Scritti scelti
1122
2021
978-3-8233-9524-9
978-3-8233-8524-0
Gunter Narr Verlag
Giuliano Bernini
Il volume presenta una selezione di alcuni degli scritti più significativi di Giuliano Bernini. I temi trattati - che spaziano dalla fonetica e fonologia della L2, alla negazione, al plurilinguismo in contesto accademico - permettono di ricostruire e apprezzare la ricchezza e la complessità del profilo e del pensiero scientifico dell'autore.
<?page no="0"?> ISBN 978-3-8233-8524-0 Il volume presenta una selezione di alcuni degli scritti più significativi di Giuliano Bernini. I temi trattati - che spaziano dalla fonetica e fonologia della L2, alla negazione, al plurilinguismo in contesto accademico - permettono di ricostruire e apprezzare la ricchezza e la complessità del profilo e del pensiero scientifico dell’autore. Giuliano Bernini Scritti scelti Scritti scelti Giuliano Bernini <?page no="1"?> Scritti scelti <?page no="3"?> Giuliano Bernini Scritti scelti a cura di Pierluigi Cuzzolin, Roberta Grassi, Lorenzo Spreafico e Ada Valentini <?page no="4"?> Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http: / / dnb.dnb.de abrufbar. © 2021 · Narr Francke Attempto Verlag GmbH + Co. KG Dischingerweg 5 · D-72070 Tübingen Das Werk einschließlich aller seiner Teile ist urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung außerhalb der engen Grenzen des Urheberrechtsgesetzes ist ohne Zustimmung des Verlages unzulässig und strafbar. Das gilt insbesondere für Vervielfältigungen, Übersetzungen, Mikroverfilmungen und die Einspeicherung und Verarbeitung in elektronischen Systemen. Internet: www.narr.de eMail: info@narr.de CPI books GmbH, Leck ISBN 978-3-8233-8524-0 (Print) ISBN 978-3-8233-9524-9 (ePDF) ISBN 978-3-8233-0333-6 (ePub) www.fsc.org MIX Papier aus verantwortungsvollen Quellen FSC ® C083411 ® <?page no="5"?> Volume pubblicato con il contributo dell’Università degli studi di Bergamo. <?page no="7"?> 7 Sommario Remo Morzenti Pellegrini - Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Marco Mancini - Il percorso scientifico di Giuliano Bernini . . . . . . . . . . . . . . . 11 Premessa dei curatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 1 Le preposizioni nell’italiano lingua seconda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 2 Questioni di fonologia nell’italiano lingua seconda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 3 Strategie di costruzione dei paradigmi verbali in lingua seconda . . . . . . . 65 4 Per una tipologia delle repliche brevi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 5 Simmetrie e asimmetrie nell’espressione della negazione proibitiva e della negazione di proposizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 6 La seconda volta. La (ri)costituzione di categorie linguistiche nell’acquisizione di L2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 7 La linguistica acquisizionale e l’insegnamento delle lingue . . . . . . . . . . . . 151 8 Word classes and the coding of spatial relations in motion events: A contrastive typological approach . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167 9 Tra struttura dell’informazione e finitezza: gli enunciativi . . . . . . . . . . . . 191 10 Il plurilinguismo emergente nell’istruzione superiore italiana . . . . . . . 215 11 Approcci funzionalisti attuali alla luce delle categorie saussuriane . . . 225 12 Dalla fonetica alla fonologia e alla morfologia: la varietà iniziale di polacco L2 del progetto VILLA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 239 <?page no="8"?> 13 La trascrizione di parlato L2: osservazioni metodologiche . . . . . . . . . . . 255 14 Verschissmuss? Zu einer (scheinbar) fehlerhaften Schreibung . . . . . . . 273 Riferimenti bibliografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 275 <?page no="9"?> 9 Presentazione Non è mia intenzione parlare di Giuliano Bernini come studioso, anche perché, ne sono consapevole, non avrei le competenze per farlo. Ovviamente, so benissimo che Giuliano è Presidente della Società di Linguistica Italiana, Direttore della prestigiosa rivista Linguistica e filologia, rappresentante per l’Italia del Comité International Permanent des Linguistes (CIPL) e membro del collegio docenti del Dottorato di ricerca in Scienze linguistiche, istituito grazie alla collaborazione tra l’Università di Bergamo e quella di Pavia. Tutti elementi che indicano l’altissima considerazione di cui egli gode negli studi linguistici e quanto apprezzati siano i risultati delle sue ricerche tra gli specialisti del settore a livello internazionale. Voglio invece parlare del ruolo di Giuliano all’interno dell’Università di Bergamo e provare a svelare qualche tratto della sua personalità, essendo lui piuttosto schivo e poco propenso a mettersi in mostra. Per apprezzare lo straordinario contributo che Giulano ha dato all’Università di Bergamo nel corso della sua lunga e operosa carriera bisogna anzitutto considerare che il suo impegno non si è mai limitato alla ricerca e all’insegnamento tradizionalmente intesi, due compiti peraltro che ha sempre onorato con abnegazione e profonda passione. Giuliano è sempre stato un uomo di “prospettiva”, con lo sguardo cioè rivolto in avanti. Uomo di cultura e di vasti interessi, ha una mente poliedrica che, lungi dal rimanere sul piano dell’astrattezza, è quanto mai pratica, concreta. Qualità che si sono rivelate preziose nei numerosi incarichi di responsabilità che ha ricoperto nel nostro Ateneo. Come preside della Facoltà di lingue e letterature straniere (per ben due mandati), come Direttore del Centro di Competenza Lingue, come Prorettore delegato alle relazioni internazionali, come Presidente del Presidio della qualità e come membro del Senato accademico, egli ha contribuito in maniera decisiva al processo di crescita e di sviluppo della nostra Università. Nel mettersi al servizio degli organi che presiedeva, è sempre stato una guida sicura e competente, che ha esercitato il suo ruolo con discrezione, ma con indubbia autorevolezza. Uomo di prospettiva, dallo sguardo lungo, dicevo, Giuliano ha una singolare capacità nell’intercettare e prevedere gli scenari futuri, consentendo al nostro Ateneo di lavorare e agire in anticipo. A dispetto o, forse meglio, in virtù della sua proverbiale riservatezza, del piglio serioso con cui si presenta, insieme al rigore e alla disciplina che connotano il suo operato, Giuliano ha sempre dimostrato di saper osare, consentendo così all’Università di Bergamo di porsi all’a- <?page no="10"?> 10 Presentazione vanguardia nel campo della ricerca e della didattica. È stato infatti tra i primi a consigliare di investire nella tecnologia informatica per offrire ai nostri studenti gli strumenti adeguati per affrontare il tema della traduzione digitale e le rivoluzionarie trasformazioni che essa ha introdotto nei linguaggi contemporanei. Intellettuale raffinato, aperto al confronto e al dialogo dialettico, Giuliano Bernini ha interpretato e interpreta la cultura e la conoscenza in modo creativo, applicandole con metodologia critica alla realtà. Credo che questa abilità gli derivi dal suo essere uno studioso delle parole, dalla consapevolezza cioè che egli ha della funzione liberatoria che le parole hanno quando bisogna “attraversare la prova della realtà”. Proprio quella “prova della realtà” di cui parlava Elsa Morante in un saggio del 1957 dedicato al poeta Umberto Saba in occasione della ristampa del Canzoniere, sottolineando appunto che è la “limpidezza della parola” a liberarci e a liberare “il mondo dei suoi mostri irreali”. Si tratta, come con grande acume scriveva la Morante, di una “coraggiosa traversata”, alla quale Giuliano Bernini non si è mai sottratto, perché anche lui sa che “il dramma della realtà non ha termini, ed è sempre un altro”. Remo Morzenti Pellegrini Magnifico Rettore dell’Università degli studi di Bergamo <?page no="11"?> Il percorso scientifico di Giuliano Bernini Un’antica amicizia mi lega a Giuliano Bernini, da quando ci conoscemmo in un tristissimo e un po’ ammuffito appartamento ministeriale in Viale Cristoforo Colombo a Roma per sostenere nel lontano 1986-1987 l’esame orale di un concorso per professore associato. Da allora la nostra frequentazione è stata sempre fitta, cordialissima, molto affettuosa. Sono doppiamente felice della testimonianza che il suo Ateneo ha inteso giustamente dedicargli. Prima di tutto felice perché la sua attività instancabile per quella che è da sempre stata la sua Università (a Bergamo ha avuto i primi incarichi ed è stato ricercatore per poi trasferirvisi definitivamente e conseguirvi l’ordinariato dopo una parentesi decennale a Pavia) merita riconoscimenti altissimi. Le parole introduttive del Magnifico Rettore Morzenti Pellegrini hanno colto perfettamente il senso della sua partecipazione alla vita istituzionale dell’Ateneo con i tanti incarichi ricoperti, l’impegno profuso come Delegato del Rettore per l’internazionalizzazione (da cui scaturirono alcune interessanti riflessioni raccolte in Bernini 2012c e Bernini 2014), Presidente del Presidio di Qualità, Direttore del Centro di Competenza Lingue, Direttore della SISS per le sedi di Brescia e di Bergamo e, soprattutto, come Preside della Facoltà di Lingue e letterature straniere per ben otto anni. In secondo luogo confesso di essere particolarmente onorato e contento che mi sia stato chiesto di annotare qualcosa del suo profilo sia accademico - per come l’ho potuto apprezzare in ormai quasi quarant’anni di frequentazione -, sia scientifico. Giuliano è per tanti versi una personalità non comune. Non solo perché è fra i pochissimi docenti capace di coniugare cómpiti istituzionali e attività scientifiche di livello eccellente, riconosciute sia internazionalmente (non casualmente Giuliano è, fra le tante cose, membro delle prestigiose “Societas Linguistica Europaea” e della “Association for Linguistic Typology”) sia nazionalmente: voglio rammentare la sua direzione della Rivista “Linguistica e filologia” e la sua presenza nel Comitato scientifico della più antica Rivista italiana di linguistica, l’“Archivio glottologico italiano”, due attività che lo impegnano moltissimo. La cifra morale - se posso dire - costituisce di sicuro il tratto più evidente della personalità di Giuliano Bernini. Una moralità che si manifesta attraverso la sua serietà nella vita istituzionale, la sua lealtà nei rapporti interpersonali, il suo rigore nelle ricerche scientifiche. La comunità dei linguisti gli deve molto, intanto perché Giuliano, dopo alcune esperienze nei Direttivi della Società Ita- <?page no="12"?> 12 Il percorso scientifico di Giuliano Bernini liana di Glottologia e nella Società di Linguistica Italiana, ha guidato in qualità di Presidente l’Associazione Italiana di Linguistica Applicata (dal 2010 al 2016) e sta guidando la Società di Linguistica Italiana (dal 2020). Ma Giuliano si è rivelato soprattutto un Collega preziosissimo in una serie di delicati cómpiti che gli sono stati affidati a livello nazionale come Membro del GEV 10 per la VQR 2011-2014 (è stato coordinatore del subGEV-4 per l’Italianistica e la Linguistica) fra il 2015 e il 2017 e in qualità di componente del-Comitato di selezione del PRIN 2017 per il sotto-settore ERC SH 5, dal 2018 al 2019. Posso testimoniare in prima persona che queste sue esperienze, unite alle profonde e precise competenze nel settore della didattica linguistica in tutte le articolazioni disciplinari, hanno aiutato in modo fondamentale gli Organismi ministeriali in almeno tre circostanze cruciali. La prima è stata la redazione delle Classi per l’insegnamento (sfociate poi nel D.P.R. 19/ 2016 all’epoca della “Buona Scuola”); la seconda la rivisitazione delle Classi di Laurea triennali e magistrali (incluse quelle per la “Logopedia” in stretta collaborazione con Francesca Dovetto, allora rappresentante per l’Area 10 al Consiglio Universitario Nazionale), revisione che dura tutt’ora e che vede impegnatissimo Giuliano assieme ai Presidenti delle Società scientifiche dell’area linguistico-glottologica; la terza circostanza è stata ed è tutt’ora l’interesse per il riconoscimento e la promozione istituzionale della LIS, lo strumento linguistico della comunità italiana dei sordi. In tutti questi momenti Giuliano Bernini è stato un punto di riferimento straordinario per puntualità, rapidità esecutiva (un tratto cruciale quando si ha a che fare con i Ministeri) e, ovviamente, per competenze tecniche. Va detto che l’ampia e variegata esperienza scientifica di Giuliano, comprovata dalla partecipazione e dal coordinamento di decine di progetti scientifici nazionali ed europei, un’esperienza che spazia dalla glottodidattica alla sociolinguistica, alla linguistica storica, alla linguistica germanica, all’apprendimento dell’italiano L 2 fino alla tipologia areale, lo rende in modo naturale un punto di raccordo al momento di trattare di tematiche interdisciplinari e transdisciplinari. Questa riconosciuta posizione di riferimento fra le tante aree delle discipline linguistiche gli ha consentito di recente di ottenere un importantissimo e ambìto riconoscimento, quello di rappresentante per l’Italia nel- Comité International Permanent des Linguistes (CIPL) su indicazione congiunta della Società Italiana di Glottologia, della Società di Linguistica Italiana e dell’Accademia della Crusca. Ho appena ricordato in modo cursorio il profilo scientifico di Giuliano Bernini. Difficilissimo sintetizzarlo in poche battute. Volendo inevitabilmente semplificare si può affermare che la formazione di Giuliano, al netto delle importanti esperienze di ricerca svolte all’estero, si sia sviluppata all’interno di una costellazione formata da tre rilevanti sedi universitarie (Milano statale, Bergamo e <?page no="13"?> 13 Pavia), ciascuna corrispondente a singole personalità che hanno influito su di lui e a precisi àmbiti tematici della sua produzione scientifica. A Milano Giuliano si laureò in Glottologia con colui che da non molti anni aveva raccolto l’eredità imponente di Vittore Pisani e cioè Enzo Evangelisti. La sua tesi, discussa alla metà degli anni Settanta, verteva sui nomi delle parti del corpo in gotico e presagiva quelle ampie e variegate competenze nel settore delle lingue germaniche che da sempre hanno costituito uno dei corpora maggiormente battuti con invidiabile competenza da Bernini, in lavori sia di linguistica tedesca sia di tipologia areale. Ma non va dimenticato che questa primissima esperienza glottologica (ossia nell’àmbito della linguistica storica classica) ha fatto sì che negli anni a venire Giuliano non abbia mai perso il contatto con le tematiche del mutamento linguistico, tematiche che affiorano spesso nei lavori tipologici e in quelli dedicati all’apprendimento delle lingue seconde. Per Bernini (ci tornerò più avanti) la diacronia è uno dei banchi di prova più importanti per sondare la tenuta concreta delle categorie tipologiche. Così una delle sue primissime incursioni nella tematica a cui ha dedicato la maggior parte dei suoi saggi tipologici, quella della struttura sintattica della negazione, riguardò i sintagmi negativizzanti nelle lingue indo-europee e la postulazione di una loro collocazione nella proto-lingua (Bernini 1987d). Pochi anni dopo tornava su un possibile drift diacronico che avrebbe condotto l’elemento negativizzante, lungo un asse di progressiva marcatezza, dalla posizione preverbale a quella post-verbale nelle lingue indo-europee (Bernini 1990a). Ma considerazioni utilissime per decifrare i meccanismi del cambiamento - spesso, come è giusto, connessi con le variabili del contatto e dell’apprendimento spontaneo secondo un modello di interpretazione sociolinguistica che risale almeno a Thomason/ Kaufman 1988 - sono presenti in molti suoi lavori. Dicevamo dei maestri e delle sedi. L’esperienza presso l’Istituto Universitario (poi Università) di Bergamo significò innanzitutto il contatto e la collaborazione con Monica Berretta verso la quale Giuliano ha sempre riconosciuto un debito di affetto oltre che di scienza (Bernini 2002). Il rapporto di colleganza e di cooperazione tra i due fu sempre strettissimo. La Berretta aveva assunto già negli anni Settanta, fra le primissime in Italia, un incarico di “Didattica delle lingue moderne” e, assieme ad Anna Giacalone Ramat, ha costituito per Bernini un punto di riferimento costante per le ricerche sull’apprendimento delle lingue seconde, sia in contesti guidati sia, molto più estesamente, in contesti spontanei. Ma lo ha anche stimolato a occuparsi precocemente di pragmatica linguistica, un fattore per lui fondamentale nella spiegazione, ad esempio, della genesi delle categorie e delle forme sia in situazioni di contatto che di mutamento. Questo segmento scientifico è sicuramente quello al quale Bernini ha dedicato la maggior parte delle sue ricerche e sul quale ha esercitato più a lungo le <?page no="14"?> 14 Il percorso scientifico di Giuliano Bernini sue riflessioni, anche teoriche. Inizialmente Giuliano era guidato dall’intento dichiarato di una scansione analitica e coerente delle strategie acquisizionali dell’italiano L 2 , mediante la focalizzazione su pressoché tutte le componenti della lingua-target. L’avvio nella seconda metà degli anni Ottanta del cosiddetto “Progetto di Pavia” coordinato da Anna Giacalone Ramat (Bernini 1994b) con il preciso intento di arare un “terreno inesplorato” (Giacalone Ramat 2003: 13) all’interno di una fitta rete interuniversitaria e con un paradigma omogeneamente funzionalista, ha ulteriormente indotto Bernini a occuparsi in maniera sistematica dell’inventario fonologico (Bernini 1988) e delle strutture morfosintattiche, specie di quelle che rientrano nell’àmbito del sintagma verbale: le preposizioni (Bernini 1987e), gli avverbî (Bernini 2008c, Bernini 2008d, Bernini 2010a, Bernini 2012b), il sistema verbale nel suo complesso (Bernini 1989 e Bernini 2003a), l’imperfetto (Bernini 1990b), i verbi modali (Bernini 1995), i sintagmi verbali con copula (Bernini 2003b), i verbi pronominali (Bernini 2005a), i verbi di moto (Bernini 2006b, Bernini 2006c, Bernini 2006d e Bernini 2008a e Bernini 2008b). La maturazione di una visione d’insieme sui problemi tipologici delle strutture della negazione finì con l’interferire con questo ricco filone di studî: di qui i saggi Bernini 1996a, Bernini 1998c, Bernini 2000 e, soprattutto, la visione d’insieme offerta in Bernini 1999 e Bernini 2005b. Dopo questa fitta serie di ricerche di dettaglio, Giuliano ha prodotto alcune sintesi importanti della sua visione complessiva dei processi di apprendimento. Il lavoro La seconda volta. La (ri)costituzione di categorie linguistiche nell’acquisizione di L2 apparso negli Atti del Convegno annuale della S.I.G. del 2003 (Bernini 2004) chiarisce la catena implicazionale che Bernini individua nella regolare scansione dei percorsi dell’apprendimento spontaneo. La genesi delle categorie altro non è che il banco di prova della “costituzione interna della categoria verbo e la configurazione dei rapporti che ne legano tratti e valori” (Bernini 2004: 122). In sostanza la complessificazione delle varietà di apprendimento, basiche e post-basiche, è un test cruciale per la definizione e la consistenza delle categorie tipologiche e delle loro rispettive gerarchie di marcatezza nell’ouput degli apprendenti. Qui Giuliano riunisce le sue due principali esperienze di ricerca in una robusta sintesi esplicativa che mira alla classificazione rigorosa delle categorie funzionali del verbo in una prospettiva tendenzialmente universalista mediante la rilevazione di un crescendo di “mise en grammaire”. Un simile percorso muove dai tratti prototipici del verbo per giungere a quelli periferici allontanandosi progressivamente dal dominio della pragmatica discorsiva fondata sulla struttura elementare topic/ comment. Posizioni simili emergono anche nella sintesi per l’Enciclopedia dell’italiano curata da Raffaele Simone (Bernini 2010c) nonché in Bernini 2017. <?page no="15"?> 15 Giuliano è anche un eccellente dialettologo. Dopo le prove giovanili di descrizione della fonologia e della morfologia delle varietà bergamasche (Bernini 1987a, Bernini 1987b, Bernini 1987c), ha voluto contaminare - per così dire - queste sue cognizioni con la sensibilità per i fenomeni acquisizionali e per le descrizioni di tipologia areale. La base teorica di questa “contaminazione” si ritrova in un saggio molto rilevante ossia Bernini 2006d che abbiamo già citato. Ivi il ragionamento muove da una distinzione tipologica, introdotta da Leonard Talmy, circa le strategie di lessicalizzazione dei componenti della struttura concettuale nella localizzazione spaziale nei verbi di movimento. Si distinguono lingue che lessicalizzano queste componenti nel lessema verbale (Verb-Framed) e lingue che invece lo lessicalizzano nelle particelle (affissi, avverbî, ecc.) (Satellite-Framed). L’italiano appartiene al primo tipo (es. uscire), il tedesco (come in genere molte lingue a forte componente sintetica in àmbito indo-europeo) al secondo (es. ausgehen). L’importante distinzione viene problematizzata: proprio i dialetti italiani settentrionali sono quelli che mostrano un diverso e inatteso comportamento (S-Framed) in area italo-romanza. Sulla base di un esame dedicato all’acquisizione del tipo V-Framed rappresentato dall’italiano a opera di apprendenti principianti (studenti che sono in Italia da quattro-dodici mesi) con L 1 una lingua S-Framed (tedesco, neerlandese) o una lingua che oscilla tra i due (inglese) si riscontra come effettivamente la L 1 incida nell’uso della L 2 . Per tutti i parlanti una delle strategie più usate è quella di impiegare un verbo italiano già caratterizzato nei valori spaziali, accompagnato da una preposizione locativa che regge un sintagma nominale (sale […] sulla testa; è uscito dal buco); accanto a questa, i parlanti inglesi tendono però anche a impiegare una codificazione nel verbo (es. ma ritornata con una delle altri piccoli), quelli olandesi o tedeschi usano spesso un verbo di movimento generico con un sintagma preposizionale (es. va al lago). Il tema di questa distinzione tipologica, oltre che in prospettiva sempre acquisizionale in Bernini 2006b e Bernini 2006c, viene ripreso in due studi dialettologici dedicati a varietà settentrionali, tra cui il bergamasco (Bernini 2008b e Bernini 2012a), ed è sviluppato soprattutto in Bernini 2021, in cui si esaminano espressioni di questo tipo nei dialetti tedeschi, ladini (romancio e ladino dolomitico) e italiani, in contatto tra loro lungo l’arco alpino. In quest’ultimo lavoro, basato su un amplissimo spettro geolinguistico tratto dall’AIS (i dialetti italiani settentrionali, toscani e gran parte di quelli di Umbria e Marche; le varietà della Svizzera romanza, il ladino, il friulano e le varietà gallo-romanze occidentali come l’occitano, il provenzale, il franco-provenzale), si rileva come esista una evidente concentrazione delle espressioni sintagmatiche del tipo “cadere giù”, “andare giù”, “togliere via” proprio nei dialetti lombardi (compresi i ticinesi) e quelli romanci. Non solo. Si rileva che il tipo sintagmatico è più diffuso (a) nelle <?page no="16"?> 16 Il percorso scientifico di Giuliano Bernini varietà montane rispetto a quello di fondovalle e di pianura, (b) nelle Alpi centrali e orientali, in cui le varietà romanze sono a contatto con i dialetti tedeschi, rispetto a quelle occidentali, in cui le varietà italiane sono a contatto con dialetti gallo-romanzi. Viene registrato il fatto - ben noto alle descrizioni etno-linguistiche da Cardona in poi (Cardona 1985: 21-42) - che nelle varietà montane è molto diffusa la deissi spaziale orientata secondo lo scorrere dei corsi d’acqua, incentrata sui villaggi, con i deittici del tipo “su”, “giù”, “sopra”, “sotto”, ecc. Ciò può spiegare in parte la diffusione dei verbi sintagmatici del tipo “andare su”, “andare sopra” ecc. Ma la spiegazione fondamentale che si fornisce è di tipo areale: lo sviluppo di queste codificazioni lessicali sarebbe dovuto all’influsso dei dialettici alemannici delle Alpi centrali (quindi sui dialetti romanci e lombardi della Svizzera) e di quelli bavaresi delle Alpi orientali (Alto Adige, Carnia, ecc.). Un influsso del genere dovuto a un’intensa fase di bilinguismo romanzo-germanico a partire dall’XI secolo fu sostenuto anche da Belardi (vedi Belardi 1994: 61 e, più diffusamente, Belardi 1991: 274-283 ove viene postulata un’origine relativamente tarda di questi fenomeni sintagmatici). Dalle varietà romanze più in contatto con quelle tedesche, il tipo si sarebbe poi diffuso verso il fondovalle, fino alla Pianura Padana. L’influsso tedesco avrebbe rafforzato una tendenza all’uso dei deittici spaziali già presente nelle varietà romanze di montagna. Una sorta di ipotesi dai tratti vagamente “anti-ascoliani”, se si tiene presente la famosa teoria del regresso dell’area ladina arcaica rispetto a quella veneta sostenuta nei Saggi ladini di Ascoli nel 1873, regresso che vide le zone montane come ultima roccaforte dell’onda di avanzamento italo-romanza. All’interno di questo ricchissimo filone di lavori acquisizionali emerge più di recente un gruppo di studî di Bernini generato da un’esperienza coordinata di insegnamento elementare di una lingua straniera, il polacco. Una buona sintesi è in Bernini 2018a. Si tratta di lavori eminentemente fonologici (una sorta di ritorno ai primissimi interessi di Giuliano) all’interno dell’interessante progetto internazionale VILLA- - Varieties of Initial Learners in Language Acquisition, progetto che prevede un corso rivolto a giovani adulti (studenti universitari di facoltà non umanistiche, molto breve, 14 ore complessive in dieci giorni, accompagnate da test quotidiani, svolte dalla medesima insegnante, con un input controllato, replicato in modo stabile ovunque, comprendente circa 1000 lessemi. Alla fine del corso, è stato registrato il parlato degli apprendenti in diverse modalità (spontaneo, guidato, narrativo). Il progetto si è svolto, oltre che in Italia nelle Università di Bergamo e Pavia, in Francia, nel Regno Unito, nei Paesi Bassi e in Germania, dove il corso ha avuto anche una versione per bambini, per controllare la variabile dell’età. <?page no="17"?> 17 Tutti i lavori di Bernini in questo specifico àmbito (Bernini 2015, Bernini 2016b, Bernini 2016c, Bernini 2018a, Bernini 2018b, Bernini 2019) si basano sull’analisi del parlato registrato nei test finali, e hanno come obiettivo quello di osservare le realizzazioni fonetiche degli apprendenti confrontandole con quelle della lingua modello. la questione di fondo è “se sia possibile ritrovare caratteristiche specifiche della componente fonetica negli stadi iniziali di una L2” (Bernini 2019: 33) paragonabili a quelle morfo-sintattiche attribuibili alla Basic Variety. Nuovamente affiora l’approccio universalistico di Bernini in questo settore. Vengono rilevate tendenze verso la semplificazione della fonologia della lingua-target non attribuibili meramente all’interferenza del sistema di L 1 , ma a una sua strutturazione autonoma, e una capacità di manipolare la fonologia della fine di parola in cui hanno influsso fattori morfologici (la desinenza dello strumentale nei nomi, o la terza persona plurale del verbo). Così, ad esempio, molti parlanti realizzano alcuni lessemi con la sonora finale di parola, mentre in polacco non si hanno sonore finali, le quali, dunque, non possono esser state fornite dall’input. Almeno per alcuni casi ciò può essere spiegato mediante la capacità di manipolazione da parte del parlante; è realizzata sonora la consonante finale di un lessema che è confrontato con forme corradicali in cui però la consonante non è in posizione finale: p. es. in parlanti francesi si ha la sonora finale nella forma / ˈstraʂ/ straż “guardia”, che compare nel loro parlato accanto a / ˈstraʐak/ strażak e / straˈʐakʲɛm/ strażakiem “pompiere”, rispettivamente al nominativo e allo strumentale singolare (Bernini 2019: 47). Il fenomeno che maggiormente caratterizza questa varietà di apprendimento molto precoce, che quindi non ha ancora raggiunto il livello della Basic Variety è la grande dispersione delle realizzazioni fonetiche riscontrabile, per uno stesso lessema, tra i vari parlanti e anche nello stesso parlante. Per esempio uno di loro, un parlante italiano, rende il modello del polacco / ˈstraʐak/ strażak ‘pompiere’, con le realizzazioni fonetiche [ˈstraʒak], [ˈtraʒak], [ˈs: traʒa], / ˈpɔʐar/ pożar ‘incendio’, con [ˈpɔʒar] e [poˈʒaːr] (Bernini 2016b: 142-43). A questo punto Bernini formula un’ipotesi generale circa lo sviluppo della fonologia dell’interlingua di apprendimento: un parallelismo tra lo sviluppo dei livelli di analisi biplanari e quello dell’espressione linguistica: lessico > morfologia e sintassi > pragmatica fonetica > fonologia e prosodia > prosodia Nella varietà pre-basica si ha un tentativo dei parlanti di imitare l’input della lingua modello con notevole dispersione dei risultati; nella varietà basica invece i parlanti tendono a imitare la “norma”, dell’insegnante, cioè come mera ripetizione degli stimoli ascoltati, secondo quella caratterizzazione fatta da Coseriu della “norma” come “ripetizione dei modelli anteriori”, astraendo dalle <?page no="18"?> 18 Il percorso scientifico di Giuliano Bernini particolarità delle singole realizzazioni. A un simile livello strutturale esistono fortissime semplificazioni della struttura fonologica della L 2 , fenomeni di interferenza classici, descritti dalla linguistica del contatto, con la L 1 , e fenomeni di strutturazione autonoma della varietà di apprendimento. Nelle varietà post-basiche invece si ha una strutturazione delle forme fonologiche mediante una serie di ipotesi proiettate dall’apprendente sulla base degli input ricevuti. Qui le singole forme si stabilizzano e viene superata la dispersione. Ancora una volta, dunque, l’obiettivo è quello di cogliere in vitro lo stato nascente di quelle forme linguistiche che caratterizzano il livello strutturale della lingua, le forme, cioè, che interessano la considerazione tipologica. Il contatto con la sede di Pavia e con la scuola di Anna e Paolo Ramat, che con grande generosità inserirono immediatamente Giuliano nella loro fitta rete di contatti scientifici sul piano internazionale (Giuliano compare presto come co-editor di alcuni volumi pubblicati da de Gruyter dedicati a questioni tipologiche, cfr. Bechert/ Bernini/ Buridant 1990, Bernini/ Schwartz 2006), significò un deciso ampliamento dei suoi interessi scientifici in senso tipologico. In quell’epoca (siamo nella seconda metà degli anni Ottanta) Paolo Ramat stava lavorando sulla interrelazione tra diffusione areale e tratti tipologici dei sistemi linguistici, un filone di ricerca che confluì agli inizî degli anni Novanta del secolo scorso nel grande progetto quinquennale “EUROTYP-- Typology of Languages in Europe” (1990-1994) finanziato dalla European Science Foundation (ESF) e diretto da Ekkehard König, che vide proprio in Ramat (assieme a Bechert, Buridant e Harris) uno dei principali promotori verso la fine del 1989 (Pottier 1990) e che diede luogo a una serie di nove volumi di ricerche linguistiche orientate essenzialmente verso la tipologia morfo-sintattica (inclusi gli aspetti prosodici). L’ipotesi di fondo, comprovata da una notevole serie di riscontri fattuali e fondata sull’intuizione dell’esistenza di uno Standard Average European, SAE (cfr. Whorf 1970: 103), uno Sprachbund all’interno di quella che verrà poi chiamata “area linguistica di Carlo Magno”, è che si siano prodotti nel corso del tempo fenomeni di convergenza areale tra lingue non strettamente imparentate e che questi fenomeni siano evidenti sul piano delle caratteristiche tipologiche. Entro una simile cornice teorica (che si basa su una prospettiva eminentemente funzionalista della tipologia che considera “la langue comme ‘problem solving system’”, Ramat 1985: 21) s’inseriscono le ricerche di Bernini sulla tipologia della negazione, ricerche nelle quali non manca mai un’attenzione peculiare agli aspetti semantico-pragmatici, una sorta di sphragís tipica di Giuliano. Così, ad esempio, si dimostra la solidarietà areale esistente fra lingue con morfemi negativizzanti post-verbali che discendono da antichi sintagmi discontinui (Bernini 1990a), si delinea lo sviluppo dei differenti quantificatori autonomi e la codificazione semantica dei quantificatori intrinsecamente negativi (Bernini 1991), <?page no="19"?> 19 si descrive il micro-sistema degli strumenti della negazione in italiano (Bernini 1992b), si ipotizza la possibile origine da contatto col portoghese dell’uso della negazione finale di frase in afrikaans (Bernini 1994a). Queste e molte altre linee di ricerca si trovano sintetizzate nel volume pubblicato assieme a Paolo Ramat uscito prima in italiano (Bernini 1992a) e poi in una versione ampliata in inglese (Bernini 1996b; vedi anche Bernini 1994c, Bernini 1998a e Bernini 2011). Successivamente a questo milestone nella sua produzione scientifica Giuliano Bernini si è interessato più in generale di descrizioni tipologiche sia delle forme di negazione proibitiva e di proposizione (Bernini 1998b), sia delle forme di codificazione della topicalizzazione nelle lingue d’Europa (nell’importante lavoro di Bernini 2006a) e della lessicalizzazione delle relazioni spaziali legate alla disponibilità di determinate classi di parole, non senza - ancora una volta - un’attenta considerazione dell’incidenza di fattori pragmatici (Bernini 2010b). Scopo dichiarato quello di rintracciare possibili fenomeni universali da ascrivere al dominio sintattico e pragmatico delle lingue. Nella complessa e articolata produzione scientifica di Giuliano Bernini il lavoro del 2016 sull’eredità saussuriana e sui moderni approcci funzionalisti costituisce, a mio giudizio, un’eccellente visione di sintesi delle convinzioni teoriche dello studioso nei confronti delle tante tematiche di ricerca che ha affrontato e che abbiamo provato a riassumere in grandissime linee. Il paradigma saussuriano declinato nelle celebri antinomie del Cours è discusso alla luce di quello che è il precipuo interesse scientifico di Bernini: l’esame concreto del funzionamento delle categorie grammaticali, definite in sede di comparazione tipologica, in due differenti test cruciali, i processi acquisizionali forieri del contatto linguistico e gli scenarî diacronici. Superata la nozione di arbitrarietà e riguadagnata quella di “motivazione relativa” (inclusi l’iconismo e la marcatezza) ma rivista alla luce della “posizione funzionalista [che] individua invece la motivazione nel rapporto tra piano del contenuto e piano dell’espressione”, Bernini nota con convinzione come uno dei fattori più rilevanti dell’allontanamento da Saussure consista nella “motivazione dei segni [che] è verificata e valutata ricorrendo a fattori esterni alla lingua, appiattendo così sullo stesso sfondo le differenze riscontrate all’interno della stessa lingua e oscurandone le eventuali connessioni di sistema” (Bernini 2016a: 13). La tendenza omogenizzante del funzionalismo moderno che oscura le variazioni (incluso il secondo livello “normale” della tecnica linguistica evidenziato a suo tempo da Coseriu) è giustamente falsificata, secondo Bernini, non solo alla luce dei fattori pragmatici che agiscono nel circuito discorsivo, ma anche e soprattutto dallo studio delle modalità acquisizionali: “proprio l’osservazione di interazioni tra parlanti diverse varietà di apprendimento, native e non-native, illumina il problema metodologico che l’approccio funzionalista incontra ipo- <?page no="20"?> 20 Il percorso scientifico di Giuliano Bernini tizzando comunità di parlanti omogenee. Infatti la presenza di elementi o costruzioni comuni nell’interazione di due parlanti può nascondere organizzazioni grammaticali anche molto diverse, che si possono individuare solo osservando più estesamente il comportamento linguistico dei parlanti coinvolti” (Bernini 2016a: 16). In definitiva, anche nel caso della diacronia e delle strategie di grammaticalizzazione che interessano le differenti organizzazioni linguistiche delle mappe concettuali, emerge una posizione molto equilibrata di Bernini che fa tesoro sia dei tanti insegnamenti ricevuti nel corso della sua lunga e proficua carriera scientifica sia delle concrete esperienze di ricerca sul campo che hanno costellato la sua produzione. Da un lato una scelta di campo netta per il funzionalismo ancorato alla realtà dei contenuti comunicativi, dall’altro un’attenzione verso i contesti cruciali nei quali nascono e si consolidano le categorie - l’acquisizione spontanea e il contatto nonché i riflessi nella diacronia delle lingue. Con l’intento chiarissimo di poter attingere ai livelli sistemici e possibilmente universali delle lingue e del linguaggio, nella instancabile e rigorosa quête di ciò che Wilhelm von Humboldt in un passo celebre dell’Über die Verschiedenheit des menschlichen Sprachbaues und ihren Einfluss auf die geistige Entwickelung des Menschengeschlechts chiamò “die sich ewig wiederholende Arbeit des Geistes, den articulirten Laut zum Ausdruck des Gedanken fähig zu machen”, ossia “il lavoro eternamente reiterato dello spirito, volto a rendere il suono articolato capace di esprimere il pensiero” (Humboldt 1836: 41, trad. it. Humboldt 1991: 37). Riferimenti bibliografici Belardi 1991 = W.B., Storia sociolinguistica della lingua ladina. Roma-Corvara-Selva: Dipart. Studi Glottoantropol. Univ. “Sapienza”-- Casse Raiffeisen della Val Badia e della Val Gardena. Belardi 1994 = W.B., Profilo storico-politico della lingua e della letteratura ladina. Roma: Dipart. Studi Glottoantropol. 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Per questa cernita piuttosto laboriosa, e comunque affettivamente non indolore, ci siamo dunque lasciati ispirare da alcuni criteri che almeno nelle nostre intenzioni permettessero di rendere questo volume un insieme scientificamente organico e coerente, nonostante la molteplicità degli argomenti trattati. Il primo criterio adottato è quindi stato quello della rappresentatività dei temi affrontati via via nel corso degli anni da Giuliano. Infatti, un elenco anche cursorio delle aree di ricerca da lui frequentate colpisce per l’ampiezza dello spettro di tematiche trattate, che include perlomeno linguistica acquisizionale, linguistica applicata, linguistica comparata, linguistica teorica, sociolinguistica e dialettologia, tipologia linguistica, sovente messe in fruttuoso rapporto dialettico tra loro. La versatilità intellettuale di Giuliano - qualità rara - ha così portato a riproporre in questa raccolta ricerche relative ad argomenti tra loro assai diversi, tra cui alcuni squisitamente tecnici quali la fonologia dell’interlingua, la negazione proibitiva, o l’impatto di Ferdinand de Saussure sugli approcci funzionalisti contemporanei; e altri invece caratterizzati da attualità di prospettiva come il contributo sulle politiche e le pratiche di insegnamento linguistico nell’università italiana. Per quanto relativi a temi eterogenei, questi lavori sono però caratterizzati da tratti ricorrenti che testimoniano la coerenza del percorso scientifico di Giuliano. Anzitutto l’adesione critica a una ricerca empirica in cui ogni affermazione deve essere basata su dati reali, per lo più osservati o elicitati in prima persona, come ben illustra l’inedito sulla trascrizione del parlato di non nativi contenuto in questo volume. Poi - perlomeno fin là dove sia possibile - l’orientamento tipologico, che serve a inquadrare il fenomeno sotto indagine, a fornirne una chiave interpretativa per l’analisi, nonché un commento di natura comparativa o contrastiva. Infine, il riconoscimento che ciascun dato osservabile non solo può sempre essere analizzato perché parte di un sistema, ma può esserlo da prospettive diverse e solitamente complementari, 1 I curatori ringraziano gli editori e i titolari dei diritti delle pubblicazioni da cui sono tratti gli articoli raccolti in questo volume per il loro permesso di riproduzione. Le collocazioni originali dei diversi lavori sono riportate in nota a ogni singolo contributo. <?page no="26"?> come testimonia il fatto che nei contributi ricorrono esempi indagati da punti di vista sempre nuovi. Il secondo criterio cui ci si è ispirati nella scelta dei contributi è stato quello della rappresentatività dei registri. Infatti, oltre alla vasta produzione scientifica destinata alla comunità accademica, Giuliano sin dai primi anni della sua carriera si è dedicato con passione anche alla stesura di lavori indirizzati ad apprendenti e insegnanti di lingue, mettendo così a frutto le competenze acquisite in anni di lavoro e dando seguito a quella che oggi nel linguaggio ministeriale è chiamata “terza missione”. In tal senso spiccano particolarmente l’attenzione dedicata al tedesco come lingua straniera (ad esempio: Grammatica tedesca. I programmi di frase, CELSB 1981) e all’italiano come lingua seconda, senza però dimenticare l’interesse rivolto ai lettori della stampa generalista, come nel caso della lettera destinata al quotidiano Die Zeit riprodotta in questo volume e mai pubblicata prima d’ora. Sono, questi, dei lavori da cui emergono con forza e limpidezza la costante spinta al pubblico servizio e il convinto spirito di impegno civile di Giuliano, sempre attivo nella diffusione a tutti i livelli del sapere specialistico e nella promozione di una possibile interpretazione linguistica - e quindi non immediatamente politica - dei comportamenti individuali e sociali. Il terzo criterio adottato nella scelta dei contributi è stato quello, solo apparentemente secondario, della loro reperibilità. Questa è la ragione che ha indotto a privilegiare la riproposizione di articoli di data meno recente ma ancora stimolanti, o pubblicati in sedi meno facilmente accessibili ma comunque meritevoli di rinnovata attenzione. Ci è parso, questo, il modo più semplice ed efficace per garantire, a chi ne fosse interessato, la possibilità di più compiutamente ricostruire il complesso del pensiero scientifico di Giuliano non solo da un punto di vista filologico, ma per recuperarne una lezione pienamente attuale. Da ultimo, il quarto criterio, quello in cui ci si è concessi, con misura, di far prevalere il tratto della consuetudine amichevole con Giuliano: quello dell’interesse personale di chi ha curato la raccolta che qui viene proposta, ovvero colleghi, allievi, e amici che, riconoscenti per i tanti insegnamenti e le opportunità di confronto da lui ricevute, hanno inteso farsi portavoce del sentimento della comunità scientifica e dare un segno, che fosse evidente e concreto, della gratitudine e della stima per Giuliano Bernini. Pierluigi Cuzzolin, Roberta Grassi, Lorenzo Spreafico, Ada Valentini. Università degli studi di Bergamo 26 Premessa dei curatori <?page no="27"?> 27 1 Le preposizioni nell’italiano lingua seconda* 1.1 Introduzione In questo contributo intendo presentare alcuni aspetti dello sviluppo dell’uso delle preposizioni nei processi di apprendimento spontaneo dell’italiano come lingua seconda. La discussione riguarderà solo il quadro generale dei percorsi di apprendimento delle preposizioni italiane, metterà cioè in luce solo i principali momenti dello sviluppo della grammatica delle preposizioni, nel tentativo di ipotizzare una sequenza di acquisizione da sottoporre a verifica e da precisare nei dettagli sulla base dell’analisi comparata di dati, soprattutto longitudinali, di altri apprendenti con lingue prime diverse 1 . La discussione è fondata su dati forniti da diversi soggetti: si tratta di un’apprendente germanofona di 48 anni, che indicheremo convenzionalmente con la sigla TE 2 ; di sei apprendenti arabofoni, che indicheremo con le sigle AE1, AE2, AE3, AE4, AP, AL 3 ; di un giovane apprendente eritreo di lingua tigrina, che * Tratto da: Quaderni del Dipartimento di Linguistica e di letterature comparate. Bergamo, Istituto Universitario, 3 (1987 [ma 1988]): 129-152. Questo lavoro è parte del progetto triennale interuniversitario su “Apprendimento linguistico e comunicazione interetnica”, sede centrale: Pavia, fondi MPI 40% - 1986. 1 Per i problemi di ordine generale concernenti la definizione di sequenze di apprendimento e i vantaggi dell’uso di dati longitudinali e trasversali, cfr. Dulay et al. (1982: 200-231, 244-260). Per l’apprendimento di preposizioni, soprattutto spaziali, cfr. Ijaz (1986); Pavesi (1987, 1988); Schumann (1986). 2 TE è stata intervistata a intervalli regolari tra l’ottobre 1985 e il dicembre 1986. Al momento della prima registrazione (31.10.85), TE era in Italia da 6 mesi e faceva la casalinga. Accanto a tutti gli esempi di TE è indicata la data in cui è stata fatta la rilevazione da cui sono tratti. La trascrizione è semplificata e adattata all’italiano, compresa l’interpunzione. Questi dati mi sono stati messi a disposizione molto gentilmente da Flavia Drei, che ha studiato lo sviluppo longitudinale dei pronomi atoni in TE (cfr. Drei 1986). A lei sono anche debitore di molti suggerimenti riguardanti l’apprendimento delle preposizioni da parte di TE. 3 AE indica “arabo egiziano”, AP “arabo palestinese” e AL “arabo libico”. Di questi sei apprendenti, tutti di età compresa tra i 20 e i 30 anni, i primi quattro (AE1, AE2, AE3, AE4), al momento della rilevazione nel 1984, erano lavoratori manuali, in Italia per un periodo variabile da un minimo di uno a un massimo di tre anni. AP era invece studente (in Italia da quattro anni) e AL giornalista (in Italia da 15 anni). I livelli di competenza sono medio-bassi per i soggetti AE (per i quali i numeri di riferimento indicano grosso modo anche gradi crescenti di competenza) e alti per AP e AL. La morfo-sintassi di AL è di fatto <?page no="28"?> 28 Le preposizioni nell’italiano lingua seconda indicheremo invece con TI 4 . Le registrazioni da cui sono tratti i dati per tutti i soggetti presi in esame sono costituiti da conversazioni libere con l’intervistatore (lo scrivente per gli arabi e TI, Flavia Drei per TE). 1.2 Osservazioni contrastive Prima di affrontare il nostro tema, è necessario fare alcune considerazioni, ancorché di ordine molto generale, sulle preposizioni, con particolare riguardo, ovviamente, all’italiano e al confronto fra questo e le lingue dei nostri apprendenti, cioè tedesco, arabo colloquiale, tigrino. Anzitutto va osservato che le preposizioni hanno uno statuto intermedio tra il lessico e la grammatica 5 . Alcune di esse possiedono un significato concreto e sono prevalentemente monosemiche (tra/ fra e tutte le locuzioni prepositive: dopo di, fino a, da parte di, in seguito a, etc.) oppure mostrano una lieve polisemia (p. es. con, comitativo e strumentale, e su, locativo-direttivo e argomento). Altre, invece, veicolano un significato più propriamente grammaticale, concorrendo ad esprimere le funzioni sintattiche che in altre lingue (p. es. il latino) sono espresse da casi: a, p. es., serve per codificare il dativo e, almeno nel parlato comune, l’accusativo di nomi umani dislocati, come in: A Carlo la cosa non lo (ACCUSATIVO) convince. molto vicina a quella di un nativo e quindi da lui non verranno citati molti esempi. Di tutti questi soggetti è già stato studiato, in prospettiva trasversale, lo sviluppo fonetico (cfr. Bernini 1988). Per la trascrizione si noti che: ṡg(i) indica la fricativa alveopalatale sonora; +, ++, +++ indicano pause via via più lunghe (grosso modo da meno di un secondo a due secondi e più); la virgola sta per una improvvisa cesura intonativa senza pausa; - indica intonazione sospensiva e ? intonazione ascendente interrogativa; l’andare a capo senza punto segnala l’intonazione discendente di fine enunciato; tra () sono inseriti elementi poco udibili e tra [] osservazioni e interpolazioni del trascrivente. 4 Di TI prenderemo in esame solo le prime due rilevazioni di una serie di 12 effettuate a intervalli abbastanza regolari tra l’ottobre 1986 e il maggio 1987. TI è un giovane adulto in Italia da un mese al momento della prima rilevazione. Frequentava una scuola di italiano per stranieri presso il Liceo Volta di Milano, che ringraziamo per la cortese disponibilità a concedere spazi per le interviste. 5 Le veloci osservazioni di questo paragrafo non possono ovviamente rendere conto della complessità dei problemi teorici connessi con l’analisi delle preposizioni. D’obbligo, al riguardo, è il riferimento a Brøndal (1940) e alla recente bibliografia di Guimier (1981). Per lavori più recenti si vedano l’antologia curata da Christoph Schwarze (1981) e Weinrich (1976) e, per l’italiano in particolare, Weinrich (1978) e Hottenroth (1983). Per comodità parleremo sempre di preposizioni, ma si ricordi che l’italiano possiede anche due posposizioni: fa e prima (p. es. tre anni fa/ prima) e una preposizione che può anche essere usata come posposizione: dopo (p. es. dopo vent’anni/ vent’anni dopo). Il termine in uso nella letteratura specialistica che sussume sia preche posposizione è adposizione. <?page no="29"?> 29 L’intersezione di caratteristiche lessicali e grammaticali è di nuovo ben illustrata dalla stessa preposizione a, che oltre ad avere i significati “grammaticali” di dativo e, in certi casi, di accusativo, possiede anche il significato più “concreto” di stato in luogo e direzione, come in essere/ andare all’università. L’intersezione di lessico e grammatica si può inoltre notare nel caso dei complementi circostanziali con verbi come mettere: questi complementi rappresentano una funzione sintattica obbligatoria prevista dalla valenza del verbo, che viene realizzata con una gamma definita di elementi lessicali, e precisamente, nel nostro esempio, con le preposizioni dotate del tratto [locativo-direttivo], come in: Carlo mette il libro nell’/ sull’/ sopra/ sotto/ dietro l’armadio. Inoltre le preposizioni con un significato più spiccatamente lessicale mostrano tendenzialmente poca polisemia (un argomento che tratteremo in specifico tra poco) e possono funzionare in certi casi anche da avverbi (p. es. su, sotto, dopo, etc.). D’altro canto l’uso delle preposizioni per esprimere funzioni sintattiche ne appanna il significato fino a renderle elementi puramente relazionali, come mostra la reggenza fissa di molti verbi e aggettivi, come contare su, convincere di, credere in, entusiasmarsi per, riuscire a; deciso a, soddisfatto di, etc. Le preposizioni di questo tipo, poi, oltre ad accompagnare sintagmi nominali, possono introdurre anche subordinate implicite e vanno così a confondersi con le congiunzioni, cfr. desideroso di successo / di vedere i bambini. Un’altra caratteristica delle preposizioni italiane è costituita da diffusi casi di polisemia, soprattutto per quelle preposizioni che veicolano più che altro significati grammaticali, come a, che abbiamo già avuto modo di discutere poco sopra. Un altro esempio notevole, a questo riguardo, è fornito da da, come mostrano gli esempi seguenti: Carlo viene da Roma (PROVENIENZA); Carlo viene da Irene (DIREZIONE); Carlo è stato battuto da Luigi (AGENTE). Notevoli sono anche i casi di sinonimia parziale, illustrati emblematicamente da a e in, che sono interscambiabili davanti a nomi indicanti luoghi chiusi pur senza totale identità di significato (p. es. al/ nel cinema, a/ in casa), mentre in altri casi il loro impiego è governato dal tipo di lessema (p. es. in montagna, in Sicilia, a Roma, a Cipro) 6 . 6 Le regole che si possono formulare a questo riguardo ammettono un certo margine di eccezioni. Quella che governa l’uso di a locativo con nomi di città e piccole isole, p. es., <?page no="30"?> 30 Le preposizioni nell’italiano lingua seconda Infine non si può dimenticare la parziale allomorfia che caratterizza l’agglutinazione di di e in con l’articolo (nel, del, etc.) 7 . Vediamo ora come le tre lingue prime degli apprendenti presi in esame rispondono all’organizzazione delle caratteristiche generali delle preposizioni italiane. In tedesco, come è ampiamente noto 8 , abbiamo accanto alle preposizioni un paio di posposizioni e di circumposizioni (p. es. den Fluß entlang “lungo il fiume”, um Gottes willen “per l’amor di dio”). Le preposizioni possono anche funzionare da avverbi/ particelle (pre)verbali, come nell’esempio seguente: Kurt stieg aus dem Zug aus “Kurt scese dal treno” dove il primo aus introduce un SP e il secondo è una particella col significato di “fuori da” (cfr. aussteigen “scendere” vs. steigen “salire”). Non ci sono invece sovrapposizioni tra la categoria di preposizione e quella di congiunzione (forse con l’unica eccezione di um e statt che possono introdurre subordinate implicite). Dal punto di vista morfosintattico le preposizioni vengono usate insieme ai casi e codificano solo le funzioni circostanziali, mentre quelle fondamentali di soggetto e di oggetto diretto, indiretto e in parte obliquo sono appannaggio dei casi, cfr. Der Schüler (NOM) gibt dem Lehrer (DAT) den Bleistift (ACC) “Lo scolaro dà la matita al maestro”. Il complemento di specificazione può essere reso sia col genitivo che con la preposizione von, che regge il dativo, come in das Haus des Lehrers/ von dem Lehrer “la casa dell’insegnante”. Per quanto riguarda infine il piano semantico, l’organizzazione dei significati, soprattutto di quelli spaziali, è caratterizzata dalla pertinenza della distinzione tra stato e direzione (p. es. in dem Haus (LO- CATIVO) vs. in das Haus (DIRETTIVO) “nella casa”) e di quella tra “inclusione” (in) e “vicinanza” (bei, zu “presso”) e tra presenza e assenza di contatto (p. es. auf. vs. über, ambedue col significato di “su”). Le diverse varietà di arabo parlate in Egitto, in Palestina e in Libia 9 mostrano, sempre per quanto riguarda le preposizioni, un quadro simile a quello dell’itafunziona nei tre casi citati a mo’ d’esempio ma è contraddetta da a Cuba. 7 Lo stesso vale per per, con (cfr. pel, col, etc.), ma per “articolato” non è più in uso e di con è usata solo la forma col (vs. con la, con gli, etc.). 8 Basta qui il riferimento alla grammatica DUDEN, Drosdowsky et al. (1984: 358-372). 9 In studi di questo genere è cruciale il riferimento alle varietà di arabo effettivamente parlate dagli apprendenti e non all’arabo classico di tradizione coranico-letteraria, usato in tutti i paesi arabi come varietà “alta”. La distanza tra le varietà parlate e quella classica è paragonabile a quella tra le lingue romanze e il latino. Le varietà parlate si differenziano <?page no="31"?> 31 liano. Infatti si sovrappongono in parte agli avverbi (p. es. egiz./ pal. fō ʔ , lib. fōg “sopra, su”) e, in mancanza di un sistema di casi, codificano oggetti indiretti ed obliqui, oltre che, naturalmente, i circostanziali. Occorre però notare che certi verbi i cui corrispondenti italiani reggono un complemento di moto, in arabo sono transitivi, p. es. daxal “entrò”. Inoltre, almeno in arabo egiziano, con verbi di moto spesso la preposizione è facoltativa, cfr. rāḥ il -bēt per rāḥ l -il -bēt andò ARTICOLO casa andò DIRETTIVO ARTICOLO casa “Andò a casa” (Ahmed 1981: 135). La costruzione possessiva nominale ha, come in italiano, l’ordine testa-modificatore ed è indicata o dalla sola giustapposizione dei nominali o dall’inserzione, fra questi, di un cosiddetto “esponente di genitivo” che concorda in genere e in numero con la testa e che in egiz. è bitā c , in lib. imtā c , in palest. tabā c , p. es. kitāb iṭ -ṭālib libro ART studente “il libro dello studente” oppure il -kitāb bitā c iṭ -ṭālib ART libro GENITIVO: MASCH ART studente ma il -villa bitā c -it il -wazīr ART villa: FEMM GENITIVO FEMM ART ministro “la villa del ministro” (Ahmed 1981: 30). Per quanto riguarda l’organizzazione semantica, occorre notare che la distinzione tra stato e moto è pertinente solo per fi “in, a” (locativo) e li “in, a” (direttivo), ma non, p. es. c and “presso” o c alā “su”. Degni di nota sono anche la coincidenza tra loro per il lessico, la fonologia, la morfologia e meno per la sintassi. Le brevi note sulle preposizioni sono tratte da Ahmed (1981: 134-137) e Owens (1984: 188-209). <?page no="32"?> 32 Le preposizioni nell’italiano lingua seconda di dativo, benefattivo/ finale e direttivo in li e l’uso di li e di c and “presso”, talvolta anche di ma c a “con”, in costruzioni che traducono il nostro verbo avere, p. es. il -muftāh li -Ḥasan ART chiave DATIVO Hassan “Hassan ha la chiave”. Infine, l’arabo non ha subordinate implicite e le preposizioni non possono accompagnare sintagmi verbali. Il tigrino mostra un quadro notevolmente diverso 10 : è una lingua con ordine basico SOV e con un sistema misto di preposizioni e circumposizioni. Queste ultime si appongono non solo a SN, ma anche a intere frasi, cfr. bɨ zɨ -ra ʔ xa -yyo gɨze IN RELATIVO vedesti/ vedi lui TEMPO “quando lo vedesti/ vedi”. Le circumposizioni si usano per esprimere relazioni spaziali e temporali. Per quanto riguarda invece le relazioni sintattiche fondamentali, la preposizione nɨ è usata per il moto a luogo, il dativo e, facoltativamente, l’accusativo definito. Il genitivo è espresso dalla giustapposizione di posseduto e possessore (cioè con l’ordine testa-modificatore) o mediante la preposizione nay, però con l’ordine inverso modificatore-testa, come in nay tɛmɛhari mɛs’ħaf GENITIVO studente libro “il libro di uno studente”. Le sommarie osservazioni testé fatte per il tedesco, l’arabo parlato e il tigrino mostrano come le preposizioni, una categoria presente in tutte e tre le lingue nonostante la diversa filiazione tipologica, non condividano analoghi valori nell’ambito del sistema morfosintattico cui appartengono. Dal punto di vista contrastivo rispetto all’italiano, in particolare, si deve rilevare: a) la diversa sovrapposizione di preposizioni e di avverbi (o particelle preverbali a questi simili) da una parte e congiunzioni dall’altra; 10 Cfr. Bender et al. (1976). Il tigrino è una lingua afroasiatica del gruppo etiosemitico settentrionale. Per le glosse degli esempi mi ha fornito un prezioso aiuto Andom Habtefadega. <?page no="33"?> 33 b) il diverso ruolo delle preposizioni nella codificazione delle relazioni sintattiche fondamentali, a seconda della presenza o dell’assenza di un sistema di casi; c) la diversa organizzazione interna semantica delle preposizioni, con pertinentizzazione di distinzioni più o meno fini, polisemia e sinonimia. 1.3 L’acquisizione delle preposizioni Vediamo ora come si configura la ricostruzione delle funzioni delle preposizioni italiane nei processi di apprendimento di lingua seconda attraverso i diversi stadi di avvicinamento alla lingua di arrivo. Ovviamente, dato il quadro tipologico-contrastivo abbozzato sopra, l’apprendimento sarà caratterizzato soprattutto da fenomeni di semplificazione del sistema della lingua di arrivo sia nel senso di impoverimento dell’inventario dei suoi elementi che di una regolarizzazione nell’uso di questi 11 . Minimo sarà il ruolo giocato dall’interferenza a livello superficiale date le scarse possibilità di identificazioni interlinguistiche di elementi della prima e della seconda lingua 12 . 1.3.1 Sintagmi fissi I primi stadi di apprendimento sono caratterizzati da SP che costituiscono espressioni fisse, come p. es. a casa, al ristorante, da solo, in giro, sul lavoro, sul Nilo. Si tratta, in parte, di espressioni quasi idiomatiche (da solo, in giro, anche a casa) che possono funzionare come unità lessicali, come mostra l’esempio seguente: 11 Per la nozione di semplificazione, invero molto controversa, cfr. Mühlhäusler (1974). Per una discussione dei livelli anche “profondi” a cui possono verificarsi interferenze, cfr. l’antologia a cura di Gass e Selinker (1983). L’apprendimento delle preposizioni dovrebbe poi essere integrato in una discussione di più ampio respiro sull’apprendimento dell’ordine dei costituenti, sull’esempio di Zobl (1986). 12 L’unico caso sicuro di interferenza di questo tipo è diverso come, che replica in TE il ted. anders wie (colloquiale per anders als dello standard). Cfr. Loro tanto diverso·come me·(15.12.86). Anche in questo caso, però, non si può fare a meno di notare che l’interferenza riguarda un uso della preposizione da, di più arduo apprendimento. Vale forse anche la pena di ricordare che tutti i nostri apprendenti ad esclusione di TE dispongono anche di una varietà elementare di apprendimento dell’inglese, che non sembra però esercitare alcun influsso sull’apprendimento dell’italiano, se si eccettuano rari casi di calchi del tipo TI: per primo tempo “per la prima volta” su modello dell’ingl. for the first time. <?page no="34"?> 34 Le preposizioni nell’italiano lingua seconda I[ntervistatore]: […] avete una casa vostra? TI: sì + c’è a casa (in) Cinque Giornate In parte si tratta invece di SP con preposizione articolata, che in queste varietà di apprendimento è indizio sicuro di sintagma non analizzato, in quanto l’articolo non si è ancora pienamente sviluppato 13 . A questo gruppo va assegnata la stragrande maggioranza delle occorrenze della preposizione su, che compare quasi sempre nella forma articolata, cfr., oltre ai due esempi già riportati: AE1: sul deserto, sulla strada, risbosto sul ṡgiornali, io l’ho letto su la radio, su Natali AE2, AE3: sul lavoro (più volte) TE: accendiamo candele sul Tannenbaum (2.12.85); quando tutti sul tavolo e quando mangiano (4.3.86); messo questo pettine dentro sulle capelli (21.4.86). A parte alcune sovraestensioni in AE1 (su Natali, su la radio), abbiamo sostanzialmente solo esempi di sintagmi fissi. Solo AL e AP usano regolarmente su, che viene talvolta sovraesteso, come nell’esempio seguente: AP: si può studiare su quel certificato “si può studiare con quel certificato”. Questo ritardo nell’apprendimento di su è probabilmente legato anche a un suo uso relativamente poco frequente, nel parlato dei nativi, al di fuori dei casi esemplificati 14 . Ai sintagmi fissi possiamo accostare il caso delle risposte eco a domande dell’intervistatore, dove la preposizione è fornita dal contesto del discorso, come in: 13 Non trattiamo qui dello sviluppo di preposizioni articolate (che in TE appaiono dopo circa otto mesi di permanenza in Italia), che dovrebbe essere costituito da un primo stadio di preposizione semplice e di articolo, come in TE: Lui dormito in l’albergo (16.10.86) e da un secondo stadio senza ancora agglutinazione ma con l’allomorfo richiesto, come in TE: Le scuole erano piene de la gente (27.11.86). 14 Possiamo inserire qui anche le uniche due occorrenze di tra, AE1: io tra loro (due volte). <?page no="35"?> 35 I: sei qua in Italia da? AE4: da, setantanove otanta + da quasi tre quattro anni I: e + di dove sei? da dove vieni? TI: eh + da Eritrea Anche se non possiamo più parlare di sintagmi fissi, ma di SP veri e propri, come mostra la presenza di materiali lessicali diversi nelle domande e nelle risposte dei due esempi riportati, questi casi, come i precedenti, non rientrano pienamente nel processo di apprendimento, in quanto le relative preposizioni non vengono usate autonomamente dall’apprendente, ma ripetute su stimolo dell’intervistatore 15 . 1.3.2 Le prime preposizioni Sempre nei primi stadi, i primi casi di apprendimento sono costituiti dalla posposizione fa e dalle locuzioni prepositive fino (a) (solo in senso temporale) e vicino a, cfr. I: quando sei arrivato in Italia? TI: eh +++ un mese fa AE1: du mesi fa no l’ho vista “non la vedo da due mesi” AE1: comincio ‘l lavoro alle nove fino le tre + a le sei fino le dieci AE1: vicino a Iskandrija “vicino ad Alessandria” Si tratta, come facilmente si può notare, di elementi dal significato “concreto” e che non servono ad esprimere relazioni grammaticali. Oltre a ciò, tutti e tre sono solidali col materiale lessicale che reggono per i tratti [tempo] e [luogo] rispettivamente e rispondono ai primi bisogni comunicativi degli immigrati 16 . 15 Come vedremo al § 1.3.9, da è una preposizione di sviluppo piuttosto tardo. 16 Anche presso apprendenti turchi di tedesco bis “fino (a)” (insieme a in “in” e a mit “con”, per cui v. sotto) è tra le prime preposizioni ad essere acquisite, cfr. Keim (1984: 211-219). <?page no="36"?> 36 Le preposizioni nell’italiano lingua seconda 1.3.3 Assenza di preposizioni Oltre che da espressioni fisse e dalle tre adposizioni viste nel precedente paragrafo, le varietà di apprendimento meno sviluppate sono anche caratterizzate da moltissimi casi di assenza di preposizioni, come mostrano gli esempi seguenti: AE2: andato Napoli e boi a Venesia 17 I: al Cairo? AE1: no, mio baese I: con cosa? con il treno o - TI: no, aereo TI: io Asmara + eh + collegio La Sale quattro anni “io [ho studiato] all’Asmara, al collegio La Salle, per quattro anni” I: perché sei venuto in Italia? TI: eh + c’è il problema la militaria “c’è il problema dei militari” TE: sua mamma questo filio (19.12.85) “la mamma di questo ragazzo” TE: sorella mio marito (10.1.86) “la sorella di mio marito” TE: cane portato legno suo padrone (2.12.85) Come si vede, le relazioni che rimangono inespresse sono di diverso tipo: spaziale, temporale, strumentale, genitivo, dativo. Tra queste, le più diffuse sono quelle spaziali, che non vengono esplicitate da una preposizione anche in stadi di apprendimento più avanzati, cfr. AE4: io sono qui tre anni ++ tre anni sono Milano; che studiamo l’università AP: ci siamo messi Ramalla; poi, quando sono arrivato una certa età 17 L’assenza di preposizioni, come ben attesta quest’esempio, è un fenomeno variabile, come quasi sempre si riscontra nelle varietà di apprendimento. <?page no="37"?> 37 Per i quattro apprendenti arabofoni con interlingue meno sviluppate (cioè AE1, AE2, AE3, AE4), i locativi-direttivi rappresentano circa la metà di tutti i casi di assenza di preposizione. Anche se si potrebbe parlare, in questo caso, di parziale interferenza, dato il fatto che, almeno nella varietà di arabo egiziano, la preposizione li per il moto a luogo è facoltativa e a certi verbi intransitivi italiani corrispondono in arabo verbi transitivi (v. sopra § 1.2), tale ipotesi viene confutata dall’assenza di preposizione anche con i locativi, mentre fi, che vi corrisponde in arabo, non è mai cancellato, e dal fatto che questo stesso fenomeno si osserva anche per apprendenti con un diverso retroterra linguistico 18 . I casi di assenza di preposizione fanno riscontro alle proprietà strutturali degli enunciati delle prime varietà di apprendimento, caratterizzati dall’assenza di legami sintattici espliciti (quali appunto le preposizioni), che possono essere recuperati dal contesto o dal senso delle parole impiegate, come mostrano tutti i nostri esempi 19 . Questo ci fa meglio comprendere la persistenza di complementi di luogo (e in parte di tempo) senza preposizione, ridondanti con nominali già dotati del tratto [luogo], soprattutto in quei contesti dove c’è anche un verbo di moto o di stato. 1.3.4 Con Con appare molto presto presso tutti i tipi di apprendimenti 20 col significato comitativo che fondamentalmente le compete. Alcuni esempi: lui adesso - eh - con me America; l’uomo, guerra con - neri personi “l’uomo combatte con(tro) dei negri” AE1: boi fatto un abuntamento con lei; ho barlato con lui AE3: mbarato così con l’amisci TE: siamo andai in Lokal con amici (3.2.86); per me va bene quando io con una persona imparo (16.7.86) 18 Anche nell’italiano semplificato di Etiopia, una forma pidginizzata, i locativi e i direttivi non hanno preposizioni, cfr. Loro stare Addis Abεba, ɨyo andato Addis Abεba, ɨyo andato lospεdale (Habte-Mariam 1976: 178). 19 Gli enunciati di questo tipo sono in realtà governati da principi “universali” di natura pragmatica, quali la sequenza topic-comment, cfr. Klein (1984: 93 sgg.) e Givón (1979). 20 A ciò fa riscontro la precoce apparizione di mit nel tedesco di apprendenti turchi, cfr. Keim (1984: 211-219). <?page no="38"?> 38 Le preposizioni nell’italiano lingua seconda Con viene anche usata molto presto in senso strumentale 21 , che forse è altrettanto fondamentale del primo nell’italiano dei nativi, cfr. AE1: con la mmachina AE2: c’è tantissimi mbarato bene la lingua con le nostro brogrami de la scuola AE3: fare questo così con mani Questi due sensi sono alla base delle generalizzazioni di con a contesti che non hanno espressioni corrispondenti nella lingua d’arrivo e che si riscontrano per tutti i tipi di apprendenti. Per la generalizzazione del senso comitativo, cfr. TI: eh ++ lavora a casa ++ eh ++ con familia “lavora in una casa, da una famiglia” e + il padre de - fili eh + lavorare con un ufficio “e il padre dei figli lavora in un ufficio” io vado con una - scuola del governamento di Etiopia 22 “frequento una scuola del governo etiopico” TE: questa Sandra telefona con sue clienti (15.12.86) 23 AP: com’è stato con me “com’è stata per me” (cioè “qual è stata la mia esperienza”). Per la generalizzazione del senso strumentale cfr. 21 Lo sviluppo parallelo dei due significati per tutti gli apprendenti è interessante, in quanto non tutte le lingue li esprimono allo stesso modo. Il latino, p. es., esprimeva il primo con cum e il secondo con l’ablativo. Per quanto concerne le lingue prime dei nostri apprendenti, se abbiamo per TE la riproduzione dell’uso del ted. mit nei due sensi, non possiamo dire la stessa cosa per gli arabi, dove ma c a (per l’egiziano) e im c a (per il libico) corrispondono al “con” comitativo e bi al “con” strumentale (Ahmed 1981: 136,134; Owens 1984: 205 sg.). 22 Cfr. anche il caso simile riscontrato in un bambino somalo: cappuccetto rosso va co(n) su(a) nonna per “da sua nonna”, riportato in Berretta (1986: 48). 23 Questo potrebbe anche essere un caso di interferenza dovuta a identificazione interlinguistica di elementi di superficie (cfr. ted. telephonieren mit). Probabilmente vale lo stesso anche per: TE: mamma venuta prima volta in Italia con ottant’anni (4.3.86) per cui cfr. ted. mit achtzig Jahren. <?page no="39"?> 39 TE: quando io vedo che fanno la gente con questo giorno (2.12.85) “quando vedo che cosa fa la gente di/ in questo giorno” anche in Germania fanno vecchie case tutte nuove adesso, no nuovo con costruire (19.12.85) “anche in Germania rinnovano/ ristrutturano le case vecchie, non costruendole nuove” AE1: io scrivo con lingua arabe “scrivo in arabo” AE4: studiamo solo con una lingua “studiamo solo in una lingua”. La preposizione con è dunque molto disponibile fin dai primi stadi (come mostrano TI, TE, AE1) a esprimere relazioni per le quali gli apprendenti non hanno ancora i mezzi adeguati. 1.3.5 In In compare fin dai primi stadi di apprendimento col senso locativo-direttivo. Ovviamente il suo uso è in concorrenza con quello di a (per cui cfr. § 1.3.6) e con l’assenza di preposizione, come abbiamo visto al § 1.3.3. Nella prima registrazione di TI, per esempio, abbiamo solo due casi sicuri di uso di in contro una trentina di costruzioni locative o direttive senza preposizione. Alcuni esempi: TI: diciasset’anni fa - in Italia “[mia madre è venuta] in Italia diciassette anni fa” AE1: ho lavorato en libreria; devo tornare n Esgitto; scrive sempre ne ṡgiurnali TE: io lingua tedesca non imparato in scuola (31.10.85); che cosa mi piace? andare in concerto (2.12.85); tutto, in parrucchiere dove io sono andata, tutto tedesco, come in Germania (31.10.85). Come si può notare da questi pochi esempi, in viene usata al posto di altre preposizioni spaziali il cui impiego in italiano è piuttosto peculiare, p. es. sui giornali, al concerto, dal parrucchiere. <?page no="40"?> 40 Le preposizioni nell’italiano lingua seconda In particolare, la difficoltà di distinguere correttamente i contesti d’uso di in e a si fa sentire anche negli stadi di apprendimento più avanzati, come p. es. in AP: AP: in Giaffa; a Cisgiordania; da quando è stata quella guerra ci siamo scappati al capitale di […] Inoltre alcuni apprendenti sembrano consapevoli di questa difficoltà, come mostra l’esempio seguente, tratto dalla prima registrazione di TE: TE: lavorato un po’ e poi, millenovecentocinquantasette, in questo anno siamo arrivati in + a + in + no, a Francoforte (31.10.85) L’uso di in in espressioni temporali sembra essere piuttosto raro in termini quantitativi e spesso è risolto omettendo la preposizione, come mostra anche una delle due costruzioni contenute nell’esempio di TE citato qui sopra. 1.3.6 A Anche a compare fin dai primi stadi di apprendimento con un significato prevalentemente locativo-direttivo (per il quale ovviamente il suo uso alterna con assenza di preposizione, come abbiamo già notato). In questo senso, a si trova in diretta concorrenza con in per lunghe fasi, cfr. TI: sì c’è tanti mie(i) amici a guerra AE1: (and)ato solo na volta a Eṡgitto AE2: andato Napoli e boi a Venesia; sono stato qua a Milano TE: siamo sempre andati a Cavallino (3.2.86) AP: che si può studiare su quel certificato a qualsiasi paese In questo caso, a viene generalizzato anche a contesti che nella lingua d’arrivo non lo prevedono, cfr. TI: io sì venuto a qua Milano Il significato temporale di a sembra comparire più tardi di quello spaziale nei dati longitudinali di TE, e prima con indicazioni orarie che di parti del giorno, cfr. <?page no="41"?> 41 TE: sei e mezzo preso pullman (27.11.85); a casa alle dieci (16.7.86); mattina alle nove (16.10.86) Osservazioni simili si possono fare anche in base ai dati degli apprendenti arabofoni, dove il significato temporale di a si riscontra di nuovo abbastanza presto con indicazioni orarie. Nell’esempio seguente esso sta ad indicare sia il tempo determinato, come nella lingua di arrivo, sia il momento iniziale in costruzioni del tipo dalle… fino alle… AE1: comincio ‘l lavoro alle nove fino le tre Anche con le espressioni temporali abbiamo casi di a al posto di in (per cui v. il paragrafo precedente), come in: AE4: sì ma eravate all’ottanta “sì ma eravate nell’ottanta” AP: siamo venuti al mese di + dell’estate Nel corpus degli arabofoni frequenti sono anche gli usi di a distributivo, cfr. AE4: come ristorante lavoriamo dodici tredici ore al ṡgiorno Un punto particolarmente interessante è l’uso di a per il dativo 24 . Nonostante in italiano questa funzione sia altrettanto basilare di quella spaziale, nelle interlingue dei diversi apprendenti abbiamo, almeno nei primi stadi, l’oscillazione tra preposizione zero, per (cfr. § 1.3.7), altre costruzioni come le seguenti: AE2: io manca un anno AE1: sì abiamo biace la vita + biace di noi “ci piace la vita” In questi esempi, il verbo mancare, da una parte, è stato reinterpretato come transitivo con un soggetto umano (la terza persona rappresenta il risultato della semplificazione del paradigma verbale). Dall’altra parte, la difficoltà di rendere il dativo col verbo piacere è risolta, nello stesso frammento di conversazione, una 24 Nel corpus degli arabofoni sono anche presenti due casi di accusativo con a: AE3: guardo a quella fiori AE4: vuoli continuare a inglese o francese <?page no="42"?> 42 Le preposizioni nell’italiano lingua seconda volta con una forma di ausiliare e la resa del dativo come soggetto e una seconda volta come complemento introdotto da di 25 . Nei dati longitudinali di TE abbiamo preposizione zero nella prima registrazione, cfr. TE: io detto mio marito (31.10.85) e alternanza tra zero e a circa un mese dopo, cfr. TE: cane portato legno suo padrone (2.12.85); ho detto a farmacista (2.12.85) Anche le prime registrazioni di TI non hanno dativi con a. Prima di proseguire la discussione, dobbiamo però prendere in esame la preposizione per. 1.3.7 Per Per compare nei primi stadi di apprendimento col significato generico di fine/ meta/ benefattivo. Alcuni esempi: TE: Italia meglio per mio Temperament (31.10.85) C’è un postizino per Liegestuhl (2.12.85) I: che cosa vogliono fare con quell’uomo? TI: eh? I: cosa faranno? TI: per - così [fa il gesto di sparare] TI: taglia le pecore […] per la festa per dio “si macellano le pecore per la festa di (? ) dio” AE1: c arafat andato Eṡgitto ber Mubarak “ c arafat è andato in Egitto da Mubarak” AE2: ber uno venuto adesso come noi; mi serve l’inglese come lingua berché - ber il letino “l’inglese, come lingua, mi serve per le parole di origine latina” AP: dove c’è un’altra parte de l’università per gli studi per gli stranieri 25 Per casi analoghi, cfr. § 1.3.8. <?page no="43"?> 43 Nel corpus degli arabofoni compaiono qua e là anche espressioni idiomatiche, come p. es. per niente, per cento, che vanno ovviamente considerate come unità a se stanti. Inoltre AP ha qualche caso di per strumentale, come p. es. AP: a piedi non si può venire, magari per l’aereo, per i treni La caratteristica più interessante dell’uso di per è però il suo utilizzo per codificare il dativo nei primi stadi di apprendimento, come mostrano i seguenti esempi: AE1: lui mandato lettera ber me; io mandato lettera ber lui; scrivo ber una come la mia amore; io scritto ber Farid A questi esempi fanno riscontro altri casi di per per il dativo prodotti in conversazioni spontanee da apprendenti eritrei più avanzati di TI 26 . È facile individuare in quest’uso di per un’estensione del senso finale/ benefattivo, più simile a quello dativo che non il senso locativo-direttivo di a. A questo proposito occorre notare che anche TE, che usa prevalentemente zero o a per il dativo, in un caso che compare abbastanza tardi nel periodo di osservazione utilizza per, cfr. TE: scrivo qualche lettera per mie figlie (16.7.86) 27 La forte presenza di per dativo nel corpus di arabofoni e tigrinofoni può far supporre un caso di interferenza. Mi sembra però di poter escludere tale ipotesi per almeno tre ragioni. La prima è data dal fatto che per è usato per il dativo anche presso TE e che preposizioni analoghe si riscontrano anche in processi di ap- 26 Il dativo è espresso regolarmente da per anche nell’italiano semplificato di Etiopia, cfr. non dire bɛr luy “non dire a lui”. noi dato soldi bɛr loro “abbiamo dato loro dei soldi” (Habte-Mariam 1976: 178). 