorenzo Massobrio, Atlante linguistico italiano. Roma: Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato/ Libreria dello Stato 1995 e ss. 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(copia inviata a Carlo Salvioni da Heinrich Morf il 7.X.1914, BIL MS I C 12), p. 1. 5. Salvioni sul sostrato, fra Ascoli e Merlo Luca Lorenzetti 5.1. IL SOSTRATO: UNA TEMATICA ITALIANA? Una quindicina di anni fa, in una relazione congressuale letta in memoria di Antonino Pagliaro, Giulio Lepschy confessò di riporre scarsa fiducia in the notion of a country’s national contribution to a given discipline. The characterization of the contribution made by a country to an area of study may be interesting as a chapter of that country’s cultural history, but I feel that it is less useful from the point of view of the area of study concerned. Here there are problems to be dealt with, and scholars from different cultural and linguistic traditions may contribute to their solution. As in many other fields, so also in linguistics I think that research is cosmopolitan in nature, not national by any means, but rather international, or, even better, a-national, and it must take into account relevant works, whichever their country of origin and the language in which they are written (Lepschy 1994: 269). Commentando a caldo questa posizione, Walter Belardi argomentava, riprendendo la vecchia contrapposizione pasqualiana tra studiosi di temi e studiosi di problemi, che è proprio nel creare e porre problemi, e proporne soluzioni personali, che si collocano «quelle caratteristiche storiche, ora socioculturali ora idioculturali, che fanno sì che non sia possibile l'esistenza di una scienza antropologica una, cosmopolitica e anazionale» (Belardi 1993: 340). 1 Come esempi di problemi scientifici che, in quanto creazione personale, sono i soli capaci di far avanzare il sapere, Belardi proponeva l’opera di alcune figure della storia della linguistica: Jules Gilliéron, che crea la lessicologia spaziale «applicando alla storia del lessico proprie esperienze giovanili maturate presso il padre, studioso dilettante di carte geologiche, e maturate altresì, oltre che sui libri, con il partecipare intimamente alla vita quotidiana di comunità di pastori e contadini della Svizzera romanda, stando in mezzo ai quali Gilliéron seppe cogliere numerosi aspetti del conflitto tra patois e lingua nazionale» (1993: 342); o Uriel Weinreich, la cui opzione filosofica per l’osservazionismo si coglie solo ambientandone il pensiero nel comportamentismo nordamericano degli anni ’50 (ibid.). Sebbene né Lepschy da un lato né Belardi dall’altro abbiano considerato esplicitamente questa possibilità nei saggi succitati, si ha l’impressione che il problema del sostrato sia degno di entrare in questo novero, nel novero cioè dei problemi 1 Il testo di Lepschy è ivi citato secondo il Tagungsbericht di Dutz (1992), non disponendo Belardi all’epoca del testo ufficiale. Luca Lorenzetti 70 scientifici storicamente e quindi geograficamente e antropologicamente determinati. La tradizione storiografica di studi sul sostrato ha visto prevalere nel tempo una posizione precisa, ancorché implicita: si tratta della posizione argomentata con dovizia di sostegni filologici da Domenico Silvestri, nei primi due volumi del suo lavoro sui “metodi e miraggi” della teoria del sostrato (Silvestri 1977-82). Secondo Silvestri, se per sostrato si intende non un generico fenomeno di contatto linguistico in determinate situazioni storico-geografiche, ma una vera e propria categoria storico-linguistica, allora gli unici veri precursori della teoria ascoliana del sostrato devono essere considerati Carlo Cattaneo e Bernardino Biondelli. In quest’ottica, l’elaborazione della teoria del sostrato risulterebbe appunto un prodotto culturale sensibilmente legato a un preciso segmento della storia civile e culturale dell’Ottocento italiano. Non è questa la sede per valutare questa posizione rispetto alle altre, esistenti seppur minoritarie: un accenno a questa dialettica, radicata in maniera pre-teorica e in alcuni casi persino irriflessa nel vasto e variegato campo del “celtismo” europeo sei-settecentesco, viene avanzato in questo volume nel saggio di Giancarlo Schirru (cap. 7). Qui interessa ribadire come il sostrato linguistico possa a buon diritto considerarsi un nodo centrale, consustanziale quasi al nascere e al crescere della linguistica italiana tra Ottocento e Novecento. Rispetto a questo nodo, la posizione di Carlo Salvioni è stata notoriamente marginale. Meglio: è stata marginale in tale misura da aver indotto e continuare a indurre legittime domande su come e perché l’allievo di Graziadio Isaia Ascoli e maestro di Clemente Merlo - forse i due glottologi che più di ogni altro hanno legato buona parte della loro teoresi linguistica al concetto di sostrato - possa aver invece scotomizzato quasi del tutto questo concetto. Non sarà forse inutile cogliere questa occasione per tornare a ragionare su questo silenzio, tassello non privo di interesse per approfondire la posizione di Salvioni in quanto punto intermedio di quella linea continiana “Ascoli-Salvioni-Merlo” della quale recentemente, nel convegno linceo per il centenario della morte di Ascoli, Loporcaro (2010) ha rivendicato l’attualità e la vivacità del lascito. Allo scopo, riesamineremo i giudizi che sui rapporti di Salvioni col concetto di sostrato si sono avvicendati nei decenni; quindi cercheremo negli scritti di Salvioni, ora comodamente consultabili in raccolta grazie alla meritoria fatica dello stesso Loporcaro e dei suoi collaboratori, conferme, smentite o precisazioni rispetto a quei giudizi. Un’ultima osservazione, a chiudere questa premessa con una esplicita captatio benevolentiae: il sostrato in generale, e la posizione di Salvioni sul sostrato in particolare, hanno attratto nei decenni le migliori menti della linguistica italiana, sicché tra gli studiosi che citeremo compaiono nomi come Terracini, Merlo, Timpanaro, Contini, Bolelli, Belardi. Nessuno si aspetterà da questo modestissimo contributo novità di rilievo rispetto a quanto linguisti di questo calibro sono venuti osservando nel corso dei decenni. 5. Salvioni sul sostrato, fra Ascoli e Merlo 71 5.2. SALVIONI E IL SOSTRATO NEI GIUDIZI DEI LINGUISTI ITALIANI Come ha sintetizzato Loporcaro (2010: 185) nell’intervento linceo citato poc’anzi, «l’opinio communis addita differenze all’interno della linea Ascoli-Salvioni-Merlo». Salvioni è giudicato da vari studiosi come piuttosto scettico nei confronti della teoria del sostrato: gli studiosi in questione sono appunto Benvenuto Terracini, Clemente Merlo, Gianfranco Contini, Sebastiano Timpanaro, Tristano Bolelli. I giudizi su Salvioni sono stati espressi in circostanze diverse, ma perlopiù in occasione di interventi commemorativi (così Terracini e Merlo) o biografici. Ciò che li accomuna, oltre e più che il carattere - perlopiù d’occasione, - è il fatto che il ragionamento sul sostrato non è tematizzato come un aspetto di particolare centralità, ma si trova in genere a occorrere a fianco di considerazioni di altro tipo e spessore, su altri e diversi aspetti dell’opera di Salvioni. Ripercorriamo in sintesi il tenore dei vari interventi. 5.2.1. Benvenuto Terracini In un ricordo di Salvioni pubblicato nel volume XVIII dell’Archivio glottologico (uscito nel 1922: Salvioni era morto nell’ottobre del 1920), Terracini prende a prestito le parole dello stesso Salvioni, tratte da una nota critica alle Altitalische Forschungen di Carl Pauli (Salvioni 1904), per delineare quale fosse secondo lui la posizione dello studioso ticinese rispetto ai problemi del sostrato: Lo spirito del Salvioni rispecchiava del resto schiettamente, e perciò fecondamente, alcune tendenze caratteristiche della sua generazione. Quegli stessi principi che egli proclama, in fondo li accetta semplicemente perché ritiene che conferiscano alla ricerca quella sicurezza ed obiettività che le occorrono per essere una ricerca rigorosa. Egli ha bisogno di certezza, di muoversi in mezzo a dovizia di materiali e costruire su questi lentamente, frammentariamente, ma, secondo la sua convinzione, obiettivamente e sicuramente; basti ricordare il suo scetticismo sulla teoria del sostrato: “Veramente, chi dai suoi studi è tratto a lavorare sul terreno piano e sodo delle lingue largamente documentate e viventi, rimane colto come da vertigine e da sgomento allo spettacolo del lavoro di congettura, di induzione, di combinazione, di immaginazione anche, che si impone a chi fruga non dirò fra le ossa, ma nella polvere di quei defunti organismi idiomatici. Giova tuttavia riconoscere il merito e la necessità insieme di quelle audacie. Nel buio la via si trova solamente brancolando” (Terracini 1922: 599). 2 Come si vede, l’accenno alle tematiche sostratistiche è qui adoperato per asserire e contrario la preferenza di Salvioni per lo studio di realtà ampiamente documentate. Nello stesso scritto Terracini annota un’altra osservazione che, depurata del tono encomiastico d’occasione, conserva un peso critico rilevante circa il ruolo della dialettologia nell’opera del Salvioni come in quella dell’Ascoli: 2 La citazione è attinta a Salvioni (1904: 378); il lavoro cui Salvioni si riferisce è Pauli (1894: 192 sgg). Luca Lorenzetti 72 Egli [scil. Salvioni] fu sùbito attratto nell'orbita dell'Ascoli di cui si proclamò allievo devoto e da lui ereditò il campo entro cui doveva svolgere tutta quanta la sua sorprendente attività di studioso: la dialettologia italiana, e l'amore o, direi quasi, un religioso concetto di essa. Quando egli ebbe a commemorare il maestro suo, pose assai bene in rilievo il rango cui negli studî linguistici l'Ascoli aveva elevato la considerazione dei nostri dialetti, come inesauribile vivaio di esperienza, e come uno dei mezzi più efficaci per ricostruire le fasi dell’antica parola di Roma (Terracini 1922: 593). L’encomio prelude a una considerazione che fatta da Terracini può apparire invece limitativa: Salvioni, osserva Terracini, nonostante la formazione di indoeuropeista presso K. Brugmann e nonostante il suo tenersi al corrente dei progressi della linguistica indoeuropea («per le esigenze del suo magistero» più che per coltivare un interesse scientifico effettivamente aggiornato), «trovò che vi era tanto da fare attorno ai dialetti italiani che non li lasciò più; ed anzi le sue ricerche dirette non oltrepassarono mai la considerazione di fasi romanze, o lo studio delle carte dell’alto medioevo» (Terracini 1922: 594). Altri spunti presenti nel testo di Terracini riguardano il metodo etimologico di Salvioni: La sua attenzione fu preferibilmente rivolta a quei mutamenti che sono più difficili da cogliere e da classificare in serie: metatesi, assimilazione, dissimilazione, che egli, ogniqualvolta l’occasione si presenti, insegue con acuto interesse attraverso i dialetti italiani [...]. Inoltre nel Salvioni è particolarmente vigile e fecondo il concetto che una determinata parola non viva isolata, ma sia costantemente associata a termini che le sono vicini per senso o per suono: di qui il suo frequente ricorrere agli incroci (p. es. engad. orur = a l b o r e disposato ad a u r o r a ), dettato dalla preoccupazione di giustificare i casi fonologicamente ribelli e quindi non sempre geograficamente inoppugnabile, ma pure spesso ispirato ad un fine senso dell’organismo linguistico (Terracini 1922: 596). Il limite del latino storico imposto - o meglio autoimposto - come sfondo cronologico alle proprie ricerche; la formazione tedesca alla scuola dei neogrammatici; il frequente ricorso agli accidenti generali e agli incroci etimologici come strumenti di analisi linguistica; sono motivi che tornano di frequente nella valutazione storica dell’opera di Salvioni, e tutti, come evidente, hanno non poche attinenze con il tema specifico del sostrato che qui stiamo trattando. Laddove il combinato disposto di basi latine e processi evolutivi regolari o comunque razionalmente spiegabili non basti a gettar luce su un dato etimo, anche allora il ricorso alla spiegazione di sostrato si impone non tanto per evidenza quanto piuttosto, in negativo, quasi per insufficienza di prove: una soluzione alternativa, cui adattarsi in attesa che l’avanzamento delle conoscenze, sia fattuali sia teoriche, permetta di «rivendicare al latino» 3 una maggior quantità di etimi problematici. 3 Salvioni (1904: 380 [I 721]): e cfr. anche infra, §5.3. 5. Salvioni sul sostrato, fra Ascoli e Merlo 73 5.2.2. Clemente Merlo L’illustre allievo accennò all’opinione del maestro sul sostrato ricordandolo ne L’Italia dialettale: Quanto alle “reazioni ètniche”, pur accogliendo senza riserve la teoria ascoliana 4 , fermo com’era nell’idea che tutto o quasi tutto potesse spiegarsi col latino, biasimò la facilità con cui, anche da [sic] maestri della disciplina, trascurando gli insegnamenti che potevano venir loro da un attento esame delle condizioni fonetiche locali e badando alla sola sovente fallace omofonia, attribuivano al ‘sostrato’ vocali [sic] d’etimo oscuro (Merlo 1958: 187). 5 I punti fermi del giudizio di Merlo sono due. In primo luogo, qualifica Salvioni l’adesione «senza riserve» alla teoria ascoliana del sostrato; vedremo tra poco come qualche riserva da parte di Salvioni forse ci sia, e proprio nello scritto cui Merlo fa riferimento. In secondo luogo, è sottolineata e, parrebbe, lodata la portata metodologica dell’idea che «tutto o quasi tutto po[ssa] spiegarsi col latino»; Merlo esplicita così un’opinione già espressa da Terracini e, forse non sorprendentemente, anticipa un giudizio che dello stesso Merlo “sostratista” fu dato in seguito da Gianfranco Contini (v. infra). 5.2.3. Gianfranco Contini Contini pubblicò nel 1961, nel quinto numero dell’Archivio storico ticinese, un saggio intitolato a Modernità e storicità di Carlo Salvioni. Per quel che riguarda specificamente il sostrato, l’unica valutazione presente nel saggio è la seguente: Quanto ai miti della sua scuola, è stato più volte indicato come a quello del sostrato etnico il Salvioni portasse un’adesione abbastanza distratta ed evasiva (Contini 1961: 329). Il discorso a questo proposito di Contini proseguiva a breve distanza laddove, esaminando la presenza dello stesso “mito” di scuola nell’allievo prediletto di Salvioni, Clemente Merlo, egli esprimeva appunto l’opinione che tra il peso teorico assegnato da Merlo alla componente sostratistica e la sua concreta prassi etimologica fosse presente e ben visibile, seppure moderata, una certa scissione: «Ma che lo sfocio in simile interpretazione [scil. l’interpretazione sostratica] inerisse di necessità al pensiero del Merlo, mi pare smentito dal fatto che un tale fautore della preistoria sul piano fonetico non producesse che etimi storici, sulla via regia, verticale, dell’ascendenza latina» (Contini 1961-62: 362). 4 In nota Merlo rimanda a Salvioni (1910: 76), in cui si dànno per «fatti assodati» le spiegazioni ascoliane dell’italiano centro-meridionale ND > nn (per sostrato osco-umbro) e delle retroflesse indiane («dal sostrato indigeno anteriore») (v. anche la citazione da Salvioni 1910: 76 addotta oltre, al §5.3). 5 Aggiunge in nota Merlo (1958: 192 n. 7): «Così, e non come parve al Terracini (‘Elogio’ cit. [ossia Terracini (1922)], p. 559) va interpretato il rimprovero ch’Egli mosse al Pauli di aver voluto leggere dei celtismi nella toponomastica della regione già abitata dai Leponzi: celtismi illusori [...], dal Maestro rivendicati più tardi sicuramente al latino». Luca Lorenzetti 74 5.2.4. Tristano Bolelli Bolelli approntò nel 1969 un profilo biografico e scientifico di Carlo Salvioni, destinato a una raccolta di studi su letterati, critici e filologi italiani. Quanto al Salvioni sostratista (o sostratofobo), Bolelli si limita a riprendere le opinioni di Merlo citate sopra, riferendo il brano dello stesso Salvioni già citato da Terracini, quello che critica l’eccesso di “celtismo” nel Pauli. Bolelli non omette poi di sollevare un’obiezione a Terracini: non di scetticismo sul sostrato quelle righe salvioniane sarebbero prova, bensì di riserve sul rigore degli etimi toponomastici. Bolelli, cedendo forse anche a una comprensibile difesa di scuola, dichiara di aderire così all’opinione di Clemente Merlo che abbiamo citato qui in nota 5; in realtà Merlo, pur con l’obiettivo, condiviso poi da Bolelli, di attenuare lo scarso interesse di Salvioni per le spiegazioni sostratistiche, individuava nella posizione del Salvioni piuttosto un richiamo al rigore delle spiegazioni fonetiche che una critica all’uso disinvolto della toponomastica. Sul passo salvioniano in questione torneremo infra. 