Italienisch
0171-4996
2941-0800
Narr Verlag Tübingen
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2013
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Fesenmeier Föcking Krefeld OttInhalt Editorial (Gunter Narr) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Mauro Covacich, L’ultimo safari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 «L’imperativo (stoico) dello scrivere»: A colloquio con Mauro Covacich. A cura di Mara Santi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Beiträge zu Literatur, Linguistik und Landeskunde Zum 150. Geburtstag von Gabriele D’Annunzio (1863-1938): Andrea Mirabile, La morte del dio. Mito e soggettività in Gabriele D’Annunzio . . . 18 Patrizia Piredda, Il ricordo e la visione. La costruzione autobiografica negli ultimi scritti di Gabriele D’Annunzio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 Katrin Schmeißner, Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation: Alessandro Blasettis Film 1860 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 L’italiano in città Nicola De Blasi, Persistenze e variazione a Napoli (con una indagine sul campo). . . 75 Biblioteca poetica Vivisektion der Romantik: Arrigo Boitos «Lezione d’anatomia» (Ludger Scherer) . . 93 Sprachecke Italienisch Marmaldesco und soldatessa (Edgar Radtke) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101 Zur Praxis des Italienischunterrichts Daniel Reimann, Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik: Den Umgang mit zweisprachigen Wörterbüchern erlernen . . . . . . . . . . . . . 104 Buchbesprechungen Robert Lukenda, Die Erinnerungsorte des Risorgimento. Genese und Entfaltung patriotischer Symbolik im Zeitalter der italienischen Nationalstaatsbildung (Richard Schwaderer) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 Monica Biasiolo, Giaime Pintor und die deutsche Kultur. Auf der Suche nach komplementären Stimmen (Erminio Morenghi). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132 Kurzrezensionen Gino Tellini, Letteratura italiana. Un metodo di studio (Marco Menicacci) . . . . . . 136 Aldemaro Toni, Notizbuch der fünften Liebe (Sven Thorsten Kilian) . . . . . . . . . . . 139 Nicolai Lilin, Storie sulla pelle (Viktoria Adam) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140 Italienische Themen an den Hochschulen Deutschlands, Österreichs und der Schweiz im Sommersemester 2013 (Caroline Lüderssen) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145 Mitteilungen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 146 2_IH_Italienisch_69.indd I 2_IH_Italienisch_69.indd I 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 Vorschau auf Italienisch Nr. 70 - November 2013 Frank-Rutger Hausmann, Ernst Robert Curtius und die Roma aeterna 2_IH_Italienisch_69.indd II 2_IH_Italienisch_69.indd II 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 1 Sehr verehrte Leserinnen, sehr geehrte Leser, ab dem Heft 69 / 2013 erscheint diese Zeitschrift nunmehr im Gunter Narr Verlag, Tübingen. Der Verlag freut sich außerordentlich, dass die renommierte Zeitschrift ab dem 35. Jahrgang unser Verlagsprogramm schmückt. Der Gunter Narr Verlag, der 1969 gegründet wurde, hat von Anfang an viele Titel zur Italianistik in seinem Verlagsprogramm versammelt. Seit 1989 erscheint die Italienische Bibliothek. Der erste Band dieser Reihe, die wichtige italienische Dichter in einer zweisprachigen Ausgabe vorstellt, war Mario Luzi gewidmet. Eine schöne Auswahl seiner Gedichte wurde von Gio Batta Bucciol und Irmgard B. Perfahl übersetzt. In der Folge erschienen die Bände von Giovanni Pascoli, Die letzte Fahrt, dann Giacomo Leopardi, Rede eines Italieners über die romantische Poesie, usw. Der neueste Band erschien 2012 von dem Dichter Lucio Mariani, Der Neid der Götter. Als die Bachelor-Studiengänge an den Universitäten eingeführt wurden, hat der Verlag sich bemüht, geeignete Lehrmittel zur Verfügung zu stellen. Für die Italianistik wurde ein Buch zur italienischen Literaturwissenschaft mit den Autoren Maximilian Gröne, Frank Reiser und Rotraud von Kulessa angeboten und eine Italienische Sprachwissenschaft von Martin Haase. Beide Einführungsbücher sind so erfolgreich, dass sie bereits in 2. Auflage vorliegen. Auch mit Redaktion und Herausgebern dieser Zeitschrift