27 Interessante è anche il fatto che, nel corso della stessa rilevazione, TE impiega una volta da in funzione di dativo: TE: abbiamo scritto da loro (16.7.86) “abbiamo scritto a loro” In effetti, in questa fase di apprendimento, da ha, nell’interlingua di TE, il significato di moto a luogo (cfr § 1.3.9) allo stesso modo di a. I due esempi, nonostante siano hápax legoménō nel nostro corpus, mostrano una volta di più l’incertezza che caratterizza la scelta della preposizione per il dativo in una certa fase di apprendimento. <?page no="44"?> 44 Le preposizioni nell’italiano lingua seconda prendimento che vedono coinvolte altre lingue 28 . La seconda deriva dall’osservazione che, nonostante l’identità formale e funzionale delle funzioni di direttivo, dativo e finale nelle lingue prime, i nostri apprendenti usano da una parte a e in per la prima di queste funzioni e per per le altre due. Particolarmente istruttivo è a questo proposito l’esempio di AE1, già citato, e che ripetiamo qui: AE1: c arafat andato Eṡgitto ber Mubarak In arabo a quest’esempio corrisponderebbe l’uso di li con Egitto e di una preposizione come c and “presso” con Mubarak. L’esempio di AE1 va quindi interpretato come una costruzione autonoma, indipendente dalle regole della lingua prima, e che sfrutta gli elementi del sistema di quella fase di interlingua. A tutto questo si può aggiungere che l’identificazione delle funzioni direttiva e locativa di a e in non comporta problemi, nonostante vengano espresse in arabo da due preposizioni diverse (cfr. § 1.2). Infine, la funzione finale di per a prescindere dalle lingue prime è confermata, come vedremo più dettagliatamente al § 1.3.10, dal suo uso con sintagmi verbali. Siamo dunque di fronte a un caso molto interessante di sviluppo del dativo a partire da una funzione “finale” e che potrebbe rappresentare un punto obbligato dei percorsi di apprendimento oltre che la manifestazione di una strategia di massima trasparenza. È però necessario approfondire le considerazioni fatte qui con l’osservazione di altri apprendenti. Questo punto potrebbe anche essere molto importante per la valutazione e l’interpretazione dei processi di cambiamento linguistico. Fermo restando che tutta la questione merita un approfondimento che tenga conto di più lingue diverse, non si può fare a meno di rilevare che, diacronicamente, nel passaggio da una morfologia sintetica a una analitica, in molte lingue il dativo è stato ricodificato tramite preposizioni spaziali, cfr. it. e romanzo in generale a (dal lat. ad), gr. mod. σ(ε) (dal class. εἰς), ingl. to, neerl. aan, sved. (e nordico) till. Anche il tedesco conosce costruzioni alternative al dativo con le preposizioni spaziali zu (p. es. col verbo sagen “dire”) e an (p. es. col verbo schreiben “scrivere”). Al contrario, nell’afrikaans, che è il risultato di processi di creolizzazione del neerlandese, troviamo per il dativo la preposizione vir (neerl. voor “per”), che attualmente viene generalizzata a marcare accusativi umani allo stesso modo di a in alcune delle lingue romanze (Raidt 1983: 182 sgg.) 29 . Anche i creoli a base inglese e francese mostrano un uso esteso delle preposizioni per “per”, cioè fo(r) 28 Anche apprendenti italiani di tedesco ricorrono a für “per” per rendere il dativo (M. Berretta, comunicazione personale). 29 L’uso di per col dativo e l’accusativo di pronomi personali è già attestato nella lingua franca, cfr. mi ablar per ti “ti dico”, mi mirar per ti “ti vedo” (Schuchardt 1909: 445). <?page no="45"?> 45 e pu rispettivamente, delle lingue lessificatrici come congiunzioni (Boretzky 1983: 194-205 passim). 1.3.8 Di Di appare fin dai primi stadi con il significato di generica specificazione e di possesso che ha nella lingua di arrivo. Talvolta viene sovraestesa anche a casi in cui l’italiano esplicita con altre preposizioni la relazione tra i nominali, cfr. TE: un amico di Giancarlo (2.12.85) TI: il governo di Etiopia; perché c’è il problema de politica AE1: fili di una familia famosa; una familia di fuori Milano; la roba de lo sbosarsi “la roba per sposarsi” AE2: bescialista di agricoltura “specialista in agricoltura” mio brincipale di lavoro AE3: c’è qualcosa di scritto di ṡgiornali di Libano “c’è qualcosa di scritto sui giornali sul Libano” AE4: noi parliamo l’italiano del - del contatto de li bobol italiano de - de la vita “parliamo l’italiano del contatto col popolo italiano, con la vita” AL: berito di agricoltura “perito in agricoltura”. In alcuni apprendenti arabi, nelle prime fasi, di viene sovraesteso a qualsiasi dipendente di nominali (aggettivi, SP etc.). Ne abbiamo qualche esempio in AE2, cfr. AE2: ‘l nome di nasionali “il nome nazionale ̸indigeno” tuti ṡgente di oberai “tutta gente operaia” sono bisonio magari ciento ++ dueciento di engenieri “c’è bisogno magari di cento, duecento ingegneri”. <?page no="46"?> 46 Le preposizioni nell’italiano lingua seconda Questo uso, che non sembra verificarsi in apprendenti con un diverso retroterra linguistico, in AE1 appare con una notevole sistematicità e rappresenta un caso interessante di rielaborazione autonoma, come illustrano i seguenti esempi: AE1: ‘l nome di lungo “il nome lungo” libreria di nuova “libreria nuova” un bosto di in bensioni “un posto in una pensione” La strada di ber Iskandrija “la strada per Alessandria” una di tre mesi fa no l’ho vista biù “una che non vedo da tre mesi” combaniato uno di bartire Egitto “ho accompagnato uno che partiva per l’Egitto” io quando trovo qualche cosa di mi serva “quando trovo qualcosa che mi serve” quasi venti uomini di biù bravi di + di cambiato ‘l mondo di quattrocento cinquecento anni fa “quasi venti uomini tra i più bravi che hanno cambiato il mondo quattrocento cinquecento anni fa” un ṡgiornali di Sedita Rabia di sciri di Londra “un giornale dell’Arabia Saudita che esce a Londra”. Come si può facilmente osservare, di marca la dipendenza di aggettivi, di SP e anche di interi enunciati che, nella lingua d’arrivo, corrispondono a costruzioni relative. Quest’ultimo caso si avvicina a quello delle preposizioni che reggono sintagmi verbali e che tratteremo nel § 1.3.10 30 . 30 I casi trattati qui sono però diversi da quelli presi in esame al § 1.3.10, dove si parla dell’uso di preposizioni con SV in dipendenza da verbi e aggettivi. <?page no="47"?> 47 Presso tutti gli apprendenti, inoltre, di serve talvolta a marcare un complemento, di solito un oggetto obliquo, ma anche oggetti diretti (forse un tentativo di marcare oggetti indefiniti? ). Cfr. TE: loro non prendono di pillola (4.3.86) cantano di folklore (21.4.86) AE1: lavorato di trattoria AE2: studiato tre anni di scuola media AE4: abbiamo studiato di università; questi studiano combletamente di lingua inglese 31 Infine, di serve, sempre presso tutti gli apprendenti, anche quelli più avanzati, come sostituto di da, cfr. TE: Monika telefonato di Germania (3.2.86); non avevo coraggio per andare de mio ex-marito (15.12.86) AE1: una volta sono (a)ndato di un boeta grande AE4: sono uscito di sett’anni AP: siamo sciti dell’aeroporto; c’avevamo fame di lupo; del Kuweit a Roma 1.3.9 Da Da, anche per la stravagante polisemia che mostra nella lingua di arrivo, è la preposizione che si impara più tardi e che anche presso gli apprendenti più avanzati, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, continua ad essere sostituita da di 32 . Nel nostro corpus, da comincia ad apparire in AE4, cfr. AE4: da la Francia; da la matino fino la + dopo la mezzanotte; da la ters’anno 31 Forse si può accostare a questi casi l’uso di di che compare in questo frammento di conversazione: I: l’italiano lo sapevate? AP: niente, neanche di sì o di no 32 Si ricordi che anche in portoghese, spagnolo, catalano, francese e dialetti gallo-italici i riflessi di lat. de ricoprono le funzioni di di e di da. <?page no="48"?> 48 Le preposizioni nell’italiano lingua seconda Sintomi del processo di apprendimento e dell’ampliamento delle funzioni di da sono casi di sovraestensione come i seguenti: AE4: boi ‘l barista comincia barlarmi con - da una lingua straniera; ci vuole studiare la lingua italiana nel corso chi fanno dal comune È probabile che l’apprendimento di da parta dalle espressioni temporali, tra le prime ad entrare nel discorso degli apprendenti almeno come routines, e si diffonda poi a quelle di provenienza e infine a quelle locativo-direttive. Non ho dati puntuali a sostegno di questa ipotesi, tranne l’osservazione del fatto che AP non ha “errori” nell’uso di da temporale di contro a molte oscillazioni (sia nel senso di sostituzioni che di sovraestensioni) con quello di provenienza e di stato-direzione, cfr. AP: siamo stati immigrati da ++ dal milenovecentoquarantasette; sì dall’inizio [dell’occupazione israeliana] ci siamo trasferiti da Giaffa e gli esempi riportati al paragrafo precedente. I dati longitudinali di TE ci presentano un quadro totalmente diverso da quello degli apprendenti arabofoni e da quello che emerge nelle prime registrazioni di TI, dove da compare una volta in una risposta eco (cfr. § 1.3.1). In TE da compare fin dalla prima rilevazione con significato locativo-direttivo: TE: io sempre voluto returnare da Polonia (31.10.85) “ho sempre voluto tornare in Polonia” Monika va da Francia proscimo anno (31.10.85) io conosco tanti da Polonia questo Name (31.10.85) “conosco tanti in Polonia con questo nome”. In seguito da si mantiene, soprattutto nel significato di direzione, per tutto l’arco delle registrazioni: TE: forse è meglio andare da ospitale (2.12.85) venite da casa mia (10.1.86) quando vado da SMA o da UPIM io non ho problemi (4.3.86) andata da una gelateria italiana (27.11.86) <?page no="49"?> 49 Questo sviluppo peculiare può forse essere motivato dalla rilevanza, in tedesco, della distinzione tra stato e moto e dalle diverse preposizioni usate con i nomi di persona (rispettivamente bei, zu) che rispecchiano l’uso di da. In tal caso avremmo uno stretto intreccio fra fenomeni di interferenza “profonda” ed elaborazione autonoma del sistema dell’interlingua. 1.3.10 Preposizione + SV Anche nel caso delle subordinate implicite introdotte da preposizione, i primi stadi di apprendimento mostrano assenza di preposizione, conformemente al principio generale per cui enunciati di queste fasi non esplicitano i rapporti sintattici, ma affidano al contesto e a principi pragmatici di organizzazione del discorso il loro recupero. Alcuni esempi: TE: io vado lavorare (31.10.85) quando comincia fuori essere buio (19.12.85) AE2: si riesce legere bochissimo si mette studiare ‘m bo’ AE3: qui comincia non sbiegare bene AE4: e boi comincio andare La reggenza di verbi e aggettivi nella lingua di arrivo, come abbiamo visto nel § 1.2, è piuttosto idiosincratica e rappresenta quindi una grossa difficoltà per tutti i tipi di apprendenti, che ricorrono alla preposizione per (con significato finale e causale) o alla preposizione di (come complementatore generico), interpretando quindi in senso finale il rapporto di reggenza da una parte o segnalando semplicemente la dipendenza dall’altra 33 . Alcuni esempi: TE: questo è pesante per spiegare (15.11.85) “questo è difficile da spiegare” un paesaggio per vedere (2.12.85) non avevo coraggio per andare de mio ex-marito (15.12.85) ho vergona per parlare per queste cose (4.3.86) 33 Nella comunità linguistica in cui TE apprende l’italiano (nel lecchese) c’è una forte oscillazione, in questi casi, tra di e da. Lo stesso si può dire per gli altri apprendenti. <?page no="50"?> 50 Le preposizioni nell’italiano lingua seconda AE2: sono andato ber cercar lavoro non c’è un esame ber magari venire un brofessori “non è un esame come quello in cui viene un professore” (? ) AE4: non ci tembo ber andare a studiare che bossiamo ndare ber studiare la lingua italiana AE1: berché serve di far così che mi serva di ber sentire 34 AE2: alora quanto noi finito di studiare AE3: comincio di sbiegare loro no? e allora lui trovato un bosto di dormire AE4: che hanno lasciato di studiare Anche i dati di AP mostrano qualche sovraestensionc di di, cfr. AP: vuoi obbligarmi di non mangiarla? ; non ci siamo abituati di prendere il treno I primi esempi di a si ritrovano in AE2: AE2: sono riescito a mbarare bene l’inglese io tuti son a studiare Cfr. anche AE4: AE4: non cì tembo ber andare a studiare ber me era biù difficile trová - a trovare In quest’ultimo esempio AE4 si autocorregge per inserire prima dell’infinito una a che non corrisponde alla norma dell’italiano. Casi analoghi di sovraestensioni di a si riscontrano anche in AP, come p. es. AP: di prendere il treno ad andare alle strade lunghe “a prendere il treno per fare lunghi tragitti”. 34 Quest’esempio riconferma l’uso generalizzato di di da parte di AE1 anche in presenza di altre preposizioni, cfr. § 1.3.8. <?page no="51"?> 51 1.4 Conclusioni Sulla base della rassegna analitica delle principali caratteristiche dell’uso delle preposizioni nelle interlingue dei nostri apprendenti, possiamo ora tentare di delineare, almeno sommariamente, le linee generali dello sviluppo delle preposizioni. Per quanto riguarda il versante sintattico, possiamo individuare tre grosse fasi: una prima fase con assenza di preposizioni conforme alle regole generali di strutturazione pragmatica degli enunciati, una seconda fase con preposizioni che reggono sintagmi nominali e una terza fase in cui le preposizioni reggono anche sintagmi verbali. È vero che per e di reggono SV oltre che SN fin da fasi precoci, ma l’apprendimento dell’uso di preposizioni con SV secondo la norma della lingua di arrivo sembra essere comunque molto più tardo. Possiamo raffigurare le tre fasi nello schema seguente: (l) Ø > Prep. + SN > Prep. + SV Sul versante semantico, invece, sembra esserci un passaggio graduale da un uso monosemico delle singole preposizioni a un ampliamento delle funzioni di queste fino al raggiungimento dello stadio di polisemia che caratterizza l’italiano. In questa prospettiva va valutato l’apprendimento precoce delle preposizioni (e delle locuzioni prepositive) con caratteristiche più “lessicali” (p. es. fa, vicino, verso, fino (a), etc.). La linea di sviluppo generale, per la semantica, è dunque: (2) monosemia > polisemia Le prime preposizioni ad essere usate con una certa sicurezza e generalizzate molto presto su base analogica per esprimere diverse funzioni sono: con (comitativo-strumentale), per (fine-meta/ benefattivo), di (specificazione generica) 35 . In particolare, per può essere usato al posto di a dativo e di da direttivo coi nomi di persona, mentre di segnala in generale la dipendenza da nominali. In una seconda fase possiamo collocare l’apprendimento di in e a in espressioni locative (e direttive) oltre che temporali. In particolare, per quanto riguarda l’alternanza tra in e a, abbiamo una prevalenza di a su in e il protrarsi dei casi di oscillazione lungo tutto l’arco del processo di apprendimento. Si deve anche 35 Di è certo la più polisemica delle preposizioni, come si può rilevare consultando un qualsiasi dizionario, ma nello stesso tempo la più generica e la più disponibile a ricoprire le funzioni più diverse. Per questo essa può apparire già nella fase di uso monosemico delle preposizioni. <?page no="52"?> 52 Le preposizioni nell’italiano lingua seconda ricordare che, con le espressioni di luogo e in parte anche con quelle di tempo, la fase di assenza di preposizione si protrae piuttosto a lungo. Per quanto concerne nello specifico lo sviluppo delle funzioni di a, abbiamo la precedenza di quella locativo-direttiva su quella temporale. La funzione temporale appare prima con indicazioni orarie (p. es. alle tre) e più tardi con le altre (p. es. a mezzanotte). È probabile che anche la funzione dativa di a si sviluppi successivamente a quella locativa e che, almeno per certi apprendenti, il dativo venga dapprima equiparato al fine/ meta (per). L’ultimo gruppo di preposizioni ad essere appreso comprende anzitutto da, forse dapprima in espressioni temporali, in un secondo momento in espressioni di provenienza e da ultimo coi nomi di persona per indicare stato/ moto. Sempre a questo gruppo possiamo assegnare su e tra/ fra, del cui sviluppo abbiamo però solo tracce lievi (per lo più in sintagmi fissi, cfr. § 1.3.1). Schematicamente, possiamo riassumere queste osservazioni come segue: (3) fa, fino a, vicino a > con, per, di > in, a > da, su, tra/ fra (4) Per a: locativo-direttivo { > temporale/ ore > temp./ altro > dativo L’apprendimento delle preposizioni nell’acquisizione spontanea dell’italiano come lingua seconda appare regolato da principi generali di ordine funzionale, forse riconducibili, in ultima analisi, a principi cognitivi. Ne sono prova la comparsa precoce di con in senso comitativo-strumentale e di per in funzione finale e anche l’assenza persistente di preposizioni nell’unico caso in cui sono ridondanti, cioè in espressioni direttive e locative. A conferma di ciò si può osservare la sostanziale uniformità di queste linee di sviluppo tra parlanti con lingue prime diverse, pur con qualche differenza (discussa sopra) forse da mettere in relazione con processi di interferenza derivanti dalla pertinentizzazione di categorie diverse nella prima e nella seconda lingua (si ricordi il caso di da in TE, discusso al § 1.3.9). Le interferenze dovute all’identificazione interlinguistica di elementi di superficie sono invece minime (cfr. TE: diverso come che replica ted. anders wie). Una seconda conferma del carattere autonomo dello sviluppo delle preposizioni nell’italiano lingua seconda è dato dal confronto con la frequenza d’uso delle stesse preposizioni nella lingua di arrivo. Se è lecito proiettare sul parlato i calcoli della frequenza elaborati da Bortolini et al. (1971) per lo scritto, abbiamo in italiano l’ordinamento seguente (tra parentesi il numero di rango del Lessico Italiano di Frequenza): <?page no="53"?> 53 di (2), a (4), in (8), da (15), con (18), per (20), su (31), tra (126), fra (133) È facile osservare come la frequenza e l’ordine di acquisizione coincidano per di, che è un po’ una preposizione tuttofare, ma non per le altre preposizioni. Particolarmente degne di nota sono le differenze tra le frequenze relativamente “basse” (tra le preposizioni) di con e per e la loro comparsa nei primi stadi di apprendimento e, viceversa, la frequenza relativamente “alta” di da e la sua apparizione tarda. Su e tra/ fra, non essendo suscettibili di comparire in contesti altrettanto frequenti delle altre preposizioni, hanno bassa frequenza e apprendimento ritardato. Anche in questo caso, però, appare notevole la posizione di su rispetto a quella di tra/ fra, più distanziate verso il basso, in confronto a quella di per, che pur mostrando verso su uno scarto non troppo grosso è, come abbiamo più volte detto, fra le prime preposizioni ad essere apprese e ad essere usate correntemente sia con SN che con SV. <?page no="55"?> 55 2 Questioni di fonologia nell’italiano lingua seconda* 1. È noto che, nell’acquisizione spontanea di lingue seconde soprattutto da parte di adulti, la componente fonologica risulta essere più caratterizzata da fenomeni di interferenza che non quella morfosintattica, il cui sviluppo è meno dipendente dalla struttura delle lingue prime degli apprendenti. Questo fatto è rispecchiato anzitutto nella possibilità di individuare gruppi diversi di apprendenti una lingua seconda sulla base delle caratteristiche fonologiche delle rispettive varietà di apprendimento ma non sulla base di quelle morfosintattiche, come mostra, oltre all’osservazione impressionistica, un recente esperimento (Ioup 1984). Anche se per la morfosintassi non si può escludere totalmente la rilevanza di fenomeni di interferenza, questi hanno però un peso più o meno grande a seconda di altri fattori (p. es. la relativa vicinanza tipologica tra le lingue coinvolte) e sembrano agire per lo più a un livello profondo, favorendo certe ipotesi piuttosto che altre nella (ri)costruzione della lingua di arrivo da parte dell’apprendente 1 . Al contrario, per la fonologia, l’interferenza indirizza fin da subito l’iter di apprendimento e ad essa vanno subordinati i modi in cui questo si configura. Un’altra differenza fondamentale tra morfosintassi e fonologia di lingue seconde è data dal fatto che nell’acquisizione della prima riconosciamo regolarità di ordine generale che accomunano processi di apprendimento di lingue seconde e di lingue prime [si rammenti il caso ormai emblematico dell’acquisizione di negazioni postverbali, per cui v. Dulay-Burt-Krashen 1982: 123-126]. Per la seconda, invece, ci troviamo di fronte a processi di apprendimento piuttosto diversi a seconda che si tratti di lingue prime [per le quali valgono regolarità di ordine generale di tipo jakobsoniano, cfr. Jakob- * Tratto da: Anna Giacalone Ramat (a cura di), L’italiano tra le altre lingue. Strategie di acquisizione. Bologna, il Mulino, 1988: 77-90. Questo lavoro si inserisce nell’ambito dei progetti di ricerca sull’acquisizione di lingue seconde, che vedono consorziati, tra gli altri, l’Istituto Universitario di Bergamo e l’Università degli Studi di Pavia, e che si sono avvalsi dei fondi MPI 40% - 1985, 1986. Un cordiale ringraziamento va a Farid Atli, redattore di Radio Popolare di Milano, per l’aiuto prestatomi nel contattare immigrati arabofoni e per aver gentilmente acconsentito a far da informante per questa ricerca [N.d.A.]. 1 I fattori dal cui intreccio vengono favoriti i processi di interferenza sono elencati in Bernini (1986 § 5). Alla rilevanza di fenomeni di transfert profondi nell’acquisizione di lingue seconde e ai problemi che comporta la loro corretta individuazione sono dedicati molti degli studi raccolti nell’antologia di Gass e Selinker (1983). <?page no="56"?> son 1942; Locke 1983] o di lingue seconde, per le quali si deve invece tener conto di un complesso intreccio di fenomeni di interferenza e di sviluppo 2 . A questo proposito è emblematico il caso dell’apprendimento di nessi consonantici iniziali di parola dell’inglese da parte di bambini di lingua prima e, p. es., di arabofoni adulti. La parola floor ‘pavimento, piano’ è resa dai primi come [for], con la riduzione del nesso in questione. I secondi, invece, risolvono la difficoltà del nesso iniziale riproducendo mediante epentesi o prostesi la struttura sillabica iniziale di parola prevalente nella rispettiva varietà di arabo e pronunciando [fiˈlor] o [ifˈlor] a seconda che quella sia egiziana o irachena (cfr. Broselaw 1983) 3 . Nonostante la centralità dei fenomeni di interferenza, il modello dell’analisi contrastiva di derivazione weinreichiana (cfr. Weinreich 1974: 21-31) non è però sufficiente come modello di analisi dell’apprendimento della fonologia di lingue seconde. Infatti esso permette solo di fare previsioni corrette circa gli ambiti di probabile interferenza, ma non di descrivere i processi di apprendimento tramite successivi stadi di avvicinamento al sistema fonologico della lingua seconda, caratterizzati da rese sempre più approssimate di fonemi e nessi di fonemi e dallo stemperarsi delle rese di transfert, dove sembra configurarsi una certa regolarità. In questa prospettiva vediamo di prendere in esame la componente fonologica, e in particolar modo il consonantismo, delle varietà di apprendimento dell’italiano di un gruppo di arabofoni. Si tratta di 10 soggetti (7 egiziani, 2 palestinesi, 1 libico) di età compresa tra i 20 e i 40 anni, in Italia per periodi variabili da 3 a 15 anni. Quattro soggetti svolgono lavori manuali, tre lavorano nel settore commerciale, due sono studenti, uno è giornalista 4 . 2 Cfr. Macken e Ferguson (1981), che mostrano come lo sviluppo della fonologia di lingue prime e seconde diverga per aspetti fondamentali (oltre che per i processi di semplificazione sillabica, anche per quelli di assimilazione consonantica e raddoppiamento sillabico). L’interazione di processi di interferenza e di sviluppo nell’acquisizione della fonologia di lingue seconde è sottolineata anche da Mulford e Hecht (1980) e tenuta in conto anche da Wode (1978). 3 Per l’interpretazione in chiave di fonologia della sillaba di questi fatti si veda anche Singh (1985), che parte però dall’integrazione di prestiti inglesi in hindi. 4 I soggetti in esame (con le sigle che li contrassegnano in questo contributo) sono: A: calīyun, 30a. egiziano di Banha (a nord del Cairo lungo il ramo di Damietta del Nilo), istruzione superiore; da 3a. in Italia, lavapiatti. AF: cāṭifun, 21a., palestinese ma residente a Amman in Giordania; da 4a. in Italia, studente di lingue straniere. AZ: cabdu l-cazīzi, 25a., egiziano del Cairo, istruzione superiore (2 anni di facoltà di agraria); da 3a. in Italia, muratore. F: Farīdun, 34a., libico di Bengasi; da 15a. in Italia, dove ha cominciato gli studi di ingegneria, giornalista; sposato con una italiana. G: Jorjun, 30a., egiziano di al- Minya (media valle del Nilo), istruzione media; da 8a. in Italia, barista. H: Ḥusaynun, 30a., egiziano del Cairo, laureato in legge; da 3a. in Italia (dopo 4a. di soggiorno in Francia), 56 Questioni di fonologia nell’italiano lingua seconda <?page no="57"?> 57 2. La prima considerazione da fare, scontata e al limite della banalità se intesa come (ri)affermazione di un principio metodologico, ma cruciale sul piano applicativo, riguarda le dimensioni del confronto tra i sistemi fonologici in questione. Questo, oltre che riguardare, ovviamente, le varietà primaria e di arrivo effettivamente coinvolte (nel nostro caso l’arabo egiziano con le sue sottovarietà, quello palestinese e quello libico da una parte e l’italiano settentrionale milanese dall’altra), deve comprendere tutto lo spettro delle possibilità di rese allofoniche, anche quelle soggette a variabilità sociale e funzionale. Nel nostro caso, l’attenzione ai fenomeni di variabilità della lingua di arrivo ci permette di valutare in maniera diversa gli errori da interferenza nel quadro generale dei processi di sviluppo del sistema fonologico. P. es., la resa delle palatali come nessi di nasale e rispettivamente laterale alveolare o prepalatale più approssimante palatale, [nj lj] o [ ᶇ j ᶅ j], da parte degli apprendenti si sovrappone alle realizzazioni più frequenti da parte dei nativi, che dal canto loro tendono a realizzare gli allofoni palatali più che altro in registri sorvegliati 5 . In questo caso la resa di transfert non è interessante, in quanto non si distingue (almeno impressionisticamente) da quella più diffusa tra i nativi, né è più pertinente porsi il problema dei corrispondenti fonemi palatali nelle diverse interlingue. Diverso, come vedremo, è il caso delle affricate alveopalatali, che nelle varietà di italiano in questione hanno una resa allofonica costante e quindi si prestano alla verifica di fenomeni di interferenza e di eventuali regolarità di apprendimento. inserviente di ristorante. M: Mario (si è dato un nome italiano), 31a., egiziano di Gīza (sobborgo del Cairo), istruzione media; da 10a. in Italia, gelataio in proprio; sposato con un’italiana. O: cumarun, 23a., palestinese ma residente a Amman in Giordania; da 4a. in Italia, studente in architettura. S: Ṣabrīyun, 25a., egiziano del Cairo, istruzione media; da 4a. in Italia, elettricista. SZ: Sacdun Zaġlūlun, 38a., egiziano del Cairo, istruzione media; da 10a. in Italia, dirige ditta di importexport; sposato con una italiana. Tutti gli informatori risiedono e lavorano nell’area metropolitana milanese. Il corpus su cui si basa questo studio è costituito dalla registrazione sonora (per un totale di poco meno di 6 ore) delle conversazioni parzialmente guidate effettuate tra il 1984 e il 1985 con gli informatori elencati. Le conversazioni avevano come temi il paese e la famiglia di origine, l’abitazione e il lavoro/ lo studio in Italia, il rapporto con italiani e altri immigrati, le prospettive per il futuro, eventuali altre esperienze di emigrazione. Per la situazione del gruppo di immigrati arabofoni nell’area metropolitana milanese si veda Banfi (1984). 5 È nota la complessità dei fenomeni di variabilità (non solo fonetica) regionale e sociale dell’italiano, per altro non ancora completamente descritta. Per valutare i problemi che questa può comportare nel confronto interlinguistico si veda (a prescindere dall’argomento di questo intervento), p. es., l’accurata descrizione dell’italiano regionale bergamasco in Berruto (1987). <?page no="58"?> 58 Questioni di fonologia nell’italiano lingua seconda In generale si può quindi affermare che descrizioni accurate della fonetica delle varietà di lingua prima e oggetto di apprendimento sono un prerequisito indispensabile, sul piano pratico, a un corretto approccio contrastivo, che permette di scalare i fenomeni di transfert in maniera da poter essere integrati in un quadro più generale dell’effettivo processo di apprendimento della fonologia. 3. Vediamo ora di confrontare i sistemi consonantici delle varietà di arabo dei nostri soggetti e quello dell’italiano nella sua varietà lombardo-milanese, riportati qui sotto 6 : arabo egiziano/ palestinese/ libico m n b t d k g (q) ŧ ᵭ ʔ dʒ h˞ f s z ʃ ʒ x γ ᵴ ᵶ lr ʔ h w j italiano settentrionale milanese m s/ n (ɲ) p b ts/ d k g ts/ dz tʃ dʒ f v s/ z (ʃ) s/ l (ʎ) s/ r Si tenga presente che () indica variabilità e che / separa gli allofoni di uno stesso fonema. Nel sistema dell’arabo il punteggiato indica l’affricata alveopalatale sonora (presente nelle varietà del Medio Egitto, quella di G, e di Libia, quella di F) e la fricativa omorganica (presente nella varietà palestinese, quella di AF e di O). 6 La messa in risalto dei contrasti dei due sistemi, di derivazione weinreichiana (cfr. Weinreich 1974: 23] è del tipo divenuto canonico nell’analisi contrastiva [per cui cfr. ora Rein 1983]. Per l’arabo si vedano i capp. relativi alle diverse varietà pertinenti (egiziane, palestinese, libica) in Fischer e Jastrow (1980: 27-33, 174 sgg., 208-210). Per l’italiano lombardo si veda Canepari (1980: 96-98). Per le interferenze dall’arabo in inglese si veda infine Flege e Port (1984). <?page no="59"?> 59 I settori di maggior difficoltà di apprendimento, come risultano dall’analisi contrastiva, sono l’occlusiva bilabiale sorda, la fricativa labiodentale sonora, le affricate dentali, l’affricata-alveopalatale sorda, che non hanno corrispondenti nelle varietà di partenza. Per quanto riguarda invece l’affricata alveopalatale sonora, essa non è presente nel sistema primario di sei soggetti egiziani provenienti dalle zone del Cairo e del delta del Nilo (cioè A, AZ, H, S, SZ). L’arabo di tipo cairota [Il Cairo e sobborghi, corso del Nilo fino a Damietta, Fayyūm, cfr. Fischer-Jastrow 1980: 208] presenta infatti, nel settore alveopalatale-velare, i seguenti fonemi: k g ʃ x γ Le varietà rurali di arabo palestinese hanno invece l’affricata alveopalatale sonora, mentre quelle urbane hanno l’omologo fricativo. In entrambe manca l’occlusiva velare sonora [cfr. Fischer-Jastrow 1980: 174]: palestinese rurale palestinese urbano k γ k γ dʒ ʃ ʒ x γ ʃ ʒ x γ I nostri soggetti AF e O hanno come sistema di partenza quello urbano, che tra l’altro rappresenta per tutta la regione (oltre che per Libano e Siria) il modello di prestigio. L’italiano / g/ non sembra soggetto a problemi di acquisizione, nonostante manchi nella lingua prima 7 . I rimanenti due soggetti G e F hanno invece nel sistema di partenza l’affricata alveopalatale sonora in questione. Sia l’arabo della media Valle del Nilo che quello di Libia [cfr. Fischer-Jastrow 1980: 209, 36 rispettivamente] hanno le seguenti consonanti alveopalatali e velari: k g dʒ ʃ x γ La [dʒ] è d’altronde presente nella varietà letteraria dell’arabo, quella che si usa anche nella lettura del Corano [cfr. Fischer 1972: 18 e Canepari 1983: 1114] e 7 Tralasciamo di considerare questo problema, ancorché interessante, per mancanza di dati. AF e O non hanno difficoltà con / g/ , ma in generale parlano una varietà di apprendimento molto vicina a quella dei nativi. <?page no="60"?> 60 Questioni di fonologia nell’italiano lingua seconda dobbiamo quindi ipotizzare che per tutti i nostri apprendenti (che hanno un’istruzione media o superiore) essa sia un fono noto, anche se di occorrenza limitata. Ciononostante, i nostri dati rivelano che l’affricata in questione rappresenta comunque un problema di apprendimento. 4. Per tutti i sei fonemi o allofoni in esame, abbiamo presso gli stessi apprendenti realizzazioni variabili che comprendono rese derivanti da interferenza, rese coincidenti con quelle dei nativi e rese intermedie tra le prime due, testimoni appunto del processo di apprendimento in corso. In particolare, per quanto riguarda le singole realizzazioni, abbiamo la seguente situazione 8 . Per / p/ abbiamo rese da interferenza che consistono nella sua sostituzione col suo omologo sonoro (e conseguente ipodifferenziazione), cfr. [bajˈzano, no kaˈbito, ˈbjatsa reˈbobːlɪqa, laβaˈbjat˙ɪ, broˈblema, ɪm ˈbarte, mbaˈrato, karbenˈd̤ jere, zboˈzarsɪ, la ˈzbeza, mɪ dɪzˈbjatʃe, rɪzˈbetːɪ]. Le rese intermedie sono costituite da occlusive bilabiali più o meno assordite che qui indichiamo come mormorate 9 , cfr. [b̤ ɪtːseˈrɪa, ˈdob̤ o, ˈanːo b̤ enˈsano (per ‘hanno pensato’), b̤ er eˈzemb̤ jo, b̤ ərˈsone, b̤ rofeˈsorɪ, mb̤ aˈrato, sb̤ etʃalɪˈdːzatɪ, sb̤ jeˈgato]. Solo i due soggetti palestinesi AF e O differenziano le due bilabiali come i nativi, benché la sorda compaia qua e là anche presso altri apprendenti (specialmente H, M). Qualche esempio: [peˈrudʒa, lavaˈpjati, ˈproprɘ, espesjaliˈdːzatɪ, paˈezi ˈarabi, aˈbːjamo paˈsːato]. / v/ è reso in certi casi come approssimante bilabiale sonoro [β], che ne rappresenta una buona approssimazione, cfr. [βɪˈnɪsja (‘Venezia’), l-aβoˈkato, uniβersɪˈta, mɪ ˈβwole mbaˈrare (per ‘voglio imparare’), do ˈβ·olte, dɪ ˈβɪa ˈbaolo ˈsarbi]. Solo in casi marginali abbiamo rese fricative bilabiali mormorate, p. 8 Molte delle caratteristiche fonetiche delle interlingue dei nostri soggetti si ritrovano anche nella varietà semplificata di italiano in uso ad Addis Abeba e all’Asmara tra italiani (ma anche europei non di lingua italiana) e nativi di lingua amarica o tigrigna (ambedue appartenenti al gruppo semitico sud-occidentale e imparentate con l’arabo, pure semitico) e tra etiopi parlanti lingue non reciprocamente comprensibili (p. es. tigrigno e kunama (nilo-sahariano)), per cui si veda Habte-Nariam (1976). Alcuni esempi pertinenti il nostro discorso: tɨrobbo ‘troppo’, abanti [aˈβanti] ‘avanti’ (ma anche bakka ‘vacca’ con [b-], rɛgaso [rɘˈgaso] ‘ragazzo’, mezo [ˈmezo] ‘mezzo’, dolši ‘dolce’. 9 La classificazione presentata qui è solo impressionistica e andrebbe affinata con l’impiego di analisi strumentali che potrebbero condurre a stime diverse della gamma di variazioni allofoniche caratterizzate da relativa sonorità o sordità di / p/ . Per questi problemi metodologici si veda p. es. Macken e Ferguson (1981: 120-122). Bisogna inoltre richiamare l’attenzione sulla presenza di rese mormorate anche per / t, k/ , soprattutto prima e dopo liquida e dopo nasale, p. es. [ˈd̤ re ˈvːold̤ e, ˈkwand̤ o] ma anche davanti a [w], p. es. [ˈg̈ walke]. È possibile che queste rese siano semplici fenomeni di assimilazione, ma potrebbero anche essere “aggiustamenti” di sonorità legati all’apprendimento dell’opposizione / p-- b/ . La questione merita comunque un approfondimento. Per una prima rassegna dei dati sull’ipodifferenziazione di / p-- b/ nell’italiano lingua seconda di arabofoni si veda Bernini (1985). <?page no="61"?> 61 es. [ˈɛ v̤ ɪˈtʃɪn ᴜ , ˈserv̤ e]] e solo in due casi (presso A) sostituzione col suo omologo sordo, cfr. [[ˈkomɘ fɪ ˈtʃɪn ᴜ , troˈfato]. Qualche esempio di resa corretta: [ventɪˈtʃɪnkwe, ˈi ᴜ veˈnuto, na ˈv·olta, ˈskrivɘ]. Le affricate dentali [ts, dz], che nella varietà di italiano in questione sono in distribuzione quasi complementare, mostrano una gamma di realizzazioni che vanno dalle fricative omorganiche (con conseguente ipodifferenziazione rispetto a / s/ ), a rese semiaffricate e a rese corrette. Cfr. per la sorda: [nasjoˈnalɪ, staˈsːjone, βɪˈnɪsja, (e)ʒɪˈsjanɪ, niˈsjato, neˈgosjo, ters-ˈan·o, ˈsforso, ˈstansa, raˈgas·o, (a)nˈdresːo, ˈbjasa, forˈtesːa; natsjoˈnalɪ, lɪˈtŋentsja, ɲoˈrantsa, ᶇ joˈrantsa, per ˈfortsa, raˈgatsːo, ˈbjatsa, baˈlatsːo; natsjoˈnalɪ, edʒiˈtsjano, ˈtertso, ˈsentsa, raˈgatːso, b̤ ɪtːseˈrɪa, bulɪˈtːsia, indiˈritːso]. Per la sonora cfr.: [zuˈrigo, dɪ ˈzukːɘro, e ˈzio; organiˈdzːati, ˈmedzːo; organiˈdːzata, medzaˈnotːe, magaˈd- ːzini]. In un solo caso (presso- G) abbiamo per [ts] una resa alveopalatale, in [staˈʃone], mentre più frequenti sono gli scambi di sonorità, cfr. [ˈsenza, ˈsendza, abːaˈstandza; ˈdu-e ˈmetːso]. La stessa gamma di realizzazioni vista per le affricate dentali si ritrova anche per quelle alveopalatali, per le quali, in caso di geminazione, la deaffricazione si accompagna sempre allo scempiamento. Cfr. per la sorda: [elet·riˈʃɪsta, seˈʃɪlja, beʃjaˈlɪsta, dɪˈfːɪʃɪle, ber dɪʃɪ, ˈfaʃɪle, koˈm·erʃjo, soˈʃabili, koˈmɪnʃɘ, ˈsedɪʃ-ˈan·ɪ, ᴜ ˈʃɪta, staˈʃone ʃenˈtrale, ˈʃentro, ɔ ʃɪrˈkato; dɪˈtʃjamo, ˈtante ˈtʃɪta, berˈke tʃ-ˈɛ ˈgrana, kaˈb̤ ɪrtʃɪ, komːertʃaˈlɪsta, franˈtʃeze; n kuˈtʃina, diˈtʃamo, ˈfat(ː) ʃo, tʃ-ˈanːo, b̤ rɪntʃɪˈb̤ ale, ˈtʃento per ˈtʃento, ɘl ˈtʃɪn̦ema]. Per la sonora, cfr.: [ˈtuti ˈʒoβani, la ˈstrada ˈʒusta, lj artɪˈʒanɪ, glotːoloˈʒɪa, al ʒorno, alʒeˈrɪa, n-ʒeneˈralɪ, ber ˈʒente, ˈkwindiʃ ˈʒorni, ˈleʒere, maˈʒore; dʒerˈmanja, la ˈstrada ˈdʒustɪ, edʒiˈt-sjano, glotːoloˈdʒɪa, aldʒeˈrɪa, n-ˈdʒiro, de lːedʒe, maˈdʒor; dʒjorˈdanja, dʒjoˈβanːɪ, beˈerudʒa, ɪ dʒeniˈtori, dɪ ˈdʒorno, manˈdʒ(j)arɪ, aldʒeˈrɪa, ˈledʒere, ˈvjadːʒo, ˈledːʒe, adːʒusˈtarlo, ˈredːʒo eˈmilja]. Come si può facilmente osservare, le affricate vengono spesso sostituite dalle corrispondenti fricative, presenti nei sistemi di partenza e probabilmente sentite come i suoni a quelli più simili. Lo stesso vale anche per l’affricata alveopalatale sonora, la cui corrispondente fricativa, come già abbiamo visto, è presente solo nell’arabo palestinese. La frequente resa fricativa indipendentemente dalla varietà di partenza e la marginalità di altre rese (esemplificate da [leˈsjamo, ˈledjere]) sono probabilmente riconducibili al fatto che quella è nota e sentita come fono caratteristico di certe varietà regionali (appunto siro-palestinese e libanese) ed entra quindi nel gioco delle interferenze. La forte variabilità che caratterizza i singoli apprendenti (tranne AF, F, O, le cui interlingue mostrano una fonologia molto vicina a quella di arrivo) attesta chiaramente i processi di apprendimento in corso ed è riprova dell’opportunità di integrare l’approccio contrastivo con quello evolutivo. Indizio <?page no="62"?> 62 Questioni di fonologia nell’italiano lingua seconda di processi di apprendimento ormai conclusi o in corso sono anche diversi esempi di fossilizzazione e di sovraestensione che compaiono qua e là. Tra i primi è notevole il sintagma [n-ˈsak: o ˈbel: o] per ‘un sacco a pelo’, prodotto da O che distingue le due occlusive bilabiali. Il sintagma è evidentemente il risultato di una reinterpretazione lessicale sulla base di una pronuncia ipodifferenziata delle labiali. Probabilmente sono da assegnare a questa categoria anche i lessemi [βɪˈnɪsja, staˈs(ː)jone ʃenˈtrale, (a)nd(ɘ)ˈrɪsːo, (e)ˈʒɪt(ː)o, (e)ʒɪˈsjano, (e)ʒɪˈtsjano], che ritornano soprattutto negli apprendenti con stadi di apprendimento meno avanzati e non mostrano mai variabilità. Questi lessemi sembrano mantenere la fonetica precoce del primo periodo di apprendimento (si noti che si tratta di parole in qualche modo legate alle prime esperienze comunicative in lingua seconda: il porto di arrivo, il luogo di ritrovo, il paese di origine). Tra gli esempi di sovraestensione abbiamo diversi casi di sostituzione e in particolare: (a) rese mormorate di / b/ come in [b̤ uˈsːjamo, ˈb̤won ˈdʒorno]; (b) rese affricate di fricative, come in [ˈnsomːa tɪ ˈfanːo na ˈtʃena ˛dela maˈdonːa (per ‘una scena’), liˈtʃeo tʃenˈtifiko, nel tʃentifiko, tsents-ˈaltro, ˈtsi, ˈntsomːa]; (c) rese geminate di affricate scempie, come in [raˈdɪtːʃɪ, oroˈlodːʒo, eseˈdːʒezi]. Tutti questi casi sono sintomo di adattamento al sistema fonologico di arrivo tramite diffusione lessicale, che, per le affricate alveopalatali, prende probabilmente le mosse dalle parole in cui esse compaiono come geminate. Per quanto riguarda, più in generale, la rilevanza che hanno i fenomeni di interferenza nell’apprendimento lessicale, il corpus contiene il caso interessante dell’apprendimento della parola città da parte di A, un apprendente con un’alta percentuale di occorrenze di affricata alveopalatale sorda. Il caso è illustrato dai seguenti frammenti di conversazione (dove I sta per ‘intervistatore’): I: allora è una città, non è un paese A: ma no ˈso kɪ dɪfeˈrentsa ˈma una ˈʃɪta I: la città è grande […] viene chiamata città A: ˈtʃɪta ˈsi […] ˈtante ˈtʃɪta […] baˈezɪ ᴜ ˈʃ·ɪta - ˈbergamo? Si può osservare come l’affricata, nella parola in questione, venga realizzata come tale solo in una risposta-eco e venga altrimenti sostituita dalla corrispondente fricativa o resa come semi-affricata. 5. Facendo astrazione dalle singole realizzazioni variabili e tenendo conto della media di percentuali di rese corrette da parte dei nostri soggetti otteniamo, per i fonemi e i foni in esame, una sequenza di apprendimento che vede ai <?page no="63"?> 63 primi posti / v/ e / tʃ/ (con più del 90% di rese corrette) seguiti da [ts] (con circa i 3/ 4 di rese corrette), da [dz] e da / dʒ/ (2/ 3 circa di rese corrette) e infine da / p/ (meno del 50% di rese sorde). L’unica riserva che occorre avanzare riguardo a questa sequenza concerne l’affricata dentale sonora, per la quale abbiamo poche occorrenze 10 . La sequenza di apprendimento così delineata è molto istruttiva per quanto concerne la stima dei fenomeni di interferenza nel processo di apprendimento della fonologia. Infatti essa ci mostra chiaramente come questi non abbiano tutti lo stesso peso e non concorrano a determinare l’iter di apprendimento nella stessa maniera. Inoltre la relativa difficoltà di acquisizione dei foni in esame sembra porsi in un’interessante correlazione con stime di marcatezza fonologica operate in base a confronti interlinguistici. In particolare, l’approssimante labiovelare [w] e, alternativamente, la fricativa labiodentale sonora [v] sono le due possibili realizzazioni del termine non marcato rispetto a / f/ , che li presuppone (cfr. Gamkrelidze 1978). La facilità di realizzazione e acquisizione di / v/ può dunque essere vista come correlato di un semplice spostamento di articolazione all’interno della gamma di realizzazioni del termine non marcato, che, come abbiamo visto, comporta solo sporadiche rese assordite e non viene mai reso con l’occlusiva bilabiale sonora, come invece accade nei processi di acquisizione di lingue prime [cfr. Locke 1983: 145] 11 . All’altro estremo, la persistenza dell’ipodifferenziazione di / p-- b/ è coerente con una gerarchia di marcatezza delle occlusive che pare correlata con le condizioni che ne favoriscono l’articolazione sorda e sonora e che si configura come segue per le sorde da una parte e per le sonore dall’altra: t > k > p, d > b > g (Gamkrelidze 1978; Ferguson 1984). Tale gerarchia sembra essere un universale fonologico particolarmente forte, visto il ritardo nell’acquisizione del termine più marcato tra le occlusive sorde e che non compare nel sistema primario dei nostri apprendenti. Tra questi due estremi, la sequenza delle affricate (cioè tʃ > ts > dz, dʒ) ripropone nuovamente la scala di marcatezza che si riscontra tra i sistemi fonologici delle lingue del mondo e che è imperniata sulla combinazione di sonorità 10 L’individuazione di sequenze di apprendimento su base trasversale è sempre molto problematica e inoltre, nel nostro caso, occorre tenere presente il numero relativamente basso dei soggetti in esame. Va da sé che questo primo tentativo di sistematizzazione e interpretazione dei dati è da sottoporre a verifica su gruppi più numerosi di apprendenti. 11 Il caso di bakka per vacca nell’italiano semplificato di Etiopia, citato alla nota (8), potrebbe costituire di per sé un controesempio. Il sostrato amarico/ tigrigno di questa varietà di italiano ha però [b, β] come varianti combinatorie e quindi le sostituzioni vanno interpretate diversamente (cfr. anche abere [aˈβere] ‘avere’ e sabere [saˈβere] ‘sapere’). In certi casi abbiamo tuttavia [w] per / v/ , cfr. lɛwrare [ləwˈrare] ‘lavorare’. <?page no="64"?> 64 Questioni di fonologia nell’italiano lingua seconda e di luogo di articolazione: le sorde sono in generale meno marcate delle sonore, ma per le affricate il luogo di articolazione (alveo)palatale è meno marcato di quello dentale/ alveolare, mentre per le fricative vale l’inverso (Lass 1984: 154). In quest’ambito è soprattutto interessante il caso dell’alveopalatale sonora, che mostra rese imperfette anche presso F e G, i due apprendenti nei cui sistemi primari essa è presente. Le loro rese, disaggregate, sono in effetti migliori per l’affricata in questione che non per quelle dentali, ma non si può certo parlare di transfert positivo che favorisce nettamente realizzazioni corrette. Tutto questo induce a pensare che in certi casi prendano il sopravvento fattori di marcatezza e che di conseguenza l’apprendimento si configuri di più in termini meramente evolutivi, indipendentemente dalle lingue di partenza, come ipotizzano anche Mulford e Hecht (1980), per i quali i fenomeni di interferenza sono più caratteristici delle vocali, mentre rese di tipo evolutivo contraddistinguono affricate e fricative. Tra questi due estremi si pongono le liquide (con un comportamento più vicino a quello delle vocali) e le occlusive (più simili, nel comportamento, alle affricate/ fricative). In generale, però, l’articolazione della / dʒ/ sembra essere piuttosto debole, come mostra la sua deaffricazione in alcune varietà di italiano (fra cui il toscano) e anche il suo raddoppiamento in certe altre. A ciò sarebbe dovuto il ritardo nel suo apprendimento rispetto al suo omologo sordo e alle affricate dentali. 6. In conclusione, l’apprendimento del consonantismo dell’italiano lingua seconda, almeno per quanto riguarda questo primo gruppo di apprendenti, mostra come, all’interno del quadro fissato dai parametri dell’analisi contrastiva e valido solo per le lingue considerate di volta in volta, agiscano gli stessi principi generali di marcatezza che governano la costituzione dei sistemi fonologici nelle lingue prime di adulti. Questi condizionano il processo di apprendimento ritardando più o meno l’acquisizione dei fonemi della lingua di arrivo in funzione della maggiore o minor marcatezza che questi rivestono. In particolare, il grado di difficoltà nell’apprendimento del sistema fonematico della lingua seconda verrebbe variamente determinato da universali e tendenze indipendentemente dal sistema della lingua prima degli apprendenti per certi gruppi di consonanti (cfr. il caso di / tʃ/ di acquisizione precoce e di / dʒ/ di acquisizione piuttosto tarda) e in base al sistema primario per certi altri (cfr. il caso di / v/ e di / p/ ). La rilevanza dei fenomeni di marcatezza conferma i risultati di altri studi [p. es. Eckman 1977, 1981a e 1984] sui nessi iniziali e finali di parola nelle interlingue. Infine, lo studio di sequenze di apprendimento in fonologia può risultare utile alla verifica di universali e tendenze allo stesso modo dello studio dell’apprendimento della morfosintassi [per cui cfr. Comrie 1984]. <?page no="65"?> 3 Strategie di costruzione dei paradigmi verbali in lingua seconda* 3.1 Introduzione 1 Le strategie di (ri)costruzione e di organizzazione dei paradigmi flessionali nell’apprendimento di lingue seconde sono un campo di studio interessante sia per la ricerca sull’acquisizione linguistica in senso stretto (dove sono state già trattate per le lingue prime, cfr. Peters 1985, MacWhinney 1985) sia perché possono servire alla verifica e al sostegno empirico di ipotesi teoriche nell’ambito più generale della morfologia. A questo proposito lingue a isocronismo sillabico con un ricco inventario di morfemi grammaticali, come l’italiano, offrono prospettive di indagine migliori che non lingue a isocronismo accentuale con scarsa morfologia, come l’inglese, ma anche il tedesco, la cui non povera morfologia è oscurata dai noti fenomeni di riduzione di vocali atone e quindi di più difficile individuazione nell’apprendimento non guidato di lingue seconde (cfr. le forme [aːbait] e [aːbaitë] “lavoro/ lavora(re)”, in [wan aːbait, aːbaitë obën], e il participio [gestorb] “morto” senza il suffisso, Klein-Dittmar 1979: 133). Inoltre occorre tenere distinte lingue (o subsistemi) di tipo agglutinante e di tipo flessivo per le diverse condizioni di segmentazione e riconoscimento dei significati veicolati dai singoli morfemi, che presentano ovviamente problemi diversi di apprendimento. Per quanto riguarda invece il contesto dell’apprendimento, le osservazioni più istruttive si potranno trarre dall’apprendimento non guidato, dove si dovrebbero meglio * Tratto da: Quaderni del Dipartimento di Linguistica e letterature comparate, Bergamo, Istituto Universitario, 5 (1989): 195-208. 1 Questo lavoro è parte del progetto interuniversitario di ricerca “Apprendimento linguistico e comunicazione interetnica”, fondi MPI 40% (1986-1988), sede centrale: Pavia. La discussione riprende alcuni dei temi toccati da Berretta (1990b), che costituisce l’inquadramento generale delle linee di apprendimento della morfologia in italiano lingua seconda, ma li tratta dal punto di vista particolare della prospettiva di organizzazione dei paradigmi. Con Monica Berretta ho avuto numerose occasioni di discutere singoli punti del lavoro e molti suggerimenti preziosi. Una prima versione di questo saggio è stata presentata al V° Colloquio italo-austriaco di linguisti della SLI, Bergamo, 2-4 ottobre 1989. Sono grato a Wolfgang Dressler, Rosita Rinder-Schjerve, Maurizio Gnerre per le osservazioni puntuali e di ordine generale che hanno fatto in quella sede e che sono state integrate nel testo presente. <?page no="66"?> 66 Strategie di costruzione dei paradigmi verbali in lingua seconda manifestare le strategie di organizzazione/ costruzione di paradigmi in quanto insiemi di forme interrelate. Al contrario l’apprendimento guidato, anche nelle forme più lontane da quello “tradizionale”, comporta sempre una presentazione già organizzata in paradigmi del materiale lessicale (si ricordi la memorizzazione di forme-base quali lat. video, vides, vidi, visum, videre; fr. voir, voyant, vu, je, vois, je vis; ted. sehen, siehst, sah, gesehen, etc.) 2 . 3.2 Lingue prime e lingue seconde Basandomi su dati di apprendimento dell’italiano come lingua seconda in contesto non guidato 3 , prenderò in esame alcuni aspetti di ordine generale dell’organizzazione dei paradigmi nel sistema verbale, il cui sviluppo si intreccia con quello dei paradigmi del sistema nominale senza che, per ora, si possa con sicurezza parlare della precedenza dell’uno sull’altro 4 . Nell’organizzazione dei paradigmi verbali, apprendimento di lingue prime e di lingue seconde si differenziano nettamente, tra l’altro, per l’input che ne constituisce le condizioni di partenza. L’input per le lingue prime è infatti costituito in buona parte dal baby-talk, con il quale, per certi versi, l’adulto aiuta il bambino nell’operazione di segmentazione con la ripetizione di enunciati lievemente modificati (Peters 1981: 237). In questo contesto, l’adulto fornisce al bambino anche una base cognitivamente adeguata per costruire i paradigmi verbali, riferendosi spesso, anche se non esclusivamente, ai partner dell’interazione con nominali pieni e, di conseguenza, verbi alla terza singolare (cfr. viéne il mio bambino “vieni qui subito”, Calleri 1987: 6; cfr. anche Savoia 1984). Per questa via, che comporta l’analisi delle forme verbali in radice e morfema e la sua riapplicazione in base ai principi operativi di Slobin (1985), mi sembra si possa spiegare la frequenza di regolarizzazioni analogiche nei bambini, nota a 2 Queste sono le forme fondamentali dei paradigmi verbali come sono state proposte a me nel corso della mia esperienza scolastica nell’ambito di un insegnamento tradizionale di tipo “traduttivo” particolarmente attento alle forme e poco alle funzioni comunicative. Ritengo che possano comunque essere emblematiche di questo tipo di preorganizzazione del materiale linguistico da insegnare. 3 Le caratteristiche degli apprendenti presi in considerazione e qui indicati con sigle, sono presentate in appendice. 4 Il problema di decidere se il costituirsi di morfologia nominale preceda quello di morfologia verbale o viceversa è complicato dal fatto che non è detto che le prime forme verbali, molto precoci presso tutti gli apprendenti (3 a o 2 a sg. del presente indicativo, participio passato, infinito, cfr. tra gli altri Giacalone Ramat 1990), non siano da considerarsi ancora elementi lessicali non (col)legati (o non strettamente (col)legati) nel senso di un vero e proprio paradigma. Per lo sviluppo di morfologia nominale si veda ora il minuzioso studio di Valentini (1990). <?page no="67"?> livello interlinguistico, che in italiano riguardano in particolare formazioni del tipo dicio “dico” e simili (Berretta 1988a) e che in diacronia stabiliscono le vie privilegiate dei cambiamenti morfologici (Bybee 1980, 1985: 50 sg.). Nell’apprendimento non guidato di lingue seconde l’input è invece del tutto casuale e, a seconda delle condizioni sociali di apprendenti e comunità ospitante, può essere ricco di forme nel caso di frequenti e cooperative interazioni con nativi o via via sempre più povero fino all’estremo dello xenoletto, nel caso di forte distanza psicologica e sociale tra apprendenti e nativi. In ogni caso il compito di segmentare le parole riconosciute e di costruire i paradigmi della lingua di arrivo adottando eventualmente forme base da cui derivarne altre è funzione della frequenza e della salienza fonetica di certe forme nell’input (p. es. sillabe aperte non ridotte). Ciò può essere illustrato dall’esempio seguente (M dopo un mese di soggiorno in Italia) 5 : (1) Interv.: eeh ++ che cosa facevi all’Asmara? M: eh? Interv.: lavoravi-& andavi a scuola-& M: & eh s/ stÿdio/ stÿdiavi & scuola sì 3.3 Strategia a “parole e paradigmi” L’organizzazione del piano paradigmatico della lingua di arrivo da parte degli apprendenti, in particolare dei paradigmi dei tempi verbali, si può ricondurre a tre strategie principali. La prima strategia è caratterizzata dall’uso di parole polifunzionali tra cui si suddivide lo spazio semantico di un paradigma della lingua di arrivo, con la conseguenza di frequenti sovraestensioni, p. es.: 5 La notazione degli esempi è ormai abbastanza nota, ricorrendo in tutti i lavori di questo tipo. Si ricorda comunque che l’intonazione discendente è segnalata dall’andata a capo, quella ascendente da ? , quella sospensiva da -. La virgola indica brevissima cesura intonativa senza pausa. +, ++, +++ indicano pause via via più lunghe (da 1/ 2 a 3 minuti secondi circa). Tra * * sono inserite espressioni non in italiano, tra () elementi poco udibili, tra [] interpolazioni di chi trascrive. Infine & segna il confine di sovrapposizione di enunciati di interlocutori diversi (come nell’es. 1). 67 <?page no="68"?> 68 Strategie di costruzione dei paradigmi verbali in lingua seconda (2) (M, 1-m.) il mie amici + ah ++ andate la - scuola “i miei amici vanno a scuola” (3) (E, 5-m.) John ritorna per dormire - ma non, dormo “[…] ma non dorme” (4) (T, 3-m.) sì Pasqua così lei fai uno - uno […] “sì a Pasqua [la Chiesa] fa un [dibattito]” In base alla disponibilità e alla frequenza di forme dell’input, diverse a seconda dei singoli tipi lessicali, un paradigma viene così costruito come un puzzle, specializzando via via il significato grammaticale delle singole forme con l’aggiunta di nuovi elementi. Questa strategia ricorda l’impostazione a “parole e paradigmi” della teoria morfologica (Matthews 1975 tra gli altri) in quanto non comporta alcun processo di segmentazione da parte dell’apprendente, come mostra il caso di apprendenti eritrei di italiano 6 , che per il presente indicativo sovraestendono persone diverse a seconda dei lessemi, come mostra lo schema seguente: (5) ANDARE: vado, vai, andate; 1 SG: domando; 2 SG: guardi; hai; vuoi; v(i)eni; 3 SG: paga; sta; 2 PL: fate. Si noti che presso questi apprendenti non si hanno retroformazioni del tipo *anda, in sé plausibili per il grande numero di forme alla 3 a sg. della prima coniugazione. Nelle fasi più precoci le parole polifunzionali in questione coprono lo spazio semantico sia delle persone che delle distinzioni temporali-aspettuali e modali 6 I dettagli sono discussi da Bernini (1990a), che per molti versi è la fase preliminare del presente lavoro. <?page no="69"?> 69 più basilari, cioè quelle tra presente abituale e atemporale, passato risultativo e modo di non-attualizzazione 7 . Ciò è attestato dall’esempio (6), dove andate (pres. indic., 2 a pl.) è di fatto in conflitto con andato (part. pass. m. sg.) 8 e dagli enunciati in (7), che sono stati prodotti a poca distanza l’uno dall’altro nello stesso contesto di narrazione al passato. (6) (M, 1-m.) I: avevate queste persone che vi guidavano M: eh quelle persone? I: mh M: quello persone ++ eh + andate la Eritrea “sono andate/ vanno”(? ) (7) (M, 1-m.) c’è la controllo + io vengo Asmara - Sudan *on foot*; io + sì ++ venuto a qua Milano “c’erano controlli; io sono andato dall’Asmara al Sudan a piedi; sono venuto qui a Milano” In questa fase l’Aktionsart dei singoli tipi lessicali determina ovviamente, per la frequenza nell’input, la comparsa delle prime sovraestensioni (p. es. lavorare vs. finito vs. parla, hai, andate) e il loro uso in qualsiasi contesto temporale, cfr.: (8) (M, 3-m. circa) Io non lasciato tu qua. Io prendo tu Italia “Non ti lascio/ lascerò qui; ti porto/ porterò (con me) in Italia” La differenziazione delle tre forme del protosistema verbale di italiano lingua seconda è inferibile dall’uso, p. es. di presente e participio passato, in coerenza con le distinzioni temporali all’interno di una narrazione. Nei dati esaminati compare comunque una prova formale della costituzione di questo primo paradigma nell’uso di fini/ si-fini opposto a finito in T a circa 3-m. di permanenza in Italia. Cfr.: 7 Per queste nozioni che costituiscono il fulcro del sistema in sviluppo e le loro espressioni, rispettivamente forme di presente indicativo, participio passato e infinito della lingua di arrivo, si vedano i contributi compresi in Bernini-Giacalone Ramat (1990). 8 In realtà potremmo trovarci anche di fronte a un andate (part. pass. f. pl.) di certo non infrequente nell’input dato che si tratta di un verbo intransitivo coniugato con l’ausiliare essere e che quindi concorda in genere e numero col soggetto. L’omofonia delle forme (rispetto p. es. a venite - venute o fate - fatte) rende le interpretazioni più problematiche. <?page no="70"?> 70 Strategie di costruzione dei paradigmi verbali in lingua seconda (9) tu alla fini, quando noi fini questa cassetta - vai uscire una […] “tu alla fine, quando finiamo [di registrare] questa cassetta, farai […]” (10) quando si-fini questa cassetta “quando finisce/ finirà questa cassetta” (11) fino si-fini la guerra “quando finisce/ finirà la guerra” (12) non è finito fin(o) adesso “finora non è finita” La forma fini probabilmente va ricondotta sia a una retroformazione da finito, che come abbiamo visto è, per la sua Aktionsart risultativa, estremamente disponibile per frequenza nell’input; sia al sostantivo fine (cfr. alla fini nell’esempio 9). La i finale che si ritrova sia nella versione del sostantivo che in quella del verbo va a sua volta ascritta a ipodifferenziazione di / i/ e / e/ finali atone nelle prime fasi nel caso del sostantivo e all’uso molto caratteristico di questo apprendente della desinenza di 2 a sg. (cfr. sotto ess. 15, 16) 9 . È comunque evidente dagli esempi riportati che finito e (si-)fini per T si oppongono come parlato - parla (e parlare). La strategia di costruzione a “parole e paradigmi”, per l’italiano, si esplica in modo particolarmente interessante nell’organizzazione delle persone del presente indicativo, che pur comincia in fasi relativamente precoci. Le sovraestensioni sembrano essere governate da principi generali (p. es. tutte le persone del singolare vengono sovraestese su persone del plurale, ma le poche sovraestensioni delle persone plurali rimangono nell’ambito di questo numero) 10 . Cfr.: (13) cosa fate - i por/ i pors/ i porsoni 9 La possibilità che una forma di una varietà di apprendimento possa essere riconducibile a più fonti è certo nella natura profonda delle interlingue e non un fenomeno di eccezione. L’osservazione è messa in gran risalto da Mühlhäusler (1986: 2) a proposito di lingue pidgin, che mostrano come è noto molti processi comuni a fasi di apprendimento precoce di lingue seconde. 10 Si rimanda di nuovo a Bernini (1990a) per l’analisi puntuale dei dati delle prime fasi di apprendimento degli apprendenti eritrei. Eventuali regolarità di direzione delle sovraestensioni, se verificate presso altri apprendenti, saranno ovviamente molto rilevanti anche da un punto di vista teorico. <?page no="71"?> 71 “cosa fanno le persone? ”(M, 1-m.) La frequenza nell’input di certe persone (solitamente la terza e la seconda singolari) può indurre presso certi apprendenti la prevalenza di una sola forma sovraestesa. A questo proposito, per l’italiano, la frequenza di sovraestenzioni della seconda singolare del presente indicativo è connessa con l’uso molto diffuso del tu impersonale nel parlato colloquiale, anche in contesti non del tutto appropriati, come mostra l’esempio (14), tratto dai materiali raccolti da Cereia (cfr. Cereia Fuso 1988). (14) I: [parlando di una passata visita a un museo archeologico] sì era mah eh - mi era piaciuto perché studiavi e quindi potevi comparare le situazioni […] “[…] perché studiavo e potevo comparare le situazioni” In questo brano l’intervistatore racconta all’apprendente una sua esperienza passata e l’uso del tu impersonale, per quanto denotativamente inappropriato, è pur sempre adatto a “coinvolgere” l’interlocutore nel punto di vista del parlante. L’uso di forme impersonali da parte dei nativi è probabilmente la fonte della frequenza di forme di seconda singolare spesso accompagnate da si in proclisi in T 11 , cfr.: (15) (T, 2-m.) io non lo so, dove dove si-giochi “non so dove si gioca” (16) (T, 3-m. circa) il capoto, si-meti la capoto - non hai - io meti solo le *T-shirt* “il cappotto, (si) mettono il cappotto - non ce l’ho - (mi) metto solo le T-shirt” 12 11 Come abbiamo già visto a proposito di (si-)fini (ess. 9-11) la desinenza di 2 a sg. è particolarmente caratteristica di questo apprendente. Se l’orecchio non mi inganna, riprova ne è la sua estensione al presente di essere contenuta in questo hapax: (T, 3-m.) in generali - sono, boni (g)l-italiani non èi - cattivi 12 Cfr. anche l’esempio seguente (sempre T, 3-m. circa): […] come quando si-metti una grande giuboto così sì le vecchie metti le ca-/ la - capoto <?page no="72"?> 72 Strategie di costruzione dei paradigmi verbali in lingua seconda Occorre poi ricordare, anche se qui se ne può fare riferimento solo marginalmente, una certa permeabilità categoriale di queste forme, in parte indotta dalla omonimia dei più frequenti morfi nominali e verbali dell’italiano (p. es. -a: femm. sg. e terza singolare). Cfr. (17) c’è la suona - si - raconti, porti la pane “suonano, ci si saluta, portano il pane” (T, 3-m. circa) (18) in Germania hanno detto in Italia tutto pieno di nevica (Fr, 9-m.) La realizzazione estrema di questo tipo è esemplificata dai pidgin e dai creoli, che di solito adottano una sola forma verbale della lingua lessificatrice ed esprimono sull’asse sintagmatico le distinzioni di tempo-aspetto-modo e persona rilevanti. Ciò è provato soprattutto dai creoli derivati da lingue con ricca morfologia, come il nubi (a base araba sudanese) i cui lessemi verbali lasciano tuttora trasparire la forma originaria: p. es. dakalu “entrare” < ar.sud. daxalu “essi entrarono” (ar. cl. daxaluu); gata “tagliare” < ar.sud. gata ʔ “tagliò” (ar. cl. qaṭa c a); ašrubu “bere” < ar.sud. ašrubu “bevete” (Imper.) (ar. cl., ʔ išribuu), cfr. Owens (1985: 254) 13 . Il nubi, come i più noti creoli a base inglese e francese, distingue però solo a livello sintattico le categorie verbali, cfr. (19) kan bi gi ruwa (Owens 1985: 262) anteriore futuro progressivo andare “sarei/ saresti/ sarebbe etc. stato in cammino” “mi metto [ti metti/ ci si mette? ]; (si) mettono” Gli esempi (15) e (16) oltre che (9-11), rendono perlomeno problematica l’interpretazione di si come riflessivo. A questo riguardo, cfr. anche: (T, 3- m. circa) è venuto due persone […] c’è come - la - la come - a l’aereo si-fai +++ (*hijack*); sì in Eritrea non è freddo + non si-fa come così freddo. 13 L’uso di una sola forma verbale che si riscontra tipicamente nelle descrizioni dei pidgin va postulata a partire dalle fasi di stabilizzazione di questi, caratterizzate dal fissarsi di certe convenzioni tra gruppi di parlanti e dalla riduzione della variabilità (cfr. Mühlhäusler 1986: 147 sgg.). Nelle precedenti fasi di jargon ci si può aspettare l’uso variabile anche presso lo stesso parlante di forme diverse dello stesso lessema come nelle interlingue più precoci illustrate qui. Per la fase di jargon militaresco all’origine del nubi (Heine 1982: 11 sg.) possiamo immaginare cioè l’uso di più forme dello stesso lessema, poi eliminate in favore di quella effettivamente attestata. <?page no="73"?> 73 Uno stadio poco più avanzato, che ricorda in parte la situazione di interlingue di italiano e di tedesco è quello dell’afrikaans, che ha due sole forme nel paradigma verbale, cfr. skryf - geskryf (pres. - part. pass.), delle quali la seconda si usa sempre insieme all’ausiliare het, p. es. ek het geskryf “ho scritto/ scrivevo”. Analoga situazione si ritrova nel poco studiato italiano d’Etiopia (Habte-Mariam 1976), che ha due sole forme verbali: lëwrare (pres. e pass. durativo; fut.; imper.) e lëwrato (pass./ risultativo). 3.4 Strategia “entità e disposizioni” Una seconda strategia di organizzazione dei paradigmi, che si manifesta nelle interlingue in regolarizzazioni analogiche nei casi di allomorfia di base (non lo leggio “non lo leggo”) o affisso (e ciò che riempisce “e ciò che riempie”) e in doppie marcature (presato “preso”) si interseca in stadi non iniziali di apprendimento con quella descritta sopra 14 . In termini generali di analisi morfologica, queste formazioni sembrano evocare il modello cosiddetto a “entità e disposizioni” (o “items and arrangements”). Ne sono attestazioni anche forme quali ti-piacio “mi piace” (M a 1-m., 23-g. di permanenza in Italia) 15 e forse il ricorrere di forme piane e non sdrucciole di terze plurali del presente indicativo presso apprendenti eritrei anche avanzati, ma non solo, p. es.: (20) (A, 1a. 2-m.) entráno e così fanno tutto […] se c’érano fratelli - lo portáno, così amazáno La prosodia di queste forme potrebbe attestare la regolarizzazione di forme polisillabiche sia sulla base dell’infinito e del participio passato della prima coniugazione (cfr. entráre-entráto, ammazzáre-ammazzáto, ma non * eráre) 16 sia nell’ambito più generale della prosodia più consueta per le parole dell’italiano. 14 Bastino qui i pochi esempi illustrativi dei tipi di formazione analogica più frequenti. Altri esempi di altri apprendenti si possono trovare in Berretta (1990b). 15 In questo caso non abbiamo segmentazione di proclitico e forma verbale, che viene ripresa come unità non analizzata dall’input ti piace? , ma segmentazione di base e suffisso di persona. Se il nostro apprendente avesse un infinito nel suo frammento di grammatica di apprendimento, questo dovrebbe essere *tipiacere col significato dell’ingl. to like. 16 La forma sdrucciola érano è anche prosodicamente solidale con le altre forme precoci dell’imperfetto di essere, cioè ero, era, per le quali si veda Bernini (1990b). <?page no="74"?> 74 Strategie di costruzione dei paradigmi verbali in lingua seconda Forme analogiche caratterizzano l’iter di apprendimento della distinzione dei paradigmi delle coniugazioni nel presente indicativo (cfr. correggia “corregge”, parta “parte”, succeda “succede”, E, F a poco più di 2-m. dall’arrivo in Italia, Cereia Fuso 1988: 112) ma soprattutto l’apprendimento e la resa in fasi più avanzate. Interessanti sono, a questo proposito, le forme di condizionale preferiscebbe “preferirebbe” (E, 8-m.) formato sulla base della 3 a singolare del presente indicativo e c-erebbe “ci sarebbe” (F, poco meno di 8-m.) 17 , formato su una base c-, come in c-è, c-era etc. Diversamente dalle regolarità di formazione individuate dalla Bybee (1980), le analogie nell’apprendimento di lingue seconde mostrano un quadro più complesso, da analizzare puntualmente su un corpus ampio di apprendenti, come mostrano le forme finitavo “finivo” (E, 4-m.), rispetto a correrava “correva” (F, quasi 9-m.) 18 e anche l’esempio seguente: (21) (A, 1a. 5-m.) allora sta messón/ mettóndo - ha messo un pesce sull’albero Questi esempi sembrano indicare che la forma alla base delle formazioni analogiche dell’imperfetto da una parte e del gerundio dall’altra varia a seconda della Aktionsart del lessema. Abbiamo così il participio passato per verbi telici puntuali (finire, mettere), l’infinito per verbi durativi (correre). Questo potrebbe significare che l’organizzazione dei paradigmi nei frammenti di grammatica in evoluzione della lingua seconda non sia basata su relazioni simmetriche ed equipollenti, ma si configuri diversamente in base a caratteristiche semantiche fondamentali dei lessemi, come è l’Aktionsart per quelli verbali 19 . 3.5 Strategia delle costruzioni analitiche Una terza strategia che si ritrova nelle interlingue è quella delle costruzioni analitiche, in cui il significato grammaticale è codificato in una forma separata da quello lessicale. Rispetto alle prime due strategie discusse sopra questa sembra essere relativamente marginale, in quanto viene applicata come strategia transitoria per far fronte a problemi di espressione di categorie, temporali o anche di persona, per cui manca la forma appropriata (o ritenuta tale) nel paradigma incompleto dell’interlingua. Cfr. 17 Ambedue le forme sono riportate in Cereia Fuso (1988: 114). 18 Cfr. Cereia Fuso (1988: 115). 19 Per questi problemi si veda Bybee (1985: 49, 77) e in generale i capp. 3 e 5. <?page no="75"?> 75 (22) (A, dopo 1a. 2-m.) lui li ha capisce “li capiva/ aveva capiti”; lei ha creda che era un altro “credeva che fosse un altro” 20 ; (23) ( Jo, 2-m. circa) miei amici ero sono “i miei amici erano” (24) (E, 7-m.) non avevo credo nel questo cosa “non credevo in questa cosa” 21 (25) (Pe in diversi momenti del suo anno di soggiorno in Italia) sono lavora “lavoro”; loro sono camminare “camminano/ stanno camminando”; è significa “significa” 22 Questa strategia di costruzione dei paradigmi non è mai preponderante e si ritrova tipicamente con l’imperfetto indicativo (v. esempi 22-24) e in taluni casi (es. 25) sembra invece esprimere l’aspetto progressivo estraneo al sistema 23 . Rispetto alle altre due strategie, che sembrano davvero contribuire alla (ri) costruzione dei paradigmi della lingua seconda, questa terza strategia sembra essere più che altro una strategia “di discorso”, nel senso che viene impiegata più che altro per ovviare a deficit momentanei di espressione e non viene mai impiegata sistematicamente. La stessa strategia sembra caratterizzare altre situazioni di contatto interlinguistico, in particolare le situazioni di abbandono di lingua e quelle di forte impatto di prestiti da una lingua con maggior prestigio culturale (forse in parte assimilabili e in parte pertinenti, in senso lato, l ‘apprendimento di lingue seconde). Nel primo caso, osservato da più studiosi (cfr. ora Dressler 1988: 187), la 20 Interessante è anche l’esempio seguente (sempre A dopo 1a. 2-m.): allora come studente ha una/ aveva ha una casa, dove l’imperfetto, già espresso in aveva, è doppiamente marcato anche con l’ausiliare del passato ha, già ben padroneggiato dall’apprendente. 21 Gli esempi (22), (23) sono tratti da Cereia Fuso (1988: 118). 22 Cfr. Crotta (1988: 238, 241, 242 rispettivamente). 23 A questo proposito cfr. anche Bernini (1990b). <?page no="76"?> 76 Strategie di costruzione dei paradigmi verbali in lingua seconda massiccia presenza di costruzioni analitiche comporta la riduzione del sistema a pochi verbi coniugati e riflette il venir meno della competenza 24 , cfr. (26) manx rinn sé Tógáil vs. thóg sé fece egli costruire costruì egli “costruì” (McKenna 1990) Anche il dialetto walser di Gressoney studiato da Giacalone Ramat (1989: 45) mostra forme analitiche nei settori più periferici del paradigma verbale (congiuntivi presente e preterito, essendo gli unici congiuntivi “vivi” quelli dei verbi per “avere”, “essere”, “fare” e di alcuni modali) e anche, accanto alle forme sintetiche, nel presente indicativo. Cfr. (27) wenn hit tet -es schnue se oggi facesse esso nevicare “se oggi nevicasse” (Giacalone Ramat 1989) Nel secondo caso, i costrutti analitici rappresentano un comodo espediente di integrazione di prestiti di qualsiasi tipo, cfr. turco tefrik etmek “distinguere” (letter. “distinzione fare”, dove tefrik è un prestito dall’ar. tafriiqun, Lewis 1983: 140) 25 . Al di fuori di contesti di apprendimento o di contatto, costrutti analitici come quelli discussi qui sembrano emergere comunque come ampliamenti dei paradigmi verbali al fine di operare distinzioni, di solito aspettuali, più fini (cfr. i “Funktionsverbgefüge” in ted., p. es. eine Entscheidung treffen “prendere una decisione” vs. entscheiden “decidere”). 24 Nella discussione seguita alla mia comunicazione all’incontro di Bergamo menzionato alla nota 1, Wolfgang Dressler e Rosita Rinder-Schjerve hanno fatto notare che i processi di abbandono di lingua sono troppo diversificati per gruppi e individui (si pensi solo alla differenza tra adulti e bambini) per poter essere comparati con l’apprendimento di lingue seconde. Non intendo ovviamente equiparare i due processi, ma solo notare alcune interessanti somiglianze strutturali delle rispettive produzioni linguistiche. 25 Cfr. anche il persiano, dove però costrutti di questo genere sono comuni anche con materiale lessicale iranico, p. es. tavallod yâtfan “nascere”, letter. “nascita ottenere”, con prestito dall’ar. tawalludun “nascita” (nomen verbi della 4 a forma, Coletti 1977: 115). <?page no="77"?> 77 3.6 Conclusioni Le tre strategie di costruzione dei paradigmi verbali nell’apprendimento di lingue seconde si possono disporre lungo un continuum tra i due estremi dell’apprendimento separato di entità lessicali (strategia 1) e della interrelazione di forme segmentate (strategia 2) che si intrecciano lungo tutto il corso del processo di apprendimento. Su questo continuum si innesta la strategia delle costruzioni analitiche (strategia 3) come mezzo per lo sfruttamento ottimale degli elementi già appresi. Le tre strategie si manifestano tipicamente in settori diversi dei paradigmi del sistema verbale, come abbiamo visto per l’italiano, a seconda degli stadi di apprendimento. Inoltre esse trovano riscontro in settori collegati all’apprendimento di lingue seconde in senso stretto, come quello della creolistica (strategia 1), dell’apprendimento di lingue prime (strategia 2), dell’abbandono di lingua e del contatto (strategia 3). Oltre che da uno stadio di apprendimento iniziale, la strategia 1 sembra essere favorita dalla maggiore età degli apprendenti e dalla poca dimestichezza con la manipolazione di materiali linguistici cui ci addestra l’istruzione grammaticale della nostra tradizione scolastica; viceversa la strategia 2 è prevalente in stadi più avanzati, in apprendenti molto giovani (si ricordi il caso estremo delle lingue prime) e, probabilmente, in apprendenti con un retroterra scolastico di tipo “occidentale”. Questi fattori non permettono, per ora, di osservare con chiarezza se le diverse strategie siano impiegate anche in funzione del tipo morfologico preminente nella lingua prima degli apprendenti. P. es., nei nostri dati, la frequenza di sovraestensioni anche in fasi di apprendimento non proprio iniziali nei giovani apprendenti eritrei (con un retroterra scolastico diverso dal nostro) potrebbe essere ricollegato alla ricca morfologia, difficilmente segmentabile perché spesso introflessiva, delle lingue semitiche. Dall’altra parte, la prevalenza di strategie di formazione analogica presso gli apprendenti inglesi (giovani adulti e insegnanti di lingua) potrebbe essere in correlazione anche col fatto che la scarna morfologia dell’inglese è facilmente segmentabile. Da questo punto di vista un indizio che il tipo morfologico della lingua prima può esercitare un influsso profondo sulle strategie di organizzazione grammaticale viene per ora solo dagli apprendenti cinesi studiati nel Progetto di Pavia (cfr. Bernini e Giacalone Ramat 1990), i quali, a parità di altre condizioni, sembrano ricorrere alla strategia 1, che risponde anche alla mancanza di morfologia flessiva delle lingue isolanti. <?page no="79"?