5.2.5. Sebastiano Timpanaro Recensendo nel 1980 su Belfagor l’edizione a cura di Sanfilippo (1979) del Carteggio Rajna-Salvioni, così si esprimeva Timpanaro (1980: 48): Ticinese, laureatosi a Lipsia, il Salvioni aveva avuto poi come secondo maestro l’Ascoli, ma dell’insegnamento ascoliano aveva assorbito, in coerenza con la sua prima formazione, ciò che coincideva con alcuni principii-base dei neogrammatici: il gusto per l’indagine dialettologica con particolare riguardo all’etimologia, il fermo convincimento che le leggi fonetiche non subissero eccezioni, il culto della severità scientifica (di una scienza i cui principii metodologici apparivano, al Salvioni ben più che all’Ascoli, conquistati una volta per sempre, e bisognosi soltanto di sempre più rigorosa applicazione). Per altri aspetti che l’Ascoli considerava non meno essenziali alla propria dottrina, e sui quali si discostava dai neogrammatici - a cominciare dall’importanza fondamentale attribuita al sostrato -, il Salvioni, come hanno già notato altri studiosi, ebbe interesse scarso o nullo. La linea interpretativa di Timpanaro è molto chiara e possiamo così sintetizzarla: - Salvioni studia a Lipsia e si forma da neogrammatico ortodosso; rientrato in Italia elegge a maestro Ascoli, aderendo in particolare ai tratti della linguistica ascoliana che meno si discostano dalla prassi di scuola alla quale Salvioni era abituato; sui tratti invece per i quali Ascoli non si allinea coi linguisti tedeschi l’adesione di Salvioni è poco o niente affatto convinta. Questa linea viene ulteriormente precisata da Timpanaro in riferimento alla ripulsa di Salvioni effettuata da Ascoli nella Quinta lettera glottologica. 6 Timpanaro, in disaccordo con la Sanfilippo, rivaluta le ragioni del ritorno del vecchio Ascoli a tematiche che l’avevano occupato giovane: ad es., nella lettera aperta a Pullé su Carlo Cattaneo negli studi storici (scritta nel 1898 e pubblicata come Ascoli 1900) 6 V. al riguardo sopra il cap. 4 e l’ulteriore bibliografia ivi menzionata. 5. Salvioni sul sostrato, fra Ascoli e Merlo 75 Ascoli rivaluta l’opera del Cattaneo, come dotata di originalità e valore formativo. Secondo Timpanaro questo “ritorno al Cattaneo” non è un’improvvisa impennata dell’Ascoli vecchio, ma, dopo i dissidi giovanili, era andato maturando a poco a poco, e già da tempo era “implicito in tanta parte del pensiero e della produzione ascoliana”: 7 basti pensare alla teoria del sostrato, che occupa un posto centrale sia negli studi romanzi, sia nelle teorizzazioni dell’Ascoli a partire almeno dagli anni Settanta, e di cui l’Ascoli sempre esplicitamente si dichiarò debitore al Cattaneo, quantunque non fosse stato il Cattaneo il primo ad averla formulata (Timpanaro 1980: 52). Per Timpanaro, Ascoli avverte continuamente, e non solo - come suggerito dalla Sanfilippo - nell’ultimo periodo di vita, «i rischi dell’angustia specialistica, delle ricerche troppo minute e meramente tecniche; [egli] non aveva mai trascurato il nesso tra linguistica ed etnografia, tra dialettologia italiana e storia dell’Italia romana e preromana (la teoria del sostrato doveva, fra l’altro, servire appunto a mantenere questo nesso)» (Timpanaro 1980: 52). Invece, precisa Timpanaro, se l’Ascoli degli anni Novanta dà maggior rilievo di prima alla polemica contro la “riduzione dell’orizzonte storico”, è perché la situazione culturale era cambiata. Se venti o trent’anni prima bisognava inculcare nei giovani studiosi soprattutto la metodicità e la cautela, ora il pericolo maggiore era quello dell’angustia specialistica: non solo in linguistica, ma in tutte le scienze umane, e forse non soltanto in quelle. E questa angustia c’era anche nel Salvioni, pur così impeccabile nel suo specifico campo di ricerca (Timpanaro 1980: 53). Si tratta di un tema approfondito nel saggio linceo di M. Loporcaro già più volte citato. In quell’occasione Loporcaro riconduce la critica di Terracini all’interno di un dualismo che si è manifestato più volte, e si manifesterebbe anche in tempi recenti sotto mutate spoglie, nella storia della linguistica italiana: il dualismo tra chi ritiene legittima una prospettiva strutturale autonoma dalla storia linguistica e chi invece intende riassorbire in un’unica prospettiva storia linguistica interna e storia linguistica esterna. Per cercare di valutare la produttività delle posizioni storiografiche presentate, cerchiamo ora di trovarne i debiti riscontri diretti, scegliendo i principali loci nei quali Salvioni faccia riferimento, operativo o teorico, al concetto - se non sempre al termine - di sostrato. 5.3. LA TEORIA E LA PRASSI DI SALVIONI Veniamo ai passi, pochi in verità, nei quali lo stesso Salvioni si apre a dichiarazioni sulla teoria del sostrato. Il più importante e forse il più citato di questi passi è contenuto nella Commemorazione di Graziadio Isaia Ascoli: Ma, per venire all’immediato motivo degli studi celtici dell’Ascoli, esso ci è indicato nella ricerca cui attendeva di sempre nuove prove e conferme per la teoria da lui 7 Citazione da Sanfilippo (1979: 25). Luca Lorenzetti 76 abbracciata fin dagli esordi della sua carriera scientifica, e alla quale, in ogni occasione e con sempre crescente premura, come madre al figlio prediletto, ritornava. La teoria è quella delle reazioni etniche, una teoria ben vecchia in sè perchè non vi ha linguista da strapazzo che non vi abbia ricorso, ma a cui l’Ascoli costituì una base razionale e scientifica. Una lingua, questa è la teoria, non tramonta, non soggiace a un’altra lingua che le si venga a sovrapporre, senza reagire su di questa. Reagisce sul vocabolario (e a questo si attaccan per lo più i linguisti da strapazzo con una passione tanto più singolare in quanto operino per lo più con lingue soggiaciute, il cui vocabolario non conosciamo), reagisce sulla morfologia, sulla sintassi, sulla fonetica. Se ne’ nostri dialetti centro-meridionali la combinazione di n + d riesce a nn e vi si dice quanno per quando, ecc., ciò avviene per la reazione esercitata sul latino conquistatore dai linguaggi osco e umbro che in egual modo adoperavano. Le consonanti linguali dell’indiano sono state imposte agli ari invasori dalle popolazioni indigene, e così via (Salvioni 1910: 75-76). Secondo Salvioni, dunque, l’interesse di Ascoli per gli studi celtici si inquadra nell’esigenza più ampia di trovare prove e riscontri alla teoria del sostrato etnico. È ben nota la prudenza con cui Ascoli si adoperò per sistematizzare la teoria, istituendo le tre famose “prove”, la corografica, l’intrinseca e l’estrinseca, che avrebbero dovuto limitare le possibilità di applicazione incondizionata di spiegazioni sostratistiche, applicazione che Ascoli rimproverava a Biondelli e Cattaneo. E tuttavia tale prudenza non pare evidentemente sufficiente a Salvioni, che in vari altri passaggi prende le distanze dall’applicazione troppo fiduciosa dello schema ascoliano. Prendiamo ad esempio il discorso del 1917 su Ladinia e Italia. Uno degli argomenti che Salvioni adopera per prendere le distanze dalla tesi ascoliana sulla genesi del ladino è appunto quello del «presupposto celtico», che solo giustificherebbe le connessioni tra ladino e francese: Queste connessioni non possono storicamente dichiararsi che nel presupposto celtico [...]. Ma esso non vale solo per Ladinia e Francia; vale anche, dove più dove meno intensamente, pure per i dialetti padani, una cospicua sezion dei quali, - la occidentale, - vien anzi globalmente chiamata gallo-italica. Presupposto celtico, diciamo, in quanto e francesi e ladini e padani si contengono, di fronte al latino e per certi suoni, in un identico modo; e questa identità possiamo nel miglior modo spiegarci dall’identica maniera con cui una stessa anteriore favella ha reagito sulla favella di Roma (Salvioni 1917: 48 [ II 415]). Tuttavia, prosegue Salvioni, la comunanza di sostrato, se può talvolta spiegare le connessioni, non spiega però le differenze di comportamento («dissensioni») dei vari dialetti o lingue interessati, dovendosi del resto aver sempre presente che questo delle reazioni etniche è soltanto uno, se anche tra i più efficaci, dei fattori che determinano l’evoluzione fonetica (Salvioni 1917: 48 [ II 415]). La limitazione della potenza esplicativa del sostrato ritorna, come s’è detto più volte, anche altrove. Torniamo nuovamente alle note critiche al Pauli 8 ; accanto ai 8 Cfr. supra, nota 5. 5. Salvioni sul sostrato, fra Ascoli e Merlo 77 dubbi già ricordati da Merlo 9 e Bolelli 10 , andrà sottolineato come questa limitazione non nasca in Salvioni da scetticismo aprioristico, quanto piuttosto, al contrario, da una sorta di ottimistica fiducia nella produttività dei metodi di analisi disponibili. Ovvero, se l’etimologia toponomastica su base latina lascia delle cruces, è da credere che queste andranno diminuendo col tempo: Certo di quei nomi, che il Pauli, all’infuori d’una diecina, trova tutti chiari, la più parte rimangono oscuri anche dal punto di vista del latino. Ma ciò non implica, naturalmente, che colga nel segno la dichiarazione o celtica, o etrusca, o retica, e soprattutto non esclude che una base latina si possa in séguito trovare. È mia ferma convinzione che la più esatta conoscenza de’ dialetti e del loro passato, degli accorgimenti adoperati nel battezzare i luoghi, che i metodi d’indagine più raffinati riusciranno man mano a rivendicare al latino un numero di nomi locali assai maggiore di quello che non sia oggidì possibile (Salvioni 1904: 379-80 [I 720-1]). Queste critiche si ritrovano, com’è naturale parlando di Salvioni, più spesso in passaggi di concreta natura descrittiva che in esposizioni teoriche. Ad esempio, i toponimi Masnago Maslianico, ricondotti da Pauli a basi celtiche, vengono invece connessi da Schulze agli etruschi masni, masnli. Così commenta Salvioni: A veder mio, e l’ipotesi celtica e l’etrusca sono egualmente da escludere, e da escludere per una ragione identica. [...] un nome locale preromano, non essendo potuto giungere a noi che attraverso la glottide romana, deve presentarcisi colle impronte caratteristiche della favella romana, rivestito cioè di quell’abito fonico che questa doveva necessariamente prestargli. Orbene la glottide romana è assolutamente avversa e alla combinazione sm e alla combinazione sl. Quando l’una e l’altra si presenti, vien risolta colla soppressione del s e l’allungamento per compenso della precedente vocale (Salvioni 1918: 255 [ I 745]). Com’è ovvio, in alcuni casi le trafile fonetiche addotte da Salvioni sono laboriose: è quanto succede ad esempio per l’etimo di lomb. dèrla ‘mallo, noce smallata’, ricondotto a un *derolare ‘privare della ròla’, cioè del mallo (Salvioni 1898: 436 [ IV 118], 1906). Tuttavia, in esse è sempre rispettata la verificabilità e soprattutto esse non sono mai prive di paralleli concreti e non ad hoc. Né è da pensare che alla base della prudenza di Salvioni fosse una sorta di “sostratofobia” preconcetta: non mancano i casi in cui il ricorso alla spiegazione per contatto o sostrato gli si impone, ma, appunto, sempre in maniera controllata e soprattutto storicamente plausibile. Ad esempio, nel commentare il nome lucano dell’ontano, verna/ averna, Salvioni si dice sorpreso di trovare questo celtismo [...] quale denominazione volgare dell’‘Alnus cardifolia’ [sic]. Già ci eravamo abbattuti in esso nelle vicinanze d’Ancona [...], ma qui furono stazioni celtiche. Rimane che si ritenga la voce basilisca essere stata presa dalla 9 Concernenti l’erronea applicazione della fonetica storica alle presunte basi allotrie: ad esempio, se retico Catuna fosse da etr. catuna avrebbe avuto -d- (Salvioni 1904: 379 [ I 720]). 10 Bolelli sottolineava le critiche di Salvioni all’uso disinvolto di basi pre-latine nell’analisi toponomastica, laddove siano disponibili soluzioni alternative all’interno della tradizione latina: ad es., non serve invocare il gallico Telavus a spiegare il toponimo Teglio se si può invocare «assai più modestamente» (così Salvioni 1904: 381 [ I 722]) il lat. TILIA . Luca Lorenzetti 78 Francia, ma il suo apparire solitario nel Mezzogiorno e la natura stessa della voce, ci fanno chiedere se il celt. * VĔRNA ̆ -, come altre voci celtiche, già non fosse penetrato nello stesso vocabolario latino (Salvioni 1909: 65 [ IV 441]). In conclusione, è evidente come la forma mentis eminentemente empirica di Salvioni inclinasse a criticare non il ricorso al sostrato tout court, quanto quel tipo di ricorso al sostrato che avvenga solo come “ultima spiaggia”, una volta frustrati i tentativi di ricondurre la voce etimologizzata a trafile regolari o comunque razionali. Queste ultime dovettero sembrargli comunque preferibili, e in ogni caso da tentare prioritariamente, rispetto a ipotesi sostratistiche, certo più dirette (nel caso ricordato sopra, ad esempio, Schuchardt 1905 proponeva il celt. * DĔR - VA ̄ ‘ghianda’ che ricondurrebbe alle fatae Dervones) 11 , ma sempre sospettabili di anteporre un criterio di mera somiglianza, formale o semantica, a un criterio di confrontabilità sistematica: una contrapposizione, questa tra somiglianza e confrontabilità, che - gioverà ricordarlo - si trova al cuore della distinzione tra la linguistica pre-scientifica e quella linguistica autenticamente scientifica di cui Salvioni fu rigoroso e impeccabile interprete. Riferimenti bibliografici Ascoli, Graziadio Isaia (1900), Carlo Cattaneo negli studi storici. Lettera a Francesco Lorenzo Pullè, «NA» 171 [s. IV, vol. 87 (16 giugno)], 636-40 [poi in Lucchini (2002: 174-9)]. 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E questo perché chi stimava il lavoro scientifico del glottologo bellinzonese ne conosceva il grande potenziale come fonte per gli studi in linguistica, dialettologia e filologia romanza. Questo potenziale è oggi più che mai evidente grazie ai cinque volumi che compongono l’edizione degli Scritti linguistici di Carlo Salvioni (2008). 1 In questo contributo ci occuperemo brevemente dell’idea, non nuova, di raccogliere i saggi salvioniani (§6.1.), per poi passare ad illustrare gli indici analitici da un punto di vista quantitativo (§6.2.). Infine ci focalizzeremo sull’interazione tra gli indici di Salvioni e la ricerca oggi (§6.3.). 6.1. DAI DESIDERATA ALL’EDIZIONE Nel numero del 6 febbraio 1921 la redazione de L’Àdula pubblica un comunicato nel quale viene annunciata la raccolta di fondi per finanziare la realizzazione di un volume in onore di Carlo Salvioni, scomparso il 20 ottobre del 1920. 2 L’intenzione dei promotori, tra i quali figura Clemente Merlo come persona di contatto, è quella di riprendere un progetto del 1914 di colleghi, amici e allievi, i quali, per festeggiare il venticinquesimo anniversario cattedratico di Salvioni, intendevano offrire al Maestro, sui primi di novembre del 1915, un volume il quale contenesse: a) la bibliografia completa de’ suoi scritti; b) un indice fonetico-morfologicolessicale, possibilmente completo, delle parole da lui illustrate, coi rimandi ai sin- 1 Questi Scritti linguistici rappresentano il compimento del progetto “Edizione degli scritti linguistici di Carlo Salvioni” con sede all’Università di Zurigo, diretto da Michele Loporcaro e finanziato dal Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport del Cantone Ticino (attraverso la commissione per la pubblicazione dei «Testi per la storia della cultura della Svizzera italiana», presieduta da Ottavio Besomi e composta da Carlo Agliati, Luca Danzi, Alessandro Martini, Alfredo Stussi e il segretario Carlo Monti) insieme al Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica (FNS 100012-109717). 2 L’Àdula era un periodico «svizzero di coltura italiana», apparso nel Canton Ticino tra il 1912 e il 1935. Per una breve descrizione della storia (controversa) di questa rivista si veda la voce omonima apparsa nel DSS. Gli scritti più significativi apparsi nei primi anni della rivista, tra i quali alcuni di Salvioni, sono raccolti in Bonalumi (1970). Lorenza Pescia 82 goli luoghi; c) la ristampa, nella misura del possibile, di quelli tra i suoi scritti che videro la luce a parte in piccolo numero di esemplari ormai esaurito, o in riviste poco diffuse, pressoché irreperibili. L’indice, redatto sul modello di quelli dell’Archivio Glottologico italiano, oltre a porre in evidenza nel modo migliore quanto la glottologia romanza in genere l’italiana in particolare devono a CARLO SALVIONI [maiuscolo nel testo, n.d.a.] sarebbe stato uno strumento prezioso d’indagine, di lavoro (L’Àdula 1921 n.1: 4). Anche se molti «valenti romanisti d’ogni paese» (ivi) avevano aderito all’iniziativa (v. Pescia 2010 per la lista completa), questa idea non venne realizzata a causa dello scoppiare della Prima Guerra mondiale ma anche per la «modestia dell’Illustre festeggiando» (L’Àdula 1921 n.1: 4) e venne dunque riproposta dopo la sua scomparsa. In una seconda circolare del 17 aprile (L’Àdula 1921 n.6: 3) vengono specificati i contenuti di questo progetto: «il volume dovrebbe contenere la biografia dell’onorando, affidata alla mente e al cuore di Vittorio Rossi, e quanto di inedito nel campo della glottologia neo-latina verrà trovato tra le sue carte». 