verbindet sich eine glückliche Autorenbeziehung. Von Caroline Lüderssen erschien 2012 die Habilitationsschrift Der wiedergewonnene Text. Ästhetische Konzepte des Librettos im italienischen Musiktheater nach 1960, und von Salvatore A. Sanna die Gedichtbände Fra le due sponde und Mare. Wir freuen uns auf die weiter gute Zusammenarbeit und begrüßen sehr herzlich die Abonnentinnen und Abonnenten und alle Leserinnen und Leser dieser erfolgreichen Zeitschrift. Gunter Narr - Verleger - 2_IH_Italienisch_69.indd 1 2_IH_Italienisch_69.indd 1 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 2 M AU R O C OVAC I C H L’ultimo safari Il vento soffia sulla sterpaglia di una duna sabbiosa. Lievi raffiche crescono e scemano rapidamente. Il cielo ha le sfumature lavanda di un crepuscolo limpido, già molto avanzato. Seminascosti dalla duna ci sono due uomini. Il più giovane, un ragazzo smilzo intorno ai trent’anni, indossa un paio di jeans e una maglietta attillata. E’ seduto di spalle e sta imbracciando un fucile di precisione. L’altro è disteso in posizione di tiro. La faccia senza rughe delle persone in sovrappeso. Ha superato comunque la quarantina. Indossa una tuta mimetica e sta guardando verso la spiaggia con un binocolo. - Saranno duecento metri? - chiede. - Fino al mare? - risponde lo smilzo. - No, fino alla preda. Saranno duecento metri? - Sì, forse qualcosa di meno. - Non c’è il rischio che ci senta? - Abbiamo il vento dalla nostra. E poi è lontana, stia tranquillo. - Sono tranquillissimo. E’ solo che non voglio che si accorga di noi. - Tenga, carichi - dice il ragazzo, passando al volo il fucile all’uomo in mimetica. - Deve farlo adesso che c’è ancora un po’ di luce. - Non se ne parla - dice l’altro e getta il fucile sulla sabbia. - Come sarebbe a dire, non se ne parla? - Sarebbe a dire che sono appena arrivato, che devo ambientarmi, che ho pagato fino a domani compreso. Giusto? - E allora? - E allora lo farò domani - dice l’uomo, e poi sempre più irritato: - Che razza di organizzazione è questa! Non si può pretendere che mi metta all’opera senza neanche il tempo di ambientarmi, senza neanche il tempo di... di entrare nella parte. - Senta, adesso ce l’ha a tiro, guardi qua - risponde il ragazzo, offrendogli di nuovo il fucile. - E c’è la luce giusta. Su, carichi. - Scordatelo. Non spreco così i miei soldi. Ti ho pagato fino a domani. Lo farò domani - dice quello che ha tutta l’aria di essere il cliente del ragazzo. - Cosa cambia se lo faccio domani? C’è qualche problema? - Be’, sì… Cioè, no, fino a domani siamo sicuri di trovarla. Dopo, qualcuno potrebbe venirla a cercare, ma fino a domattina siamo sicuri. Però dovremo dormire qua. - Qual è il problema? Questa è la duna più confortevole che conosca - dice il cliente, allargando la faccia in un sorriso radioso. Poi afferra uno zaino da escursionista sul lato esterno della sua postazione e se lo tira sulle 2_IH_Italienisch_69.indd 2 2_IH_Italienisch_69.indd 2 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 3 Mauro Covacich L’ultimo safari ginocchia. Fa scattare le fibbie di plastica. Estrae con altrettanta soddisfazione un sacchetto di carta. - Panini, birre, ciliegie. Ce n’è per tutti e due. - Senta, adesso sarebbe più facile. Lei è lì, la vede? Entrambi alzano i binocoli e li puntano verso la spiaggia. Le cinghiette sbattono un po’ per il vento. - Certo che la vedo, non sono mica cieco. Cosa sta facendo? - Che ne so - dice il ragazzo, cercando di controllare la voce. - Se ne sta tutto il giorno accucciata in quel modo. Anche ieri ha fatto così. Appena l’hanno scaricata si è appoggiata a quella cassetta e si è messa così. Pregherà, conterà i granelli di sabbia, si taglierà le unghie dei piedi, che ne so cosa sta facendo. So solo che adesso è lì e sarebbe tutto più facile. Col buio entrerà nel capanno. - E noi la lasceremo entrare. Io ho bisogno di ambientarmi. Che c’è lì dentro? - Monnezza. - Immondizia? - dice il cliente. - Preferisce la puzza che stare fuori la notte. - Più o meno. - Ha un’aria malata, non trovi? È grassissima. - Sì, è grassa da far schifo. - È per questo che non l’avete messa sulla strada, eh? - Uèè! - sbotta lo smilzo, staccando gli occhi dal binocolo e girandosi verso il cliente. - Ma lei è venuto per sparare o per fare