> 79 4 Per una tipologia delle repliche brevi* Sit autem sermo vester, est, est; non, non; quod autem his abundantius est, a malo est. (Matteo, 5,37) 4.1 Introduzione Le repliche brevi, in particolare le risposte brevi a enunciati interrogativi, come per esempio le risposte olofrastiche sì, no dell’italiano, sono un settore molto delicato sia dal punto di vista descrittivo che da quello teorico e poco esplorato dal punto di vista tipologico 1 . Delicatezza di trattamento e difficoltà di indagine tipologica sono dovute in buona parte al fatto che le repliche brevi, pur conoscendo, a seconda delle lingue, espressioni grammaticalizzate (si pensi di nuovo all’it. sì, no di contro all’uso, in latino, di una forma verbale eco di quella dell’antecedente e dell’avverbio di negazione frasale, come est e non nel versetto di Matteo riportato qui sopra), occorrono tipicamente nelle conversazioni e sono quindi oggetto di indagine per settori della linguistica più orientati verso l’uso (p. es. l’analisi del discorso) che verso il sistema. A ciò si aggiunga la natura più testuale che frasale dei mezzi sia lessicali che sintattici grammaticalizzati per le repliche brevi, di nuovo oggetto di indagine * Tratto da: Maria Elisabeth Conte/ Anna Giacalone Ramat/ Paolo Ramat (a cura di), Dimensioni della linguistica. Milano, Angeli, 1990: 119-149. 1 Cfr. Moravcsik (1971: 160-179), che tratta in realtà solo delle risposte a domande, e ora Sadock-Zwicky (1985: 189-191, “Answers to questions”), che è però una breve rassegna di ambiti problematici. Pope (1973) propone una tipologia dei sistemi di repliche in funzione della polarità dell’antecedente, l’aspetto più trattato in questi studi e di cui ci occuperemo anche qui. Il questionario alla base della compilazione di grammatiche della “Lingua Descriptive Series” (Comrie e Smith 1977: 12 sg.) chiede: se le risposte a domande totali hanno indicatori di atto linguistico specifici (1.1.1.2.4.1); se le risposte possono avere la forma di frasi incomplete (1.1.1.2.4.1.3); se esistono parole per “sì”, “no”, “forse” (1.1.1.2.4.2.1.1) e, se sì, come sono usate nelle risposte a domande negative e ad altre domande orientate (1.1.1.2.4.2.1.2). Dati su alcune lingue (russo, cinese mandarino, georgiano, bengalese, giapponese, inuit della Groenlandia occidentale, ute) si possono ricavare da Chisholm (1984). <?page no="80"?> sul fronte teorico della linguistica testuale e non su quello descrittivo, soprattutto per quanto riguarda la compilazione di grammatiche 2 . Vedremo qui di discutere i principali punti pertinenti una tipologia delle repliche brevi, in grado di coglierne l’intera complessità. Dato il carattere di indagine preliminare, la discussione verterà su aspetti più di ordine generale e, in prospettiva descrittiva, principalmente sulle repliche di tipo negativo, le uniche per cui dispongo di una solida base di dati, costituita prevalentemente dalle traduzioni nelle lingue europee delle frasi 1, 2, 12-15, 34 del test sulle costruzioni negative elaborato da Paolo Ramat e dallo scrivente 3 . 4.2 Repliche e risposte Il termine adottato di ‘repliche brevi’ si giustifica col fatto di voler comprendere tutta la complessa fenomenologia delle reazioni al discorso di altri interlocutori a prescindere dal tipo di enunciato che alla replica fa da antecedente e che può essere sia di tipo interrogativo polare (ma non parziale, che richiede cioè solo singole informazioni), sia dichiarativo, sia imperativo. Cfr., in italiano, la possibilità di rispondere sì/ no ai seguenti enunciati: (1) Il treno è arrivato in ritardo? ; Il treno è arrivato in ritardo; Taci! . Si pensi anche a esempi inglesi quali: (2a) Was the train late? - (Yes,) it was/ (No,) it wasn’t. 2 Per la linguistica testuale basti qui il rimando a de Beaugrande e Dressler (1984) e a Conte (1989 2 ). Le grammatiche, in genere, concedono poco spazio alle forme grammaticalizzate di repliche brevi e, nel caso delle profrasi, è evidente la difficoltà di categorizzazione. Due esempi aneddotici, ma indicativi: il DUDEN (Drosdowsky et al. 1984) riporta nein come “Satzäquivalent” (§ 1151) nel capitolo sulle “parole negative”, ma cita ja e doch solo come avverbi in funzione di “Abtönungspartikeln” (§ 596). Una recente e pregevole grammatica dell’italiano (Serianni 1988: 426-428) elenca sì, no tra gli avverbi di negazione e di dubbio e di essi dice che “si comportano come sostituenti di frase (‘pro-frasi’)”, p.-426. 3 Il test sulle costruzioni negative cui si fa riferimento, in corso di elaborazione, è descritto nel contributo di Ramat (1990). Anche se finalizzato alla tipologia delle strutture negative nelle lingue d’Europa, alcune delle frasi ivi comprese ben si prestano ad ampliare il discorso al campo delle repliche brevi, pur senza esaurirlo, come si evince dalle frasi pertinenti che sono, nella versione italiana, le seguenti: 1. Hai visto Giovanni? - No. 2. Giovanni mangia pesce, i suoi compagni no. 12. Hai visto qualcosa? - No, niente. 13. (Non) hai visto niente? - Sì, qualcosa. 14. Hai visto qualcuno? - No, nessuno. 15. (Non) hai visto nessuno? - Sì, qualcuno. 34. Nelle gare di astuzia Ulisse era più spesso vincitore che no. 80 Per una tipologia delle repliche brevi <?page no="81"?> 81 (2b) The train was late. - (Yes,) it was/ (No,) it wasn’t. (2c) Be quiet! - (Yes,) I will/ (No,) I won’t. Le risposte ad enunciati interrogativi sembrano essere più basiche, o più prototipiche: come mostrano gli esempi dall’italiano e dall’inglese riportati qui sopra, i mezzi per la risposta breve a enunciati interrogativi vengono utilizzati anche per le repliche brevi ad asserzioni e a comandi, mentre non vi sono forme di replica breve usate prevalentemente con questi due tipi di enunciato che si usino anche per le risposte. I dati a disposizione finora non permettono però di verificare appieno questa che rimane un’ipotesi di parametro tipologico, cioè il grado e i limiti dell’uso di repliche grammaticalizzate anche al di là delle risposte a domande polari 4 . Oltre che nei confronti degli antecedenti, le repliche brevi devono essere definite anche rispetto alla gamma di mezzi che le possono realizzare. Centrali sono, a questo proposito, le forme grammaticalizzate di replica che veicolano la polarità positiva o negativa e la cui interpretazione dipende dall’intero enunciato antecedente, come le profrasi (it. sì, no; fr. oui, non, si; ted. ja, nein, doch; rus. da, net ecc.) e altri tipi di ellissi incentrati sul verbo (o sull’ausiliare) dell’antecedente. Per esempio (cfr. questionario citato sopra, 1): (3) ingl. Have you seen John? - No, I haven’t (4) gall. A wyt ti wedi gweld John? - Nag ydyf INTERR. sei tu dopo vedere John NEG sono (5) irl. An bhfaca tú Seán? - Ní fhacas INTERR. vedere: PASS: 3SG tu John NEG vidi “Hai visto John? - No” Non pertinenti sono invece le repliche costituite da informazioni aggiuntive rispetto all’antecedente o da commenti di vario genere. In italiano, p. es.: (6) A: Il treno era in orario? B: Neanche oggi! / Per fortuna! / L’ho sentito dire. 4 Non ci curiamo, qui, di distinguere ulteriormente tra reazioni, repliche e risposte o tra diversi tipi di repliche. Per queste questioni cfr. Poggi et al. (1980) e Goffman (1976). Una tassonomia delle repliche più pertinente ai nostri fini è in Halliday e Hasan (1976: 207). Il termine replica qui usato è sostanzialmente una traduzione libera dell’iperonimo rejoinder, adottato da questi due autori, e definito “any cohesive sequel by different speaker”. <?page no="82"?> 82 Per una tipologia delle repliche brevi Statuto intermedio hanno gli avverbi modali epistemici. Quelli che segnalano il massimo grado di probabilità epistemica (certamente, naturalmente, sicuramente, e, in italiano, anche l’aggettivo certo in funzione avverbiale), pur potendo costituire la replica enfatizzata di polarità positiva, si pongono più verso il tipo meno pertinente rappresentato da elementi che aggiungono informazioni (anche se del particolare tipo modale epistemico) al contenuto proposizionale dell’antecedente. Quelli che invece segnalano un grado di probabilità incerto (probabilmente, ma soprattutto forse), pur appartenendo alla stessa categoria sintattico-semantica (per la quale v. Conte 1987), costituiscono un insieme di espressioni lessicali più vicino a quello delle repliche grammaticalizzate, segnalando un punto intermedio tra la polarità positiva e la polarità negativa di queste (p. es. in it. sì-forse-no; in ingl. yes-maybe/ perhaps-no). 4.3 Paralinguistica e cinesica Sul piano dell’espressione, in molte lingue le repliche brevi sono veicolate, oltre che da mezzi di natura strettamente linguistica, come le profrasi dell’italiano, anche da mezzi di natura paralinguistica e cinesica, che possono accompagnare o sostituire i primi. I mezzi di questo tipo sono di solito condivisi da comunità con lingue diverse ma geograficamente contigue, come nel caso della consonante avulsiva dentale sorda [ʇ] per “no”, diffusa in vaste zone dell’Europa meridionale e dell’Africa presso parlanti lingue il cui inventario fonetico, come nel caso dell’italiano, non ha consonanti di questo tipo (Canepari 1979: 89, Poggi 1981: 60); o ancora nel caso del rifiuto segnalato facendo oscillare da destra a sinistra e viceversa l’indice sollevato verso l’alto o inclinando la testa leggermente all’indietro con eventuale protrusione delle labbra 5 . Anche se questi fenomeni non possono essere compresi tra i parametri tipologici pertinenti, esulando dal sistema linguistico vero e proprio, è comunque interessante notare la possibilità di parziale grammaticalizzazione di repliche con sovrapposizione di mezzi di espressione linguistici e paralinguistici o anche formate con soli mezzi paralinguistici. Un esempio della prima possibilità è dato dallo yawelmani (citato in Sadock e Zwicky 1985: 191), dove la profrase positiva ho: ho ʔ è pronunciata con vocali nasalizzate altrimenti estranee alla fonologia e alla fonetica di quella lingua. Un esempio della seconda possibilità è fornito da molte varietà dell’inglese d’America, dove, a partire da elementi paralinguistici, 5 Per l’interpretazione in termini di iconismo di queste espressioni cinesiche e per una prima rassegna di dati europei si veda Jakobson (1972). <?page no="83"?> 83 si è costituita una coppia di espressioni bisillabiche per “sì” e “no”, distinte solo per la diversa distribuzione di tono alto, notoriamente estraneo al sistema, e, in subordine, di accento, cfr. uh-hùnh “sì” vs. ù(n)h-unh “no”. 4.4 Ellissi vs. profrasi Tra le repliche brevi, le risposte a enunciati interrogativi sembrano essere patrimonio di tutte le lingue conosciute e la loro genesi potrebbe essere vista nella “grammaticization of a cultural prohibition against undue prolixity” (Sadock e Zwicky 1985: 191). Sulla base di questa interpretazione in termini di massime conversazionali (Grice 1975), possiamo forse parlare delle repliche brevi come di un universale pertinente l’organizzazione pragmatica del discorso 6 . Un primo parametro di confronto tipologico è rappresentato, a questo proposito, dalle strategie di costruzione della replica breve, che fanno uso sostanzialmente di due mezzi: l’ellissi e l’impiego di proforme, nel caso specifico di profrasi. Le lingue d’Europa che fanno uso esclusivo di frasi ellittiche 7 sono una netta minoranza che dal punto di vista areale si pone ai margini del territorio linguistico europeo. Si tratta dell’irlandese (per cui v. anche l’esempio 5) e del gaelico di Scozia 8 a (nord-)ovest e del finnico a nord-est. Cfr. (7) ir. Nach bhfaca tú dada? NEG- INTERR vide tu niente Chonaic, chonaic mé rud éigin vide vide io cosa qualche “Non hai visto niente? - Sì, qualcosa” [quest. 13] 6 Questo tipo di universale pertiene l’organizzazione dell’espressione del discorso e va tenuto ovviamente distinto dagli universali pragmatici, come la negazione, l’interrogatività, l’imperatività, che si pongono sul piano semantico-funzionale direttamente legato al livello cognitivo che presiede l’attività linguistico-comunicativa (Ramat 1987: 48). Questi due tipi di universali hanno, almeno in parte, stretti legami, evidenti nel fatto che le repliche brevi sono una delle modalità espressive della negazione (oltre che dell’asserzione). 7 La letteratura sull’ellissi è molto vasta e trascende i limiti e l’ambito di pertinenza di questo studio, basti qui far riferimento a Halliday-Hasan (1976: 142-225) e, per alcune questioni riguardanti l’italiano, Marello (1984). 8 Anche il cornico faceva esclusivamente uso di ellissi, cfr. a -gerough -why an pow -ma? Caraf / Na -garaf INTERR amate voi ART paese questo amo NEG amo “Vi piace questo paese? Sì/ No” (Smith e Hooper 1972: 27). <?page no="84"?> 84 Per una tipologia delle repliche brevi (8) gael. di Scozia (Mackinnon 1971: 16) An robh thu sgìth? - Bha / Cha robh INTERR era tu stanco era NEG era “Eri stanco? - Sì/ No” (9) finn. Ole -t -ko näh -nyt mitään? essere 2SG INT vedere PPA alcunché: PART E -n mitään NEG 1SG alcunché: PART “Hai visto qualcosa? No, niente” [quest. 12] Come si può facilmente osservare dagli esempi (7-9), nel caso dell’irlandese l’elemento della frase di risposta non eliso è il verbo coniugato (sia pieno sia ausiliare), accompagnato dalla negazione nel caso di risposte negative. Il finnico mostra sostanzialmente lo stesso quadro, con la differenza che qui la negazione, come è noto, è codificata da un ausiliare particolare che ovviamente compare nella risposta in quanto forma verbale coniugata. In realtà il finnico possiede kyllä “certamente”, niin “così”, che possono costituire da soli risposta di tipo positivo. Esse non sono però da considerarsi profrasi vere e proprie, ma repliche del tipo avverbiale discusso sopra. Inoltre il loro uso sembra marginale, tanto è vero che vengono anche definite come particelle rafforzative della risposta positiva (Peters 1965: 20). Il tipo (7-9) può essere definito anche tipo a replica eco, in quanto la replica consiste nella ripetizione del verbo coniugato presente nella domanda (cfr. Sadock e Zwicky 1985: 109) 9 . 4.5 Le profrasi Prima di addentrarci nei dettagli dell’applicazione che le lingue d’Europa fanno della seconda strategia di replica breve, che si esplica nell’uso di profrasi, è opportuno discutere alcune questioni rilevanti sia sul piano teorico che su quello descrittivo 10 . 9 Diversamente dai due autori citati, non mi sembra opportuno opporre un sistema ad eco (o ad ellissi), un sistema a profrase yes/ no e un sistema ad accordo/ disaccordo. Occorre infatti distinguere tra i mezzi di espressione della replica (ellissi/ eco vs. profrasi) e le combinazioni di polarità di antecedente e di replica. È a questo livello che vanno distinti tipi a replica sì/ no e tipi ad accordo/ disaccordo, che verranno discussi più avanti. 10 La letteratura sulle profrasi non è vastissima. Per le osservazioni che verranno proposte qui si faccia riferimento ancora a Halliday e Hasan (1976: 130-141) e inoltre a Heinz (1976), <?page no="85"?> 85 L’analisi delle profrasi si pone giocoforza su tre livelli distinti: quello del contenuto da queste rappresentato, quello del comportamento sintattico che loro compete, quello della polarità che esse assegnano alla frase che rappresentano. In termini generali le profrasi rappresentano una frase che ha lo stesso contenuto proposizionale di un enunciato presente nel contesto (immediatamente) precedente, ovvero, nel nostro caso, la profrase rappresenta la frase di replica a un enunciato interrogativo, dichiarativo, imperativo precedente, con cui condivide lo stesso contenuto proposizionale, come nell’es. (1) 11 . Dal punto di vista comparativo-tipologico questa caratteristica definitoria delle profrasi acquista rilevanza solo per i suoi legami con la polarità delle profrasi stesse, che prenderemo in considerazione tra breve (§ 4.9) e che rappresenta uno dei due parametri tipologici rilevanti, insieme a quello del comportamento sintattico delle profrasi nell’ambito delle singole lingue, cui rivolgiamo subito la nostra attenzione. Il parametro di confronto del comportamento sintattico riguarda la possibilità, per le profrasi, di avere la stessa distribuzione delle frasi. L’italiano, da questo punto di vista, è un buon punto di riferimento, infatti le profrasi sì, no hanno le seguenti caratteristiche sintattiche 12 : (a) possono fungere da (pro)frasi indipendenti dichiarative e interrogative, cfr. A: Hai sonno? - B: No. - A: No? ; Plantin (1982), Wunderli (1975, 1976). Per l’italiano una descrizione completa degli usi delle profrasi, anche di quelli derivati, si ha in Bernini (1995a); si veda anche Turco (1979). 11 Dal punto di vista teorico, in realtà, il termine di profrase non è del tutto soddisfacente, in quanto quello che effettivamente le “profrasi” rappresentano è la parte asserita, o il rema, di un’intera frase, che comprende, ovviamente, anche la sua affermazione o negazione, assegnata dalla polarità della “profrase”. Da questo punto di vista sarebbe quindi più appropriato parlare di “pro-remi”. Sì, no in risposta alla domanda Il treno è arrivato in ritardo? rappresentano di fatto È arrivato in ritardo/ Non è arrivato in ritardo, cioè risposte ellittiche degli elementi topicali dell’enunciato precedente. D’altro canto, le “profrasi” sono anche pro-proposizioni, in quanto rappresentano il contenuto proposizionale di un enunciato (v. anche Conte 1987: 60). 12 Si elencano qui solo le principali caratteristiche sintattiche delle profrasi dell’italiano pertinenti il confronto tipologico, senza entrare nei dettagli, per i quali si rimanda a Bernini (1995a). Non prendiamo in esame la questione di una più precisa definizione del contenuto delle profrasi in base al loro uso in certe costruzioni, in particolare quelle con un elemento nominale ad esse preposto, come in Il film canta, Sting no, che sostiene la definizione in termini di pro-rema. Non prendiamo neppure in esame l’uso, in parte idiomatizzato, di sì, no come elementi fatici nell’articolazione del discorso (p. es. A: Cedo ora la parola al collega B. - B: Sì. Ringrazio tutti per […]; Ho detto che verrò sabato, no, domenica), elementi rematici (Igiene sì, fatica no) o ancora come particelle assertive in costruzioni scisse del tipo La signora sì che se ne intende/ no che non se ne intende. <?page no="86"?> 86 Per una tipologia delle repliche brevi (b) possono essere accompagnate da elementi topicali (sia di tipo nominale che avverbiale), da frasi secondarie, da avverbi modali e performativi. Tutti questi elementi si pongono alla loro sinistra e formano con esse un unico gruppo intonazionale, cfr. Gli uomini si abbandonano, i poliziotti no; Vuoi dirmelo? - Per il momento no; Mi restituirà la lettera? - Se gli consegni il denaro, sì; Andrai a ballare con lui? - Forse sì; Ti è piaciuta la festa? - Francamente no; (c) possono entrare a far parte di strutture coordinate, cfr. […] costruzione enfatica che può essere considerata una frase cleft o no; (d) possono fungere da frase dipendente, cfr. Siamo convinti che S. M. sia implicato in quel delitto? Se sì, allora bisogna ritenere che […]/ Penso di no/ Ti ho detto che lui no, ma T.N. sì; Io vi dirò quel ch’io avrò fatto e quel che no (Boccaccio, citato in Fornaciari 1881: 390); Nelle gare di astuzia Ulisse era più spesso vincitore che no. Queste quattro caratteristiche sintattiche delle profrasi sì, no dell’italiano possono servire come punti di orientamento per il confronto interlinguistico delle profrasi, fermo restando che alle profrasi di tutte le lingue che le posseggono dovrebbe essere comune il valore di frase dichiarativa nelle risposte a domande e, in secondo luogo, nelle repliche a enunciati dichiarativi e imperativi. 4.6 Distribuzione di profrasi ed ellissi in Europa Dopo le osservazioni fatte nei paragrafi precedenti, possiamo opporre due tipi principali di repliche brevi, costituiti dal tipo a eco (o ad ellissi), già visto sopra, rappresentato in Europa da irlandese e finnico, e dal tipo a profrasi, rappresentato in Europa da quasi tutte le altre lingue, ovvero: basco; spagnolo, catalano, francese, occitano, italiano, reto-romancio e ladino, rumeno; tedesco, neerlandese, frisone, danese, svedese, norvegese (bokmål), islandese; albanese; sloveno, serbo-croato, macedone, bulgaro, ceco, slovacco, polacco, belorusso, ucraino, russo; ungherese; maltese 13 . 13 L’insieme delle lingue d’Europa effettivamente prese in considerazione è stato definito in base a tre criteri: geografico, storico-culturale, sociolinguistico. L’insieme comprende <?page no="87"?> 87 Accanto ai due tipi principali esiste un terzo tipo intermedio, dove ellissi e profrasi si combinano in diversi modi. A questo tipo appartengono l’inglese, il portoghese, il neo-greco, che mostrano uso alternativo o combinato di profrasi e risposte ellittiche nel senso del tipo a eco. Per l’inglese si vedano gli ess. (2a, b, c), per il portoghese cfr. (10a) Viste o Jo-o? - N-o. “Hai visto Jo-o? - No” (10b) Tem lume? - Tenho (sim)/ N-o tenho 14 . “Hai da accendere? - Sì/ No” Il neo-greco, secondo i dati forniti da Joseph e Philippaki Warburton (1987: 13- 14), oltre che con le profrasi naí “sì”, óchi “no”, può rispondere ripetendo il verbo della domanda se questo è intransitivo o transitivo accompagnato da un oggetto indefinito e con il verbo della domanda preceduto da un pronome personale appropriato se il verbo transitivo è accompagnato da un oggetto definito, cfr. (11a) Méneis edô péra? - Naí/ Ochi; Ménō/ Den ménō “Abiti qui intorno? - Sì/ No” (11b) Diabázeis pollà biblía? - Diabázō/ Den diabázō “Leggi molti libri? - Sì/ No” dunque le lingue parlate sul territorio che si estende dall’Atlantico agli Urali (criterio geografico) con l’eccezione delle lingue caucasiche e delle lingue uraliche (sottogruppi permiano e volgaico) e turche (turco, ciuvascio, tataro, baškiro, gagausico e, nel Caucaso, azerbaigiano, nogay, karačay-balkar) parlate al di qua degli Urali. Queste lingue non appartengono all’Europa dal punto di vista storico-culturale delle tradizioni (cristiane, ma non solo) latina e greca e per esse (con l’eccezione del turco di Turchia) è invece più forte, almeno dal periodo seguente la rivoluzione sovietica, l’influsso russo. L’insieme così circoscritto sul “fronte” orientale è stato poi ulteriormente limitato sociolinguisticamente con l’inclusione delle sole lingue a tradizione scritta/ letteraria, che ha portato all’eliminazione dei dialetti, anche se questi, come nel caso dell’italo-romanzo, sono sistemi linguistici indipendenti. Le scelte operate non sono ovviamente scevre dalla possibilità di critica e vanno intese in senso relativo: il maltese, la cui appartenenza all’Europa geografica può essere dubbia, è stato incluso per le sue note e strette relazioni con le lingue romanze e in particolare l’italiano; l’armeno, d’altro canto, andrebbe forse considerato “europeo” per i suoi antichi contatti col greco. Non è stata invece presa in considerazione la dimensione diacronica, che avrebbe portato all’inclusione di molte altre (varietà di) lingue rispondenti ai criteri elencati, ma solo quella sincronica-contemporanea. 14 L’esempio (10a) è tratto dal questionario citato alla nota 3, l’esempio (10b) da Parkinson (1987: 273), secondo cui le risposte di tipo a eco sono le uniche presenti in portoghese (ma si noti sim posposto nel suo stesso esempio). <?page no="88"?> 88 Per una tipologia delle repliche brevi (11c) Ébales tò biblío stò trapézi? - To ébala. “Hai messo il libro sul tavolo? - Sì” (lett. “lo misi”) Il bretone possiede sia profrasi sia risposte ellittiche come l’irlandese, cfr. (12a) Mat eo e Lannion? Ya/ Naan. buono è in Lannion sì/ no “A Lannion si sta bene? - Sì/ No” (12b) Yaounak eo da c’hoar? - Yaounak (eo). giovane è tua sorella giovane è (Press 1986: 109, 110) Come si vede da (12b), il tipo a eco è in realtà imperniato sull’elemento più rematico (più “pertinent” nella terminologia di Press). Rispetto a inglese, portoghese e neo-greco, però, il bretone costituisce un caso a parte, in quanto il tipo ad eco è limitato alle risposte positive. L’ultima delle lingue a possedere ambedue i tipi è il gallese, che di nuovo si configura come caso a sé, in quanto limita la profrase alle risposte a domande in cui il verbo sia coniugato al passato sintetico, cfr. (13a) A wel -aist ti John? - Do/ Naddo INTERR vedere PASS: 2SG tu John sì/ no (13b) A wyt ti wedi gweld John? - Ydyf/ Nag ydyf INTERR sei tu dopo vedere John sono Non sono “Hai visto John? - Sì/ No” [quest. 1] Si noti che la risposta negativa di (13b) non comporta la costruzione discontinua della negazione, usuale nelle frasi non ellittiche almeno per alcune varietà, p. es. (14) D -ydy John ddim yn bwyta pysgod 15 . NEG è John NEG in mangiare pesce “John non mangia pesce” [quest. 5] 15 Nell’esempio (14) dydy è una forma risultante dall’aferesi di parte della negazione nid e dalla contrazione della forma piena ydyw dell’ausiliare. <?page no="89"?> 89 4.7 Profrasi negative in costruzioni comparative Per quanto riguarda il valore che, nelle lingue che le possiedono, hanno le profrasi, in questa sede dobbiamo limitarci ai pochi dati che indirettamente ci mette a disposizione il questionario sulla negazione citato alla nota 3 e che, naturalmente, riguarda solo il comportamento delle profrasi con polarità negativa 16 . L’uso prototipico delle profrasi negative sembra essere quello in funzione di risposta olofrastica a domande (forse anche di replica, in generale, ma al riguardo non abbiamo ancora dati attendibili): tutte le lingue con profrasi fanno uso di quella con polarità negativa per rispondere a domande come alla numero 1 del questionario citato. La costruzione più eccentrica rispetto a questo uso (e anche la meno pertinente rispetto a questa funzione) è quella della frase numero 34 del questionario (Nelle gare di astuzia Ulisse era più spesso vincitore che no). A questa costruzione, rispondono con una profrase le seguenti lingue europee: portoghese, spagnolo, italiano; belorusso; lituano; ungherese; albanese; maltese. Come si può notare, la costruzione non è rappresentata in germanico, in celtico e in balto-finnico, ma negli altri gruppi linguistici ben poche lingue la ammettono (p. es., in romanzo, le lingue elencate ma non il catalano, il francese, l’occitano, il reto-romancio, il friulano e il rumeno). Le lingue riportate in corsivo nell’elenco hanno una sola forma per la negazione olofrastica e quella di frase (p. es. port. n-o; sp. no; bel., lit. ne; ungh. nem), ma questo non sembra in realtà favorire l’uso della profrase anche nella frase 34, come mostra il confronto con altre lingue che pure hanno la stessa forma per la negazione olofrastica e quella di frase, ma 16 In questo ambito il comportamento delle profrasi sembra poter anche essere radicalmente diverso a seconda della polarità. Al contrario dell’it. sì/ no che, come già abbiamo visto, hanno distribuzioni sostanzialmente uguali, in ingl. yes/ no hanno distribuzioni più limitate rispetto ai tipi di contesto e di frase. Yes, p. es., alterna con so in dipendenza da verbi che riportano discorsi o pensieri (penso di sì vs. I think so), mentre no, al di fuori delle repliche olofrastiche, lascia il posto a not. Cfr. anche ted. du nicht, aber ich schon/ doch (ma non *ja) vs. it. tu no, ma io sì. <?page no="90"?> 90 Per una tipologia delle repliche brevi rendono 34 con traduzioni “libere”. Lo stesso vale per lingue come il reto-romancio o il russo, che, pur avendo una profrase distinta dalla particella negativa di frase, a differenza di altre lingue dell’elenco con la stessa caratteristica non sono in grado di rendere la costruzione di 34 17 . Inglese e neerlandese usano per questa costruzione la stessa particella negativa di frase, cioè not (more often than not) e rispettivamente niet (vaker wel dan niet), una soluzione inquadrabile in una strategia di ellissi imperniata sulla negazione di frase. 4.8 Profrasi negative ed ellissi in costruzioni coordinate La frase 2 del nostro test, cioè Giovanni mangia pesce, i suoi compagni no, era servita a rilevare in contesti contrastivi di questo tipo la rappresentazione, al negativo nel secondo membro del congiunto, della parte asserita del primo membro. L’italiano, come si può vedere, la rappresenta mediante una profrase rispetto a cui il SN funge da elemento topicale che ricorda una dislocazione a sinistra. Anche questa costruzione mostra una certa varietà di comportamento tra le lingue, anche se molto più regolare e istruttiva che non per la frase 34. Le diverse costruzioni si possono ordinare lungo un continuum a seconda dell’uso di profrasi o di altri mezzi di espressione. (A) A un estremo di questo continuum possiamo porre le lingue che hanno la stessa forma per la negazione olofrastica e quella di frase e che usano questa forma, accompagnata dal SN, anche nella frase 2 del questionario. In riferimento alla costruzione esemplificata negli esempi, possiamo definire sinteticamente questo tipo come a = b = c. Cfr. spagnolo (15a) ¿Has visto a Juán? - No. (15b) Juán come pescado, sus compañeros no. (15c) Juán no come el pescado 18 . 17 Cfr. bel. U spabornictvax na xitrasc’ Ulis čascej byǔ peramožcam, čym ne, ma ceco V soutěži chytrosti Odysseus obvykle zvítězil “… ‘di solito vinceva”. Cfr. anche cat. més sovint que rarament, fr. assez souvent, russo čašče pobeždal, čem poigryval “più spesso vinceva che perdeva” e così via. 18 In questi esempi e negli esempi che seguiranno in questo paragrafo, le frasi a corrispondono alla frase 1 del questionario, cioè: Hai visto Giovanni? - No; gli esempi b corrispondono alla frase 2, cioè: Giovanni mangia pesce, i suoi compagni no; gli esempi c corrispondono alla frase 5, cioè a quella che serviva a rilevare la negazione di frase: Giovanni non mangia pesce. <?page no="91"?> 91 basco (16a) Ikus -i duzu Jon? -Ez. vedere PARTIC: PERF PERF AUX Giovanni NEG (16b) Jon- (e)k arraina jan -ten Jon ERG pesce DET mangiare PARTIC: PRES du baina har -en lagun -e -k ez. AUX ma quello GEN compagno DET ERG NEG (16c) Jon- (e)k ez du arrain -ik jan Jon ERG NEG AUX pesce PARTIT mangiare -ten PARTIC: PRES ceco (17a) Videl jsi Jana? - Ne. (17b) Jan jí rybu, jeho spolecníci ne. (17c) Jan nejí rybu. ungherese (18a) Láttad Johnt? - Nem vedesti John no (18b) John hal -at eszik, de társ 19 John pesce ACC mangia ma compagno -ai nem. 3PL- PL no. (18c) John nem eszik hal -at. John non mangia pesce ACC Per queste lingue è naturalmente necessario approfondire la questione se in b siamo di fronte a una profrase vera e propria o a una strategia di ellissi che faccia rimanere in superficie la sola negazione. Probabilmente i fatti prosodici sono indizio di una certa autonomia del morfema negativo negli esempi a e b 19 Non prendiamo qui in considerazione, perché allo stato attuale delle conoscenze non sembra pertinente, la possibilità o l’obbligatorietà di una congiunzione avversativa, come l’ungh. de in questo contesto contrastivo e che, oltre che in ungherese, si ritrova qui e là in diverse lingue. <?page no="92"?> 92 Per una tipologia delle repliche brevi nel senso delle profrasi: esso è infatti dotato di accento proprio nel caso delle risposte olofrastiche e spesso non lo è nel caso della negazione di frase. Ciò è chiaro in lingue come il ceco (ess. 17), dove il morfema di negazione di frase è anche scritto in un’unica parola con il verbo; nonché in lingue come il belorusso e il lituano, che negli esempi b (frase 2 del questionario), separano nella grafia il tema del morfema negativo tramite un trattino, cfr. (19) bel. Džovanni esc’ rybu, a jago sjabry - ne. (20) lit. Jonas valgo žuvį o jo draugai - ne. Appartengono a questo gruppo: basco; portoghese, spagnolo, friulano, rumeno; ceco, polacco, sloveno, serbo-croato, bulgaro, belorusso; lettone, lituano; ungherese. Dal punto di vista areale, abbiamo come zone compatte la penisola iberica (esclusa la Catalogna) e l’Europa centro-orientale con parziale inclusione dei Balcani (bulgaro ma non macedone) con l’enclave slovacca e l’esclusione, nell’est estremo, del russo. (B) Da questo tipo estremo divergono alcune lingue che hanno per la risposta negativa olofrastica un morfema diverso da quello per la negazione di frase (impiegato anche nel caso della costruzione 2 del questionario), cioè che hanno a e b vs. c. Oltre all’italiano, si comportano in questo modo russo, neo-greco, albanese, maltese. Cfr. russo (21a) Ty videl Ivana? - Net. (21b) Ivan est rybu, ego tovarišči net. (21c) Ivan ne est rybu. neo-greco (22a) Eîdes ton Giánnē? - Óchi. (22b) Ho Giánnēs trôei psária, allà hoi phíloi tou óchi. (22c) Ho Giánnēs den trôei psária. <?page no="93"?> 93 albanese (23a) A pe e Gjonin? - Jo. (23b) Gjoni e ha peshkun, por shokët e tij jo. (23c) Gjoni s’ha peshk. maltese (24a) Rajtu ‘l (lil) Ġanni? - Le. vedesti ART a ART Giovanni No (24b) Ġanni jiekol ħut, sħab u le. Giovanni mangia pesce compagni 3SG no (24c) Ġanni ma jiekol-x ħut. Giovanni NEG mangia NEG pesce Queste lingue, alcune delle quali, come p. es. l’italiano, hanno sviluppato profrasi nel senso pieno del termine, sono relativamente marginali nel contesto europeo e geograficamente contigue a lingue del tipo (A), di cui rappresentano una variante. (C) Un terzo tipo, che rappresenta un’ulteriore deviazione rispetto al tipo (A), è costituito da tedesco, neerlandese e frisone, che hanno morfemi separati per la negazione di frase e quella di risposta olofrastica, ma nella costruzione in esame impiegano lo stesso morfema della negazione di frase, cioè una strategia di ellissi incentrata sulla negazione: a vs. b e c. Cfr. tedesco (25a) Hast du Hans gesehen? - Nein. (25b) Hans isst Fisch, seine Freunde nicht. (25c) Hans isst diesen Fisch nicht 20 . neerlandese (26a) Heb je Jan gezien? - Nee. (26b) Jan eet (wel) vis, maar zijn vrienden niet. (26c) Jan eet de vis niet. 20 Alla frase 5 del nostro test il tedesco risponde in realtà con Hans isst keinen Fisch, dato che l’oggetto è indefinito. Lo stesso vale per il neerlandese. <?page no="94"?> 94 Per una tipologia delle repliche brevi frisone (27a) Hawwe io Jan sjoen? - Nee. (27b) Jan yt fisk, mar syn maten net. (27c) Jan yt net fisk. Il reto-romancio costituisce un caso intermedio tra (B) e (C), in quanto, nella costruzione in esame, può inserire sia la profrase negativa sia altri morfemi di negazione, cfr. (28) reto-rom. (Vallader) Jon mangia pesch, seis cumpogns brich/ nüglia / / na. Na è la profrase negativa (il morfema preverbale di negazione di frase è nu(n)); brich è il morfema postverbale di rafforzamento della negazione, paragonabile al nostro mica e obbligatorio in altre varietà di reto-romancio (cfr. Schwegler 1983 e la bibliografia di riferimento ivi citata); nüglia è anche il quantificatore negativo “niente”. (D) Al tipo descritto in (C) si aggancia ora un quarto tipo, rappresentato emblematicamente dall’inglese, che risponde alle domande con una profrase e anche con il tipo di risposta breve ad eco incentrata su un ausiliare o un pro-verbo. Dal punto di vista della distribuzione dei mezzi di espressione, (D) è omologo ad (A), mancando di contrapposizione tra a, b e c. Cfr. (29a) Have you seen John? - (No,) I haven’t. (29b) John eats fish, but his companions do not. (29c) John doesn’t eat fish 21 . Ad esso possiamo attribuire gallese e bretone, che pure hanno risposte brevi codificate con profrasi e con costruzioni ellittiche, come già abbiamo visto (v. rispettivamente ess. 13, 12). Cfr. 21 Il rapporto tra i mezzi espressivi usati dalle lingue del tipo (C) e quelli usati dalle lingue dei tipi (D) ed (E) è molto più complesso, se si pensa a risposte brevi modalizzate, corrispondenti all’italiano forse no, in inglese (perhaps not) e in tedesco (vielleicht nicht), che mostrano lo stesso comportamento. Di nuovo occorre ribadire la necessità di una raccolta adeguata di dati per le corrispondenti espressioni positive, che non si comportano come quelle negative (cfr. it. forse sì, ingl. maybe yes, ted. vielleicht schon). <?page no="95"?> 95 (30) gallese Y mae John yn bwyta pysgod ond nid yw DICH è John in mangiare pesce ma NEG è ei gyfellion ddim. di-lui amici NEG (31) bretone Yann a zebr pesked, e Giovanni PRED mangia pesce di-lui geneiled ne reont ket. compagni NEG fanno NEG “Giovanni mangia pesce, i suoi compagni no” A questo tipo possiamo pure attribuire il finnico, che però, come abbiamo visto (cfr. es. 9), non possiede una profrase, ma un verbo negativo, cfr. (32) Jukka syö kalaa, mutta hänen ystävänsä Giovanni mangia pesce- PART ma di-lui compagni e -ivät 22 . NEG 3PL (E) Lungo il nostro continuum si pone ora un quinto tipo caratterizzato dalla presenza di una profrase negativa e dall’uso di costruzioni incentrate su un ausiliare (o anche un pro-verbo) e un pronome anaforico per la costruzione in esame. Il tipo (E) può essere considerato omologo di (C) per quanto concerne la sola distribuzione dei mezzi di espressione tra le tre costruzioni, ovvero a vs. b e c. È la situazione esemplificata emblematicamente dallo svedese, cfr. (33a) Har du sett John? - Nej. (33b) John äter fisk, men det gör inte hans kamrater 23 . John mangia pesce ma ciò fanno NEG suoi compagni (33c) John äter inte fisk. 22 Il finnico può anche ripetere il verbo principale dopo quello negativo e dire hänen ystävänsä eivät syö. Da questo punto di vista esso si comporta come l’ultimo tipo del nostro continuum, cioè quello che ripete anche il verbo principale nel secondo membro del congiunto. 23 In realtà l’informante che ci ha fornito i dati svedesi ha dato come prima traduzione la seguente: […] men inte hans kamrater, cioè, letteralmente, “ma non i suoi compagni”, che è essenzialmente una focalizzazione negativa del SN e risponde a una strategia di negazione di costituente. <?page no="96"?> 96 Per una tipologia delle repliche brevi Essa è però comune a tutte le lingue germaniche settentrionali, cfr. danese (34a) Har du set Hans? - Nej. (34b) Hans spiser fisk, men det gør hans venner ikke. (34c) Hans spiser ikke fisk. norvegese (bokmål) (35a) Har du sett John? - Nei. (35b) John spiser fisk, men det gjør ikke vennene hans. (35c) John spiser ikke fisk. islandese (36a) Hefurδu séδ Jón? - Nei. (36b) Jón borδar fisk en félagar hans gera þaδ ekki. (36c) Jón borδar ekki fisk. In tutti questi esempi la parte asserita del primo membro del congiunto (per asindeto o con congiunzione avversativa esplicita) è rappresentata nel secondo membro dal pro-verbo del tipo sved. göra “fare” e dal pronome del tipo sved. det “ciò, lo”. Rispetto a (D), questo tipo si caratterizza quindi per la maggiore esplicitezza costituita dalle proforme usate. Si noti però che gli informanti di tutte le lingue comprese in questo punto ad esclusione dello svedese hanno suggerito, come risposta breve, anche una costruzione ellittica del verbo principale ma con un pronome dimostrativo, come nel seguente esempio islandese: (37) Hefurδu séδ Jón? - Nei, þaδ hef ég ekki/ ég hef þaδ ekki 24 . “Hai visto Giovanni? - No” (letter. “ciò ho io non / io ho ciò non”) (F) L’altro estremo del nostro continuum è rappresentato dalla resa della costruzione in esame con il massimo di esplicitezza lessicale, ripetendo cioè il lessema verbale principale e i complementi eventualmente richiesti da esso. A questo tipo si conforma solo l’irlandese, che come si ricorderà non possiede profrasi di sorta, cfr. 24 Questo dato è in parziale contrasto con l’affermazione di Sadock e Zwicky (1985: 191) circa l’obbligatorietà della riduzione in certe lingue e segnatamente l’islandese. Secondo i due autori, riduzioni del tipo visto per la risposta negativa sono poco accettabili in islandese, cfr. Ertu ameríkumaδur? - ? Já, þaδ er ég “Sei americano? - Sì, lo sono”. <?page no="97"?> 97 (38) irl. Itheann Seán iasc ach ní itheann mangia Sean pesce ma non mangia a chomrádaithe iasc. POSS: 3SG compagni pesce Il continuum di costruzioni che abbiamo proposto è fondato sui mezzi di espressione usati per la riproduzione, nel secondo membro del congiunto, della parte asserita e che vanno da un minimo di esplicitezza (uso di o profrasi o simili, tipi (A), (B)) a un massimo di esplicitezza nel senso della ripetizione del materiale lessicale del primo membro (tipo (F)), passando attraverso costruzioni ellittiche (tipi (C), (D)) o che insieme all’ellissi usano anche proforme (tipo (E)). Le costruzioni prese in esame sono evidentemente correlate con l’eventuale presenza di una profrase negativa nelle lingue in questione e con la distribuzione di questa rispetto alla categoria di frase: del tutto coincidente in casi come l’italiano, come si è visto, meno ampia per le lingue germaniche, per esempio. Dal punto di vista areale, nella resa della frase 2 del nostro questionario il territorio linguistico europeo si divide in due macro-aree a seconda dell’uso di profrasi (o di impossibilità di distinguere tra morfema di negazione e profrase) o dell’uso di altri mezzi. La prima comprende tutta l’Europa meridionale e orientale e accomuna lingue romanze, maltese, albanese, greco, ungherese e lingue slave e baltiche; la seconda comprende le lingue germaniche, quelle celtiche e quelle balto-finniche. Interessante è il graduale procedere in direzione grosso modo sud-nord da costruzioni meno esplicite a costruzioni più esplicite, col ruolo intermedio rivestito dal germanico occidentale (o meglio dai soli tedesco, neerlandese, frisone) che, sempre nella costruzione in esame, fanno da cerniera tra l’uso di profrasi (p. es. in italiano) e l’uso di costruzioni più esplicite, che combinano, come nelle altre lingue germaniche, ellissi e uso di pro-forme altre rispetto alle profrasi 25 . Interessante è a questo proposito la posizione anomala di catalano, francese e provenzale da un lato e di slovacco e macedone dall’altro, che pur disponendo di elementi profrastici (vere e proprie profrasi le prime e morfemi comuni a risposte negative e negazione di frase le seconde), tendono a rendere con la massima esplicitezza la costruzione in questione o fanno appello ad altre costruzioni, cfr. 25 Questa distribuzione sembra legata, almeno in parte, al tipo di negazione delle lingue germaniche, che, pur essendo comunque postverbale, in tedesco, frisone e neerlandese è posta in posizione rematica e talvolta costituisce l’unico elemento focale, cfr. Ich sehe den Zusammenhang (TOP) nicht (FOC) “Non vedo il nesso”. <?page no="98"?> 98 Per una tipologia delle repliche brevi (39) catal. Joan menja peix, però els seus companys no en mangen (pas). (40) franc. Jean mange du poisson, pas ses compagnons/ ses compagnons n’en mangent pas/ ses amis, non 26 . (41) prov. Jan manjo de peissoun, si coumpan n’en manjon pas 27 . (42) slovacco Ján je rybu, ale jeho priatelia nie/ jeho priatelia nejedia 28 . (43) macedone Jovan jade riba, no negoviot sopatnik ne jade 29 . Almeno per le lingue romanze comprese in questo gruppo si può tentare una via di interpretazione del comportamento anomalo facendo appello allo sviluppo di negazioni postverbali e all’eventuale ridursi dei contesti d’uso delle profrasi, come nelle lingue germaniche 30 . 4.9 Sistemi di repliche brevi in funzione della polarità dell’antecedente L’ultimo parametro tipologico da considerare riguarda la combinazione di polarità di antecedente e replica. Come abbiamo già avuto modo di notare, è questo l’aspetto più studiato interlinguisticamente, in particolare per quanto riguarda le risposte positive a antecedenti negativi (cfr. Moravcsik 1971: 171 sgg. e Pope 1973). Per il confronto tipologico dei dati tratti dalle lingue d’Europa ci avvarremo del sistema di categorie descrittive elaborato dalla Pope (1973) che, in funzione della polarità positiva o negativa dell’enunciato che fa da antecedente alla replica, distingue: a. funzione di accordo/ disaccordo della replica rispetto all’antecedente; b. polarità positiva/ negativa del contenuto della replica. 26 Di queste tre proposte di traduzione, nell’ordine fornite dall’informante, abbiamo dapprima focalizzazione negativa (cioè negazione di costituente), resa massimamente esplicita, resa mediante profrase. 27 Questa è la risposta data da un nativo. Quella, alternativa, di un bilingue con il provenzale seconda lingua suona così: Jan manja de peis, mai pas seis companhs. 28 La prima delle due alternative usa una profrase, nie, diversa dal morfema di negazione di frase atono ne che compare sul verbo jedia nella seconda alternativa. 29 La traduzione macedone, come ben si nota, corrisponde a “il suo compagno non mangia” e non alla corrispondente formulazione plurale della frase originaria del questionario (v.n. 3). 30 Se ciò venisse dimostrato, saremmo di fronte a un’altra caratteristica comune a lingue germaniche e a lingue gallo-romanze (con il catalano) col problema di determinarne il valore areale; cfr. Ramat e Bernini (1990). <?page no="99"?> 99 La combinazione di polarità dell’enunciato antecedente e di funzione di replica ci dà le seguenti possibilità: ANTECEDENTE POSITIVO REPLICA: (i) accordo; (ii) disaccordo ANTECEDENTE NEGATIVO REPLICA: (iii) accordo; (iv) disaccordo A sua volta, la combinazione di polarità di antecedente, funzione di replica e polarità del contenuto della replica si traduce nello schema seguente: ANTECEDENTE POSITIVO REPLICA: (i) accordo positivo (= AP) (ii) disaccordo negativo (= DN) ANTECEDENTE NEGATIVO REPLICA: (iii) accordo negativo (= AN) (iv) disaccordo positivo (= DP) Le lingue che fanno uso di profrasi potranno così distribuirsi tra due tipi principali di replica: quella che codifica la funzione di accordo/ disaccordo e quella che codifica la polarità del contenuto della replica stessa, o, in altri termini, la polarità della frase rappresentata dalla profrase. Nel primo caso avremo lo stesso elemento di replica (cioè [A] o [D]) indipendentemente dalla polarità dell’enunciato antecedente sia in caso di repliche “affermative” che di repliche “negative”, cfr. swahili (44a) Chakula kilitosha? - [A] Ndiyo / [D] Siyo. “C’era abbastanza cibo? - Sì/ No” (44b) Hukumpa fedha? - [A] Ndiyo / [D] Siyo. “Non gli hai dato il denaro? - No, non gliel’ho dato/ Sì, gliel’ho dato» 31 . 31 Gli esempi swahili, per il quale v. anche Moravcsik (1971: 175), sono tratti da Perrott (1969: 75). Sempre secondo Perrott, il swahili dispone anche delle profrasi naam “sì” e la “no”, prese dall’arabo, che funzionano invece come in italiano. L’esempio più famoso di lingua con un sistema ad accordo/ disaccordo è il giapponese, che ha A: hai/ D: iie, cfr., tra gli altri, Hinds (1984: 175-177). <?page no="100"?> 100 Per una tipologia delle repliche brevi Nel secondo caso, in presenza di due sole profrasi come in italiano, avremo, in linea di principio, la profrase positiva in funzione di AP e DP e quella negativa in funzione di DN e AN. Questo sistema crea però diversi problemi di ambiguità, come vedremo, soprattutto nel caso di DP, ma è stabilmente rappresentato in italiano nelle repliche in cui la profrase è incassata a un verbum dicendi o putandi. Cfr. (45a) Gli è piaciuta la festa? - AP: Direi di sì. DN: Direi di no. (45b) Non gli è piaciuta la festa? AN: Direi di no. DP: Direi di sì 32 . Senza entrare nei dettagli delle risposte a domande negative, che richiederebbero uno studio a se stante 33 , vediamo, sulla base dello schema della Pope, di mettere in evidenza le strategie adottate nelle lingue europee per il disaccordo positivo (DP). Questo è il punto più problematico del sistema di repliche brevi a causa della sua marcatezza. Infatti le domande a polarità positiva, ponendo un’alternativa, permettono sia la replica di AP che quella di DN. Queste hanno quindi pari 32 Per i dettagli di analisi del sistema di AN/ DN e AP/ DP dell’italiano si rimanda di nuovo a Bernini (1995a: § 5). Il funzionamento delle profrasi non incassate è molto più complesso. 33 Le risposte a domande orientate negativamente non sono facilmente classificabili. In italiano, p. es., abbiamo almeno quattro classi di domande orientate negativamente, a seconda dello scope della negazione, cui corrispondono altrettante distribuzioni delle profrasi nelle repliche: (1) Domande in cui la negazione è solo segnale di cortesia, senza particolari aspettative di risposta (sia nel senso di risposta attesa che di risposta desiderata che non sempre coincidono) da parte del richiedente, cfr. Non vuoi un caffè? - Sì/ No. (2) Domande il cui orientamento negativo esprime il timore del parlante che non sia successo ciò che vorrebbe (la risposta attesa e desiderata in questi casi è quella di AN), cfr. Il numero non è 387487? - AN: No; DP: Sì, è quello. (3) Domande che vertono su un contenuto proposizionale contenente una negazione (cioè “è vero che non X? ”); in questo caso l’AN è codificato sia da no che da sì (nel senso “è vero che non X”), mentre il DP deve essere espresso con mezzi prosodici o esplicitato, p. es. Non stai bene? - AN: No/ Sì; DP: Noo, sto bene/ Ma sì che sto bene. (4) Domande che intendono verificare se un contenuto proposizionale ritenuto vero dal richiedente sia davvero falso come questi è portato a inferire (cioè “Non è vero che X? ”). In questo caso l’AN è no, mentre il DP può essere espresso sia da sì che da no, ma con speciali marche prosodiche ed eventuale esplicitazione della frase da queste rappresentata, cfr. Eh, ma questo è il Corriere. Non c’era la Repubblica? - AN: No; DP: Sìì/ Noo, ho anche quella. Per la differenza tra 3 e 4 si veda anche Ladd (1981). <?page no="101"?> 101 valore rispetto alla domanda e possono essere considerate neutrali rispetto a parametri di marcatezza. Nel caso di domande a polarità negativa, invece, la risposta di AN risulta il termine non marcato in quanto conferma presupposizioni/ aspettative e contenuto della domanda orientata del richiedente, mentre la risposta di DP è marcata sia perché respinge le prime sia perché asserisce, in contrasto con la domanda, un contenuto proposizionale a polarità positiva 34 . 4.10 Il disaccordo positivo nelle lingue d’Europa Nessuna delle lingue d’Europa che possiede delle profrasi usa un sistema di repliche fondato sulla funzione di accordo/ disaccordo, bensì sulla polarità positiva/ negativa della frase da quelle rappresentata. Dato che le lingue con un sistema ad eco non possono avere un sistema basato sulle funzioni di accordo e disaccordo, il territorio linguistico d’Europa è interamente caratterizzato da un sistema di repliche basato sulla polarità della risposta. Per l’espressione del DP nelle risposte semplici a interrogative dirette 35 , abbiamo in Europa due strategie: l’uso di una profrase specifica per questa funzione e l’impiego della profrase di AP anche per il DP (ma non sempre 36 ), ma con particolare prosodia (cfr. it. sìì) e/ o accompagnate da un enunciato, anche ellittico, che espliciti almeno in parte il contenuto proposizionale inteso 37 . 34 La marcatezza si traduce in una maggiore Merkmalhaftigkeit, cioè esplicitezza di codificazione, anche in lingue che, come il giapponese, possiedono un sistema di repliche ad accordo/ disaccordo che non lascia ambiguità di sorta. Nell’analisi di conversazioni spontanee Hinds (1984: 176), oltre che un numero esiguo di domande negative (solo 12 su 560), ha anche trovato che “of those, none elicited either a hai or iie response”, bensì risposte con eco del verbo principale della domanda. 35 Questa restrizione si rende necessaria, almeno in misura cautelativa, in quanto dati dell’italiano mostrano un comportamento diverso in questo caso basico e nel caso in cui la domanda e/ o la risposta breve siano incassate. Cfr. es. 45 qui sopra e le risposte a domande negative illustrate alla nota 33. Strategie di DP diverse da quelle al centro dell’attenzione qui si hanno anche nel caso di repliche a enunciati dichiarativi e interrogativi (v. Bernini, 1995a: § 5) che meritano, sul piano comparativo, una trattazione a parte. 36 Almeno il macedone, nei nostri dati, usa la stessa particella di AN seguita dalla risposta esplicita, cfr. Ne vide li nikogo? - Ne, vidov nekogo “Non hai visto nessuno? - Sì (letter.: no), qualcuno” vs. Vide li nekogo? - Ne, nikogo “Hai visto qualcuno? - No, nessuno”. 37 Nei termini della Moravcsik (1971: 172-177) la prima strategia sarebbe una “difference in shape” (172) e la seconda “difference in the distributional correspondance between two sets of affirmators that are identical in shape” (173). Sempre nei termini della Moravcsik, in Europa non è rappresentato il tipo a “difference in completeness of inventory” (172), che si ritrova in harari (etio-semitico), il quale adotta un sistema di risposta eco (cfr. Leslau 1962: 148). Invece il tipo “presence of two distributional systems with members different also in shape” (176), cioè di risposte del tipo ingl. right, it. esatto ecc. in Europa <?page no="102"?> 102 Per una tipologia delle repliche brevi La prima strategia accomuna tutte le lingue germaniche (ad esclusione dell’inglese e del frisone), francese, provenzale, bretone, rumeno, belorusso. L’inventario di profrasi di queste lingue comprende (si indicano nell’ordine AP, DN/ AN, DP): tedesco: ja, nein, doch; neerlandese: ja, nee, jaweel; danese: nej, ja, jo; svedese: nej, ja, jo; norvegese: nei, ja, jo; islandese: nei, já, jú; francese: oui, non, si; provenzale: o, no(u)n, si; rumeno: da, nu, ba (da); bretone: ya, nann, eo; belorusso: tak, ne, ale. Anche questo inventario mostra la particolare situazione di contatto tra le lingue germaniche e il francese e tra questo e il bretone. Per la seconda strategia, si vedano i seguenti esempi di traduzione della frase 13 del questionario: “Non hai visto niente? - Sì, qualcosa”. (46) ingl. Haven’t you seen anything? - Yes, I have seen something. (47) fris. Hawwe jo net wat sjoen? - Ja, ik haw (wol) wat sjoen. (48) cat. No has vist res? - Sí, he vist quelcom. (49) ungh. Nem láttál semmit? - De igen, láttam valamit NEG vedesti niente ma sì vidi qualcosa Le risposte al questionario non fanno trasparire, ovviamente, particolari caratteristiche prosodiche delle risposte di DP, come nel caso del russo (Da, čto-to) e quindi la ricerca va approfondita, almeno da questo punto di vista. Si badi comunque che anche le lingue con risposte di tipo ad eco, che già esplicitano sembra marginale rispetto ai primi due. La tipologia della Moravcsik, orientata sui mezzi di espressione, si interseca, in parte, con la nostra, derivata dalla Pope (1973) e non sempre vi corrisponde. <?page no="103"?> 103 sintatticamente la risposta, nel caso del DP ricorrono a risposte ancor più esplicite, cfr., per il gallese, l’esempio (13) e la seguente coppia di esempi: gallese (50a) A wyt ti wedi gweld rhywbeth? - INTERR sei tu dopo vedere qualcosa Naddo, dim byd no niente mondo “Hai visto qualcosa? - No, niente” (50b) Dwyt ti ddim wedi gweld dim byd? - NEG sei tu NEG dopo vedere niente mondo Do, r -wyf wedi gweld rhywbeth. sì DICH sono dopo vedere qualcosa “Non hai visto niente? - Sì, qualcosa” Per il finnico si confronti anche l’es. (9) con il seguente: (51) E -t -kö ole näh -nyt NEG 2SG INTERR essere vedere PPA mitään? Ole -n (kyllä) näh alcunché: PART essere 1SG certamente vedere -nyt jo -ta -in PPA qualche PART NON-ANIMATO “Non hai visto niente? - Sì, qualcosa” 4.11 “Sì” e “no” come tratti europei Queste osservazioni preliminari a una tipologia delle repliche brevi nelle lingue d’Europa hanno certo messo in evidenza come l’uso di profrasi del tipo italiano possa essere considerato un tratto areale europeo, come già era stato proposto da Pagliaro e Belardi (1963: 142) sulla scia di Meillet (1912: 36 sgg.). D’altra parte, la fenomenologia illustrata qui, anche se vuole solo essere un primo saggio, ha mostrato l’estrema complessità e problematicità di una tipologia delle repliche brevi, che deve tenere conto di diversi parametri di confronto e, come è stato nel <?page no="104"?> 104 Per una tipologia delle repliche brevi caso dell’analisi delle costruzioni comparative e coordinate, andare al di là delle repliche stesse, collegandole con altre costruzioni vicine o analoghe. Oltre che presupporre una analisi comparativa completa dei mezzi di espressione a disposizione delle singole lingue per le diverse funzioni di replica e del loro comportamento sintattico in generale, la verifica del carattere “europeo” delle costruzioni che abbiamo preso in esame dovrà tenere conto sia della loro diffusione in altre famiglie linguistiche sia della prospettiva diacronica e di contatto, che potrebbe spiegare molte delle costruzioni comuni che abbiamo esaminato anche al di fuori di aree di contatto ben attestate (p. es. bretone e francese). In particolare, tra i problemi cruciali per la storia di queste costruzioni nelle lingue europee, possiamo elencare: • la genesi delle profrasi romanze dal latino, che non possedeva profrasi vere e proprie, mentre greco e gotico sì (cfr. la traduzione di Matteo 5,37: éstō dè ho lógos hymôn naí naí, oú, oú; sijaiþþan waurd izwar: ja, ja, ne ne) 38 ; • la genesi e la perdita di elementi che sembrano avere il valore di profrasi, come air. nade, nate “nein”, da nad, nat+hé “nicht ist er” (Pedersen 1913: 2, § 559); • le modalità di prestito/ calco di profrasi e le conseguenti modificazioni dei sistemi di replica, come nel caso dell’islandese, il cui sistema di repliche sembra essersi formato verso il 16° secolo in seguito all’influsso di norvegese e poi di danese, da cui avrebbe mutuato la profrase di DP jú, mentre in precedenza usava un sistema ad accordo/ disaccordo (Guðmundsson 1970). In termini generali, lo studio diacronico dello sviluppo di profrasi dovrà poi condurre a determinare se, tra le risposte più neutrali di AP e DN a domande non orientate, la seconda sia più basica della prima, come sembra si possa evincere dalla relativa uniformità di profrasi negative derivate dalla negazione di frase, a fronte delle strategie di formazione più variegate per il “sì”, un fatto che permette di fare l’ipotesi forte, tutta da dimostrare, che in una lingua la presenza di una profrase positiva implica quella di una profrase negativa. 38 Il latino, oltre che risposte brevi ad eco come in Iam dedit argentum? Non dedit (Plauto, Asin., 638), aveva anche ita e sic, di cui però è difficile valutare il valore, cfr. Captus est? Ita (Plauto, Capt., 262); Phanium relictam solam? Sic! (Terenzio, Phorm. 2,2). Per ita usato come latinismo al posto di sì si ricordi anche Inf. 21,42: del no per il denar vi si fa ita (gli esempi sono tutti tratti da Rohlfs 1969: § 965). <?page no="105"?> 5 Simmetrie e asimmetrie nell’espressione della negazione proibitiva e della negazione di proposizione* 5.1 Introduzione Giocoforza è, per chi scrive, festeggiare con un lavoro di tipologia della negazione Paolo Ramat, dal cui sprone sono derivati all’origine i suoi interessi per questo settore e di cui ha condiviso per più anni l’entusiasmo di una ricerca culminata nel volume sulla negazione nelle lingue d’Europa (Bernini e Ramat 1992), e in seguito allargata all’approfondimento di altri aspetti, sia di ordine teorico che descrittivo. Tra questi ricorre anche la negazione proibitiva e la tipologia dei mezzi impiegati per esprimerla, già compresa, anche se a titolo marginale, nel volume sulle lingue d’Europa (Bernini e Ramat 1992: 105-108 e 247-248) e ripresa poi da Paolo Ramat nella voce “Negation” della Encyclopedia of language and linguistics (Ramat 1994: 2773-2774). In una prospettiva tipologica non limitata alla sola Europa, la negazione proibitiva era stata già trattata brevemente da Sadock e Zwicky (1985: 175-177) dal punto di vista della codificazione degli atti linguistici in tipi diversi di frase e, dal punto di vista della modalità, da Palmer (1986: 112-115) nell’ambito degli imperativi 1 . Questi autori concordano nell’osservare come le frasi iussive negative siano caratterizzate in molte lingue, fra le quali l’italiano, dall’impossibilità di negare direttamente l’imperativo (p. es. Non chiudere la porta! vs. Chiudi la porta! , ma non *Non chiudi la porta! ), e come le lingue divergano nelle strategie messe in atto sia per sostituire l’imperativo sia per esprimere la negazione in * Tratto da: Giuliano Bernini/ Pierluigi Cuzzolin/ Piera Molinelli (a cura di), Ars linguistica. Studi offerti a Paolo Ramat in occasione del suo 60° compleanno da colleghi ed allievi. Roma, Bulzoni, 1998: 59-78. Questo lavoro è parte della ricerca “La negazione proibitiva: tipologia e diffusione areale”, fondi CNR 95.0125.CT08. Sono grato a Pierluigi Cuzzolin, Giorgio Graffi e Davide Ricca per le osservazioni e i suggerimenti fatti durante numerose discussioni informali a Pavia e ancora a Aldo Tollini (Pavia) per la sollecitudine con cui mi ha prestato il suo aiuto nell’interpretazione dei dati del giapponese. Solo allo scrivente va ovviamente attribuita la responsabilità degli errori che si ritroveranno in questo lavoro. 1 Osservazioni sulle forme proibitive si ritrovano anche in Bybee et al. (1994: 211-212). <?page no="106"?> questo contesto 2 . D’altro canto, negli studi sulla tipologia della negazione che hanno portato all’individuazione di tendenze universali, l’attenzione si è rivolta esclusivamente alla negazione di proposizione 3 . Il modo, nel nostro caso l’imperativo, è registrato tutt’al più tra i fattori che possono condizionare l’espressione della negazione, come si rileva p. es. in Payne (1985: 222, 223), che ne accenna a proposito dell’imperativo negativo costruito in latino con il verbo nolle ‘non volere’ e soprattutto a proposito dell’opposizione tra *ne e *mē in indoeuropeo. Anche se di natura diversa (rettificare asserzioni precedenti vs. prevenire la realizzazione di un evento, cfr. anche Givón 1984: 323-324), le funzioni cui rispondono i due tipi di negazione sono parimenti fondamentali dal punto di vista comunicativo. È pertanto lecito porsi la domanda se e in che misura le medesime tendenze rilevate nell’espressione della negazione di proposizione possano valere anche per la negazione proibitiva 4 . Ricollegandomi ai lavori citati, intendo qui affrontare questo problema, impostando anzitutto in termini generali l’analisi tipologica delle costruzioni proibitive (§ 5.2). Mi soffermerò poi in particolare sui mezzi di espressione della negazione usati nelle frasi proibitive di diverse lingue in rapporto a quelli usati per la negazione di proposizione. Dal confronto si rilevano delle asimmetrie regolari nel tipo di morfema utilizzato (p. es. libero piuttosto che legato, ma non viceversa) e/ o nella diversa posizione sintattica di questo rispetto al verbo (§-5.3). Queste asimmetrie si prestano a essere interpretate in termini funzionali non solo alla luce del principio ‘negative first’ che discende dall’importanza di segnalare “that it is not a permission that is imparted” (v. Jespersen 1917: 5, ripreso anche da Horn 1989: 450), ma anche come riflesso della diversa natura pragmatica della negazione proibitiva rispetto a quella di proposizione (§ 5.4). 2 Per Sadock e Zwicky (1985: 177) questa può essere considerata una proprietà tipica delle lingue naturali, che si ritrova in tre quarti del corpus di 23 lingue da loro preso in esame. Per quanto riguarda in particolare gli imperativi dell’italiano, si vedano Borgato e Salvi (1995) in prospettiva generale, Graffi (1995) per un’analisi generativa e inoltre Berretta (1995b) per quanto riguarda la loro acquisizione. 3 Cfr. Dahl (1979), che correla ordine dei costituenti e posizione della negazione in base al tipo di morfema che la esprime; Hagège (1982: 84-88) per una classificazione dei mezzi di espressione in base a diversi parametri semantici e pragmatici; Payne (1985) per una rassegna dettagliata dei tipi morfologici e Bybee (1985: 176-178) per la negazione come categoria flessiva del verbo; Dryer (1988) per l’interpretazione delle regolarità di ordine sintattico. Inoltre, per l’interazione tra modalità e negazione in frasi non iussive si veda ora Palmer (1995). A margine è pure interessante sapere che, nella storia degli studi filosofici, la negazione proibitiva ha avuto un peso maggiore nella tradizione indiana antica, come riporta Horn (1989: 86-88; 534, nota 68). 4 La proibizione può essere considerata un ‘universale pragmatico’ al pari della negazione (di proposizione), del comando e della distinzione di tema e rema, in quanto “they relate to ‘behavioural-cognitive functions’ found in all languages” (Ramat 1987: 48). 106 Simmetrie e asimmetrie nell’espressione della negazione <?page no="107"?> La base di dati utilizzata per questo lavoro è tratta da un insieme di 122 lingue, scelte principalmente in base alla disponibilità e/ o all’accessibilità di descrizioni attendibili per il fenomeno in esame. L’insieme tiene conto anzitutto della diversità delle lingue del mondo e comprende rappresentanti di tutte le famiglie linguistiche, secondo l’impostazione di Rijkhoff et al. (1993) 5 . Tuttavia, in questa prima fase di ricognizione della codificazione della negazione proibitiva rispetto a quella di proposizione, esso non costituisce un campione calibrato né dal punto di vista genetico (le lingue indoeuropee, di più facile accesso, sono iperrappresentate da 54 membri), né da quello quantitativo (le lingue austriche e niger-kordofaniane, che costituiscono i due raggruppamenti più numerosi (v. Rijkhoff et al. 1993: 174), sono invece debolmente rappresentate da 6 e rispettivamente 4 membri). La maggiore rappresentatività di certe famiglie nell’insieme di 122 lingue non è in sé un difetto, in quanto anche dall’osservazione della variazione presente all’interno delle singole famiglie si possono rilevare soluzioni tipologicamente rilevanti rispetto al fenomeno indagato 6 . Nel caso in esame, p. es., tra le lingue indoeuropee si ritrova effettivamente rappresentata una più ampia gamma di tipi che non in altre famiglie 7 . L’insieme di lingue esaminate permette quindi osservazioni qualitative e la formulazione di prime ipotesi di regolarità tipologiche la cui validità generale andrà misurata su un campione effettivamente rappresentativo delle lingue del mondo. 5 La copertura non è però completa: delle nove lingue isolate comprese nella non pacifica classificazione di Ruhlen (1987), cui Rijkhoff et al. (1993: 177) si rifanno, non sono state prese in considerazione il gilyak, il nahali, l’etrusco, lo hurritico, il meroitico e il sumero. Per le ultime quattro delle cinque lingue elencate è dubbio che si possano avere indicazioni sicure circa le costruzioni in esame, per problemi sia di documentazione che di interpretazione (cfr. p. es. Agostiniani 1984 per la negazione in etrusco). 6 In altri termini, la variazione all’interno di singole famiglie permette di rilevare soluzioni cosiddette ‘indipendenti’. L’espressione è originariamente di Dryer (“by ‘independent’ we mean essentially not the result of genetic origin or areal contact”) ed è commentata in Comrie (1993: 6), che mette in rilievo come la ricerca di queste soluzioni ‘indipendenti’ sia cruciale nel valutare il potenziale linguistico umano. 7 Si noti che in un campione calibrato di 100 lingue secondo i criteri di Rijkhoff et al. (1993: 186, Table 6), la limitazione a 4 lingue indoeuropee (indo-ittite nella terminologia di Ruhlen colà adottata) non avrebbe potuto riflettere questa varietà. Invece le 7 lingue australiane rappresentate nel campione avrebbero potuto apportare solo casi meno rilevanti di identità e simmetria del tipo di morfema utilizzato per la negazione di proposizione e per quella proibitiva, come si vedrà nel § 5.3 (cfr. i dati riportati in Dixon e Blake 1979- 1991). Per la raccolta dei dati ci si è avvalsi, oltre che delle grammatiche, puntualmente citate, anche delle descrizioni del sistema della negazione di 16 lingue, tra le quali molte ‘esotiche’, pubblicate a cura di Kahrel e van den Berg (1994). 107 <?page no="108"?> 5.2 Tipologia delle costruzioni proibitive Nei sistemi linguistici le frasi proibitive (o iussive negative) sono in rapporto di opposizione con le frasi iussive da un lato e, come è già stato anticipato sopra, con le frasi dichiarative negative dall’altro. Dalle frasi iussive, che ne rappresentano il corrispondente ‘positivo’ e codificano richieste di azione, si differenziano solo per la componente negativa, in quanto codificano richieste di non compiere un’azione. Per quanto riguarda poi la componente negativa, nelle frasi dichiarative negative questa solitamente pertiene la verità del contenuto proposizionale. Nelle frasi proibitive, invece, essa pertiene il tropico o segno di modo, in quanto le interdizioni sono solitamente interpretate come l’imposizione di un obbligo a non far sì che sia vero p, e non come l’imposizione di un obbligo a far sì che sia vero non-p (in termini formali: “I say so - let it not be so - (that) p”) (Lyons 1977: 773-774). Infatti la seconda interpretazione non è coerente con il fatto che quando si emette un divieto lo stato di cose per cui non-p è vero esiste già e che con il divieto si intende prevenire la possibilità che il destinatario “bring about a state-of-affairs of which p (the contradictory of not-p) is true” (774). Lyons riconosce però che esistono casi in cui sembra più appropriata la seconda interpretazione, in particolare quando non-p è il contrario e non il contraddittorio di p, come nell’esempio Don’t trust him, equivalente a Distrust him 8 . Occorre poi forse tenere in considerazione anche il caso in cui il divieto riguardi un’azione in corso di svolgimento o uno stato attuale (come la collera nell’esempio seguente: A: Insomma, quante volte ti devo dire che… - B: Non arrabbiarti! ), dei quali si 8 Si veda a questo riguardo anche Callebaut (1994: 196-197). Non è il caso di entrare qui nei dettagli delle questioni anche delicate che l’analisi semantica delle frasi proibitive comporta. Basti ricordare la possibilità di raggruppare insieme proibizioni e rifiuti (di contro ad asserzioni negative indipendenti dal contesto) in base al fatto che in entrambi la negazione pertiene il ‘tropico’ (“non è/ non sia così che p”) (Lyons 1977: 774). Partendo dai casi ambigui come quello di Distrust him! , Davies (1986: 67-76) oppone a Lyons un diverso tipo di analisi che tiene conto dell’atteggiamento del parlante e distingue: (a) casi in cui il parlante intende respingere come indesiderabile un tipo di comportamento che secondo lui il destinatario potrebbe assumere (non ritengo opportuno che p), p. es. Don’t buy that car; (b) casi in cui il parlante prescrive un tipo di comportamento che considera appropriato per il destinatario (ritengo opportuno che non-p), come in: A: How can I make sure he doesn’t turn up at the party? - B: Don’t tell him about it, perhaps (Davies 1986: 74). D’altro canto Hamblin (1987: 60-71), tenendo conto di possibili differenti contesti, distingue per l’inglese cinque tipi di imperativi negativi. 108 Simmetrie e asimmetrie nell’espressione della negazione <?page no="109"?> richiede l’interruzione, cioè, in altri termini, il ritorno a uno stato di cose per cui sia vero non-p 9 . In base a queste considerazioni negazione e modo, che sono comunque le componenti fondamentali della semantica delle frasi proibitive, si prestano ad essere i parametri di confronto delle costruzioni proibitive in una tipologia basata sui mezzi utilizzati per codificarle rispetto a quelli impiegati nelle frasi dichiarative negative e nelle frasi iussive positive. Le costruzioni proibitive potranno quindi essere classificate in base a: (a) identità o non-identità del morfema negativo rispetto a quello utilizzato per la negazione di proposizione; (b) reimpiego dello stesso modo utilizzato nelle frasi iussive (solitamente l’imperativo) o ricorso ad altri modi. Le forme pertinenti la tipologia discussa qui sono quelle di seconda persona singolare e plurale, centrali in tutti i paradigmi di imperativo, che corrispondono al quadro prototipico delle richieste di azione, dove il soggetto grammaticale è sia l’agente dell’azione richiesta sia il destinatario del messaggio 10 . Si escluderanno quindi le forme di terza persona, che implicano la trasmissione della richiesta di azione da parte di un intermediario (p. es. (Che) entri pure! ) e le forme dette ‘esortative’ di prima persona (p. es. Comincia a piovere. Rientriamo in casa! , cfr. Lyons 1977: 747) 11 . 9 La distinzione tra divieti che si riferiscono ad azioni che il destinatario potrebbe compiere e divieti che si riferiscono invece ad azioni in corso trova espressione grammaticale in limbu (sino-tibetano; parlato nel Nepal orientale, nel Sikkim e nel Darjeeling). In questa lingua esiste una particolare forma di imperativo ‘di prevenzione’ (‘pre-emptive’) accanto a una forma di imperativo negativo usato in caso di azioni/ stati in corso, cfr. mεn-ha˙p-’ε’ (lett. NEG-piangere-IMP.2SG) “Non piangere” (il destinatario sta piangendo) vs. mεnha˙p-‘o (lett. NEG-piangere-IMP.PREVENTIVO.2SG) “Non piangere! ” (il destinatario sembra che possa cominciare a piangere) (van Driem 1987: 192-193). 10 Nel caso del singolare ciò si riflette nella soppressione del morfema di persona, “an amazingly popular phenomenon” secondo Sadock e Zwicky (1985: 174), che lo registrano in 22 delle 23 lingue da loro considerate; cfr. anche Greenberg (1966b, 1975: 45). Si tralascia qui anche la considerazione di categorie diverse di imperativo, quali ‘cortese’, ‘enfatico’, ‘immediato’, ‘differito’, che possono incidere sulla proporzione di forme ‘zero’ di imperativo (p. es. solo 11 sulle 136 forme rilevate nel campione di 76 lingue di Bybee et al. (1994: 210; 321)). Si ricordi anche che le lingue ergative si conformano a quelle accusative per ciò che concerne il soggetto dell’imperativo, che deve poter controllare l’azione che gli viene richiesta. Marginalmente si può osservare a questo proposito un’asimmetria interessante tra la possibilità di formare l’imperativo positivo e negativo di predicati che denotano eventi di cui non si può controllare il principio, ma che si possono altresì fermare, cfr. p. es. Non sbadigliare! vs. ??Sbadiglia! (cfr. Dixon 1994: 131-133). 11 La questione delle persone che vanno comprese nel paradigma dell’imperativo è discussa da Palmer (1986: 109-111), che arriva a concludere che anche per le lingue che hanno un paradigma di forme iussive è meglio limitare l’uso del termine ‘imperativo’ alle forme di seconda persona. Si vedano anche Sadock e Zwicky (1985: 173, 177) e le analoghe osservazioni di Lomatidze (1994: 480-481) a proposito delle lingue caucasiche. Xrakovskij (1992), 109 <?page no="110"?> 110 Simmetrie e asimmetrie nell’espressione della negazione Ritornando ai due parametri di confronto introdotti sopra, dalle loro possibili combinazioni si derivano quattro tipi principali, riportati nella tabella (1), dove ‘+’ indica identità di mezzo di espressione e ‘-’ non-identità di mezzo di espressione per ciascuna delle due categorie considerate. (1) Tipi di costruzioni proibitive Tipi Negazione Modo 1 + + cfr. (2) 2 + - cfr. (3) 3 - + cfr. (4) 4 - - cfr. (5) I quattro tipi compresi in (1) sono illustrati dagli esempi riportati in (2)-(5) e tratti da lingue appartenenti a diverse famiglie 12 . (2) Tipo l: + NEG, + MODO Hixkaryana (caribico) (Derbyshire 1979: 18, 17, 49) a. ɨto-hra ex-ko andare-neg essere-imp: 2noncollettivo “Non andare! ” b. ɨto-ko andare-imp: 2noncollettivo “Va(cc)i! ” c. Kasawa hona ɨto-hra w-ah-ko […] Kasawa a andare-neg 1sogg-essere-passato immediato “Non sono andato a Kasawa […]” recensito in Haspelmath (1993), integra i possibili destinatari di un comando (oltre a ‘tu’ e ‘voi’ anche ‘io e te’, ‘noi e voi’ etc.) in un paradigma universale dell’imperativo. Ovviamente le forme di cortesia che non fanno ricorso alla seconda persona sono pure escluse dalla presente discussione (si pensi all’italiano (Non) legga! rispetto al francese (Ne) lisez (pas)! ). 12 Nelle glosse si utilizza NEG nei casi di coincidenza di morfema di negazione nelle frasi dichiarative e in quelle iussive, PROHIB per i morfemi speciali di negazione proibitiva. <?page no="111"?> 111 In hixkaryana, la negazione è espressa tramite un suffisso (cfr. -hra <-hɨra in (2a,c)) aggiunto al tema del verbo, che, in seguito a questo processo, diviene un avverbio. Le categorie di tempo, modo e aspetto sono espresse dalla copula, che fa così la parte di un ausiliare (cfr. wahko in (2c)) utilizzato anche per l’imperativo (cfr. exko in (2a)) (Derbyshire 1979: 48). (3) Tipo 2: + NEG, - MODO Babole (niger-kordofaniano, parlato in Congo) (Leitch 1994: 201, 201, 196) a. K(a) -ío-híem-ak-á ò-tíd-í neg-2sg-smettere-asp-vf comp-fuggire-inf (vf = vocale finale) “Non smettere di fuggire! ” b. [Ø-] híem-á lòío [2sg-] smettere-vf rumore “Smetti di fare rumore! ” c. Swíeì mohúmá àka -dzíe-í ekɔ̀ngɔ̀ da mattina 3sg-neg-mangiare-completivo manioca “Da stamattina non ha mangiato manioca” Il modo utilizzato in (3a) è una forma di congiuntivo, più propriamente una forma di ‘esortativo’, e si distingue dall’imperativo di (3b) anche per la presenza del morfema di seconda persona singolare. Le forme di negazione piena (ka in (3c)) e opzionalmente ridotta (ko kain (3a)) sono condizionate da regole morfofonemiche. (4) Tipo 3: - NEG, + MODO Irlandese (indoeuropeo) (Ó Siadhal 1988: 56-57 per a. e b.) a. Ná hoscail an doras sin prohib apri: imp la porta quella “Non aprire quella porta! ” b. Oscail an doras sin apri: imp la porta quella “Apri quella porta! ” c. Ní osclaíonn tú an doras sin neg apre tu la porta quella “Tu non apri quella porta” <?page no="112"?