3 Il problema maggiore per i promotori di questa iniziativa è quello del reperimento dei finanziamenti necessari per la realizzazione di quel «monumento ære perennius che [Salvioni] aveva mostrato di gradire» (ivi). 4 Ma anche questo secondo tentativo fallisce, come si capisce dalle parole di Clemente Merlo pubblicate su L’Italia dialettale (1958), il quale chiarisce inoltre il destino dei lavori preparatori effettuati per il volume previsto per il 1915: La maggior parte delle molte decine di migliaia di schede, ormai pronte, che, chiamato nel ’16 a compiere il mio dovere di soldato, avevo riposto nella mia casa di Oggebbio, credendola un asilo sicuro, andò distrutta. Sparse un po’ da per tutto da ignoti malfattori che, entrati dentro con scasso, misero a soqquadro ogni cosa e se ne andaron via senza richiudere, topi di fogna ne fecero scempio. Si sarebbe dovuto rifare per intero lo spoglio, e lo avrei rifatto anche da solo perché non mancasse agli studiosi uno strumento di lavoro che il Maestro aveva mostrato di gradire; ma la circolare distribuita nel maggio 1921 non ebbe l’accoglienza ch’io speravo. Dovetti perciò rinunziare con vivo dolore all’antico proposito, e non fu codesta la sola amara rinunzia (Merlo 1958: 193). 3 Lo stesso testo viene pubblicato anche il 18 giugno 1921 sul quotidiano ticinese Il Dovere. 4 Nei successivi numeri de L’Àdula (fino alla fine del 1922) questa iniziativa non viene più menzionata, anche se la figura di Carlo Salvioni è comunque presente: il 24 luglio 1921 (L’Àdula 1921 n.13: 1) viene riportato il discorso tenuto dal professore trentino Mario M. Untersteiner all’Accademia scientifico-letteraria di Milano il 30 giugno 1921 in occasione dell’inaugurazione di un suo busto, per il quale vennero raccolti fondi anche in Ticino (si veda l’appello apparso anche sul Corriere del Ticino del 27 novembre del 1920); il 5 marzo del 1922 (L’Àdula 1922 n.15: 1) viene ripresa la commemorazione di Tommaso Parodi, il primo ottobre 1922 (L’Àdula 1922 n. 20) - nell’imminenza del secondo anniversario della morte - quella di Luigi Sorrento; il 29 ottobre 1922 (L’Àdula 1922 n. 22) vengono invece pubblicate le parole pronunciate da Scherillo l’11 novembre 1920 all’Istituto lombardo di Milano. 6. L’opera omnia di Salvioni, fonte per gli studi romanistici 83 Tuttavia nel 1933 Clemente Merlo stava ancora lavorando a questo antico progetto, come si capisce dalle parole di Nicola Zingarelli (1933: 1195): «Si aspetta con non diminuita ansietà il volume promesso da Clemente Merlo, con l’indice lessicale e la biografia per cura di Vittorio Rossi». Molti anni dopo, ricollegandosi a quanto detto da Merlo, Max Pfister sottolineò che «Purtroppo l’opera del Salvioni è dispersa in molte riviste e non è mai stata radunata in un corpo organico. […] Chissà se si troverà qualcuno pronto a rifare per intero lo spoglio: sarebbe uno strumento di lavoro utilissimo» (Pfister 1995: 410). Benché secondo criteri diversi rispetto a quelli concepiti dai comitati promotori del 1914 e del 1921, a novant’anni di distanza si è giunti infine a ripubblicare in un’unica sede i testi salvioniani di carattere linguistico e filologico accompagnati dagli indici analitici. Con questo progetto editoriale si è dunque raggiunto lo scopo di mettere a disposizione della comunità scientifica uno strumento di lavoro, auspicato da più studiosi, che permetterà una migliore consultazione delle pagine salvioniane e di riscoprire testi, dati e analisi altrimenti difficilmente reperibili. 5 6.2. GLI INDICI: DATI QUANTITATIVI Il numero di entrate che formano gli indici analitici di Salvioni (Pescia e Vecchio 2008: 147-876) è talmente cospicuo che non può essere messo in secondo piano perché significativo dell’attività scientifica svolta dal glottologo bellinzonese. Nella Tabella (1) alcuni dati in dettaglio: Tabella (1) I NDICE E NTRATE Varietà 6 1390 Nomi 7 985 Geografico 8 750 Fonti 9 503 5 Anche se fino alla pubblicazione di Salvioni (2008) nessuno aveva concretizzato l’idea di raccogliere i testi salvioniani, non va comunque dimenticato che negli ultimi decenni la figura di Salvioni è stata studiata e commemorata, in particolare in occasione del centenario della nascita, con una biografia di Romano Broggini, accompagnata dalla bibliografia dei suoi scritti (Broggini 1958) e con il già menzionato ricordo di Clemente Merlo (1958), anche questo testo corredato da bibliografia. Tra gli altri, si ricorda inoltre il saggio di Gianfranco Contini (Contini 1961), ma si rimanda a Broggini (2008) e Loporcaro (2008) per un ulteriore approfondimento. In questi anni sono apparsi anche alcuni carteggi (v. la lista in Broggini 2008: 43-44); Faré ha poi raccolto nel 1972 le Postille al REW di Meyer-Lübke, mentre nel 1975 Dante Isella ha curato la Fonetica e morfologia del dialetto milanese (questi due contributi sono i numeri [352] rispettivamente [353] della bibliografia di Broggini, Pescia e Vecchio 2008: 115-137). 6 Cfr. Pescia e Vecchio (2008: 199-238). 7 Cfr. Pescia e Vecchio (2008: 163-183). 8 Cfr. Pescia e Vecchio (2008: 185-196). Lorenza Pescia 84 Più precisamente, l’indice delle fonti è così suddiviso (Tabella 2): Tabella (2) I NDICE DELLE FONTI E NTRATE Autori di letteratura primaria 220 Testi anonimi 153 Informatori 130 L’indice degli informatori, benché esiguo, è stato realizzato per motivi di documentazione storica e anche perché questi nomi, a volte conosciuti a volte meno, testimoniano l’interesse di Salvioni per i dati linguistici a lui contemporanei, raccolti spesso grazie a parlanti nativi. L’indice delle forme (Pescia e Vecchio 2008: 263-876), suddiviso tra appellativi e onomastica, occupa più di seicento pagine per un totale di circa 80500 entrate. Gli appellativi sono stati raggruppati in base alla famiglia linguistica, mentre per quanto riguarda l’onomastica le entrate sono state divise tra toponimi e antroponimi. Nella Tabella (3) viene riportato per gli appellativi, limitatamente alle principali famiglie linguistiche, il numero di tipi documentati (types) assieme al numero di occorrenze (tokens): 10 Tabella (3) ROMANZO LATINO GERMANICO types tokens types tokens types tokens 69930 93042 5589 7789 677 729 Nella Tabella (4) vengono presentati i dati relativi ai types e ai tokens per la parte onomastica: Tabella (4) TOPONIMI ANTROPONIMI types tokens types tokens 2770 3576 1338 1480 Questi numeri forniscono lo spunto per alcune riflessioni sul tipo di corpus che è risultato dalla creazione degli indici delle forme. Come già osservato brevemente in Pescia (2010), interessante è innanzitutto il confronto numerico tra i types e i tokens: il rapporto è di 1.33. Ciò significa che, anche se si tiene conto dell’inevitabile presenza di entrate che corrisponderebbero ad un’unica forma ma che a cau- 9 Cfr. Pescia e Vecchio (2008: 155-161). 10 Aggiungiamo qui i dati relativi alle altre famiglie linguistiche: greco (100 entrate), arabo (6 entrate), altre lingue (17 entrate). 6. L’opera omnia di Salvioni, fonte per gli studi romanistici 85 sa di una differente trascrizione fonetica risultano essere dei types distinti, 11 la maggior parte delle entrate ha una singola occorrenza. Questa constatazione, che si basa su un’evidenza numerica, è una testimonianza indiretta del metodo di lavoro salvioniano, improntato ad una sistematica schedatura di dati in varietà differenti accanto ad un costante lavoro sul campo, ad un incessante aggiornamento bibliografico e ad un continuo rinnovamento nella scelta degli argomenti sottoposti ad indagine linguistica. Se così non fosse stato, avremmo una presenza sensibilmente maggiore delle stesse forme in più articoli. Anche le percentuali relative alla distribuzione per lettera delle entrate romanze nell’indice salvioniano (Pescia e Vecchio 2008: 264-799) possono fornire spunti di riflessione se paragonate ad esempio a quelle di un vocabolario come il DISC (2006). Chiaramente va sempre tenuto presente che il DISC (2006) è organizzato per lemmi ed è un dizionario d’uso monolingue, mentre il nostro indice raccoglie forme non lemmatizzate da più varietà romanze. Nella tabella (5) vengono riportate per ogni lettera iniziale - in ordine decrescente rispetto al numero di parole - il numero di entrate romanze, con le relative percentuali, del corpus salvioniano e accanto quelle delle corrispondenti italiane del DISC (2006). 12 Tabella (5) a. numero entrate romanze Salvioni (2008) b. % forme romanze Salvioni (2008) c. numero lemmi DISC (2006) d. % lemmi DISC (2006) 1. S 10035 14.4 12863 12.7 [1] 2. C 7451 10.7 10917 10.8 [2] 3. P 6503 9.3 10041 10 [3] 4. A 5063 7.2 8449 8.4 [4] 5. M 4848 6.9 6205 6.1 [7] 6. B 3975 5.7 4718 4.7 [10] 7. F 3720 5.3 4519 4.5 [11] 8. T 3262 4.7 5036 5 [8] 9. R 3242 4.6 6575 6.5 [6] 10. G 3122 4.4 3480 3.4 [12] 11. D 3019 4.3 4909 4.9 [9] 12. V 2661 3.8 2592 2.6 [15] 13. L 2585 3.7 2825 2.8 [14] 11 Infatti nella redazione degli indici sono state mantenute le trascrizioni fonetiche originarie, inevitabilmente diverse a seconda della pubblicazione. Per la lettura di questo indice sarà dunque utile ricorrere alla tabella comparativa di Barbato (2008: 139-141). 12 L’ordine decrescente delle iniziali delle parole romanze (in 5a) con cui vengono presentati questi dati si basa sui risultati elaborati a partire da Pescia e Vecchio (2008: 264- 799). La stessa sequenza di (5a) è stata adottata anche per i dati estrapolati dal DISC (2006), i quali di per sé verrebbero ordinati secondo un’altra “graduatoria”. Per questo motivo nella colonna (5d) viene indicata tra parentesi quadre la posizione, in ordine decrescente, che quella stessa lettera iniziale avrebbe se l’ordine si basasse unicamente sui dati desunti dal DISC (2006). Lorenza Pescia 86 14. I 2012 2.9 6879 6.8 [5] 15. N 1769 2.5 2066 2 [17] 16. O 1305 1.9 2485 2.5 [16] 17. K 1212 1.7 189 0.2 [22] 18. E 1190 1.7 3441 3.4 [13] 19. U 1091 1.6 946 0.9 [18] 20. Z 946 1.3 662 0.6 [19] 21. Q 373 0.5 552 0.5 [20] 22. J 292 0.4 93 0.1[24] 23. H 199 0.3 243 0.2 [21] 24. W 26 0.03 115 0.1 [23] 25. X 15 0.02 93 0.1 [25] 26. Y 14 0.02 49 0 [26] 69’930 entrate 99.87 % 100’942 entrate 99.8 % Comparando le colonne (5b) e (5d) si può notare come le percentuali relative alla distribuzione per lettera siano spesso molto simili. 13 Ad esempio in entrambi i corpora i gruppi più cospicui sono quelli formati dalle parole che iniziano con s-, c-, p-, a-, e sia nel DISC (2006) sia nell’indice delle forme romanze (Pescia e Vecchio 2008: 264-799) i vocaboli con ssono in assoluto i più numerosi, rispettivamente con il 14.4% e il 12.7%. La percentuale di parole che cominciano per vocale nel corpus di Salvioni è del 15.3%, un dato sensibilmente inferiore rispetto al 22% del DISC (2006). Questo risultato può essere spiegato con la tendenza di molti dialetti all’aferesi e/ o alla prostesi consonantica in parole con inizio vocalico (v. anche Rohlfs 1966: §340). Dunque non sorprenderà che ad esempio le parole inizianti per fricativa labiodentale sonora abbiano una percentuale di ricorrenza superiore nell’indice di Salvioni (3.8%) rispetto a quella registrata nel DISC (2006). La prostesi di vè infatti un fenomeno trattato spesso nelle pagine salvioniane (ad esempio vess ‘essere’ [ I 329, 347, III 163] e vundes ‘undici’ in milanese [ I 337, 347]; vunc ‘unto’ e ‘ungere’ nel dialetto di Cavergno [ I 428]), ma non è l’unico che influisce sulla presenza di parole inizianti con <v>. 14 Infatti accanto alla prostesi abbiamo anche molte forme dialettali con vin conseguenza di aferesi vocalica (vanzà ‘avanzare’ [ I 336] 13 Come già ricordato, gli indici in Pescia e Vecchio (2008: 264-799) sono caratterizzati dalla registrazione promiscua di forme in trascrizione fonetica (o meglio nelle diverse trascrizioni fonetiche utilizzate) e forme in ortografia tradizionale, e ciò indipendentemente dalla varietà linguistica. Di conseguenza la non corrispondenza tra grafema e fono è ovviamente molto maggiore rispetto a quella che si riscontra nel DISC (2006) o in qualsiasi altro dizionario della lingua italiana: ciò implica che sotto lo stesso grafema siano stati raccolti più foni distinti. Si veda inoltre la nota 11. 14 Per le forme citate in questo paragrafo, tratte tutte da Pescia e Vecchio (2008: 264-799), si danno soltanto le indicazioni relative alla nuova collocazione in Salvioni (2008) senza fare riferimento alla sede originaria in cui queste parole ricorrono. 6. L’opera omnia di Salvioni, fonte per gli studi romanistici 87 e vuu ‘avuto’ [ I 336, 368] in milanese, virt (‘aperti’) nel dialetto di Intragna [ I 67], v ę ‘avere’ [ IV 172] in lombardo e ve ̱ ‘avere’ a Cavergno [ I 429]). 15 Oltre a v-, pure i vocaboli con z-, ge lricorrono più frequentemente in Pescia e Vecchio (2008: 264-799). Nel caso di <g> in posizione iniziale avrà influito il passaggio dalla fricativa labiodentale sonora seguita da una vocale velare all’occlusiva velare sonora, fenomeno comune a molti dialetti italo-romanzi (cfr. Rohlfs 1966: §167): golp (‘volpe’) in lombardo [ II 479n1], go ̬ lp (‘volpi’) a Soazza [ I 138, 142], gop (‘volpe’) in piazzese [ II 479n1, 506n3], goráa (‘volare’) ad Arbedo [ I 205, 232]; talvolta con ulteriore sviluppo in palatale, come in omit (‘vomitare’) in Val Pontirone [ I 113]. 16 Per <l> iniziale va invece tenuto presente che abbiamo molti casi non solo di aferesi - come ad esempio lòri (‘alloro’) ad Arbedo [ I 209, II 491], li ġrii̯a (‘allegria’) a Cavergno [ I 429] - ma anche di concrezione dell’articolo determinativo: landa (‘zia’) e lata (‘padre’) a Cevio [ I 50], lorocc (‘allocco’), lecco (‘eco’), lus’c (‘uscio’) in milanese [ I 347], solo per citare alcuni esempi. 17 La maggiore presenza, in percentuale, di voci con <z> iniziale è spiegabile innanzitutto con il fatto che nella redazione degli indici salvioniani sotto questo grafema non sono confluite soltanto le affricate dentali sorde e sonore, ma anche ad esempio parole inizianti con la fricativa [ ]. Questo dato risulta meno singolare se si tiene presente l’evoluzione fonetica delle varietà italo-romanze, nelle quali si trovano parole la cui <z> iniziale deriva da: 18 a) Clatina iniziale davanti a vocale palatale (v. anche Rohlfs 1966: §152), come ad esempio zent (‘cinto’) [ I 331, 334], zénta (‘cintura’) [ III 362n1], zij (‘ciglia’) [ I 341] e zittaa (‘città’) [ I 344] in milanese; zinzária (<* CERESARIA ) in friulano [ I v 326]; b) Glatina iniziale davanti a vocale palatale (v. anche Rohlfs 1966: §156), come ad esempio zenever (‘ginepro’) in milanese [ I 334] e zinozie (‘ginocchia’) in pavese antico [ III 427, 433]; c) j, dj, gj (v. anche Rohlfs 1966: §§158, 277, 279 ), come ad esempio za (‘già’) nel dialetto di Murazzano [ II 454n2] e nel trevigiano antico [ III 661, 719], zudigare (‘giudicare’) in lombardo antico [ III 268, 355, 360, 363], zuarse (‘prendersi gioco’) in pavese antico [ III 456]; 15 Nei suoi scritti Carlo Salvioni utilizza spesso ‘vacca’, ‘valle’, ‘vecchio’, ‘vino’ (con varianti fonetiche e derivati). La presenza di questi lessemi, finalizzata all’illustrazione di specifici fenomeni, non è tuttavia tale da spiegare da sola il dato quantitativo relativo a parole inizianti con v-. 16 Anche in questo caso segnaliamo la frequente presenza nelle pagine salvioniane di ‘gallo’, ‘gallina’, ‘gatto’, ‘grano’, ‘grosso’, ‘giovane’, ‘guadagno’, tutte parole presenti con numerose varianti fonetiche e derivati. Si veda inoltre la nota 15. 17 Indichiamo anche qui la ricorrente presenza di vocaboli come ‘latte’, ‘lucciola’, ‘luce’, e di un verbo come ‘leggere’ (sempre con varianti fonetiche e derivati) e rimandiamo alle nn. 15 e 16. 