domande? - Per sparare, per sparare. - E allora si faccia il suo safari e non s’impicci di queste cose - dice il ragazzo, mentre il suo cellulare comincia a trillare, liberando le note di una melodia fabbricata in Sud Corea. - Va bene, va bene - dice il cliente, intanto che il ragazzo cerca a tastoni il telefono sulla cintura, lo estrae e lo avvicina lentamente all’orecchio, senza però mai staccargli gli occhi di dosso. Il cellulare fa a tempo a trillare ancora due volte, prima che il ragazzo guardi lo schermo e attivi la comunicazione. - Sì, dimmi. - … - No, non l’ha ancora fatto. È arrivato neanche un’ora fa. - … - Una Saab. L’ho nascosta dietro la mia. - … - Sì, il solito buco, sta’ tranquillo. - … - No, è un tipo a posto. - … - No, non credo che per stasera sarà possibile. 2_IH_Italienisch_69.indd 3 2_IH_Italienisch_69.indd 3 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 4 L’ultimo safari Mauro Covacich - … - Eh, ha detto che non ha mai sparato con un Brno e che sì, insomma, deve prenderci la mano. - … - Sì, domattina abbiamo chiuso, non preoccuparti. Te l’ho detto, è un tipo a posto. - … - Sì, ha già saldato. E’ tutto a posto - dice infine il ragazzo, prima di chiudere la comunicazione e risistemare il cellulare sulla cintura. - Era il tuo capo? - gli chiede il cliente. - Sì. - Io non ti ho detto niente del Brno. - Da come l’ha preso in mano sembrava non l’avesse mai visto. Per questo mi sono permess… - Questo è un Brno Vox ZKB 680, calibro 222 Remington - lo interrompe il cliente. - Anche l’ottica è di produzione ceca. Meopta Artemis 4x32 - e poi, cambiando tono: - Non mi aspettavo un fucile da caccia, tutto qui. - Questo è un safari. - Questo è un safari, d’accordo, solo che io al poligono mi alleno con la Beretta che mi ha regalato mia moglie. Ho una signora mira, te l’assicuro, ma con un fucile da caccia è diverso. - Con questo da una distanza del genere becchi un daino a cinquanta all’ora nel bosco. Quella se ne sta lì accucciata, ferma immobile, e non mi sembra un daino. Le sembra un daino, quella? - No, neanche a me sembra un daino. - E allora, carichi, per favore, che la facciamo finita. - Ti ho detto di no, Cristo. Non adesso. Quella è la mia preda. Te l’ho pagata. Aspetteremo domani. Ringraziamo vivamente Mauro Covacich per averci concesso la pubblicazione di questo brano inedito che è l’inizio del suo racconto «L’ultimo safari». 2_IH_Italienisch_69.indd 4 2_IH_Italienisch_69.indd 4 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 5 «L’imperativo (stoico) dello scrivere»: A colloquio con Mauro Covacich A cura di Mara Santi Mauro Covacich (Trieste, 1965) si è laureato in filosofia con una tesi su Gilles Deleuze. Nel 1999 riceve il Woursell-Literaturpreis zur Förderung junger europäischer Autoren assegnato dalla Philologisch-kulturwissenschaftliche Fakultät dell’Universität Wien. Attualmente vive e lavora a Roma. Autore di una serie di opere narrative e saggistiche (cfr. Bibliografia) ha esordito nel genere del romanzo, che rappresenta la sua vena più prolifica e innovativa, con L’amore contro (2001), per poi dare vita a una trilogia di romanzi - A perdifiato (2003), Fiona (2005) e Prima di sparire (2008) - che si è evoluta in una pentalogia multimediale, con l’aggiunta di un’installazione video, L’umiliazione delle stelle (2010), nella quale Covacich dà il proprio corpo a uno dei suoi personaggi portandone nella realtà la performance artistica, e con un ultimo conclusivo romanzo: A nome tuo (2011). Mara Santi (professore associato di letteratura italiana presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Gent) studia la narrativa di Mauro Covacich e lo ha intervistato a Roma, il 7 ottobre 2012, a Villa Borghese. Domanda Nelle tue opere compaiono riferimenti espliciti così come richiami impliciti sia a testi letterari che ad opere artistiche - penso a Don DeLillo 1 o a Marina Abramovich 2 - con i quali è evidente che la tua scrittura intrattiene un rapporto diretto e privilegiato. Quali sono i modelli letterari che consapevolmente hai riconosciuto e assunto nella tua formazione e nello sviluppo della tua prosa e per quali ragioni? Mauro Covacich Se dovessi tracciare la storia delle mie influenze dovrei dire che ho cominciato a sentire il bisogno di scrivere a partire da