> 112 Simmetrie e asimmetrie nell’espressione della negazione La forma di imperativo hoscail in (4a), dovuta alla presenza della particella ná, va interpretata come variante morfofonemica di oscail in (4b). (5) Tipo 4: - NEG, - MODO Ebraico d’Israele (afro-asiatico) (Glinert 1989: 295) a. Al takshiv <Ɂl tqšyv> prohib ascolterai “Non ascoltare! ” b. Hakshev <hqšv> ascolta: imp “Ascolta! ” c. Lo takshiv <lɁ tqšyv> neg ascolterai “Tu non ascolterai” In (5a) il significato proibitivo che assume il futuro del verbo è indicato dalla particella al, in contrapposizione a (5c), dove il futuro mantiene il significato temporale in presenza della negazione di proposizione lo 13 . I quattro tipi individuati sulla base delle sole combinazioni dei due parametri della identità di morfema negativo e di modo utilizzato rappresentano una tassonomia ‘a maglie larghe’ delle costruzioni proibitive che non è in grado di rendere compiutamente conto di tutte le caratteristiche che appaiono tipologicamente rilevanti. In primo luogo sfuggono a questa tassonomia le costruzioni in cui la negazione è lessicalizzata in predicati del tipo “evitare”, “cessare”, “smettere”, “rifiutar(si)”, usati all’imperativo (ovviamente positivo), che reggono una subordinata in cui è espresso il contenuto del divieto, come nell’esempio (6) tratto dal gallese. Questi casi vanno classificati in un tipo a se stante da aggiungere ai quattro tipi principali. 13 Questo vale per le varietà formali. Le frasi proibitive delle varietà colloquiali, dove il futuro si usa al posto dell’imperativo, andrebbero meglio classificate come tipo 3, in quanto usano lo stesso modo delle iussive positive (il futuro e non più l’imperativo), ma una particella negativa diversa da quella usata per le dichiarative negative (cfr. ancora Glinert 1989: 295-296). <?page no="113"?> 113 (6) Gallese (indo-europeo) (Watkins 1993: 328, 328, 336) a. Paid/ Peidiwch (â) mynd! rifiuta rifiutate particella andare “Non andare! / Non andate! ” b. Dos/ ewch “Va’! / Andate! ” c. ( Ni ) welodd y bachgen ddim dyn neg vide il ragazzo neg uomo “Il ragazzo non vide (ness)un uomo” In secondo luogo, per ciascuno dei tipi così individuati occorre valutare la natura delle asimmetrie registrate nell’espressione del modo (tipi 2 e 4 nella tabella (1)) e della negazione (tipi 3 e 4 sempre nella tabella (1)). A questo problema, e in riferimento al secondo parametro, è dedicato un esame approfondito. 5.3 La negazione nelle costruzioni proibitive Per quanto riguarda l’espressione della negazione, tra le 132 costruzioni presenti nel corpus (in 10 lingue convivono due costruzioni di tipo diverso) si distinguono anzitutto i casi di identità (tipi 1, 2 nel § 5.2) e di non-identità (tipi 3, 4, ma anche 5, nel § 5.2) dell’operatore negativo utilizzato nei due tipi di frase in esame. 5.3.1 I casi di identità si ritrovano in 62 delle 122 lingue prese in considerazione, cioè in circa la metà di esse, e costituiscono il 47% delle 132 costruzioni considerate. Tutti i tipi di operatore negativo sono rappresentati nei casi di identità, che comprendono: morfemi legati, come l’affisso del babole all’esempio (3); morfemi liberi pree postverbali (si pensi al francese: Ne bouge pas! “Non muoverti! ” vs. Tu ne bouges pas “Tu non ti muovi”); costruzioni complesse imperniate intorno a un ausiliare come nel caso dello hixkaryana, es. (2). Tra i casi di identità vanno annoverate anche le costruzioni con ausiliare negativo come quella del finnico illustrata in (7), dove le due diverse basi (älä in (7a) e ein (7b)) sono allomorfi nell’ambito dello stesso paradigma 14 . 14 V. Sulkala e Karjalainen (1992: 25): “The negative imperative is primarily expressed with the imperative forms of the negation verb”. Il legame tra le due forme è più evidente nei dialetti che hanno, per l’imperativo, elä (Whitney 1984: 103). La forma proto-uralica ricostruita è e-l-, dove -lè la marca di modo (Sinor 1988: 564). <?page no="114"?> 114 Simmetrie e asimmetrie nell’espressione della negazione (7) Finnico (uralico-yukaghiro) (Sulkala e Karjalainen 1992: 25, 25) a. Älä tule! neg: imp(2sg) venire “Non venire! ” b. E-n tule kotiin neg-1sg venire casa: ill “Non vengo a casa” I casi di identità sono di fatto diffusi in tutte le famiglie linguistiche. Nel corpus preso in considerazione essi non compaiono in elamo-dravidico, khoisan, nilo-sahariano e eskimo-aleutino, che hanno però solo uno o, nel caso del khoisan, solo due rappresentanti. La loro mancanza può quindi essere puramente casuale 15 . Tra le tre lingue isolate prese in considerazione, hanno identità di morfema basco (particella) e burusciaschi (prefisso). Nella famiglia indo-europea, l’identità di morfema caratterizza germanico (ma non in modo compatto, come verrà discusso più sotto), romanzo (in contrasto con il latino), baltico e slavo (ma non tutto il ramo meridionale). Negli altri gruppi si trova invece in casi isolati, come nel persiano colloquiale. Infine, si riscontra identità di morfema (esclusivamente libero) in 8 delle 17 lingue australiane comprese nel corpus (15 tratte da Dixon e Blake 1979-1991 cui vanno aggiunti lo yidiny e il mangarayi). 5.3.2. Tra i casi di non-identità nell’espressione della negazione proibitiva e di quella di proposizione è opportuno fare un’ulteriore distinzione tra due tipi. Il primo comprende i casi di completa simmetria sia nel tipo di morfema utilizzato sia nella posizione di questo rispetto al verbo, come in irlandese e in ebraico moderno illustrati sopra (ess. (4), (5)), dove le due diverse negazioni sono espresse da una particella in posizione preverbale. I casi di simmetria compresi nel corpus sono 42, diffusi in quasi tutte le famiglie linguistiche, che riguardano nella stragrande maggioranza (37 casi) l’opposizione di due morfemi liberi (particelle). Solo in 5 casi si ha opposizione di morfemi legati, come in swahili (cfr. (8)) 16 . 15 Come è casuale la presenza di casi di sola identità di morfema tra le due lingue indopacifiche considerate: sentani e kobon. 16 Si prescinde qui dalla possibilità di avere morfemi in cui negazione e altre categorie siano fuse come in (8b) rispetto a (8a). A questo riguardo, il groenlandese (eskimo-aleutino) mostra una situazione inversa rispetto al swahili, in quanto è la negazione proibitiva ad essere fusa con la categoria di modo, mentre la negazione di frase non lo è, cfr.: patinnanga (lett.: picchiare (2sg.)1sg: neg: contemporativo) “Non picchiarmi! ” vs. aku- <?page no="115"?> 115 (8) Swahili (niger-kordofaniano) (Perrott 1969: 48, 43) a. usi -some 2sg-prohib-leggere: cong “Non leggere! ” b. hu -somi neg: 2sg-leggere: pres “Tu non leggi” L’opposizione di una particella proibitiva e di una negativa contraddistingue le 9 lingue australiane senza identità di morfema e, come è noto, molte lingue indoeuropee, tra le quali il latino (nōn vs. nē), il greco classico (ou(k) vs. mḗ), il sanscrito (na vs. mā). 5.3.3 I 28 rimanenti casi di non-identità si differenziano da quelli testé trattati per il fatto di presentare delle asimmetrie di ordine morfologico o sintattico nei mezzi utilizzati per l’espressione della negazione proibitiva e di quella di proposizione 17 . Le asimmetrie di ordine morfologico si rivelano anzitutto nell’impiego di tipi di morfemi diversi per le due negazioni, come nel caso del gallese illustrato in (6), dove la negazione di frase è espressa per mezzo di particelle (ni…ddim) e quella proibitiva tramite un predicato (peidio (â) “rifiutare (di)”). Un secondo tipo di asimmetria attestato nel corpus riguarda il numero di morfemi coinvolti, come nel caso del limbu, dove la negazione proibitiva (cfr. 9a) mostra solo il primo dei due affissi di una costruzione discontinua che si ritrova nelle dichiarative negative (cfr. 9b). (9) Limbu (sino-tibetano) (van Driem 1987: 188, 106) 18 a. mɛn -im-ɁɛɁ neg-dormire-imp.2sg “Non dormire! ” b. nam mɛ -se ˈknɛn sole neg-splende-neg “Il sole non splende” likitsumik tikit-tanngil -aq (lett.: spesso venire-abituale-neg-3sg.indic) “Non veniva spesso/ Spesso non veniva” (Fortescue 1984: 27, 138). 17 In 10 casi si tratta di costruzioni alternative, che convivono con altre costruzioni con identità di morfema (come in norvegese, v. sotto), o con costruzioni senza identità di morfema ma simmetriche (come in bretone). 18 L’alternanza di mɛnin (9a) e mɛin (9b) è condizionata dal punto di vista morfofonemico. <?page no="116"?> 116 Simmetrie e asimmetrie nell’espressione della negazione Infine l’asimmetria può essere di ordine sintattico e riguardare la posizione rispetto al verbo dei morfemi per i due tipi di negazione, come in (10), dove la stessa particella sta in posizione preverbale con l’imperativo e in posizione postverbale nelle dichiarative. (10) Norvegese (riksmål) (Sommerfelt e Marm 1981: 54) 19 a. Ikke vœr redd! neg sii timoroso “Non aver paura! ” b. Du er ikke redd tu essere: pres neg timoroso “Tu non hai paura” I diversi tipi di asimmetria possono accumularsi, come mostra il caso del retoromancio di Surmeir (es. 11), dove la costruzione proibitiva presenta una riduzione nel numero di morfemi nella negazione di proposizione insieme all’anteposizione della particella che nella frase dichiarativa sta in posizione postverbale. (11) Retoromancio di Surmeir (Haiman 1988: 377) a. bec sera la fanɛʃtra neg chiudi la finestra “Non chiudere la finestra! ” b. i na viɲ bec da plover 3sg neg viene neg di piovere “Non pioverà” Le asimmetrie qui illustrate appaiono orientate secondo le gerarchie riportate in (12) per il tipo di morfema impiegato (12a), il numero di morfemi coinvolti (12b) e la posizione sintattica di questi (12c). (12) Gerarchie che governano le asimmetrie nella negazione di frase e proibitiva a. Affisso < particella < {ausiliare, predicato} b. 2 morfemi < 1 morfema c. Posizione postverbale < preverbale </ & iniziale di frase 19 La costruzione con anticipazione della particella negativa non è obbligatoria e coesiste accanto alla costruzione con ikke postverbale. <?page no="117"?> 117 Per ciascuna delle tre gerarchie riportate in (12), nei casi di asimmetria l’espressione della negazione proibitiva di una lingua sta su una posizione più a destra di quella occupata dall’espressione della negazione di proposizione, ma non viceversa, come nel caso del gallese per la gerarchia (12a) (particelle vs. predicato, cfr. (6)), del limbu per la gerarchia (12b) (2 morfemi vs. 1 morfema, cfr. (9)), del norvegese per la gerarchia (12c) (particella postverbale vs. particella preverbale, cfr. (10)). Alle gerarchie in (12) possono inoltre essere fatti risalire anche i casi di simmetria trattati in 5.3.1; infatti, in termini più generali, si può anche affermare che, per ciascuna di esse, l’espressione della negazione proibitiva di una lingua sta o sulla stessa posizione occupata dall’espressione della negazione di frase o su una posizione più a destra, ma non viceversa. Tra le asimmetrie riscontrate nel corpus, le più numerose (19 casi) e le più rilevanti per la loro diffusione interlinguistica riguardano il tipo di morfema utilizzato per le due costruzioni (gerarchia (12a)), come mostrano i seguenti casi: • affisso per la negazione di frase vs. particella per la negazione proibitiva (13) Wayampi (equatoriale) ( Jensen 1994: 357) 20 a. Ne-ji-ko’õ karamõ ne-iko ne , 2sg.sogg-rifl-andare in collera futuro 2sg.sogg-essere prohib e’i papa ije 3: dire padre 1paz b. Aja-wyi ije age’e dim-a.causa.di 1paz adesso n -a-jiko’õi a-iko. neg-1sg.sogg-essere in collera -neg 1sg.sogg-essere “Non arrabbiarti (controlla la tua collera) in futuro, disse (mi consigliò) mio padre. Per questa ragione non me ne vado intorno arrabbiato” • particella per la negazione di frase vs. ausiliare negativo per la negazione proibitiva 21 20 Le glosse dell’esempio (13) sono la traduzione letterale delle glosse inglesi della fonte. In particolare, ne-ji-ko’õ in (13a) è glossato “2sS-Refl-anger” e n-a-jiko’õ-i “Neg-1sS-be: angry-Neg”. 21 Per le lingue uraliche in cui la negazione è espressa da un ausiliare negativo, Comrie (1981) aveva già messo in rilievo che la categoria universalmente espressa sull’ausiliare negativo è proprio quella dell’imperativo. <?page no="118"?> 118 Simmetrie e asimmetrie nell’espressione della negazione (14) Estone (uralico-yukaghiro) (Bernini e Ramat 1992: 196, 94) a. Ärä mine üle, Juhan neg: imp: 2sg andare: imp: 2sg di.là Giovanni “Non attraversare, Giovanni! ” b. Juhan ei söö kala Giovanni neg mangiare pesce “Giovanni non mangia pesce” • particella per la negazione di frase e predicato proibitivo 22 (15) Coreano (Kim 1987: 896) a. cip e ka-ci ma-la casa a andare-nomin cessare-imp “Non andare a casa! ” b. cip e an ka-nta casa a neg andare-noncortese “Vado a casa” • affisso per la negazione di frase vs. ausiliare per la negazione proibitiva (16) Wolof (niger-kordofaniano) (Sauvageot 1981: 42, 41) a. bu-l ɟɔ: i prohib-2sg piangere “Non piangere! ” b. Dɛmu -l partire-neg-perfettivo: 3sg “Non è partito” 22 Si tratta, in realtà, del tipo più frequentemente attestato nel corpus (10 casi), diffusi anche in indoeuropeo, cfr. il più volte citato gallese oltre a danese e latino (noli + infinito). A questo tipo è stata attribuita anche la costruzione bulgara nedej/ nedejte da + CONGIUN- TIVO oppure + INFINITO (cfr. Maslov 1981: 241), nonostante in nedej/ nedejte, originariamente “non fare! ”/ ”non fate! ”, sia riconoscibile la particella negativa ne. Nedej(te) è infatti un verbo flesso, cui si subordina il contenuto del divieto, e che si ritrova solo in questa combinazione negativa. <?page no="119"?> 119 Le asimmetrie nel numero di morfemi coinvolti (sempre 2 per la negazione di frase vs. uno solo per quella proibitiva) sono le meno diffuse. Un numero diverso di morfemi legati è attestato nel corpus per il limbu (cfr. (9)) e il tigrino, esemplificato qui sotto in (17). Un numero diverso di particelle è invece attestato per il bafut (parlato in Camerun, cfr. (18)), oltre che per il retoromancio di Surmeir, dove però si accompagna all’anteposizione di particella, come illustrato in (11). (17) Tigrino (afro-asiatico) (Conti Rossini 1940: 96-97) a. Ay -tĕsbèr neg-rompere: congiuntivo: 2sg “Non rompere! ” b. Ay -severèn neg-ruppe-neg “Non ruppe” (18) Bafut (niger-kordofaniano) (Chumbow e Tamanji 1994: 226, 215) a. Tsùū ŋkī wá fá prohib acqua quello dare “Non dare quell’acqua! ” b. Kāā bó sì ŋkì tū’ū neg essi neg acqua portare “Non hanno preso l’acqua” Infine, in sette casi le asimmetrie sono di ordine esclusivamente sintattico e si conformano alla gerarchia (12c). Per il settore più a destra di questa gerarchia, la posizione iniziale di frase e preverbale della medesima particella per la negazione proibitiva e, rispettivamente, per quella di proposizione è esemplificata in (19) per il kriyol. (19) Kriyol (creolo a base portoghese della Guinea Bissau) (Kihm 1994: 43, 42) a. Ka bu torna cora mas neg tu rifare piangere più “Non piangere più! ” b. Ze ka riba inda <?page no="120"?> 120 Simmetrie e asimmetrie nell’espressione della negazione Ze neg tornare ancora “Ze non è ancora tornata” Una costruzione analoga a quella del kriyol, ma con particelle diverse, è attestata anche in indonesiano (Kwee 1974: 64, 15). Fra le lingue indoeuropee, l’afrikaans (v. (20)) presenta in posizione iniziale di frase la particella proibitiva moenie, di cui è ancora riconoscibile l’origine (< (jy) moet nie “(tu) non devi”), mentre la particella nie per la negazione di frase si trova in posizione postverbale 23 . (20) Afrikaans (Burgers 1971: 229) a. Moenie bog praat nie! prohib sciocchezze parlare neg “Non dire sciocchezze! ” b. Jy praat nie bog nie tu parlare neg sciocchezze neg “Tu non dici sciocchezze” L’asimmetria tra negazione di proposizione in posizione postverbale e negazione proibitiva in posizione preverbale, insieme a un’asimmetria nel tipo di morfema (legato vs. libero), è attestata dal mongolo, cfr. (21). (21) Mongolo (Vietze 1988: 39, 41) a. Ta nar tènd bitgij suu! voi là prohib sedere “Non sedetevi là! ” b. Bi odoo kino üz-èxgüj io adesso film vedere-nominalizzatore-neg “Adesso non vedo il film” Nel corpus si hanno poi, con l’imperativo, tre casi di anticipazione in posizione iniziale di una particella di negazione che nelle dichiarative sta in posizione po- 23 Fermo restando che moenie sta all’inizio di frase, la costruzione afrikaans è anche caratterizzata da una seconda particella negativa finale di frase in comune con le costruzioni non proibitive (cfr. (20b)) e da una forma verbale non-finita. <?page no="121"?> 121 stverbale 24 . Si tratta di due lingue germaniche, il norvegese, esemplificato già in (10) e lo yiddish (v. (22)), dove la costruzione non è obbligatoria, e di una lingua romanza, il retoromancio di Surmeir, per cui si veda di nuovo (11) 25 . (22) Yiddish 26 a. Nit shray tsum himl, er hert dikh vi di erd, der hoyfn mist, neg grida al cielo esso ode te come la terra il mucchio letame shray nit tsu der zun, nit reyd tsum lomp […] grida neg a il sole neg parla alla lampada “Non invocare il cielo, ti sente come la terra, questo mucchio di letame, non invocare il sole, non parlare alla lampada […]” b. er zukht di kinder zayne un er veyst nit az zey zenen do egli cerca i figli suoi e egli sa neg che essi sono là “Sta cercando i suoi figli, non sa che sono lì” 24 In questi casi non c’è modo di distinguere posizione preverbale e posizione iniziale di frase, che vengono di fatto a coincidere, mancando solitamente l’espressione del soggetto. Si ricordi però anche che nelle lingue germaniche l’esplicitazione enfatica del soggetto con gli imperativi negativi presenta numerose peculiarità, discusse da Platzack e Rosengren (1994) sulla scorta di casi quali inglese Don’t/ Do not go there tomorrow! vs. Don’t you go there tomorrow! (ma non *Do not you go there tomorrow! ) e svedese Gå du dit i morgon! vs. ? Gå du inte dit i morgon! Queste peculiarità sono il risultato dell’applicazione di diverse strategie per evitare che il pronome soggetto ricada nello ‘scope’ della negazione (1994: 52, 64-65), strategie a loro volta connesse col fatto che il ‘pronome soggetto’ delle frasi iussive non rappresenta un vero soggetto, ma piuttosto una sorta di vocativo (1994: 64). 25 Jespersen (1917: 5) cita in realtà anche esempi danesi. Si noti che le costruzioni proibitive possono rappresentare uno dei modi in cui si possono ricostituire negazioni preverbali in quelle lingue che hanno sviluppato negazioni postverbali secondo il cosiddetto ciclo di Jespersen (1917: 6-10). 26 Gli esempi (22a) e (22b) sono tratti da Yitzhak Katzenelson, Dos lid funm oysgeharg’etn yidishn folk, edizione italiana: Il canto del popolo ebraico massacrato, Firenze, Giuntina, 1995, pp. 26 e 32. Nella fonte la traduzione di (22a), dove le costruzioni con negazione pree postverbale si alternano in contesti paralleli, è la seguente: “Non invocare il cielo: non ti sente. Né ti sente la terra, questo mucchio di letame. Non invocare il sole: non si supplica una lampada”. <?page no="122"?> 122 Simmetrie e asimmetrie nell’espressione della negazione 5.4 Conclusioni Pur senza entrare nel merito della distribuzione statistica dei tipi di costruzioni proibitive tra le lingue del mondo, che come è stato detto nel § 5.1 non è possibile affrontare qui per la costituzione del corpus di lingue considerato, la rassegna dei casi di identità e di non-identità, e tra questi ultimi in particolare quelli di asimmetria nell’espressione della negazione di proposizione e proibitiva, ha messo in luce alcune regolarità. Anzitutto negazione proibitiva e negazione di proposizione non si differenziano nel comportamento morfosintattico nella stragrande maggioranza dei casi: ciò vale, ovviamente, nei 62 casi di identità, ma anche nei 42 casi di non-identità con simmetria (cfr. § 5.3.1 e 5.3.2), che possono essere tutti ricondotti alle regolarità tipologiche già individuate da Dahl (1979). In secondo luogo, nel corpus di lingue preso in considerazione la codificazione autonoma della negazione proibitiva rispetto a quella di proposizione, che si ritrova in 70 casi sui 132 compresi nel corpus (cioè nel 53% dei casi) sembra essere solo leggermente preferita. Tra questi 70 casi di non-identità nell’espressione dei due tipi di negazione, si sono poi rivelati particolarmente interessanti i 28 casi (pari al 40%) di asimmetria governati dalle gerarchie riportate in (12). Sulla base delle regolarità discusse in 5.3.3 a questo proposito, la negazione proibitiva sembra essere preferibilmente espressa: (a) con un tipo di morfema di pari o maggiore grado di ‘indipendenza’ rispetto a quello usato per la negazione di proposizione (cfr. (12a)); (b) con un numero di morfemi pari o inferiore rispetto a quello usato per la negazione di proposizione (cfr. (12b)). Ambedue le preferenze sintetizzate in (a) e in (b) sembrano rispondere all’esigenza funzionale di codificare la negazione proibitiva in maniera più saliente che non quella di proposizione, riflettendone la diversa natura semantica e pragmatica. Ciò si ottiene ricorrendo a morfemi di tipo lessicale (particelle, ausiliari) piuttosto che grammaticali e, al limite, lessicalizzando queste funzioni con appositi ‘verba recusandi’ come in gallese 27 . D’altro canto la riduzione nel numero 27 Per certi aspetti, anche lo sviluppo dell’inglese don’t può essere interpretato in questo quadro, se si pensa che, pur appartenendo al paradigma dell’ausiliare do nelle costruzioni negative, funziona di fatto come particella proibitiva anche con ausiliari che non ammettono altrimenti l’inserzione di do (cfr. Don’t be silly! vs. You are not silly e, in costruzioni esortative, Don’t let’s talk non-sense vs. Let’s not talk non-sense). Dal punto di vista diacronico secondo Croft (1991: 14-16), “[…] the evolution of negative imperatives (prohibitives) also appears to have a verbal source […] though the evidence is more scanty than for the declarative case”. Le tappe iniziale, intermedia e finale di questa evoluzione potrebbero <?page no="123"?> 123 di morfemi, come si è visto nei casi del retoromancio di Surmeir, del tigrino e del limbu, consiste di fatto nell’evitare costruzioni discontinue, rendendo così le frasi proibitive più ‘processabili’. La motivazione funzionale di queste due preferenze sembra essere alla base anche della terza gerarchia riportata in (12c), secondo la quale l’espressione della negazione proibitiva sembra preferire la posizione preverbale o iniziale di frase rispetto a quella postverbale. Ciò è particolarmente evidente nei casi in cui la negazione, posta all’inizio della frase, serve a segnalare di che tipo di frase si tratta (proibitiva e non dichiarativa), come già aveva osservato Jespersen (cfr. § 5.1). essere rappresentate da: (i) bulgaro nedej/ nedejte da + CONGIUNTIVO (v. nota 22), dove la negazione è prefissata a un verbo flesso; (ii) afrikaans moenie + INFINITO (+ nie) (v. esempio (20)), dove moenie (< jy moet nie, lett. “tu devi NEG”) non è differenziato per la persona, ma è ancora legato alla negazione di proposizione grazie alla particella nie finale di frase; (iii) cinese mandarino 2 bie, forse derivato da 2 bu 4 yao, letter. “NEG volere” (Wiedenhof 1994: 120), con la sola funzione di proibitivo. <?page no="125"?> 6 La seconda volta. La (ri)costituzione di categorie linguistiche nell’acquisizione di L2* 6.1 Introduzione 1 Da tempo l’acquisizione spontanea - ma non solo - di lingue seconde è un campo di osservazione e di studio fecondo per le riflessioni teoriche sulla costituzione del linguaggio e sui principi che governano la costruzione delle grammatiche. Tra le due sponde della linguistica acquisizionale e della linguistica teorica si rincorrono e si intrecciano correnti trasversali, come è ben messo in luce nel titolo di una raccolta di lavori a questo tema dedicati, pubblicata una dozzina di anni or sono da Thom Huebner e Charles Ferguson (1991). L’acquisizione di lingue seconde è infatti un campo particolare di osservazione delle potenzialità di elaborazione linguistica. Questa, da una parte, è variabilmente indotta dall’input fornito agli apprendenti dai nativi; dall’altra parte essa è condizionata dalle regolarità tipologiche che governano la costituzione dei sistemi linguistici, e in particolare da quelle regolarità che differenziano in misura maggiore o minore la lingua prima dell’apprendente rispetto alla lingua seconda che quello deve acquisire 2 . Ulteriori fattori di ordine psicologico e sociale intervengono invero a condizionare il percorso acquisizionale dei singoli apprendenti; tuttavia, pur non trascurandone i possibili effetti, di essi non si darà qui conto 3 . * Tratto da: Lidia Costamagna/ Stefania Giannini (a cura di), Acquisizione e mutamento di categorie linguistiche. Atti del XXVIII Convegno Annuale della Società Italiana di Glottologia. Roma, Il Calamo, 2004: 121-150. 1 Questo lavoro è parte del programma di ricerca dell’Unità operativa di Bergamo del progetto Cofin “Strategie di costruzione del lessico e fattori di organizzazione testuale nelle dinamiche di apprendimento e insegnamento di L2”, finanziato nel 2003 dal MIUR e dall’Università degli Studi di Bergamo. Il testo raccoglie i suggerimenti e le osservazioni avanzate nella discussione che ha seguito la presentazione a Perugia: di essi sono grato a Pier Marco Bertinetto, Michela Cennamo, Elisabetta Fava, Stefania Giannini, Nunzio La Fauci, Lucio Melazzo, Alberto Mioni. Va senza dire che gli errori che si ritroveranno in questo contributo sono di sola responsabilità dello scrivente. 2 A questo riguardo si vedano le osservazioni di Giacalone Ramat (1994) e i contributi raccolti in Giacalone Ramat (2003, ed.). 3 Basti qui ricordare il fattore “motivazione”, per il quale si veda Gardner e Lambert (1972). <?page no="126"?> In questo contributo vengono ripercorse alcune linee di ricerca seguite nei progetti di linguistica acquisizionale degli ultimi anni, al fine di osservare la ricostituzione della categoria verbo in lingua seconda. L’osservazione si fonderà principalmente su dati di italiano lingua seconda tratti dal noto Progetto di Pavia, per i cui risultati si rimanda al volume a cura di Giacalone Ramat (2003, a c. di) 4 . Oltre che a questi dati, si farà riferimento anche a dati relativi all’acquisizione di altre lingue europee, in particolare nederlandese e francese, il cui confronto permette di individuare regolarità di ordine generale 5 . L’osservazione delle regolarità di (ri)costituzione dei tratti e dei valori che definiscono la categoria verbo nella lingua da acquisire contribuisce a far comprendere anzitutto la costituzione interna della categoria verbo e la configurazione dei rapporti che ne legano tratti e valori. Questo aspetto della definizione delle categorie linguistiche è stato messo in rilievo da Paolo Ramat (1999) in prospettiva tipologica: la considerazione delle categorie linguistiche come “(structured) bundles of features, and features as bundles of values” (167) permette di rendere meglio conto dei dati interlinguistici che non gli approcci olistici che intendono le categorie o solo specifiche di singoli sistemi o solo universali. Questa prospettiva è particolarmente utile nel trattamento di dati di lingua seconda. Infatti essa permette di apprezzare le elaborazioni graduali dell’apprendente nell’avvicinarsi all’architettura di tratti e valori della categoria della lingua seconda che deve acquisire e di considerare le forme usate dall’apprendente in base alla funzione che esse di volta in volta rivestono nell’interlingua e non solo in base alla funzione delle forme della lingua di arrivo che esse giocoforza rispecchiano sul piano dell’espressione. Questo stesso approccio permette infine di riconoscere e spiegare in termini di distanza tipologica l’eventuale ruolo che la configurazione di tratti e valori della categoria corrispondente della prima lingua può avere sul processo di apprendimento. L’osservazione delle regolarità di (ri)costituzione della categoria verbo in lingua seconda nei termini testé definiti ha un correlato importante, in quanto il verbo nelle lingue europee è il principale mezzo di espressione della finitezza 4 È opportuno ricordare che il Progetto di Pavia, iniziato nel 1986, ha raccolto intorno alla sede pavese un gruppo di ricerca interuniversitario a cui hanno partecipato le sedi di Bergamo, Torino, Vercelli, Milano Bicocca (e ancor prima Milano Statale), Trento, Verona, Siena. Le tappe principali di sviluppo del progetto, che ha adottato un quadro di riferimento funzionalista, sono segnate dai volumi curati da Bernini e Giacalone Ramat (1990), Giacalone Ramat e Crocco Galèas (1995), oltre che dal già citato Giacalone Ramat (2003, a c. di). 5 L’acquisizione di francese, inglese, nederlandese, tedesco e svedese come lingue seconde è stato l’oggetto di ricerca del progetto “Second language acquisition by adult immigrants”, finanziato dalla European Science Foundation. Impostazione teorica, metodologia, risultati si possono consultare in Perdue (1993). 126 La (ri)costituzione di categorie linguistiche nell’acquisizione di L2 <?page no="127"?> della frase, soprattutto per quanto riguarda il tempo. Nel processo graduale di avvicinamento alla struttura della L2 la costruzione del verbo ci fa quindi comprendere anche le strategie messe in atto dall’apprendente nel passare da stadi di apprendimento “non-finiti”, dove manca l’espressione obbligatoria delle componenti della finitezza come il tempo, a stadi di apprendimento “finiti”, dove al verbo è demandato il compito di veicolare la finitezza della frase, come messo in luce da Klein (1998) e da Perdue et al. (2002) 6 . Il campo di indagine della (ri)costituzione della categoria verbo in lingua seconda può essere delimitato in base agli esempi (1a) e (1b), prodotti da due apprendenti di italiano L2 in momenti diversi del loro percorso acquisizionale 7 . (1) a. [L’apprendente elenca le attività della giornata] sonno^ io sonno *yeah* (PE 01) ‘dormo’ b. allora se: loro non bugiàno […] (MK 11) ‘se non fanno la spia’ Nella varietà di apprendimento rappresentata in (1a) le categorie di nome e verbo appaiono ancora indifferenziate. Lo mostra l’utilizzo di sonno, che nella lingua di arrivo - ma non in questa varietà di apprendimento - si oppone come nome al verbo dormire, pur designando entrambi i termini lo stato di riposo 8 . 6 La terminologia è ripresa però da Bisang (2001: 1408), che definisce “non-finite” le lingue dell’estremo oriente (p. es. mandarino, vietnamita, thai), in quanto non richiedono l’espressione obbligatoria di componenti quale il tempo. D’altro canto per Bisang le lingue d’Europa, ma non solo esse, sono “finite” in quanto permettono di rilevare la distinzione finito vs. non-finito nelle asimmetrie che, sul piano dell’espressione, distinguono p. es. le forme verbali di frasi principali e frasi subordinate, anche se non in maniera assoluta. Terminologia analoga è però usata anche negli studi di L2, ma in riferimento agli stadi iniziali di apprendimento che verranno discussi infra e, in particolare, all’organizzazione dell’enunciato, cfr. “infinite utterance organisation” e “finite utterance organisation”, che si ritrovano rispettivamente nella varietà basica e in quelle post-basiche, e che si oppongono alla “nominal utterance organisation” caratteristica delle varietà prebasiche (Klein e Perdue 1992: 302). 7 Gli esempi in italiano L2, questi come quelli che seguiranno, sono trascritti secondo le convenzioni adottate nel Progetto di Pavia e riportate in Appendice 1 nell’ordine in cui compaiono per la prima volta negli esempi. Alla fine di ogni esempio una sigla di due lettere individua l’apprendente dal cui corpus è tratto l’esempio; le cifre che seguono la sigla rimandano invece al numero della registrazione da cui l’esempio è tratto. Le caratteristiche degli apprendenti qui considerati sono riassunte nell’Appendice 2. 8 L’apprendente sembra appoggiarsi all’inglese sleep, base lessicale che sta sia per il nome che per il verbo. Nel frammento immediatamente precedente quello qui messo a fuoco dice infatti: ‘sleep is’ sonno? . 127 <?page no="128"?> Al contrario, il corredo morfologico della formazione autonoma bugiàno dell’esempio (1b), con il dettaglio del conguagliamento prosodico alla parossitonia delle altre due persone del plurale, permette di riconoscere la capacità di formare verbi da parte dell’apprendente. La plausibile base della derivazione è la parola italiana bugia, che però non è attestata nel corpus di MK; nella stessa registrazione è però attestato bugiardi nel senso di ‘spie’ 9 . Il significato che l’apprendente attribuisce a questa parola è coerente con il significato che la forma bugiàno sembra veicolare in quel contesto e quindi la formazione autonoma riproduce, almeno per quanto riguarda la semantica, il rapporto tra spiare e spia nella lingua di arrivo. Per quanto riguarda invece la forma, la fonte di bugiàre non è sicuramente l’input a cui l’apprendente è sottoposto 10 . Si noti però che la formazione autonomamente elaborata dall’apprendente risponde alle potenzialità del sistema ed è attestata nella storia dell’italiano. Il Dizionario della lingua italiana di De Mauro (2000) la riporta come voce letteraria nel significato di ‘ingannare’ e come voce obsoleta in quello di ‘mentire’ 11 . 6.2 Il quadro teorico Il quadro teorico di riferimento delle osservazioni qui condotte è quello funzionalista noto con l’etichetta di “Basic variety” o “Varietà basica”, proposto in Klein e Perdue (1997). Come illustrato nella tabella 1, in questo quadro teorico le varietà iniziali dell’apprendimento di L2 sono distinte in base all’assenza o alla presenza di categorie grammaticali di verbo e di nome e allo sviluppo della loro caratterizzazione morfologica. Nella varietà basica la selezione di una forma unica tra quelle còlte dall’input corrisponde all’emergere della categoria di predicato/ verbo, che comporta la presenza di elementi argomentali. Fra questi, quello che corrisponde al partecipante che detiene il maggior controllo sull’evento viene ad occupare la posizione iniziale in base al principio semantico detto “controller first”. L’instaurarsi di condizioni che favoriscono il ricorso a un 9 Si veda il frammento di poco precedente nella stessa registrazione: MK: allora se io vado al ufficio di Eritrea, allora da qui se io andato a: / a Asmara ci sono bugiardi no? eh: - \IT\ ho capi/ le spie, ci sono L’argomento del discorso sono gli agenti dei servizi segreti etiopici che negli anni ‘80 avevano il compito di osservare le attività politiche degli Eritrei all’estero. 10 Bugiàre è il lemma a cui è ragionevole ricondurre, pur con una certa cautela, la forma attestata nel corpus dell’apprendente. 11 La voce è attestata in Dante, Purgatorio XVIII, 109: e certo i’ non vi bugio. 128 La (ri)costituzione di categorie linguistiche nell’acquisizione di L2 <?page no="129"?> principio di organizzazione dell’enunciato di natura semantica permette all’apprendente di limitare il ricorso al principio di natura pragmatica detto “focus last”. Questo principio, l’unico alla base dell’organizzazione dell’enunciato nella precedente fase della varietà pre-basica, comporta la posizione finale dell’elemento informativamente più rilevante dell’enunciato. In seguito, nelle varietà post-basiche, con l’instaurarsi delle prime opposizioni morfologiche, si creano le condizioni per il ricorso a principi sintattici nell’organizzazione dell’enunciato. Di conseguenza, le potenzialità espressive delle varietà di apprendimento si consolidano, rendendo l’interpretazione degli enunciati sempre meno dipendente dal contesto conversazionale in cui sono prodotti. Caratteristiche Varietà di apprendimento pre-basica basica post-basica Categorie grammaticali nessuna predicato e argomenti nomi, verbi Morfologia nessuna forma base dei verbi verbi e nomi flessi Organizzazione dell’enunciato pragmatica semanticosintattica sintattica Dipendenza dal contesto estrema minore bassa Tab. 1: Tratti caratteristici di varietà di apprendimento iniziali Come si può desumere dalla tabella 1, la costituzione della categoria verbo interessa la fase di evoluzione dalla varietà basica a quelle post-basiche, nonché lo sviluppo delle varietà post-basiche in direzione delle lingue di arrivo. Nella varietà basica i verbi cominciano a differenziarsi dai nomi anzitutto tramite la costituzione di quadri argomentali. Se ne può vedere un esempio nei frammenti riportati in (2), che riguardano il predicato vuoi/ vuole. (2) [L’apprendente parla dell’arruolamento forzato di Eritrei nell’esercito etiope] a. \MK\ il governo di etiopia vuoi \KD\ (vuole) [correzione di un partecipante all’intervista] \MK\ vuole militari + militari (MK 01) ‘Il governo etiope impone la coscrizione obbligatoria’ b. il governo de tiopia - vuole io + militari (MK 01) 129 <?page no="130"?> 130 La (ri)costituzione di categorie linguistiche nell’acquisizione di L2 ‘Devo/ avrei dovuto fare il militare nell’esercito etiope’ Le due forme attestate nella registrazione da cui sono tratti i frammenti (2) sono in temporanea competizione tra loro come forma base. La scelta dell’una rispetto all’altra, come si vede, è condizionata dall’input 12 . Per quanto riguarda la semantica, vuoi/ vuole sembra usato dall’apprendente per riferirsi a un atto di volontà che implica una fonte dell’atto, uno scopo a cui questo mira, infine un destinatario che lo realizzi, anche se questo può essere sottaciuto, come mostra (2a) rispetto a (2b). Il corrispondente quadro argomentale è riportato in (3) in termini schematici. Esso si lascia classificare in termini semantici, ma non ancora sintattici. La disposizione degli argomenti nell’enunciato risponde infatti ai principi semantici e pragmatici accennati sopra: la fonte (cioè il governo di (e)tiopia), che per certi versi dà inizio o controlla la situazione, è in posizione iniziale; degli altri due argomenti, cioè scopo e destinatario, quello con più peso informativo nel contesto di quel discorso, cioè il fuoco qui rappresentato da militari, sta in posizione finale. (3) vuoi/ vuole PPED Fonte ARG1 : il governo di (e)tiopia Scopo ARG2 : militari (Destinatario ARG3 ): io È evidente che il quadro argomentale di vuoi/ vuole rappresentato in (3) non corrisponde a quello del verbo volere sul quale il lessema si lascia proiettare nella lingua di arrivo. Volere ha diverso numero e diverso tipo di argomenti: due e non tre, dei quali il secondo può essere nominale o frasale (Giovanni vuole un gelato; Giovanni vuole mangiare un gelato). Inoltre i due argomenti si possono interpretare in termini sintattici come soggetto e rispettivamente oggetto (nominale o frasale) 13 . Nel modello funzionalista della “Varietà basica” la dinamica dell’acquisizione è funzione dell’arricchimento lessicale e della necessità di rispondere a esigenze 12 I frammenti in (2) mostrano quindi uno dei potenziali processi di fissazione di una forma verbale tra quelle che l’apprendente coglie nell’input e che utilizza inizialmente per il solo valore lessicale che veicolano. Nel caso illustrato in (2), la correzione di un partecipante “autorevole” all’intervista (un mediatore culturale connazionale dell’apprendente), indirizza la scelta dell’apprendente sulla forma di terza singolare. 13 Lo studio della costituzione di quadri argomentali in L2 è - almeno per l’italiano - agli esordi. Se ne ha una rassegna preliminare in Jezek (2005). <?page no="131"?> 131 comunicative. Le regolarità di comportamento linguistico nelle diverse fasi del processo acquisizionale sono dunque indotte principalmente dalle funzioni a cui la seconda lingua risponde nel contesto sociale degli apprendenti. Ne può essere esempio la precoce comparsa di una parola per negare in tutte le varietà di apprendimento iniziali. La presenza di un tale elemento, solitamente corrispondente alla profrase della lingua di arrivo come no per l’italiano, risponde al fatto che la negazione è uno degli “universali pragmatici” che pertengono il livello delle funzioni comportamentali e cognitive che si ritrovano in ogni lingua (Ramat 1987: 48) e delle quali gli apprendenti non possono fare a meno. D’altro canto la disponibilità di un elemento come no permette agli apprendenti di regolare in parte le interazioni con i nativi pur in assenza di mezzi di espressione adeguati (cfr. Bernini 2000). Nel passaggio dalla varietà basica agli stadi postbasici, l’arricchimento lessicale, che avviene in funzione della ricchezza dell’input a cui sono esposti, dà modo agli apprendenti di confrontare e segmentare le parole della lingua di arrivo, riconoscendone alcune unità morfematiche. La funzione attribuita a queste dagli apprendenti non è necessariamente congruente con quella che esse assolvono nella lingua di arrivo e dipende dall’organizzazione degli elementi presenti nella varietà di apprendimento a un certo stadio di sviluppo. Nel processo di acquisizione gli elementi grammaticali vengono a poco a poco organizzati in maniera sempre più prossima alla lingua di arrivo fino a che, se l’acquisizione ha successo, la varietà di apprendimento avanzata non si distingue, o si distingue solo debolmente, dalle varietà della lingua di arrivo parlate dai nativi 14 . Si tratta di un processo di costruzione della grammatica e di specializzazione di elementi in funzione grammaticale che per certi versi ricorda i processi di grammaticalizzazione noti nel contesto del mutamento linguistico (cfr. Giacalone Ramat 1992). Tuttavia i processi qui in discussione sono caratterizzati dal riconoscimento degli elementi grammaticali forniti nel target dell’apprendimento, cioè la lingua di arrivo, e dall’approssimazione sempre più stretta a quel target nell’attribuzione e nell’organizzazione di funzioni. Come ha ben proposto Anna Giacalone Ramat (2000), si può meglio parlare per questi processi di “mise en grammaire” o “di messa in grammatica” sul modello fornito dalla lingua target. Con la messa in grammatica l’apprendente abbandona a mano a mano il ricorso al contesto di discorso o a mezzi lessicali di espressione, consolidando così le sue potenzialità espressive in lingua seconda. Il progressivo incremento di mezzi di espressione grammaticale e il progressivo abbandono di mezzi di 14 Le discrepanze tra varietà di nativi e varietà di apprendimento avanzate possono rivelarsi solo a certi livelli, come quello della prospettiva assunta nella costruzione del testo quando si devono collegare informazioni relative a diversi domini concettuali (p. es. tempo, spazio, evento). Cfr. Carroll e von Stutterheim (2003). <?page no="132"?> 132 La (ri)costituzione di categorie linguistiche nell’acquisizione di L2 espressione non grammaticali caratterizza soprattutto le varietà post-basiche, come è indicato nella figura 1. In questa figura la linea doppia sta per la presenza predominante di certi mezzi di espressione (discorsivi e lessicali nelle varietà pre-basica, basica e post-basica iniziale; grammaticali nelle varietà post-basiche più avanzate) e la linea semplice sta per una presenza meno diffusa dei mezzi di espressione qui in esame, come quelli discorsivi e grammaticali che nelle varietà post-basiche postiniziali controbilanciano l’uso di mezzi grammaticali. Infine, la linea tratteggiata indica da un lato la marginalità dei mezzi di espressione grammaticali nelle varietà post-basiche iniziali, dove questi cominciano ad apparire, e dall’altro la marginalità dei mezzi discorsivi e lessicali nelle varietà post-basiche più avanzate, dove predominante è l’uso di mezzi grammaticali. Mezzi di espressione Varietà pre-basica Varietà basica Varietà post-basiche Discorsivi e lessicali Grammaticali Fig. 1: Mezzi di espressione e varietà iniziali Per quanto concerne il verbo, il graduale passaggio dal ricorso al contesto del discorso e/ o a mezzi di espressione lessicale, all’utilizzo di mezzi grammaticali può essere illustrato dai cinque esempi riportati in (4). Questi esempi riguardano c’è, il primo elemento predicativo che compare nelle varietà di apprendimento, utilizzato come parola a sé per lungo tempo dagli apprendenti, che difficilmente ne ricostruiscono la formazione di verbo pronominale costituito dal clitico ci e da essere. (4) a. \IT\ in - all’Asmara non c’era la neve \HG\ sì non [ˈtʃɛ] (HG 03) b. [Al termine della narrazione dell’espatrio clandestino intesa al passato] (la) - l’uomo - adesso [ˈtʃɛ] Amërëca (MK 01) ‘Quell’uomo [che mi ha accompagnato] è in America’ c. loro hanno telefonati io non ero [ˈtʃɛ] e Katia […] ‘non c’ero’ (Chris 05) d. ha chiesto a: - a quei che [ˈtʃɛ] erano/ che [ˈtʃɛ] eravamo davanti a lei (AB 10) <?page no="133"?> 133 ‘ha chiesto a quelli che [c’]erano davanti a lei’ e. non c’erano pronti documenti (MH 02) Nel primo esempio (4a) l’interpretazione in riferimento al passato di c’è usato dall’apprendente è affidata al contesto costruito dall’intervistatore in quel frammento di conversazione, da cui l’apprendente, che dispone di una varietà pre-basica dell’italiano L2, mostra di avere dipendenza estrema 15 . Nell’esempio (4b) l’apprendente ricorre a un mezzo lessicale, e precisamente all’avverbio adesso, per differenziare il riferimento presente di quell’enunciato rispetto agli enunciati precedenti, che descrivevano gli avvenimenti del suo espatrio clandestino. Questi, pur non contenendo espliciti mezzi di riferimento al passato (p. es. avverbi), erano intesi al passato da ambedue gli interlocutori, che facevano appello alle conoscenze condivise circa la condizione di immigrato recente dell’apprendente stesso. Nel terzo esempio (4c) l’uso di ero come una sorta di ausiliare per il riferimento passato fa da cerniera tra l’uso di mezzi lessicali e grammaticali. Nell’esempio successivo (4d) l’espressione del passato di c’è mostra un grado maggiore di messa in grammatica rispetto a (4c), almeno per quanto riguarda l’ordine di morfema lessicale (c’è) e marca grammaticale (erano, eravamo). Infine (4e) è perfettamente congruente con la grammatica della lingua di arrivo. L’abbandono di mezzi di espressione lessicale in favore di almeno alcuni mezzi di espressione grammaticale sembra caratterizzare abbastanza precocemente l’acquisizione dell’italiano a differenza di quella di altre lingue europee come il francese e il nederlandese. Dei dieci apprendenti considerati nello studio di Marianne Starren (2001), dal cui titolo è tratto spunto per il titolo di questo contributo, solo uno riesce, almeno in parte, a padroneggiare la flessione verbale (p.-260). 15 Si veda ancora la tabella 1. La varietà di apprendimento di HG è descritta in Bernini (1995b). L’estrema dipendenza dal contesto costruito dall’interlocutore è mostrata anche dal fatto che nella risposta di accordo sulla presenza di neve all’Asmara non ci sono indizi di un possibile riferimento al passato da parte dell’apprendente, che potrebbe inferirlo in quanto ha soggiornato nella capitale dell’Eritrea in un periodo precedente quello dell’intervista. A questo proposito si vedano, infra, le considerazioni avanzate circa l’esempio (10). <?page no="134"?> 134 La (ri)costituzione di categorie linguistiche nell’acquisizione di L2 6.3 Lo sviluppo della categoria verbo in Italiano lingua seconda Nel processo di ricostituzione del verbo in lingua seconda gli apprendenti possono in parte fare affidamento alle conoscenze che loro derivano dall’apprendimento della prima lingua. Tra queste possiamo annoverare la conoscenza della struttura interna di una categoria quale quella del verbo qui considerata, che consiste di tratti, che a loro volta consistono di un insieme di valori in opposizione, come indicato in (5). (5) CATEGORIA ← tratti ← valori (cfr. Ramat 1999: 160) Come messo in rilievo da Paolo Ramat (1999: 160), le relazioni che intercorrono tra categorie e tratti da una parte e tra tratti e valori dall’altra non sono le stesse. I valori sono in relazione di appartenenza rispetto ai tratti: p. es. il passato è un tempo; il neutro è un genere. La relazione che lega categorie e tratti è invece di possesso: p. es. il verbo ha dei modi. Questa relazione può essere estesa ai valori che realizzano un certo tratto, come p. es. quando si afferma che il verbo italiano ha il passato, il presente e il futuro. Ciò può però avvenire solo in rapporto a una configurazione di tratti e valori specifica di un sistema linguistico. Inoltre, come indicato dalle frecce rivolte a sinistra in (5), la procedura d’analisi del contenuto categoriale di una parola prende le mosse dai valori realizzati in essa per risalire ai tratti. Non è infatti possibile predire quali tratti - e conseguentemente quali valori - abbia una certa categoria in un sistema linguistico. A questa stessa difficoltà si trovano di fronte gli apprendenti di una L2: le conoscenze a cui essi possono far ricorso grazie alla competenza nella loro prima lingua permettono tutt’al più di fare ipotesi sulla presenza di tratti e valori per le diverse categorie, ipotesi che possono rispondere alla realtà della seconda lingua in dipendenza dal grado di distanza tipologica che la separa dalla loro prima lingua. Per l’italiano L2 si pensi da una parte al caso di apprendenti con L1 spagnolo, le cui categorie mostrano cospicue omologie con l’italiano 16 . Dall’altra parte si pensi a apprendenti con L1 cinese mandarino o cinese wú, la cui categoria verbale non mostra nessuno dei tratti di quella italiana e che devono di fatto costituire di nuovo il contenuto categoriale del verbo nelle sue articolazioni, come mostrano diversi lavori condotti nell’ambito del Progetto di Pavia e da ultimo Banfi e Giacalone Ramat (2003). 16 Si veda a questo riguardo il lavoro di Schmid (1994). <?page no="135"?> 135 Seguendo la trattazione che del verbo e della sua morfologia ha fatto Monica Berretta (1993: 197-201), la configurazione di questa categoria in italiano comprende sette tratti, schematizzati nella figura 2 insieme ai loro valori: diatesi, modo, tempo, aspetto, persona, numero e, marginalmente, genere 17 . CATEGORIA Tratti Valori VERBO → diatesi {±attivo} modo {indicativo, congiuntivo,…} tempo {passato, presente, futuro} aspetto {±perfettivo} persona {1, 2, 3} numero {±singolare} genere {±maschile} Fig. 2: Il verbo in italiano: tratti e valori La figura 2 non rende conto della complessa architettura interna che lega tratti e valori. Si pensi al fatto che in tutti i modi ad esclusione dell’imperativo è realizzato il tempo, ma ai due valori di presente e passato si aggiunge quello di futuro solo nel modo indicativo. D’altro canto l’opposizione dei due valori dell’aspetto è invece realizzata solo in dipendenza del tempo passato 18 . La ricostituzione del contenuto categoriale nel processo di messa in grammatica da parte degli apprendenti procede attivando singoli valori per singoli tratti, come si ricava dalle sequenze di apprendimento verificate longitudinalmente su più apprendenti e ora illustrate nei loro risvolti applicativi e teorici in Banfi e Bernini (2003). Tra i tratti, centrali sono quelli di aspetto e tempo, che nel processo di apprendimento si susseguono per primi e in quest’ordine e che sono evidenziati nella figura 2. Tardi e poco diffusi tra gli apprendenti e tra i tipi lessicali e quindi marginali nel processo di apprendimento sono, da una parte, il modo e dall’altra la persona e il numero. Del tutto periferici rimangono invece la diatesi e il genere. Nel corso degli anni i lavori compiuti nell’ambito del Progetto di Pavia e la loro verifica su più apprendenti hanno portato a concludere che il processo di costruzione dell’architettura categoriale del verbo comporta cinque fasi prin- 17 La figura 2 è costruita seguendo Ramat (1999: 160). 18 Il verbo italiano è compiutamente descritto da Bertinetto (1991). <?page no="136"?> 136 La (ri)costituzione di categorie linguistiche nell’acquisizione di L2 cipali. Queste sono discusse nei dettagli in Banfi e Bernini (2003: 93) e sono riprodotte schematicamente nella tabella 2. Tratti Valori Fasi 1 2 3 4 5 Aspetto perfettivo Pres./ Inf. Part.pass. (Aus+)PP. Aus+PP. Aus+PP. imperfettivo Pres./ Inf. Presente Imperfetto Imperfetto Imperfetto Tempo passato Pres./ Inf. Presente Imperfetto Imperfetto Imperfetto presente Pres./ Inf. Presente Presente Presente Presente futuro Pres./ Inf. Presente Presente Futuro Futuro Modo -fattuale Pres./ Inf. Presente Presente Presente (Futuro) Tab. 2: Il valore delle forme verbali nelle varietà di apprendimento Nelle prime due colonne a sinistra della tabella 2 sono riportati i tratti e i valori che si realizzano nelle diverse fasi del processo di apprendimento per gli apprendenti considerati nel Progetto di Pavia. Per ciascuna fase sono riportate, nelle cinque colonne corrispondenti, le forme verbali che nel susseguirsi di varietà di apprendimento sempre più complesse veicolano le funzioni delle colonne di sinistra 19 . La fase 1 corrisponde alla varietà basica. Il verbo ha un’unica forma, la forma base, che di solito appare come la terza singolare del presente indicativo o come l’infinito della lingua di arrivo, ma che per gli apprendenti ha solo valore lessicale e non è flessa: l’apprendente, in altri termini, non è ancora in grado di riconoscerne la costituzione morfologica 20 . Questa forma non veicola nessuno dei tratti di tempo, aspetto e modo qui considerati, per l’espressione dei quali possono intervenire mezzi discorsivi e lessicali 21 . Nelle fasi successive forme diverse si oppongono via via alla forma base, erodendone lo spazio funzionale, cosicché dalla quarta fase la forma base del presente indicativo realizza il solo valore presente del tratto tempo come nella lingua di arrivo. 19 I termini usati per designare le forme verbali degli apprendenti sono quelle delle forme della lingua di arrivo da esse rispecchiate. Con ciò non si deve però intendere che la loro funzione sia congruente con quella delle corrispondenti forme dell’italiano di nativi, come si può arguire dalla tabella 2 e come viene commentato in questo stesso paragrafo. 20 Non ci soffermiamo qui a considerare il ruolo che anche l’infinito può avere come forma passe-partout accanto al più diffuso presente indicativo presso gli apprendenti. Se ne veda la discussione in Banfi e Bernini (2003: 108-111). 21 Se ne sono già visti esempi supra, cfr. (1), (2), (4). <?page no="137"?> 137 Nella seconda fase la forma corrispondente al participio passato della lingua di arrivo segnala la prima distinzione categoriale con l’attivazione del valore perfettivo e, corrispondentemente, del tratto aspetto. Ne è esempio emblematico il frammento riportato in (6) e più volte commentato negli studi sull’acquisizione dell’italiano. (6) [Descrizione di vignette al presente] (CH 04) lava quest(ë) eh lava eh pentola eh +13+ la/ eh + lavato eh pentola eh +++ eh + guarda come eh +++ eh specchio^ + ‘(la moglie) lava la pentola e dopo averla lavata vi si guarda come in uno specchio’ La terza fase vede l’instaurarsi dell’opposizione tra passato e non passato da una parte e tra aspetto perfettivo e imperfettivo dall’altra. Con l’imperfetto, che emerge anzitutto con il verbo essere, si configura anche la fusione dei valori di due diversi tratti, cioè aspetto e tempo, nella stessa forma, come illustrato in (7). In questo esempio era si trova nell’ultimo enunciato, che fa da sfondo alla narrazione di alcune vicende belliche. (7) [Racconto di vicende belliche in Eritrea] (MK 05) \II\ ah, raccontami \MK\ le nostre: - madre, le nostre padre - eh - amassa be/ per: cortile cortile o così per donne così eh [fa gesto per ferire al seno] […] per uomini così [fa gesto per ferire al collo] - è troppo^ io era bambino (questa) La quarta e la quinta fase vedono il verbo arricchirsi di un ulterione valore per il tempo, cioè il futuro deittico, la cui espressione, cioè il tempo verbale futuro, viene presto riutilizzato da alcuni apprendenti per veicolare il valore non-fattuale della modalità, come nell’esempio (8). <?page no="138"?> 138 La (ri)costituzione di categorie linguistiche nell’acquisizione di L2 (8) \IT\ eprova a immaginare una giornata in questa casa, in campagna \MG\ sarà una gior/ giornata tranquilla, senz’altro (MG 01) Collateralmente, è opportuno ricordare, pur senza addentrarsi in dettagli, che tra le fasi 3 e 4 comincia a differenziarsi anche il settore dell’aspetto imperfettivo con l’espressione della progressività tramite la perifrasi stare + gerundio 22 . Inoltre, sempre tra le fasi 3 e 4, l’incremento dei mezzi grammaticali di espressione dei tratti tempo e aspetto li rende permeabili a interferenze dalla prima lingua, come si evidenzia anzitutto negli usi dell’imperfetto da parte di apprendenti con lingua prima germanica 23 . 6.4 Discussione della sequenza di sviluppo del verbo La sequenza di sviluppo del verbo delineata nel paragrafo 6.3 si presta alla discussione di ipotesi esplicative della messa in grammatica per quanto riguarda i tratti di difficile acquisizione da una parte e i tratti di più precoce comparsa dall’altra. Inoltre, la sequenza di sviluppo permette di formulare ipotesi esplicative circa la relativa indipendenza dalla lingua di arrivo che mostra la configurazione della categoria verbo nelle varietà post-basiche non avanzate. Tra i tratti di difficile o nulla acquisizione vi è anzitutto la diatesi. Per la sua marginalità si può invocare da una parte la complessa morfologia, che presuppone lo sviluppo della morfologia che veicola le altre componenti del verbo. Dall’altra parte, però, le funzioni testuali a cui è demandata anche la diatesi passiva sono svolte nel discorso degli apprendenti da altri mezzi pragmatico-sintattici, in primis ordini diversi dei costituenti, per i quali si rimanda ai lavori svolti da Marina Chini nell’ambito del Progetto di Pavia 24 . 22 L’espressione della progressività non è obbligatoria in italiano. Sullo sviluppo di questo valore presso gli apprendenti e in generale sull’uso che gli apprendenti fanno del gerundio, si veda ora Giacalone Ramat (2003). 23 Anche per questo aspetto non entriamo qui in dettagli. Come messo in rilievo da Monica Berretta (1990a: 153-154) i germanofoni avrebbero maggiori difficoltà nel riconoscere il tratto [+durativo] dell’imperfetto: d’altro canto gli anglofoni tendono a sovrapporre questo tratto a quello [+progressivo] pertinente nella loro L1, sostituendo l’imperfetto al corretto passato prossimo in contesti di durata limitata. 24 Cfr. soprattutto Chini (2002) e Chini et al. (2003). Le complesse funzioni testuali del passivo in italiano (e contrastivamente in spagnolo) sono state indagate nel recente lavoro di Sansò (2003). <?page no="139"?> 139 La disponibilità di mezzi alternativi alla codificazione grammaticale delle funzioni del verbo come quelli pragmatico-sintattici ora menzionati, sembra in realtà la chiave di volta dell’avanzamento del processo di acquisizione. In altri termini la messa in grammatica sembra essere indotta dall’insufficienza funzionale di mezzi discorsivi e lessicali in certi ambiti. Il ritardo con cui si stabiliscono i tratti di persona, numero e genere rispetto a quelli di aspetto, tempo e modo può essere imputato al fatto che i primi sono tratti di morfologia contestuale nei termini di Booij (1993). Questi tratti segnalano l’accordo tra verbo e soggetto e, in certe condizioni, tra verbo e oggetto diretto. Nell’accordo verbo-soggetto la morfologia della forma finita del verbo codifica i tratti di persona e numero. Il tratto genere, insieme a quello di numero, è segnalato nel participio passato delle forme composte con l’ausiliare essere: cfr. Giovanni è andato al cinema; io e Maria siamo andate a ballare (dove io fa riferimento a una parlante donna). L’accordo verbo-oggetto diretto è di nuovo segnalato nel participio passato delle forme composte con l’ausiliare avere quando l’oggetto diretto sia rappresentato da un clitico preverbale: cfr. Maria! Patrizia! Vi ho chiamate al telefono ieri, ma… vs. Vi ho telefonato ieri, ma… con vi oggetto indiretto. I tratti di persona, genere e numero segnalano rapporti che si stabiliscono tra il verbo e altri costituenti della frase sul piano sintagmatico. Questi tratti possono essere recuperati nel contesto tramite la solidarietà semantica che lega un predicato e i suoi argomenti, la condivisione di almeno parte dell’universo di discorso da parte degli interlocutori, nonché la comune conoscenza enciclopedica. Per il genere, Chini e Ferraris (2003: 60-61) mostrano che l’accordo del participio passato dipende dalle regolarità di sviluppo della morfologia del sintagma nominale. Per quanto riguarda invece il nesso persona e numero, dall’indagine svolta da Rosa Mammoli (2004) su apprendenti guidati al di fuori del Progetto di Pavia emerge che nella costituzione dei paradigmi verbali hanno maggior peso, nell’ordine, marcatezza e frequenza nell’input, ma che la condivisione di tratti formali e semantici (p. es. terza persona plurale in -anno, come in danno, fanno, stanno, vanno) rappresenta un ulteriore fattore di differenziazione 25 . La competizione tra mezzi discorsivi e lessicali e mezzi grammaticali che è stata riprodotta schematicamente nella figura 1, è anche misura del gradiente di sviluppo dei tratti di modo, tempo e aspetto. Come si vede nella tabella 2, questi tre tratti si succedono in quest’ordine nella sequenza di sviluppo: il primo a trovare espressione autonoma nella varietà di apprendimento è quello di 25 Quest’ultima osservazione sembra aprire, pur con la dovuta cautela, una prospettiva di interpretazione dello sviluppo morfologico in termini di “archetipi”, come proposto da Romano Lazzeroni (1991) per i processi di cambiamento tramite diffusione lessicale. <?page no="140"?> 140 La (ri)costituzione di categorie linguistiche nell’acquisizione di L2 aspetto nel valore perfettivo, l’ultimo quello di modo nel valore non-fattuale. Vediamo ora di considerare questi tre tratti a cominciare dall’ultimo, il modo, che dà espressione al dominio della modalità. Per quanto riguarda la modalità epistemica, e in particolare la non-fattualità, pochi apprendenti arrivano a padroneggiare i mezzi grammaticali della lingua di arrivo: il congiuntivo (cfr. Non credo che Giovanni arrivi in orario), il condizionale (cfr. A giugno farei volentieri una vacanza). Come ha messo in rilievo Giacalone Ramat (1995), per la codificazione della modalità epistemica gli apprendenti ricorrono massicciamente a elementi lessicali quali verbi di opinione (penso) e avverbi (p. es. forse). Questi elementi sono esemplificati in (9). (9) \IT\ senti, che cosa farai l’ultimo giorno dell’anno? \TU\ io pensare così + prima lavorare + quando finisce lavoro + sera no? + già tadi + forsa io va + a + ristorante […] (TU 03) Esempi come quello qui riportato in (9) si lasciano facilmente proiettare anche nell’uso dei nativi, naturalmente fatta salva la sintassi e la morfologia della lingua di arrivo, nonché l’uso modale di certi tempi, come il futuro in questo caso: penso che prima lavorerò; poi, dopo il lavoro, la sera tardi, forse andrò al ristorante. È quindi possibile che l’input possa rinforzare usi di questo tipo 26 . Nel dominio della modalità deontica, è principalmente l’input, inteso qui in senso lato, che sembra essere responsabile per il ritardo con cui viene differenziato il modo imperativo in italiano L2, ma non solo. Secondo Monica Berretta (1995b: 334) il ritardo è correlato con la marcatezza che gli atti direttivi sembrano avere nelle interazioni fra adulti. Passando ora all’esame del riferimento temporale, l’input ha probabilmente un certo ruolo anche nello scarto che si rileva tra la fase 3 della tabella 2, nella quale viene introdotta l’espressione del passato, e la fase 4 dello stesso schema, nella quale appare il futuro, studiato approfonditamente da Monica Berretta (1990a). È infatti nota, sia per l’italiano che per altre lingue, la propensione a usare il presente per il futuro nello stile colloquiale quando il riferimento temporale sia assicurato da opportuni verbi, come in vengo domani e simili (cfr. Bertinetto 1991: 69). 26 Per quanto riguarda il congiuntivo in particolare, si ricordi che con i verba putandi la sua funzione è soprattutto quella di marcare la dipendenza sintattica della subordinata; l’espressione della non-fattualità può essere considerata in questi casi ridondante, essendo già segnalata dal verbo della principale. <?page no="141"?> 141 Tuttavia l’accorta organizzazione del discorso permette anche di fare a meno di mezzi di espressione grammaticale per l’intero ambito del riferimento temporale, come mostra il frammento di conversazione di un’apprendente cinese riportato in (10). (10) io cina fa tècnica di labolatolio […] qua fa cameriere ‘In Cina facevo il tecnico di laboratorio […]; qua faccio la cameriera’ (TU 01) Questi due enunciati non contengono riferimenti temporali espliciti: né in forma di avverbiali di tempo come era il caso di adesso nell’esempio (4b); né nella morfologia del verbo, che compare nella forma base della terza singolare del presente indicativo, una forma passe-partout che ne veicola il solo significato lessicale (cfr. tabella 2). Ciononostante le due situazioni menzionate nell’esempio, “fare il tecnico di laboratorio”, e “fare la cameriera”, si lasciano interpretare come riferita al passato la prima e riferita al presente la seconda grazie alle inferenze che la loro ambientazione spaziale permette di fare all’intervistatore, anche sulla base delle conoscenze che questi condivide con l’apprendente circa la storia di emigrazione di quest’ultima dalla Cina all’Italia 27 . Rimane ora da considerare il rapporto tra l’emergere in L2 dell’espressione grammaticale dell’aspetto e del tempo, i due tratti messi in rilievo nella figura 2 e che risultano centrali nella costruzione della categoria verbo da parte degli apprendenti. Nei processi di acquisizione dell’italiano degli apprendenti di diversa L1 considerati nel Progetto di Pavia sembra che l’aspetto preceda il tempo 28 . Una serie di studi, a partire da Andersen (1991) sul contatto tra inglese e spagnolo, per arrivare fino al più recente contributo di Bardovi-Harlig (1999), 27 È opportuno precisare a questo proposito che in questo contributo i mezzi discorsivi sono intesi in senso lato. Da una parte essi comprendono i casi in cui la costruzione del discorso permette di affidare al piano puramente pragmatico l’espressione e l’interpretazione di certe funzioni, come nell’esempio qui in discussione. Dall’altra parte essi comprendono anche i casi in cui è la costruzione del testo a permettere l’espressione e l’interpretazione di certe funzioni: sempre per il riferimento temporale, si veda a questo proposito l’esempio (11), dove le vicende belliche narrate dall’apprendente sono inquadrate nel tempo passato anche grazie all’imperfetto dell’enunciato di sfondo che conclude il loro racconto. 28 La precedenza dell’un tratto sull’altro nell’acquisizione di L2 è un problema da lungo tempo dibattuto. Negli studi condotti sull’acquisizione della temporalità in diverse lingue europee e raccolti in Dietrich et al. (1995), è il tempo ad essere preminente, a meno che già nella L1 sia l’aspetto il tratto dominante nell’organizzazione nozionale del sistema verbale, come p. es. in arabo marocchino. <?page no="142"?> 142 La (ri)costituzione di categorie linguistiche nell’acquisizione di L2 ha messo in luce il ruolo guida che la semantica del lessema verbale, ovvero la sua azione o Aktionsart, sembra avere nello sviluppo dei mezzi di espressione per l’aspetto e in secondo luogo per il tempo nei processi di acquisizione anche di L2. Secondo questi studi, le prime differenziazioni aspettuali si ritrovano con quei predicati la cui azione è semanticamente congruente con l’aspetto in base al tratto [± durativo]. La congruenza favorisce l’emergere del perfettivo a cominciare da predicati puntuali, quali esplodere o prendere un voto: l’emergere dell’imperfettivo viene invece favorito con predicati stativi e non-puntuali, quali sapere e lavorare rispettivamente 29 . Cruciali sono, in questa prospettiva, i predicati telici risultativi, del tipo imparare o lavare la pentola 30 . Per questi, come ricordano Bertinetto e Delfitto (2000: 191), vale il cosiddetto “paradosso imperfettivo”, per il quale il loro carattere azionale è effettivamente realizzato solo in contesti perfettivi ma sospeso in tutti gli altri. Ciò può essere messo in relazione, in italiano L2, con il precoce apparire della marca -to per segnalare il raggiunto fine con un predicato telico, come nel caso di lavato pentola dell’esempio (6). Nel racconto da cui è tratto quell’esempio, l’apprendente si trova nella necessità di segnalare il compimento dell’azione telica, che è condizione necessaria per asserire che la protagonista si specchia nella pentola pulita, dopo aver introdotto la situazione con la forma base lava pentola, dove il predicato è “detelicizzato”. L’avvio della messa in grammatica comporta dunque una sorta di marcatura differenziale, indotta dalla necessità di determinare la Aktionsart di predicati telici risultativi in dipendenza dall’organizzazione del discorso. La messa in grammatica in direzione della lingua di arrivo procede poi lungo due direttrici che tendono a convergere nello sciogliere la marcatura differenziale dai condizionamenti semantici e contestuali in cui nasce. Da una parte la marcatura originariamente differenziale entra a far parte delle opposizioni di valori su cui si fonda l’architettura categoriale della lingua di arrivo. Come si può desumere dalla tabella 2, nella fase tre della sequenza di apprendimento la marca del perfettivo comincia ad opporsi a quella di imperfettivo, che dal canto suo finisce per veicolare anche il passato: si costituisce così, almeno in nuce, il fondamento dei tratti di tempo e aspetto del verbo italiano rappresentati nella figura 2. 29 Al carattere azionale dei verbi italiani è dedicata la prima parte di Bertinetto (1986), alla cui analisi si fa qui riferimento. Per una prospettiva diversa si veda Comrie (1976: 41-51). 30 Come è noto, la telicità è ortogonale rispetto alla duratività. I predicati telici possono essere non-durativi, come i trasformativi arrivare, trovare, ma anche durativi, come i risultativi qui in discussione. <?page no="143"?> 143 Dall’altra parte le marche di aspetto tendono ad espandersi nel lessico verbale secondo quello che Giacalone Ramat (2002) ha chiamato “principio di associazione selettiva”, applicandosi a predicati che mostrano via via tratti meno solidali di quelli di perfettivo e telico e imperfettivo e non-puntuale, che potremmo a ragione considerare prototipici. La diffusione graduale nel lessico può essere illustrata nell’esempio (11), tratto dal corpus di una apprendente non iniziale. In questo esempio, che appartiene a un racconto di vicende belliche vissute dall’apprendente quando era in Eritrea, prima del suo trasferimento in Italia, il passato è espresso con l’imperfetto sul predicato stativo esserci, ma non su quello puntuale comprare la farina. (11) però prima - mh: ++ in -/ nelle: dicianove ottanta/ ottantuno ottanta c’era melca/ mercato nero compriamo il f/ il: - farino/ - la farina + di notte ‘…c’era…compravamo…’ (AB 02) Pur riconoscendo il ruolo che la semantica dell’azione verbale ha per l’apprendente nel guidarlo a riconoscere la morfologia aspettuale e temporale della L2, Marianne Starren (2001), sulla base di dati di nederlandese e francese L2, vi assegna un peso specifico minore rispetto al fattore rappresentato dalla disponibilità di mezzi alternativi a quelli grammaticali per esprimere le stesse nozioni. Anche la ricostruzione dei valori di tempo e aspetto della lingua di arrivo, nonché la precedenza dell’aspetto sul tempo, verrebbe così ricondotta al principio generale della competizione tra mezzi lessicali o discorsivi e mezzi grammaticali, raffigurata nella figura 1, e già argomentata in questo paragrafo per l’italiano L2 a proposito del modo e, per il tempo, a proposito del ritardo nell’apprendimento del futuro rispetto al passato. Per la Starren (2001: 264-265), che fa riferimento al modello della temporalità proposto da Wolfgang Klein (1994), la precedenza dell’aspetto sul tempo nel processo di messa in grammatica è conseguenza della mancanza di espressioni avverbiali per esprimerlo: l’assenza di mezzi lessicali per esprimere nozioni che possono essere cruciali per i suoi intenti comunicativi, come nel caso della telicità di predicati come lavare la pentola, costringe l’apprendente a ricercare mezzi grammaticali. Nel modello di Wolfgang Klein (1994), i valori dell’aspetto derivano dalla combinazione tra l’arco di tempo in cui si dispiega una situazione (p. es. lavare la pentola) e l’arco di tempo per il quale vale un’asserzione, detto topic time. Il topic time può essere incluso in quello della situazione, come nel caso dell’enunciato 1 schematizzato nella figura 3. Con la forma base lava, non marcata per l’aspetto, nella varietà di apprendimento da cui l’esempio è tratto non si precisa né il mo- <?page no="144"?> 144 La (ri)costituzione di categorie linguistiche nell’acquisizione di L2 mento di inizio né la continuazione di una situazione; nell’italiano di nativi vi corrisponde l’aspetto imperfettivo codificato dall’imperfetto (lavava la pentola). D’altro canto il topic time, cioè l’arco di tempo per il quale vale un’asserzione, può però anche comprendere l’ultima fase di una situazione e lo stato derivante dal suo completamento, come nel caso dell’enunciato 2 schematizzato nella figura 3: è questa la funzione dell’aspetto perfettivo secondo Klein (1994), che si discosta così dalla tradizionale definizione di perfettività come rappresentazione della situazione come un tutt’uno (cfr. p. es. Comrie 1976: 16). Enunciato 1 Enunciato 2 lava pentola lavato pentola Situazione → ‘lavare (la pentola)’ → → ‘essere pulita (la pentola)’ → Asserzione topic time topic time Fig. 3: Topic time e tempo della situazione L’aspetto, cioè la relazione tra tempo in cui si dispiega la situazione e tempo di validità dell’asserzione o topic time, non si lascia altrettanto facilmente segnalare tramite mezzi lessicali e in particolare tramite avverbiali. Il riferimento temporale, invece, nasce dalla relazione tra topic time e tempo dell’enunciazione, che è sempre dato e noto agli interlocutori e può quindi essere utilizzato come punto di riferimento per l’interpretazione temporale. Come si è già visto nell’esempio (10), anche avverbiali non temporali permettono di situare deitticamente il tempo di validità dell’asserzione tramite inferenze che hanno come punto fisso di riferimento il tempo dell’enunciazione. 6.5 I mezzi di espressione grammaticale Il superamento della difficoltà di espressione in quei settori dove né l’organizzazione del discorso né il lessico forniscono mezzi adeguati, sembra dunque essere il principio funzionale di maggiore peso specifico per rendere conto del processo di messa in grammatica in L2 che per il verbo, come si è visto, ha il suo punto di partenza nell’espressione dell’aspetto e, più precisamente, nella determinazione dell’azione di un predicato telico risultativo tramite il perfettivo. Lungo il percorso così delineato dal punto di vista funzionale, l’apprendimento di lingue diverse si differenzia per i mezzi di espressione a cui gli apprendenti ricorrono. Oltre che dai tratti e dai valori codificati nel verbo, essi dipendono da una parte dal tipo di organizzazione morfosintattica della lingua di arrivo e, <?page no="145"?> 145 dall’altra parte, dalla facilità con cui le parole della lingua di arrivo si lasciano segmentare, che a sua volta è funzione della costituzione sillabica e prosodica delle parole stesse in quella lingua. La Starren (2001: 260) fa notare come gli apprendenti di francese L2 impieghino più tempo nel districarsi nell’opacità dei complessi verbali di quella lingua che non gli apprendenti di nederlandese L2. Agli apprendenti considerati dalla Starren possiamo giustapporre gli apprendenti di italiano L2, che sembrano individuare molto precocemente il morfema -to nelle forme di participio passato. Questo morfema, segmentato a partire dai verbi di maggior frequenza della prima coniugazione della lingua di arrivo, permette loro la costituzione di un’opposizione morfologica privativa con la forma base, come in lava-lavato, e di conseguenza l’istituzione di una relazione di marcatezza (cfr. Banfi e Bernini 2003: 94) 31 . Secondo la Starren (2001: 259-261), lo sviluppo di mezzi di espressione per i valori di aspetto e tempo nell’apprendimento di nederlandese e francese L2 comporta i tre stadi riportati in (12). (12) basic (lexical) stage > free morpheme stage > packaging stage Il primo stadio corrisponde alla varietà basica e non si differenzia da quanto abbiamo visto per l’italiano per l’utilizzo di una forma base indifferenziata del verbo e il ricorso a mezzi lessicali o discorsivi per esprimere, se del caso, certi tratti che nella lingua di arrivo sono codificati nella categoria verbo. A questo primo stadio fa seguito uno stadio in cui gli apprendenti considerati dalla Starren utilizzano autonomamente forme libere, derivate da forme verbali della lingua di arrivo, che per gli apprendenti sembrano avere lo statuto di ausiliari per l’espressione dell’aspetto e del tempo. Nell’esempio (13), tratto dal corpus di nederlandese L2 della Starren, dove compare lo stesso lessema verbale in forma invariata (cioè spelen ‘giocare’), il riferimento temporale è veicolato dall’avverbiale per ‘sabato (scorso)’, l’aspetto dal morfema libero che corrisponde al verbo ‘avere’ nella lingua di arrivo (Starren 2001: 216). (13) zaterdag ik spelen sabato io giocare ik heb drie keer spelen io avere tre volte giocare 31 In effetti la asimmetria della coppia “forma base” - “forma base+to” rispecchia la asimmetria che abbiamo messo in luce sul piano semantico e che consiste anzitutto nella differenziazione della perfettività con i predicati telici (cfr. paragrafo 6.4). <?page no="146"?