18 Ringrazio Vittorio Formentin per avermi indirizzato verso queste considerazioni. Lorenza Pescia 88 Riguardo ad msi può osservare che, nonostante le percentuali non divergano di molti punti, nell’indice di Salvioni (2008) questa è la quinta iniziale più numerosa, mentre nel DISC (2006) è la settima. Vanno qui tenute in considerazione le molte parole centro-meridionali e meridionali estreme inizianti con la nasale semplice ma anche con i nessi consonantici mb-, mp-, mme mn-, insorti in seguito ad aferesi, eventualmente combinata con altri mutamenti (v. ad esempio Salvioni 1911: 780 [ IV 467] per il passaggio da nf a mp in abruzzese). Infine la relativamente bassa percentuale di parole con rnell’indice salvioniano può essere motivata con la tendenza dialettale alla prostesi (v. anche Rohlfs 1966: §164), come si riscontra ad esempio arragamare (‘ricamare’) [ II 533] e arriunare (‘rovinare’) [ IV 493] in napoletano, arramini (‘rame’) in campidanese [ IV 784], arrispúnniri (‘rispondere’) in siciliano [ IV 652]. A prescindere dunque dalla non univocità delle corrispondenze tra grafema e fonema, giocoforza maggiore nell’indice dell’edizione di Salvioni (2008) rispetto a quella che si trova in un dizionario della lingua italiana, si può osservare che i dati puramente statistici possono essere riconducibili a motivazioni di carattere linguistico. La tabella (5) ci permette di formulare un’ulteriore riflessione su questi indici salvioniani. Attraverso i dati relativi alla classificazione delle forme in base all’iniziale è possibile evidenziare la somiglianza tra la composizione di un vocabolario come il DISC (2006) e la struttura del lavoro di Carlo Salvioni. Questi indici hanno un’estensione tale che di fatto rappresentano un corpus di forme romanze in cui sono assenti le distorsioni che possono caratterizzare i corpora ristretti. Un altro paragone significativo è con i dati desumibili da opere analoghe. Le entrate del REW sono state stimate a circa 62900, con una differenza di circa 17600 entrate, che equivale al 22%, e quelle del REWS sono invece circa 41000. Per quest’ultimo volume, uscito a cura di Faré (1972), va sottolineato che molte delle forme che vi ricorrono non ritornano in Pescia e Vecchio (2008: 264-876), anche se a questo proposito non sono stati svolti dei calcoli precisi. Queste brevi considerazioni quantitative mostrano come il corpus scaturito dall’indice delle forme possa essere veramente rappresentativo, anche a prescindere dalla presenza di possibili errori di trascrizione, a volte già presenti negli originali salvioniani. 19 19 Nel Fondo Clemente Merlo (biblioteca del Dipartimento di linguistica dell’Università di Pisa) si possono trovare numerosi estratti in cui Salvioni stesso corregge dei refusi o aggiunge a margine altre forme linguistiche pertinenti. Ad esempio la copia di Salvioni (1898b), conservata nel Fondo Merlo con la segnatura M I 46, presenta a margine della nota 1 della pagina 35 [ I 598] la correzione di vapore a San Ginesio (Marche) in papore fatta da Salvioni stesso; sempre nella medesima pagina, a lato della nota 3, l’autore rettifica la forma del dialetto di Mendrisio pignóo in vignóo; nello stesso articolo il toponimo Lionza viene attribuito soltanto a Borgnone nelle Centovalli (Canton Ticino, Svizzera) e non anche a Ossasco (in Leventina, Canton Ticino) come invece riportato in Salvioni (1898b: 39 [ I 602]). Pure negli estratti conservati nell’archivio personale di Romano Broggini ci sono interessanti appunti e correzioni autografe. Questo importante materiale non è stato preso in considerazione per l’edizione salvioniana in quanto la scelta della riproduzione anastatica ha di fatto impedito ai curatori di intervenire all’in- 6. L’opera omnia di Salvioni, fonte per gli studi romanistici 89 6.3. L’OPERA DI SALVIONI E LA RICERCA OGGI Dopo queste considerazioni di carattere quantitativo passiamo ad illustrare due esempi, ma ne potrebbero essere segnalati altri, attraverso i quali si vuole mostrare come gli spunti forniti dalla ricerca di Carlo Salvioni non si siano ancora esauriti. 6.3.1. Alcuni continuatori di ‘aprire’ In Salvioni (1897: 415 [ IV 850]) troviamo questa interessante descrizione della forma comasca vèrf, che riporto integralmente: com. vèrf aprire. Partic. vervü. Uno dei tanti riflessi di ‘aprire’ che tutti insieme meriterebbero uno studio speciale. Nella forma nostra, si tratta solo di questo: che vi convengano vér e dèrf, i quali significano ambedue ‘aprire’, e s’adoprano in più parti di Lombardia l’uno accanto all’altro indifferentemente (Salvioni 1897: 415 [ IV 850]). 20 Lo «studio speciale» auspicato da Salvioni è stato compiuto dal LEI con le voci APERIRE (1987) che contiene anche gli esiti di *operire -, APERTUM (1987), APERTUS (1991) e *brisiare (2002). In futuro a queste voci si affiancherà *deoperire. Tuttavia, vorremmo ritornare su questo punto perché a ben vedere le voci del LEI potrebbero venire ulteriormente arricchite grazie ai materiali che possono essere recuperati negli scritti di Salvioni attraverso l’indice delle forme. 21 Paragonando le forme contenute nelle voci del LEI con quelle che troviamo in Pescia e Vecchio (2008: 263-876), possiamo vedere che mancano gli infiniti dei dialetti gallo-italici di Sicilia: arb'r (‘aprire’) in sanfratellano (Salvioni 1907b: 188, 190, 284, 285 [ II 480, 482, 506, 507]), o ̬ rb nel dialetto di Piazza Armerina (Salvioni 1907b: 190 [ II 482]), ruob in quello di Nicosia (Salvioni 1907b: 190 [ II 482]). 22 Tutte e tre queste forme vengono fatte risalire da Salvioni alla base etimologica *operire: 5. sanfrat. arb’r aprire. - Molto acutamente nota il Morosi, 410, che l’a di arb ‘apro’ non rispecchia quello di ‘apro’, bensì sia un a secondario da quell’o che appunto appare nel piazz. e aidon. o ̬ rb, nel nic. ruob. Avremo dunque qui pure * OPERIRE , terno dello specchio della pagina (a questo proposito si vedano anche Stussi 2009 e Pescia 2009). 20 Nell’AIS ( VIII 1626) abbiamo per Como (punto 242) l’infinito v rt, mentre non è attestata la forma data da Salvioni. Nella novella comasca del Papanti troviamo «l’ha comenzaa a dervì i oec» (lett. ha cominciato ad aprire gli occhi) (Papanti 1875: 185). La forma participiale vervü (ma trascritta Vêrvù) è attestata nel dizionario di Pietro Monti (Monti 1845: 357). 21 Tralasciamo le forme presenti nell’indice di Salvioni che verranno con ogni probabilità prese in considerazione nella voce * DEOPERIRE : gli infiniti daorí (fassano e gardenese), dèrf (lombardo), derví (milanese), dö́rve e düvrí (piemontese), drubi e durbì (monferrino); i participi passati davrít (fassano e gardenese), druvert e duvert (piemontese). 22 La fonte della forma piazzese è molto probabilmente Roccella (1970; ristampa anastatica del volume del 1875), dove troviamo appunto òrb ‘aprire’. Per Aidone la forma salvioniana o ̬ rb non è attestata in Raccuglia (2003), dove troviamo iùrbire, ùrbire e iàrpire; sempre per Aidone (punto 865), l’AIS ( VIII 1626) riporta yúrbər i . Lorenza Pescia 90 quella base cioè cui metton capo il franc. ouvrir, l’uprire di più dialetti centrali (Salvioni 1907b: 190 [ II 482]). Inoltre a nota 3 Salvioni aggiunge che «Quest’a passò poi nelle arizotoniche: sanfr. arbím e avrím. Tuttavia quest’ultima forma può far credere che allato alla tradizione di opr- (o ̬ rb) si continuasse pur quella di avr- (=apr-)» (Salvioni 1907b: 190 [ II 482, nota 3]). Concretamente, le voci del LEI ricordate sopra verrebbero completate dalle seguenti forme tratte dalle pagine salvioniane: (6) ‘aperto’: a. avjert (‘aperto’) in onsernonese (Salvioni 1907a: 729 [ I 162]), con il dittongo di E tonico aperto in sillaba chiusa; b. il plurale metafonetico virt (‘aperti’) nel dialetto di Intragna (Salvioni 1886: 242 [ I 67]); c. la forma leventinese v rz (‘aperto’) (Salvioni 1916: 800 [ II 656n]), fatta risalire da Salvioni a *aperso, in cui si nota l’alternanza di -to con -so; d. vri ć (‘aperto’) nel dialetto di Cavergno (Salvioni 1937: 7 [ I 471]): un participio di tipo analogico formatosi su dić (‘detto’); e. il participio passato comasco vervü (Salvioni 1897: 415 [ IV 850]). (7) forme derivate: 23 árva (‘imposta’) in ligure e in piemontese, álba (‘imposta di finestra o d’uscio’) in còrso (dalla forma ligure e piemontese attraverso *arba), e le forme plurali ápre e ávre (‘imposte’) in sarzanese (Salvioni 1916: 721 [ II 577]). Legati etimologicamente ad ‘aprire’ troviamo anche i verbi corsi per ‘sbadigliare’: agrire (Salvioni 1916: 720 [ II 576]) e agreghjá (ivi), 24 che il glottologo bellinzonese riconduce alla base *abrire, così motivando da un punto di vista semantico e fonetico: Lo sbadigliare è caratterizzato dalla bocca aperta, spalancata, e per questo abbiam nell’Istria verźon, verźaro, sbadiglio, RDR IV 180, e śbl-kár ‘spalancare’ sbadigliare, in Val Vestino. Le voci côrse rappresentano esse pure agrire -greggiare per *abrire *abr- ‘aprire’. […] Altri esempi per il passaggio di -bra gr (2) non ho; ma ne ho per br-: grumézu = it. brumeggio gen. brümeźźu; grugnóne (da ‘bruña’ prugna, REW 6799) (3) sp. di susina nericcia e grossa (Salvioni 1916: 720 [ II 576]). 23 Tutte le forme in (7) sono presenti in dizionari più recenti. Si vedano per il sarzanese: Masetti (1973); per il piemontese: Brero (1976); per il corso: Dizziunariu corsu-francese, elaburatu da i Culioli; per il ligure: Olivari (2006) e Agostino (2006). Nel Glossario vernacolo della pozzolasca (Silvano 2000: 26) avřa è attestato anche con il significato di ‘labbro’; infine segnaliamo le forme arvetta (‘imposta’) in Ferraro (2003: 34) e arvia (‘battente della porta’) in Alessandri (2007: 139). 24 Nell’ALEIC varianti fonetiche delle forme segnalate da Salvioni si concentrano nella parte nord dell’isola (Bastia, Rogliano, Luri, Nonya, Brando, San Fiorenzo, La Volpaiola). 6. L’opera omnia di Salvioni, fonte per gli studi romanistici 91 Anche queste forme mancano nelle voci del LEI ma possono ora essere recuperate grazie agli indici degli Scritti linguistici. 6.3.2. La palatalizzazione di [k] in Val Pontirone (Canton Ticino) Se da una parte le informazioni racchiuse nelle pagine salvioniane possono fornire alle ricerche lessicografiche in corso ulteriori attestazioni di forme più o meno recenti, come mostrato al §6.3.1., dall’altra parte è anche possibile, attraverso questi dati, ricostruire l’evoluzione di fenomeni specifici come ad esempio quello illustrato nel saggio La risoluzione palatina di k e ĝ nelle Alpi Lombarde (Salvioni 1898a: 1-33 [ I 93-126]). 25 La palatalizzazione dell’occlusiva velare sorda davanti alle vocali latine A , O , U in posizione tonica e atona è un fenomeno ben conosciuto e documentato, comune a molti dialetti lombardo-alpini. Ai tempi di Salvioni il fenomeno era in molti dialetti «ormai evanescente» (Salvioni 1898a: 30 [ I 122]), attestato da soltanto «un esemplare o poco più» (ivi). Tuttavia, Con maggiore intensità esso opera nelle valli ossolane e canobbina, nell’alta Leventina, nella valletta di Pontirone, e a Tresivio di Valtellina. Ma in nessun luogo ha esso un dominio assoluto, poiché […] laddove, come a Pontirone e a Tresivio, l’alterazione si spinge fino a ko ĝo, son però rispettati kre ĝr-, e dove questi, come nell’Ossola, s’alterano, rimangono incolumi quelli (Salvioni 1898a: 30 [ I 122]). Gli ultimi dati in nostro possesso riguardanti specificatamente il dialetto della Val Pontirone risalgono al 1970: 26 si tratta di alcune registrazioni effettuate da Peter Camastral e conservate all’Archivio fonografico dell’Università di Zurigo. Nella lingua dell’intervistata è ancora ben salda la palatalizzazione dell’occlusiva velare sorda davanti alle vocali latine A , O , U in posizione tonica (8) e atona (9): 27 (8) a. ˈca (‘casa’, 0: 31) b. ˈç anta (‘canta’, 4: 05) c. ˈcawri (‘capre’, 0: 55) d. i ŋˈceːj (‘oggi’, 5: 19) e. lyziŋˈcyː (‘lucciola’, 6: 58) 25 Questo articolo è esemplare del modo in cui Salvioni affrontava i temi linguistici legati alla regione ticinese, non limitandosi alle varietà dialettali presenti dentro i confini della Confederazione elvetica, ma tenendo sempre presente la continuità geograficolinguistica che va dal bacino della Toce al bacino dell’Adda, passando appunto per le valli del Canton Ticino e quelle del Grigioni italiano. Da qui la ragione dell’accostamento nel titolo del volume primo di Salvioni (2008) tra Svizzera italiana e Alta Italia. 26 Le forme che mostrano il fenomeno riportate nel dizionario di Lurati e Magginetti (1975) non sono state prese in considerazione per questo lavoro in quanto non è possibile risalire a quali tra queste siano da attribuire a Biasca e quali alla Val Pontirone. 27 In tale varietà viene palatalizzata anche l’occlusiva velare sonora, ma qui non ci occuperemo di questi dati. Va inoltre ricordato che la Val Pontirone si è svuotata e che non c’è praticamente più nessuno che vi abiti tutto l’anno. Per questo motivo questi dati assumono particolare valore anche dal punto di vista storico, antropologico e culturale. Lorenza Pescia 92 (9) a. c impe ˈ n εː la (‘campanella’, 3: 49) b. c a ˈ za ː (‘fare il formaggio’, 6: 48) c. ˈfejç (‘fuoco’, 7: 02) Oltre alle registrazioni del 1970 e ai dati del 1898, anno della pubblicazione dell’articolo di Salvioni, si hanno due ulteriori inchieste sul campo rimaste inedite, rendendo dunque possibile studiare questo fenomeno a ritroso nel tempo. Della metà degli anni Cinquanta sono gli appunti di Romano Broggini sui dialetti della Riviera, dai quali riportiamo in (10) e (11) alcune forme attestate in Val Pontirone: 28,29 (10) a. áñ, i (‘cane, cani’) b. á (‘casa’) c. á u̯ra (‘capra’) d. š ára (‘scala’) e. ẹč (‘cotto’) f. ẹ r (‘cuore’) g. in i (‘oggi’) (11) a. edrí a (‘sedia’) b. emíẓ a (‘camicia’) c. e̜vē ̣ j (‘capelli’) d. aẓā (‘fare il formaggio’) e. f é ̣ (‘fuoco’) La seconda inchiesta inedita è dello stesso Salvioni. Esiste infatti un suo manoscritto (22 fogli, scritti solo sul recto), non datato, con le trascrizioni di un’indagine condotta in Val Pontirone, più precisamente nella frazione di Sciresa. 30 Romano Broggini (sua comunicazione personale) ritiene che si tratti di uno studio preparatorio alle inchieste per il Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, il che ci porterebbe dunque attorno al 1905, alcuni anni dopo la pubblicazione di Salvioni (1898a). 31 Nel manoscritto leggiamo tra gli altri: 28 Nell’illustrazione di questi esempi ho mantenuto la trascrizione usata da Broggini. 29 Parte di questi materiali è confluito in Broggini (1994). 30 Il materiale di Salvioni mi è stato gentilmente messo a disposizione da Romano Broggini. 31 Il termine post quem deve essere con ogni probabilità il 1892. Ciò è ipotizzabile perché in questa inchiesta inedita troviamo anche un termine per ‘lucciola’ che tuttavia non ricorre nel suo studio Lampyris Italica del 1892 (Salvioni 1892 [ IV 41-65]). Probabilmente è anche successiva all’articolo del 1898 (Salvioni 1898a) in quanto non c’è sovrapposizione di dati. 6. L’opera omnia di Salvioni, fonte per gli studi romanistici 93 (12) a. kjañ, kj ā j (‘cane, cani’, p. 1) b. anta (‘canta’, p. 20) c. áwri (‘capre’, p.1) d. in (‘oggi’, p. 19) e. lüžin ǘ (‘lucciola’, p. 2) (13) e ̱ mpe ̱ né ̱ la (‘campanella’, p. 9) Comparando le diverse inchieste, balza agli occhi la continuità e la stabilità del fenomeno, che non è stato dunque influenzato dalla koinè ticinese. Se da una parte questi dati consentono una descrizione di un fenomeno o di un dialetto specifico sull’arco di molti anni, dall’altra permettono anche di aggiungere qualche tassello di “filologia salvioniana”. Infatti, con l’aiuto del quadro completo offerto ora dalle opere riunite in Salvioni (2008) e dall’apparato critico che le accompagna, possiamo gettare un ponte per ulteriori studi sul ruolo di Salvioni nella storia della ricerca dialettologica e della linguistica romanza. Ciò sarà in futuro possibile anche comparando quanto è stato pubblicato con i suoi scritti ancora inediti, che, per la natura e i limiti del progetto d’edizione, non hanno potuto essere presi in considerazione. Riferimenti bibliografici Agostino, Adriano (2006), Dizionario genovese, Roma: Newton Compton editori. AIS: Karl Jaberg e Jakob Jud, Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, 8 voll., Zofingen: Ringier 1928-40. ALEIC: Gino Bottiglioni, Atlante linguistico etnografico italiano della Corsica, promosso dalla R. Università di Cagliari, Pisa: Stab. Tip. de «L’Italia dialettale» 1935-42. Alessandri, Claudia (2007), Le parole, gli strumenti, la memoria. Indagine etnolinguistica nel Parco naturale delle Capanne di Marcarolo, Alessandria: Edizioni dell’Orso. Barbato, Marcello (2008), Prospetto delle trascrizioni fonetiche, in Salvioni (2008), V 139- 41. Bonalumi, Giovanni (1970), La giovane Àdula: 1912-1920. 