> 146 La (ri)costituzione di categorie linguistiche nell’acquisizione di L2 dan ik de knie pijn poi io il ginocchio dolore (apprendente con L1 turco; Starren 2001: 216) Solo nel terzo stadio la codificazione di nozioni aspettuali e temporali comincia ad essere “confezionata” (in inglese: packaged) in una forma sintetica. L’utilizzo di forme libere e i primi accenni all’uso di forme sintetiche sono ben illustrati dall’esempio (14), sempre di nederlandese L2, prodotto da un apprendente con L1 arabo marocchino (Starren 2001: 261) 32 . (14) a. ik was in nederland kom I was in netherlands come b. dan die was een jongen bij ons then that was a boy with us op vakantie kwamen on vacation came c. was in marokko gewoond bij ons was in morocco lived with us ‘When I came to the Netherlands, a boy came to us on vacation who had lived with us in Morocco’. In tutte e tre le frasi del frammento riportato in (14) il riferimento al passato è marcato dalla forma was, che nella lingua di arrivo corrisponde al singolare del passato dell’ausiliare zijn ‘essere’. Questa si accompagna sia alla forma verbale non flessa kom, come in (14a), che riproduce emblematicamente lo stadio con sole forme libere, sia a forme flesse: kwamen in (14b), cioè la forma plurale del passato di komen ‘venire’; gewoond in (14c), cioè il participio passato di wonen ‘abitare’. Queste costruzioni codificano, apparentemente, il passato e il perfettivo rispettivamente. Come si può desumere dall’analisi svolta nei paragrafi precedenti, nell’apprendimento dell’italiano L2 non sembra darsi uno stadio caratterizzato dall’utilizzo di forme libere che faccia da ponte tra la varietà basica e uno stadio caratterizzato dall’utilizzo di forme sintetiche per l’espressione delle prime nozioni aspettuali e temporali. La prima marcatura differenziale del perfettivo è infatti 32 Per evitare di indurre interpretazioni non legittime, di questo esempio, la cui interpretazione è più delicata del precedente, si danno glosse e traduzione in inglese come nell’originale da cui è tratto. La traduzione italiana dell’esempio suona ‘Quando arrivai nei Paesi Bassi, venne da noi in vacanza un ragazzo che era stato con noi in Marocco’. <?page no="147"?> 147 veicolata tramite un morfema legato e la prima forma verbale del passato, cioè l’imperfetto di essere, è una forma flessa che fonde in sé il passato e l’imperfettivo. Tuttavia, almeno presso alcuni apprendenti, la copula sembra essere riutilizzata come ausiliare per supplire alla mancanza di morfologia flessiva con i lessemi verbali. Se ne riporta un esempio in (15), dove sono in questa funzione è aggiunto dall’apprendente come risultato di un’autocorrezione. (15) äh io studiare / no sono studiare a + (PE 02) Nell’esempio (16), invece, all’imperfetto di essere sembra demandata l’espressione del passato di chiamarsi. (16) ha preso questo: portafoglio allora era si chiama Giorgio no? (MK 10) Come ho cercato di mostrare in Bernini (2003) sulla base di esempi peculiari come quello riportato in (17), questi usi sono indizio della ricerca di mezzi grammaticali di espressione dei tratti della categoria verbo, che, come si è ricordato all’inizio, sostengono la finitezza della frase 33 . (17) non non ha f: / siamo non ha fatto ‘non abbiamo fatto [il nostro spettacolo]’ (MK 06) Con l’esempio (17) l’apprendente sembra voler asserire che al momento dell’enunciazione non vale la situazione “aver fatto lo spettacolo”: nella perifrasi complessa per il perfetto negativo ‘non abbiamo fatto’ della lingua di arrivo così costruita dall’apprendente, siamo si riferirebbe al topic time e (non) ha fatto al tempo della situazione. Pur non costituendo uno stadio di apprendimento autonomo, il ricorso a forme di ausiliare autonomamente elaborate, illustrate da questi esempi, è indizio dell’agire anche in italiano L2 di strategie per la ricerca di mezzi di espressione 33 Un esempio analogo è (4c). <?page no="148"?> 148 La (ri)costituzione di categorie linguistiche nell’acquisizione di L2 grammaticali analoghe a quelle riscontrate nell’apprendimento di altre L2, come il nederlandese e il francese. La rilevanza o la marginalità di queste strategie, rispettivamente illustrate qui dal nederlandese L2 e dall’italiano L2, può essere correlata con la maggiore o minore opacità della morfologia della lingua di arrivo ed è congruente con la competizione tra mezzi di espressione lessicali e grammaticali schematizzata nella figura 1. 6.6 Note conclusive La ricostituzione della categoria verbo nei processi di apprendimento di L2 segue un percorso comune che muove da tratti centrali, cioè l’aspetto e il tempo, per rivolgersi poi a tratti periferici, quali il modo, la persona, il numero, il genere e la diatesi 34 . Centralità e perifericità sono rispecchiate nella precocità dell’espressione di certi tratti e nella loro diffusione tra gruppi di apprendenti. Come si è visto nei paragrafi precedenti sia per l’aspetto che per il tempo, per l’espressione dei tratti più centrali gli apprendenti impiegano elementi della L2 che filtrano dall’input, forzandone però la funzione al fine di rispondere alle esigenze di espressione grammaticale delle diverse fasi di apprendimento. Ne sono esempi emblematici l’uso del suffisso -to per esprimere l’aspetto perfettivo e l’uso della copula in funzione di ausiliare per esprimere il tempo in mancanza di altri morfemi legati. Il principio funzionale che sembra guidare gli apprendenti lungo questo percorso e che sembra valere in generale per l’apprendimento di L2, è il superamento dell’insufficienza dei mezzi discorsivi e lessicali a disposizione nei diversi stadi di sviluppo per l’espressione dei valori e dei tratti che costituiscono l’architettura della categoria. L’applicazione del principio funzionale è messa in moto a partire da quei casi in cui la codificazione di un certo tratto diventa rilevante per la comunicazione, come si è visto a proposito della marcatura differenziale dell’aspetto perfettivo con i predicati telici risultativi. Altri fattori intervengono nel processo di apprendimento, ma con ruolo subordinato. Tra questi va ricordata la prima lingua, che può guidare gli apprendenti nella ricerca di alcuni valori e tratti e/ o nel fare ipotesi circa la loro posizione nella L2, come si è avuto modo di accennare a proposito di spagnolo e cinese rispetto all’italiano. L’aggregarsi di valori e tratti di una categoria in funzione del superamento del fattore di inerzia costituito dall’inefficacia o dall’insufficienza di mezzi di espressione discorsivi e lessicali è dunque il percorso che caratterizza in modo peculiare il processo di messa in grammatica tipico dell’apprendimento di L2. L’azione di questo principio è riconducibile alle proprietà generali individuate 34 Questo aspetto meriterebbe di essere approfondito nella prospettiva della costituzione dei sistemi, cfr. Bertinetto (2003). <?page no="149"?> 149 nella ricerca tipologica, come mostrano i contributi raccolti in Giacalone Ramat (2003, ed.). Inoltre, nel caso qui in esame, la precedenza dell’espressione dell’aspetto sul lessema verbale rispetto a quella del tempo in italiano L2 (nonché in nederlandese e in francese L2) e la posizione relativa rispetto al lessema verbale delle forme di ausiliare per l’aspetto e per il tempo (Starren 2001: 254-255), sono congruenti con quanto rilevato dalla Bybee (1985) per la presenza e la posizione dei relativi morfemi tra le lingue del mondo. L’applicazione del principio funzionale qui delineato in processi di apprendimento individuali ancorché largamente comuni in gruppi di apprendenti distingue l’acquisizione di L2 da quella di L1, dove gioca un ruolo centrale lo sviluppo sociale e cognitivo del bambino. Ambedue si lasciano comunque ricondurre al modello a prototipi per quanto riguarda la costruzione delle categorie linguistiche, come mostra, per esempio, la graduale diffusione delle marche di aspetto da predicati risultativi e puntuali a predicati durativi 35 . D’altro canto, la messa in grammatica si configura come un processo diverso da quelli di grammaticalizzazione: in questi processi di cambiamento linguistico prevale anzitutto l’aspetto sociale, nonostante si riscontrino talora certe similarità con i processi di apprendimento di L2 e ambedue riguardino, in ultima analisi, la dimensione diacronica. Appendice 1 Convenzioni di trascrizione (cfr. Andorno e Bernini 2003: 36). parola^ intonazione ascendente *kalimah* elementi non italiano parola: pronuncia allungata di un fono parola? o ? parola? enunciato interrogativo parola/ autocorrezione parola - intonazione sospensiva parola, cesura intonativa (parola) frammenti poco udibili + ++ +++ pause di lunghezza crescente 35 Per quanto riguarda la L1 si veda la discussione in Taylor (1995: 239-256), anche per quanto riguarda la natura delle sovraestensioni che si riscontrano in ambedue i tipi di apprendimento. <?page no="150"?> 150 La (ri)costituzione di categorie linguistiche nell’acquisizione di L2 +13+ pausa molto lunga con indicazione della durata in secondi. [parola] commenti del trascrittore […] espunzioni Appendice 2 Apprendenti considerati (dalla banca dati del Progetto di Pavia, cfr., tranne Chris e MG, per cui si veda Berretta 1990a). Sigla Pseudonimo, età Paese d’origine L1 Occupazione in Italia Num. reg. Periodo delle registrazioni Tempo dall’arrivo in Italia alla prima registrazione AB Ababa, 21 Eritrea tigrino collaboratrice domestica 12 7m 12g 1 anno CH Cho, 17 Rep. Pop. Cinese cinese wu studente 18 1a 11 mesi Chris Chris, 17 Australia inglese studentessa 15 8m 2 mesi HG Hagos, 15 Eritrea tigrino studente 7 5m 21 giorni MG Margaret, 26 Iraq ar. iracheno casalinga 5 1m 3 anni MH Mehmet, 19 Albania albanese studente 6 5m 3 mesi MK Markos, 20 Eritrea tigrino elettricista 12 7m 1 mese PE Peter, 25 Singapore cantonese, malese, inglese ingegnere 17 8m 25 giorni TU Tughiascin, 45 Rep. Pop. Cinese cinese wu cameriera 11 7m 4a 8m <?page no="151"?> 7 La linguistica acquisizionale e l’insegnamento delle lingue* 7.1 Introduzione 1 Tra i due fronti proposti alla riflessione sugli insegnamenti linguistici nelle Facoltà di Lingue e letterature straniere, ovvero il fronte della ricerca e il fronte della didattica, il mio contributo prenderà la prospettiva del primo. Riproporrò alcuni punti chiave della cosiddetta linguistica acquisizionale 2 , che come è noto indaga i processi di apprendimento linguistico, e cercherò poi di proporre alcuni spunti per il fronte della didattica, auspicando un più stretto legame tra i due settori della linguistica acquisizionale e della glottodidattica al fine di migliorare le pratiche di insegnamento delle lingue al livello universitario. Prenderò le mosse dalla posizione della linguistica acquisizionale tra le scienze del linguaggio e ne illustrerò i fondamenti teorici e alcuni dei principali risultati ottenuti nella ricerca sull’acquisizione di diverse lingue europee come lingue seconde. Mi soffermerò in particolare sulle sequenze di apprendimento, mostrando come esse si prestino a fare da interfaccia tra la prospettiva acquisizionale e quella glottodidattica. * Tratto da: Silvana Ferreri (a cura di), Le lingue nelle Facoltà di Lingue. Tra ricerca e didattica. Viterbo, Sette Città, 2008: 171-190. 1 Sono grato per l’invito a tenere una relazione al Convegno di Viterbo rivoltomi da Silvana Ferreri, a cui va tutta la gratitudine per l’organizzazione dell’incontro. I miei ringraziamenti vanno anche al rettore dell’Università di Viterbo, Marco Mancini, per averlo così generosamente promosso. Ringrazio inoltre Alberto Destro, presidente della Conferenza dei presidi di Lingue, per aver portato avanti con tenacia l’idea di questo convegno, nata all’interno della Conferenza. Un ringraziamento particolare va infine ai colleghi che nel corso del dibattito hanno voluto approfondire alcuni dei punti qui toccati, in particolare Silvana Ferreri stessa, Maria Teresa Prat Zagrebelsky, Alessandra Tomaselli, Paola Giunchi. 2 Il termine “linguistica acquisizionale” è nato all’inizio degli anni 2000 nell’ambito del gruppo di ricerca interuniversitario raccolto nel cosiddetto Progetto di Pavia sull’acquisizione dell’italiano come lingua seconda. La prima attestazione “ufficiale” del termine risale al 2001: esso infatti compare nel titolo del convegno “La linguistica acquisizionale: italiano di stranieri, italiano per stranieri”, tenutosi il 9 aprile di quell’anno a Pavia. Il termine corrisponde, nell’ambito degli studi italiani, all’inglese “studies in second language acquisition”. <?page no="152"?> Discuterò infine di alcune conseguenze che gli studi di linguistica acquisizionale hanno per la glottodidattica, in particolare per quanto riguarda la nozione di errore e gli orientamenti metodologici dell’insegnamento e della valutazione della competenza raggiunta. Nelle conclusioni cercherò di delineare alcuni dei settori di più proficua interazione tra glottodidattica e linguistica acquisizionale. 7.2 La linguistica acquisizionale: fondamenti teorici Come illustrato nello schema in Fig. 1, tra le scienze del linguaggio la linguistica acquisizionale occupa una posizione a cavallo tra la linguistica teorica e la glottodidattica. La posizione occupata dalla linguistica acquisizionale nasce dal fatto che il suo campo di indagine sono i processi di apprendimento di lingue seconde e che i metodi in essa adottati sono comuni a quelli consueti nelle indagini di linguistica teorica. Come mostrerò più avanti, tra linguistica teorica e linguistica acquisizionale si sono instaurati flussi di interazione molto fecondi, in quanto l’osservazione delle potenzialità della facoltà di linguaggio nell’acquisizione di seconde lingue può gettare luce su questioni di rilievo teorico difficili da definire sulla sola base di dati derivati da lingue prime di adulti 3 . Dall’altra parte, la linguistica teorica è costante riferimento della linguistica acquisizionale in quanto i processi di apprendimento di lingue seconde, stimolati dall’input fornito dai nativi agli apprendenti, si esplicano nelle condizioni fissate dalle regolarità tipologiche che governano i sistemi linguistici e in particolare lungo le dimensioni che differenziano in misura variabile le lingue seconde oggetto di apprendimento e le lingue prime degli apprendenti. psicologia, pedagogia ↓ Linguistica teorica → ← Linguistica acquisizionale → Glottodidattica ↑ ↓ ↑ Psicolinguistica (acquisizione di L1) Linguistica applicata (pianificazione sociolinguistica, computazione…) Fig. 1: Posizione della linguistica acquisizionale tra le scienze del linguaggio 3 A questo proposito riferimento fondamentale è sempre il volume curato ormai più di un decennio fa da Huebner e Ferguson (1991). 152 La linguistica acquisizionale e l’insegnamento delle lingue <?page no="153"?> Campo di studio privilegiato, ancorché non esclusivo, della linguistica acquisizionale sono i processi di apprendimento spontanei, che avvengono cioè in seguito alle interazioni tra apprendenti e nativi. Su questa base, i risultati della linguistica acquisizionale si prestano ad essere accolti nel campo della glottodidattica nella prospettiva di influire e ottimizzare gli stessi processi di apprendimento in contesto guidato e, soprattutto, nelle situazioni in cui l’input nella lingua seconda è fornito prevalentemente nelle ore di lezione, non essendo la lingua seconda quella parlata da nativi nell’ambiente circostante. In questa prospettiva, tra le scienze sulla cui interazione e sul cui intreccio poggia la glottodidattica, la linguistica acquisizionale è quella che può apportare il contributo più rilevante 4 . L’elaborazione di teorie e metodi di insegnamento delle lingue in contesto guidato abbisogna infatti di conoscenze tratte da diversi campi: oltre che dalla linguistica acquisizionale, dalla psicologia e dalla pedagogia per quanto riguarda i processi di apprendimento e insegnamento in generale e, ancora tra le scienze del linguaggio, dalla linguistica applicata per quanto riguarda le prospettive di soluzione di problemi linguistici anche tenendo conto del loro impatto sociale. Nello schema non è stata inserita la neurolinguistica, che grazie alle osservazioni permesse dalla attuale tecnologia potrà essere utile per la comprensione dei processi di elaborazione cerebrale di stimoli linguistici. Nello schema in Fig. 1 è indicata marginalmente la psicolinguistica, e in particolare lo studio dell’apprendimento della prima lingua da parte di bambini, molto rilevante per la linguistica teorica, ma lontana dal campo di interazione su cui poggia la glottodidattica. Inoltre, sempre nello schema in Fig. 1, una freccia mostra i potenziali contributi della linguistica acquisizionale anche in prospettiva applicata. La posizione occupata dalla linguistica acquisizionale tra le scienze del linguaggio nasce dall’incontro della tradizione di studi di acquisizione di lingue seconde con il funzionalismo europeo. I punti cardine di questo incontro possono essere rappresentati idealmente da due lavori: da una parte, all’inizio degli anni ‘90 del secolo scorso dai volumi curati da Clive Perdue (1993) che riportano il quadro di riferimento teorico e metodologico, nonché i primi risultati, del progetto sull’acquisizione di varie lingue europee come lingue seconde, finanziato dalla European Science Foundation/ Fondation Européenne de la Science e coordinato dal Max-Planck-Institut für Psycholinguistik con sede a Nimega (Paesi Bassi); dall’altra parte, dieci anni dopo, dal volume curato da Anna Giacalone Ramat (2003, a c. di) a conclusione di più di un decennio di studi sull’acquisi- 4 La visione della glottodidattica come risultato dell’interazione di discipline di diversa natura può essere controversa. Per una visione analoga si veda anche Balboni (2003). 153 <?page no="154"?> zione dell’italiano come lingua seconda e che rappresenta, per la nostra lingua, una sorta di grammatica del suo apprendimento. Per quanto riguarda i fondamenti teorici, la linguistica acquisizionale affonda le sue radici nella concezione del modo di parlare dell’apprendente come del prodotto di elaborazione linguistica che fa appello, oltre che alle conoscenze derivate dalla prima lingua, alle potenzialità della facoltà di linguaggio. L’elaborazione di tale concezione risale, come è noto, ai primi anni ‘70 del secolo scorso ed è stata proposta da Larry Selinker (1972), che ha anche introdotto il termine interlanguage, in italiano interlingua, con cui da allora si designano le produzioni degli apprendenti. Il punto di riferimento teorico principale della linguistica acquisizionale è ora la nozione di “varietà basica” (in inglese “basic variety”), elaborata un decennio fa da Wolfgang Klein e Clive Perdue (1997). La varietà basica è il fulcro dell’apprendimento di una lingua seconda. Essa è caratterizzata dall’interazione di pochi principi di ordine sintattico, semantico e pragmatico; essa è indipendente sia dalla lingua prima dell’apprendente che dalla lingua per lui seconda; infine è caratterizzata da semplicità, versatilità, ed efficienza per la maggior parte degli obiettivi comunicativi. La varietà basica manifesta la capacità di organizzazione linguistica che ci contraddistingue come esseri umani, operando su pochi elementi lessicali a disposizione dell’apprendente e filtrati dall’input della lingua per lui di arrivo. Varietà basiche di diverse lingue seconde mostrano la stessa organizzazione, che si lascia interpretare anche in termini formali nel quadro minimalista, e si distinguono solo per il lessico, ovviamente derivato dalla lingua di arrivo. I principi sottesi all’organizzazione dell’enunciato nella varietà basica sono: a) un principio sintattico che regola l’ordine lineare degli elementi nominali, verbali e avverbiali; b) un principio semantico che riserva il primo posto dell’enunciato al costituente che esprime il controllore della situazione descritta nell’enunciato (il cosiddetto principio del “controller first”); c) un principio pragmatico che riserva l’ultimo posto al costituente di maggior rilevanza informativa nel contesto (il cosiddetto principio del “focus last”). In base all’interazione di questi tre principi si può dare conto di un enunciato come quello riportato in (1), tratto dalla prima registrazione di un apprendente eritreo a un mese dall’arrivo in Italia, dove si intende parlare della coscrizione coatta di giovani eritrei da parte dell’occupante etiope negli anni ‘80 del secolo scorso. (1) il governo de tiopia - vuole io + militari 154 La linguistica acquisizionale e l’insegnamento delle lingue <?page no="155"?> In questo enunciato si trova al primo posto la fonte da cui parte l’atto di volontà espresso dal predicato vuole; all’ultimo posto si trova invece militari ‘servizio militare’, che nel contesto da cui l’esempio è tratto è l’elemento più importante dal punto di vista informativo. Il principio pragmatico del “focus last” regola dunque l’ordine di io e militari. Oltre che i principi organizzativi qui esemplificati, nella varietà basica si riscontrano anche costellazioni di predicati e argomenti, come quella illustrata in (1), che preludono all’organizzazione del lessico secondo le categorie maggiori di verbo e nome. Come schematizzato nella tabella 1, nelle fasi di apprendimento iniziali la varietà basica segue un primo stadio di apprendimento detto varietà pre-basica, dove non sussistono ancora differenziazioni di classi di parole, la morfologia è assente e l’unico principio di organizzazione dell’enunciato è il principio pragmatico che vuole l’elemento focale alla fine. Gli scarni mezzi di espressione a disposizione impongono all’apprendente una forte dipendenza dal contesto fornito nelle interazioni dai nativi. Il principio semantico che si aggiunge a quello pragmatico, insieme a una prima differenziazione di verbi e nomi, permette nella varietà basica più indipendenza dal contesto e maggior rispondenza ai bisogni comunicativi. La varietà basica, se l’apprendimento segue il suo corso e non si fossilizza, è seguita da un continuum di varietà post-basiche, dove viene ad essere prevalente l’organizzazione sintattica degli enunciati, fondata sulla distinzione di classi di parole e sulla presenza di morfologia. Varietà post-basiche di lingue seconde diverse si differenziano sempre più l’una dall’altra quanto più si orientano e si avvicinano alla lingua di arrivo. L’arricchimento di mezzi di espressione anche grammaticali slega l’apprendente dal contesto fornitogli dagli interlocutori e gli permette autonomia di espressione e di organizzazione del discorso. Caratteristiche Varietà di apprendimento pre-basica basica post-basica Categorie grammaticali nessuna predicato e argomenti nomi, verbi Morfologia nessuna forma base dei verbi verbi e nomi flessi Organizzazione dell’enunciato pragmatica semantica sintattica Dipendenza dal contesto estrema minore bassa Tab. 1: Tratti caratteristici di varietà di apprendimento iniziali 155 <?page no="156"?> 156 La linguistica acquisizionale e l’insegnamento delle lingue Nel passaggio dalla varietà basica alle varietà post-basiche acquista un peso specifico diverso la sintassi rispetto alla semantica. Ciò può ben essere illustrato dal predicato vuole dell’esempio (1) rispetto al verbo volere su cui può essere proiettato nella lingua di arrivo. Nell’esempio (1) vuole appare come un predicato a tre argomenti, ciascuno dei quali riflette il ruolo dei partecipanti alla situazione descritta dal predicato, ovvero fonte, destinatario e scopo dell’atto di volontà, come indicato in (2). (2) PRED: vuole ARG1: Fonte governo de tiopia ARG2: Destinatario io ARG3: Scopo militari Nella lingua di arrivo il predicato volere comporta due argomenti (Fonte e Tema), definiti per categoria sintattica (sintagma nominale, frase subordinata) e per funzione sintattica (soggetto, oggetto), come illustrato negli esempi riportati in (3). (3) ARG1: Fonte PRED ARG2: Tema SOGGETTO OGGETTO a. (Giovanni) SN vuole (un gelato) SN b. (Giovanni) SN vuole (che Maria vada al cinema) F c. (Giovanni) SN vuole (andare al cinema) F Nella lingua di arrivo, inoltre, il destinatario dell’atto di volontà è espresso come soggetto della subordinata oggettiva (cfr. Maria in 3b) e, nel caso sia coreferente con la fonte dell’atto di volontà, esso viene cancellato e il verbo della subordinata messo all’infinito (cfr. andare in 3c). Infine, sul piano morfologico, la subordinata richiede il verbo finito al congiuntivo e ogni forma verbale finita deve essere concordata col soggetto. Nella varietà basica, come si è visto in (1) e in (2), la stessa situazione complessa è espressa senza ricorrere al componente morfologico (il verbo è in una forma fissa, detta forma base) e riducendo la sintassi alla messa in sequenza di predicato e argomenti. L’osservazione delle potenzialità espressive di cui è capace la varietà basica in presenza di mezzi di espressione limitati è la ragione per cui Wolfgang Klein e Clive Perdue si chiedono nel sottotitolo del loro articolo: “ma le lingue naturali non potrebbero essere molto più semplici? ”. <?page no="157"?> 157 Il passaggio graduale dalla varietà basica al continuum di varietà post-basiche è funzione dell’arricchimento lessicale da una parte e della necessità di rispondere a esigenze comunicative dall’altra. Le regolarità di comportamento linguistico che si osservano al di là dei percorsi individuali di apprendimento in gruppi di apprendenti diversi sono indotte dalle funzioni a cui la seconda lingua risponde nel contesto sociale. Dopo aver presentato i fondamenti teorici della linguistica acquisizionale, passiamo ad esaminarne le interazioni con la linguistica teorica e con la glottodidattica. 7.3 Linguistica acquisizionale e linguistica teorica Per illustrare l’interazione tra linguistica acquisizionale e linguistica teorica ripropongo i risultati di recenti studi sull’acquisizione della negazione di frase in italiano e in altre lingue europee apprese come L2 5 . L’aspetto forse più interessante dell’acquisizione della negazione in L2 è forse quello della sintassi dell’elemento negativo e, in particolare, la sua posizione rispetto al verbo coniugato. Come schematizzato nella tabella 2, la sequenza di sviluppo della sintassi della negazione in L2 può essere ricondotta a quattro stadi. Nel primo stadio, corrispondente alla varietà pre-basica dove il lessico non è ancora organizzato in classi di parole, la negazione è posta o prima o dopo l’elemento negato in funzione del rilievo discorsivo che questo ha (si ricordi il principio pragmatico “focus last” che governa l’organizzazione degli enunciati nella varietà pre-basica). Nel secondo stadio, che si riscontra con l’instaurarsi della varietà basica, la negazione è sistematicamente posta davanti al verbo, che, come già si è visto, compare in una forma fissa che ne veicola il solo valore lessicale. NEG X/ X NEG NEG V NEG V & COP/ AUX NEG V NEG italiano francese, inglese tedesco 1 2 3 4 Tab. 2: Sequenza di sviluppo della negazione in diverse lingue seconde 5 Gli studi a cui si fa riferimento sono Giuliano (2004); Bernini (2003, 2005a). <?page no="158"?> 158 La linguistica acquisizionale e l’insegnamento delle lingue Nella differenziazione dei percorsi di sviluppo nel continuum di varietà post-basiche, l’acquisizione della negazione italiana è già raggiunta, in quanto in italiano la negazione è posta prima del verbo coniugato senza eccezioni. L’acquisizione della negazione di lingue come il francese, l’inglese, il tedesco è invece più lunga e laboriosa e la posizione postverbale della negazione in quelle lingue è graduale: dapprima la negazione viene posposta a copula e ausiliari modali e solo in seguito la posizione postverbale è estesa a ogni tipo di verbo lessicale (v. stadi 3 e 4 nella tabella 2). Da una parte, il secondo stadio nella tabella 2 rispecchia i risultati ottenuti nell’ambito della linguistica teorica da parte della tipologia: infatti tra le lingue del mondo la posizione preverbale della negazione è di gran lunga la più frequente. I processi spontanei di apprendimento di L2 si rifanno cioè alle regolarità tipologiche più generali. Dall’altra parte i processi di apprendimento illustrati dallo stadio 3 permettono di capire meglio il ruolo di copula e ausiliari (in senso lato, comprendendo cioè i modali) nell’organizzazione dell’enunciato e la loro osservazione diventa così preziosa per la linguistica teorica. Come indicato nella tabella 2 dall’ombreggiatura più pallida, lo stadio 3 è infatti attestato anche per l’italiano, seppur in maniera sporadica, cioè per una lingua il cui input non prevede casi di posposizione della negazione a copula e ausiliari. Il fatto che apprendenti dell’italiano possano produrre strutture di questo genere, illustrate in (4), è prova della relativa indipendenza dei processi di organizzazione delle varietà di apprendimento e, nello stesso tempo, della direzione comune in cui questi si sviluppano 6 . (4) a. siamo non ha fatto (MK) ‘non abbiamo fatto (lo spettacolo previsto)’ b. capodanno eh son eh no con italiano (CH) “il capodanno non è come quello italiano” c. ma eeh ho no fatto (SVED) “non ho fatto” 6 MK e CH sono le sigle di apprendenti di italiano L2 compresi nella banca dati del Progetto di Pavia. MK è di L1 tigrino e CH cinese wú. La sigla SVED indica invece un esempio tratto dal corpus di apprendenti svedesi di italiano L2, discusso in Bardel (2000). Come si può osservare, costruzioni di questo tipo sembrano indipendenti dal tipo di L1, a negazione preverbale il cinese wú, circumverbale il tigrino, postverbale lo svedese almeno nelle frasi principali. <?page no="159"?> 159 Ovviamente il tipo della lingua di arrivo è poi determinante per l’abbandono di queste costruzioni, come nel caso dell’italiano, o per il loro rafforzamento e il loro ulteriore sviluppo, come nel caso del francese, dell’inglese, del tedesco. Queste osservazioni hanno inoltre permesso di mettere in rilievo il ruolo che nelle varietà di apprendimento di L2 giocano la copula e gli ausiliari nel processo di costituzione della componente finita della frase che nelle lingue indoeuropee si manifesta nella morfologia dei verbi. In mancanza di mezzi morfologici adeguati, gli apprendenti delle lingue europee qui considerate sembrano supplire all’espressione della finitezza dell’enunciato tramite le poche forme flesse a disposizione per copula e ausiliari. Oltre che la codificazione del topic della frase, cioè del soggetto, la finitezza di un enunciato comporta la codificazione del lasso di tempo per il quale l’asserzione è valida per il parlante. Si tratta di un’altra entità topicale, proposta inizialmente da Wolfgang Klein (1994) e da lui chiamata topic time. Il topic time è presupposto e non può ricadere nello scope della negazione. Per questa ragione gli elementi che nella varietà di apprendimento codificano il topic time precedono la negazione, come la copula e gli ausiliari negli esempi qui proposti. Gli enunciati vengono quindi ad avere la struttura illustrata nella tabella 3 per l’italiano L2: la copula appartiene all’area topic in quanto codifica il lasso di tempo per cui l’asserzione è valida e precede quindi la negazione, che riguarda invece la validità della situazione descritta dal contenuto proposizionale dell’enunciato. Area topic Validità Situazione (noi) siamo non ha fatto (io) sono Ø è da razza cinese entità topic tempo topic scope → Tab. 3: Struttura dell’enunciato di apprendenti di italiano L2 In base a quest’analisi si possono riportare alla stessa struttura anche enunciati come il secondo riportato nella tabella 3, ovvero sono è da razza cinese, prodotto da un apprendente plurilingue (cinese cantonese, malese e inglese) e compreso nella banca dati del Progetto di Pavia. Anche in questo caso la copula codifica il topic time della situazione “è da razza cinese” (ovvero “essere di stirpe cinese”) e la validità di questa, corrispondente alla polarità positiva di quella frase, è intesa come il caso non marcato e non viene espressa in maniera esplicita. <?page no="160"?> 160 La linguistica acquisizionale e l’insegnamento delle lingue La feconda e ormai consolidata interazione tra linguistica acquisizionale e linguistica teorica viene ora approfondita in un progetto comune dei maggiori centri di ricerca europei in questo settore, coordinati dal Max-Planck-Institut für Psycholinguistik di Nimega (Paesi Bassi). Scopo del progetto, intitolato The comparative study of L2 acquisition, è l’osservazione comparata dei processi di acquisizione rispetto a tre dimensioni: la conoscenza linguistica pregressa dell’apprendente derivante dall’acquisizione della L1, l’età (apprendenti di L2 giovani vs. adulti), i tipi di lingua coinvolti nel contatto. Il progetto si articola in cinque gruppi tematici, di cui due coordinati in sedi italiane: Topic component (Pavia) e Lexical development (Bergamo), accanto a Aspect and temporal structure (Parigi VIII), Finiteness (Nimega, Max-Planck-Institut), Scope particles (Lilla). 7.4 Linguistica acquisizionale e glottodidattica Rivolgendo ora l’attenzione alle interazioni tra linguistica acquisizionale e glottodidattica, il quadro appare meno netto di quello che risulta sul fronte opposto dei rapporti tra linguistica acquisizionale e linguistica teorica. Il contributo più importante che la linguistica teorica può dare alla glottodidattica è l’elaborazione di sequenze di apprendimento quale quella illustrata per la sintassi della negazione nella sezione precedente (cfr. tabella 2). Le sequenze di apprendimento rispecchiano infatti il percorso di costruzione di settori della grammatica della lingua di arrivo da parte di apprendenti in contesto spontaneo e manifestano i processi “naturali” di apprendimento di L2. Esse servono quindi a fondare gli interventi della glottodidattica nel costruire percorsi di apprendimento in contesto guidato. Senza entrare nello specifico delle diverse sequenze di apprendimento finora individuate per diversi settori della grammatica di diverse L2, possiamo individuare tre punti chiave che le rendono uno strumento potente per la glottodidattica 7 . Anzitutto le sequenze di apprendimento permettono di ordinare in gerarchia i tratti codificati in una categoria grammaticale, distinguendo tra tratti centrali, di precoce acquisizione, e tratti periferici, di tarda (e in molti casi di nulla) acquisizione. Ne è esempio l’insieme dei tratti che costituiscono la categoria del verbo in italiano, che si lasciano disporre nell’ordine da centrale a periferico indicato in (5), dove il segno “>” indica che il tratto a sinistra è più centrale e di precoce acquisizione rispetto a quello alla sua destra. 7 Le sequenze di apprendimento elaborate per l’italiano sono discusse in Giacalone Ramat (2003, a c. di). Per altre lingue europee si può consultare il volume a cura di Emanuele Banfi (1993). <?page no="161"?> 161 (5) Tratti centrali e periferici nel verbo italiano (aspetto > tempo > modo) > (persona, numero) > (genere > diatesi) Nell’italiano L2 aspetto, tempo e modo (in quest’ordine) sono più centrali di persona e numero (in quest’ordine), mentre genere e diatesi (in quest’ordine) sono massimamente periferici e di tarda acquisizione. La categoria verbo in italiano L2 si differenzia anzitutto per la codifica morfologica dell’aspetto perfettivo tramite il morfema -to ripreso dal participio passato della lingua di arrivo (p. es. lavorato); a questa si aggiunge poi, via via, la morfologia per l’espressione degli altri tratti. In secondo luogo le sequenze di apprendimento individuano i punti di attacco delle differenziazioni morfologiche, cioè i contesti in cui l’apprendente codifica un certo tratto, dapprima in maniera differenziale là dove è necessario, per specificare quanto va dicendo. Ne sono esempio le prime attestazioni di forme pronominali oblique in francese L2 come in (6) 8 . (6) (C apre la porta e) [ le ] tombe un bois sur la tête <a-lui cade una trave sulla testa> In questo esempio la comparsa di [le] in riferimento al protagonista umano della storia qui narrata risolve il conflitto che nasce nell’applicazione del principio semantico del “controller first”: questo mal si attaglia alla trave che cade per accidente e nello stesso tempo non può riguardare il protagonista che subisce la caduta della trave. In terzo luogo le sequenze di apprendimento mostrano le direzioni in cui certe regole o certi morfemi si diffondono nel lessico. Se ne è visto un esempio nella sezione precedente a proposito della diffusione della negazione postverbale prima con verbi atematici (copula ecc.) e poi verbi lessicali o tematici. Un altro esempio è rappresentato dal tipo di predicati su cui si diffondono a poco a poco le marche di participio passato per l’aspetto perfettivo e di imperfetto per il passato imperfettivo in italiano L2. La diffusione di queste marche coinvolge dapprima lessemi la cui semantica è congruente con quella della marca morfologica in questione e solo più tardi lessemi dalla semantica non congruente. La 8 In quest’esempio, tratto dal corpus rilevato per il progetto della European Science Foundation (cfr. Perdue 1993), sono notati in trascrizione fonetica tra parentesi quadre gli elementi che non si possono proiettare univocamente su parole della lingua di arrivo. <?page no="162"?> 162 La linguistica acquisizionale e l’insegnamento delle lingue marca -to per il perfettivo si diffonde a partire dai predicati telici, viceversa le desinenze dell’imperfetto a partire dai predicati stativi, a cui seguono i durativi. In termini generali si può riconoscere che le regole e la morfologia si applicano anzitutto come marche differenziali in contesti di potenziale conflitto tra principi di organizzazione degli enunciati e si grammaticalizzano anzitutto con lessemi in qualche modo congruenti con essi sul piano semantico; infine essi perdono questo legame di motivazione e diventano finalmente obbligatori con tutti i lessemi che li possono assumere, convenzionalizzandosi come succede nella lingua di arrivo. L’applicazione delle sequenze di apprendimento in glottodidattica è stata discussa da Maria Pia Lo Duca (2003) per il sistema verbale dell’italiano. In questo contributo vengono messi a fuoco due problemi metodologici che insorgono per la glottodidattica nell’acquisire le indicazioni della linguistica acquisizionale. Il primo problema riguarda il tempo di sviluppo delle strutture studiate, che è una variabile esclusa in linguistica acquisizionale, ma è centrale nella glottodidattica, cui spetta il compito di forzare il ritmo di maturazione spontanea delle strutture nei tempi prefissati dal contesto, scolastico o di altro tipo, che richiede l’apprendimento di una lingua. Il secondo problema è invece relativo al tipo di apprendenti con cui si ha a che fare: in glottodidattica è giocoforza sottolineare gli aspetti che differenziano gruppi diversi di apprendenti pur nell’alveo comune previsto dalle sequenze di apprendimento. Questi due problemi, e tanti altri, rendono ardua l’interazione tra linguistica acquisizionale e glottodidattica. Ciononostante dalla ricerca di linguistica acquisizionale è possibile trarre alcuni spunti di riflessione per le prospettive glottodidattiche che vengono delineati nella sezione seguente. 7.5 Prospettiva acquisizionale e prospettiva didattica: alcuni spunti Dall’impostazione della linguistica acquisizionale e dai risultati da essa finora ottenuti si possono trarre alcuni spunti di riflessione che possono avere conseguenze sull’impostazione della glottodidattica, pur nei limiti che le aspettative sociali rispetto alla scuola e, nel caso in esame qui, rispetto all’università impongono di tenere presenti. Il primo spunto di riflessione riguarda l’errore. Come schematizzato nella tabella 4, l’errore può essere visto da due prospettive opposte. Nella prospettiva della lingua di arrivo, l’errore non è altro che un deficit di conoscenza e competenza che va rimediato in quanto non atteso. Nella prospettiva delle varietà di apprendimento che caratterizza la linguistica acquisizionale l’“errore” (qui mes- <?page no="163"?> 163 so tra virgolette), comportamento discrepante dell’apprendente rispetto a quello del parlante nativo, è invece prezioso perché ci rivela quello che l’apprendente sa. Esso è l’unico indizio che si può avere circa i processi di apprendimento in corso. → deficit lingua di arrivo ERRORE ← varietà di apprendimento riconoscimento di competenza Tab. 4: La nozione di “errore” Riprendiamo il caso della diffusione di elementi morfologici nel lessico verbale discusso nella sezione precedente. Nella prospettiva della lingua di arrivo, per ogni verbo nel contesto appropriato è attesa da parte dell’apprendente l’applicazione di morfemi come quelli dell’imperfetto italiano; gli errori disattendono l’aspettativa e sono sanzionati. Nella prospettiva delle varietà di apprendimento la regolare applicazione o non-applicazione dei morfemi di imperfetto nei contesti per questi obbligatori definisce invece il grado di competenza raggiunto in quel momento dall’apprendente nelle dimensioni previste dalle sequenze di apprendimento, che per loro natura fissano un percorso di “errori”. Il secondo spunto di riflessione riguarda gli approcci all’insegnamento delle lingue. Gli approcci che pongono più attenzione alle funzioni comunicative promuovono il costituirsi di competenze interazionali ma sollecitano per lo più processi di formazione di routines, soprattutto nei contesti guidati di apprendimento dove la lingua seconda non è quella parlata nella comunità ospite, come nel caso dei corsi universitari di cui si tratta in Ferreri (2008). Le routines, come è noto, comportano processi di elaborazione che non fanno appello all’analisi dei loro componenti e al riconoscimento di regolarità morfosintattiche. Dall’altra parte gli approcci che pongono più attenzione al lessico promuovono il costituirsi di categorie grammaticali e la diffusione della morfologia e sollecitano quei processi di elaborazione linguistica il cui dispiegarsi è rivelato dalle sequenze di apprendimento. Da questo punto di vista è necessario un ripensamento di molte scelte metodologiche che danno maggior peso specifico all’approccio comunicativo. Il terzo e ultimo spunto di riflessione riguarda i metodi di valutazione. La competenza in L2 rientra nella sfera del “saper fare” e la sua valutazione andrebbe quindi separata da quella relativa al tipo di conoscenze che si possono cumulare e che caratterizza altre discipline del curriculum universitario, a partire dalla stessa conoscenza della grammatica della L2. Durante e alla fine del curriculum <?page no="164"?> 164 La linguistica acquisizionale e l’insegnamento delle lingue universitario la valutazione dovrebbe fondarsi sull’elaborazione di parametri che definiscano lo stadio di apprendimento nei termini delle sequenze di apprendimento. Un buon punto di riferimento è costituito a questo riguardo dal Quadro Comune Europeo di Riferimento, i cui livelli potranno essere oggetto di specificazione dettagliata in termini lessicali e morfosintattici in un programma di elaborazione che dovrà accomunare linguisti acquisizionali e glottodidatti 9 . In questa prospettiva la valutazione dell’apprendimento non potrebbe essere proiettata su una scala di voti come è consueto fare e che è invece più consona alla valutazione di altre discipline. La valutazione della competenza in L2 dovrebbe poi prevedere momenti di controllo anche dopo la conclusione del curriculum universitario per definire periodicamente l’eventuale stadio di logoramento (o attrition, con termine inglese) che può risultare da scarni contatti con parlanti la lingua straniera o con documentazione scritta in essa. Ciò evidentemente può essere fondato solo su parametri di definizione di stadi di apprendimento (in progresso o in regresso) e non più su scale di votazione. 7.6 Osservazioni conclusive Gli spunti di riflessione presentati nella sezione precedente anticipano le osservazioni conclusive di questo intervento, che riguardano le interrelazioni tra linguistica acquisizionale e glottodidattica. Queste possono essere rese più solide e proficue prendendo il contesto di apprendimento guidato come campo di studio e di verifica dei risultati che la linguistica acquisizionale ha ottenuto nel campo dell’apprendimento spontaneo, cioè senza intervento didattico. A questo scopo è necessario elaborare e mettere in atto forme di ricerca che adottino in termini rigorosi il protocollo dell’esperimento, somministrando stimoli diversi a un gruppo sperimentale e a un gruppo di controllo e verifichi ipotesi circa i processi di acquisizione e il loro dispiegarsi partendo dalle sequenze di apprendimento. Un secondo settore di ricerca è rappresentato dalla possibilità di elaborare curricula differenziati in base a varietà di apprendimento predefinite piuttosto che in base a funzioni comunicative. In questa direzione si muove il progetto elvetico: Per una nuova posizione dell’italiano nel quadrilinguismo elvetico. Strumenti e strategie per l’elaborazione di un curriculum minimo di italiano. Questo progetto, il cui scopo è elaborare strategie per diffondere la conoscenza dell’ita- 9 Si noti che i livelli del Quadro Comune Europeo di Riferimento sono anzitutto definiti in modo generale (e generico) in termini di prestazioni attese dagli apprendenti, come saper condurre brevi conversazioni ecc. Si vedano a questo proposito anche le considerazioni di Vedovelli e Villarini (2003) e la loro proposta di una “(glotto)didattica acquisizionale”. <?page no="165"?> 165 liano e atteggiamenti positivi nei suoi confronti, prevede di testare su gruppi di studenti di diversa provenienza i risultati dell’insegnamento di un curriculum minimo di italiano definito nei termini della varietà basica di cui si è parlato nelle sezioni precedenti. Il progetto, promosso dall’Università della Svizzera Italiana, dall’Osservatorio Linguistico della Svizzera Italiana e dall’Università di Berna, sotto la direzione di Eddo Rigotti, Andrea Rocci e Bruno Moretti, si concluderà nel 2007. I suoi risultati potranno essere preziosi per mettere meglio a fuoco fondamenti teorici e metodologie su cui dare solido fondamento alla collaborazione tra glottodidattica e linguistica acquisizionale. <?page no="167"?> 8 Word classes and the coding of spatial relations in motion events: A contrastive typological approach* 8.1 Introduction Lexicalization strategies adopted in different languages draw necessarily on the repertoire of word classes available in the organization of the lexicon of individual languages 1 . The grammatical nature of words of different classes, mirrored in the range of morphemes coding the categories specific for them, in their potential syntactic combinations and in their intrinsic semantic properties, contributes to the variable patterns of expression of general semantic notions across languages, as in the case of spatial relations at issue here. In the field of research on the coding of spatial relations attention to the role played by the range of word classes available in a language is found in only a few studies. Among these mention must be made of the seminal paper by Lehmann (1990: 171-175), who pointed to the different lexicalization patterns allowed by the presence of relational nouns and of adverbs and adpositions in different languages and to the further pattern potentially allowed by the presence of verbs of spatial disposition, where part of space, spatial relation and event are fused in a single predicate (as in approach NP vs. go to the proximity * Tratto da: Giovanna Marotta/ Alessandro Lenci/ Linda Meini/ Francesco Rovai (eds.), Space in Language. Proceedings of the Pisa International Conference. Pisa, ETS, 2011: 29-52. Research for this contribution has benefited from the grant 60BER2008 of the Dipartimento di Scienze dei linguaggi, della comunicazione e degli studi culturali of the University of Bergamo, assigned to the project “Classi di parola in prospettiva tipologica: gli avverbi”. The author is grateful to Giovanna Marotta, Pier Marco Bertinetto, Claudio Iacobini and Francesco Grande for their precious comments on different aspects of this contribution. I am indebted to Jennifer Pearson (University of Bergamo) for the careful revision of the English text. It goes without saying that the author takes sole responsibility for any mistakes or shortcomings found in this contribution. 1 The problems linked to a cross-linguistically valid definition of word classes are discussed in Ramat (1999). For a general typological survey of word classes reference may be made to Schachter and Shopen (2007). <?page no="168"?> of NP) 2 . Though in an indirect way, the role of word classes in the lexicalization patterns of spatial relations is also relevant in Wälchli’s (2001) typology of motion events. In Wälchli’s framework the semantic components of a motion event may be expressed on different loci of the utterance defined as verbal, adnominal and adverbal, involving different weight word classes, such as verbs, nouns (besides adpositions) and adverbs may have for lexicalization 3 . The lexical and grammatical resources available in individual languages are also at the center of attention of Beavers et al. (2010) in a reassessment of the typology of lexicalization of motion events developed in the well-known works by Leonard Talmy (1985 [2007], 1991, 2000a, 2000b) within a cognitive approach. The original bipartite typology of Leonard Talmy which distinguishes two major types of languages called satellite-framed language and verb-framed language has proved to be too rigid with respect to empirical data 4 . In fact Talmy’s bipartition is not clear-cut, as shown in examples (1a) and (1b). In satellite-framed English, path may be coded by the verb and manner through an adverbial adjunct as in the verb-framed type of language, and as shown in example (1a). On the other hand, constructions of both the satellite-framed and verb-framed types may co-occur in the lexicalization of the very same event in Italian, as shown in (1b). In this example both manner and path appear to be able to be codified either in the verb or in an adverbial adjunct, resulting in a blurring of the classification of Italian as a verb-framed language 5 . (1) a. John exited the bedroom stealthily (Beavers et al. 2010: 33, ex. 48a) b. […] ringraziavo e correvo giù, e mentre scendevo di corsa le scale […] ‘I said thank you and ran down, and as I was running down the stairs […]’ (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006: 247) 2 Lehmann’s framework has been adopted by Skopeteas (2008) in his diachronic study of Greek. 3 Wälchli’s framework has been adopted by Spreafico (2009) in a study of the typology of motion events in languages belonging to the core of Standard Average European. 4 In fact Wälchli (2001), mentioned above, had already tried to establish a framework able to account for the different patterns not included in Talmy’s typology. 5 In examples and tables small caps identify expressions coding path; manner expressions are shown in italics. 168 Word classes and the coding of spatial relations in motion events <?page no="169"?> Furthermore, the possibility for both path and manner to be expressed by the same type of elements in the same utterance in satellite-framed and also in verb-framed languages weakens the validity of Talmy’s typology, based on the division of the role assigned to verbs and other elements in the codification of manner and path. This is shown for the expression of both manner and path by means of adverbials in English (example 2a) and by means of verbs in Mandarin Chinese (example 2b) 6 . (2) a. John moved stealthily out of the bedroom (Beavers et al. 2010: 33, ex. 48c) b. wŏ păo chū le chúfáng I run exit/ out PERFECTIVE kitchen ‘I ran out of the kitchen’ (Beavers et al. 2010: 26, ex. 39) On the basis of verb sequences such as the one exemplified in (2b) for Mandarin Chinese and found in other languages such as Thai and some Caribbean Creoles, Slobin (2004) had postulated a third type of lexicalization of motion events called “equipollently framed” beside Talmy’s satellite-framed and verb-framed types. The phenomenology of lexicalization patterns of motion events actually exceeds the three types established to date, as discussed by Beavers et al. (2010: 19) in relation to the so-called “applicative” morphemes of Twsana. The affixation of such morphemes to a manner verb allows the interpretation of an accompanying locative argument as the goal of the motion. On the basis of these considerations Beavers et al. (2010) approach the lexicalization of motion events in a flexible framework which takes into account the lexical, morphological and syntactic resources available in a language, which per se happen to be only secondarily employed for the coding of motion events (Beavers et al. 2010: 5). In their approach the options allowed by the means available in individual languages in the choice of the codification strategies are subject to two major conditions: a) the central role played by the verb in the expression of either path or manner; b) the impact of external, mainly pragmatic factors favoring, for example, simpler expressions over complex ones. Beavers et al.’s (2010) new perspective on the typological classification of the means of expression resorted to in the lexicalization of motion events may be further elaborated on from the viewpoint of the word classes available in a 6 The question of whether the verbs in the Mandarin Chinese example are to be considered as a serial verb construction or as a compound verb construction is not relevant here. 169 <?page no="170"?> language. For this purpose the specific weight of the adverbs as a word class with respect to other word classes is investigated in this contribution in a contrastive typological approach in the lexicalization patterns of motion events found in three different languages: Italian (discussed in section 8.2), Modern Standard Arabic (discussed in section 8.3) and an Italo-Romance dialect (discussed in section 8.4). The reasons for the choice of these three languages are two: a) Modern Standard Arabic as a Semitic language is characterized by the absence of a differentiated word class of adverbs, unlike Romance; b) within Romance, Italian and some Italo-Romance dialects share a differentiated word class of adverbs which do not appear to be resorted to in the same way in the lexicalization of motion events. The asymmetry found between Italian and some ltalo-Romance dialects has already been addressed by Iacobini (2009) and also by Iacobini and Masini (2006) concerning the use of phrasal verb constructions in the history of Italian. The asymmetry in the use of adverbs will be correlated with the different communicative conditions of languages also written as Italian or only spoken as contemporary Italo-Romance dialects. The correlation is corroborated by similar findings discussed for the Alemannic and Rheto-Romance spoken varieties of the Swiss Alps with respect to (Standard) German and French by Berthele (2006). As will be shown in the concluding section 8.5 of this contribution, despite the dissimilarity in word classes, the Egyptian variety of Arabic, which is only a spoken language, shows a certain asymmetry with respect to Standard Modern Arabic, this being reminiscent of the asymmetry found in Romance and in the Germanic languages. These findings point to the relevance of the communicative environment of language varieties for the appreciation of different lexicalization strategies and their typology. The type of data considered in this contribution is already known to some extent. Here they are integrated in the more encompassing perspective of a typology of lexicalization strategies of spatial relations in motion events established on the basis of the type of word classes available in a language 7 . 7 The Italian data are drawn from the electronic version of De Mauro (2007). They are reported in this contribution with an indication of their source, comprising: name of the author, title of the work, year of publication and page number. The source of the Modern Standard Arabic data is the Arabic version of J.D. Wyss, The Swiss Family Robinson, published by Dar al-Bihar in Beirut in 2004, as analyzed in Facchi (2006). In the examples they are marked by the abbreviation VF (= Veronica Facchi) followed by a number referring to the coding of the relevant utterance in Facchi’s database. The source of the data from the ltalo-Romance dialect considered in this contribution is the database being elaborated on the basis of the verb occurrences found in the collection of fairy tales edited by Anesa and Rondi (1981). They are marked by the abbreviation FB followed by a number 170 Word classes and the coding of spatial relations in motion events <?page no="171"?> According to Beavers et al. (2010: 31, scheme 45), in the codification of motion events the expression of the components “manner” and “path” is alternatively distributed on the intransitive motion verb on the one side, and on items belonging to other word classes on the other side, as illustrated in Table 1 8 . Consequently, the typological options are as follows: a. If manner is coded in the verb, as in the first row of Table 1, coding of the path may resort to either a range of morphological means of expression, such as affixes and case markers, or lexical means of expression, such as particles and adpositions. While all of these items may encode path outside the verb if available in a certain language, items of delimitation such as the English as far as in general seem to allow the expression of path with manner verbs 9 . b. If path is coded on the verb, as in the second row of Table 1, manner is encoded in phrases with adverbial function, either subordinate clauses, adpositional phrases, or lexical elements belonging to the word class of adverbs. Manner Path a. b. Verb Adverbials Affixes, Cases, Particles, AdP; delimitative items Verb Tab. 1: Typological options in the coding of the component manner and path As illustrated by Beavers et al. (2010: 31-32), among the typological options shown in Table 1 both Japanese and French encode manner by means of verbs and adverbial subordinate clauses. In both languages path is encoded in verbs and delimitative expressions, as illustrated in Table 2. referring to the paragraph in Anesa and Rondi’s collection from which the example is drawn. 8 We do not consider languages which may employ sequences of verbs - either compound verbs or serial verbs - in the same sentence in order to code motion events, as exemplified in (2b) for Mandarin Chinese. 9 Affixes expressing path are found in Russian and Latin, and in some Bantu languages; they are known as applicatives; semantic cases are widespread in Uralic languages. All these items are classified as “satellites” by Beavers et al. (2010: 10). As a consequence, their satellite class is larger than the one originally defined by Talmy (2007: 138-163). 171 <?page no="172"?> 172 Word classes and the coding of spatial relations in motion events Manner Path Verb Adverbial subordinate clauses Delimitative elements Verb Tab. 2: Coding means of motion events in Japanese and French On this basis let us now turn to the detailed analysis of the typological profiles of the three languages at issue in this contribution with respect to the means employed in the codification of space relations in motion events, starting with Italian. 8.2 Typological profile of Italian Among the means of expression listed in Table 1, Italian resorts to verbs on the one side and, on the other side, to those word classes able to appear in an adverbial function: adverbs in the strict sense of the word, nouns in prepositional phrases, verbs in the particular form of the gerund. Their interplay in the expression of both manner and path is well illustrated in example (1b). In that example the adverbial function is carried by the adverb giù ‘down’, which encodes the path in the first sentence, and by the prepositional phrase di corsa ‘running’, which encodes the manner in the second sentence 10 . The range of potential co-occurrences of adverbial items and of the two types of motion verbs - manner verbs and path verbs - is illustrated in Table 3. The shaded boxes in Table 3 show the semantic functions expressed by items co-occurring with manner and path intransitive verbs. Path verbs are unaccusative; manner verbs may be either unaccusative or unergative. As apparent in the shaded area of Table 3, the combination of adverbials and verbs shows some asymmetries which appear to be typologically relevant. Co-occurring items Verbs Manner Path Gerunds Path Path Manner fino a + NP (Delimitative PP) Path Path Path Adverbials (Adverbs, PPs) - Path Path/ Manner Unergatives Unaccusatives Tab. 3: Verbs and other elements in the coding of motion events in Italian 10 This prepositional phrase is a lexicalized adverbial expression comprising the preposition for ‘of’ and the action noun for ‘race’. <?page no="173"?> 173 A neat subdivision of role between adverbials and verbs is found only with gerunds as co-occurring items, as shown in (3) in the case of manner main verbs and in (4) in the case of path main verbs. In example (3) manner is encoded by the main verb strisciare ‘to crawl’ and path by scendendo ‘descending’, in the gerund form 11 . In example (4) path is encoded by the main verb entrava ‘(she) was entering’ and manner by zoppicando ‘limping’ in the gerund form. (3) […] quando una notte vide una sagoma scura […] furtivamente strisciare scendendo verso la tomba […] ‘[…] when one night she saw a dark shape […] stealthily crawling down towards the tomb […]’ (Ugo Riccarelli, Il dolore perfetto, 2004: 269) (4) Filomena entrava zoppicando nella stanza […] ‘Filomena came limping into the room […]’ (Domenico Starnone, Via Gemito, 2001: 233) The encoding of path and manner as shown in (4) is usually claimed to be the regular type of lexicalization found in verb-framed languages such as the Romance languages according to Talmy’s (1991) typology. Actually, in (4) manner is encoded as a sub-event in the subordinate adverbial clause with the gerund form of the verb. However, as shown in (3), path can be encoded as a sub-event also in Italian, blurring Talmy’s bipartite typology. Turning now to the second type of co-occurring item represented in Table 3, the adverbial phrase formed with the delimitative complex preposition fino a ‘as far as’ may be used to encode path with both manner and path verbs, as illustrated in examples (5) and (6). In (5) fino ai giardinetti ‘as far as the little gardens’ codes the final point of the path followed by the people walking. In (6) fino a me ‘to me’ codes the final point of the downward path expressed in the main verb è sceso ‘(he) has descended’. (5) Abbiamo camminato fino ai giardinetti […] ‘We have walked as far as the little gardens […]’ (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006: 81) 11 It may be recalled that the expression of manner as a sub-event within the motion event by means of a subordinate adverbial clause is one of the features of so-called verb-framed languages in Leonard Talmy’s (1991) typology of motion events. <?page no="174"?> 174 Word classes and the coding of spatial relations in motion events (6) […] un semidio è sceso fino a me […] ‘[…] a demigod came down to me […]’ (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006: 172) As shown in Table 3, co-occurrence of adverbials and manner and path verbs is characterized by two asymmetries. The first asymmetry is related to the features of unergative manner verbs like camminare ‘to walk’, zoppicare ‘to limp’, which are not accompanied by path adverbials contrary to unaccusative manner verbs such as precipitarsi ‘to rush’, correre ‘to run’, saltare ‘to spring’. In this respect unaccusative manner verbs behave like path verbs, which are all unaccusative. The second asymmetry is related to the semantics of the adverbials, which may only encode path with manner verbs and both components - manner or path - with path verbs. Combination of manner verb and path adverb is shown in (1b) by correre giù ‘to run down’; double coding of path on verb and adverbial is illustrated in (7) by the co-occurrence of scendere giù ‘to descend down’. In (8) the same adverb giù ‘down’ specifies the downward direction of the motion process expressed by the generic verb andare ‘to go’ 12 . (7) Pensi che se scendi giù sulla pista […] ‘Do you think that if you go down onto the track […]’ (Maurizio Maggiani, Il viaggiatore notturno, 2005: 85) (8) […] riesco ad afferrarla per i capelli mentre va giù come un macigno […] ‘[…] I can grab her by the hair as she’s sinking like a rock […]’ (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006: 15) On the basis of the discussion of the co-occurrences shown in Table 3 it may be claimed that the assumed verb-framed typology of Italian is constrained by unaccusativity. Unaccusative manner verbs, as already mentioned with reference to example (1b), may co-occur with path adverbs in constructions of the satellite type according to Talmy’s (1991) typology. Moreover, constructions of the satellite type are also found with path verbs, as attested in examples (7) and (8). As already commented upon with reference to examples (3) and (4) and to the use of gerund forms, Talmy’s bipartite typology does not seem to fit Italian data, which show features of both the verb-framed type and the satellite-framed 12 The medium in which the downward movement occurs is coded in the manner verb sink in the idiomatic English translation of the Italian example, where water is mentioned in the previous context on p.-14, line 35. <?page no="175"?> 175 type. In order to explore in greater detail the role of adverbs in the lexicalization strategies of motion events found in Italian, let us now turn our attention to spatial adverbs. Relevant spatial adverbs to be discussed in the framework of this contribution are listed in (9). They pertain to the vertical axis, to the topological relation involving an internal/ external section of space with respect to a relatum, and the point of origin of a path 13 . (9) a. Dimensional relation (vertical axis): su ‘up’, giù ‘down’ b. Topological relation (inside/ outside): dentro ‘in(side)’, fuori ‘out(side)’ c. Point of origin: via ‘away’ It is well known that these items may occur alone or as the head of a prepositional phrase, possibly involving another preposition. In the first case their relatum is inferable from the discourse context, which in (10a) refers to the car 14 . In the second case it is explicitly coded within the prepositional phrase as in qui ‘here’ in (10b). (10) a. A quel punto aveva smesso di piovere, e gli ho proposto di continuare il suo racconto fuori. ‘At that point it had stopped raining and I proposed he should continue his story outside’. (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006: 81) b. […] cerca smaccatamente di imitarla, non soltanto negli esercizi ma anche negli atteggiamenti e nelle pose fuori da qui, a casa e a scuola […] ‘[…] he’s doing his best to imitate her, not only in the exercises, but also in her attitudes and in her poses away [liter. out] of here, at home and at school […]’ (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006: 109) These items have an intrinsically locative semantic function, as shown in (10) and as discussed in a series of works appearing in Beavers et al. (2010: 13). Their interpretation as directional, i.e. path adverbs is induced by the semantics of the verb with which they co-occur, as in the examples in (11), where the non-motion verb guardare ‘to look’ involves a gazing movement in a certain direction. 13 For the definition of spatial categories reference is made to Levinson and Wilkins (2006a). 14 The car is actually mentioned in the line which follows the one of the quoted example, although reference to it had been previously introduced into the text. <?page no="176"?> 176 Word classes and the coding of spatial relations in motion events (11) a. Dài, stellina, smetti di stare attenta, distraiti, alzati, vai alla finestra, guarda fuori, guarda giù-… ‘Come on, darling, stop paying attention, relax, get up, go to the window, look out, look down-…’ (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006: 44) b. Ho guardato fuori dalla finestra del salotto, giù in strada […] ‘I had a look out of the drawing-room window, down into the street […]’ (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006: 234) The versatility of these items allows their redundant use also with path verbs, which already code one of the spatial dimensions listed in (9). Italian motion verbs actually encode path, as envisaged in the verb-framed type to which Italian is often attributed. This may be illustrated by the couple entrare ‘to go in’ and uscire ‘to go out’ reported in example (12), which express the path towards the interior space and respectively an exterior portion of space with reference to a parking lot as a relatum. The spatial relation which is established between the theme and the relatum at the beginning and respectively at the end of the motion events referred to in the example is expressed by two prepositions: da ‘from’ and in ‘into’. (12) Ha messo in moto ed è uscita senza difficoltà dal parcheggio nel quale due ore prima non era riuscita a entrare. ‘She started the car and with no difficulty drove out of the parking lot which she hadn’t been able to get into two hours earlier’. (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006: 106) The redundant expression of the path in the verb and in the spatial adverb is illustrated in (13), where the relatum is referred to by the anaphorical pronouns, enclitic ci ‘into it’ in esserci, i.e. into an e-mail address as mentioned previously, in (13a) and proclitic ne ‘from them’, i.e. the flying saucers, in (13b). (13) a. […] e mi piaceva da morire sentirmi così saggio da non esserci entrato dentro. ‘[…] and I was so glad that I had been wise enough not to get into it’. (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006: 133) <?page no="177"?> 177 b. Come quelle dei dischi volanti e persino degli esseri alieni che ne erano usciti fuori, nel libro ‘‘Non siamo soli’’. ‘Like those of the flying saucers and even the aliens who had come out of them in the book “We are not alone”’. (Maurizio Maggiani, Il viaggiatore notturno, 2005: 107) The conditions potentially governing the variable redundant expression of the path are yet to be investigated. However, the employment of a path adverb is obligatory in two cases, resulting in a satellite-framed lexicalization strategy and blurring again the position of Italian within Talmy’s bipartite typology of lexicalization of motion events. The first case is represented by the deictic verbs andare ‘to go’ and venire ‘to come’, the only means available in Italian for the coding of the speaker’s perspective in motion events in terms of Schwarze (1985) 15 . They behave like manner verbs and compel the expression of the path in co-occurring items such as the spatial adverbs listed in (9). This is shown in example (14), drawn from a phone conversation included in the database of the frequency dictionary of spoken Italian edited by De Mauro et al. (1993). In this example the downward path is encoded in the verb scendere in the first utterance of the example and, alternatively, in the adverb giù in the third utterance. The alternative encoding of the downward path in this adverb seems to result from the need to specify the speaker’s perspective in the description of the motion of the person being talked about, referred to by XYZ. This might be inferred on the basis of the second utterance included in (14), whereby the speaker appears to consider herself as being in the garage (cf. io ero in box ‘I was in the garage’), i.e. apparently in a lower position with respect to XYZ. (14) […] perché io ho vista XYZ che è scesa ma io ero in box è venuta giù ha detto […] ‘[…] because I saw XYZ come down, but I was in the garage she came down and said […]’ (From the database of De Mauro et al. 1993) 15 In German, e.g., the speaker’s perspective is mainly coded by the particles hin (away from the speaker) and her (toward the speaker), while the general motion verbs geben ‘to go’ and kommen ‘to come’ are distinguished for their different Aktionsart, the former verb being atelic and the latter telic. The typology of verbs related to going and corning is discussed in Ricca (1993) with reference to the languages of Europe. <?page no="178"?> 178 Word classes and the coding of spatial relations in motion events The second case pertains to the lexicalization of the movement away from a point of origin. This is lexicalized in Italian by the verb partire ‘to leave’, a path verb consistent with the assumed verb-framed typology of Italian 16 . However partire implies that the figure is leaving for a distant destination and/ or will stay away for quite a long time. This may be explicitly stated, as in example (15a) for the destination, or left to the interlocutor’s/ reader’s inference, as in (15b). (15) a. Venerdì mattina all’alba parto per lo Zimbabwe. ‘On Friday morning I am leaving for Zimbabwe’. (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006: 271) b. Lara e Claudia erano già tornate a casa, Nina 2004 è partita stamattina presto. ‘Lara and Claudia had already come back home, Nina [called by the year number] 2004 left early this morning’. (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006: 12) When no distant destination and/ or no long period of absence are meant, the lexicalization of the movement away from a point of origin obligatorily resorts to the verb andare ‘to go’ accompanied by the adverb via ‘away’, a lexicalization pattern consistent with the satellite-frame type of language in Talmy’s terms 17 . This is illustrated in example (16). (16) Quando mi muovo, gli altri genitori sono già andati via. ‘When I move, the other parents have already gone away (= left)’. (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006: 31) It is noteworthy that this split lexicalization pattern for the movement away from a point of origin - verb-framed on the one side and satellite-framed on the other side - distinguishes Standard Italian from the major standard Romance languages with the possible exception of Portuguese, where ir embora ‘to go away’ is found, parallel to the Italian expression andare via. In fact Spanish salir, Rumanian a pleca and French partir are consistent with the verb-framed pattern. The correspondence between the verb-framed lexicalization pattern of French 16 We do not go into details here of the analysis of other uses of this verb, such as metaphorical ones. The intricate problems related to the analysis of “away-from” motion verbs is discussed for different languages by Sharoff (2005). 17 Andare via is actually in competition with the “pronominal” verb andarsene, again a path verb, which is paralleled by French s’en aller. <?page no="179"?> 179 and the satellite-framed pattern of Italian is neatly illustrated by the sentences corresponding to the English ‘This stain won’t go away’, i.e. French Cette tache ne veut pas partir, Italian Questa macchia non vuole andare via. As to the item via, homomorphic with the noun via ‘street’ but also an adverb, Italian parallels the Germanic languages in which the English words way, away, German der Weg, weg, and Dutch weg, weg are found 18 . The grammatical nature of the words resorted to in Italian for the coding of space in motion events conditions the typological position of Italian as follows: a) path is obligatorily expressed by means of an adverb in the coding of the movement away from a point of origin and when the verb expresses the deictic perspective of the motion event; b) path is optionally expressed by means of an adverb with unaccusative intransitive verbs coding both path and manner; in the former case path is expressed redundantly; c) the delimitative prepositional phrase and the subordination by means of gerunds are unmarked options, available with any type of main verb, for their semantics and for their syntactic function of adjuncts. 8.3 Typological profile of Modern Standard Arabic The verb is also at the center of the lexicalization strategies of motion events in Modern Standard Arabic, as illustrated by the generic motion verb for ‘go’ in (17a), by the path verb coding the direction from the interior to the exterior of the relatum in (17b), and by a manner verb in (17c) 19 . (17) a. dahab-tu ‘ilā matn-i s-safinah (VF 2) go: PFV-1SG to deck-GEN DEF-ship ‘I went on deck’ b. daxal-nā l-maŧbax (VF 85) 18 The same correspondence is not found in Northern Germanic languages, cf. Swedish räg vs. bort(a). It is doubtful whether the parallel uses of these words in Italian and in the West Germanic languages are the result of calque. The adverbial use of German weg is first attested in Middle High German as enwec, i.e. ‘on the way’ (Kluge 1999, s.v.). On the other hand, Durante (1981: 89) points out that Latin ire viā ‘to go away’ is already attested in Priscian (5th-6th centuries A.D.) as a calque of Greek apeltheîn hodôi. 19 In (17b) the non-causative path verb requires the direct object of the relatum, as does the verb enter in English. <?page no="180"?> 180 Word classes and the coding of spatial relations in motion events enter: PFV-1PL DEF-kitchen ‘We went into the kitchen’ c. tarāka d -a l-’aŧfal (VF 156) run.fast: PFV-3SG.M DEF-children ‘The children ran away’ Besides verbs, other nominal items contribute to the lexicalization of the various components of motion events in Modern Standard Arabic. Among these items, a salient role is played by relational nouns, which originally derive from active present participles. Relational nouns are found in a conspicuous number of languages and constitute a particularly considerable means of codification of path, as discussed in Lehmann (1990: 171-175). They actually represent an opposite means of expression of space with respect to adverbs, as found in Italian and discussed in section 2. Space adverbs code the path relation established between a theme and an implicit relatum, as shown in (14) for giù ‘down’ in Italian. These items belong to the class of adverbs and to the class of prepositions at the same time, because they may also function as heads of a complex adpositional phrase when the relatum is explicitly mentioned, as in the case of fuori da qui ‘out of here’ illustrated in (10b) for Italian. Contrary to spatial adverbs, relational nouns code portions of space. As illustrated in (18) the spatial relation established between a theme and a relatum is expressed by an adpositional phrase containing the relational noun xāriğ; the relatum, if explicitly mentioned, is a complement of the relational noun marked by the genitive case, as for markab in (18) 20 . (18) watab-a kull-u wāhid-i-n min-nā spring: PFV-3.SG.M totality-NOM one-GEN-INDEF from-1.PL bi-farah-i-n ‘ilā l-xāriğ-i l-markab(-i) with-joy-GEN-INDEF to DEF-outside-GEN DEF-boat(-GEN) ‘everyone sprang gladly out of the boat’ (VF 33) In this example the coding of the path seems to be carried out by the directional preposition ‘ilā; the relational noun xāriğ, which might be translated by the nominalized adjective esterno in Italian and by the adverb outside in English, 20 It should be recalled that the case ending on nouns and adjectives is not pronounced before a pause. Therefore the Genitive ending -i and its gloss are between parentheses in example (18). <?page no="181"?> 181 codes instead the spatial relation which is established between the theme and the relatum, i.e. the boat, at the conclusion of the motion event. The differing availability of word classes in the languages under examination resorts to different strategies of lexicalization of path in Arabic on one side and in Italian and English on the other side, as contrastively illustrated in Table 4. In Arabic the allative preposition ‘ilā, together with its ablative counterpart min, allows the expression of the direction toward which a certain motion takes place in relation to the portion of space in which the theme is located at the end of the motion event, as in (18). Tab. 4: Codification of motion events in Italian, English and Arabic The allative preposition and its ablative counterpart are the basic means of expression of the direction of a motion event toward or from a relatum, as exemplified in (19) and (20), where ‘ilā indicates the beach (‘aš-šāŧi’) as the final point of the motion, expressed by a manner verb in the former example, and by a path verb in the latter one. (19) mašay-tu ma c a frītz-i-n wa-’arnst-i-n walk: PFV-1SG with Fritz-GEN-INDEF and-Ernest-GEN-INDEF ‘ilā š-šāŧi’ (VF 166) to DEF-beach ‘I walked down with Fritz and Ernest to the beach’ (20) habaŧ-a ‘ilā š-šāŧi’ (VF 36) descended: PFV-3SG.M to DEF-beach ‘he went down to the beach’ <?page no="182"?> 182 Word classes and the coding of spatial relations in motion events According to Wright (1896 [1979]: 146), ‘ilā implies “motion towards an object”, the relatum in our terms, but not the arrival at that object, as in the case of hattā ‘as far as’, “indicating motion towards and at the same time arrival at an object”. However, according to Wright, ‘ilā is used also when the reaching of the relatum is already expressed in the verb. In the data examined to date, no example of the preposition hattā occurs. However, if it is legitimate to extend Wright’s observation in order to encompass the inferences allowed by the contexts of the examples where ‘ilā occurs, it is possible to state that Arabic is consistent with the typological regularity envisaged by Beavers et al. (2010). In fact it is possible to express the path with manner verbs in Arabic by means of a delimitative expression at least by the mediation of pragmatic inferences. Furthermore, as in Italian, the same means of expression is attested also with path verbs. Finally, the same means of expression is also used for the coding of the spatial relation established between theme and relatum, as in example (20). Therefore Arabic is not only consistent with the typological regularity envisaged for delimitative expressions, but employs this type of expression as one of its major strategies of lexicalization together with relational nouns. Path may also be coded in Arabic by nominal items marked for the indefinite accusative case, which in this case carry the function of the predicate’s adverbial complement, as discussed by Wright (1896 [1979]: 109). Besides relational nouns, nominal items employed in this function include adjectives as in (21), action nouns as in (22) and present participles as in (23), all derived from an originally verbal root by introflection. (21) ‘indafa c -a l-kalb-u tūrk-u-n dart.off: PFV-3SG.M DEF-dog-NOM Turk-NOM-INDEF ba’īd-a-n c an-nā (VF 75) distant-ACC-INDEF from-1PL ‘Turk suddenly darted away from us’ (22) ‘indafa c -a s — u c ūd-a-n fī l-hawā’-i dart.off: PFV-3SG.M rising.up-ACC-INDEF in DEF-air-GEN ŧayr-u-n tānī (VF 126) bird-NOM-INDEF second ‘a second bird rushed upward in the air’ (23) ba c da lahzat-i-n qafaz-a c ā’id-a-n <?page no="183"?> 183 after moment-GEN-INDEF spring: PFV-3SG.M returning-ACC-INDEF ‘ilay-yya (VF 69) to-1.SG ‘A moment later he sprang back towards me’ From a functional point of view, Arabic adverbial accusatives are a strategy of codification of the path equivalent to Italian adverbs and gerunds and to English particles, as is also apparent in the English translations of the previous examples. From the point of view of word classes, the items in the adverbial indefinite accusative retain their nominal nature, as shown in the paradigmatic cohesion of case marking. However they represent a versatile strategy of codification of the path with manner verbs, as illustrated in examples (21), (22) and (23), showing how the different specific weight of available word classes may condition the type of lexicalization found in individual languages. Summing up this discussion of the Modern Standard Arabic data, we may conclude by saying that in this language the typological options allowed by the availability of only two major classes of words, i.e. verbs and nouns, involve the expression of the path in the verb or in nominal items when the verb codes the manner of motion. This may be illustrated in (24) for downward direction, coded in the verb in (24a) and in the action noun derived from it in the adverbial indefinite accusative case in (24b), where the main verb is a manner verb. (24) a. nazal-nā ‘ilā l-yābisah (VF 111) descend: PFV-1PL to DEF-land ‘we stepped on land’ b. ‘āxada ‘arnst-u-n ya-tağawwal-u take: PFV-3SG.M Ernest-NOM-INDEF 3-roam: IMPF-SG.M nuzūl-a-n ‘ilā š-šāŧi’ (VF 97) descent-ACC-INDEF to DEF-beach ‘Ernest roamed down to the shore’ The selection of nominal items results in two possible codifications of path in Modern Standard Arabic: a) the direction of the motion is coded by a preposition and the final point of the motion by a relational noun which refers to a portion of space; b) the direction of the motion is coded by a form of adverbial accusative. <?page no="184"?> 184 Word classes and the coding of spatial relations in motion events An idea of the relative weight of the actual two options in the codification of path may be gathered from a small corpus of 44 utterances drawn from Facchi’s (2006: 90-91) database. As shown in Table 5, preposition + relational noun and adverbial accusatives have a similar number of occurrences (10 as against 7). However, if we add the occurrences of the preposition ‘ilā with nonrelational nouns, this former strategy of expression is predominant, occurring 14 times as against 7. Total n. of utterances ‘ilā + Relational noun (+ Noun) Adverbial accusative 44 10 (+4) 7 Tab. 5: Relational nouns and adverbial accusatives in Arabic 8.4 Typological profile of a northern Italo-Romance dialect The discussion of the codification of the components of motion events in the perspective of word classes has evidenced how the different profiles of Italian and Modern Standard Arabic result from the different relative weight of verbs and adverbs for the former language, and of verbs and nouns, both relational and non-relational ones, for the latter language in the expression of manner and path. In northern Italo-Romance dialects, and in particular in the so-called Gallo- Italic dialects spoken in Piedmont, Liguria, Lombardy, and Emilia-Romagna, a central role in the codification of path is played by adverbs 21 . These dialects exploit in a greater measure the typological option available in Italian for space adverbs, which may express path with any type of verb but unergative intransitive manner verbs. As commented upon for example (7) with reference to the direction downward, space adverbs in Italian may double the expression of path. In one dialect pertaining to this group, spoken in the province of Bergamo in Lombardy, this option is well evidenced in the database drawn from a collection of transcribed retellings of fairy tales published in Anesa and Rondi (1981). Among the little more than 4,000 occurrences of main verbs contained in the database, those relating to motion events involving the protagonist of the fairy tales are 675. 75% of these occurrences, i.e. 507, are represented by the deictic verbs corresponding to Italian andare ‘to go’ and venire ‘to come’, as shown in Table 6. 21 For a survey of Italian dialects reference may be made to Loporcaro (2009). <?page no="185"?> 185 Deictic verbs Other path verbs Manner verbs indà ‘to go’ vègn ‘to come’ 332 (49.1%) 175 (30%) 507 (75.11%) 130 (19.30%) 38 (5.62%) Tab. 6: Occurrences of motion verbs in the dialect of Bergamo (Total 675) In 263 occurrences out of the total number of 675, i.e. 39%, the motion verbs are accompanied by adverbs expressing the path with reference to an explicitly mentioned relatum as in (25a) and to an implicit one as in (25b). (25) a. hó egnìt fò d’ öna pansa / I-am come out from a belly ó dét in d’ ön otra! I-go in in another ‘I’ve come out of one belly and go into another one! ’ (FB 313.06) b. gliùra / la ‘à FÒ / pò la ‘à D’DET then she goes out then she goes in ‘She goes out and then she goes (back) in’ (FB 112.07) As illustrated in Table 7, the overwhelming majority of adverbs, i.e. 250 in absolute figures and 95% in relative figures, are found with path verbs. Among these 250 occurrences, the adverb accompanies one of the two deictic verbs in 214 cases, i.e. in 81.40%, in relative figures. Deictic verbs Other path verbs Manner verbs indà ‘to go’ vègn ‘to come’ 142 (54%) 72 (27.4%) 214 (81.4%) 36 (13.6%) 13 (5%) Tab. 7: Occurrences of adverbs with motion verbs in the dialect (Total 263) As apparent in example (25) and in the figures in Table 7, the preferred lexicalization pattern of the northern Italo-Romance dialect considered here involves the expression of deixis on the verb and the expression of path on the accompanying adverb. The resulting construction is consistent with the satellite-framed type of lcxicalization, yet, contrary to the claims made within Talmy’s typology <?page no="186"?> 186 Word classes and the coding of spatial relations in motion events of the lexicalization of motion events, adverbs may also accompany other path verbs whereas manner verbs are rather marginal as a means of expression of the components of the motion event. The data illustrated in Tables 6 and 7 are consistent with the results obtained by Spreafico (2009: 159) in the analysis of a collection of retellings of the Frog Story recorded in this same dialect 22 . In Spreafico’s data, the expression of path involves deictic verbs in 75% of the occurrences in respect to only 33% in the comparable database of retellings of the Frog Story in Italian. The reduction of the actual repertoire of path verbs and the saliency of the two deictic verbs in the lexicalization of motion events as evidenced in these dialect data may be the triggering factor of the tendencies towards the satellite-framed type of lexicalization of motion events discussed in section 2. As argued for by Iacobini (2009), Italian satellite-framed constructions are found in different regional varieties and not only in the northern varieties influenced by a dialect substratum such as the one illustrated here for the dialect of Bergamo. According to Iacobini (2009), diffusion of satellite-framed constructions in Italian has probably been a side-effect of the diffusion of Italian as a spoken language since the mid-19th century (De Mauro 1963). One of the major factors involved in this process is represented by the internal migrations of the 1950s and 1960s whereby a large proportion of the population has moved from southern to northern regions in order to find employment. This process has favored contact between speakers with different dialect substrata and consequently, the spreading of satellite-framed constructions originally calqued on the corresponding constructions of northern Gallo-Italic dialects. On the basis of the scanty available historical attestations it is possible to hypothesize that the preference for deictic verbs and adverbs of space as the means of expression of motion events in the dialect of Bergamo is a relatively recent diachronic development. In fact two occurrences of the etymological continuation of Latin exire ‘to go out’, reported in (26), are found in a poetic work of religious content written in the 14th century. In the contemporary dialect this lexical item appears to have been substituted by the combination of a deictic verb and the adverb for ‘out’ as in (25). The same means of expression, i.e. deictic verb + space adverb, appear to have ousted the etymological continuations of the other major Latin path verbs salire ‘to go up’ and descendere ‘to go down’, which are still used in Italian (cf. salire, scendere besides the verb uscire ‘to go out’). 22 The Frog Story (Mayer 1967), as a sequence of pictures originally employed in a book for young children, is one of the most widely-used stimuli for the collection of comparable spoken data in language acquisition studies and in typological studies (e.g. Slobin 2004, besides Spreafico 2009). <?page no="187"?> 187 (26) a. Donde sangue e aqua si ne insi(di) whence blood and water refl from-there exited ‘Whence blood and water exited’ (Passion, v. 169, p.-83) b. E i morg insi de li molimeng and the dead-pl exited from the tombs ‘And the dead came out of the tombs’ (Passion, v. 185, p.-84) (Lorck 1893: 83-84) The consideration of language varieties predominantly employed for spoken communication such as the Italo-Romance dialects mentioned in this section in the perspective of word classes, may shed light on the pragmatic factors influencing the choice of the typological options envisaged by Beavers et al. (2010) for the lexicalization of motion events. The predominance of coding strategies based on path verbs and adverbs has been detected by Raphael Berthele (2006) in the Rheto-Romance dialects of Graubünden Canton as well as in the Alemannic dialects of the Bern Canton in Switzerland. Satellite-framed expressions of path constituted by a verb and an adverb constitute the prevalent strategy found in the retellings of the Frog Story discussed by Berthele (2006), whereas manner verbs are marginal. The dialects investigated by Berthele diverge from the standard languages spoken in Switzerland, i.e. French for the Romance family and German for the Germanic family. In fact path verbs constitute the prevailing strategy used for the coding of motion events in French. German, on the other hand, shows a lesser number of satellite-framed constructions and a greater number of manner verbs in the coding of the motion events elicited by means of the Frog Story (Berthele 2006: 254, Figure 30). Berthele (2006: 254-256) relates these tendencies to the predominant oral communicative practices of the Swiss communities where the Rheto-Romance and Alemannic dialects are spoken. The communicative consequences of the diamesic dimension of variation, i.e. the continuum dimension between spoken and written mode, have been investigated in particular by Koch and Oesterreicher (1990: 5-17), in terms of “distance speech” and “closeness speech” 23 . On the extreme point of the closeness speech, i.e. of the spoken mode of communication, lexical choice and syntactic organization of the utterances are influenced by the short-term planning of each interlocutor participating in a conversation, by the interlocutors’ shared knowledge and universe of discourse and by the potential emotive load carried into the conversation. On this background it is possible 23 In the original German wording: Distanzsprache and Nähesprache (Koch and Oesterreicher 1990: 12). <?page no="188"?> 188 Word classes and the coding of spatial relations in motion events to hypothesize that the presence of deictic verbs is motivated by the need for the interlocutor to determine his own position with respect to the communicative event and the referents talked about. On the other hand, space adverbs allow a description of the path in more precise, explicit and even redundant terms although this may be often inferred from the discourse context, as in the case of ‘in(side)’ in the second utterance of example (25a), where the path in the direction towards the interior of the ‘belly’ is also coded by means of the preposition ‘in’. 8.5 Concluding remarks The typological profiles of Italian, Modern Standard Arabic and of one Italo-Romance dialect have shown that consideration of the lexicalization patterns of spatial relations involved in motion events from the point of view of the word classes available for this purpose in each language allows a refinement of Leonard Talmy’s (1985 [2007], 1991, 2000a, 2000b) bipartite typology distinguishing verb-framed and satellite-framed types of languages 24 . Constructions of both types have been shown to occur in Italian and Modern Standard Arabic. Their distribution in relation to manner and path verbs derives from the range of potential patterns allowed by the grammatical nature of the available words and by the way they are organized in word classes in the lexicon of each language considered. In Italian, lexicalization patterns are governed by the unaccusativity of the verb. As shown in Table 3 (cf. section 2), adverbs of space may co-occur with either manner or path unaccusative verbs and are excluded with unergative manner verbs. Moreover, gerunds do not appear to be constrained in the codification of path with manner main verbs and of manner with path main verbs, resulting in a versatile means of expression, not limited to the codification of manner as a sub-event with path verbs as claimed for verb-framed types of languages in Talmy’s terms. In Modern Standard Arabic, the availability of relational nouns and of the allative preposition ‘ilā allows the expression of path with manner verbs by means of the delimitative expressions, confirming their typological non-markedness as claimed by Beavers et al. (2010). Finally, the predominant satellite-framed strategy of lexicalization and the marginality of manner verbs found in the northern Italo-Romance dialect considered in section 4 and in Rheto-Romance and Alemannic Swiss dialects may be related to the communicative conditions 24 The refinement of Talmy’s typology should also take into account the semantic perspective as in Levinson and Wilkins’s (2006b) work. <?page no="189"?> 189 of use of a language. Pragmatic conditions are also considered as relevant for the choice of lexicalization strategies of motion events by Beavers et al. (2010). On this background, the Italo-Romance, Rheto-Romance and Alemannic German dialect data discussed in section 4 seem to point to a stronger correlation between lexicalization type and spoken mode on the diamesic dimension of language variation. Interestingly enough, separate lexicalization of motion process and path and double expression of the latter feature is also found in Egyptian Arabic, a variety existing only as a spoken language, as illustrated in (27). In this example, the strategy of separate lexicalization of the components of the motion events draws on the lexical means available, such as the participle dāxil ‘entering’ and the adverb guwwa ‘inside’ for the redundant expression of the direction towards the interior of the relatum. (27) Egyptian Arabic (Fischer and Jastrow 1980: 211, n. 6, 7; notation adapted to the conventions of this volume with respect to the source) ‘am ɍāh dāxil issinima guwwa […] wi ɍāh then he-went entering DEF-cinema inside and he-went ŧāli c baɍɍa taks i taks i ɍāh rākib ittaks goingup outside taxi taxi hewent getting-on DEF-taxi ‘then he walked into the cinema […] and he walked out, “Taxi! Taxi” and he got into a taxi’ 25 The potential of this perspective of research may be explored by further investigation. Taking into consideration other spoken varieties in different cultural environments may contribute to a better understanding of the principles governing the lexicalization patterns of space relations in motion events. 25 The German translation of the example in the source is: “Da ging er ins Kino hinein […] Dann ging er hinaus, »Taxi! Taxi! « und bestieg das Taxi”. The example is reported only for the sake of illustrating the potential effects of the diamesic dimension of variation on the choice of lexicalization patterns. A great deal of further investigation of Egyptian Arabic is needed in order to correctly evaluate the relevance of this example among the lexicalization strategies of space relations in motion events. In fact, as pointed out in Engh (2009) with reference to Modern Norwegian, anecdotical quotations of examples from different languages may be quite misleading. <?page no="190"?> 190 Word classes and the coding of spatial relations in motion events List of abbreviations 1, 2, 3 Person ACC Accusative DEF Definite GEN Genitive INDEF Indefinite M Masculine NOM Nominative PFV Perfective PL Plural REFL Reflexive SG Singular <?page no="191"?> 9 Tra struttura dell’informazione e finitezza: gli enunciativi* 9.1 Introduzione Al centro di questo contributo sta l’indagine dell’intersezione tra i due ambiti della grammatica e della pragmatica per come essa traspare sul piano dell’espressione nella presenza di enunciativi, cioè di quegli elementi che, apparentemente, codificano l’asserzione in un enunciato dichiarativo e che non sono riscontrati frequentemente tra le lingue. Il caso di enunciativo più noto e più studiato è quello che si ritrova nel guascone, la varietà pirenaica dell’occitano 1 . L’indagine più completa a disposizione per l’enunciativo guascone, illustrato in (1), è la monografia di Pusch (2001), dove è discussa anche la bibliografia precedente. L’enunciativo guascone ha la forma que, cioè la forma della congiunzione comune a diverse lingue romanze 2 , che si pone prima del verbo coniugato in frasi dichiarative con soggetto espresso, come nei primi due enunciati riportati in (1), o sottinteso, come nell’ultimo enunciato dello stesso esempio 3 . * Tratto da: Franca Orletti (a cura di), Grammatica e pragmatica. Atti del XXXIV Convegno Annuale della Società Italiana di Glottologia. Roma, Il Calamo, 2012: 119-146. Le ricerche da cui è scaturito il presente contributo sono state finanziate dal Dipartimento di Scienze dei linguaggi, della comunicazione e degli studi culturali dell’Università degli Studi di Bergamo con FAR (=-Fondi d’Ateneo di ricerca) assegnati ai progetti ‘Classi di parola in prospettiva tipologica: gli avverbi’ (anni 2008-2009) e ‘Ai margini del repertorio linguistico locale: dialetti e varietà di italiano di stranieri. Sintassi e semantica del verbo’ (anni 2010-2011). Sono molto grato a coloro che sono intervenuti nella discussione che ha fatto seguito alla mia relazione al Congresso di Roma: Emilia Calaresu, Elisabetta Fava, Anna Giacalone Ramat, Diego Poli, Davide Ricca, Adriano Rossi, Raffaele Simone. Tutti hanno fornito preziosi suggerimenti, integrati nel presente contributo, rilevando la presenza di particelle enunciative in diverse tradizioni, anche antiche. Errori e incongruenze che si rilevassero nel testo sono ovviamente da attribuire solo a chi scrive. 1 Proprio nella descrizione del guascone è stato utilizzato il termine ‘énonciatif’ per la prima volta da Jules Ronjat nel capitolo intitolato “Particules énonciatives” della sua sintassi dei dialetti provenzali (1913: 79 sgg.). Al riguardo, cfr. anche Pusch (2001: 22). 2 Cfr. la forma que comune a iberoromanzo e francese, nonché italiano che e rumeno că, quest’ultimo dal latino quod (cfr. Lausberg 1971: 290). 3 Gli esempi sono glossati secondo la notazione delle Leipzig Glossing Rules usuale in tipologia (https: / / www.eva.mpg.de/ lingua/ pdf/ Glossing-Rules.pdf). Le abbreviazioni utiliz- <?page no="192"?> (1) Guascone (Pusch 2001: 92, suo esempio 22) Parlante A: tot que madura tutto ENC matura ‘Tutto matura / Matura tutto’ Parlante B: aquò que que que madura ciò ENC ENC ENC matura que ven tot negue ENC diventa tutto nero ‘Questo matura, diventa tutto nero’ La funzione di que in guascone è stata messa in rilievo da Bossong, secondo il quale essa codifica l’asserzione (1998: 1006), cioè la relazione costitutiva dell’enunciato dichiarativo, all’intersezione tra la relazione semantica che lega predicato e argomenti e la relazione pragmatica che si instaura tra tema e rema all’interno dell’enunciato stesso (Bossong 2001: 725). In questa prospettiva l’enunciato dichiarativo è la proiezione dell’atto assertivo, che a livello interlinguistico risulta essere non-marcato, sia nel senso di unmarkiert sul piano funzionale, sia di nicht merkmalhaft, cioè non contrassegnato, sul piano dell’espressione 4 . La natura non-marcata degli enunciati dichiarativi è da una parte correlata con il loro statuto modale: l’atto linguistico assertivo che essi codificano ha a che fare con l’assunzione di responsabilità da parte del locutore circa la verità del contenuto proposizionale dell’enunciato 5 . Dall’altra parte, come argomentato in König e Siemund (2007: 285), la natura non-marcata degli enunciati dichiarativi è riflessa nel fatto che essi possono codificare atti linguistici diversi da quello assertivo, per esempio atti commissivi (Andrò io a fare le compere), direttivi (Ti alzi prima e arrivi puntuale vs. Alzati prima e arriva puntuale! ), espressivi (Sono così dispiaciuto). Lo stesso non avviene per i tipi di enunciati che rappresentano il polo marcato rispetto ai dichiarativi, cioè gli enunciati interrogativi e imperativi, più limitati per frequenza e correlati con una gamma minore di atti linguistici. zate sono sciolte in fondo a questo contributo. 4 La distinzione dei due livelli funzionale e dell’espressione nei rapporti asimmetrici di marcatezza è sorta nell’ambito degli studi sulla ‘naturalezza morfologica’ ed è dovuta a Mayerthaler (1981a). 5 Cfr. anzitutto Searle (1969: 29). Questi problemi sono stati trattati nelle loro diverse prospettive da Venier (1991) e sono discussi anche in prospettiva tipologica da Palmer (1998: 140-146). Di natura modale è anche l’opposizione reale-non reale che molte lingue operano tramite diversi tipi di morfemi, discussa in Mauri e Sansò (2011). 192 Tra struttura dell’informazione e finitezza <?page no="193"?> La presenza di un morfema che codifica l’asserzione negli enunciati dichiarativi del guascone si rivela eccezionale sullo sfondo delle regolarità tipologiche, dove il rapporto asimmetrico di marcatezza tra due termini sul piano funzionale è riflesso sul piano dell’espressione in una opposizione privativa che comporta codificazione esplicita (cioè merkmalhaft) solo per il termine marcato e codificazione zero per il termine non-marcato 6 . L’interesse per fenomeni rari tra le lingue del mondo e in particolare l’attenzione dedicata agli enunciativi in questo contributo trovano ragione in due considerazioni. La prima considerazione, di ordine metodologico, è relativa al fatto che la presenza inattesa di strategie di codificazione di funzioni non-marcate rappresenta un’increspatura della regolarità tipologica che può gettare luce sui meccanismi della facoltà di linguaggio e fornire uno strumento di verifica di ipotesi teoriche 7 . La seconda considerazione è di ordine empirico ed è relativa al fatto che marche apparentemente di asserzione si ritrovano presso apprendenti in stadi iniziali dell’acquisizione come lingue seconde di francese, inglese e italiano, lingue che non posseggono enunciativi. Questa strategia autonoma di espressione della natura dichiarativa di un enunciato è un indizio rilevante per comprendere la formazione degli enunciati e, più in generale, la costruzione della grammatica non solo nei processi di acquisizione di una lingua seconda, ma anche nelle lingue che sono il risultato di apprendimento di lingua prima, come discusso in Gretsch e Perdue (2007). Per l’italiano lingua seconda è stato riscontrato l’uso della congiunzione che, illustrata in (2), in una varietà pre-basica di un apprendente di prima lingua tigrino nei primi sei mesi di esposizione all’italiano. Negli esempi in (2) l’elemento che è tratto dalla lingua di arrivo ma è usato secondo regolarità proprie della varietà di apprendimento. Esso si ritrova al confine tra topic e comment, essendo l’articolazione pragmatica dell’enunciato l’unica struttura a disposizione nella sintassi di questa varietà iniziale di apprendimento. 6 È anche possibile la codificazione esplicita di ambedue i termini in un’opposizione non privativa, come succede per la coppia singolare-plurale in italiano (lingua-lingue) rispetto all’inglese (tongue-tongues). Tra le lingue considerate da König e Siemund (2007: 286-287) la codificazione esplicita dello statuto dichiarativo di un enunciato si riscontra laddove essa entra in un rapporto paradigmatico con la codificazione esplicita anche dei tipi di enunciato interrogativo e imperativo, come nel caso della famiglia khoisan per l’utilizzo di particelle e delle lingue germaniche per l’utilizzo di mezzi sintattici quale la posizione del verbo. In ogni caso la presenza di tali strategie di codificazione non è diffusa tra le lingue del mondo. La codificazione dei rapporti di marcatezza è discussa in termini generali in Croft (1990: 64-94). 7 Si vedano a questo riguardo le istruttive considerazioni di Bertinetto (2003: 185-190) su certe strutture sillabiche riscontrate nel gaelico di un’isola delle Ebridi e in lingue australiane del North Queensland e sull’interpretazione della costituzione dei sistemi linguistici che esse possono indurre. 193 <?page no="194"?> (2) Italiano L2 (Bernini 1995b: 32) 8 a. (L’apprendente parla delle attività di una giornata) e poi la ca: fè che la patatinë ‘e poi [al] caffè [abbiamo mangiato] le patatine’ b. sì/ noeh l pàpa chelavoro ‘sì, no, il papà lavora’ Come schematizzato nella tabella 1, questo che dell’italiano lingua seconda fa ben da contrappunto al que del guascone esemplificato in (1), che si pone contemporaneamente al confine di topic e comment sul piano pragmatico e al confine tra soggetto e predicato, evidenziati dall’ombreggiatura, per quanto riguarda l’articolazione sintattica della frase. TOPIC COMMENT italiano L2 la ca: fè che la patatinë guascone tot que madura SOGGETTO PREDICATO Tab. 1: Struttura dell’enunciato in italiano L2 e in guascone In base alle premesse illustrate nelle considerazioni fatte finora si tenterà ora di dare risposta, ancorché in via molto problematica, a tre questioni che riguardano, nell’ordine, il piano metodologico, quello teorico e quello dello sviluppo diacronico degli enunciativi. Le risposte a queste domande forniranno una cornice di interpretazione per le funzioni veicolate dagli enunciativi, che, come si vedrà nel corso della trattazione, si possono sviluppare da elementi di natura diversa. (a) La prima questione riguarda la possibilità di individuare gli enunciativi all’interno del più vasto e diffuso repertorio di particelle utilizzate per articolare e modulare il discorso soprattutto orale. Si farà qui riferimento alla tipologia delle particelle chiamate enunciative da Fernandez (1994) e più in generale alle questioni di definizione dei segnali di articolazione del discorso, discussi tra i numerosi altri in Fischer (2006). 8 Per la notazione utilizzata nella trascrizione degli esempi qui riportati si noti che: ‘: ’ indica allungamento della vocale precedente; ‘ë’ indica vocale centrale media non arrotondata; ‘-’ indica intonazione sospensiva e lieve allungamento della vocale finale della parola precedente; ‘/ ’ indica autocorrezione del parlante. 194 Tra struttura dell’informazione e finitezza <?page no="195"?> (b) La seconda questione riguarda la definizione della funzione che gli enunciativi, o elementi ad essi assimilabili, svolgono nell’enunciato. Il modello teorico che meglio si può prestare a integrare gli enunciativi per la loro funzione di espressione della relazione fondamentale dell’enunciato dichiarativo è quello che fa appello alla nozione di finitezza semantica, proposto in Klein (1998, 2006). (c) La terza questione riguarda i tipi di elementi che possono diventare marche enunciative e i processi che ne indirizzano sviluppo e logorio. La considerazione degli enunciativi in prospettiva diacronica deve tenere conto dell’articolazione pragmatica e sintattica insieme degli enunciati. Per questo aspetto, che verrà illustrato soprattutto sulla base di dati romanzi, si rivelerà decisivo l’apporto della nozione di finitezza dell’enunciato elaborata nel modello di Wolfgang Klein (1998, 2006). Le tre questioni sono trattate rispettivamente nelle sezioni 9.2, 9.3 e 9.4. A queste fa seguito la sezione 9.5 in cui si riassumono le generalizzazioni di ordine tipologico che si possono derivare dalla considerazione degli enunciativi dai tre diversi punti di vista qui adottati. 9.2 La definizione di ‘enunciativo’: problemi metodologici Essendo mezzi di espressione dell’asserzione, gli enunciativi fanno parte del più vasto campo dei mezzi di codifica dei vari aspetti dell’organizzazione del discorso e vanno ricondotti alla più generale funzione enunciativa che presiede ogni atto di parola, come argomentato da Fernandez (1994) nel quadro della tradizione teorica francese. Di fatto gli enunciativi condividono con altri segnali di articolazione del discorso il fatto di essere esterni al contenuto proposizionale dell’enunciato, situandosi sul piano dell’organizzazione testuale per quanto riguarda l’articolazione in topic e comment e sul piano dell’interazione per quanto riguarda altri aspetti legati al rapporto tra gli interlocutori e soprattutto la modalità. Il confine tra enunciativi in senso stretto, come il guascone que dell’esempio (1), e segnali di articolazione del discorso con funzioni non esclusivamente legate all’espressione dell’asserzione, mostra zone di sovrapposizione. Ne è un esempio il guascone be (dal latino BENE), che si ritrova in enunciati esclamativi ma anche dichiarativi, come quello esemplificato in (3). In quest’esempio be, come que dell’esempio (1), si ritrova in posizione preverbale in una frase a soggetto sottinteso ed è preceduto da un avverbio di congiunzione con quanto precede. Lo statuto di be è controverso: Pusch (2001: 114), da cui è tratto l’esempio (3), non 195 <?page no="196"?> 196 Tra struttura dell’informazione e finitezza lo equipara all’enunciativo que, ma lo considera un avverbio rafforzativo dell’affermazione, classificandolo quindi più nell’ambito dei segnali di articolazione. Per questo lo glossa come avverbio, interpretazione che è ripresa nella resa che di be si fa nell’esempio (3) 9 . (3) Guascone (Pusch 2001: 115, suo esempio 63) 10 e après bon be demandam de subvencions de/ e poi bene avv chiediamo di sovvenzioni di ‘e poi bene chiediamo delle sovvenzioni’ Nell’esempio (3) be si accompagna al prestito dal francese bon, che in quell’enunciato sembra avere la funzione di un vero segnale di articolazione del discorso e il cui corrispondente guascone è ben. In guascone possiamo così intravedere una sorta di continuum tra l’avverbio ben nel suo pieno significato lessicale e il segnale di articolazione del discorso be(n) con funzione di rafforzamento dell’affermazione che è però contiguo all’espressione dell’asserzione 11 . Un continuum analogo, ancorché senza che si costituisca un polo enunciativo in senso stretto, è rappresentato in francese da bon rispetto a bien e très bien nelle funzioni interazionali di chiusura discorsiva indirizzata a un interlocutore e di traccia di operazione metalinguistica del locutore in relazione al proprio enunciato. Queste caratteristiche di bon sono discusse da Jocelyne Fernandez, che sottolinea come le particelle enunciative, ancorché desemantizzate, “tendent à retenir une partie du sens qu’expriment pleinement leurs homonymes lexématiques” (Fernandez 1994: 97). Per l’italiano, si potranno ricordare in questo contesto bene da una parte e il segnale di articolazione be’ e l’interiezione beh! dall’altra, che hanno sviluppato 9 Anche Hetzron (1977: 162) discute di be nel suo articolo sugli enunciativi del guascone, assegnandolo all’inventario dei morfemi enunciativi. Diversamente da que, che avrebbe statuto neutrale, be costituirebbe però un caso di enunciativo ‘espressivo’. Cfr. anche Bec (1973: 167): “[…] particules dites “énonciatives” (bé, ja, e, que). Ces particules actualisent en principe des nuances subjectives, à l’exception du que qui s’est à peu près grammaticalisé pour devenir une marque systématique de l’énonciation”. 10 Si noti che la traduzione tedesca dell’esempio proposta da Pusch suona “und dann beantragen wir (schon) Zuschüsse”, dove schon, anche se aggiunto tra parentesi, rimarca l’asserzione in tedesco. 11 A questo proposito si vedano anche le osservazioni di Bec (1973: 153) a proposito del limosino, dove in ben “la nasale peut parfois se maintenir, créant ainsi des oppositions intéressantes avec la forme non nasalisée”, come negli esempi: l’ai be vist ‘oui, je l’ai vu’ vs. l’ai ben vist ‘je l’ai vu comme il faut’. <?page no="197"?> 197 funzioni discorsive discusse recentemente da Bazzanella (2006) e, per l’interiezione, da Poggi (1995: 420-422) 12 . Nell’area di confine tra le funzioni enunciative relative all’articolazione del discorso e all’espressione dell’asserzione un settore particolarmente delicato è rappresentato dalle particelle enunciative dette di affermazione. Fernandez (1994: 64-65) discute a questo proposito la particella de del sami orientale parlato intorno al lago Inari (Anár in sami) nella Finlandia settentrionale. La particella si antepone alla risposta affermativa minimale, costituita dalla parola che si trova nello scope della domanda, come nell’esempio (4a). La stessa particella si usa anche con funzione demarcativa per introdurre la frase principale quando questa è preceduta da una frase circostanziale, come nell’esempio (4b). Fernandez (1994: 64) sottolinea il parallelismo prosodico delle due costruzioni a struttura binaria, pur nella loro diversa articolazione sintattica. La struttura prosodica, indicata dalle frecce in (4), comporta un’intonazione ascendente nella domanda in (4a) e nella parte topicale in (4b), e un’intonazione discendente nella risposta in (4a) e nel comment in (4b). (4) Sami E (regione del lago di Inari) (Fernandez 1994: 65) 13 a. Domanda - Risposta Dieð-át-go ↑ dieð-án ↓ sapere-2SG-INTERR AFFERM sapere-1SG ‘Lo sai? ’ ‘Sì, lo so’ b. Topic - Comment Go le-an oahppa-n ↑ de dieð-án ↓ quando essere-1SG apprendere-PART.PASS AFFERM sapere-1SG ‘Quando l’ho/ avrò appreso, lo so/ saprò’ Con questi esempi Fernandez (1994: 65) ben mostra come l’enunciazione spontanea si rifletta nella messa in rilievo della struttura informativa del messaggio. Possiamo però chiederci a questo punto se la particella de del sami orientale non possa essere considerata anche, se non forse esclusivamente, marca di asserzione e acquisisca così valore di enunciativo. Questa interpretazione è riflessa nella glossa AFFERMATIVO che ho voluto attribuire a de, non glossata nella fonte degli esempi (4). 12 Bene e be’ sono discusse da Bazzanella (2006: 453 in particolare) in relazione all’inglese well sulla base delle rese di questo in un corpus di traduzioni. 13 Nella fonte da cui gli esempi in (4) sono tratti, (4a) è tradotto ‘Sais-tu? ’ - ‘Oui je sais’; la traduzione di (4b) è ‘Quand j’aurai appris, je saurai’. <?page no="198"?> 198 Tra struttura dell’informazione e finitezza L’esame dell’esempio sami permette di riconsiderare in una nuova prospettiva il sì detto pleonastico o paraipotattico dell’italiano antico, riflesso etimologico di latino SIC, con originario valore anaforico. In italiano antico sì può accompagnare nelle risposte affermative la parola nello scope della domanda, come darebbe nell’esempio (5), che compare nella risposta negativa seguente preceduto dalla negazione standard non. (5) Italiano antico (Novellino, 33, righe 4-14) 14 Questi due cavalieri s’aveano lungamente amato. L’uno di questi si mise a pensare e disse cossì: “Messere G. ha uno molto bello palafreno. S’io lile cheggio, darebbelm’egli? ” E, così pensando, facea il partito nel pensiero dicendo: “Sì darebbe”; l’altro cuor li dicea: “Non darebbe”. E così, tra ‘l sì e ‘l no, vinse il partito che non lile darebbe. Come è noto, in italiano antico sì compare per lo più come marca di articolazione dell’enunciato, soprattutto in contesti che vedono la sequenza di una frase circostanziale e di una principale. In particolare, come discusso da Molinelli (2010: 243-246), sì si antepone al verbo della principale preceduta da frase temporale, causale, concessiva, finale, o condizionale come nella seconda occorrenza dell’esempio (6). La frase circostanziale può essere esplicita o implicita, come nel caso della prima occorrenza dello stesso esempio (6) 15 . (6) Italiano antico (Novellino, 59, righe 46-49) Quella, udendo questo, sì li ruppe un dente dinanzi; e, s’altro vi fosse bisognato a quel fatto, sì l’avrebbe fatto. Allora il cavaliere, veggendo quello che la donna ne avea fatto di suo marito, disse […]. Nella nota alla riga 47 di questa novella, riportata alla pagina 253 della sua edizione del Novellino, il Favati (1970) definisce il secondo sì dell’esempio (6) ‘asseverativo’, cioè elemento che ‘asserisce con sicurezza’, per citare la definizione nel Dizionario di De Mauro (2000). In base a queste osservazioni è possibile accostare la particella affermativa de del lappone e il sì dell’italiano antico per la funzione da essi svolta nell’articolazione di domanda e risposta e in quella di 14 Gli esempi dell’italiano antico sono tratti dal corpus utilizzato per la Grammatica dell’italiano antico (Salvi e Renzi 2010) e sono citati secondo le convenzioni colà adottate. Cfr. in particolare la “Prefazione” dei curatori. L’esempio è trattato anche in Bernini (2010: 1220- 1221, 1242). 15 Si deve anche osservare che l’uso di sì è variabile, come mostrano i primi due enunciati dell’esempio (6) rispetto al terzo enunciato dello stesso esempio. <?page no="199"?> 199 frase circostanziale e frase principale 16 . L’accostamento è illustrato nella tabella 2, dove le due particelle sono interpretate in termini di marche di asserzione. Anche per l’italiano antico è possibile inquadrare la sequenza di frase circostanziale e frase principale in termini di topic e comment, dal momento che la frase circostanziale fornisce la cornice situazionale per l’asserzione del contenuto della principale 17 . Domanda/ Topic ASS Risposta/ Comment Dieðátgo Go lean oahppan DE dieðán dieðán darebbelm’egli? s’altro vi fosse bisognato a quel fatto SÌ darebbe l’avrebbe fatto Tab. 2: Contesti d’uso di particelle enunciative in sami e italiano antico Così come per il caso del guascone be testé discusso, anche gli usi di sì dell’italiano antico lasciano intravedere un continuum che vede ai poli estremi sì con significato lessicale pieno e dall’altra sì pienamente assertivo. L’uso pienamente assertivo è già stato esemplificato in (5); l’uso anaforico è invece esemplificato in (7), dove sì modifica l’aggettivo grande 18 . (7) Italiano antico (Novellino, 17 (B), riga 18) Sì come elli parlava tra·lloro di sì grande meraviglia L’uso assertivo è confermato da esempi come quello riportato in (8), dove la sequenza di domanda-risposta non è esplicita, ma intessuta nel testo secondo le modalità di produzione dello scritto. In quest’esempio, sì posai a un bel cavaliere risponde, nel discorso diretto, alla domanda contenuta nel testo precedente come interrogativa indiretta (se s’era posata a San Giorgio) in dipendenza del verbo domandare. 16 Il valore semantico-pragmatico di questi usi di sì dell’italiano antico in relazione all’articolazione in topic e comment dell’enunciato è sottolineato anche in Benincà e Poletto (2010: 52), secondo le quali “[…] sì anteposto nella periferia ha l’effetto di far risultare come tema l’elemento che lo precede a sinistra”. 17 La definizione degli elementi che in un enunciato possono essere considerati topicali può essere controversa: l’interpretazione che qui si propone per le frasi circostanziali fa riferimento alla tipologia delle costruzioni per la codificazione del topic proposta in Maslova e Bernini (2006) e in particolare si rifà a quelle costruzioni che codificano il rapporto tra un evento e la sua cornice spazio-temporale o modale. 18 Si veda a questo proposito anche la trattazione di sì in Benincà e Poletto (2010: 49-50). <?page no="200"?> 200 Tra struttura dell’informazione e finitezza (8) Italiano antico (Novellino, 96, righe 34-38) Quelli, riscaldandosi co·llei, domandolla se s’era posata a San Giorgio. Quella volle negare; ma tanto la scalzò, ch’ella disse: “Sì posai a un bel cavaliere; e pagommi finemente. E dicovi ch’io li debbo dare ancora un mazzo di cavoli”. Tra i due estremi, pur con un certo scarto verso il polo assertivo, è possibile porre gli esempi con sì di articolazione tra frase circostanziale e principale, che studi precedenti avevano interpretato in prospettiva testuale. Brambilla Ageno (1978: 442) assegnava a sì funzione di riassunto di ciò che precede e concatenamento della frase; Durante (1982: 114) assegnava invece a sì la funzione di rafforzare la continuità dell’enunciato laddove l’anteposizione della subordinata “crea uno stacco innaturale”. Funzione analoga in relazione alla continuità discorsiva si riscontra anche in francese antico nella particella corrispondente all’italiano antico sì. Marchello-Nizia (1985: 36) che ha dedicato uno studio diacronico a si in francese antico, sottolinea però che l’uso di si è subordinato all’instaurazione esplicita di una situazione di enunciazione che comporta almeno l’evocazione di una coppia di interlocutori nel discorso riportato, come già si è visto per l’italiano antico nella prima parte dell’esempio (8). Per Marchello-Nizia (1985: 52) sono queste le condizioni per cui in antico francese la particella si serve all’espressione della particolare operazione dell’asserzione, nel senso che il locutore si fa carico di enunciare una relazione predicativa. Anche l’indagine di Marchello-Nizia (1985: 11-15) mette in luce un continuum di usi diversi di si che si snodano lungo i secoli di attestazione del francese antico e che si raggruppano in tre macro-categorie, ovvero in funzione di avverbio nel senso di ‘così’, di congiunzione, e infine di ‘avverbio di frase’, cioè di marca di asserzione, qui esemplificata in (9). (9) Francese antico (Prise d’Orange [fine XII sec.], v. 1058; Marchello-Nizia 1985: 11) 19 Tiebauz tes peres si est preuz et gentis ‘Thibaut tuo padre è nobile e coraggioso’ Il riferimento all’articolazione del discorso in topic e comment, ai parallelismi con l’alternarsi di domanda e risposta e all’instaurarsi di una situazione di enunciazione che evoca due interlocutori, permettono così di isolare la funzione di espressione dell’asserzione per certe marche che servono anche altre funzioni di articolazione del discorso. Le considerazioni effettuate a questo riguardo hanno 19 L’esempio è così tradotto in francese moderno nella fonte: “Thibaut ton père, lui, est noble et courageux”. <?page no="201"?> 201 permesso di ampliare la fenomenologia degli enunciativi, comprendendovi oltre a que e be del guascone da cui ha preso le mosse questa trattazione, anche i riflessi del latino SIC in italiano antico e in francese antico in alcuni dei loro usi. Passiamo ora alla seconda delle questioni poste all’inizio di questa trattazione e che è relativa al quadro di riferimento teorico che meglio permette di comprendere il fenomeno che abbiamo osservato. A questo fine vediamo di osservare più da vicino la realizzazione della funzione assertiva nella costituzione dell’enunciato dichiarativo nella sezione seguente. 9.3 Gli enunciativi e la finitezza dell’enunciato Per un enunciato, la possibilità di essere espressione di un atto linguistico è legata alla sua finitezza, una nozione dalla definizione complessa e controversa, affrontata in molti studi sia di approccio formale sia di approccio funzionalista. In generale, come riassunto in Nikolaeva (2007), centrale nella trattazione dei diversi approcci è la finitezza morfologica, che si ritrova, per esempio, nelle forme del verbo delle lingue indoeuropee. Una prospettiva diversa è stata proposta da Wolfgang Klein (1998, 2006), che ritiene la finitezza una categoria di natura semantica e di ordine astratto e non un ‘epifenomeno della flessione verbale’ (Klein 2006). Nel modello funzionale dell’enunciato da lui proposto la finitezza è un operatore, convenzionalmente notato FIN * , con scope su un componente non-finito notato a sua volta convenzionalmente come INF * . Il componente INF * di un enunciato contiene la rappresentazione lessicale del contenuto proposizionale dell’enunciato, che corrisponde alla situazione di cui l’enunciato parla. In esso ritroviamo il verbo con i suoi argomenti e altri elementi opzionali come i complementi circostanziali (Klein 1998: 238-243). L’enunciato realizzato, ovvero finito, è il risultato dell’operazione di congiunzione delle componenti INF * e FIN * ; questa operazione permette l’espressione della validità dell’enunciato. L’operazione di congiunzione comporta due momenti: (a) l’anteposizione di elementi topicali, la cui scelta dipende dalle intenzioni del parlante e dalla costellazione di fattori contestuali che precedono la produzione di un enunciato. Gli elementi topicali precedono la componente FIN * , non essendo compresi nel suo scope (Klein 1998: 241); nel caso in esame qui si tratta degli elementi dell’enunciato che non sono asseriti, bensì presupposti; (b) la scelta di un elemento lessicale all’interno della componente INF * in grado di veicolare le variabili della componente FIN * , che pertengono l’atto linguistico che l’enunciato rappresenta, come l’asserzione nel caso qui in esame, e <?page no="202"?> 202 Tra struttura dell’informazione e finitezza il topic time, ovvero il lasso di tempo per il quale il parlante considera valida la propria asserzione. Nelle lingue indoeuropee, ma non in altre lingue come per esempio il cinese mandarino e altre lingue del sud-est asiatico, l’elemento lessicale in grado di veicolare le due variabili della componente FIN * è un elemento della classe di parola dei verbi, coniugato per modo e tempo, le due categorie grammaticali che si riferiscono, rispettivamente, all’atto linguistico e al topic time. Nel modello di Wolfgang Klein la morfologia verbale flessiva è dunque solo uno dei potenziali riflessi della finitezza di un enunciato nelle sue due variabili fondamentali. L’interpretazione del primo enunciato guascone riportato nell’esempio (1) e nell’esempio (2a) prodotto da un parlante italiano lingua seconda in una fase di apprendimento iniziale può essere ora riconsiderata alla luce del modello di finitezza di Wolfgang Klein. L’interpretazione di quegli esempi, già schematizzata nella tabella 1, è illustrata ora nella tabella 3 secondo la nuova prospettiva adottata, che distingue la componente topic (a sinistra), la componente non-finita (a destra) che nella tabella contiene il materiale lessicale non topicale, e infine, al centro, la componente finitezza nelle sue due articolazioni principali relative all’atto linguistico e al topic time. La tabella 3 riproduce il modello dell’enunciato dopo l’operazione di estrazione degli elementi topicali dalla componente non-finita e la loro anteposizione. TOP FIN* INF* Atto lingu. Topic time guascone tot que+INDIC PRES madurar italiano L2 la ca: fè che Ø la patatinë Tab. 3: La componente FIN * in guascone e in italiano L2 Nell’esempio guascone (cfr. l’enunciato del parlante A in 1) l’enunciativo que esprime l’asserzione in maniera separata e forse ridondante rispetto al modo indicativo, mentre il solo verbo codifica il topic time, che qui apparentemente comprende il momento dell’enunciazione. Nell’esempio di italiano lingua seconda (cfr. 2a) che è invece l’unico elemento lessicale a disposizione dell’apprendente per codificare la finitezza dei suoi enunciati esprimendone almeno la componente assertiva. Nella varietà di apprendimento di questo apprendente non ci sono infatti elementi chiaramente identificabili come appartenenti alla classe di parola dei verbi che possano codificare il topic time. Questo è stato stabilito in <?page no="203"?> 203 ambedue gli esempi dal locutore nativo nella conversazione da cui sono tratti: in (2a) è un perfetto, in (2b) un presente abituale 20 . L’espressione dell’asserzione, compito degli elementi enunciativi secondo l’analisi proposta nella tabella 3, è correlata anche alla struttura informativa dell’enunciato: l’articolazione in topic e comment è infatti parallela all’articolazione in presupposizione e asserzione 21 . Almeno nelle lingue fin qui considerate, gli enunciativi introducono la parte asserita dell’enunciato in una sequenza informazionale del tipo configurazionale discusso in Mereu (2009) 22 ; inoltre essi si riscontrano anche al confine tra frase circostanziale e frase principale, il cui ordine pure riflette l’articolazione tra presupposizione e asserzione, come indagato in prospettiva diacronica per l’italiano da Lombardi Vallauri (1996). La correlazione con la struttura informazionale dell’enunciato e in particolare con l’opposizione ‘presupposizione’ - ‘asserzione’ è alla base dei tentativi di spiegazione dell’origine diacronica dell’enunciativo guascone. L’origine è stata riportata alla struttura delle frasi scisse, dove que sarebbe servito anzitutto per articolare l’informazione dell’enunciato, separando il costituente scisso a fuoco dalla parte presupposta. Questa posizione è assunta in Pusch (2001: 173-242), che riporta l’enunciativo del guascone a costruzioni scisse attestate fin da testi medievali. Il punto più delicato di questa ricostruzione riguarda lo statuto focale - e quindi asserito - dell’elemento iniziale di costruzioni scisse rispetto allo statuto topicale - e quindi presupposto - dell’elemento che precede l’enunciativo in esempi quali quello riportato qui in (1). La proposta di Pusch, per essere plausibile, richiede di individuare contesti in cui venga invertito lo status originario di asserzione e presupposizione rivestiti dall’elemento messo a fuoco nella frase scissa e, rispettivamente, dalla frase dipendente di quella costruzione. Senza entrare qui nell’analisi diacronica delle costruzioni con elementi enunciativi del guascone, ma rimanendo nell’ambito della esplorazione della plausibilità delle spiegazioni proposte, è possibile ipotizzare che lo scambio dello statuto assertivo tra elemento originariamente a fuoco e frase nella costruzione scissa sia partita da certi usi delle costruzioni scisse che sono stati messi in rilievo per l’italiano da Monica Berretta (1995a: 160-161). In questi usi l’elemento in posizione originaria di fuoco è anaforico e la frase seguente è di contenuto 20 Nei termini di Klein, in (2a) il topic time è anteriore al momento dell’enunciazione e si colloca dopo il tempo della situazione. In (2b) invece il momento dell’enunciazione è compreso nel topic time e questo, a sua volta, è compreso nel tempo della situazione. 21 Per la rilevanza di questa distinzione nell’analisi della struttura informativa degli enunciati si veda Lambrecht (1994: 51-65). 22 Configurazionale e non-configurazionale sono macro-tipi. Le lingue configurazionali, come è noto, ricorrono a relazioni gerarchiche e di precedenza nella codificazione morfosintattica della frase, cfr. anche Mereu (2009: 83). <?page no="204"?> 204 Tra struttura dell’informazione e finitezza nuovo rispetto all’andamento del discorso. Come esemplificato in (10) per un circostanziale e in (11) per un soggetto, la costruzione scissa assume in questi contesti una funzione di demarcazione testuale, nella quale “la parte che normalmente dovrebbe essere presupposta viene […] invece asserita, ma come un dato di fatto” (Berretta 1995a: 160) 23 . (10) Ascolta, genovese: vai al loro mercato, è un mercato da ridere. C’è un grosso noce lungo la strada che sale la valle. È lì che lo tengono, sotto il noce. Ci sono noci stupendi in quella valle, grandi come chiese. (Maurizio Maggiani, Il viaggiatore notturno, 2005) (11) Profeta se ne viene avanti lentamente […]. È un dritto anche lui. Non è un tòtaro né una brava persona. È tarchiato e tatuato. Dieci anni fa, era lui che andava a pestare i negozianti, recuperare affitti, spaccare costole e setti nasali. (Melania Gaia Mazzucco, Vita, 2003) Questi contesti rivelano come possa venire meno la funzione di marca di articolazione di una struttura dell’informazione dell’enunciato non canonica per la sequenza di fuoco asserito e componente presupposta e si dia la possibilità di una reinterpretazione della funzione del morfema coinvolto una volta affievolita la consistenza della copula iniziale, come si può presumere sia avvenuto per il que del guascone. Sulla base di queste osservazioni circa la funzione testuale peculiare che le frasi scisse possono assumere in certi contesti, si può ipotizzare che la posizione di que nel punto di sutura tra componente topicale e componente asserita dell’enunciato ne condizioni la rianalisi in funzione assertiva tra i mezzi di marcatura della finitezza. La struttura del tipo SVO, dove è il solo verbo a veicolare le variabili della componente FIN * , verrebbe così equiparata alla struttura S que VO, con l’enunciativo che si accompagna al verbo nell’espressione della finitezza 24 . Queste osservazioni possono servire come filo conduttore nell’esplorazione tipologica volta all’individuazione di mezzi di espressione con funzione analoga a quella individuata per il guascone que. Si possono così riconsiderare tra le 23 Gli esempi (10) e (11) sono tratti dal corpus del Primo tesoro della lingua letteraria italiana del Novecento (De Mauro 2007). 24 Diversa ipotesi è avanzata in Venier (2009: 871-878) sulla base di un più recente lavoro di Pusch (2007). La costruzione enunciativa sarebbe ancorata originariamente in una pseudorelativa dipendente da verbi di percezione. Lo sviluppo dell’enunciativo sarebbe legato alla concomitanza della percezione e dell’evento percepito. A differenza di quanto qui proposto, l’ipotesi di Venier è condizionata soprattutto dalla semantica dei verbi di percezione delle costruzioni da cui l’enunciativo sarebbe derivato. <?page no="205"?> 205 lingue certe costruzioni spesso collegate con l’articolazione dell’informazione, ma di difficile e controversa analisi. Una costruzione di questo tipo è quella che in bretone ricorre alle particelle a e e. Queste particelle precedono il verbo pieno coniugato quando in posizione iniziale ci sia un costituente verbale, nominale o avverbiale. Come dimostrato da Harris e Campbell (1995: 155-158), le due particelle sono il riflesso di elementi relativi utilizzati in costruzioni scisse originariamente bifrasali, evolutesi poi a strutture monofrasali con l’affievolimento e la perdita della copula che introduceva l’elemento messo a fuoco e di cui mancano però attestazioni già nella storia del bretone. L’articolazione dell’informazione nelle frasi con queste particelle è ambivalente rispetto alle funzioni di fuoco e di topic attribuite al costituente iniziale, come discusso da vari autori, tra i quali si ricorda qui Ian Press (1986). Uno studio empirico della Timm (1991) ha messo in luce come nel corpus da lei indagato la cospicua ma non maggioritaria presenza dell’ordine con soggetto od oggetto preverbale comprendesse sintagmi nominali o pronomi con funzione sia di topic sia di fuoco. Senza entrare nel merito di giudizi potenzialmente controversi sulla funzione pragmatica di certi costituenti, interessa qui sottolineare come i soggetti riscontrati nel corpus esaminato dalla Timm servano spesso a segnalare continuità di topic. Nel primo enunciato dell’esempio (12) an dra-se ‘la cosa’ si riferisce all’alga gwalch’e menzionata nel contesto precedente; analogamente l’elemento anaforico ar re-se ‘quelli là’ del secondo enunciato si riferisce agli uomini di Plougerne menzionati poco prima 25 . (12) Bretone (Timm 1991: 287-288; suo esempio 6b-c) 26 [Soprattutto qui c’è l’alga gwalc’he con quella forma] An dra-se a zo mad […] DEF cosa-là PRTC è buona ‘La cosa è buona [per quelli che devono fare molta strada come gli uomini di Plougerne]’ Ar re-se a rank kaoud bagoù DEF quelli-là PRTC deve trovare barche brassoc’h neuise più.grandi allora ‘Quelli allora devono trovare barche più grandi’ 25 Nell’esempio (12) sono evidenziati dal sottolineato sia gli antecedenti, riportati tra parentesi quadre, sia gli elementi anaforici soggetto dei due enunciati compresi nell’esempio stesso. 26 Glosse e traduzione italiana sono di chi scrive. <?page no="206"?> 206 Tra struttura dell’informazione e finitezza L’ordine soggetto - particella - verbo sembra ritrovarsi anche con elementi in qualche modo implicati nell’universo di discorso e la cui conoscenza o identificabilità può quindi essere considerata condivisa da parlante e ascoltatore. Ne sono esempio gli ufficiali dell’esempio (13), compresi in quel contesto nell’insieme di persone che il narratore non vuole che indovinino i suoi pensieri 27 . (13) Bretone (R. Hemon, Mari Vorgan “Sirena”, riprodotto in Press 1986: 285, 289) [I look at the sea, as if furtively. I don’t want anyone to come to guess my thoughts] An holl ofiserien a oar bremañ istor DEF tutti ufficiali PRTC sa ora storia an daou vartolod […] DEF due marinaio ‘All the officers now know the story of the two sailors […]’ Pur osservando il dovuto rigore che richiede la valutazione dei dati, questi usi del bretone mostrano l’affievolirsi della funzione di articolazione dell’informazione delle particelle originariamente relative nello snodo dell’enunciato che ha a che fare con la finitezza. Si noti che in questo tipo di frasi del bretone il verbo non concorda col soggetto per ragioni storiche, oscurando così una delle variabili della finitezza: si veda nell’esempio (13) oar alla terza persona singolare e non plurale, cioè ouzont, forme lenite di goar e rispettivamente gouzont. Il retroterra pragmatico e testuale del potenziale sviluppo di enunciativi ipotizzato per il guascone e che, per certi aspetti, si può intravedere nelle costruzioni con particella preverbale del bretone, è stato notato anche per certi usi del relativo in irlandese e in gallese. Questi usi sono discussi in Sornicola (2006: 433- 437) nella prospettiva di definire le funzioni pragmatiche dei costituenti anteposti in un tipo di frase che in queste due lingue si discosta dall’ordine canonico VSO. La costruzione si ritrova nella storia delle due lingue negli snodi della narrazione, dove costituisce un espediente di progressione testuale. Se ne può vedere un esempio in (14). 27 L’esempio è ripreso da una novella di Roparz Hemon scritta in forma di diario. Il contesto precedente l’esempio, riportato tra parentesi quadre, è tratto dalla traduzione riportata in Press. Le glosse di Press sono state rese in italiano, mentre la traduzione dell’esempio è ripresa dalla fonte. <?page no="207"?> 207 (14) Irlandese (Sornicola 2006: 434, suo esempio 80) 28 [Quel giorno mi ammalai dopo essere tornato a casa dalla semifinale] Slaghdán a tholg mé […] raffreddore REL attaccò me ‘Presi un raffreddore [per aver sudato e dormito fuori]’ Esempi analoghi, ancorché non frequenti, nei quali il soggetto è collegato al resto della frase da che, si ritrovano negli snodi narrativi anche in italiano, sia parlato sia scritto, come illustrato in (15) e rispettivamente in (16). Questi esempi, a cui corrisponde la struttura di infinito narrativo descritta in Fava e Salvi (1995: 53-54), non hanno la funzione delle frasi scisse, ma sembrano più vicini alle frasi presentative, pur non condividendone altri contesti d’uso 29 . (15) ma che dolore che mi dà ma poi è una bambina che mai diciamo anche io sempre domando XYZ come vai * lei sempre che mi dice male dappertutto ma vero è * (LIP Firenze, testo di tipo A, 14 4 B) 30 (16) Ma è lì davanti al bar che avvengono i primi scontri. Sedie che volano, botte, la polizia che sfodera i manganelli per separare i due gruppi, “quelli in corteo erano una cinquantina, dall’altra quattro o cinque persone”. (la Repubblica, 27.07.09, p.-19) Gli esempi fin qui discussi permettono di ipotizzare una sorta di continuum tra la funzione di articolazione dell’informazione e l’espressione della variabile dell’atto linguistico nella componente di finitezza dell’enunciato, un continuum che sarebbe alla base dello sviluppo di enunciativi in diacronia 31 . Il guascone que rappresenterebbe lo stadio finale di un processo evolutivo ancorato negli usi testuali qui illustrati, soprattutto quelli narrativi, condivisi dalle particelle del 28 Glosse e traduzione in italiano sono di chi scrive. 29 Raffaele Simone fa osservare che la presenza di che nell’esempio (16) sposta in secondo piano enunciati che verrebbero altrimenti interpretati come episodi di primo piano in successione. La funzione di snodo testuale di queste costruzioni è in effetti correlata con la più generale funzione di ambientazione, oltre che di commento, riservata agli enunciati di secondo piano. 30 La fonte è il corpus fiorentino del Lessico (di frequenza) dell’Italiano Parlato, cfr. De Mauro et al. (1993). I testi di tipo A riproducono “scamb[i] comunicativ[i] bidirezional[i] con presa di parola libera faccia a faccia” (p.-40). 31 L’interpretazione dello sviluppo di enunciativi in termini di continuum è condivisa da Venier (2009: 878 in particolare), per la quale il continuum raccorda funzioni diverse dello stesso elemento, ovvero que (e italiano che) relativo, pseudorelativo e alla fine enunciativo. <?page no="208"?> 208 Tra struttura dell’informazione e finitezza francese e dell’italiano antico derivati dal latino SIC. La nozione di finitezza semantica nel modello di Wolfgang Klein (1998, 2006) fornisce un quadro unitario per l’interpretazione di questi fenomeni apparentemente disparati, ma in realtà collegati nelle operazioni che presiedono l’attualizzazione di un enunciato, cioè l’articolazione dell’informazione con l’anticipazione degli elementi topicali e la scelta di elementi per l’espressione delle variabili della categoria FIN * . Da ultimo è rilevante osservare che l’insieme degli elementi qui considerati si ritrova quasi esclusivamente in frasi positive. Nel corpus di guascone considerato in Pusch (2001: 159-165) solo 21 frasi negative su un totale di 505 contengono un enunciativo, talvolta riconducibile a particolari contesti di discorso, come quelli avversativi, per i quali è riportato un esempio in (17). (17) Guascone (Pusch 2001: 163, suo esempio 131) poderíem continuar damb donar d’ hèt(e)s potremmo continuare con dare di fatti istoriques mes que non ei pas era pena storici ma ENC non è NEG la pena ‘potremmo continuare con fatti storici, ma non ne vale la pena’ 32 In bretone le cosiddette particelle preverbali si ritrovano solo in frasi positive, come mostra la coppia di esempi in (18). Questa coppia di esempi, che richiama la coppia sì darebbe, non darebbe dell’esempio (5), esemplifica lo scivolamento della particella bretone a verso la funzione assertiva, sottolineata dalla sua accentazione nell’originale sonoro, di cui la fonte riporta la trascrizione IPA. (18) Bretone (estratto dalla novella Nebeut a dra! … “A Mere Nothing” di Yvon Crocq, riportato in Press 1986: 276; trascrizione IPA da p.-278) […and it was me washed the dishes, I remember it very well! ] - N’ eo ket gwir! NEG è NEG vero ‘Non è vero! ’ - A zo gwir! [ˈazo ˈgwir] PRTC è vero ‘È vero! ’ 32 Traduzione nella fonte: “wir könnten weitermachen mit historischen Fakten aber das lohnt der Mühe nicht”. <?page no="209"?> 209 L’incompatibilità, ancorché non esclusiva, di elementi assertivi e negativi induce a riconsiderare la posizione della polarità rispetto all’asserzione e al rapporto tra negazione e finitezza dell’enunciato, un argomento che merita però una trattazione a sé. 9.4 Sviluppo e logorio degli enunciativi in diacronia Le osservazioni di metodologia e di inquadramento teorico svolte nelle sezioni precedenti hanno permesso di formulare già una risposta alla terza domanda di ricerca posta all’inizio di questo contributo, cioè quella relativa più specificamente allo sviluppo di enunciativi in diacronia e al loro logorio. In termini generali, la relativa rarità di enunciativi tra le lingue del mondo sembra essere riflessa nella loro relativa fragilità. Nell’ambito delle tradizioni qui considerate, i riflessi di latino SIC che si ritrovano sul crinale tra elementi di organizzazione dell’informazione nell’enunciato e elementi assertivi, come discusso nella sezione 9.2 per l’italiano antico e il francese antico, mostrano un relativo declino tra il XIII e il XV secolo in ambedue le lingue. Per l’italiano il declino è descritto da Durante (1982: 115) e per il francese antico da Marchello-Nizia (1985: 200) 33 . Processi di erosione si riscontrano anche per le particelle che nelle lingue celtiche sono derivate da costruzioni scisse, che sono spesso cancellate lasciando traccia della costruzione originaria a due livelli: i) a livello fonologico nella mutazione della forma del verbo, come in gred per kred nell’esempio (19); ii) a livello sintattico nell’ordine dei costituenti SVO a cui danno luogo se è il soggetto l’elemento originariamente focalizzato 34 . 33 La questione è trattata per il napoletano antico da De Caprio e Montuori (2009), che discutono anche dei problemi editoriali che l’interpretazione corretta di sì comporta. Nel logorio di sì essi mettono in rilievo anche le banalizzazioni dei copisti che possono rendere sì con se (p.-373). 34 Anche l’enunciativo guascone è soggetto a variabilità. Marginalmente, si può anche notare che nella particolare situazione diacronica dell’apprendimento dell’italiano come lingua seconda, il che illustrato in (2) è abbandonato non appena la varietà di apprendimento si arricchisce di forme verbali flesse, cioè degli elementi lessicali che si fanno carico anche della codificazione dell’asserzione come nell’italiano dei nativi, cui tende ad avvicinarsi il processo di apprendimento. <?page no="210"?> 210 Tra struttura dell’informazione e finitezza (19) Bretone (Hemon 1984: 175; grafia come nella citazione della fonte) mé Ø grèd (cfr. krediñ ‘credere’) io credo ‘Credo’ Nella sezione 9.3 è stato illustrato e commentato l’insorgere di enunciativi da marche di articolazione dell’informazione in seguito al reinstaurarsi di una sequenza presupposizione - asserzione a partire da una frase scissa. Le condizioni che sembrano favorire questo processo di sviluppo in diacronia si ritrovano anche nell’emergere di usi enunciativi dei riflessi di latino SIC in francese e italiano antichi, che sono ancorati nel punto di snodo dell’articolazione dell’enunciato in componente presupposta e asserita. Le indagini di Suzanne Fleischman (1991, 1992) sullo sviluppo di si in antico francese ne hanno evidenziato la funzione di marca di continuità di topic in un quadro sintattico caratterizzato dalla non-obbligatorietà dell’espressione di pronomi soggetto e da un “rhythmico-syntactic ‘verb second’ […] constraint” (Fleischman 1992: 435). Il logorio di si sarebbe quindi derivato dallo sviluppo di pronomi soggetto preverbali obbligatori in fasi posteriori al francese antico. Nel quadro teorico della finitezza dell’enunciato, la funzione di si in antico francese viene comunque a segnalare una nuova asserzione rispetto a qualcosa di presupposto nel discorso, l’aspetto invece sottolineato da Marchello-Nizia (1985). Diversamente dagli enunciativi sviluppatisi da frasi scisse, come nel caso del guascone, i riflessi di latino SIC continuano usi testuali già attestati nel latino tardo. Questi usi sono stati trattati da diversi studiosi, fra i quali si ricordano Schiaffini (1954) e Zamboni (2000: 205) 35 . Hannah Rosén (2009: 356-357), nella sua sintesi delle funzioni delle particelle connettive del latino, indica per SIC le funzioni copulativa e additiva non prima della fase romanza 36 , funzioni che si sarebbero sviluppate a partire da quelle di indicare sequenza temporale nel latino tardo. Le diverse piste evolutive di SIC verso la congiunzione copulativa şi del rumeno da una parte e la marca di continuità di topic si del francese antico dall’altra sono state indagate da Manoliu-Manea (2003), che le fa risalire all’originale uso di SIC per indicare ‘uguaglianza’ mediante inclusione in un insieme sovraordinato di due o più elementi, come i catecumeni e i fedeli dell’esempio (20), tratto dalla Peregrinatio Egeriae. 35 Ve ne è attestazione anche in uno dei testi che si pongono all’inizio della tradizione italiana, l’Indovinello veronese, come ha argomentato Baggio (1992) per se iniziale in se pareba boues. 36 Rispettivamente chiamate adjoining e supplemental nella sua terminologia. <?page no="211"?> 211 (20) Cum autem hoc factum fuerit, benedicuntur cathecumini, sic fideles, et hora iam nona descenditur inde […]. (Aeth. 43.6; citato anche in Manoliu-Manea 2003: 161, es. 5) Nell’uso qui illustrato, SIC è molto spesso accompagnato nella Peregrinatio dalle congiunzioni et e ac, come in (21), dove gli elementi coinvolti sono interi enunciati, indicati in corsivo. (21) […] donec commonetur episcopus; similiter descendet et non sedet, sed statim intrat intra cancellos intra anastasim, id est intra speluncam, ubi et mature, et inde similiter primum facit orationem, sic benedicet fideles, et sic exiens de intro cancellos similiter ei ad manum acceditur. (Aeth. 24.3) Laddove gli enunciati coinvolti sono distanziati nel testo, come in (22), si rivelano i contesti in cui SIC acquisirà le funzioni testuali e assertive dell’italiano e del francese antichi. (22) usque ad horam sextam omnis populus transit, per unum ostium intrans, per alterum [per alterum] perexiens, quoniam hoc in eo loco fit, in quo pridie, id est quinta feria, oblatio facta est. [XXXVII. 