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In questa prospettiva cercheremo di evidenziare tre questioni: per prima cosa vorremmo esaminare il possibile contributo che il pensiero anarchico di Michail Bakunin può aver fornito nel creare un orientamento positivo, nel Salvioni, verso lo studio dei dialetti in generale, e dei dialetti italiani in particolare. Secondo, ci soffermeremo sulla figura del militante rivoluzionario e geografo francese Elisée Reclus, personalità che ebbe un forte influsso sul Salvioni negli anni che qui stiamo considerando: più in particolare vorremmo illustrare come il Reclus sia partecipe di un elemento della cultura democratica francese, il cosiddetto «gallicismo», che, come si cercherà di mostrare, ebbe una notevole importanza nella fioritura della dialettologia italiana precedente all’opera di G.I. Ascoli, quella rappresentata in particolare dal Politecnico di Milano; il «gallicismo», con cui probabilmente il Salvioni è entrato in contatto in gioventù, sembra agire su di lui come ingrediente negativo, esplicitamente rifiutato dalla sua attività di studioso. Infine, come terzo elemento di riflessione, cercheremo di evidenziare, sia pur brevemente, il profondo rispetto di cui la linguistica scientifica era circondata negli ambienti del socialismo tedesco con cui il Salvioni entrò in contatto dopo il suo trasferimento a Lipsia. In ogni caso sarà bene sottolineare fin da subito un dato: tra gli studi linguistici aventi una connotazione ideologica più o meno forte, fioriti nell’àmbito delle culture politiche italiane più diverse nel primo Ottocento, e la linguistica scientifica rappresentata per esempio in Italia dall’Archivio glottologico italiano, c’è una frattura metodologica profonda. Il Salvioni mostra, fin dalle sue prime prove scientifiche, di aver oltrepassato quella frattura: la sua scienza insomma si è formata sui banchi dell’Università di Lipsia prima, e nel contatto con l’Ascoli poi: il suo passato di militante internazionalista non sembra aver lasciato tracce esplicite negli scritti della maturità. Le eventuali motivazioni iniziali che possono aver contribuito a un suo orientamento verso questo settore di studi furono insomma profondamente rielaborate nell’àmbito dei paradigmi offerti dalla nuova scienza. Prima di passare a illustrare le tre questioni appena formulate, riepiloghiamo brevemente la sezione della biografia del Salvioni che qui è pertinente, ricostruita in Giancarlo Schirru 98 particolare dagli scritti di Romano Broggini dedicati a questo tema. 1 Il giovane Carlo Salvioni, nei suoi anni di Lugano tra il 1873 e il 1875, entrò in contatto con il geografo Elisée Reclus e con Michail Bakunin; nel 1874 dovette affrontare tra l’altro una crisi negli studi liceali, che non riuscì a concludere con anticipo, come intendeva fare per dedicarsi al più presto alla formazione universitaria. Egli trovò nel Reclus un mentore che riuscì a consigliarlo con affetto ed efficacia non solo in questa occasione, ma anche negli anni a venire. Non è escluso che il Salvioni si sia in quel tempo affiliato a una delle società segrete dirette dal Bakunin, il quale tendeva a operare su due livelli di azione, uno pubblico e associativo, e un altro di carattere settario e clandestino, secondo quella particolare modalità che Franco Venturi ha definito «machiavellismo cospiratorio»: 2 in quegli anni infatti il Salvioni si impegnò direttamente nell’attività militante, assumendo chiare posizioni bakuniane. Nel 1875 egli è all’Università di Basilea, dove inizia i suoi studi di medicina, ma dove, come mostra il Broggini (1971: 19-21; 2008: 20-21), è avvenuto anche il suo primo contatto con la linguistica romanza, attraverso Jules Cornu, quell’anno incaricato di un insegnamento presso l’ateneo. Nel 1876 il Bakunin morì improvvisamente a Berna, e il Salvioni pronunciò, alle esequie, un discorso funebre a nome della gioventù internazionalista. Secondo l’opinione dello storico Pier Carlo Masini si svolse, in margine alla cerimonia, un incontro di carattere politico tra i rappresentanti delle tante organizzazioni convenute da tutta Europa per omaggiare il rivoluzionario russo. Tra queste era presente anche una delegazione della socialdemocrazia tedesca, guidata direttamente da Wilhelm Liebknecht. È quindi probabile che si sia discusso allora di come riavvicinare le organizzazioni dell’Europa meridionale, e quella italiana in particolare, con il partito tedesco, visti i duri attriti che avevano caratterizzato gli anni immediatamente precedenti. 3 In questa chiave va letta l’attività politica svolta dal Salvioni nel 1877 da Lipsia: le sue corrispondenze inviate alla rivista rivoluzionaria italiana Il martello si caratterizzano proprio per il carattere nettamente antisettario, e sono volte a mettere in luce i grandi meriti organizzativi del partito tedesco; non è un caso se in margine a questi articoli si svolge un dibattito tra lo stesso Salvioni e la redazione del Martello, testimoniato da note redazionali ai pezzi che lo studente invia, a da risposte contenute nel corpo degli articoli: i redattori italiani infatti accolgono inizialmente con una certa diffidenza, e non senza manifestare i loro dissensi, i pezzi informativi sui successi della socialdemocrazia alle elezioni del 1877; 4 inoltre, sempre dal Broggini, siamo informati dei rapporti che il Salvioni ebbe a Lipsia sia con il parlamentare socialista Julius Motteler, sia con lo stesso Liebknecht, che fu con August Bebel, lo ricordiamo, uno dei fondatori del partito. Probabilmente però la mancata partecipazione del Salvioni alla «banda del Matese», cioè al fallito tentativo di insurrezione guidato da Carlo Cafiero ed Errico Malatesta dell’aprile 1877 nel beneventano, mancata partecipazione che si spiega anche, come 1 V. in particolare Broggini (1971: 11-26); Broggini (2008: 19-23). La militanza giovanile del Salvioni è brevemente ricordata anche in Timpanaro (2005: 253 n. 29). 2 V. Venturi (1972: XXII, 100); cfr. anche Zangheri (1992: 184-8). 3 Masini (1972-74: 316-7); Broggini (2008: 23). 4 Gran parte delle corrispondenze del Salvioni sul Martello si può leggere in Masini (1972-74: 325-31). 7. Dialetto, Stato e anarchia: Salvioni e Bakunin 99 osserva il Broggini, per i consigli che Reclus diede in questo senso, segnò un tornante decisivo nella militanza politica del giovane studente. Inoltre, sempre tra il 1877 e il 1878, la sicurezza di voler continuare negli studi medici venne meno in Salvioni, e su questo tema egli si consultò ancora più volte con il Reclus. Nel novembre del 1878 egli è ormai iscritto alla Facoltà di Lettere, e proseguirà gli studi di linguistica con alcuni dei maggiori studiosi del tempo, tra cui citiamo almeno Karl Brugmann, August Leskien e Georg Curtius. 7.2. BAKUNIN E I DIALETTI ITALIANI Veniamo al primo punto fra i tre citati in apertura, ovvero l’interesse ideologico per i dialetti mostrato dal rivoluzionario russo Michail Bakunin; una questione su cui si è già soffermato con particolare attenzione il Broggini (1971: 21-22): il Bakunin, dopo la rocambolesca fuga dai lunghi anni di Siberia, aveva scelto fin dal 1864 l’Italia come suo teatro principale di lavoro politico, convinto che dalla nostra Penisola potesse prendere l’avvio una rivolta contadina per bande che sarebbe presto dilagata in tutta l’Europa continentale, sul modello della rivoluzione del Quarantotto, ma soprattutto che avrebbe suscitato la sollevazione dell’enorme massa contadina dell’Impero Russo. Tale programma politico, se esposto in modo così succinto, può dare l’impressione di una certa dose di ingenuità e di velleitarismo: ma Bakunin non era né uno sprovveduto, né un ingenuo. Egli rivela capacità non comuni sia sotto il profilo politico-strategico (si era infatti formato all’accademia militare di artiglieria), sia sul versante teorico: aveva affrontato negli anni giovanili lo studio della filosofia classica tedesca con sistematicità, ed era stato partecipe a Berlino e a Parigi delle attività dei circoli dei giovani hegeliani prima, e dei primi socialisti tedeschi poi. A ciò si deve aggiungere una grande capacità di lavoro e di sacrificio, con una spiccata attitudine al comando, frutto dell’educazione militare (non disgiunta da una particolare abilità nell’intrigo, come denunciarono più volte i suoi avversari politici). Il Bakunin non mostra nei suoi scritti, almeno per quanto abbiamo potuto osservare, un’attenzione specifica ai fatti linguistici e alla loro rilevanza politica. Questi sono però oggetto di alcune osservazioni di indubbio interesse. Così per esempio in uno scritto del 1866 dal titolo La situazione italiana, attribuibile al napoletano Alberto Tucci, ma supervisionato direttamente dal Bakunin, si sostiene, contro i legittimisti, che l’unità italiana è giustificata innanzi tutto per l’unità linguistica della Penisola: 5 viene quindi dato per scontato un fatto che al contrario rappresenterà a lungo un punto problematico sia negli studi linguistici sia nel pensiero politico italiano. Ma già l’anno successivo, nel testo presentato al congresso di fondazione della Lega per la pace e la libertà, a Ginevra, il Bakunin illustra la sua dottrina 5 Lo scritto è riedito in Masini (1961: 17-34); in particolare vi si può leggere: «Essi [i legittimisti] ben sanno che l’unità d’una nazione che parla la stessa lingua […] non è un principio falso, e molto meno, un’utopia; è invece un fatto che deve necessariamente svolgersi e compiersi a misura che si svolgono e compiono la libertà, il progresso e le istituzioni locali» (p. 20). Sul testo La situazione italiana, e la sua composizione, v. Zangheri (1993: 162-3). Giancarlo Schirru 100 federalista e attacca frontalmente il principio della nazionalità, divenuto uno dei pilastri dell’autocrazia russa, usando come argomento proprio la differenza tra lingue nazionali, ristrette alle classi colte, e dialetti popolari: afferma quindi che il principio della nazionalità è «al fondo eminentemente aristocratico, fino a far disprezzare i dialetti delle popolazioni analfabete, negando implicitamente la libertà delle province e l’autonomia reale dei comuni» (Bakunin 1867: 20). Il rivoluzionario russo operò prevalentemente dalla Svizzera fin dal 1868, dove intendeva tra l’altro dedicarsi alla stesura di un’opera teorica; di questa vide la luce soltanto il primo volume, che fu stampato anonimo nel 1873 in russo, e introdotto clandestinamente nell’Impero zarista con un successo clamoroso. Alcune testimonianze convergono sul fatto che, al momento della morte, Bakunin stava lavorando al manoscritto del secondo volume, che fu però disperso. 6 Malgrado l’incompiutezza, il testo noto in italiano col titolo Stato e anarchia rappresenta senza dubbio l’opera più organica e sistematica che Bakunin ha lasciato. Il volume, più che un vero trattato teorico, è un’opera di azione politica immediata rivolta al pubblico russo. Il suo intento è di servire da stimolo per una sollevazione rivoluzionaria delle masse contadine slave, organizzata sul modello delle grandi rivolte contadine della storia russa. Questo programma politico non è illustrato in modo dottrinario e astratto, ma attraverso un’analisi serrata della situazione politica europea successiva alla guerra franco-prussiana del 1870. Secondo il Bakunin, il teatro continentale è destinato allo scontro tra gli unici due poteri imperiali che sopravviveranno dall’ineluttabile disfacimento dell’Austria-Ungheria: quello tedesco e quello russo. Le sue pagine più apocalittiche profetizzano l’inevitabilità di una guerra che vedrà, in un futuro imprecisato, contrapporsi tra loro Germania e Russia: uno scontro, destinato a coinvolgere ampiamente la popolazione civile, che sarà combattuto da ciascuno dei due popoli come una lotta per la propria sopravvivenza. Sul piano della teoria politica, invece, Bakunin contrappone lo spirito autonomistico dell’Europa latina al principio della statualità impersonato dal nuovo Reich tedesco. Ci sono qui le sezioni meno schematiche dell’opera, in cui il rivoluzionario russo rivela la sua capacità di empatia con il mondo contadino italiano. Descrive la miseria in cui vive la popolazione rurale della Penisola, che solo nelle aree mezzadrili dell’Italia centrale riesce a sfamarsi a sufficienza, mentre soprattutto nel Mezzogiorno è afflitta dalla denutrizione, malgrado la ricchezza dell’agricoltura italiana. Sottolinea al contempo l’intelligenza e la vivezza del contadino italiano, che gli appare lontanissimo dallo stereotipo del mužik russo, proverbialmente zotico e servile, ma evidentemente, ai suoi occhi, meno miserabile rispetto a quello italiano. Anche in altri scritti precedenti, più ampiamente dedicati all’Italia, il Bakunin aveva lasciato qualche pennellata efficace sulla realtà sociale della nostra Penisola: per esempio in un testo del 1871 inquadrava i limiti dell’azione mazziniana nell’eccessiva speranza nutrita verso le classi medie urbane: se queste erano state il vero motore del Risorgimento, difficilmente potevano andare oltre l’obiettivo dell’Unità, e divenire il cemento di una grande forza democratica, in quanto, tra l’altro, erano eccezionalmente poco istruite se paragona- 6 V. Bakunin (1873, trad. it. 2007: 231 n. 126). 7. Dialetto, Stato e anarchia: Salvioni e Bakunin 101 te alle classi medie francesi e tedesche. Nella stessa sede si indicava al contrario nel piccolo clero del Mezzogiorno italiano una forza di mobilitazione egualitaria, per il legame vitale che in queste regioni corre tra la popolazione rurale e i preti di campagna, confermato tra l’altro dal ruolo che questi avevano svolto per il successo dell’impresa di Garibaldi: un’osservazione non banale, soprattutto considerando che proveniva dalla penna di un ateo militante. 7 È quindi nel contesto dell’analisi del caso italiano che Bakunin, in Stato e anarchia, formula la seguente osservazione: Come la Spagna, l’Italia ha perduto da molto tempo, e soprattutto irrevocabilmente, le antiche tradizioni centralizzatrici e unitarie di Roma, tradizioni conservate nelle opere di Dante, di Machiavelli e nella letteratura politica contemporanea non certo nella vivente memoria popolare; l’Italia, dico, ha conservato una sola viva tradizione, quella dell’assoluta autonomia non solo delle province, ma anche dei comuni. Si aggiunga inoltre a questa primordiale concezione politica realmente connaturata al popolo, l’eterogeneità storica e etnografica delle varie province nelle quali si parlano dialetti tanto diversi che spesso gli abitanti di una provincia capiscono con difficoltà e spesso non capiscono affatto i dialetti delle altre. Si capirà allora quanto lontana sia l’Italia dalla realizzazione del nuovo ideale politico, quello dell’unità statale. Ciò non vuol dire affatto che l’Italia sia socialmente divisa. Al contrario e malgrado tutte le differenze dei vari dialetti, degli usi e dei costumi, esiste un carattere e un tipo italiano comune che permette di differenziare subito l’italiano dagli individui di qualsiasi altra razza, sia pure meridionale (Bakunin 1873; trad. it. 2007: 42-43). Si può notare inoltre come, nell’intero volume, i dialetti italiani siano gli unici a essere tirati in ballo, fatta eccezione per un breve accenno al fatto che gli slavi compresi nell’Impero Austro-Ungarico parlano «dialetti diversi» (Bakunin 1873, trad. it. 2007: 91). Le idee di Bakunin quindi, come ha già evidenziato il Broggini, possono aver creato un retroterra ideologico favorevole a un interesse per i dialetti, e per i dialetti italiani in particolare. Pertanto non è forse casuale che anche un compagno di liceo del Salvioni, Mosè Bertoni, si sia dedicato ad alcuni studi sui dialetti italiani del Ticino. Quest’ultimo, un naturalista, si trasferirà poi in Paraguay, anche dietro consiglio del già citato Elisée Reclus, dove fonderà una colonia egualitaria nei pressi di Asunción; si tenga però conto che Mosè Bertoni non sembra aver maturato una chiara posizione militante negli anni in cui in Svizzera era attivo il Bakunin. 8 Proprio un suo scritto, che è ricordato dal Salvioni negli articoli dedicati al toponimo Case dei pagani, 9 ci consente di misurare tutte le distanze tra la dialettologia scientifica e i risultati di una dialettologia dilettantesca motivata dalla ricerca, nelle vestigia popolari, dei resti di concezioni arcaiche del mondo. Un altro testo di Mosè Bertoni, dedicato ai dialetti della Valle di Blenio, nel Ticino, non vedrà mai la luce, malgrado dovesse essere quasi pronto già nel 1882, prima della sua partenza per il Sudamerica; dalle poche testimonianze rimaste sappiamo però 7 V. Bakunin (1871). 8 Sulla figura di Mosè Bertoni, v. Broggini (1971: 11 e n. 13, 13); Broggini (2008: 18 e n. 8, e la bibliografia ivi indicata); Baratti e Candolfi (1996), Baratti e Candolfi (2009). 9 Salvioni (1893); Salvioni (1898a); Salvioni (1898b). Giancarlo Schirru 102 che si trattava di uno scritto in cui si indagavano le origini retiche delle popolazioni alpine. 