4] At ubi autem sexta hora se fecerit, sic itur ante Crucem, siue pluuia siue estus sit […] (Aeth. 37.3-4) Il logorio degli usi romanzi di SIC ha isolato sia in francese che in italiano gli usi olofrastici, che hanno mantenuto e rafforzato la funzione assertiva finendo per costituire la classe delle profrasi. Come è noto, in francese si è asserzione di un contenuto proposizionale in replica a un enunciato negativo antecedente, uso che si diffonde a partire dalla metà del XV secolo (Marchello-Nizia 1985: 215). All’inizio di questo sviluppo può essere posto l’utilizzo di si come enunciativo nella risposta non olofrastica attestata già nel XII secolo e riportata in (23), che si configura come un atto commissivo. Questo esempio ben fa da contrappunto a quanto discusso per l’italiano antico e per il lappone nella sezione 9.2. (23) Francese antico (Mystère d’Adam, vv. 213-215, riportati in Marchello-Nizia 1985: 192) Diabolus - Orras me tu? ‘Mi ascolterai? ’ <?page no="212"?> 212 Tra struttura dell’informazione e finitezza Eva - Si frai bien : Ne te curcerai de rien. ‘Lo farò. Non ti contrarierò in niente’ In italiano moderno, sì compare in frasi scisse che mettono a fuoco l’asserzione, come in (24a) e anche in (24b), dove ciò che è asserito è un contenuto proposizionale negativo. Anche no può focalizzare l’asserzione di un enunciato negativo come in (24c), riproponendo la diversa posizione che la negazione può assumere rispetto all’asserzione, come già si è discusso 37 . (24) a. - L’ha fatta piangere, meschina. Meschina… Di questo sì che si può parlare. (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006: 440) b. - Io mi vesto sempre così. È la mia uniforme. - No, oggi sei vestito più elegante del solito. Ecco un’altra cosa che deve avere una ragione precisa; ma questa sì che non mi riguarda. (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006: 250) c. - Sta per succedere questo, stellina? Sta per succedere questo? Ma no che non succede […] (Sandro Veronesi, Caos calmo, 2006: 29) La considerazione diacronica di potenziali enunciativi nel quadro teorico della finitezza degli enunciati può anche gettare luce su elementi italo-romanzi quali il cosiddetto pronome proclitico a, che secondo il Rohlfs (1968: 142), “[…] dalla prima persona singolare sembra essersi meccanicamente generalizzato alle altre persone”. Se ne dà un esempio in (25) per il bergamasco, dove a è anteposto a un presentativo all’inizio di una fiaba. (25) Dialetto bergamasco (da Anesa e Rondi 1981: 487) A gh’éra ol Signùr e Sàn Piéro […] ASS? c’era il Signore e San Pietro ‘C’erano il Signore e San Pietro […]’ 37 Gli esempi (24) sono tratti dal corpus del Primo tesoro della lingua letteraria italiana del Novecento (De Mauro 2007). <?page no="213"?> 213 Lo statuto pronominale di questo elemento è messo in dubbio da Vanelli (1998: 33-34, nota 11) anche in riferimento a Benincà (1983 = 1994), che per il padovano ha rilevato la posizione prima della negazione e la presenza in base alla pragmatica dell’enunciato, per “dare la frase come tutta nuova” (1994: 18) e per indicare “che non c’è niente nella posizione TOP” (1994: 25) 38 . Si tratta di indizi che, sullo sfondo del modello della finitezza dell’enunciato, possono parlare a favore di un’interpretazione come marca di asserzione anche di questo elemento, non obbligatorio come già il que del guascone e il sì dell’italiano antico. 9.5 Conclusioni Questo contributo ha voluto fornire una cornice di interpretazione degli enunciativi in un modello funzionale che permetta di riconsiderare elementi diversi come manifestazioni della stessa tendenza funzionale. Le osservazioni metodologiche e teoriche qui fornite possono essere preliminari a direzioni di ricerca più specifiche che si possono sintetizzare come segue. (a) Nell’approccio funzionale, la costituzione di enunciativi rappresenta forse un caso limite nella costituzione di elementi grammaticali nel senso discusso in Giacalone Ramat (1998). La grammaticalizzazione di enunciativi è indotta dalla contiguità delle funzioni di articolazione dell’informazione e di espressione della finitezza dell’enunciato. D’altro canto, la fragilità degli enunciativi che traspare dalla loro non obbligatorietà e dal loro logorio è un buon campo di indagine per i processi di degrammaticalizzazione studiati da Paolo Ramat (2005), che riflettono forse una instabilità nella competenza dei parlanti. (b) Nell’approccio formale il quadro teorico qui proposto può servire per precisare la posizione della componente assertiva come già tentato da Campos (1992) e gettare luce sulla posizione da assegnare alla negazione nella struttura della frase. (c) Infine, in prospettiva tipologica, le considerazioni qui presentate sugli enunciativi dovrebbero servire a delimitare l’ambito in cui essi possono riscontrarsi e generarsi tra le lingue. L’ambito è definito dalle operazioni che concorrono all’attualizzazione dell’enunciato e all’espressione della sua finitezza, non solo per quanto riguarda gli enunciati dichiarativi qui considerati ma, 38 Nel quadro teorico del minimalismo chomskyano, Manzini e Savoia (2005) collegano a con la categoria denotazionale D di Definitezza, con la quale è identificata la proprietà EPP (= Extendend Projection Principle) che definisce il soggetto (p.-14), rimanendo quindi nell’ambito della sua funzione di accordo. <?page no="214"?> 214 Tra struttura dell’informazione e finitezza in prospettiva più ampia, anche quelli che realizzano atti linguistici diversi, per esempio iussivi, proibitivi o interrogativi, come per le particelle di frase studiate in Damonte e Garzonio (2008). Quest’ambito è sensibile da una parte anche alla pressione delle strategie di articolazione del discorso nei confronti degli interlocutori, come messo in luce in Fernandez (1994), e dall’altra parte si raccorda con la codificazione della modalità soprattutto epistemica, di cui potrebbe rappresentare il termine non marcato. Abbreviazioni AFFERM affermazione AVV avverbio ASS asseverativo DEF (articolo) definito ENC enunciativo INTERR interrogativo PART participio PASS passato PTRC particella REL relativo SG singolare 1, 2, 3 prima, seconda, terza persona <?page no="215"?> 10 Il plurilinguismo emergente nell’istruzione superiore italiana* 10.1 Introduzione Il Gruppo di Studio sulle Politiche Linguistiche (= GSPL, cfr. http: / / sli-gspl.eu/ ) ha elaborato “Sette tesi per una politica linguistica democratica”, che rappresentano un punto di riferimento imprescindibile per la riflessione sui tanti aspetti che occorre considerare per tentare di regolare gli usi delle lingue che i parlanti fanno in comunità plurilingui e non, in modo che sia garantito a tutti pari sviluppo cognitivo e sociale evitando che la maggior competenza in una delle varietà o lingue di un repertorio dia luogo a discriminazioni nei domini della famiglia, della scuola, del lavoro, dell’integrazione sociale in generale 1 . La quinta delle Sette Tesi, qui di seguito riportata, è dedicata in particolare al plurilinguismo degli individui e al multilinguismo delle società dei paesi e merita di essere presa in considerazione oltre l’orizzonte di condivisione culturale e di risultati scientifici riconosciuti relativi al tema che tratta. * Tratto da: Tempesta, Immacolata/ Vedovelli, Massimo (a cura di), Di linguistica e di sociolinguistica: studi offerti a Norbert Dittmar. Roma, Bulzoni, 2013: 107-116. Dedico con affetto questo contributo a Norbert Dittmar, che ha segnato la mia carriera di studioso anzitutto nei tempi dello studio dell’acquisizione di lingue seconde, e poi come maestro nei progetti di ricerca nati dalla collaborazione tra la Freie Universität Berlin e l’Università di Pavia negli anni ’90 del secolo scorso e ancora nell’ambito del gruppo europeo coordinato dal Max-Planck-Institut für Psycholinguistik di Nimega (progetto Structure of the Learner Language) per tutti i primi anni 2000. Il tema qui trattato è ancora relativo alle lingue seconde, ma nell’ottica delle politiche linguistiche che occorre elaborare per regolare in maniera ordinata l’alternarsi di italiano - nel caso qui in esame - e inglese nei percorsi di studio universitario. Il lavoro qui presentato è parte del progetto di ricerca interuniversitario “Lingua seconda/ lingua straniera nell’Europa multilingue: acquisizione, interazione, insegnamento”, finanziato con fondi PRIN 2009 del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca assegnati all’Università degli Studi di Bergamo. 1 Le Sette Tesi sono consultabili all’indirizzo telematico: http: / / sli-gspl.eu/ le-sette-tesi/ . Alla loro discussione è stato dedicato un incontro a Roma nei giorni 3 e 4 maggio 2013. In quell’incontro è stata presentata una prima versione di questo lavoro. <?page no="216"?> Tesi 5 2 Il plurilinguismo degli individui e il multilinguismo delle società e dei paesi è un valore da tutelare e promuovere in una prospettiva che voglia essere democratica: a esso dunque occorre ispirare analisi e proposte in materia di pratiche educative, politiche linguistiche implicite o esplicite e promozione di studi e ricerche, fatta salva l’opportunità storica e civile di assicurare e promuovere altresì, per quanti lo vogliano, la convergenza dei cittadini di uno stesso paese multilingue verso l’apprendimento e l’uso di una stessa lingua negli usi pubblici e ufficiali. La proposizione di tesi con l’auspicio di una loro validità generale, se non universale, comporta implicitamente la verifica preliminare della bontà della loro formulazione, pur nella difficoltà di operare generalizzazioni di un livello di astrazione più basso di quello del testo, attraverso la ricca varietà di situazioni cui esse si applicano. Tenterò di affrontare questo compito in una prospettiva applicata e limitandomi alla quinta tesi, sottoponendo i suoi contenuti a una sorta di prova di trazione, costituita dal plurilinguismo emergente nell’istruzione superiore italiana. La prova di trazione toccherà i tre nuclei della quinta tesi, evidenziati in corsivo nel testo qui sopra riportato, ovvero il valore rappresentato dal plurilinguismo degli individui e dal multilinguismo delle società, le politiche linguistiche che ad esso occorre ispirare 3 , l’auspicio di una convergenza verso l’apprendimento e l’uso di una stessa lingua a fini pubblici e ufficiali nel contesto multilingue di un paese. Nel testo della quinta tesi si possono leggere in filigrana gli insegnamenti tratti dalla storia linguistica dell’Italia postunitaria, compiutamente descritta in De Mauro (1963). Questi vengono proposti in termini positivi: si riconosce il ruolo dell’italiano come lingua di convergenza rispetto ai dialetti e alle lingue minoritarie e si riconosce il contributo dei dialetti alla ricchezza del repertorio multilingue del territorio della Repubblica e plurilingue dei suoi cittadini, pur nell’assenza di adeguate linee di pratica educativa e politica lungimirante già invocate da Graziadio Isaia Ascoli (1873, in particolare le pp. 13-14 e 30 della ristampa del 1975). Le scelte di politica linguistica invece perseguite sono ora ripercorse in Orioles (2011), che sottolinea la mancanza di attenzione pubblica anche nella attuale ristrutturazione dei rapporti interlinguistici indotti in tempi recentissimi dall’integrazione economica, tecnologica e socioculturale a largo raggio e che ha visto l’emergere dell’inglese come lingua veicolare di maggior diffusione. Ciò ha comportato l’allargamento anche funzionale di quello che Ka- 2 Corsivi di chi scrive. 3 Comprendo nella nozione di “politica” ogni pratica che ad essa può essere ricondotta a cominciare da quelle educative. 216 Il plurilinguismo emergente nell’istruzione superiore italiana <?page no="217"?> chru (1985) ha definito l’“expanding circle” dell’inglese, cioè l’area di diffusione di questa lingua come lingua veicolare oltre il cosiddetto “outer circle”, dove essa si è sovrapposta a diverse lingue locali soprattutto negli stati ex-colonie del Regno Unito. Lo “outer circle” è secondo Kachru il primo anello di espansione dell’inglese, originariamente limitato ai paesi dello “inner circle”, dove è parlato dalla stragrande maggioranza della popolazione come lingua nativa. La ristrutturazione in atto nei rapporti interlinguistici coinvolge ora l’istruzione superiore italiana con la diffusione dell’inglese come lingua dell’insegnamento e dello studio, che nell’anno accademico 2011/ 12 ha coinvolto ben 359 corsi di studio tra baccellierato, lauree magistrali e dottorati secondo i dati pubblicati dalla CRUI (Bernini 2012a: 161-162). Il fenomeno tocca tutti i paesi europei e molti paesi extra-europei come la Turchia, ed è anche all’attenzione dell’ultimo numero dell’“AILA Review” (cfr. Smit e Dafouz 2012). Questo processo di plurilinguismo emergente si presta dunque bene alla verifica della bontà della formulazione della quinta tesi. 10.2 Valore La quinta tesi si apre con l’affermazione del valore intrinseco di plurilinguismo degli individui e multilinguismo dei paesi, correlandone tutela e promozione con l’impostazione della democrazia. La formulazione idealista qui adoperata presuppone rapporti equilibrati tra le varietà di un repertorio, ancorché esse non siano in posizione equipollente nell’uso che i parlanti possono o debbono farne nella società in cui si trovano a convivere, come è ampiamente noto dalle situazioni di diglossia e, nella realtà italiana attuale, di dilalìa (Berruto 2012, ma 1987). Nell’ambito dell’istruzione superiore qui in esame l’utilizzo dell’inglese nei corsi di studio di diverso livello riconfigura il repertorio linguistico, introducendo una lingua veicolare a largo raggio di comunicazione accanto alla lingua nazionale e a una o più varietà locali con minore raggio di comunicazione, almeno nelle scelte individuali degli studenti e dei docenti coinvolti e almeno in quell’ambito. L’arricchimento del repertorio e delle potenzialità comunicative costituisce un valore nel quadro dell’internazionalizzazione delle università, promossa dalla European University Association e definita “the process of integrating an international, intercultural or global dimension into the purpose, functions or delivery of higher education” (Knight 2008). Si tratta di un complesso di processi obbligati nella formazione dell’area europea dell’istruzione superiore avviata dalla Dichiarazione di Bologna del 19 giugno 1999 con l’obiettivo di formare i futuri cittadini dell’Unione europea. I corsi in inglese dell’università italiana si aggiungono con un certo ritardo ai 2400 attivati fino al 2007 in 401 217 <?page no="218"?> università di diversi paesi europei, ma principalmente nei Paesi Bassi, in Germania, in Finlandia e in Svezia, secondo le statistiche pubblicate in Wächter e Maiworm (2008: 19). Con la sua adozione come lingua di insegnamento e di studio, lo status della lingua inglese viene a cambiare: da materia di studio nella scuola e nell’università al di fuori del repertorio linguistico della comunità sociale, essa diventa parte di questo repertorio come lingua di relazione e di studio. Conseguentemente lo status dell’inglese cambia anche nella pratica didattica: il suo utilizzo nell’insegnamento di qualsiasi disciplina per favorirne l’apprendimento incidentale nella pratica nota come CLIL (Content Language Integrated Learning) muta ora nel suo utilizzo come mezzo di trasmissione di contenuti disciplinari nella EMI (English Medium Instruction). La differenza di status della lingua seconda nella pratica CLIL e nella pratica EMI incide però negativamente sul valore del plurilinguismo emergente. Per la sua natura, focalizzata sul contenuto, la pratica CLIL si presta a favorire il plurilinguismo degli allievi, in quanto la didattica disciplinare in lingua seconda si accompagna a quella in lingua prima; la pratica EMI, con il suo cambio di prospettiva, favorisce invece il monolinguismo, imponendosi come unico mezzo di trasmissione delle conoscenze. Inoltre, come messo in luce da Airey (2012: 64), a ogni processo di apprendimento disciplinare è sotteso un processo di apprendimento linguistico. L’introduzione dell’inglese innesta quindi un conflitto nella delicata fase finale del percorso di formazione dei giovani cittadini, interferendo con il coronamento dell’acquisizione dell’italiano lingua prima iniziato in tenera età e ora affinata con l’esposizione alle strategie di discorso delle tradizioni scientifiche 4 . Tale situazione incide negativamente sul valore del plurilinguismo e del multilinguismo per le conseguenze che esso può avere sulla formazione, per la quale verrebbero a mancare adeguati mezzi linguistici di comprensione, elaborazione ed esibizione se affidata a una lingua seconda la cui competenza non può che essere inferiore a quella dell’italiano. L’incidenza negativa sul valore affermato dalla quinta tesi di questi aspetti specifici del plurilinguismo emergente nell’università italiana è consolidata e aggravata dal contesto più generale di pratiche e concezioni linguistiche orientate sul prestigio dell’inglese. Ne hanno trattato Baldi e Savoia (2006) con attenzione alla lingua come veicolo di identità e ai processi della cosiddetta globalizzazione, e più recentemente Claude Hagège (2012) nell’intervento polemicamente appassionato intitolato Contre la pensée unique, dove si distingue tra globalisation, 4 Si veda a questo proposito l’illustrazione di alcuni dettagli di questo conflitto in Bernini (2012a: 155-158). 218 Il plurilinguismo emergente nell’istruzione superiore italiana <?page no="219"?> ovvero la diffusione mondiale di merci industriali e culturali a partire da certe regioni del mondo (2012: 88), e mondialisation, ovvero “l’établissement, entre des territoires ou des parties de leurs industries, d’interdépendances économiques que l’on peut définir comme asymétriques” (2012: 85). L’inglese è una delle manifestazioni della mondialisation. Il rapporto asimmetrico dell’inglese, insieme a una concezione dell’internazionalizzazione più simile alla mondialisation di Hagège, è illustrata dal seguente frammento di cronaca locale tratto da un’intervista de l’Eco di Bergamo del 20 marzo 2013 (p.- 27) al direttore generale del nuovo ospedale Papa Giovanni XXIII 5 : […] ma anche chi sceglie di essere curato qui venendo per esempio dai Paesi dell’Est o dai Paesi emergenti. E accogliere questa utenza significa avere personale con una vocazione internazionale: sarà necessario che sappiano parlare inglese, per esempio. Il rapporto asimmetrico è evidente nei dati ISTAT del 2006 relativi alla dichiarazione di conoscenza dell’inglese e del francese, presentati da Lorenzo Còveri (2013) nel recente convegno fiorentino sulle Città d’Italia: dichiara di avere una qualche conoscenza dell’inglese il 43% degli intervistati, contro il 29,1% che dichiara una qualche conoscenza del francese, dato sul quale pesa però l’82% degli intervistati della valle d’Aosta. 10.3 Politiche linguistiche La fragilità del valore di plurilinguismo e multilinguismo, qui mostrata per il caso della nostra prova di trazione, è presupposta dalla quinta tesi, che sottolinea la necessità di consolidarlo con una serie di misure, tra le quali centrale è l’elaborazione di politiche linguistiche. Questo compito richiede la considerazione di tre fattori: - le pratiche effettive dei parlanti, come p. es. la scelta dell’inglese come lingua dell’istruzione superiore, - le loro concezioni circa il valore o il prestigio delle varietà disponibili, come p. es. quella che traspare dall’intervista al direttore generale del nuovo ospedale di Bergamo riportata in 2, - l’impegno di “gestori” che sappiano proporre e controllare i comportamenti linguistici auspicati, come descritto in Wilkinson (2011) per l’università di Maastricht e in Salö (2010) per molte università svedesi. 5 Corsivi di chi scrive. 219 <?page no="220"?> 220 Il plurilinguismo emergente nell’istruzione superiore italiana Sono queste le componenti di “politica linguistica” nel senso di una condotta politica relativa alle lingue, per le quali è difficile assestare una teoria capace di “account for the language choices made by individual speakers on the basis of rule-governed patterns recognized by the speech community (or communities) of which they are members”, come propone Bernard Spolsky (2009: 1) nell’introduzione del suo recente libro Language management. L’emergere del plurilinguismo nell’istruzione superiore italiana è il risultato della pressione esercitata da fattori in sé non relativi all’uso delle lingue: la formazione di uno spazio europeo dell’istruzione superiore da una parte, l’adeguamento ai criteri di costruzione delle graduatorie tra università, che misurano anche l’attrattività per docenti e studenti stranieri, dall’altra parte. L’affermazione del valore positivo del plurilinguismo ricade quindi nella responsabilità delle autorità accademiche che introducono l’inglese nei propri corsi di studio. Il richiamo a questa responsabilità può essere più efficace se formulato in termini di raccomandazioni propositive e meno efficace se formulato in termini di semplici affermazioni astratte o ancora di richieste negative. Esempio di questa seconda linea di condotta è la petizione presentata in Francia dall’Association historique de didactique du français langue étrangère al Ministero dell’istruzione superiore e della ricerca al fine di mantenere l’utilizzo del francese come lingua dell’istruzione superiore di contro all’introduzione dell’inglese (cfr. “Pétition pour le maintien de l’usage du français dans l’enseignement supérieur” all’indirizzo telematico http: / / petitionpublique.fr/ Default. aspx? pi=UFS2013. Nel caso qui in esame, una linea di condotta propositiva può essere articolata in cinque punti, in relazione alle tre componenti di una politica linguistica, come qui indicato. Dal punto di vista delle scelte, si può prevedere: 1. l’introduzione graduale dell’inglese a partire dai corsi di laurea magistrale in modo da innestarsi su una competenza solida in italiano acquisita nel livello inferiore del baccellierato; 2. l’introduzione differenziata dell’inglese tra aree disciplinari in relazione alla struttura della conoscenza in esse elaborata e al tipo di struttura discorsiva che in esse si pratica. L’inglese potrà essere più diffuso nelle aree a struttura gerarchica della conoscenza, come la fisica, meno diffuso in quelle a struttura orizzontale della conoscenza, come la sociologia e, nonostante tante proposte, anche la linguistica (Airey 2012: 67-69). Per quanto riguarda poi la concezione delle lingue e del loro uso, si può prevedere: <?page no="221"?> 221 3. la libertà di scelta della lingua di istruzione, offrendo gli stessi corsi e insegnamenti nelle due lingue coinvolte, italiano e inglese; 4. la costituzione di un ambiente realmente multilingue con insegnamenti tenuti in inglese da docenti italiani e stranieri per studenti sia italiani sia stranieri; l’inglese acquisisce così lo status di lingua veicolare e dello studio e il suo uso non risulta affettato, come lo sarebbe nelle interazioni tra soli italofoni. Infine, per quanto riguarda il management, ovvero la gestione dei comportamenti linguistici, si può prevedere: 5. l’adozione di misure di osservazione delle condizioni delle interazioni multilingui da parte di studenti e docenti e dei loro effetti sui risultati dell’apprendimento disciplinare. Queste misure sono anche preliminari a misure di pianificazione linguistica in senso stretto, relative al tipo di inglese utilizzato e ai livelli di competenza in entrata e in uscita. Solo in base all’osservazione delle effettive interazioni sarà possibile individuare l’addensarsi di tratti specifici di varietà di apprendimento in quello che è ormai definito inglese lingua franca, descritto compiutamente da Barbara Seidlhofer (2011) e, per l’istruzione superiore in particolare, da Ute Smit (2010). Misure di pianificazione potranno poi incidere sul plurilinguismo dell’università al di là della competenza nella lingua inglese e promuovere la conoscenza di altre lingue in base a obiettivi didattici specifici, evitando così la deriva verso il bilinguismo sbilanciato (e il monolinguismo) evidente dalla tabella 1, che riporta le inserzioni delle otto lingue straniere nei piani di studio dei sei dipartimenti dell’università di Bergamo. Come si evince dalla tabella 1, al di fuori del dipartimento di lingue straniere il 93,5% delle inserzioni riguarda l’inglese 6 . 6 Le percentuali sono riferite all’ultima casella di ogni riga, mentre quelle dell’ultima colonna sono riferite al totale degli studenti considerati riportati nella casella in basso a destra. Quindi i 99 studenti che hanno scelto arabo nel solo Dipartimento di Lingue e letterature straniere rappresentano la totalità (100%) delle inserzioni di arabo nei piani di studio dell’intera università. Gli stessi 99 studenti, tuttavia, rappresentano solo l’1,41% del totale di 7020 inserzioni di lingue straniere dell’università. Le 4843 inserzioni di inglese rappresentano il 68,98% del totale di 7020; percentualmente, le inserzioni di inglese si distribuiscono come segue tra i vari dipartimenti: 9,22% a Ingegneria, 3,65% a Giurisprudenza, 18,66% a Economia, 5,69% a Lettere e filosofia, 26,14% a Scienze umane e sociali, 36,60% a Lingue e letterature straniere. <?page no="222"?> 222 Il plurilinguismo emergente nell’istruzione superiore italiana Ingegneria Giurisprud. Economia Lettere e fil. Sc. Umane e sociali Lingue e letter. str. Totale arabo 0 0 0 0 0 99/ 100 99/ 1,41 cinese 0 0 0 0 0 230/ 100 230/ 3,27 inglese 447/ 9,22 177/ 3,65 904/ 18,66 276/ 5,69 1266/ 26,14 1773/ 36,60 4843/ 68,98 francese 0 35/ 7,36 35/ 7,36 30/ 6,31 11/ 2,31 364/ 72,84 475/ 6,76 giapponese 0 0 0 0 0 153/ 100 153/ 2,18 spagnolo 0 22/ 3,23 53/ 7,79 0 3/ 0,44 602/ 88,53 680/ 9,68 russo 0 0 0 0 0 134/ 100 134/ 1,90 tedesco 0 7/ 1,72 11/ 2,70 5/ 1,23 0 383/ 94,33 406/ 5,78 Totale 447/ 6,37 241/ 3,43 1003/ 14,28 311/ 4,43 1280/ 18,23 3738/ 53,24 7020 Tab. 1: Università di Bergamo. Inserzioni nei piani di studio nell’a. a. 2012/ 13 10.4 Convergenza Le parole che nella quinta tesi introducono l’opportunità della convergenza verso una stessa lingua negli usi pubblici e ufficiali, pur prudenti, sembrano costituire un contrappeso riduttivo all’asserito valore del plurilinguismo e del multilinguismo. In effetti le esigenze comunicative in campo educativo e pubblico rappresentano fattori di grande peso specifico che possono interagire in maniera anche opposta con le scelte linguistiche personali, come mostra da una parte l’attrazione esercitata dallo ‘ivrit’ nello Stato d’Israele e dall’altra parte la marginalità dell’irlandese nella Repubblica d’Irlanda a parità di passione nazionale dei cittadini (cioè dei parlanti) dei due paesi. Anche nel caso qui in esame le esigenze comunicative tendono a instaurare un rapporto asimmetrico tra le varietà in esso presenti e a condizionare le scelte di codice a favore dell’inglese come lingua di maggior raggio comunicativo nel repertorio dell’istruzione superiore. L’asimmetria è presente nella maggior parte delle interazioni per via telematica o telefonica o a faccia a faccia con non-italofoni anche quando il repertorio linguistico a disposizione dei parlanti comprenda altre lingue oltre l’inglese, come è già stato rilevato per le sedi da più tempo impegnate nell’internazionalizzazione, come quella di Maastricht (Wilkinson 2011: 5). <?page no="223"?> 223 Nella comunicazione verso il grande pubblico le esigenze comunicative giustificano la costruzione di siti telematici delle università anche in inglese, che è solitamente la versione direttamente accessibile da postazioni al di fuori dei confini nazionali. Ciò è massimamente evidente per i siti originariamente costruiti in lingue che non utilizzano l’alfabeto latino e per i quali maggiore è la pressione esercitata dall’efficacia di consultazione in favore della scelta di una lingua a più ampio raggio comunicativo. L’utilizzo dell’inglese per una più efficace comunicazione a vasto raggio comporta anche una conseguenza per l’identità delle università stesse, le cui denominazioni vengono trasposte in inglese, come in University of Bergamo, o Misr University for Science and Technology al posto di 227 o telefonica o a faccia a faccia con non-italofoni anche quando il repertorio linguistico a disposizione dei parlanti comprenda altre lingue oltre l’inglese, come è già stato rilevato per le sedi da più tempo impegnate nell’internazionalizzazione, come quella di Maastricht (Wilkinson 2011: 5). Nella comunicazione verso il grande pubblico le esigenze comunicative giustificano la costruzione di siti telematici delle università anche in inglese, che è solitamente la versione direttamente accessibile da postazioni al di fuori dei confini nazionali. Ciò è massimamente evidente per i siti originariamente costruiti in lingue che non utilizzano l’alfabeto latino e per i quali maggiore è la pressione esercitata dall’efficacia di consultazione in favore della scelta di una lingua a più ampio raggio comunicativo. L’utilizzo dell’inglese per una più efficace comunicazione a vasto raggio comporta anche una conseguenza per l’identità delle università stesse, le cui denominazioni vengono trasposte in inglese, come in University of Bergamo, o Misr University for Science and Technology al posto di ﺎﻴﺟﻮﻟﻮﻨﻜﺘﻟﺍﻭ ﻡﻮﻠﻌﻠﻟ ﺮﺼﻣ ﺔﻌﻣﺎﺟ 7 . Queste traduzioni si configurano non tanto come glosse esplicative per chi non conosce la lingua originaria, ma come nomi propri alternativi della medesima entità in funzione delle relazioni instaurate con interlocutori di lingue diverse 8 . Si incide cosìanche in senso antropologico sull’identità delle istituzioni universitarie, naturalmente quelle al di fuori di Regno Unito, Stati Uniti d’America, Canada e Australia. Lo scivolamento dal rapporto asimmetrico qui cursoriamente esemplificato fino al monolinguismo indotto dalla convergenza verso una lingua per gli usi pubblici, è già in atto nella produzione scientifica, come è stato ampiamente 7 Ovvero, in trascrizione in caratteri latini: ǧāmiʕatu miṣra li-l-ʕulūma wa-li-l-taknūlūǧiya. 8 In maniera analoga a quello che avviene con i nomi propri (cognomi, nomi, nomignoli e soprannomi), come messo in luce da Cardona (1982: 5-6), per cui la persona registrata all’anagrafe comunale col nome di battesimo Maria Antonietta è nota come Mita nella cerchia di pari e come Nietta in quella familiare. 7 . Queste traduzioni si configurano non tanto come glosse esplicative per chi non conosce la lingua originaria, ma come nomi propri alternativi della medesima entità in funzione delle relazioni instaurate con interlocutori di lingue diverse 8 . Si incide così anche in senso antropologico sull’identità delle istituzioni universitarie, naturalmente quelle al di fuori di Regno Unito, Stati Uniti d’America, Canada e Australia. Lo scivolamento dal rapporto asimmetrico qui cursoriamente esemplificato fino al monolinguismo indotto dalla convergenza verso una lingua per gli usi pubblici, è già in atto nella produzione scientifica, come è stato ampiamente discusso da più voci e per la quale basti il rimando al numero 20 di “AILA Review” curato da Augusto Carli e Ulrich Ammon nel 2007. 10.5 Il risultato della prova di trazione La prova di trazione a cui è stata sottoposta la quinta tesi ha messo in luce una certa contraddizione tra la terza delle sue componenti fondamentali, cioè la convergenza verso una lingua ufficiale, e la prima, cioè il valore del plurilinguismo e del multilinguismo individuale e sociale. La tesi meriterebbe quindi di essere riformulata sulla base delle prime osservazioni delle evoluzioni internazionali del plurilinguismo, riconciliando l’opportunità della convergenza verso una stessa lingua per usi pubblici e ufficiali con l’asserzione del valore del plurilinguismo. Le ultime tre righe della quinta tesi potrebbero essere riformulate come qui indicato: 7 Ovvero, in trascrizione in caratteri latini: ǧāmiʕatu miṣra li-l-ʕulūma wa-li-l-taknūlūǧiya. 8 In maniera analoga a quello che avviene con i nomi propri (cognomi, nomi, nomignoli e soprannomi), come messo in luce da Cardona (1982: 5-6), per cui la persona registrata all’anagrafe comunale col nome di battesimo Maria Antonietta è nota come Mita nella cerchia di pari e come Nietta in quella familiare. <?page no="224"?> 224 Il plurilinguismo emergente nell’istruzione superiore italiana L’opportunità storica e civile di assicurare e promuovere la convergenza dei cittadini di uno stesso paese multilingue verso l’apprendimento e l’uso di una stessa lingua negli usi pubblici e ufficiali va commisurata alla vitalità di ogni varietà del repertorio, così come la convergenza verso lingue veicolari a più ampio raggio comunicativo anche nei contesti di plurilinguismo e multilinguismo sovranazionali va commisurata al mantenimento della vitalità delle lingue nazionali. La riformulazione, oltre a renderne il testo più efficace nei confronti di una più vasta gamma di situazioni di multilinguismo, mette la quinta tesi in un rapporto più coerente con la terza, relativa all’apprendimento della prima lingua, e con la quarta, relativa all’accesso a varietà di lingua con funzioni socialmente dominanti. Della quinta tesi delle sette, coerentemente denominate anche Heptàlogos, risulta così più evidente la correlazione con la quinta formula del ben più autorevole e importante Dekàlogos: 228 convergenza verso una lingua ufficiale, e la prima, cioè il valore del plurilinguismo e del multilinguismo individuale e sociale. La tesi meriterebbe quindi di essere riformulata sulla base delle prime osservazioni delle evoluzioni internazionali del plurilinguismo, riconciliando l’opportunità della convergenza verso una stessa lingua per usi pubblici e ufficiali con l’asserzione del valore del plurilinguismo. Le ultime tre righe della quinta tesi potrebbero essere riformulate come qui indicato: L’opportunità storica e civile di assicurare e promuovere la convergenza dei cittadini di uno stesso paese multilingue verso l’apprendimento e l’uso di una stessa lingua negli usi pubblici e ufficiali va commisurata alla vitalità di ogni varietà del repertorio, così come la convergenza verso lingue veicolari a più ampio raggio comunicativo anche nei contesti di plurilinguismo e multilinguismo sovranazionali va commisurata al mantenimento della vitalità delle lingue nazionali. La riformulazione, oltre a renderne il testo più efficace nei confronti di una più vasta gamma di situazioni di multilinguismo, mette la quinta tesi in un rapporto piùcoerente con la terza, relativa all’apprendimento della prima lingua, e con la quarta, relativa all’accesso a varietà di lingua con funzioni socialmente dominanti. Della quinta tesi delle sette, coerentemente denominate anche Heptàlogos, risulta così più evidente la correlazione con la quinta formula del ben più autorevole e importante Dekàlogos: ח ֽ ָ צ ְ ר ִ תּ (20,13 תוטש ) Non uccidere (Esodo 20, 13). א Non uccidere (Esodo 20, 13). <?page no="225"?> 11 Approcci funzionalisti attuali alla luce delle categorie saussuriane* On the background of three major pairs of Saussurean categories, namely arbitrariness and motivation, langue and parole, synchrony and diachrony, the impact of the seminal Cours de linguistique générale on the functional approaches to the study of language is evaluated in the 100 th anniversary of its publication. The functionalist approaches are shown to have privileged the study of the motivation of linguistic signs, of the phenomena observable in the speakers’ speech acts (parole) and of the developments they trigger in the course of time. The concentration on these three poles in the consideration of language phenomena has resulted in the neglecting of the aim of linguistic research mentioned in the last statement of the Cours, namely the study of language in se and per se. 11.1 Introduzione Il centesimo anniversario della pubblicazione del Cours de linguistique générale da parte degli allievi di Ferdinand de Saussure, Charles Bally e Albert Sechehaye, fornisce l’occasione per un ripensamento dell’impatto del grande ginevrino sul funzionalismo attuale 1 . Nelle considerazioni che vengono qui proposte non si pretende di ripercorrere filologicamente le connessioni che col passare delle generazioni di studiosi legano i fondamenti metodologici e teorici del funzionalismo al Durchbruch che de Saussure ha rappresentato a suo tempo non solo per la linguistica generale. È infatti notorio che “(le premier siècle de la linguistique saussurienne) a vu s’accentuer le fossé entre la pensée de Saussure et la linguistique que pratiquent concrètement les spécialistes”, come ha affermato Raffaele Simone (2003: 35). * Tratto da: Linguistica e filologia 36 (2016): 7-26. 1 Le riflessioni che qui vengono proposte sono state originariamente stimolate dall’invito a un seminario organizzato da Livio Gaeta, Davide Ricca e Mario Squartini a Torino il 28 novembre 2013, nel centenario della morte di Ferdinand de Saussure. Il presente lavoro integra le osservazioni degli organizzatori e dei partecipanti di quel seminario, in particolare Paolo Ramat, Nunzio La Fauci, Fabrizio Pennacchietti, a cui vanno i miei ringraziamenti. Sono grato anche a Federica Venier per una preziosa rilettura critica di questo lavoro. Come è ovvio, sono io responsabile di ogni difetto che in esso si potrà rilevare. <?page no="226"?> Si cercherà invece di porre sotto osservazione alcune linee di tendenza del funzionalismo attuale, impiegando a mo’ di lenti le categorie saussuriane principali per come sono state formulate dai curatori del Cours de linguistique générale, e utilizzando la traduzione e il commento di Tullio De Mauro del 1967 alla seconda edizione del Cours del 1922 (de Saussure 1922 [1967]). Non si prenderanno quindi in considerazione, per ragioni cronologiche di ricezione, i nuovi testi di de Saussure scoperti nel 1996 e pubblicati nel 2002 a cura di Simon Bouquet e Rudolf Engler e tradotti in italiano da Tullio De Mauro (de Saussure 2002/ 2005). Le categorie saussuriane qui prese a riferimento sono quelle di arbitrarietà e motivazione, langage-langue-parole, diacronia-sincronia in quest’ordine, per come sono state recepite a partire dalla loro definizione nella seconda edizione del Cours. Per quanto riguarda il funzionalismo, ci si limiterà a considerare i fondamenti teorici e metodologici che accomunano le correnti che si sono sviluppate dagli anni ‘80 del secolo scorso, le cui ascendenze storiche sono state esplorate in Sornicola (1993). Queste correnti costituiscono un paradigma ben sintetizzato in Bertinetto (2003) nei confronti del formalismo e da Butler (2006), in una voce della Encyclopedia of Language and Linguistics, nelle sue diverse articolazioni. Gli stessi fondamenti teorici si ritrovano anche in approcci orientati verso modelli formali, come p. es. la Functional Grammar di Simon Dik (1978) con gli sviluppi più recenti dei suoi allievi, o la Role and Reference Grammar di Van Valin (cfr. Van Valin e LaPolla 1997). Pur rischiando qualche semplificazione, si può affermare che a fondamento di tutti gli approcci funzionalisti sta la concezione che la comunicazione sia la funzione principale del linguaggio e che di conseguenza le strutture che in esso si riscontrano debbano essere messe in stretta relazione con i suoi contesti di uso e i significati con esso trasmessi, riconducendole a fattori di ordine cognitivo, sociale e storico, come argomentato tra gli altri in Givón (1995). Se ne può portare ad esempio la presenza di marche di negazione proibitiva specifiche diverse dalla negazione dichiarativa, che può essere correlata col fatto che la negazione proibitiva non agisce sulla verità del contenuto proposizionale dell’enunciato ma sulla sua modalità. Inoltre la relativa maggior indipendenza e posizione iniziale dei morfemi proibitivi rispetto alla negazione di frase può essere correlata con la necessità comunicativa di rendere più saliente e più agevolmente decodificabile questa funzione. In gallese per la negazione proibitiva non vengono utilizzate le particelle per la negazione dichiarativa (1b), ma è stato grammaticalizzato il verbo che originariamente significava ‘rifiutare’ seguito dall’infinito del verbo lessicale, che può essere preceduto da un complementatore (1a) (Bernini 1998: 66). 226 Approcci funzionalisti attuali alla luce delle categorie saussuriane <?page no="227"?> (1) a. paid/ peidiwch (â) mynd! PROH.2SG/ PROH.2PL PRTC andare ‘Non andare/ non andate! ’ b. (ni) welodd y bachgen ddim dyn NEG vide il ragazzo NEG uomo ‘Il ragazzo non vide nessuno’ Il legame tra de Saussure e il funzionalismo non è apparente. Come Raffaele Simone (2003: 43) ha argomentato, ciò è dovuto al fatto che il carattere astratto dei postulati saussuriani ha comportato che “[…] la majorité de ces postulats ont obtenu une vaste acceptation dans la linguistique successive”. Inoltre, per la loro natura epistemologicamente “liberale”, “ils empêchent bien peu de partis pris spécifiques”. Una ricognizione relativamente casuale ha bensì rivelato la presenza del Cours nella bibliografia del recente Oxford Handbook of Linguistic Typology (Song 2010), di prevalente orientamento funzionalista, ma con riferimenti esigui e talvolta fugaci e generici. Nel capitolo di Daniel (2010: 51-52) sui rapporti tra tipologia e studio del linguaggio si fa riferimento a de Saussure in relazione alla natura relazionale del valore dei segni linguistici e al problema della comparazione di elementi corrispondenti a livello interlinguistico. Nel capitolo di Evans (2010: 506) sulla tipologia semantica se ne parla in relazione alla biplanarità del segno. Nel capitolo di Haiman su motivazioni in competizione il Cours è invece citato in relazione all’isomorfia indotta dai processi analogici (2010: 149, 150) e in maniera meno generica (2010: 164) per sostenere l’attendibilità dei dati elicitati presso parlanti nativi per l’individuazione delle componenti di ciò che essi condividono come langue. Haiman contesta al formalismo chomskyano il fatto che la sintassi è per de Saussure manifestazione della parole, probabilmente riferendosi al passo del Cours (de Saussure 1922 [1967]: 24) che menziona le “combinazioni con cui il soggetto parlante realizza il codice”. Haiman afferma che per de Saussure la parole è “where the individual is master”, ma la traduzione italiana qui considerata ha a p.-23 “l’individuo non è sempre il padrone”. Un riferimento collaterale a de Saussure si ritrova anche nella sinossi della Role and Reference Grammar, nella quale Van Valin (1993: 2) sostiene a proposito dell’acquisizione del linguaggio che il suo approccio “rejects the position that grammar is radically arbitrary and hence unlearnable, and maintains that it is relatively motivated (in Saussure’s sense) semantically and pragmatically”. Questo riferimento permette di osservare il funzionalismo attraverso la prima delle serie di categorie saussuriane, quella di arbitrarietà e motivazione. 227 <?page no="228"?> 11.2 Arbitrarietà e motivazione Nella citazione testé riportata, Van Valin allude all’affermazione di de Saussure riportata alla p.-158 della traduzione qui utilizzata, ovvero “il segno può essere relativamente motivato”, in corsivo nel testo, contenuta nella sezione 3 del capitolo VI, intitolata “L’arbitrarietà assoluta e l’arbitrarietà relativa”. Per de Saussure il principio dell’arbitrarietà del segno può essere limitato sull’asse sintagmatico in funzione della possibilità di analizzare in maniera agevole gli elementi combinati e - sull’asse paradigmatico - dei rapporti associativi di quelli, ovvero del loro “richiamo a uno o più altri termini” (de Saussure 1922 [1967]: 159). Ne sono esempio le parole per ‘ospedale’ in italiano, dove solo la terminazione -ale può attivare rapporti associativi piuttosto esili, ed ebraica bet kholim, arbitraria solo per le sue componenti considerate isolatamente. (2) ital. ospedale ← davanzale, giornale, tribunale, ecc. ebr. bet kholim ← bet mishpat ‘tribunale’, bet sefer ‘scuola’, bet knesset ‘sinagoga’ ← khole ‘malato’, khola ‘malata’ ecc. Per de Saussure la motivazione si individua in toto all’interno della sua concezione di segno e della rete di rapporti che i segni possono instaurare, traducendosi in gradi diversi di trasparenza morfotattica delle parole. La posizione funzionalista individua invece la motivazione nel rapporto tra piano del contenuto e piano dell’espressione, come si riscontra di nuovo in Van Valin per la struttura sintattica ipotizzata nella Role and Reference Grammar: “[…] morphosyntactic structure is not radically arbitrary but rather is relatively motivated semantically, in Saussure’s sense. That is, while syntactic structure is not identical with or completely reducible to semantic concepts, it is nevertheless derived and generalized from them” (Van Valin e LaPolla 1997: 69). Le unità sintattiche della struttura della frase - nucleo, argomenti nucleari, periferia - sono rispettivamente ancorate nella semantica dei predicati, degli elementi non-predicativi attivati dalla valenza dei predicati, degli elementi non-predicativi non richiesti dalla valenza dei predicati. Nella galassia degli approcci funzionalisti la posizione saussuriana è forse richiamata più da vicino nei principi della cosiddetta Morfologia naturale (ma Naturalezza morfologica in Mayerthaler 1981b) di Ulli Dressler (cfr. Dressler et al. 1987), in particolare dal principio della trasparenza morfotattica, per il quale sono più naturali le forme che si prestano a un’agevole analisi sull’asse 228 Approcci funzionalisti attuali alla luce delle categorie saussuriane <?page no="229"?> sintagmatico, come archi rispetto ad arco, ma non amici rispetto ad amico, il cui rapporto è oscurato dall’intervento di una regola morfofonologica. Forme più naturali sono poi anche quelle morfosemanticamente trasparenti, il cui significato risulti dalla somma dei suoi componenti, come nella successione dei morfemi lessicale, di tempo e di persona nell’imperfetto italiano, cfr. amava, prendeva, partiva, rispetto alle corrispondenti forme del passato remoto amò, prese, partì. Oltre che in questo principio, la motivazione semantica appare evidente nel principio dell’iconismo, che mette in relazione la lunghezza delle forme con la relativa marcatezza delle categorie che veicolano. L’espressione del plurale tramite affissazione è più iconica della sua espressione tramite sostituzione di fono, mentre non è iconica la mancanza di un qualche morfema esplicito, come nei seguenti esempi tedeschi: (3) Singolare Plurale Abend Abende ‘sera’, ‘sere’ Tochter Töchter ‘figlia’, ‘figlie’ Lehrer Lehrer ‘insegnante’, ‘insegnanti’ Nel principio dell’iconismo interviene però anche la nozione di marcatezza, che chiama in causa fattori di motivazione al di là della semantica. La nozione di marcatezza, come è noto, è stata introdotta originariamente in fonologia da Trubeckoj (1958) e applicata da Jakobson (1936) alla morfologia in un’ottica strutturalista che continuava per certi aspetti l’insegnamento saussuriano. Essa è poi stata di rilevanza per molti approcci funzionalisti che hanno cercato di definirne il ruolo nella motivazione dei segni linguistici anche al di là della semantica, facendo appello a fattori non-linguistici. Vale la pena ricordare che un rapporto di marcatezza - p. es. tra coppie di valori di una categoria, come singolare e plurale o presente e passato - può essere individuato in base a cinque indizi, sistematizzati e discussi in Croft (1990: 64-94). Semplificando le formulazioni implicazionali di Croft, l’asimmetria si rileva: a. nell’assenza di un morfema esplicito per il termine non-marcato rispetto a quello marcato, il segno zero di Jakobson, o in altri termini la non-caratterizzazione (Nicht-Merkmalhaftigkeit) del termine non-marcato, p. es. ebraico gan ‘giardino’ vs. ganim ‘giardini’; b. nel maggior numero di distinzioni riscontrate nel termine non-marcato rispetto a quello marcato, come nel singolare del pronome di terza persona italiano lui, lei, rispetto al plurale loro; 229 <?page no="230"?> 230 Approcci funzionalisti attuali alla luce delle categorie saussuriane c. nel maggior numero di costruzioni in cui può occorrere il termine non-marcato, come nel caso della diatesi attiva, che occorre con verbi transitivi, intransitivi, riflessivi, rispetto alla diatesi passiva limitata ai primi; d. nell’occorrenza del termine non-marcato a scapito di quello marcato nei contesti di neutralizzazione, come nella quantificazione di antonimi, cfr. il tunnel è lungo dieci chilometri; la cicatrice è lunga un centimetro, rispetto a corta; e. dalla maggiore frequenza del termine non-marcato rispetto a quello marcato nel discorso. La frequenza è stata proposta e esplorata originariamente in Greenberg (1966b) e appare oggi come l’indizio di marcatezza più rilevante, che a sua volta permette di ipotizzare l’origine della motivazione che sta alla base delle asimmetrie di espressione. Richiamando la sintesi che di questo aspetto fa la Bybee (2010: 142-146), la frequenza con cui un termine occorre nel discorso ne condiziona la rappresentazione cognitiva, rendendo economico sia il suo richiamo dalla memoria sia la sua produzione. La rappresentazione cognitiva, legata all’attivazione di routines neuromotorie, rende le forme frequenti più resistenti al cambiamento e nello stesso tempo le dispone ad essere la base su cui operare cambiamenti. La frequenza viene così a giustificare la non-marcatezza di forme irregolari e arbitrarie come in inglese mare - e in italiano giumenta - rispetto al più motivato female hippo - in italiano ippopotamo femmina - già messa in evidenza da Haiman (1985). La frequenza nel discorso è funzione della familiarità dei parlanti con elementi del loro ambiente: a ciò può essere ricondotta l’asimmetria tra i valori singolare e plurale della categoria numero, caratterizzata in tante lingue dal segno zero per il primo, ma anche la sua inversione nel caso di maggior familiarità con gruppi indifferenziati di entità, come nei nomi inglesi per animali che vivono (o meglio appaiono al parlante) in branco, che mancano del morfema di plurale, cfr. deer, sheep, fish. Il coinvolgimento di aspetti psicologici nella costituzione dei segni è stato sottolineato nei filoni che si possono ricondurre alla linguistica cognitiva a partire da Langacker (1987, 1991), i cui fondamenti sono riassunti in Gaeta e Luraghi (2003), e dove centrali sono i processi metaforici che collegano l’elaborazione cognitiva della conoscenza e la facoltà di linguaggio. Con questi cenni alle posizioni dei più recenti modelli basati sull’uso, ben rappresentati da Joan Bybee, e ai fondamenti della linguistica cognitiva, si può ora delineare la lontananza del funzionalismo attuale dalla posizione saussuriana per quanto riguarda arbitrarietà e motivazione, già messa in luce in Simone (1992). Da una parte, nella coppia di categorie “arbitrarietà” e “motivazione” si riscontra uno sbilanciamento a favore della seconda, sulla quale si focalizza l’attenzione dei ricercatori e alla quale vengono ricondotte le caratteristiche di ogni livello di analisi. <?page no="231"?> 231 Dall’altra parte la motivazione dei segni è verificata e valutata ricorrendo a fattori esterni alla lingua, appiattendo così sullo stesso sfondo le differenze riscontrate all’interno della stessa lingua e oscurandone le eventuali connessioni di sistema. La rilevanza dei rapporti di marcatezza anche a livello interlinguistico, già messa in rilievo da Greenberg (1966b), e sistematizzata da Croft (1990: 92-94), permette di spostare ora l’attenzione alla seconda serie di categorie saussuriane qui considerate, ovvero langage-langue-parole. 11.3 Langage, langue, parole I rapporti di marcatezza costituiscono uno dei tre tipi di universali linguistici - o meglio sarebbe dire tendenze - che la ricerca tipologica ha individuato da Greenberg (1966a) in poi, come ben argomentato in Cristofaro (2010). Si tratta di un principio funzionale che, come già si è detto, sottostà alle corrispondenze tra forma linguistica e funzione linguistica. Rispetto alle categorie saussuriane qui ora in esame, questo principio funzionale, come anche gli altri universali linguistici di cui si dirà tra poco, sembra orientato al polo del langage. Nelle parole di de Saussure il linguaggio - langage - è “[…] una facoltà più generale, quella che comanda ai segni […]” (de Saussure 1922 [1967]: 20); esso permette l’articolazione delle paroles, ma “non si esercita se non mercé lo strumento creato e fornito dalla collettività […]” (de Saussure 1922 [1967]: 20), ovvero la langue. I principi funzionali di ordine universale governano l’organizzazione grammaticale e quindi per la loro capacità di orientare e limitare la combinazione di elementi e regole possono essere considerati riflesso della facoltà più generale di linguaggio, comunque questa sia costituita. Così l’universale che lega la posizione del nome e di due suoi modificatori che rivestono una rilevanza cruciale per la referenza negli atti di parole, ovvero dimostrativo e frase relativa, limita in tutte le manifestazioni del langage la loro posizione, legando per implicazione la posizione postnominale del dimostrativo alla stessa posizione della relativa, ed escludendo così la cooccorrenza di relative prenominali e dimostrativi postnominali, come indicato nella tavola tetracorica riportata in Tabella 1 (Croft 1990: 47). DemN NDem RelN √ − NRel √ √ Tab. 1: NDem ⊃ NRel <?page no="232"?> 232 Approcci funzionalisti attuali alla luce delle categorie saussuriane Tuttavia, come già per i rapporti di marcatezza, a quasi cinquant’anni dalla loro prima formulazione in Greenberg (1966a), anche questo tipo di universali risulta essere il decantato di tendenze statistiche che in ultima istanza rimandano alla parole e alle motivazioni anche in competizione che la condizionano e di cui si è già fatto cenno. Ne è esempio la distribuzione di preposizioni e posposizioni tra le lingue con i tre ordini dei costituenti più rappresentati, ovvero SOV, SVO, VSO, ricavate dalla combinazione dei capitoli 81A (“Order of Subject, Object and Verb”) e 85A (“Order of Adposition and Noun Phrase”) del World Atlas of Language Structures online (WALS 2011), qui raffigurata. Ordine basico dei costituenti maggiori Lingue considerate NPo PrN SOV 565 374 (66,2%) 11 SVO 488 33 303 (62,1%) VSO 95 6 76 (80%) Totale lingue con Po o Pr considerate 577 512 Tab. 2: Distribuzione di adposizioni e ordini dei costituenti più frequenti Tutte le combinazioni possibili sono attestate, ma il loro orientamento varia in termini statistici, come mostrano i valori relativi delle preposizioni, massimo per l’ordine verbo iniziale, cospicuo con l’ordine verbo-intermedio, minimo con l’ordine verbo-finale. Per le tre categorie qui in esame, cioè langage, langue e parole, possiamo di nuovo osservare uno sbilanciamento verso il langage da una parte e la parole dall’altra, che oscura la posizione della langue. Questa, nelle parole di de Saussure, è ciò che “fa l’unità del linguaggio” (de Saussure 1922 [1967]: 20). Tuttavia la sua osservazione si scontra con la difficoltà di poterne fissare la natura di fatto sociale condiviso, operazione che presuppone la possibilità di “[…] abbracciare la somma delle immagini verbali immagazzinate in tutti gli individui […]” (de Saussure 1922 [1967]: 23). D’altro canto, pur esistendo virtualmente come sistema grammaticale nel cervello degli appartenenti alla stessa comunità, essa “non è completa in nessun singolo individuo, ma esiste perfettamente soltanto nella massa” (de Saussure 1922 [1967]: 23) 2 . 2 La citazione completa del passo in questione è la seguente: “Se potessimo abbracciare toccheremmo il legame sociale che costituisce la lingua. Questa è un tesoro depositato dalla pratica della parole nei soggetti appartenenti a una stessa comunità, un sistema grammaticale esistente virtualmente in ciascun cervello o, più esattamente, nel cervello <?page no="233"?> 233 L’osservazione che la langue non è completa in nessun individuo, pur esistendo perfettamente nella massa, costituisce una sorta di contraddizione che ha trovato la sua composizione nella nozione di “norma” elaborata da Eugeniu Coşeriu (Coşeriu 1952/ 1971). La norma di Coşeriu è un insieme di potenzialità effettivamente saturate nelle diverse dimensioni di variazione presenti in una lingua - diatopica, diastratica, diafasica -, le cui realizzazioni predominanti costituiscono l’architettura della lingua. L’elaborazione teorica di Coşeriu non sembra però essere stata recepita dal funzionalismo. Su questo fronte la contraddizione tra la conoscenza linguistica nel singolo parlante e nell’insieme della massa dei parlanti è stata considerata nell’ambito dell’acquisizione di lingue seconde da Wolfgang Klein (1999: 282) con specifico riferimento a de Saussure, oltre che a Chomsky, le cui posizioni non sono in esame qui. Klein considera la condivisione dello stesso sistema come il punto di convergenza di opzioni di organizzazione linguistica che non necessariamente coinvolgono tutti i membri della stessa comunità, ma che possono divergere in funzione di diverse esperienze comunicative, massimamente riscontrabili nei processi di apprendimento di lingue seconde. Proprio l’osservazione di interazioni tra parlanti diverse varietà di apprendimento, native e non-native, illumina il problema metodologico che l’approccio funzionalista incontra ipotizzando comunità di parlanti omogenee. Infatti la presenza di elementi o costruzioni comuni nell’interazione di due parlanti può nascondere organizzazioni grammaticali anche molto diverse, che si possono individuare solo osservando più estesamente il comportamento linguistico dei parlanti coinvolti. Due esempi tratti dagli studi sull’italiano lingua seconda possono illustrare questo punto. In (4) l’espressione nente pallone, a parte la monottongazione di niente, non si distingue dalla potenziale risposta di un nativo a una domanda del tipo riportato nel frammento di conversazione di quell’esempio. Tuttavia per l’interlocutore IT, cioè un parlante nativo, la costruzione niente+SN è una costruzione negativa marginale e pragmaticamente marcata; per l’altro interlocutore HG, non nativo di italiano, la costruzione è una frase dichiarativa con elisione di topic, dove nente è uno dei possibili negatori. (4) \IT\ studi - ma non vai neanche a giocare a pallone? \HG\ nente pallone (Bernini 2001: 66) d’un insieme di individui, dato che la lingua non è completa in nessun singolo individuo, ma esiste perfettamente soltanto nella massa.” (de Saussure 1922 [1967]: 23). <?page no="234"?> 234 Approcci funzionalisti attuali alla luce delle categorie saussuriane Nell’esempio (5), il che dopo il nome bella, con cui l’interlocutore HG si riferisce a una palla di neve, è inteso dall’interlocutore IT come un pronome relativo sul soggetto e fatto seguire da un verbo e da un’espressione onomatopeica. Per il primo interlocutore che non è un pronome relativo, ma una marca di asserzione che precede il fuoco dell’enunciato. In tutti e due gli esempi l’interazione non solo nasconde organizzazioni grammaticali differenti, ma paradossalmente conferma la validità di ambedue. (5) \HG\ perché + bella + che + \IT\ che si tira \IT\ che bam (Bernini 1995b: 37) Per la loro struttura sintagmatica, le espressioni niente X e X che Y riportate negli esempi (4) e (5) ricordano la nozione di “costruzione” assunta nel modello della Construction grammar a partire da Goldberg (1995) e applicata all’apprendimento dell’italiano L2 da Anna Giacalone Ramat (2012: 450-459). L’accoppiamento convenzionale di significato e forma a un qualsiasi livello di astrazione che si manifesta nelle “costruzioni” (Butler 2006: 703) è correlato con la frequenza di queste a livello di uso e con la loro maggiore o minore vicinanza a funzioni prototipiche, quali quella di “trasferimento”, che in inglese accomuna la costruzione centrale John gave Mary a book a quella più periferica John allowed Mary a book. Le associazioni di costruzioni e funzioni sono basate sugli “schemi di immagini” astratti che guidano i processi metaforici già ricordati a proposito della linguistica cognitiva, che pure appare così orientata verso il langage (Gaeta e Luraghi 2003: 21). Lo sbilanciamento già osservato a favore della parole e indirettamente a favore del linguaggio si può riscontrare anche nel terzo tipo di universali linguistici discussi da Cristofaro (2010), individuato nelle regolarità di codificazione di certe gamme di situazioni concettuali che si lasciano proiettare in “mappe semantiche”. Queste rappresentano la polifunzionalità di elementi lessicali o di costruzioni, la cui estensione in diversi contesti risulta essere regolata da un principio generale di adiacenza, in base al quale se un elemento si ritrova nella codificazione di due contesti x e y, tutti i contesti intermedi sono codificati dallo stesso elemento. Nel caso dell’indefinitezza, Haspelmath (1997) ha individuato nove situazioni concettuali, che in italiano sono codificate in maniera continua dagli indefiniti della serie qualcuno da una parte, e dagli indefiniti della serie nessuno dall’altra. In questa distribuzione la serie nessuno si sovrappone alla serie qualcuno nelle domande (è venuto nessuno/ qualcuno? ) e nella negazione indiretta <?page no="235"?> 235 (non credo sia venuto nessuno/ qualcuno), ma esprime da sola la negazione diretta (nessuno è venuto). Il principio generale è ancorato nelle somiglianze tra contesti che i parlanti instaurano nella parole e che in diacronia orienta lo sviluppo o l’abbandono di nuove funzioni da parte dello stesso elemento. In italiano moderno la serie di nessuno si è ritirata dalla protasi dei costrutti condizionali, che è contigua a quello delle domande nella mappa di Haspelmath (1997), e dove in italiano antico si sovrapponeva alla serie qualcuno 3 . Raccogliendo un po’ le fila di quanto esposto, le posizioni funzionaliste pongono attenzione alla parole come “atto individuale di volontà e di intelligenza, nel quale conviene distinguere: 1. Le combinazioni con cui il soggetto parlante utilizza il codice della lingua in vista dell’espressione del proprio pensiero personale; 2. Il meccanismo psico-fisico che gli permette di esternare tali combinazioni” (de Saussure 1922 [1967]: 24). L’osservazione delle tendenze riscontrabili nelle combinazioni da una parte, e dei fondamenti psicologici che le condizionano dall’altra, per de Saussure non porta a separare “1. Ciò che è sociale da ciò che è individuale; 2. Ciò che è essenziale da ciò che è accessorio e più o meno accidentale.” (de Saussure 1922 [1967]: 23), ovvero la “lingua dalla parole”. 11.4 Diacronia e sincronia Per quanto riguarda l’ultima serie di categorie saussuriane prese qui in esame, ovvero sincronia e diacronia, la ricerca di motivazione e l’attenzione alla parole si accompagna a un ulteriore sbilanciamento a favore della seconda, comune a diversi filoni funzionalisti. Rappresentativi di questo orientamento sono gli studi dei processi di grammaticalizzazione, i quali, oltre al riferimento storico a Antoine Meillet (1921/ 1936), vanno ricondotti anzitutto a Christian Lehmann (1982/ 2002). Lo sviluppo di elementi grammaticali da fonti lessicali ne costituisce la motivazione, che nel susseguirsi di atti di parole si attualizza nell’interazione di esigenze comunicative e di processi cognitivi come gli schemi di immagine studiati nella linguistica cognitiva. La grammatica viene così ad essere un prodotto collaterale delle strategie di accomodamento adottate dai parlanti per favorire la reciproca comprensione, come rivendicato da Hopper (1998), ed è meglio caratterizzata come “emergente”, in quanto le sue forme e le funzioni di queste sono di continuo ristrutturate e riadattate nell’uso. La connessione tra parole e diacronia è affermata anche da de Saussure: “[…] tutto quanto nella lingua è diacronico non lo è che per la parole” (de Saussure 1922 3 Cfr. Quando lo re Currado fallava in neuna cosa, e’ maestri che. lli erano dati a guardia non lo battevano (Novellino 48, rr. 5-7; Zanuttini 2010: 577). <?page no="236"?> 236 Approcci funzionalisti attuali alla luce delle categorie saussuriane [1967]: 118). Tuttavia in alcune impostazioni funzionaliste viene meno la diversa prospettiva di osservazione che de Saussure attribuisce a sincronia e diacronia, legata agli assi su cui si dispongono gli elementi osservati, ovvero l’asse delle simultaneità e l’asse delle successioni, disposti ortogonalmente. Adottando la prospettiva dell’asse delle successioni, “è possibile considerare solo una cosa alla volta, dove però sono situate tutte le cose del primo asse con i loro cambiamenti” (de Saussure 1922 [1967]: 99). Inoltre non si possono considerare i collegamenti dei termini considerati in sistema per come sono percepiti da parte di una medesima coscienza collettiva (de Saussure 1922 [1967]: 120) 4 . In diversi lavori sulla grammaticalizzazione si cerca di ricongiungere le due prospettive, osservando la variabilità con cui sono impiegati certi elementi (ovviamente nella parole), i fattori che li pongono in competizione in ogni stadio sincronico e, nel corso del tempo, il prevalere o il recedere di alcuni degli elementi in competizione. Questa prospettiva è programmaticamente adottata con esplicito riferimento a de Saussure nel volume Syncrony and Diachrony, curato da Anna Giacalone Ramat, Caterina Mauri e Piera Molinelli (2013: 1): la gradualità dei cambiamenti diacronici è ancorata nel gradiente riscontrabile in sincronia. Il gradiente costituisce la condizione sufficiente per innestare processi di cambiamento il cui andamento è soggetto a variabili non prevedibili e può comportare anche la regressione delle innovazioni, come nel caso della particella interrogativa -ti (p. es. in tu viens-ti? ) del francese, sorta nel XV secolo e oggi praticamente uscita di scena (Renzi 2012: 121-122). La localizzazione del gradiente e dei conseguenti cambiamenti graduali nella parole rende più arduo valutare a posteriori il riaggiustamento delle interrelazioni sincroniche nella langue, al di là del riconoscimento della perdita di motivazione una volta che i cambiamenti vincenti si siano convenzionalizzati, come ipotizzato nella linguistica cognitiva. 11.5 Spunti conclusivi L’osservazione di alcune tendenze del funzionalismo attuale attraverso le lenti delle principali categorie saussuriane ha messo in evidenza come il funzionalismo abbia contribuito ad accrescere le conoscenze sul funzionamento del 4 La citazione completa è la seguente: “La linguistica sincronica si occuperà dei rapporti logici e psicologici colleganti termini coesistenti e formanti sistema, così come sono percepiti dalla stessa coscienza collettiva. La linguistica diacronica studierà invece i rapporti colleganti termini successivi non percepiti da una medesima coscienza collettiva, e che si sostituiscono gli uni agli altri senza formar sistema tra loro” (de Saussure 1922 [1967]: 120). <?page no="237"?> 237 linguaggio privilegiando la catena di “motivazione” del segno, “parole” (e indirettamente “langage”), “diacronia”, che rappresentano i côtés più accessibili all’osservazione empirica. In altri termini, e secondo un’altra prospettiva, il funzionalismo ha arricchito le nostre conoscenze dei fattori relativi all’esecuzione (Bertinetto 2003: 167). Nell’ombra rimangono le considerazioni relative alla catena “arbitrarietà”, “langue”, “sincronia”, non immediatamente accessibili all’osservazione empirica e, in particolare, la natura sociale della langue, per come la si può rilevare a un livello astratto attraverso gli atti di parole. La disponibilità di mezzi tecnologici potenti, che permettono di immagazzinare quantità cospicue di registrazioni di atti di parole in elaboratori elettronici che ne permettono analisi sofisticate, sembra indicare ulteriori tendenze del funzionalismo che possono essere osservate dalla prospettiva saussuriana e che questa prospettiva contribuisce a collocare sul piano metodologico e, in ultima istanza, epistemologico. Esempio di queste tendenze sono recenti studi avviati al Max-Planck-Institut für Psycholinguistik di Nimega sull’espressione esplicita dell’asserzione. Questa può essere espressa con mezzi prosodici dando prominenza al verbo coniugato, come nella costruzione che è stata definita Verum-Fokus da Höhle (1988) (cfr. Turco et al. 2013a). L’asserzione può però anche essere espressa lessicalmente tramite una particella come wel in nederlandese (Turco et al. 2013b). Questi studi cercano di individuare l’addensarsi di certi mezzi grammaticali di espressione nelle reazioni suscitate presso piccoli gruppi di parlanti esposti agli stessi stimoli visivi e/ o linguistici. I risultati, valutati in base alla loro significatività statistica, sarebbero indicativi di condivisione di mezzi di espressione in sincronia e vengono interpretati come finestre sulla langue condivisa da quei parlanti. Senza negare l’importanza che questa impostazione ha anche per la migliore comprensione di differenze tipologiche che solitamente non è facile rilevare nelle descrizioni grammaticali, si devono osservare due punti critici. Il primo punto critico è relativo all’interpretazione dei risultati di questo tipo di rilevazione in termini di langue. Anche il controllo più sofisticato delle condizioni di rilevazione non permette infatti di controllare tutte le variabili di ordine comunicativo che gli informanti adottano, individualmente o come gruppo, nelle loro reazioni. Ciò è ben illustrato dai risultati ottenuti da Giuseppina Turco (2013: 223-227) nello studio dei mezzi di espressione dell’asserzione presso nativi di italiano regionale romano, suscitati nella replica di disaccordo positivo a un enunciato antecedente negativo. Il contrasto di polarità è stato espresso solo tramite mezzi prosodici, ovvero tramite prominenza del verbo finito, e solo in poco più della metà delle occorrenze prodotte. L’inattesa assenza di marche esplicite quali sì che + frase è ricondotta dalla Turco al fatto che quei mezzi sarebbero “too assertive in the tested contexts” (Turco 2013: 223). Nei termini qui adottati, <?page no="238"?> 238 Approcci funzionalisti attuali alla luce delle categorie saussuriane abbiamo risultati pertinenti la parole in quelle condizioni, ma problematici, se non inattendibili, per la loro proiezione sul livello sociale della langue. Il secondo punto è più di ordine metodologico e riguarda l’attenzione prestata alle tecniche statistiche impiegate per validare le tendenze riscontrate nella gamma di risposte variabili degli informanti come non dovute a casualità e, in particolare, l’addensarsi di certe scelte rispetto ad altre. L’attenzione per uno strumentario metodologico come quello statistico, indipendente dall’oggetto di studio linguistico, àncora i risultati al di fuori dell’ambito teorico della linguistica. Sulla base di queste osservazioni critiche delle tendenze di studio più recenti del funzionalismo e a conclusione di questa rassegna non sembra fuori luogo richiamare il funzionalismo a quanto affermato nella frase conclusiva del Cours, in sé apocrifa perché aggiunta dagli editori: “La linguistica ha per unico e vero oggetto la lingua considerata in se stessa e per se stessa” (de Saussure 1922 [1967]: 282; corsivo originale). Il funzionalismo potrebbe anche essere richiamato alla opportunità di ripercorrere al contrario lo Umweg che Tullio De Mauro (nota 305 a p.- 456 della sua traduzione del Cours) ha delineato come insegnamento del maestro ginevrino per la linguistica: ovvero risalire dall’individuale “éxecution” fino ad arrivare “al riconoscimento degli aspetti universali della tecnica linguistica, considerata, al di là della sua disparità “superficielle”, nella sua “unité profonde”. <?page no="239"?> 12 Dalla fonetica alla fonologia e alla morfologia: la varietà iniziale di polacco L2 del progetto VILLA* 12.1 Introduzione e quadro teorico Nel quadro teorico funzionalista della ricerca in linguistica acquisizionale, detto anche della “Basic Variety”, si sono raggiunti risultati ormai assestati nell’interpretazione e nella spiegazione degli sviluppi della morfosintassi e del lessico delle lingue seconde, dagli stadi iniziali - come la varietà basica - a quelli più avanzati e semi-nativi 1 . Non è stato possibile finora osservare eventuali regolarità anche nello sviluppo della componente fonologica, dove, come è ben noto, sembra essere predominante l’influsso della lingua prima anche in stadi molto avanzati di acquisizione. I macroscopici fenomeni di interferenza, pur condizionati da rapporti di marcatezza dei segmenti fonologici considerati (Eckman 1981b), oscurano la rilevazione di eventuali tendenze di sviluppo indipendenti dalla lingua prima, come si è potuto riscontrare in morfosintassi. Le difficoltà di osservazione della componente fonologica di una lingua seconda possono ora essere superate grazie ai dati raccolti nel progetto VILLA (Varieties of Initial Learners in Language Acquisition: Controlled classroom input * Tratto da: Marina Chini/ Pierluigi Cuzzolin (a cura di), Tipologia, acquisizione, grammaticalizzazione. Milano, FrancoAngeli, 2018: 205-218. Si presentano qui alcuni risultati del progetto di ricerca “Acquisizione e insegnamento di lingue seconde: stadi iniziali e elaborazione dell’input” (fondo NETBER-PARIS8 dell’Università degli Studi di Bergamo, Dipartimento di Lingue, letterature e culture straniere per gli anni 2014-2017). Il progetto è parte del GDRI (Groupe de recherche international) coordinato dall’Università di Parigi 8 e detto SLAT (Second Language Acquisition and Teaching). Ringrazio per i commenti fatti alla presentazione di questo contributo gli intervenuti al convegno a Pavia il 15 ottobre 2016. La mia gratitudine va inoltre a Lorenzo Spreafico per le precisazioni suggerite in merito a singoli punti di questo contributo. Questo studio vuole essere un tributo di riconoscenza a Paolo e Anna e ai loro insegnamenti, che hanno guidato la mia carriera, come quella di molti altri colleghi loro allievi, con sicuri riferimenti teorici e metodologici. 1 Si rimanda qui ai noti lavori contenuti in Perdue (1993) per quanto riguarda lo studio comparato dell’acquisizione di francese, inglese, nederlandese, svedese e tedesco come L2 svolto nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dalla European Science Foundation, nonché all’articolo di Klein/ Perdue (1997) sulla definizione di varietà basica. L’italiano è descritto in Giacalone Ramat (2003 a c. di), mentre Wątorek et al. (2012) raccolgono contributi più recenti. <?page no="240"?> and elementary forms of linguistic organization) (http: / / villa.cnrs.fr) svolto negli anni 2011-2013 2 . Il progetto ha avuto come obiettivo l’osservazione delle strategie di elaborazione dell’input iniziale di una lingua seconda. A questo fine è stato somministrato lo stesso corso di polacco da parte della stessa insegnante nativa a dieci gruppi di apprendenti: nove di giovani adulti in età compresa tra 18 e 25 anni e uno di bambini di dieci anni. Il corso, di 14 ore distribuite su 10 giorni, è stato impostato secondo i canoni dell’approccio cosiddetto “nozional-funzionale” senza spiegazioni metalinguistiche e senza ricorso alle attività di esercizio e di verifica usuali in contesto didattico. Gli allievi erano vivamente scoraggiati dal far ricorso a grammatiche o dizionari. Le dieci edizioni del corso sono state svolte in Francia, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito e Italia e hanno quindi coinvolto apprendenti di cinque lingue prime: francese, tedesco, nederlandese, inglese, italiano. In ciascun Paese il corso è stato somministrato a due gruppi diversi in due modalità, dette meaning-based e form-based, distinte in base all’assenza e, rispettivamente, alla presenza di interventi correttivi, strategie di focus on form (Long 1981) e indicazione grafica delle parole via via introdotte dall’insegnante sulle diapositive power point che rappresentavano in maniera stilizzata e ostensiva i significati introdotti. L’input fornito dall’insegnante in tutte le dieci edizioni del corso è stato organizzato in modo da contenere le stesse strutture e gli stessi tipi lessicali. Questi sono stati utilizzati nelle lezioni con frequenze diverse, ma con lo stesso rapporto finale tipi/ occorrenze, come illustrato nella Tabella 1 per le edizioni meaning-based e form-based svolte in Italia e in Francia 3 . Edizione Tipi Occorrenze Rapporto Italia, meaning-based 1053 55529 0.019 Italia, form-based 1076 56327 0.019 Francia, meaning-based 1177 62858 0.019 Francia, form-based 1045 57545 0.018 Tab. 1: Tipi lessicali, occorrenze e rapporto tipi/ occorrenze in quattro edizioni del corso VILLA 2 Il progetto, descritto in Dimroth et al. (2013), ha visto la collaborazione di équipes di ricerca di sette università europee: Université de Paris 8, Radboud Universiteit Nijmegen, Universität Osnabrück, University of York, Università di Pavia, Università di Bergamo, Katolicki Uniwersytet Lubelski Jana Pawła II. 3 I tipi lessicali comprendono parole trasparenti, come per es. ekonomista ‘economista’, e parole non trasparenti, come per es. włoszka ‘(donna) italiana’. Le prime sono state scelte sulla base di test preliminari svolti presso parlanti nativi delle lingue prime coinvolte nel progetto. Le condizioni che portano al riconoscimento di parole polacche trasparenti per nativi italofoni sono trattate in Valentini e Grassi (2016). 240 Dalla fonetica alla fonologia e alla morfologia <?page no="241"?> Nella seconda parte di ognuna delle dieci giornate del corso gli allievi sono stati sottoposti a dodici tipi di test per rilevarne le strategie di elaborazione dell’input, misurandone eventuali progressi in momenti successivi. I test hanno riguardato i diversi livelli di analisi: il test detto Sentence imitation, per es., finalizzato a verificare il riconoscimento della morfologia di caso in frasi con ordine dei costituenti SVO e OVS (cfr. Saturno 2015), è stato somministrato una prima volta dopo nove ore di corso e una seconda volta dopo 13 ore e mezza 4 . Due soli test, somministrati dopo le 14 ore del corso, hanno rilevato la produzione linguistica dei partecipanti al corso: nel primo, detto Route direction, l’apprendente doveva dare indicazioni stradali in un compito di tipo direttivo; nel secondo l’apprendente doveva raccontare le immagini in sequenza di un video di animazione detto Finite story in un compito di tipo narrativo. Questo video è stato ideato da Christine Dimroth al Max-Planck-Institut für Psycholinguistik di Nimega allo scopo di elicitare enunciati con diverse strutture informazionali. Nei trenta inserti che lo compongono viene presentata la vicenda di tre personaggi identificati dai colori del loro abbigliamento (signor Blu, signor Rosso, signor Verde) e coinvolti nella fuga dalla casa in cui abitano, colpita da un incendio. È sulla base dei racconti della Finite story forniti da otto apprendenti italofoni che si osserva qui la componente fonetica della varietà iniziale di polacco L2 indotta dalla partecipazione ai corsi del progetto VILLA, con il fine di rispondere alle due seguenti domande di ricerca: a. È possibile ritrovare caratteristiche specifiche della componente fonologica negli stadi iniziali di una L2? b. È possibile mettere in relazione lo sviluppo della fonologia con quello di morfologia e sintassi di una L2 5 ? Un lavoro preliminare (Bernini 2016) ha esaminato il racconto della Finite story di un solo apprendente form-based con l’italiano come lingua prima e le rese di due parole (też / tɛʂ/ ‘anche’ e skakać / ˈskakaʈʂ/ ‘saltare’) fornite dai 31 apprendenti italofoni di VILLA. In esso si è potuto rispondere in modo positivo alla prima domanda, mentre è risultato più problematico rispondere in modo positivo alla seconda (Bernini 2016: 148-150). In questo contributo si portano altre prove a sostegno della risposta positiva alla prima domanda e si approfondisce la discussione relativa alla seconda domanda sulla base della comparazione di otto racconti della Finite story forniti da 4 Uno di questi test, detto Phoneme discrimination, è stato somministrato tre volte. Di esso si dirà più avanti, essendo rilevante per il tema qui trattato. 5 Non prendiamo qui in considerazione la prosodia, che pure meriterebbe un trattamento sistematico nella prospettiva delle varietà di apprendimento, come brevemente considerato in Bernini (2016: 140). 241 <?page no="242"?> apprendenti italofoni di VILLA come illustrato nella sezione 12.2. Nella sezione 12.3 si descrivono le caratteristiche di queste varietà di apprendimento, sulla base delle quali, nella sezione 12.4, si cercherà di rispondere alla seconda domanda di ricerca individuando i fattori che contribuiscono alla riduzione dell’instabilità delle rese fonetiche, prefigurando la fissazione di schemi fonologici e morfologici che riflettono la lingua di arrivo. 12.2 I dati I racconti della Finite story elicitati presso gli apprendenti italofoni meaning-based e form-based e gli apprendenti tedeschi, giovani adulti form-based e bambini meaning-based di dieci anni, sono già stati considerati da Christine Dimroth (2018). In questo lavoro si è riconosciuto nella varietà di apprendimento indotta dall’esposizione all’input VILLA il tipo della “Basic Variety” sia nell’ordine dei costituenti che nelle forme di parola presenti negli enunciati prodotti dagli apprendenti nei loro racconti. La frequenza delle forme e delle costruzioni proposte nell’input condiziona sia la scelta di arciforme sia i tentativi di differenziare le parole in base alla loro funzione grammaticale riscontrati tendenzialmente presso gli apprendenti considerati 6 . In questo contributo si prendono in esame, come anticipato nella sezione 12.1, i racconti della Finite story forniti da otto apprendenti VILLA del gruppo di italofoni, scelti casualmente 7 : quattro tra i 17 partecipanti alla versione meaning-based del corso e quattro tra i 14 partecipanti alla versione form-based 8 . Il gruppo dei quattro apprendenti meaning-based comprende tre apprendenti di sesso femminile (5101, 5102, 5106) e un apprendente di sesso maschile (5104). 6 La frequenza, insieme alla trasparenza delle parole proposte nell’input, è considerata in diverse indagini sulla capacità di rilevare distinzioni morfologiche dopo poche ore di esposizione. Tra i molti studi si può ricordare qui il lavoro di Rast et al. (2014) sul riconoscimento dei casi nominativo e strumentale. 7 Il numero limitato di apprendenti qui considerato è motivato dall’onere della trascrizione IPA accurata dei racconti, sottoposta al controllo di un secondo ricercatore, e dalla classificazione della gamma di variazioni fonetiche rilevanti per l’indagine qui presentata, come illustrato nella sezione 12.3. 8 I primi sono caratterizzati dalle cifre 51 del codice di quattro cifre utilizzato per individuare gli apprendenti, i secondi dalle cifre 52. A tutti gli apprendenti VILLA è stato attribuito un codice numerico di quattro cifre: la prima indica la lingua prima (1 per il francese, 2 per il tedesco, 3 per il nederlandese, 4 per l’inglese, 5 per l’italiano), la seconda la modalità di esposizione (1 meaning-based, 2 form-based), la terza e la quarta il singolo apprendente. I codici degli apprendenti qui considerati sono: 5101, 5102, 5104, 5106; 5202, 5204, 5205, 5218. 242 Dalla fonetica alla fonologia e alla morfologia <?page no="243"?> Nel gruppo dei quattro apprendenti form-based due sono di sesso maschile (5202, 5218) e due di sesso femminile (5204, 5205). Dal punto di vista fonetico, l’input dei corsi VILLA è caratterizzato da una pronuncia tendenzialmente iperarticolata: l’insegnante nativa favorisce così la discriminazione delle parole da parte degli allievi, per i quali la percezione del segnale acustico è accompagnata da “segnali complementari”, ovvero gesti dell’insegnante e figure rappresentate su diapositive power point proiettate su schermo 9 . Nei termini suggeriti da Albano Leoni (2009: 183), la voce dell’insegnante genera il “volto fonico” delle parole polacche, costituito da una o più salienze sonore che le articolano in sillabe cadenzate sul piano prosodico dall’accento, che cade regolarmente sulla penultima sillaba. Il volto fonico di una frazione delle parole introdotte e ripetute dall’insegnante durante il corso è riflesso nei racconti della Finite story, articolati con molte pause e incertezze, in una modalità condizionata dalla prestazione richiesta all’apprendente. Questa chiama in causa fattori fisiologici relativi alla riproduzione del volto fonico delle parole apprese, fattori cognitivi relativi ai significati da organizzare nel racconto, fattori comunicativi relativi alla presenza di un interlocutore nativo a cui descrivere ognuno degli inserti filmici proiettati in successione (Lindblom 1990: 419-420) 10 . I racconti sono stati prodotti in una situazione semi-naturale al di fuori dell’aula in cui si è tenuto il corso; un interlocutore nativo orienta la scelta della lingua e stimola il racconto, introducendo in polacco i tre protagonisti chiamati secondo il colore del loro abbigliamento (pan Niebieski ‘signor Blu’, pan Zielony ‘signor Verde’, pan Czerwony ‘signor Rosso’), la grande casa e le stanze in cui abitano, colorate come indica il nome del loro occupante, e invitando infine a raccontare (prosze móvić ‘per favore, parla[re]’), rispondendo alla domanda co robi pan X? ‘cosa fa il signor X? ’, ripetuta per ciascuno dei tre personaggi. I racconti degli otto apprendenti qui presi in esame hanno una durata variabile tra i 10’ 04” di 5104 e i 17’ 29” di 5205, come indicato nella Tabella 2. La durata dei racconti degli apprendenti meaning-based è inferiore a quella degli apprendenti form-based (tra 10’ 04” e 13’ 39” e, rispettivamente, tra 14’ 41” e 17’ 29”). Dalla durata grezza andrebbero però meglio sottratti i silenzi, le pause piene, le riformulazioni, gli interventi - ancorché sporadici - dell’interlocutore 9 Nei termini della cosiddetta “H[yperspeech]&H[ypospeech] Theory” (Lindblom 1990) l’articolazione dell’insegnante - caratteristica per altro tipica del teacher talk - è condizionata da esigenze di percezione e mostra in misura limitata la variazione insita nel parlato tra nativi. 10 Sempre nei termini della “H&H Theory”, per il controllo esercitato sulla produzione fonica si potrebbe definire la produzione degli apprendenti come tendenzialmente “system-oriented” o ipoarticolata (Lindblom 1990: 404). 243 <?page no="244"?> 244 Dalla fonetica alla fonologia e alla morfologia nativo. L’ipotesi di una correlazione tra la durata del racconto e la modalità di presentazione dell’input potrà essere verificata e comprovata solo sulla base della durata del racconto della Finite story di tutti gli apprendenti italiani in prima istanza, ma soprattutto dell’intero progetto VILLA. Apprendenti meaning-based Durata Tipi lessicali Apprendenti form-based Durata Tipi lessicali 5101 13’ 29” 50 5202 14’ 41” 37 5102 12’ 15” 36 5204 16’ 14” 42 5104 10’ 04” 24 5205 17’ 29” 31 5106 10’ 24” 30 5218 15’ 49” 33 Tab. 2: Durata dei racconti e numero di parole degli otto apprendenti in esame 11 La media di tipi lessicali utilizzati in ciascuno dei racconti qui considerati e pure riportati nella Tabella 2 non sembra differenziare l’esiguo numero di apprendenti meaning-based e form-based qui considerati: 35 nel gruppo meaning-based e 35,75 nel gruppo form-based. Tuttavia tra gli apprendenti meaning-based le differenze nel numero di lessemi impiegati sono molto superiori a quelle riscontrate tra gli apprendenti del gruppo form-based 12 . Prendiamo atto di queste differenze, che potranno assumere significato solo se verificate in un numero più ampio di soggetti. Gli otto racconti qui considerati comprendono 76 tipi lessicali. Anche se la quantità di dati qui considerata non permette di fare considerazioni statistiche, è opportuno notare che solo 12 tipi si ritrovano in tutti gli otto racconti e altri 13 si distribuiscono tra cinque e sette racconti. I tipi distribuiti tra uno e quattro racconti sono 51; di questi, 16 si ritrovano in due soli racconti e 18 in un solo racconto. Del totale di 76 tipi lessicali, 47 si ritrovano in racconti di apprendenti sia meaning-based sia form-based. Dei rimanenti 29 tipi, 19 sono contenuti 11 Nella tabella sono riportate solo le parole che possono essere proiettate in un lessema della lingua di arrivo. Non sono contati: 2 prestiti presenti in 5101 (it. [ma], ted. [ˈʦvai ̯ ]), 2 forme eco degli interventi dell’interlocutore in 5205 e 5218 rispettivamente, 3 parole non immediatamente proiettabili sulla lingua di arrivo in 5205 (p. es. [noˈbɔku], riconducibile sia alla preposizione obok ‘accanto’ che al sintagma na dachu ‘sul tetto’). 12 La deviazione standard nel gruppo meaning-based è 9,64, nel gruppo form-based 4,2. Questi valori non hanno ovviamente significatività statistica, visto l’esiguo numero di soggetti considerati. <?page no="245"?> 245 solo in racconti di apprendenti meaning-based e 10 in racconti di apprendenti form-based, ma 28 di questi tipi compaiono presso uno o due apprendenti 13 . Prima di passare all’analisi di alcune caratteristiche del “volto fonico” delle parole polacche restituite dagli otto apprendenti nei loro racconti, è anche utile notare che nella lista dei 76 tipi lessicali si individuano solo tre elementi che nel polacco di nativi formano una serie di coppie minime: / ˈdɔ/ , do, preposizione di moto a luogo ~ / ˈtɔ/ to ‘quello’ (neutro nominativo e accusativo) ~ / ˈtu/ tu ‘qui’. Le tre forme occorrono solo nel racconto di 5106: le prime due in successione, come nell’esempio (1a), la terza in un altro contesto riportato in (1b) 14 . (1) (5106) a. [ˈstraʒak ˈjɛstɛm ˈdo ˈto twaˈlɛta] <pompiere io-sono a quello toilette> (scilicet: il pompiere è alla toilette) b. [ʧɛrˈvɔne ˈspetːsjal saˈmoxut +++ ˈiʃt ˈtu ˈdɔm niˈbjeʃki] <rosso speciale veicolo +++ va qui casa blu> Solo le prime due forme occorrono nel racconto di 5204: la preposizione sette volte davanti a un nome con instabilità nella resa vocalica ([ˈdɔ, ˈdo, ˈdə]); to una volta nella formula presentativa [ˈtɔ ˈjɛst] ‘c’è/ quello è (un grande incendio)’. 12.3 La componente fonetica delle varietà di apprendimento VILLA Osserviamo ora le rese fonetiche delle parole utilizzate nei racconti in polacco L2 della Finite story da due prospettive. Osserviamo dapprima alcune caratteristiche fonetiche comuni rispetto alla pronuncia dell’insegnante nativa nella lingua di arrivo da una parte e alla L1 degli apprendenti dall’altra (12.3.1). In una seconda prospettiva osserviamo l’instabilità diffusa nella resa delle parole da parte degli apprendenti, cercando di individuare i fattori che sembrano condizionarla (12.3.2). Come si vedrà, ambedue le prospettive evidenziano la relativa indipendenza delle varietà di apprendimento considerate sia dalla L1 sia dalla lingua di arrivo anche nella componente fonetica. 13 Solo il tipo obserwować ‘osservare’ compare in tre racconti di apprendenti meaning-based: 5101, 5102, 5106. 14 La proiezione di [ˈto] e [ˈtu] sulle corrispondenti forme polacche può essere problematica. In particolare, per [ˈtu] si potrebbe pensare a un prestito dall’inglese to. Si tenga presente che to è stato ripetuto 2924 volte nel corso meaning-based a cui quest’apprendente ha partecipato, mentre tu solo 27 volte. Do ha invece una frequenza di 388 ricorrenze. <?page no="246"?> 246 Dalla fonetica alla fonologia e alla morfologia 12.3.1 Le caratteristiche fonetiche comuni ai racconti della Finite story Nel consonantismo delle varietà di apprendimento qui testimoniate si riscontra una sola serie di fricative e affricate palatoalveolari [ʃ ʒ ʧ ʤ], come nell’italiano L1, in cui sono riflesse le corrispondenti retroflesse (postalveolari) / ʂ ʐ ʈʂ ɖʐ/ e alveolopalatali / ɕ ʑ ʨ ʥ/ della lingua di arrivo 15 . Per le retroflesse si veda, ad esempio, la consonante iniziale del nome del signor Rosso, / ʈʂɛrˈvɔnɨ/ Czerwony, resa come [ʧ] in 75 delle 79 occorrenze in cui compare nei nostri otto apprendenti. Per le alveolopalatali si veda la resa dell’infinito / ˈiɕʨ/ iść ‘andare (a piedi)’ come [ˈiʃʧ] o [ˈiʃt]. Le rese così interferite contraddicono i risultati del test fonologico sottoposto in tre occasioni agli apprendenti VILLA, che dopo 10 ore e mezza di input hanno mostrato di discriminare nella percezione fricative e affricate dentali, retroflesse e alveolopalatali in sillabe di tipo / Ca/ (Shoemaker 2014). L’elaborazione del “volto fonico” di una parola in contesti come quello del racconto della Finite story coinvolge però i fattori menzionati sopra in 12.2. L’ipodifferenziazione delle consonanti della lingua di arrivo qui in discussione è indotta sul piano articolatorio fisiologico dalla difficoltà di riprodurle nel quadro noto dagli studi interferenzialisti; tuttavia essa non pregiudica il successo della comunicazione dei significati intesi all’interlocutore nativo nel contesto degli inserti filmici. Analoghe considerazioni valgono per la mancanza dell’opposizione di palatalizzazione, pervasiva nel sistema della lingua di arrivo (cfr. per es. (/ mɛʈʂ/ mecz ‘partita (sportiva)’, / ˈmʲɛʈʂ/ miecz ‘spada’), cfr. [niˈbjeski] ‘(signor) Blu’ vs. / nʲɛˈbʲɛski/ niebieski. Nel vocalismo [e] riproduce presso gli apprendenti la vocale centrale [ɨ] <y> del polacco, solitamente considerato un allofono di / i/ in contesti preceduti da consonanti non-palatalizzate, cfr. [ʧerˈvone] vs. / ʈʂɛrˈvɔnɨ/ Czerwony ‘(signor) Rosso’, [ˈduʒe] vs. / ˈduʐɨ/ duży ‘grande’ (Rothstein 1993: 689). La riproduzione del “volto fonico” delle parole dell’input nativo non mette però solo in evidenza l’appoggio alla fonetica della L1. La fricativa palatoalveolare sonora [ʒ], assente nella L1, riproduce le corrispondenti fricative retroflessa e alveolopatale, solo raramente sostituite da un’affricata. Per / ʐ/ lo si può osservare nelle 35 ricorrenze di [ʒ] di contro a solo tre ricorrenze di [ʤ] nelle rese di / ˈpɔʐar/ pożar ‘incendio’. Per / ʑ/ si ritrova la fricativa in 65 occorrenze, di contro a 6 con l’affricata, all’inizio della parola / ʑɛˈlɔnɨ/ Zielony ‘(signor) Verde’ 16 . 15 Queste consonanti sono discusse e definite in Ladefoged e Maddieson (1996: 154-155, 164). Tendenze attuali nella loro realizzazione sono state rilevate e misurate in Czaplicki et al. (2016). 16 Marginalmente è interessante notare che le ulteriori due occorrenze di quella parola sul totale di 73 mostrano l’una un’affricata sorda, cfr. / ʧeˈlɔnɛ/ e l’altra una fricativa dentale seguita da semiconsonante palatale, cfr. / zjɛˈlɔne/ . <?page no="247"?> 247 La relativa autonomia della componente fonetica di queste varietà di apprendimento da entrambe le lingue in contatto è poi rilevabile nella presenza di una fricativa palatoalveolare sonora in fine di parola, non ammessa nella lingua target, anche in contesti seguiti da parola con sorda iniziale, come esemplificato in (2). (2) a. [ˈstraʒ poˈʒarna] Lingua di arrivo: / ˈstraʂ pɔˈʐarna/ straż pożarna <vigile del-fuoco> (5106, 5202, 5204) b. [ˈtɛʒ ˈʃpi] Lingua di arrivo: / ˈtɛʂ ˈɕpi/ też śpi <anche dorme> (5202) La presenza di una consonante sonora in fine di parola costituisce un tratto tipologico che distingue le varietà di apprendimento in cui compare sia dall’italiano, che ammette in fine di parola solo vocali e sonoranti, sia dal polacco, che ammette vocali, sonoranti e consonanti sorde. Nel caso riportato in (2a) la sonora finale in quel contesto può essere ricondotta a processi di elaborazione di quella forma rispetto a / ˈstraʐak/ straʐak ‘pompiere’, con cui condivide parte del significato. I processi di elaborazione possono essere rilevati nelle forme riportate in (3). (3) [ˈstraʒa poˈʒarna] (5202), [ˈstraʒak poˈʒarna] (5104, 5205), [ˈstraʒaki ˈpoʒarn] (5205) Diverso è il caso di (2b). La sonora finale si ritrova nelle otto occorrenze della parola in 5202 e non nelle 26 occorrenze degli altri sette apprendenti. Nei racconti degli apprendenti italiani di VILLA non considerati qui, la parola è riprodotta anche con una affricata e una fricativa sonore finali, ancorché in un numero di occorrenze limitato (Bernini 2016: 145). Anche questi riscontri vanno a favore di tendenze all’organizzazione autonoma della componente fonetica delle varietà di apprendimento, indotte dal fine di riprodurre certi “volti fonici” delle parole dell’input nel contesto comunicativamente significativo già descritto. Le forme riportate in (3) mostrano una certa gamma di variazione che deriva dalla relativa instabilità delle produzioni foniche degli apprendenti, a cui ora viene rivolta l’attenzione. <?page no="248"?> 248 Dalla fonetica alla fonologia e alla morfologia 12.3.2 L’instabilità delle rese fonetiche L’instabilità nelle rese fonetiche delle parole polacche nei racconti della Finite story è stata proposta e illustrata in Bernini (2016) sulla base del racconto di 5202 e delle occorrenze di też ‘anche’ e skakać ‘saltare’ in tutti gli apprendenti italofoni di VILLA. Approfondiamo qui i parametri sottesi all’instabilità, che per la quantità di dati finora elaborati non permette ancora di essere intesa in termini di variabilità. 12.3.2.1 Instabilità lessicale L’instabilità si riscontra, ovviamente, anzitutto nella resa di singole parole, ovvero a livello lessicale, soprattutto nella sequenza di foni e talvolta anche nella struttura sillabica. L’instabilità, relativa come già si è detto, comporta in generale l’addensamento su un tipo di resa e una dispersione più o meno frequente per tipi e per apprendenti su altre rese. Ne può essere esempio la parola target / ˈpan/ pan ‘signore’, la più frequente nei racconti, con 246 occorrenze totali. L’addensamento di 176 occorrenze sulla resa [ˈpan] come nell’input si riscontra in sette dei nostri apprendenti, ad esclusione di 5205. Delle restanti 70 occorrenze disperse, [ˈpam] si ritrova 46 volte in 5204 e 5205 e [ˈpa] 24 volte in 5218. La forma target / ˈpɔʐar/ pożar ‘incendio’, pure importante nei racconti, è resa come [ˈpɔʒar] per un totale di 20 volte su 38 da parte di tutti gli otto apprendenti. Le altre rese sono disperse tra un apprendente meaning-based (5101) e tre apprendenti form-based (5202, 5205, 5218). Il primo di questi apprendenti ha due forme con accento sulla seconda sillaba, [pɔˈʒar] accanto a [poˈʒar], prodotta anche da 5202. Oltre a una forma con affricata [ˈpɔʤar] in 5205, le forme disperse comprendono [ˈpɔʒarn] (7 occorrenze su due apprendenti), [ˈpɔʤarn], [poˈʒaru], [ˈproʒak]. L’apprendente con il maggior raggio di dispersione è 5205 (5 forme diverse). 12.3.2.2 Instabilità intralessicale L’instabilità può coinvolgere più forme dello stesso paradigma a un livello che si potrebbe definire intralessicale con riferimento al lessema coinvolto. La parola per ‘pompiere’ è stata riprodotta nell’input nella forma del nominativo / ˈstraʐak/ strażak (poco più di 50 occorrenze nei due corsi italiani), dello strumentale / straˈʐakʲɛm/ strażakiem (poco più di 30 occorrenze), e genitivo/ accusativo / straˈʐaka/ strażaka (5 e 3 occorrenze nei due corsi italiani). Delle 58 occorrenze riscontrate negli otto racconti, la prima forma è riprodotta 27 volte come [ˈstraʒak], la seconda 16 volte come [straˈʒakjɛm]. Le altre 15 occorrenze, pur disperse, si possono rapportare alla forma del nominativo, come [ˈstraʤak], <?page no="249"?> 249 [straˈʒak], [ˈtraʒak] e a quella dello strumentale, come [straˈʒakjɛn], [ˈstraˈʒakem], [ˈstraˈʒak̬e], [straˈʒakje], [straˈʒaki]. La dispersione caratterizza più gli apprendenti form-based che quelli meaning-based e, tra quelli, 5202 e 5205. 12.3.2.3 Instabilità interlessicale L’instabilità nella forma fonetica delle parole può talvolta essere ricondotta a tipi lessicali diversi dell’input, come nel caso di skakać ‘saltare’ e skręcić ‘girare, voltarsi’ già discussi in Bernini (2016) e di iść ‘andare (a piedi)’ e jechać ‘andare con un mezzo’. La sovrapposizione di questi due tipi lessicali è favorita dalla somiglianza della terza persona singolare del presente imperfettivo, / ˈidʑɛ/ idzie e, rispettivamente, / ˈjɛdʑɛ/ jedzie. Nella Finite story il contesto per l’uso del secondo di questi due tipi lessicali è dato dall’inserto in cui i pompieri arrivano con un’autopompa sul luogo dell’incendio, mentre in tutti gli altri inserti gli spostamenti dei protagonisti dentro le stanze in cui abitano e per le scale sono da designare col primo dei due tipi. La sovrapposizione è illustrata nella descrizione del signor Rosso nella sua camera, riportato in (4), dove l’autocorrezione è suggerita dalla parlante nativa presente al racconto. (4) [(…) ʧerˈvone ˈjeʤe/ ˈiʤe i ˈpɔtɛm ˈʃpi na ˈuʃku] (5204) < rosso va/ va e dopo dorme su letto> Oltre che dalla somiglianza fonetica, l’instabilità lessicale sembra indotta anche dal significato che si intende trasmettere, evidente per i due tipi lessicali polacchi che designano la maniera del movimento, altrimenti neutralizzata in italiano. Considerazioni analoghe potrebbero valere anche nel caso di skakać e skręcić, come mostra l’esempio (5), tratto da un apprendente che li usa in contesti diversi ma sempre per descrivere un movimento: in (5a) il movimento di salire le scale da parte del signor Blu; in (5b) il movimento giù dalla finestra da parte dello stesso signor Blu. (5) (5205) a. [ˈpam niˈbjɛski ˈskrenʧiʧ (…) na ˈgure] <signor blu si-gira/ va sopra> b. [ˈpam niˈbjɛski ˈskɔʧiʧ (…)] <signor blu salta> <?page no="250"?> 250 Dalla fonetica alla fonologia e alla morfologia L’instabilità interlessicale merita però ulteriori approfondimenti per meglio distinguere il peso specifico della somiglianza fonetica delle parole usate nell’input e della somiglianza dei significati che quelle veicolano. 12.3.2.4 Fattori che condizionano l’instabilità A conclusione della rassegna delle dimensioni di instabilità riscontrate nei racconti della Finite story qui considerati, prendiamo ora in considerazione tre potenziali fattori di instabilità. Due fattori pertengono l’input offerto nei corsi VILLA e in particolare la trasparenza e la frequenza dei tipi lessicali utilizzati; un terzo fattore pertiene invece i processi di elaborazione dei singoli apprendenti. Nei racconti della Finite story compaiono tre parole trasparenti: / tɛlɛfɔˈnuje/ telefonuje, terza persona singolare del presente indicativo di telefonować ‘telefonare’, / tɛˈlɛfɔn/ telefon ‘telefono’ e / tɔaˈlɛta/ toaleta ‘toilette’. La prima parola mostra un alto grado di stabilità, essendo riprodotta 36 volte come [telefoˈnuje]. Anche la seconda parola mostra un buon grado di stabilità: è riprodotta tre volte come [tɛˈlɛfɔn] secondo la pronuncia attesa in 5218; l’unica occorrenza riscontrata in 5202 e in 5101 si discosta dal target solo per la chiusura vocalica, cfr. [teˈlefon] e [teˈlefɔn] 17 . La terza parola ricorre sette volte in quattro forme diverse: [to̯aˈlɛta] (5101, 5102, 5202, 5205), [to̯aˈlɛtːo] (5218), [toi ̯ ˈlɛtːa] (5204), [twaˈlɛta] (5106). Quattro occorrenze si addensano su una forma che riflette ma non coincide con il target, le altre tre potrebbero essere ricondotte alla pronuncia variabile che in italiano può avere la parola in quanto prestito dal francese. Anche per questo tipo trasparente si può quindi riconoscere una certa riduzione dell’instabilità. Delle tre parole ora considerate telefonuje e toaleta sono ricorse più frequentemente nell’input form-based (53 e 36 rispettivamente) che meaning-based (34 e 19 rispettivamente), ma in un ordine di grandezza comparabile. Telefon è invece stata riprodotta 99 volte nell’input meaning-based e 123 volte in quello form-based 18 . Per questa parola la frequenza si sovrappone quindi alla trasparenza. Parole non trasparenti ma molto frequenti come / ˈtɛʂ/ też ‘anche’ (215 nell’input meaning-based e 192 in quello form-based) mostrano una limitata gamma 17 In questa forma la posizione dell’accento è condivisa dalla prima e dalla seconda lingua. Nella forma [teleˈfonu], prodotta da 5102, è forse possibile interpretare come indizio di stabilità nella resa fonetica la posizione dell’accento sulla penultima sillaba come nel target. 18 A questi valori andrebbero in realtà aggiunti quelli delle occorrenze delle forme di infinito / tɛlɛfɔˈnɔvaʨ/ telefonować (14 form-based e 12 meaning-based) e genitivo / tɔaˈlɛtɨ/ toalety (12 form-based e 13 meaning-based). Per telefon le ricorrenze sono molto più cospicue: oltre al nominativo già menzionato, la forma di locativo / tɛlɛˈfɔnu/ telefonu ha 33 occorrenze nell’input meaning-based e 41 in quello form-based e il nominativo plurale / tɛlɛˈfɔnɨ/ telefony 6 e 5 rispettivamente. <?page no="251"?> 251 di dispersione, come è stato ricordato in 12.3.1. La frequenza sembra interagire con le caratteristiche fonetiche: l’affricata iniziale di / ʈʂɛrˈvɔnɨ/ czerwony ‘rosso’ è resa in 74 delle 79 occorrenze della parola nei racconti degli apprendenti italofoni a fronte di 106 e 89 occorrenze nell’input meaning-based e form-based. L’iniziale di / ʑɛˈlɔnɨ/ zielony ‘verde’ (57 e 58 occorrenze meaning-based e form-based rispettivamente) è resa come fricativa palatale sonora in 65 occorrenze della parola negli otto racconti qui in esame, di contro a sei occorrenze come affricata palatale sonora e a una sola come affricata sorda. La frequenza sembra anche orientare la scelta di un’arciforma tra quelle dello stesso paradigma, come nel caso della terza persona singolare del presente indicativo / ˈɕpi/ śpi ‘dorme’ rispetto all’infinito / ˈspaʨ/ spać ‘dormire’ (54 contro 21 occorrenze nel corso meaning-based e 59 contro 20 occorrenze nel corso form-based). Tuttavia altri fattori possono qui essere in gioco, come mostra l’assenza di / ˈpanʲi/ pani (nominativo plurale) rispetto a / ˈpan/ pan, nominativo singolare, ‘signore’, che sono stati ripetuti rispettivamente 35 e 13 volte nel corso meaning-based e 31 e 16 volte nel corso form-based 19 . L’instabilità nelle rese fonetiche è anche condizionata da fattori individuali, riconducibili alla difficoltà di richiamare i “volti fonici” delle parole dell’input sia dal punto di vista mnemonico che fonetico. Non è possibile qui individuare nei dettagli tali fattori. Rispetto alle domande di ricerca che guidano questa indagine, è però interessante notare come la riduzione dell’instabilità intralessicale prefiguri individualmente l’emergere di distinzioni grammaticali. La riduzione dell’instabilità intralessicale è stata notata sul piano fonetico per la presenza di forme come [ˈskake] e [ˈskaka], che riducono l’allomorfia tra l’infinito / ˈskakaʨ/ skakać ‘saltare’ e la terza persona singolare del presente / ˈskaʈʂɛ/ skacze ‘salta’ e sembrano prefigurare il fissarsi di una forma base del verbo (Bernini 2016: 147, 148, 149). L’instabilità intralessicale può però anche essere ridotta riservando a certi contesti una delle forme in concorrenza. Lo si può vedere nella specializzazione delle forme di nominativo strażak e strumentale strażakiem del lessema per ‘pompiere’ per le funzioni di soggetto-controllore (6a) e di obliquo (6b, c) in 5101 20 . 19 Oltre al fatto che il racconto richiedeva l’individuazione dei singoli protagonisti, si ricordi che l’interlocutore nativa presente ai racconti li stimolava ripetendo tre volte co robi pan X? E offrendo così la forma in una sorta di schema ‘signor X’. 20 Il termine “controllore” designa nella “varietà basica” il nominale in posizione preverbale (Klein e Perdue 1997). La riduzione dell’instabilità lessicale in base ai contesti di occorrenza delle forme si ritrova per il genitivo pana rispetto al nominativo pan ‘signore’ anche in 5102 in [ˈpɔkui ̯ ˈpana ʒeˈlona] <stanza di-signore di-verde> e [ˈpɔkui ̯ ˈpana ʧerˈvona] <stanza di-signore di-rosso>. Le forme in -a dei due aggettivi sono bensì presenti nell’input, ma come forme di nominativo singolare femminile, qui evidentemente intese come forme di genitivo. <?page no="252"?> 252 Dalla fonetica alla fonologia e alla morfologia (6) 5101 a. [ˈpan ˈstraʒak ˈsuxa teˈlefon] <signor pompiere sente telefono> b. [ˈpan niˈbjɛski ˈpan ʧerˈvonːɛ i ˈpan ʒeˈlonːɛ pozˈdravjon straˈʒakjem] <signor blu signor rosso e signor verde salutano pompiere] c. [ˈɔn telefoˈnuje (…) ˈto straˈʒakjem] <lui telefona a pompiere] 12.4 Osservazioni conclusive La rassegna delle caratteristiche fonetiche dei racconti della Finite story forniti da quattro apprendenti VILLA che hanno seguito il corso di polacco nella modalità meaning-based e da quattro che l’hanno seguito nella modalità form-based, tutti di L1 italiana, ci permette ora di rispondere alle due domande di ricerca introdotte in 12.1. Per quanto riguarda la prima domanda, relativa alla possibilità di riscontrare caratteristiche specifiche della componente fonetica negli stadi iniziali di una L2, l’analisi qui condotta conferma la risposta positiva già proposta in Bernini (2016) sulla base del solo apprendente 5202. Come si è mostrato in 12.3.1, la fonetica delle varietà di apprendimento qui considerate non si lascia ricondurre in toto alla L1, di cui mostra l’interferenza nell’ipodifferenziazione di alcune opposizioni fonologiche. Inoltre mostra alcune caratteristiche autonome, come nel caso della presenza di una consonante sonora finale di parola riscontrata in alcune occorrenze. Questa caratteristica non rispecchia le regolarità né della L1 né della lingua d’arrivo e può essere indotta da strategie di regolarizzazione della forma fonetica delle parole, come nel caso di straż pożarna ‘guardia antincendio’, pure discusso in 12.3.1. Per quanto riguarda invece la seconda domanda, relativa alla possibilità di correlare lo sviluppo della fonologia con quello di morfologia e sintassi negli stadi iniziali di una L2, la risposta non può essere (ancora) definitiva. Tuttavia, nei racconti della Finite story degli otto apprendenti qui considerati, è possibile individuare delle tendenze di sviluppo che qui riassumiamo: a. la riduzione dell’instabilità riscontrata in misura diversa nella resa fonetica delle parole dell’input da parte degli apprendenti può prefigurare forme fonetiche stabili che, in caso di arricchimento lessicale, possono entrare in una rete di opposizioni come vengono riconosciute in fonologia; <?page no="253"?> 253 b. la riduzione dell’instabilità a livello lessicale sembra essere favorita dalla trasparenza e dalla frequenza delle parole fornite nell’input, come si è illustrato in 12.3.2.1 e in 12.3.2.4. La somiglianza fonetica e semantica di parole diverse (cfr. le forme di presente di iść ‘andare (a piedi)’ e jechać ‘andare (con un mezzo)’, skręcić ‘girarsi’ e skakać ‘saltare’, cfr. 12.3.2.2) ha però un certo peso specifico come fattore di instabilità; c. la riduzione nell’instabilità fonetica di forme diverse dello stesso tipo lessicale prefigura distinzioni morfologiche all’interno dei paradigmi nominali e verbali che alcuni apprendenti specializzano in base al contesto, come si è illustrato per il tipo lessicale per ‘pompiere’ in 12.3.2.4. In questo caso le distinzioni pre-morfologiche sono ancorate nella sintassi e rappresentano uno sviluppo rispetto all’impiego di forme diverse senza distinzioni contestuali, indice di instabilità, o alla scelta di un’arciforma, che riduce l’instabilità sul fronte pre-fonologico. I risultati provvisori qui presentati potranno essere verificati e precisati con la considerazione di gruppi di apprendenti VILLA con lingue prime diverse. <?page no="255"?> 13 La trascrizione di parlato L2: osservazioni metodologiche* This contribution discusses in a methodological perspective the problems related to the transcription of L2 spoken data. The choice of a graphic notation other the IPA is first considered in relation to the organizing principles found in the orthographic systems of four major European languages. The choice of a standard orthography is dependent upon the relatively regular application of the basic phonological organizing principle, as shown by Italian. The need for notational devices different from standard orthographic systems is shown to be dependent upon the range of system levels touched by the application of other organizing principles, such as the morphological and the etymological ones applied in German and in English and French. The second problem addressed in this contribution pertains the interpretation of words within individual learner varieties, which may not correspond to the target words even if they mirror their phonological shape. Transcripts are claimed to be reliable databases in second language acquisition research only if the transcriptor has cared for a segmentation of words mirroring the learner’s actual lexical knowledge. 13.1 Introduzione Nel campo di tensione ben delimitato dal tema di questo incontro, il mio contributo si colloca verso il polo delle trascrizioni. Obiettivo del contributo è apportare alcune osservazioni di ordine metodologico che aiutino a orientare la pratica della trascrizione - che in sé consta di un apparato di procedure e strumenti di natura squisitamente tecnica, ben esposti in Dittmar (2004) - affinché i dati che tramite essa vengono messi a disposizione del ricercatore possano essere oggetto di analisi capaci di contribuire a elaborazioni teoriche, senza che sia qui rilevante definire il tipo di approccio - funzionale, formale o altro - in cui quelle si inseriscono. Le osservazioni qui esposte riguardano l’ambito empirico del parlato di non-nativi, un tipo di lingua che - come è ben noto - è manifestazione di una * Contributo inedito. Questo contributo è stato elaborato in margine al progetto di ricerca “Classi di parole in prospettiva tipologica: gli avverbi”, finanziato dal Dipartimento di Scienze dei linguaggi, della comunicazione e degli studi culturali dell’Università degli Studi di Bergamo (Fondi d’Ateneo di Ricerca 2008). <?page no="256"?> competenza parziale rispetto a quella posseduta dai nativi della lingua di arrivo, ma nello stesso tempo è il risultato di elaborazioni autonome dell’apprendente e mostra caratteri in parte sistematici, ancorché nell’instabilità intrinseca al processo di apprendimento. Queste caratteristiche delle varietà di apprendimento rendono particolarmente spinosa la trascrizione del parlato di L2 proprio dal punto di vista metodologico, al di là delle tecniche di trascrizione anche sofisticate a disposizione. Infatti il parlato di L2 si lascia proiettare sulla lingua di arrivo nella sua articolazione in parole e sintagmi; nello stesso tempo, però, esso mostra caratteristiche sue proprie che si manifestano anche nell’articolazione in parole e sintagmi, in misura diversa a seconda delle fasi, iniziali o più avanzate in direzione della lingua di arrivo. Da questo punto di vista, la natura peculiare dei dati di L2 può essere illustrata dall’esempio (1), un frammento di trascrizione tratto dal corpus di un apprendente di italiano iniziale compreso nella banca dati del Progetto di Pavia 1 . L’apprendente in questione risponde alla domanda dell’intervistatore nativo con la costruzione nente pallone che, al di là della discrepanza fonologica rispetto all’indefinito negativo della lingua di arrivo, configura una sequenza di domanda e risposta pienamente rispondente alle regole pragmatiche e sintattiche dell’italiano di nativi 2 . (1) \IT\ studi - ma non vai neanche a giocare a pallone? \HG\ (% nente pallone %) (HG 07) La proiezione della struttura niente X dell’apprendente sulla lingua di arrivo è però fallace. Infatti, come schematizzato nella tabella 1, nente pallone è la realizzazione dell’unica struttura sintattica a disposizione dell’apprendente, fondata sulla sequenza di un elemento topicale opzionale e di un elemento focale davanti al quale si pone la negazione. Questa può essere espressa da due elementi lessicali che corrispondono, nella lingua di arrivo, all’indefinito negativo e alla profrase negativa, come discusso in Bernini (2005a: 329-330, 332-333, 341). 1 Cfr. Andorno e Bernini (2003) e l’appendice 1, dove sono riportati appunti socio-biografici sugli apprendenti qui via via considerati. La varietà pre-basica dell’apprendente considerato nell’esempio (1) è stata descritta in Bernini (1995b). 2 Per le convenzioni di trascrizione utilizzate nel Progetto di Pavia si veda l’appendice 2. 256 La trascrizione di parlato L2 <?page no="257"?> Varietà pre-basica di HG Lingua di arrivo nente pallone niente pallone Fonologia Assenza di dittongo Presenza di dittongo Funzione Costruzione negativa principale Costruzione enfatica colloquiale marginale Lessico nente come negatore Uso predicativo dell’indefinito: niente X Sintassi delle frasi negative (TOP) NEG FOC NEG → {nente, no} S → SN SOGG NEG V SN OD / OOBL NEG → non Tab. 1: Niente X in HG e nella lingua di arrivo Nella lingua di arrivo, la costruzione niente pallone è enfatica, marginale e tipica del parlato; si discosta notevolmente dalla struttura delle frasi negative dove la negazione - lessicalmente non - si antepone al verbo coniugato. Inoltre comporta un uso predicativo, genericamente di negazione di esistenza dell’argomento nominale seguente, che acquista diverso valore pragmatico a seconda del contesto, come mostra l’esempio nativo riportato in (2), dove niente complimenti vale come atto direttivo. (2) La quale, però, fatto un passo, si ferma e si volta di nuovo verso di me. - Mi raccomando - ripete - Niente complimenti. (Sandro Veronesi, Caos calmo 2006: 51) La possibilità di proiettare sulla lingua di arrivo le produzioni degli apprendenti di L2, nonostante i diversi principi strutturali su cui sono organizzate, può indurre un’interpretazione fallace, come quella illustrata nel frammento (3), tratto sempre dal corpus dell’apprendente HG del Progetto di Pavia. (3) \IT\ perchè non ti piace? \HG\ perchè: + bèlla + che : + <perché + palla (di neve) + ASSERZIONE +> \IT\ che si tira? <RELATIVO si tira? > \HG\ sì 257 <?page no="258"?> \IT\ che bam^ <RELATIVO bam> (HG 03) In questo frammento la palla di neve è il topic del primo enunciato dell’apprendente ed è seguito da che, un elemento della lingua di arrivo che compare allo snodo di topic e comment e sembra veicolare la finitezza dell’enunciato nei termini di Klein (1998), un aspetto dei processi di acquisizione studiato recentemente in (Gretsch e Perdue 2007). Quest’uso è illustrato in (4) 3 . (4) \HG\ e poi la ca: fè che la patatinë [la cafè] TOP che [la patatinë] FOC <e poi al caffè [abbiamo mangiato] le patatine> (HG 05) In (3) l’intervistatore nativo continua l’enunciato dell’apprendente, interrotto probabilmente per qualche difficoltà lessicale, riprendendo l’elemento che e attribuendogli valore di pronome relativo seguito una prima volta da un verbo e una seconda volta da un’onomatopea che specificano le caratteristiche della palla di neve. Il nativo ricostituisce così un discorso coerente secondo le norme sintattiche della lingua di arrivo, integrando in esso uno stimolo dell’apprendente la cui struttura e il cui fine comunicativo sono stati però misconosciuti. I due esempi mostrano come anche in questo tipo di conversazioni viga il principio di cooperazione individuato da Paul Grice (1975/ 1978), che induce il nativo a inquadrare il parlato di non-nativi nei termini della propria competenza. È plausibile che lo stesso atteggiamento possa sussistere anche nell’analisi di dati trascritti di L2 ed è pertanto opportuno operare sulle trascrizioni là dove queste potrebbero più facilmente indurre fraintendimenti nella categorizzazione degli elementi usati dagli apprendenti nel loro discorso. Questa preoccupazione vale vieppiù per la possibilità di impiegare, per l’analisi delle trascrizioni, strumentazione informatica che per sua natura va ben programmata nelle diverse operazioni desiderate, come p. es. nei casi di studio discussi in Frontini (2009) e nei contributi raccolti in Andorno e Rastelli (2009) per l’italiano L2. Da queste riflessioni si derivano osservazioni di ordine metodologico che in termini operativi vengono a porsi in parte preliminarmente alle 15 tappe previste in Dittmar (2004: 234) per le trascrizioni finalizzate all’analisi della con- 3 Che segnala presumibilmente la variabile asserzione della componente *FIN che rende attuale l’enunciato nei termini di Klein (1998). Al riguardo si veda anche Bernini (2012b). 258 La trascrizione di parlato L2 <?page no="259"?> versazione 4 . In parte esse pertengono inoltre il prodotto del processo derivante dall’applicazione delle 15 tappe, cioè il trascritto, secondo la distinzione operata in Duranti (1997: 137). Le osservazioni riguardano il livello segmentale e costituiscono la fase del trattamento dei dati linguistici - per noi di L2 - a fini di analisi scientifica. La prima fase del trattamento, quella preliminare, riguarda le scelte relative al sistema di grafia utilizzato nella trascrizione, trattate anche nel capitolo 4 di Dittmar (2004: 59-76) ed è qui considerata nel paragrafo 13.2. La seconda fase del trattamento, che impone di riconsiderare il trascritto, ovvero un prodotto finito ma non definitivo nei termini di Duranti (1997: 137), riguarda la differenziazione di elementi e la suddivisione in parole. Questo punto è discusso nel paragrafo 13.3 sulla base della terza persona singolare del presente indicativo della copula e dei verbi pronominali esserci e averci in italiano L2. La base di dati della discussione è tratta dal Progetto di Pavia. Il paragrafo 13.4, infine, trae conclusioni metodologiche di ordine generale a partire dallo studio dei casi considerati. 13.2 Prima fase preliminare: la scelta del sistema di grafia Ogni dato linguistico può essere sottoposto ad analisi solo dopo aver subito un adeguato trattamento, che lo renda fruibile a scopo di ricerca con fini diversi. Questo comporta che al dato originale sia data forma tale da poterne apprezzare la composizione e la funzione. In termini generali, il trattamento può essere schematizzato come nella tabella 2. Tipo di dati originali Orali Scritti Tipo di rappresentazione Sonora Logografica Sillabica, alfabetica Tipi di operazione Trascrizione ↔ Traslitterazione Analisi in morfemi Traduzione morfematica interlineare Traduzione idiomatica in una lingua fruibile Tab. 2: Trattamento di dati linguistici Il trattamento comporta quattro tipi di operazioni: la trascrizione nel caso di dati sonori o logografici o la traslitterazione nel caso di sistemi alfabetici di- 4 La tecnica di trascrizione illustrata in queste tappe è stata originariamente proposta in Du Bois (1991). 259 <?page no="260"?> 260 La trascrizione di parlato L2 versi da quello in cui i dati vengono trattati; l’analisi in morfemi, la traduzione interlineare di questi in un sistema (e in una lingua) standardizzato, infine la traduzione idiomatica in una lingua a vasto raggio comunicativo per garantirne la massima fruizione. Il caso di dati originariamente scritti, p. es. in alfabeto cirillico, è schematizzato nella tabella 3. Орфография русского письма 1 Orfografija russkogo pis’ma 2 Orfografi-ja pis’m-a russk-ogo 3 orthography-f.nom.sg Russian-nt.gen.sg writing-nt.gen.sg 4 “The orthography of Russian writing” Tab. 3: Trattamento di dati di lingua russa scritti in alfabeto cirillico Non ci si occupa qui di traduzione morfemica interlineare, per la quale sono generalmente considerate come norma di riferimento quelle originariamente proposte in Lehmann (1982) 5 . Da parte è lasciato anche il trattamento di dati scritti, qui non pertinenti, dove traslitterazione e trascrizione possono sovrapporsi, come nel caso del trattamento delle lingue semitiche. Basti ricordare il caso dell’ebraico biblico, dove la traslitterazione delle matres lectionis si sovrappone alla trascrizione delle vocali, come mostrano i caratteri in esponente dell’esempio (5). (5) Ebraico biblico (Gen. 11, 1) (Steiner 1997: 154) Il trattamento comporta quattro tipi di operazioni: la trascrizione nel caso di dati sonori o logografici o la traslitterazione nel caso di sistemi alfabetici diversi da quello in cui i dati vengono trattati; l’analisi in morfemi, la traduzione interlineare di questi in un sistema (e in una lingua) standardizzato, infine la traduzione idiomatica in una lingua a vasto raggio comunicativo per garantirne la massima fruizione. Il caso di dati originariamente scritti, p. es. in alfabeto cirillico, è schematizzato nella tabella 3. Орфография русского письма 1 Orfografija russkogo pis’ma 2 Orfografi-ja russk-ogo pis’m-a 3 orthography- F . NOM . SG Russian- NT . GEN . SG writing- NT . GEN . SG 4 “The orthography of Russian writing” Tab. 3: Trattamento di dati di lingua russa scritti in alfabeto cirillico Non ci si occupa qui di traduzione morfemica interlineare, per la quale sono generalmente considerate come norma di riferimento quelle originariamente proposte in Lehmann (1982) 5 . Da parte è lasciato anche il trattamento di dati scritti, qui non pertinenti, dove traslitterazione e trascrizione possono sovrapporsi, come nel caso del trattamento delle lingue semitiche. Basti ricordare il caso dell’ebraico biblico, dove la traslitterazione delle matres lectionis si sovrappone alla trascrizione delle vocali, come mostrano i caratteri in esponente dell’esempio (5). (5) Ebraico biblico (Gen. 11, 1) (Steiner 1997: 154) םידחא םירבדו תאת הפשׂ śåp̄ å h ’äḥåt u w dbåri y m ’ăḥådi y m labbro uno e-parole uno-PL “(Tutta la terra aveva) una sola lingua e (usava) le stesse parole” 5 Le convenzioni sono state poi perfezionate e sono ora accessibili come “Leipzig glossing rules” sul sito del Max-Planck-Institut für evolutionäre Anthropologie di Lipsia (http: / / www.eva.mpg.de/ lingua/ resources/ glossing-rules.php). Le abbreviazioni usate nella glossa dell’esempio analizzato nella tabella 3 sono da sciogliere come segue: F genere femminile, GEN caso genitivo, NOM caso nominativo, NT genere neutro, SG numero singolare. śåp̄ å h ‘äḥåt u w dbåri y m ‘ăḥådi y m labbro uno e-parole uno-PL “(Tutta la terra aveva) una sola lingua e (usava) le stesse parole” Al centro dell’attenzione sono posti i settori ombreggiati della tabella 2, pertinenti per la natura sonora dei dati qui considerati. Essendo dati di L2 e potendo 5 Le convenzioni sono state poi perfezionate e sono ora accessibili come “Leipzig glossing rules” sul sito del Max-Planck-Institut für evolutionäre Anthropologie di Lipsia (http: / / www.eva.mpg.de/ lingua/ resources/ glossing-rules.php). Le abbreviazioni usate nella glossa dell’esempio analizzato nella tabella 3 sono da sciogliere come segue: F genere femminile, GEN caso genitivo, NOM caso nominativo, NT genere neutro, SG numero singolare. <?page no="261"?> 261 essere proiettati sui loro rifessi nella lingua di arrivo, il problema preliminare che si pone è di quale sistema grafico utilizzare per trascriverli. L’opzione di una trascrizione in IPA, sempre disponibile, permette una resa massimamente fedele all’originale sonoro, come mostra l’esempio (6), tratto dal corpus di un apprendente arabofono di italiano L2. La dovizia di particolari fonetici si rivela, in questo caso, cruciale per lo studio della morfologia flessiva, in quanto le vocali finali semi-alte anteriori possono corrispondere a -i e a -e della lingua di arrivo, come mostra la sequenza di mangiare alla fine del frammento. La trascrizione permette quindi di giudicare meglio rese altrimenti ambigue, come quella per il plurale maschile e femminile, che una trascrizione ortografica costringerebbe a rendere o come forma corretta o scorretta, con una manipolazione che influisce in maniera cruciale sull’analisi dei dati stessi 6 . (6) Italiano L2. IPA. [a ˈ dɛsːo ˈio ˈg̈ wazi ˈdjetʃə̯ ˈore … alə ˈsei ̯ ˈfinə le ˈdjetʃɪ do ˈore dɪ manˈdʒarɪ] L’IPA in una forma semplificata è stato utilizzato per la trascrizione del tedesco L2 nell’ambito dello Heidelberger Projekt Pidgin-Deutsch, per cui si veda Klein e Dittmar (1979). Nell’esempio (7) si può osservare come questa scelta abbia messo al riparo da una prematura interpretazione della natura delle parole usate dall’apprendente qui illustrata, come invece avrebbe costretto a fare la resa secondo la grafia della lingua di arrivo per le due parole proiettabili sia su Arbeit che su arbeiten. (7) Tedesco L2. IPA (Klein e Dittmar 1979: 133, s. 7.18) [wan aːbait, aːbaitə ɔːbən, un dan kaput] La disponibilità nell’utilizzo del sistema grafico della lingua di arrivo o tratto da quella è commisurato alla relativa distanza tra grafia e pronuncia, o meglio al peso specifico che nel sistema grafico della lingua di arrivo hanno principi organizzativi diversi da quello fonologico, per il quale, in linea ideale, la sequenza dei grafemi riproduce la sequenza dei fonemi di una parola, come nell’IPA. Il tedesco si distingue per l’impiego di un principio morfologico (cfr. Wendt 1972 s.v. Orthographie), che permette di mantenere la forma grafica della base lessicale di forme dello stesso paradigma o di parole derivate, come nella tabella 4. 6 Si ricordi che i dati trascritti vengono per lo più utilizzati da fruitori per i quali l’originale sonoro non è accessibile. <?page no="262"?> 262 La trascrizione di parlato L2 / / t aː k t aː g ə t æː k l ɪ ç < > T a g T a g e t ä g l i ch Tab. 4: Principio morfologico nell’ortografia Il principio morfologico è mantenuto nelle trascrizioni del progetto ZISA (Zweitspracherwerb Italienischer und Spanischer Arbeiter), come mostrano Hamburg e weg nell’esempio (8), nonostante qualche adeguamento grafico alla pronuncia effettiva - come nel caso della riduzione di - er finale in kinda per Kinder. (8) Tedesco L2. Progetto ZISA (Clahsen et al. 1983: 370). in Hamburg große hause drei tasch alle weg morgen kind a junge alle weg a schule La fedeltà al principio di corrispondenza tra fonemi e grafemi vale per l’italiano solo in relazione a certe varietà regionali, come nel caso del confine di parola riportato nella tabella 5, che nel caso della fricativa e dell’affricata palatali sorde mostra maggiore corrispondenza tra grafia e pronuncia per le varietà settentrionali che non per il toscano, dove la fricativa intensa corrisponde a quella semplice settentrionale e quella semplice corrisponde all’affricata del settentrionale. L’affricata intensa del toscano corrisponde infine, in contesto di raddoppiamento sintattico, alla semplice dell’italiano settentrionale. Italiano scritto Pronuncia toscana Pronuncia settentrionale la scena la ˈ ʃː ɛːna la ˈ ʃ eːna la cena la ˈ ʃ eːna la ˈ tʃ eːna a cena a ˈ tːʃ eːna a ˈ tʃ eːna Tab. 5: Grafia e pronuncia in varietà di italiano Lingue la cui ortografia è invece condizionata da quelli che Wendt (1972 s.v. Orthographie) chiama “principio etimologico” e “principio storico-tradizionale” sono i più refrattari a essere impiegati nella resa di dati di L2. Inglese e francese sono le lingue europee più studiate come L2 nelle quali il principio fonologico è più compromesso per il peso specifico assegnato nel sistema grafico a quelli di ordine etimologico e storico. In inglese, come è ben noto, la divergenza tra grafia e pronuncia tocca le singole parole e l’esiguità della componente morfologica <?page no="263"?> 263 rende meno cruciale l’attenzione alla resa fonetica accurata. Un sistema grafico che adatta le regole della lingua di arrivo per rendere la pronuncia imperfetta di un’apprendente è stato adottato da Huebner (1983) ed è riprodotto in (9) insieme alla grafia standard. Nel progetto della European Science Foundation (Perdue 1993) sull’apprendimento delle lingue europee, la trascrizione dell’inglese L2 segue le norme della lingua di arrivo, come mostra il frammento riportato in (10), dove la grafia its non corrisponde però né al pronome possessivo né alla contrazione di it is. (9) Inglese L2 (Huebner 1983: 160) ai down won da monii […] aen da tai maen - staen bai da do <I don’t want the money […] and the Thai men - stand by the door> (10) Inglese L2 (Dietrich et al. 1995: 65, es. Ravinder 34, righe 12-14) its drop it on floor its cakeman coming + bread its another woman looking to that van Tra le lingue europee, la maggiore distanza tra grafia e pronuncia è attestata nel francese, lingua in cui la resa grafica codifica tratti grammaticali non più presenti nel parlato. Nella tabella 6 il singolare e il plurale sono contrassegnati nella versione scritta su ognuno degli elementi presenti, determinanti, nominali e verbali, come indicato nella prima e nell’ultima riga contrassegnate dalle parentesi uncinate. Nella versione parlata l’opposizione è invece garantita dal solo articolo determinativo che apre il sintagma nominale soggetto, come mostrato dalla prima parola della seconda e della terza riga, che contengono la trascrizione larga delle due frasi, come indicato dalle barrette 7 . a. <> L a jeune fille dans e tout e seul e a. / / la ʒøn fij dɑ̃ s tut sœl b. / / lɛ ʒøn fij dɑ̃ s tut sœl b. <> L es jeune s fille s dans ent tout es seul es Tab. 6: Resa di tratti grammaticali in francese scritto e parlato 7 La traduzione italiana suona “La ragazza danza da sola” per la riga a. e “Le ragazze danzano da sole” per la riga b. Va senza dire che in italiano i morfemi di accordo dei componenti di queste frasi si mantengono distinti sia nello scritto che nel parlato. <?page no="264"?> 264 La trascrizione di parlato L2 La trascrizione dei dati di francese L2 adottata nel progetto della European Science Foundation che è stato già menzionato (cfr. Perdue 1993), utilizza la grafia standard del francese tranne che nei casi cruciali in cui la finale della parola non si lascia proiettare su una forma sola nella gamma delle corrispondenti possibilità dello scritto, come nel caso di singolare e plurale e, più drammaticamente, delle desinenze verbali, dove la stessa vocale medio-alta anteriore non arrotondata, per esempio, è condivisa da infinito, participio e seconda plurale di diversi tempi. In questi casi cruciali si ricorre alla notazione fonetica SAMPA (Speech Assessment Methods Phonetic Alphabet) 8 . L’utilizzo del sistema ortografico della lingua di arrivo, corretto con l’impiego della notazione SAMPA là dove non si può proiettare sulla lingua di arrivo la produzione dell’apprendente, è illustrato in (11). In questo esempio, tratto dallo studio di Patrizia Giuliano (2004) sull’acquisizione della negazione in francese L2, la notazione SAMPA tra parentesi quadre distingue le forme negative transitorie degli apprendenti, che difficilmente potrebbero essere proiettate sulla lingua di arrivo, come [neˈpade] e [neˈpa], di cui si riconosce però la base, per così dire, etimologica, che l’intervistatore nativo scioglie nel suo intervento dentro il sintagma “il n’a pas fait de + nome”. (11) Francese L2 (Giuliano 2004: 128) 9 BE et maman + le [doktor] *no* + [ nepade ] radiographie <e mamma + il dottore no + NEGAZIONE radiografia> IN il n’a pas fait de radio le docteur? <il dottore non ha fatto i raggi? > BE non + un mois après *y* moi [ nepa ] l’école <no + un mese dopo e io NEGAZIONE la scuola> Le osservazioni sui sistemi grafici delle quattro lingue europee qui considerate nella prospettiva della loro trascrizione come L2 si possono ora riassumere nella sequenza illustrata nella tabella 7, che ordina i sistemi considerati dal più coerente con il principio di corrispondenza tra fonemi e grafemi - rappresentato dall’IPA - fino a quello che più se ne discosta, ordinando le lingue a seconda del numero di componenti del sistema toccate dall’interazione con altri principi di 8 Cfr. a questo riguardo le considerazioni proposte in Dittmar (2004: 73-74) e la bibliografia ivi citata. 9 Le sigle si riferiscono all’apprendente ispanofona (BE) e all’intervistatore nativo (IN). Le glosse in italiano sono dello scrivente. Tra ** sono indicate le parole non francesi, ma spagnole, utilizzate dall’apprendente nei suoi enunciati. <?page no="265"?> 265 organizzazione diversi da quello fonologico, come quello morfologico e quello storico. IPA > italiano > inglese > tedesco > francese Principi fonetico fonetico storico morfologico storico Componenti Fonologia - + + + + Lessico - - + + + Morfologia - - - + + Sintassi - - - - + Tab. 7: Sistemi grafici e componenti del sistema Come abbiamo visto nella tabella 5, l’applicazione del principio fonetico per l’italiano non è perfetta, ma l’unica componente toccata è quella fonologica. Il principio storico-etimologico allontana la grafia dell’inglese dalla pronuncia coinvolgendo le componenti fonologica e lessicale. In tedesco l’applicazione del principio morfologico ha effetto sulle componenti fonologica, lessicale e morfologica, come si è visto nella tabella 6. Infine nel francese l’applicazione del principio storico-etimologico coinvolge anche la morfologia e la sintassi. Le considerazioni riassunte nella tabella 7 possono servire in generale per orientare le scelte grafiche da utilizzare nelle trascrizioni di L2, adottando a seconda delle lingue convenzioni che permettano di rendere con adeguata fedeltà il dato originale interagendo anche con l’ortografia della lingua di arrivo, come si è illustrato per il tedesco (progetto ZISA) e il francese 10 . 13.3 Individuazione e segmentazione di parole Rivolgendo ora l’ attenzione al secondo dei problemi di ordine metodologico, affrontiamo il problema di individuazione e segmentazione di parole, illustrandolo sulla base di dati di italiano L2. In sé la segmentazione delle parole, insieme all’i- 10 Le considerazioni qui fatte valgono ovviamente per lingue di arrivo la cui ortografia impiega l’alfabeto latino. Considerazioni analoghe possono valere per l’alfabeto cirillico, rilevante per i processi di apprendimento del russo come L2 che, soprattutto nell’oriente siberiano, coinvolgono apprendenti con lingue prime di tipo molto diverso da quello diffuso nello Standard Average European. Per questa prospettiva basti qui il riferimento a quanto riportato in Minissi (1990: 97-101) sull’uso dell’alfabeto cirillico per la trascrizione di lingue dell’ex-URSS. <?page no="266"?> 266 La trascrizione di parlato L2 dentificazione dei parlanti, è la prima delle 15 tappe di cui è costituita la tecnica della trascrizione secondo Dittmar (2004: 234). Con dati di L2, questa fase può però essere ripresa al momento di sottoporre ad analisi un trascritto in casi in cui solo la conoscenza dell’evoluzione delle varietà di un apprendente attestate in un corpus di trascrizioni permette di rivalutare alcune delle scelte operate in precedenza. Le scelte iniziali vengono così ad essere corrette, migliorando il grado di approssimazione della trascrizione rispetto all’originale e prevenendo la possibilità di fraintendimenti da parte di fruitori della trascrizione. 13.3.1 La terza persona singolare del presente della copula in italiano L2 Il primo dei due casi qui trattati, derivati dall’esperienza di raccoglitore, trascrittore e utilizzatore del corpus di apprendenti di italiano L2 dello scrivente, riguarda l’individuazione della terza persona singolare dell’indicativo della copula, la cui resa non si distingue per lo più da riempitivi che utilizzano la stessa vocale. La copula nelle varietà di apprendimento, ma non solo, rappresenta un elemento chiave: da una parte la sua assenza è misura della semplificazione dell’interlingua 11 , dall’altra serve presso molti apprendenti a veicolare la finitezza dell’enunciato in mancanza di una robusta flessione verbale, come si è dimostrato in Bernini (2003), da cui sono desunte le considerazioni relative all’apprendente MK qui presentate. La sicura presenza della copula presso un apprendente di italiano L2 è garantita dalla manifestazione di consapevolezza ortografica, come nel commento riportato in (12), che è stato registrato nell’ultimo incontro con l’apprendente MK. (12) “l’Italia è -” verbo con l’accento (MK 12) Tra la prima e questa registrazione, per un periodo che corrisponde a circa sette mesi, si ha il lento sviluppo di una piccola parte del paradigma di essere, le cui fasi iniziali si individuano nella seconda registrazione. Nelle fasi iniziali dell’apprendimento di MK, la copula - terza persona - non si distingue foneticamente né dalla congiunzione copulativa e né dal riempitivo eh, tutte con realizzazione media o medio-alta anteriore in MK. La sua presenza può essere sostenuta nella 3 a registrazione anche per la presenza della forma di prima persona sono, illustrata in (13). 11 Secondo Ferguson (1971) l’assenza di copula è uno dei tratti caratteristici della semplificazione riscontrata non solo in varietà di apprendimento, ma anche in pidgin e baby talk. <?page no="267"?> 267 (13) \Mk\ deldelli fratellitutti il fratelli + per ese/ per esempio ioio sono un fratello (MK 03) Nelle due registrazioni precedenti, la trascrizione è stata rivista per verificare la presenza della copula adottando criteri per distinguerla dai riempitivi, che compaiono in tutto il corpus. I riempitivi si riconoscono anzitutto per la possibilità di essere articolati con intonazione sospensiva o ascendente. Questa è illustrata in (14), dove eh vale come segnale di non comprensione. (14) \It\ e + che cosa facevi là? \Mk\ eh? (MK 01) Inoltre la vocale dei riempitivi mostra in generale indipendenza prosodica, è circondata da pause più o meno lunghe, può essere articolata con variabile grado di lunghezza, è spesso pronunciata con volume più basso, come in generale i parentetici. Questi criteri hanno fatto escludere la presenza della copula nella prima registrazione e hanno permesso l’individuazione di tre occorrenze nella seconda registrazione, tutte sovraestese ad altre persone. Il risultato dell’applicazione di questi criteri è illustrato in (15), dove la prima occorrenza della vocale media anteriore è un riempitivo, mentre la seconda è stata classificata come copula. (15) \Mk\ questa famiglia [ˈe̞ ] ++ (li) figli [e ̞ _stuˈde̞ nti] (MK 02) In (16) sono riportate altre occorrenze di [ˈe̞ ] nella trascrizione originale, non verificata, nella quale la grafia ne mostra la classificazione. Di queste occorrenze solo la prima e l’ultima in (16b) sono sicuramente riempitivi, segnalati dal grassetto. Le altre occorrenze, sottolineate, sono invece di dubbia attribuzione e l’applicazione dei criteri scelti non ne permette la sicura classificazione. (16) a. \Mk\ eh la cita è ++ California b. \Mk\ eh + la cinema - e: TUTTE LE MACCHINE= eh? (MK 02) <?page no="268"?> 268 La trascrizione di parlato L2 La trascrizione dell’esempio (17b) rende invece con correttezza riempitivo e copula: le corrispondenti vocali rispondono infatti ai criteri elencati sopra, come mostra la trascrizione fonetica di (17a). (17) a. \Mk\ *Zarai Dërës*, anche lui + [ˈe̞ ] + [e̞ _ˈgrande] è grande storìco, uomo b. \Mk\ *Zarai Dërës*, anche lui + eh + è grande - è grande storìco, uomo (MK 04) Va senza dire che una revisione accurata della trascrizione di questi elementi, sullo sfondo del processo generale di apprendimento dell’apprendente, permette generalizzazioni più solidamente fondate sulle regolarità di sviluppo della L2. 13.3.2 I verbi pronominali esserci e averci I verbi pronominali, e in particolare esserci e averci che sono più disponibili nelle varietà di apprendimento, rappresentano un altro settore delicato per la trascrizione, condizionata da una parte dalle convenzioni ortografiche della lingua di arrivo nella resa dei clitici e dall’altra dalla rappresentazione che delle corrispondenti forme di clitico+verbo hanno probabilmente gli apprendenti. Anche in questo caso, come in quello della copula, l’osservazione dei processi di apprendimento permette di rivedere e rivalutare le scelte fatte in una trascrizione. Le osservazioni che propongo qui derivano dall’indagine dei due verbi pronominali in questione svolta in Bernini (2005b). La forma della terza persona del presente indicativo c’è è il primo predicato appreso dagli apprendenti di italiano L2, per i quali esso rappresenta una pura forma lessicale. Evidenza ne sono le molte forme costruite su c’è e illustrate nella tabella 8, che ne contrasta la struttura morfologica con le corrispondenti forme della lingua di arrivo, composte di forme del verbo essere e del clitico ci. Le forme elaborate autonomamente dagli apprendenti constano di una base lessicale [ˈtʃe̞ ̞ ], a cui sono aggiunte desinenze di tempo, modo o persona come nell’opposizione [ˈtʃe̞ ] - [ˈtʃono] che richiama è - sono; oppure sono costituite da una forma ausiliare che accompagna la base lessicale invariabile, come in era c’è, che potrebbe essere glossato con ‘era esistente’. L’ultima forma riportata nella tabella 8 mostra la persistenza nel considerare c’è come forma lessicale autonoma anche nelle realizzazioni che più rispecchiano la lingua di arrivo. <?page no="269"?> 269 Apprendenti 12 Nativi Grafia Analisi IPA IPA Grafia c’è cè [ˈtʃe̞ ] [ˈtʃɛ] c’è ciono ci-ono [ˈtʃono] [tʃiˈsono] ci sono cerebbe c-erebbe [tʃeˈre̞ bːe] [tʃisaˈrɛbːe] ci sarebbe era c’è era cè [ˈera ˈtʃe] [ˈtʃera] c’era c’è erano cè erano [ˈtʃɛ ˈerano] [ˈtʃerano] c’erano Tab. 8: Esserci in italiano L2 e varietà di arrivo C’è interferisce con le persone singolari del presente di averci, la forma colloquiale del verbo di possesso, come mostrano gli esempi (18a) e (18b). La trascrizione adottata, come si vede in (18a), è fedele alle norme ortografiche della lingua di arrivo, ma oscura la realtà di questa forma di predicato nella varietà di apprendimento considerata, che è incerta tra la finale -e e la finale -o, sempre con la stessa funzione dove si sovrappongono le nozioni di esistenza e di possesso. In ambedue i casi la grafia utilizzata può indurre interpretazioni fallaci. L’esempio (18b), registrato qualche mese dopo (18a), mostra il tentativo dell’apprendente di rendere conto della forma nativa [ˈtʃɔ] “ci ho/ c’ho” scorporando il predicato di esistenza autonomo c’è. La grafia della trascrizione proietta le due componenti sulla lingua di arrivo, dando loro un’interpretazione che non è sicuro possa rispondere alla realtà della varietà di apprendimento. (18) a. \IT\ però non hai un diploma? \TU\ sì, ciò ++ c’è natro +++ no come scuola +++ quèsto comé(n)to (xxx) (TU 01) b. \IT\ Però, insomma, queste grandi feste le hai viste solo qui in Italia? […] \TU\ n cina anche c’è ho + però più meno (TU 05) La sovrapposizione di esserci e averci si estende anche al verbo avercelo, che per molti apprendenti costituisce verbo di possesso a sé come in celabbiamo dell’esem- 12 Nell’ordine, le forme riportate nella tabella sono state rispettivamente prodotte da: tutti gli apprendenti, TE 04, FI 09, Chris 05, AB 10. <?page no="270"?> 270 La trascrizione di parlato L2 pio (19). La grafia scelta per questo esempio sembra voler riprodurre una diversa altezza della vocale anteriore nella forma autocorretta, la quale, se non rappresenta un’autentica falsa partenza, potrebbe essere indizio dell’interpretazione della sillaba iniziale di quella forma come predicato di esistenza da parte dell’apprendente (19) \Mk\ la Pasqua^ ho passato con la mia madre <la Pasqua l’ho passata con mia madre> poi con i miei amici <poi con gli amici> c’è / ce l’abbiamo noi che è strano^ ˈtʃɛ/ tʃelaˈbːjamo <abbiamo una usanza inconsueta> allora abbiamo fatto un: / un programma no? <allora abbiamo fatto un programma, no? > (un) programma per gli eretrei una festa no^ <un programma per gli Eritrei una festa no? > (MK 11) La scelta di forme di rappresentazione grafica autonome, non dipendenti da quelle della lingua d’arrivo, porterebbe probabilmente a riconoscere queste forme come parole autonome, molto divergenti da quelle della lingua di arrivo per la loro composizione morfologica a prescindere dalla stretta somiglianza fonetica. Forme come celabbiamo sembrano costituire una lessicalizzazione del predicato di possesso indipendente da quella per l’ausiliare. La riga 7 dell’esempio (19) mostra infatti per questa funzione la forma abbiamo, corrispondente a quella della lingua di arrivo. L’adozione di una grafia coerente, ancorché slegata dalle norme della lingua di arrivo, darebbe più conto degli sviluppi delle varietà di apprendimento in un settore cruciale anche per la lingua di arrivo, dove - almeno nelle varietà colloquiali - averci e avere si distribuiscono in ambiti funzionali diversi e dove la preminenza di forme di verbi pronominali con proclisi porta tendenzialmente alla formazione di parole nuove, come centrare per ‘essere in relazione, essere pertinente’ al posto di entrarci, riportato nell’esempio (20) che è tratto con questa grafia dalla rete telematica mondiale 13 . 13 La storia e la posizione tipologica di averci sono discusse in Moretti (2004). <?page no="271"?> 271 (20) Può c’entrare qualcosa la kefiah con lo stile tecktonik? 13.4 Conclusioni Come si è cercato di dimostrare qui, il campo di tensione tra trascrizioni e teoria è dunque condizionato da scelte di ordine metodologico che si pongono sia a monte sia a valle delle tappe di ordine tecnico in cui è organizzato il lavoro del trascrittore. La prima serie di considerazioni metodologiche, a monte della trascrizione, tenta di avvicinarsi con il grado di approssimazione più piccolo alla realtà del dato sonoro originale, in quanto, come ben afferma Dittmar (2004: 235): “Die Orignalaufnahme is immer substanziell reicher an Informationen als die Transkription”. A valle delle tappe tecniche del lavoro di trascrizione, la revisione di scelte singole, come nei due casi qui illustrati della copula e delle forme dei verbi pronominali esserci e averci nell’italiano L2, considera il trascritto dal punto di vista della teoria, o meglio della possibilità di utilizzare quei dati per elaborare generalizzazioni o ipotesi teoriche non fallaci. Da questo punto di vista le considerazioni qui suggerite rispondono alla natura del trascritto, in quanto - come di nuovo ben afferma Norbert Dittmar (2004: 235) -: “Jede Transkription spiegelt die Forschungsinteressen wider und ist per definitionem selektiv”. Le scelte selettive qui suggerite, ponendosi sul piano metodologico, sono suscettibili di applicazione a ogni tipo di strumentazione tecnica di trascrizione, come CHILDES per ricordare quella più famosa, o ELAN, sfruttando eventualmente la possibilità di agire su diversi piani dello spartito che è possibile configurare con quei sistemi di trascrizione. Cruciale è che la fruizione di trascrizioni da parte umana e il loro trattamento informatico tramite macchine siano messi al riparo dai fraintendimenti potenziali qui evocati. Appendice 1. Gli apprendenti considerati Apprendente, età Stadio di acquisizione L1 Attività in Italia Numero/ tempo delle registrazioni Soggiorno in Italia al momento della 1 a registrazione AB, 21 post-basico tigrino collaboratrice domestica 12/ 7m.,12g. 1 anno Chris, 17 post-basico inglese studentessa 15/ 8 mesi 2 mesi <?page no="272"?> 272 La trascrizione di parlato L2 FI, 26 basico a post-basico inglese insegnante 13/ 5 mesi 5 mesi HG, 15 pre-basico tigrino studente 7/ 5 mesi 21 giorni MK, 20 basico a post-basico tigrino elettricista 12/ 7 mesi 1 mese TE, 16 post-basico tigrino disoccupato 4/ 2 mesi 2 mesi TU, 45 basico/ postbasico iniziale cinese wú cameriera 11/ 10 mesi 4 anni 8 mesi Appendice 2. Convenzioni di trascrizione (Andorno e Bernini 2003: 33- 36). \IT\ intervistatore nativo \AB\ apprendente (v. Appendice 1) (AB 00) numero dell’intervista da cui l’esempio è tratto <glossa> glossa degli enunciati dell’apprendente parolaintonazione sospensiva pa: rola sillaba allungata (par)ola tra parentesi gli elementi poco udibili %parola% volume basso parola^ intonazione ascendente parola/ autocorrezione del parlante + ++ +++ pause di lunghezza crescente <?page no="273"?> 14 Verschissmuss? Zu einer (scheinbar) fehlerhaften Schreibung* 1 Auf Seite- 12 des Heftes 48 vom 28.11.2019 von DIE ZEIT ist das hier nachgedruckte Doppelbild publiziert worden, dessen Titel mit dazugehörigem Fragezeichen hier wieder aufgenommen wird, in der Zumutung, die Frage nicht unbeantwortet zu lassen beziehungsweise auch nicht sprachlich zur Nagelschere zu greifen, wie ein Genosse während der Feier getan haben soll. Selbstverständlich ist das Wort Verschissmuss im Deutschen in dieser Schreibweise nicht belegt. Dennoch entspricht diese Schreibweise nach den Regeln der genormten Lautung (Mangold Max, DUDEN Aussprachewörterbuch. 4e, neubearbeitete und aktualisierte Auflage. 2000, Mannheim: Dudenverlag, S.- 55) der * Contributo inedito. <?page no="274"?> 274 Verschissmuss? Zu einer (scheinbar) fehlerhaften Schreibung Aussprache [fɛɐ̯ ˈʃɪsmʊs], wobei vermutlich in Anlehnung an die Aussprache eines auslautenden r am Wortende die erste Silbe zu [fa] reduziert wird (ibidem S.-40-41). Die resultierende Aussprache [faˈʃɪsmʊs] ist also das Bindeglied zwischen dem in der Kranzaufschrift erwartete Wort Faschismus und dem tatsächlich aufgeschriebene Wort Verschissmuss. Das Substantiv (der) Verschiss mit der Bedeutung ‘Verruf, Missachtung’ ist im 18.- Jahrhundert in der Studentensprache als Ableitung von dem Verb verscheißen ‘mit Kot verschmutzen’ belegt. Im 20.-Jahrhundert kommt das Partizip verschissen in der Wendung ‘es verschissen haben, es mit jmdm. verdorben haben’ jmds. Gunst verloren haben’ vor. Das seltene Wort wird vulgär mit einer pejorativen Bedeutung verwendet (DWDS, Digitalwörterbuch der Deutschen Sprache, https: / / www.dwds.de/ wb/ Verschiss, https: / / www.dwds.de/ wb/ verschissen abberufen am 8.12.2019). Ergänzt mit der Nachsilbe -muss, deutet Verschissmuss auf ein nicht näher bekanntes politisches oder ideologisches System, das grundsätzlich abscheulich ist. Das Wort drückt das, was mit der Bedeutung von Faschismus als Bezeichnung eines diktatorischen Systems psychologisch assoziiert wird (mindestens und hoffentlich von vielen Sprechern, bestimmt von den Sprechern, die and der Gedenkfeier in Mülheim teilgenommen haben) aus. Die Bedeutung eines Wortes umfasst die Bezeichnung einer Entität oder eines Sachverhalts (die sogenannte denotative Bedeutung) und die jeweils positiven oder negativen Assoziierungen, die das Bezeichnete in der gemeinen Einstellung der Sprecher hervorruft (die sogenannte konnotative Bedeutung). Die konnotative Bedeutung von Faschismus wird somit in die denotative Bedeutung des Neuworts Verschissmuss umkodiert. Somit wird die Abscheulichkeit dieses diktatorischen Systems (besonders in der deutschen NS-Fassung) auch für jüngere Sprecher in den Vordergrund gestellt und die bei ihnen vermutlich erbleichende Konnotation von Faschismus ausgeglichen. Die Schreibweise Verschissmuss für Faschismus kann man also nicht als fehlerhaft halten, sondern als Hilfsmittel, um die Abscheu jenes diktatorischen Systems wach zu halten und im Endeffekt deren Opfer auch würdig zu gedenken. Von rechtlichen Schritten gegen den Kranzproduzenten dürfte man deswegen der Mülheimer SPD abraten. 8. Dezember 2019 <?page no="275"?> 275 Riferimenti bibliografici A Agostiniani, Luciano (1984). La sequenza eiminicapi e la negazione in etrusco. Archivio Glottologico Italiano 69, 84-117. Ahmed, Mokhtar (1981). Lehrbuch des Ägyptisch-Arabischen. Wiesbaden: Harrassowitz. 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