10 Il che ci introduce direttamente a quella caccia delle origini preromane della popolazione rurale europea, che ritroviamo anche nella celtomania di ispirazione democratica su cui torneremo tra breve. 7.3. RECLUS E IL GALLICISMO DEMOCRATICO Il secondo tema che intendiamo affrontare riguarda più in particolare il rapporto tra il Salvioni ed Elisée Reclus. Quest’ultimo non fu solo un geografo che si conquistò una notevole fama scientifica, ma anche un attivissimo militante rivoluzionario: tra i fondatori assieme al Bakunin della Fratellanza internazionale, una società segreta con finalità cospirative, aveva partecipato alla Comune di Parigi, ed era quindi riparato in Svizzera. Qui si impegnò a fondo nella stesura di un’opera di grandi dimensioni, che comincerà a essere pubblicata nel 1876 con il titolo di Nuova geografia universale, e che arriverà a comprendere diciannove ponderosi volumi. Il primo di questi è dedicato all’Europa meridionale (Balcani, Italia e penisola iberica), il secondo alla Francia. Negli scritti del Reclus lo studio della geografia viene motivato come veicolo per la conoscenza dei popoli che abitano il mondo: 11 egli si mostra distante da qualsiasi determinismo naturalistico, e interessato piuttosto al complesso di migrazioni e successivi stanziamenti da cui scaturisce il popolamento attuale del globo, tema affrontato estesamente in particolare nella sezione dell’opera dedicata all’Europa. Siamo insomma di fronte a quella concezione della storia intesa come lotta tra elementi etnici diversi, tra diverse razze, come si diceva allora, che caratterizza ampiamente la cultura europea del secondo Ottocento. Opportunamente Domenico Santamaria (1981), nel suo studio su Bernardino Biondelli e la dialettologia preascoliana, sottolinea come uno dei tratti salienti che separa la prima dialettologia italiana, quella che ha dato i suoi risultati maggiori nel gruppo lombardo del Politecnico, e le precedenti prove in questo settore, vada individuato in un preciso mutamento della concezione della storia: rispetto alla teoria dei climi, che nella cultura settecentesca era ampiamente usata come fattore ultimo di spiegazione delle differenze tra le nazioni, diviene maggioritario il ricorso ai conflitti etnici per dar conto del movimento storico. Non si tratta, come avverte Domenico Silvestri (1977-1982: I 33-72), di una generica concezione per cui le lingue sono il frutto di una mescolanza tra popoli diversi, un concetto ampiamente circolante nella cultura europea fin dal tardo Medio-Evo, e che motivava l’analisi etimologica nella sua capacità di rintracciare, nel lessico di una lingua, i documenti di questi contatti. Ci riferiamo a qualcosa di più preciso: l’idea per cui le nazioni europee moderne sarebbero il frutto di una lotta del sangue plurisecolare, uno scontro tra le diverse “razze” che in epoca più o meno antica sono 10 V. la ricostruzione offerta in Baratti e Candolfi (1996: 755-65). 11 Così scrive ad esempio nella sezione introduttiva della sua opera : «la connaissance de la planète doit-elle se compléter nécessairement, se justifier pour ainsi dire par celle des peuples qui l’habitent» (Reclus 1876-94: I 4). 7. Dialetto, Stato e anarchia: Salvioni e Bakunin 103 venute a stanziarsi nel medesimo territorio, uno scontro che continuerebbe nella lotta politica moderna. Si possono avere pochi dubbi sul fatto che la cultura lombarda degli anni compresi tra il 1820 e il 1860 abbia derivato immediatamente questa concezione storiografica dalla cultura francese contemporanea. Gli studiosi di marxismo si sono più volte soffermati sull’importanza della cultura francese degli anni di Luigi Filippo nella formazione di una nuova idea della storia; su tale questione la storiografia francese è tornata più volte, anche di recente. Il fatto sembra non aver polarizzato l’attenzione in sede di storiografia linguistica. La fioritura di una nuova corrente storica di ispirazione democratica si ebbe in Francia negli anni successivi al 1820, e diede le sue prove maggiori attorno al 1830, con un enorme successo di pubblico. I nomi più rappresentativi di questa scuola sono quelli di François Guizot e di Augustin Thierry, la coppia che a fine secolo Camille Julien, storico delle antichità galliche, indicherà come i fondatori della nuova storiografia francese. 12 Uno degli antichi miti di fondazione della Francia è quello delle due razze: Celti e Romani, più o meno mescolati tra loro, da un lato; Germani, soprattutto Franchi, dall’altro. Una breve ed efficace ricostruzione di questa mitologia è offerta da Léon Poliakov (1971, trad. it. 1999: 23-43) nel suo libro sull’origine del razzismo europeo: già nel Rinascimento inizia a circolare l’idea per cui i due elementi etnici non si sarebbero mai fusi tra loro nella storia francese, ma avrebbero dato vita a due gruppi sociali distinti; nel Sei e Settecento questo mito viene usato dalla storiografia di parte nobiliare per giustificare la propria posizione sociale come «diritto di conquista» dei Germani sui Celti. Durante la Rivoluzione Francese il mito poté essere quindi rovesciato: così il Sieyès, dovendo ricostruire una genealogia del Terzo Stato, ne indica l’origine nei Galli e nei Romani sottomessi dai Germani: Perché non rimandare nelle foreste della Franconia tutte queste famiglie che conservano la folle pretesa di discendere dalla razza dei conquistatori e di essere succeduti nei loro diritti? La nazione, una volta epurata, si ridurrà ai discendenti dei Galli e dei Romani. In effetti, se si vuole distinguere tra nascita e nascita, perché non rivelare ai nostri poveri concittadini che il discendere dai Galli e dai Romani vale almeno quanto il discendere dai Sicambri, dai Velchi o da altri selvaggi usciti dai boschi e dalle paludi dell’antica Germania? È vero, si dirà, ma la conquista ha sconvolto tutti i rapporti, e la nobiltà di nascita è passata dalla parte dei conquistatori. Bene! Occorre farla ritornare dall’altra parte, il terzo [scil. Stato] ridiverrà nobile divenendo a sua volta conquistatore. 13 Ma è dopo il 1820 che la vecchia teoria delle due razze entra di prepotenza nella storiografia democratica. Il Guizot la inserisce nella sua concezione della storia come civilisation, intesa come teatro di uno scontro tra elementi di origine diversa: la regalità germanica da un lato e le tradizioni gallo-romane dall’altro. Il Thierry era più giovane di lui e su posizioni più radicali, avendo una formazione saint- 12 Sull’intera questione rimandiamo almeno a Nicolet (2003: 107-37) e l’ampia bibliografia ivi indicata. 13 Sieyès (1789, trad. it. 1989: 28-29); sulla questione v. anche Poliakov (1971, trad. it. 1991: 35). Giancarlo Schirru 104 simoniana. Egli portò alle estreme conseguenze la teoria delle due razze, non senza reminiscenze di motivi provenienti dall’illuminismo scozzese (e dalla narrativa di Walter Scott). Tutta la storia è per lui il frutto della lotta e dello scontro: la storia è storia della lotta del sangue. Fin dal 1820 egli sostenne che tutta la storia francese non sarebbe altro che una lunga guerra, con episodi più o meno cruenti, tra Galli e Germani, il cui scontro più recente, con reciproci caduti dall’una e dall’altra parte, sarebbe rappresentato dalla grande Rivoluzione. Karl Marx indicò chiaramente nel suo epistolario la storiografia democratica francese dell’età della Restaurazione (e in particolare la figura del Thierry) come fonte da cui egli ha tratto ispirazione nel formulare le proprie idee sulla lotta di classe quale motore della storia, espresse nel primo capitolo del Manifesto dei comunisti. 14 L’episodio, ricordato da Friedrich Engels nel suo Feuerbach (1888, trad it 1947: 49), diede luogo a una lunga tradizione: sarà richiamato tra gli altri da Antonio Gramsci in un gruppo di note dei Quaderni del carcere, il quale ricorda la grande popolarità che il gallicismo ebbe nella cultura democratica e socialista francese dell’Ottocento: le idee del Thierry sarebbero infatti il motivo ispiratore di tutta la narrativa di Eugène Sue; ma anche in Pierre-Joseph Proudhon, osserva il Gramsci, c’è un chiaro legame con la celtomania democratica, radicalizzata in quello che viene definito «gallicismo operaio». 15 Non è difficile dimostrare quanto sia stato precoce e persistente il gallicismo democratico francese nella cultura lombarda: è noto che il Manzoni, nel suo secondo soggiorno parigino del 1819-1820, ebbe modo di conoscere personalmente Augustin Thierry; le sue impressioni sulle idee dell’allora giovane giornalista e storico si ritrovano in particolare esposte nel primo coro dell’Adelchi e nel Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, del 1822. Si può ricordare ancora l’opera di Gian Domenico Romagnosi (1834) dal titolo Dell’indole e dei fattori dell’incivilimento, frutto dell’unione di due saggi pubblicati originariamente tra il 1829 e il 1830, in cui l’incivilimento, come spiega l’introduzione, non è altro che la traduzione italiana della civilization del Guizot. Ma già tra il 1829 e il 1830 l’Indicatore lombardo, un periodico milanese dal sottotitolo che ne illustra pienamente le finalità («ossia raccolta periodica di scelti articoli tolti dai più accreditati giornali italiani, tedeschi, francesi, inglesi ecc.»), traduce un testo il cui titolo suona in italiano: Caratteri fisiologici delle razze umane considerati nelle loro relazioni colla storia. Si tratta di un saggio pubblicato originariamente sempre nel 1829 a Parigi dal fisiologo ed etnologo naturalizzato francese William-Frédéric Edwards, in forma di una lettera pubblica indirizzata ad Amedée Thierry, fratello dello storico Augustin Thierry, e autore di una fortunatissima Storia dei Galli. L’Edwards era medico di formazione, ma aveva progressivamente indirizzato i suoi studi verso l’antropologia fisica, e fu il fondatore della Société d’Ethnologie di Parigi. Dopo il 1830 si dedicò sempre più alle antichità galliche, e scrisse alcuni studi sulle lingue 14 La lettera inviata da Marx a Engels il 27 luglio 1854 si può leggere, in trad. it., in Marx- Engels (1972: XXXIX 397-402); v. anche la lettera di Marx a Joseph Weydemeyer del 5 marzo 1853, in Marx-Engels (1972: XXXIX 534-38). 15 V. in particolare Quaderno 7 §§ 50-51, Quaderno 8 § 212, Quaderno 14 § 39, 72, Quaderno 16 § 13, Quaderno 17 § 43 (Gramsci 1975: 895-97, 1069-70, 1696, 1740, 1881-2, 1942-3). 7. Dialetto, Stato e anarchia: Salvioni e Bakunin 105 celtiche che furono pubblicati postumi nel 1844. Il suo nome viene in genere legato all’avvio dell’antropologia storica, in cui la storiografia del Thierry è continuata su un piano naturalistico. Il testo citato può essere considerato come rappresentativo della diffusione in Italia del gallicismo di origine francese non solo perché scritto da un epigono, ma soprattutto per la sua traduzione a Milano dieci anni prima dell’avvio del primo Politecnico. Ne riportiamo qui un ampio stralcio dalla versione italiana dell’Indicatore lombardo, che dimostra quanto fosse già pienamente formata, nella Francia del 1829, una certa lettura della dialettologia dell’Italia settentrionale. Il passo fa séguito a un ampio resoconto di viaggio in cui l’autore afferma di aver riscontrato i medesimi tipi fisici (in particolare due) nella Francia orientale, in Svizzera e nell’Italia settentrionale: questi tratti somatici sarebbero chiaramente distinti rispetto ai tipi che si ritrovano nella parte centro-meridionale della penisola italiana. A maggior forza della tesi, per cui l’originario popolamento celtico di un’ampia porzione d’Europa non avrebbe subìto significativi scossoni nella storia successiva, c’è un inciso di materia linguistica in cui vengono evidenziate alcune caratteristiche che accomunano il francese ai dialetti del Nord Italia, e distinguono queste varietà dall’italiano centro-meridionale. Tali caratteristiche sono chiaramente attribuite alle modificazioni che i Galli hanno impresso al latino: I Galli stabiliti dalle due parti delle Alpi, rinunciando alla loro lingua per adottare il latino, hanno dovuto modificarlo più o meno nella stessa maniera, seguendo le stesse disposizioni naturali o acquisite, conformemente al principio da noi stabilito [secondo cui l’elemento etnico numericamente maggioritario predomina su quello minoritario anche se questo è conquistatore]. Noi lo paragoneremo da una parte e dall’altra in relazione all’accento; carattere talmente importante da snaturare una lingua, quando venga cangiato. I Francesi o almeno i Parigini, pretendono di non avere accento, cioè di non alzare il tuono della loro voce su una sillaba piuttosto che sull’altra; ma essi ne possiedono uno; solo è d’uso nelle civili compagnie di non farlo troppo sentire. Quest’accento viene generalmente posto sull’ultima sillaba; e il popolo e i cittadini alzano allora il tuono di voce in modo assai notevole. I veri Italiani invece pongono l’accento sulla penultima; e il tal modo l’ultima vocale rappresenta le desinenze variabili del latino. I Francesi, terminando le loro parole là ove mettono l’accento, le hanno accorciate; e tale è la tendenza della lingua, anche nelle parole, in cui l’accento è seguito da una sillaba finale, giacché questa è piuttosto scritta che pronunciata, ed a giusto titolo viene detta muta. Se i Galli Transalpini hanno impresso questo carattere al loro dialetto latino, avvenne lo stesso de’ loro compatrioti Cisalpini, i quali forse sono andati ancora più innanzi. Il modo con cui essi abbreviano le parole latine, mettendo l’accento sull’ultima sillaba, non lascia il tempo bastante al forastiero di intendere nemmeno i termini che gli sono famigliari. Vi sono inoltre molti suoni nel francese che lo distinguono specialmente dal vero italiano: in questo numero avvi l’u francese. Voi non ignorate la difficoltà che provano gli Italiani meridionali nel pronunciarlo; ciò deriva perché esso non esiste nella loro lingua. Ebbene questa pronuncia della Gallia Transalpina si riproduce nella Gallia Cisalpina, dalle Alpi occidentali sino al Mincio, nei dialetti genovese, piemontese, milanese, bresciano ecc. Giancarlo Schirru 106 Avvi ancora di più; questi dialetti possiedono i suoni francesi eu, oeu, rappresentati dalle stesse lettere, suoni per un italiano ancor più difficili dell’u; ed avviene per un italiano che le parole in cui essi si trovano sono d’altronde modificate nello stesso modo, come feu, neuf, coeur, oeuf, ecc. Adottando il latino, i Galli al di qua ed al di là delle Alpi lo hanno modificato seguendo le disposizioni comuni, o, se si ama meglio, gli stessi principi. Un’altra particolarità della pronuncia francese, almeno riguardo all’idioma italiano, consiste nella varietà e nella frequenza dei suoni così detti vocali nasali; essi abbondano nei dialetti cisalpini; ma gli Italiani abitatori del paese al disotto degli Appennini non ne possiedono alcuno. I fatti da noi riferiti non sono i soli ch’io abbi raccolto, ma siccome essi sono sufficienti per confermare la verità generale, io non ho bisogno di citarne altri onde recare nuova luce su questo argomento (Edwards trad. it. 1829-30: II parte, 79-81). Abbiamo riportato questa lunga citazione per mostrare la vicinanza, circa gli argomenti dialettologici esaminati, rispetto a quanto si può leggere in quella dialettologia italiana che è stata più volte indicata come precorritrice dell’opera dell’Ascoli. Ricapitoliamo i tratti salienti di questo modo di vedere le cose: a) si tratta di un mito di ispirazione democratica sulle origini del popolo, nettamente contrapposto, addirittura sotto il profilo etnico, all’aristocrazia; b) tutta l’attenzione è rivolta all’elemento celtico; non siamo insomma di fronte a una ricognizione dei diversi elementi prelatini che popolarono anticamente la penisola italiana, ma a una ricerca degli elementi di continuità fra l’antichità gallica e la storia contemporanea; c) l’interesse per i fatti linguistici è rivolto esclusivamente ai dialetti italiani settentrionali, intesi come documento in grado di comprovare la sopravvivenza ininterrotta dell’elemento celtico nella popolazione rurale dell’Italia del Nord. Rispetto a questi ingredienti fondamentali, ci sembra che gli scritti di Carlo Cattaneo, di Bernardino Biondelli, di Pietro Monti e di Gabriele Rosa aggiungano in particolare due elementi: innanzi tutto l’apertura a una dimensione indoeuropeistica, visibile soprattutto nel Cattaneo, e intesa, almeno nelle intenzioni, a non restringere il campo di indagine ai soli dialetti rurali dell’area gallo-italica e galloromanza, ma anche ai rapporti tra le grandi unità etnico-linguistiche del continente europeo; inoltre la ricerca delle antichità galliche scivola spesso, soprattutto nel Biondelli e nel Monti, in un generico gusto di ispirazione antiquaria ed erudita per il ritrovamento, nei dialetti, di vestigia provenienti da lingue evocative, almeno nel nome, e semisconosciute. Il gallicismo democratico, di origine francese, ha rappresentato insomma nella cultura lombarda una precisa mitologia sull’origine del popolo italiano, non disgiunta da precise finalità politiche. Esso si inserisce pertanto nel quadro dei numerosi racconti mitologici sulle origini italiane che fiorirono nel primo Risorgimento, soprattutto negli anni precedenti al 1848: l’origine etrusca, a cui era ricorso Vincenzo Cuoco nel suo Platone in Italia, ripresa poi da Cesare Balbo; o il mito dei Pelasgi, su cui si sofferma lungamente Vincenzo Gioberti nel suo Primato civile e morale degli italiani. Si può notare come tutti gli autori che sollevino il problema delle antichità prelatine siano in genere di orientamento federalista, e possano essere ascritti tra i teorici della «rivoluzione passiva», si direbbe con un’espressione che il Gramsci in carcere trarrà dagli scritti del Cuoco. A loro si contrappone 7. Dialetto, Stato e anarchia: Salvioni e Bakunin 107 chiaramente la mitologia mazziniana, ispirata da un programma politico volto all’unità politica della Penisola e all’azione autonoma del popolo italiano: il Mazzini può contrapporre quindi chiaramente alle narrazioni appena ricordate un diverso mito di fondazione, imperniato sull’antica Repubblica romana. A riprova che il gallicismo democratico francese costituì un termine di confronto per la dialettologia precedente all’Ascoli si possono comunque citare riscontri: Bernardino Biondelli, nei suoi Studi sulle lingue furbesche, ricorda i romanzi di Eugène Sue (in particolare L’ebreo errante e I misteri di Parigi), in cui si era usato il gergo della malavita a fini letterari, come una delle fonti da cui sono state raccolte le voci della sezione francese del vocabolario (Biondelli 1846: 7 n. 2, 35). Pietro Monti fa riferimento ai lavori dei fratelli Thierry nelle introduzioni ai suoi due dizionari: il Vocabolario dei dialetti della città e delle diocesi di Como (Monti 1845: VII, XIX, XXVI n. 16), e il Saggio di vocabolario della Gallia cisalpina e celtico (Monti 1856: VIII). Passando ora a esaminare brevemente i risultati di queste ricerche, effettivamente si resta colpiti dall’abbondanza delle etimologie celtiche proposte. Nel Biondelli queste sono decisamente sovradimensionate rispetto a quanto riconosciuto dalla linguistica successiva; nel suo Saggio sui dialetti gallo-italici etimologie di origine celtica sono proposte non solo ogni volta che non si ha a disposizione un etimo latino chiaramente riconoscibile, per voci come gonz ‘sciocco’, ma anche in molti altri casi. Tutti questi presunti celtismi hanno goduto di fortuna diversa: in alcuni casi l’ascendenza gallica è stata accettata dalla tradizione, come per la voce rüsca ‘corteccia’; ma una parte decisamente maggioritaria del presunto lascito lessicale celtico è stato poi ricondotto al latino: solo per fare qualche esempio pojàt ‘catasta’ è oggi generalmente considerato un derivato riconducibile al latino PODIUM , arsella ‘guscio’ un continuatore del latino ARCELLA . Ma la figura che sembra maggiormente incline a una notevole estensione dell’elemento celtico, è quella di Pietro Monti, soprattutto nel suo volume del 1856, il Saggio di vocabolario della Gallia cisalpina e celtico. Il modo con cui in questo testo vengono costruite le etimologie lascia pensare che il Monti considerasse i dialetti lombardi, e più in generale quelli dell’Italia settentrionale, altrettante varietà celtiche, da comparare con il bretone, l’irlandese o lo scozzese; siamo insomma oltre l’atteggiamento di chi riteneva che le varietà dell’Italia del Nord fossero dialetti neolatini influenzati dal celtico locale soppiantato dal latino. A riprova di questa osservazione possiamo citare il fatto che etimi celtici sono proposti dal Monti anche quando siano disponibili basi latine facilmente accessibili; forniamo solo alcuni esempi: entro è accostato al cornico entre, yntre; man ‘mano’, accostato allo scozzese man; pà ‘padre’, comparato con scozzese pà, bretone e gallico páb; màdar ‘madre’, comparato con cornico màthar, irlandese màthair; lana, comparato con il bretone gloan, cornico glawn, scozzese olann; tavolo, accostato al bretone taol; regolà ‘regolare, reggere’, accostato allo scozzese riaghail; resegà ‘segare’, accostato allo scozzese sabh, preceduto da re-; Giancarlo Schirru 108 resón ‘ragione’, accostato al cornico revson. Per quanto si voglia essere benevoli verso queste ricerche, e riconoscerne l’importanza nella storia della disciplina, non si può non rilevare la distanza, in alcuni casi profonda, che le separa dalla dialettologia scientifica. In sede espositiva possiamo anche trovare affermazioni sul modo con cui il latino è stato assimilato dalle popolazioni celtiche dell’Italia settentrionale e delle Alpi che sono effettivamente precorritrici della successiva teoria del sostrato. Se però osserviamo come queste teorie vengono applicate in sede lessicografica ed etimologica, non si può non rilevarne i risultati deludenti soprattutto per la metodologia utilizzata. Di fatto questi autori si limitavano a compulsare alcuni dizionari di lingue celtiche, come il Dizionario gaelico di Robert Archibald Armstrong del 1825, e ad affastellare voci che presentano qualche somiglianza con quelle dei dialetti indagati. Siamo insomma pienamente ancora nell’etimologia prescientifica, in cui le singole proposte, non essendo basate su una teoria delle corrispondenze fonologiche, non sono argomentabili, né in senso positivo né in senso negativo. Il Salvioni ha riservato a questa dialettologia un atteggiamento molto distaccato. Si ha anzi l’impressione che gli studi preascoliani abbiano in lui agito soprattutto come elemento negativo, come esempio di ciò che non si doveva fare. Si può citare per esempio il fatto che, quando egli si è impegnato a ridimensionare i presunti elementi celtici del lessico dei dialetti gallo-italici, ha preso le distanze da studiosi come l’Ascoli o lo Schuchardt: si veda quanto argomentato ad esempio nell’articolo Illusori celtismi nell’alta Italia, del 1906. Ma quando egli torna su voci che erano state già raccolte dal Biondelli o dal Monti, usa i repertori di questi autori, in alcuni casi anche in modo molto intenso, come fonti attendibili di informazione sul lessico o altri fenomeni linguistici dei dialetti lombardi, senza però discuterne le proposte etimologiche: queste sono semplicemente taciute, dal momento che ai suoi occhi sono prive di consistenza scientifica. Gli esempi in questo senso sono molto numerosi; ci soffermiamo su tre etimologie proposte dal Biondelli nel suo Saggio sui dialetti gallo-italici: 16 il bresciano laf ‘frana’ è accostato dal Biondelli al cornico lafes ‘pezzi, brani’; Silvio Pieri (1890-1902: 132) propone per il lucchese rave ‘frana’ una derivazione dal latino labes, che il Salvioni (1902-05: 464 [ II 307]) accetta nel suo saggio sul lucchese portando a sostegno della proposta del Pieri proprio l’esistenza del bresciano laf, e attribuendo il passaggio di l- > riniziale del lucchese all’influsso di ruina; pur discutendo di altre etimologie proposte per la forma francese ravin, non fa menzione dell’origine celtica proposta dal Biondelli; per il milanese carüga, carügola ‘melolontha vitis’ (un coleottero) il Biondelli chiama in causa al bretone crüg. Il Salvioni, nel suo saggio sulla versione lombarda del Grisostomo, non fa cenno a tale proposta etimologica; alla voce garruela, garruola ‘bruco’, nella sezione di annotazioni lessicali (Salvioni 1890- 16 Il riferimento è quindi alle voci lessicografiche di Biondelli (1853). 7. Dialetto, Stato e anarchia: Salvioni e Bakunin 109 98: I parte 405-6 [ III 291-2]), fa menzione delle forme milanesi già censite dal Biondelli, e dichiara senz’altro: «Forse una fusione di ‘caries’ e ‘eruca’»; il mantovano scanferle, sgamberla, sganzerla ‘tràmpoli’ è accostato dal Biondelli al bretone skarinek ‘che ha la gambe lunghe e sottili’, anche se con punto interrogativo lo studioso propone in alternativa un’etimologia dal latino ferula. Salvioni (1927: 228 [ IV 203]) interviene su queste forme in una delle raccolte di etimologie pubblicate postume, e le fa risalire tutte al latino ferula, senza far menzione del fatto che l’etimo era già stato avanzato, sia pur dubitativamente, dal Biondelli. Anche quando il Salvioni, dal 1912 in avanti, pubblicherà molte delle versioni dialettali della parabola del figliol prodigo raccolte dal Biondelli e rimaste inedite, continuerà a servirsi dei dati offerti dal dialettologo lombardo, senza però far riferimento alle sue analisi. Egli sembra insomma addirittura inasprire l’atteggiamento che già l’Ascoli e il Flechia avevano dimostrato verso la dialettologia italiana che ha preceduto l’Archivio glottologico italiano, e che è ben rappresentato dalla dura stroncatura agli Studii linguistici del Biondelli pubblicata dall’Ascoli (1861). Possiamo citare in proposito due esempi: nella prima delle note già ricordate sul toponimo Case dei pagani, il Salvioni formula un giudizio poco lusinghiero su Gabriele Rosa, affermando che questi sarebbe caduto in una «grossolana interpretazione» (Salvioni 1893: 14 n. 5 [ IV 102 n. 5]); l’episodio provocò una censura epistolare dell’Ascoli il quale, in una lettera piuttosto spigolosa, ricordava i meriti patriottici del Rosa con giudizi ripresi poi dallo stesso Salvioni nelle aggiunte e rettifiche all’articolo citato (Salvioni 1893: 224 [ IV 105]). 17 Eppure proprio lo stesso Ascoli, anni addietro, aveva privatamente appuntato sul suo taccuino: «Rosa è un leggiero» (v. Timpanaro 1959: 191; Faré 1964: 45 n. 114). Ancora si può ricordare come, nelle Note di lingua sarda, Salvioni si serva ampiamente dei dati di Giovanni Spano, senza però risparmiargli qualche bacchettata (v. ad es. Salvioni 1909: 666 n. 2, 667 n. 2 [ IV 719 n. 2, 720 n. 2]): anche Giovanni Flechia, in un suo articolo di etimologie sarde, pur omaggiando lo Spano «tanto benemerito negli studj sardeschi d’ogni maniera» (Flechia 1886: 199 n. 1), aveva avuto modo di circoscriverne notevolmente le capacità scientifiche notando che «per quella sua troppa tendenza alle origini semitiche delle voci sarde d’etimo alquanto oscuro, identifica il sardo meda coll’ebraico meod, nimis. Ora noi vedremo come la critica glottologica possa senza il minimo sforzo rivendicar questa voce alla giurisdizione latina» (Flechia 1886: 206). 18 17 La lettera dell’Ascoli al Salvioni (del 18.7.1893) si può leggere in Faré (1964: 42-4). 18 Sulla questione v. Loporcaro (2003: 284-85 n. 7), in cui vengono tra l’altro ricordati i giudizi del Salvioni e del Flechia sullo Spano. Giancarlo Schirru 110 7.4. LA SOCIALDEMOCRAZIA TEDESCA E LA LINGUISTICA STORICA Veniamo rapidamente infine alla terza questione che vorrei trattare: il contatto con il socialismo tedesco, nel 1877 a Lipsia, può aver avuto effettivamente un ruolo nel rafforzare in Salvioni la decisione di passare dagli studi medici a quelli linguistici. C’è in particolare un’opera di Friedrich Engels che è difficile Salvioni non abbia avuto per le mani in quegli anni. Si tratta del cosiddetto Antidühring, ovvero di un lungo scritto nato polemicamente per confutare le tesi di un socialista umanitario tedesco, Eugen Dühring, e pubblicato a puntate nel Vorwärts tra il gennaio 1877 e il luglio 1878, proprio nel periodo in cui il Salvioni era in rapporto diretto con il Partito Socialdemocratico. L’Antidühring fu accolto con entusiasmo dai quadri della socialdemocrazia, in quanto per la prima volta le tesi del marxismo venivano esposte in modo sistematico e didatticamente efficace; diventerà nei fatti il manuale su cui si formeranno generazioni di marxisti; W. Liebknecht lo considerava addirittura un testo superiore al Capitale. Riproponiamo qui una pagina della fortunata opera dell’Engels, che non necessita di troppi commenti: La limitatezza nazionale degli uomini di oggi è ancora troppo cosmopolita per il signor Dühring. Egli vuole abolire le due leve che nel mondo odierno offrono almeno l’opportunità di elevarsi al di sopra del limitato punto di vista nazionale: la conoscenza delle lingue antiche che dischiude almeno agli uomini di cultura umanistica, di tutte le nazioni, un ampio orizzonte comune e la conoscenza delle lingue moderne, unico mezzo con il quale gli uomini delle varie nazioni possono intendersi tra loro e familiarizzarsi con ciò che accade fuori dei propri confini. Invece deve essere inculcato a fondo lo studio della grammatica della lingua nazionale. Ma «materia e forma della propria lingua» sono intelligibili solo allorché se ne seguano il nascere e il graduale sviluppo e questo non è possibile senza tener conto in primo luogo delle lingue vive e morte dello stesso ceppo. Ma così siamo ritornati di nuovo al campo espressamente vietato. Ma se con ciò il sig. Dühring cancella dal suo piano scolastico tutta la moderna grammatica storica, per l’insegnamento linguistico non gli rimane altro che la grammatica tecnica di vecchio stampo, raffazzonata completamente nello stile della vecchia filologia classica, con tutte le sue casistiche e le sue arbitrarietà, fondate sulla mancanza di una base storica. L’odio verso la filologia classica lo spinge ad elevare il prodotto deteriore della vecchia filologia a «fulcro di un’istituzione linguistica veramente educativa». Si vede chiaramente che abbiamo da fare con un linguista che non ha mai sentito parlare di tutta la linguistica storica [ted. historische Sprachforschung] che da sessant’anni a questa parte si è sviluppata con tanta impetuosità e tanto successo, e che perciò non cerca gli «elementi eminentemente moderni» della istruzione linguistica in Bopp, Grimm e Diez, ma in Heyse e Becker, di felice memoria (Engels 1877-78: 346-47; su cui cfr. anche Ramat 1975: 348-49). Questo passo, soprattutto nella sua chiusa, contrappone nettamente la vecchia grammatica normativa e filosofica, alla nuova linguistica storica, e sembra riecheggiare quel passaggio del socialismo dall’utopia alla scienza su cui è costruita tutta la terza parte dell’opera dell’Engels. Il Salvioni poteva trovare insomma, nella cultura del socialismo tedesco, un ambiente che guardava con favore ai progressi della linguistica scientifica. Proprio in quegli anni egli maturò una duplice 7. Dialetto, Stato e anarchia: Salvioni e Bakunin 111 scelta: quella di abbandonare l’attività di militante della rivoluzione, e quella di volgersi con impegno massimo allo studio della linguistica storica nel luogo in cui questa aveva raggiunto i suoi risultati maggiori: Lipsia. 19 7.5. CONCLUSIONI Nelle sue commemorazioni dell’Ascoli, il Salvioni (1907; 1910) tracciò un quadro preciso della linguistica italiana dell’Ottocento: questo è segnato da una netta linea di separazione, costituita dalla formazione dello Stato unitario, e dall’avvio dell’Archivio glottologico italiano, avvenuto dodici anni dopo. Il tratto che maggiormente divide ciò che c’è prima, da ciò che verrà dopo quella frattura, è costituito dall’introduzione, in Italia, della linguistica scientifica, che fino ad allora si era sviluppata soprattutto in Germania, e in parte in Francia. Nel disegnare questo panorama, lo studioso rivendicava implicitamente anche il proprio ruolo di cultore, in Italia, della nuova scienza. Ma guardando alla sua biografia abbiamo l’impressione che proprio negli anni che vanno dal 1874 al 1878 il Salvioni abbia compiuto egli stesso, biograficamente, il passaggio dai presupposti ideologici che caratterizzavano l’interesse per le lingue in Italia ancora intorno al 1860, ai risultati più maturi e scientificamente validi che quell’interesse aveva allora sviluppato in Europa. Egli appartiene insomma a quella generazione di studiosi che lo Stato unitario riuscì a promuovere all’insegnamento universitario, dotando nell’arco di pochi decenni l’Italia di una comunità scientifica di livello europeo. Le sue posizioni politiche diverranno irredentiste e nazionaliste: col tempo per lui il passato di rivoluzionario acquisirà sempre di più il ruolo di una parentesi giovanile, a cui fecero séguito anni di intenso lavoro scientifico. Riferimenti bibliografici Armstrong, Robert Archibald (1825), A Gaelic dictionary in two parts…, Londra: Duncan. 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Estensori dei contributi al volume Paolo D’Achille Università degli Studi Roma Tre Dipartimento di Italianistica Via Ostiense 175, I-00154 Roma Vittorio Formentin Università di Udine Dipartimento di Studi Umanistici Via T. Petracco 8, I-33100 Udine Michele Loporcaro Università di Zurigo Romanisches Seminar Zürichbergstrasse 8, CH-8032 Zurigo Luca Lorenzetti Università di Cassino Dipartimento di scienze umanistiche via Mazzaroppi 6, I-03043 Cassino (FR) Lorenza Pescia Università di Zurigo Romanisches Seminar Zürichbergstrasse 8, CH-8032 Zurigo Giancarlo Schirru Università di Cassino Dipartimento di scienze umanistiche via Mazzaroppi 6, I-03043 Cassino (FR) Indice analitico Accademia Albertina 7 Accademia delle Scienze di Berlino 56, 57 Accademia Scientifico-Letteraria di Milano 1, 7, 82 n Àdula, L’ 8, 81 e n, 82 e n aferesi 86-88 allitterazione 32 alternanza 19, 20, 31, 90 anafonesi 31 anarchico, movimento 9, 47 n, 97-102 Appel des Intellectuels allemands aux Nations civilisées 51 e n, 67 arcaismo 17-19, 32 Archivio Glottologico Italiano 7-8, 16, 43-47, 54 e n, 56, 71, 82, 97, 109, 111 assimilazione 72 Atlante Dialettologico Italiano 38-43, 51-54 Atlante Italo-Svizzero (AIS) 38-43, 89 n, 90 n atlanti linguistici 5, 21, 34, 38-43, 54, 58 n, 59 Atlas linguistique de la France 53, 54 Atlas linguistique de la Suisse romande 38 e n, 43 banda del Matese 98 Basilea, Università di 3 e n, 7 n, 98 Belfagor 74 Biblioteca Ambrosiana 2, 3 n, 5, 37 n, 41 n, 45 n, 47, 51 n, 53 n, 55 n Bonn, Università di 45, 47 n, 49 e n, 50 e n Canton Ticino 9, 10 n, 12, 16, 37, 81 n, 82 n, 89 n, 91 e n, 101 carriera accademica (di CS) 7-8, 37, 76 Celti, celtico 73 n, 74-78, 103-109 celtomania 70, 102, 104 Cinquecento 28-29 Comune di Parigi 9, 102 commemorazioni (di G.I. Ascoli) 7-8, 44, 46 n, 72, 111 commemorazioni (di CS) 1-2, 4, 9 e n, 44, 46 n, 71, 81, 82 n, 83 n concrezione dell’articolo 87 congiunzioni testuali 19 corografica, prova 76 Corriere del Ticino 82 n corrispondenza (di CS) 6, 37-60, 83 n còrso 90 e n Crusca, Accademia della 7 dialetto e lingua 18 dislocazione 19 dissimilazione 72 Dovere, Il 82 n elisione 18 enclisi pronominale 19, 22 esterna/ interna (storia linguistica) 22, 75 estrinseca, prova 76 etimologia 4, 7 n, 10, 20, 33, 44, 45, 57 n, 72-74, 77, 78, 90, 102, 107, 108, 109 etrusco 77 e n, 106 flessione bicasuale 22 Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica 10 n, 16, 81 n fonetica 3, 4 e n, 6, 18, 19, 20, 27, 28, 32, 41, 43, 55, 56, 59, 73, 74, 76, 77 e n, 81, 83 n, 85 e n, 86 n, 87 e n, 90 n, 91 francese 39, 51, 55, 56, 57 n, 76, 105, 106, 108 Francoforte, Università di 45, 51 Fratellanza internazionale 102 gallicismo 97, 104-107 galloitalico di Sicilia 87, 89 e n Germani, germanico 84, 103, 104 Giornale Storico della Letteratura Italiana 8 n, 34, 35 Glossaire des patois de la Suisse romande 34, 35, 42 n, 58 e n, 59 Indice analitico 118 Grammatica italiana (ed. Teubner) 10, 55 n Graz, Università di 3 n, 47 n guerra franco-prussiana (1870) 100 Halle, Università di 47 n Indicatore lombardo 104, 105 indoeuropeistica 3 e n, 6, 7, 72, 106 intercomprensibilità (fra dialetti) 100 internazionalismo 9, 51 e n, 97-98 interventismo 9, 47 intrinseca, prova 76 ipotassi 19 Istituto Lombardo 1, 8, 9, 37 n, 44, 46 n, 82 n istriota 90 Italia dialettale, L’ 4 n, 73, 82 Kritischer Jahresbericht über die Fortschritte der Rom. Philologie 29, 51 ladino 9 n, 41 n, 76 latino 72, 73 e n, 76-78, 84, 105-109 latino medievale/ tardo 21, 28-29 Lega per la pace e la libertà 99 leggi fonetiche 3-4, 74 letteratura dialettale riflessa 21 ligure 90 e n, 105 Lincei, Accademia dei 7, 37 n, 44 e n, 46 n, 70, 71, 75 Lipsia, Università di 3 e n, 4, 6 e n, 9, 37, 44, 47 e n, 74, 97, 98, 110, 111 Loescher editore 43, 47 n lombardo 3, 6, 10, 17, 21, 27, 29, 30, 32, 41, 42 n, 46 n, 77, 86-93, 105, 107-109 Manifesto dei comunisti 104 manzonismo 19 marchigiano 31, 88 n Martello, Il 98 e n metafonia 31, 90 metatesi 72 medicina (studi di CS) 3, 9, 47 n, 98 metafora 19 Milano, Università Statale di 1 morfologia 3, 15, 17, 19, 20, 27, 28, 32, 76, 81, 83 n mozione 16, 20 mutamento linguistico 3 e n, 4 n, 20, 32, 72, 88 napoletano 28, 29, 31, 88 nazionalismo 9, 50, 51, 111 neogrammatici 3 e n, 4 e n, 6, 20, 42 n, 72, 74 nesso relativo 19 neutro 31 note 18 omoteleuto 32 osco-umbro 73 n, 76 Pelasgi 106 piemontese 42 n, 45, 89 n, 90 e n, 105 Politecnico, Il 97, 102, 105 Praga, Università di 3 n Prima Guerra Mondiale 8 e n, 9 e n, 44, 47-52, 57-60 prostesi 19, 86-88 provenzale 55 Quarantotto, moti del 99 Quinta lettera glottologica 44, 46 n. 74 razzismo 103 recensioni (di CS) 2, 6 n, 8 n, 17-18, 27-33, 46 n regolarità 4 n, 31 Restaurazione 104 retico 77 e n, 102 retroformazione 20 Revue de dialectologie romane 51 e n Revue Scientifique 51 n REW 27, 45 n, 57 e n, 85 n, 88, 91 Risorgimento 37 n, 100, 106 Rivoluzione francese 103 romancio 72 romanesco 21, 33 sardo 109 Seicento 103 semantica 78, 91 Settecento 103 Sicambri 103 siciliano 32, 88 sintassi 19, 20, 31, 76 socialdemocrazia tedesca (SPD) 9, 98, 110 Indice analitico 119 socialismo 97, 106, 110 Société d’Ethnologie 104 statuti medievali 16, 21 e n Stiftung fu ̈ r wissenschaftliche Forschung an der Universität Zu ̈ rich 10 n stile (espositivo, di CS) 2, 6, 18-19, 29-30 storia della lingua italiana 22, 28, 32 studi (di CS) 3-4, 6-7, 37, 47, 98-99 terminologia 16 titoli (di saggi di CS) 16-18 Tobler-Mussafia, legge 19 onomastica 21, 84, 85 Teubner editore 10, 55 n toponomastica 20, 21, 73 n, 74, 77 e n toscano 19, 21, 22, 28 Trecento 32 Treves editore 8 e n, 58 troncamento 18 Velchi 103 veneto 28, 30 Vienna, Università di 44-45, 47 n, 49 e n, , 50 e n, 57 n Vocabolario dei Dialetti della Svizzera Italiana 5, 8, 42 n, 43, 93 Vocabolario etimologico italiano (ed. Winter) 10, 45 e n, 52, 54 e n, 55 n Vorwärts 110 Winter editore 10, 45, 54, 55 e n, 56, 57 e n Zurigo, Università di 14 n, 38-40, 44, 45, 46 n, 51, 81 n, 91 Indice dei nomi 121 Indice dei nomi Agnelli, G. 28, 35 Agostino, A. 90 n, 93 Alessandri, C. 90 n, 93 Anonimo Romano 23, 32-35 Armstrong, R. A. 108, 111 Ascanio Persio 22, 24 Ascoli, G. I. VII - VIII , 1, 3 n, 6-8, 11-12, 18, 19, 20 n, 23, 37 n, 38 n, 43-46 e n, 52 n, 60,-63, 69-72, 74-76, 78, 79, 97, 106-108 e n, 111-113 Bähler, U. 37 n, 51 n, 60 Bakunin, M. A. VIII , 9, 97-102 e n, 111-113 Balbo, C. 106 Baratti, D. 101-102 n, 111-112 Barbato, M. 37 n, 55 n, 85 n, 93 Battisti, C. 49 n Bebel, A. 98 Becker, K. F. 110 Becker, Ph. A. 49 Bembo, P. 28-29 Belardi, W. 34, 69-70 e n, 78 Berruto, G. 42 n, 60 Bertoletti, N. 8 n, 11, 22 n, 23 Bertoni, G. 2, 11, 46 n, 60 Bertoni, M. 101 e n, 111 Biondelli, B. 70, 76, 102, 106-109 e n, 111-113 Birch-Hirschfeld, A. 6 Bolelli, T. 3 n, 11-12, 22, 70-71, 74, 77 e n Bonalumi, G. 81 n, 93 Bonvesin da la Riva, 29, 34 Bopp, F. 110 Bottiglioni, 93 Brambilla Ageno, F. 32-33 Brero, C. 90n, 93 Broggini, R. VII n, 3-4 n, 6 e n, 7-9 n, 11-12, 25, 35, 37, 38 n, 44 e n, 47 n, 49 n, 52 n, 60, 63, 79, 83 n, 89 n, 92-95 e n, 98 e n, 99, 101 e n, 111- 113 Brugmann, K. 3, 4 n, 6, 12, 72, 99 Bulle, O. 55-56 e n, 62 Cafiero, C. 9, 98 Camastral, P. 91 Campanelli, B. 21, 23 Candolfi, P. 101 n, 102 n, 111-112 Castellani, A. 31, 33 Cattaneo, C. 70, 74-76, 78, 106 Ceresa, C. 37 n, 46 n, 60 Cian, V. 5, 11, 21 n Contini, G. 2, 5, 8 n, 9-11, 27, 34, 42, 61, 70-71, 73, 78, 83 n, 94 Cornu, J. 3 n, 7 n, 98 n Craveri, B. 46 n, 61 Cuoco, V. 106 Curtius, G. 3, 6, 99 D’Achille, P. VII , 2 n, 20 n, 22 n, 23 Dante Alighieri 101 Dardano, M. 18, 23 De Benedetti, A. 17, 23 De Felice, E. 16, 23 Defilippis, D. 34-35 De Mauro, T. 12, 78 Diels, H. 51 n Donati, L. 30, 34 Dühring, E. 110, 112 Dutz, K. D. 69 n, 78 Ebert, A. 6 Edwards, W.-F. 104, 106, 112 Engels, F. VIII , 52, 104 e n, 110, 112- 113 Fagiuoli, G. B. 21 Fanciullo, F. 31, 34 Faré, E. 38 n, 47 n, 48-49 e n, 50-51 n, 54-55 n, 57 n, 61 Faré, P. A. 2-3 n, 5-6, 11, 17 n, 23, 37, 41 n, 43 n, 44 e n, 45 n, 47, 49, 52 n, 55 n, 61, 83 n, 88, 95, 109 e n, 112 Ferrario, V. 43 n Ferraro, G. 90 n, 94 Indice dei nomi 122 Flechia, G. VII , 6-7 e n, 13, 109 e n, 112 Formentin, V. VII , 17, 21-23 e n, 31- 32, 34, 56 n, 87 n Formichetti, G. 21, 23-24 Formigari, L. 78 Friedmann, W. 8 n, 11 Gagliardi, E. 39 n, 44 n, 61 Gamillscheg, E. 44-45 n, 49 n, 61 Garibaldi, G. 101 Gauchat, L. 7 n, 11, 38-43 e n, 47, 50, 52-54 e n, 57-58 e n Giansanti, O. 21, 23 Gilliéron, J. 39 e n, 42 n, 58 e n, 60-61, 69 Gioberti, V. 106 Goidanich, P. G. 38, 40 e n, 43-44, 45 n, 53-54 Gramsci, A. 104 e n, 106, 112 Grimm, J. 110 Guizot, F. 103-104 Heyse, P. 110 Hurch, B.49 n, 57 n, 61 n Iachini, G. B. 21 e n, 23 Infessura, S. 21 Isella, D. 83 n Izzi, P. 28, 34 Jaberg, K. 39-41 e n, 60-61, 93 Jäckle, E. 94 Jud, J. 38-42 e n, 51-54 e n, 60-61, 64, 93 Julien, C. 103 Klinger, M. 51 n Kluge, F. 53-54 La Fauci, N. 32, 34 Lanfranchi, R. 7, 11 Lazzeroni, R. 3 n, 11 Lebsanft, F. 51 n, 61 Lepschy, G. 12, 69 e n, 78 Leskien, A. 6, 99 Levra, U. 37 n, 46 n, 61 Liebermann, M. 51 n Liebknecht, W. 50 n, 98, 110 López-Bernasocchi, A. 7 n, 11 Loporcaro, M. VII n, 1-2 n, 5-9 n, 11- 12, 15, 17 n, 20, 21 n, 22 e n, 23-25, 35, 37, 42 n, 44 e n, 52 n, 61, 63, 70-71, 75, 78-79, 81 n, 94-95, 109 n, 111 n, 112-113 Lorenzetti, L. VIII , 69 Lucchini, G. 78-79 Lurati, O. 91 n, 94 Luschützky, H. C. 37, 47 Luxemburg, R. 50 n Machiavelli, N. 101 Magginetti, C. 91 n, 94 Maiden, M. 23, 25 Malatesta, E. 9, 98 Malkiel, Y. 32, 34 Marcato, C. 21, 24 Marx, K. 104 e n, 112 Masetti, G. 90 n, 94 Masini, P. C. 98 e n, 99 n, 111-112 Mastrelli, C. A. 45 n, 62 Mattei, L. 21, 23-24 Mazzini, G. 107 Merlo, C. VIII , 4 e n, 5, 8, 10-12, 20 n, 25, 31, 34, 49 n, 54-55 n, 60, 69-71, 73-74 e n, 77-79, 81-83 e n Merlo, P. 11, 60 Meyer-Lübke, W. 18-19, 24, 27, 31, 33-34, 38, 43-45 e n, 47-48 e n, 49 n, 50 e n, 51 n, 52, 54, 55-57 n, 58- 59, 61-62, 69, 83 n, 94-95 Michael, E. 47 n, 62 Michael, J. 46 n, 62 Michaelis, H. 55 e n, 56, 62 Migliorini, B. 18, 19 n, 22, 24 Milizia, P. 3 n, 12 Monti, P. VIII , 81 n, 89 n, 94 n, 106- 108, 112 Moretti, B. 22 n, 24 Morf, H. 38, 45, 51 e n, 58-59, 63, 67 Morosi, G. 89 Morpurgo Davies, A. 3, 12 Mosca, V. 60 Motteler, J. 98 Mussafia, A. 19, 28-29, 31, 34 Nabholz, H. 61 Nicolet, C. 103 n, 112 Nigra, C. 37 n, 45-46 e n, 60-62 Novati, F. 1n Indice dei nomi 123 Olivari, C. 90 n, 95 Osthoff, H. 3, 4 n, 12 Papanti, G. 31, 89 n, 94 Paris, G. 45 Parodi, E. G. 6, 9, 38, 40 e n, 44, 46, 52 n, 63 Parodi, T. 82 n Pasquali, G. 69 Pauli, C. 71 e n, 73 n, 74, 76-77, 79 Petròcchi, P. 55-56 e n, 62 Pescia, L. VII n, VIII , 5, 11-12, 25, 35, 37 n, 63, 79, 81-89 e n, 94-95, 113 Pfister, M. 11, 23, 61, 83, 94 Pieri, S. 40, 108, 112 Planck, M. 51 n Poliakov, L. 103 e n, 113 Porta, C. 10, 52 e n, 55 Porta, G. 33-34 Proudhon, P.-J. 104 Puşcariu, S. 49 n, 55 e n, 56, 62 Raccuglia, S. 89 n, 94 Rajna, P. 2, 12, 38, 40-41, 43, 46 n, 55 n, 63, 74, 79 Ramat, P. 110, 113 Ravani, P. 28 Reclus, E. 9, 97-99, 101-102 e n, 113 Richter, E. 55, 57, 61-62 Rigutini, G. 55-56 e n, 62 Roccella, R. 89 n, 95 Rohlfs, G. 22, 24, 86-88 Rolla, P. 28, 35 Romagnosi, G. D. 104, 113 Röntgen, W. 51 n Rosa, G. 106, 109 Rossi, V. 8 n, 9, 58, 82-83, 95 Sabatini, F. 19, 24, 94 Sabbatino, P. 28, 34 Salvioni, Enrico 8 e n, 9, 50 n, 52, 57- 58 n Salvioni, Ferruccio 8 e n, 9, 50 n, 52, 57-58 n Sanfilippo, C. M. 38 e n, 40-41, 46 n, 49 n, 55 n, 63, 74, 75 e n, 79 Santamaria, D. 13, 102, 113 de Saussure, F. 4, 12 Scherillo, M. 1 e n, 2, 4, 9 e n, 12, 82 n Scheuermeier, P. 38, 41 e n Schuchardt, H. 4 n, 12, 47 e n, 58-59, 61, 63, 78-79 e n, 108 Schweickard, W. 23, 94 Scoppa, L. G. 28-29, 34-35 Scott, W. 104 Segre, C. 47, 63 Seifert, A. 27, 29, 34 Serianni, L. 17 n, 18, 25, 33 Settegast, F. 6 Sgroi, S. C. 16, 25 Siccardi, D. 60 Sieyès, E.-J. 103 e n, 113 Silvano, M. 90 n, 95 Silvestri, D. 70, 79, 102, 113 Solerti, A. 7 e n, 11 Sorrento, L. 82 n Spano, G. 109 e n Spitzer, L. 5, 12, 44-45 n, 49-50 n, 57 n, 61, 63 Stadler, P. 39 n, 63 Stäuble, E. 94 Strohl, J. 61 Stussi, A. 10 n, 21-22, 25, 37 n, 43 n, 63, 81 n, 89 n, 95 Sue, E. 104, 107 Taveggia, E. 2 n Telmon, T. 42 n, 63 Terracini, B. 5, 27, 35, 44, 60, 63, 70- 75 e n, 79 Thierry, A. 104, 107, 112 Thierry, Au. 103, 104, 105, 107 Thomas, A. 58-59 Timpanaro, S. 9, 12, 38 n, 40 n, 63, 70-71, 74-75, 79, 98 n, 109, 113 Tobler, A. 19, 27, 51 e n, 60-61 Trachsler, R. 37 n, 45, 51 n, 60-61, 63 Trombetti, A. 46 n Trovato, P. 29, 35 Tucci, A. 99 Ugolini, F. A. 33, 35 Valerio, S. 28, 34-35 Varisco, G. 28 Vecchio, P. VII n, 11-12, 25, 35, 63, 79, 83-89 e n, 94-95, 113 Vennemann, T. 12 Indice dei nomi 124 Venturi, F. 98 e n, 113 Vitale Brovarone, A. 6, 13 Vollmöller, K. 51 e n Vossler, K. 51 Walberg, E. 53-54 e n, 63 Wilamovitz-Möllendorff, U. 51 n Wilbur, T. H. 12 Wilder, B. 33 Windisch, E. 6 Wolf, M. 47, 63 Wüest, J. 38 n, 63 Wunderli, P. 37 n, 44-45 n, 63 Wundt, W. 51 n Zamboni, A. 20 n, 22, 25 Zangheri, R. 98-99 n, 114 Zingarelli, N. 7 n, 9 n, 13, 21 n, 47, 63, 83, 95 Narr Francke Attempto Verlag GmbH + Co. KG Postfach 25 60 · D-72015 Tübingen · Fax (0 7071) 97 97-11 Internet: www.francke.de · E-Mail: info@francke.de Le présent volume complète le premier tome de cette édition du Nouveau Testament de Lyon (2009; Romanica Helvetica 128). Il fournit une analyse approfondie de la langue du texte (grapho-phonématique et morpho-syntaxe), un Glossaire copieux et ouvrant des perspectives sur la lexicologie, ainsi qu’un Index des noms complet. Les traits caractéristiques de cette traduction de la Vulgate remontant à la deuxième moitié du 13e siècle renvoient pour la plupart à la partie ouest du Languedoc. Peter Wunderli (éd.) Le Nouveau Testament de Lyon (ms. Bibliothèque de la ville A.I.54/ Palais des arts 36) Vol. 1: Introduction et édition critique Romanica Helvetica, Band 128 2009, X, 534 Seiten, kt. €[D] 128,00/ SFr 208,00 ISBN 978-3-7720-8316-7 Vol. 2: Analyse de la langue, Lexique et Index des noms Romanica Helvetica, Band 131 2010, VIII, 317 Seiten, €[D] 76,00/ SFr 128,00 ISBN 978-3-7720-8359-4 Narr Francke Attempto Verlag GmbH + Co. KG Postfach 25 60 · D-72015 Tübingen · Fax (0 7071) 97 97-11 Internet: www.francke.de · E-Mail: info@francke.de Jakob Wüest, emeritierter Professor für Galloromanische Sprachwissenschaft an der Philosophischen Fakultät der Universität Zürich, hat sich international einen Namen gemacht durch seine Habilitationsschrift sowie durch seine fundierten Beiträge aus dem Bereich des Altokzitanischen im Lexikon der Romanistischen Linguistik. Die vorliegende Festschrift, die ihm Kollegen und Freunde widmen, würdigt das Erscheinen seines opus magnum (La dialectalisation de la Gallo-Romania. Problèmes phonologiques) vor dreißig Jahren. Sie enthält auch die vollständige Bibliographie des Geehrten und zeigt das breitgefächerte Spektrum seiner wissenschaftlichen Tätigkeit. Hans-Rudolf Nüesch (éd.) Galloromanica et Romanica Mélanges de linguistique offerts à Jakob Wüest Romanica Helvetica, Band 130 2009, X, 310 Seiten, € [D] 68,00/ SFr 115,00 ISBN 978-3-7720-8332-7 Narr Francke Attempto Verlag GmbH + Co. KG Postfach 25 60 · D-72015 Tübingen · Fax (0 7071) 97 97-11 Internet: www.francke.de · E-Mail: info@francke.de Il comune di San Giovanni in Fiore, situato a settanta chilometri a est del capoluogo di provincia Cosenza, rappresenta con i suoi circa 18.000 abitanti il più grande e antico centro abitato dell’altopiano silano. Il sangiovannese, il dialetto parlato a San Giovanni, è in declino tra i parlanti più giovani, ma resta la varietà dominante per la comunicazione informale, vale a dire in famiglia e fra amici, anche all’interno delle comunità di emigrati sangiovannesi all’estero (particolarmente numerosi nella Svizzera tedesca). Il presente saggio intende illustrare la fonetica e la fonologia del sangiovannese nella sua forma più arcaica e rustica. Nell’introduzione (capitolo I) si fornisce un inquadramento del sangiovannese in rapporto agli altri dialetti calabresi, si presentano gli informatori e si espone il metodo adottato per la raccolta e l’analisi dei dati. La fonetica storica del sangiovannese costituisce l’oggetto principale della trattazione (capitolo II): si evidenzia, secondo il classico schema ascoliano, l’evoluzione del vocalismo e del consonantismo del dialetto in questione, descrivendo i suoni rispetto alla loro genesi latina. Il capitolo III è dedicato ad alcuni fenomeni generali tra cui il raddoppiamento fonosintattico, che in quest’area calabrese manifesta notevoli particolarità, mentre il capitolo IV prevede un’analisi sincronica del sistema fonologico del sangiovannese. Un breve capitolo conclusivo riepilog a i fenomeni più signif icativi rivelati dall’analisi del dialetto. Biagio Mele Fonetica e fonologia del dialetto di San Giovanni in Fiore Romanica Helvetica, Band 129 2009, 204 Seiten, €[D] 59,00/ SFr 100,00 ISBN 978-3-7720-8317-4