Kafka, è stato il mio big bang, perché gli alimenti della mia scrittura sono - tranne l’ebraismo - tutti molto kafkiani; penso alla colpa, alla vergogna, al rapporto col padre, alla condizione sempre un po’ giudiziaria dei suoi libri. Questo in particolare: la postura di Kafka di fronte a quello che scrive io la sento identica alla mia, ed è sempre una posizione da teste o imputato, nel senso che rispondo sempre a un interrogatorio, mi pongo sempre in una posizione processuale dove c’è qualcuno che mi sta interrogando, qualcuno che sono io, ovviamente, ma che determina comunque quel tipo di non agio che hai quando devi rispondere a un interrogatorio e non sei libero, devi dire veramente come sono andate le cose. Dando la tua versione dei fatti, certo, ma devi dire la verità. Poi ho avuto una forte fascinazione per Peter Handke, c’è stato tutto un periodo in cui ero convinto che mi sarei messo a copiare Handke. In gene- 2_IH_Italienisch_69.indd 5 2_IH_Italienisch_69.indd 5 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 6 A colloquio con Mauro Covacich rale amavo moltissimo la letteratura di lingua tedesca, letta purtroppo sempre in traduzione. Ho letto moltissimo Thomas Bernhard, ho avuto una folgorazione totale per Max Frisch. Frisch è uno dei modelli che ha resistito per me, la lucidità pietosa, la razionalità di Frisch, è una cosa che sento molto mia. Degli italiani, il primo che ho cominciato a sentire come un mio modello è stato Goffredo Parise ed è stato molto tardi. Prima di lui gli italiani li ho letti ma nessuno l’ho sentito un maestro. Tendo molto a dare importanza alla persona oltre che al testo e le scelte che ha fatto Parise, questo suo essere una figura irregolare, il suo non essere comunista in un periodo dove la cultura era in modo abbastanza egemonico cultura comunista, coincide con una mia idea di scrittore. Ad esempio, Parise diceva di non essere un letterato ma uno scrittore, perché il letterato può scrivere libri che si nutrono di libri, può vivere nelle università, nelle redazioni dei giornali, nelle riviste letterarie, mentre lo scrittore deve sporcarsi con la vita e mettersi in gioco. Ecco, questo è uno dei miei precetti: ho scritto tanti libri uno diverso dall’altro, però sono tutti libri impelagati nella vita, che vengono da un’esperienza, in questo senso Parise è stato un modello. Ma anche come scrittore, per questa scrittura sempre molto precisa, fredda e pietosa, un ossimoro, la freddezza pietosa, che ho sempre ricercato mettendo nei miei testi una freddezza che si prende cura dei personaggi che racconta, che non li guarda con distacco. E poi tardi, molto tardi, quindi quando avevo già cominciato la mia carriera di scrittore, nel ’93-’94 mi sono imbattuto in Don De Lillo e lì ho capito cosa dovevo fare nella vita, con Rumore bianco, che era uscito per Tullio Pironti Editore. 3 Rumore bianco per me è stata la scoperta di una voce, di quello che avrei voluto fare. Chiaramente lo ammiro e credo che si senta, mentre tra gli altri americani non trovo ulteriori modelli, ammiro Philip Roth, negli ultimi anni mi sono appassionato a J.M. Coetzee, però non come riferimenti cui ispirarmi. D. Per quanto riguarda invece il versante artistico quali sono i tuoi modelli di riferimento? Covacich Tra i modelli artistici indicherei quelli che cito in Prima di sparire, essenzialmente Marina Abramovich e Sophie Calle, 4 questa per il discorso personapersonaggio, finzione-realtà, e l’altra per l’esposizione di un pezzo della propria vita di cui fa un’opera d’arte. Sono indubbiamente le due artiste del ’900 che più mi hanno colpito. Ma dovremmo aggiungere un altro nome: il regista Krzysztof Kieslowski, da cui derivo l’idea di fare dei romanzi che rimandano internamente per personaggi o tematiche o ambientazioni ad altri romanzi, già dal Decalogo, dove ti ritrovi dei protagonisti che poi diventano secondari 2_IH_Italienisch_69.indd 6 2_IH_Italienisch_69.indd 6 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 7 A colloquio con Mauro Covacich in altri film o comparse che diventano protagonisti. Questo mi è piaciuto subito dal punto di vista del montaggio, dal punto di vista testuale, ad esempio Fiona, è una figuretta quasi impercettibile, in A perdifiato, poi torna e addirittura si guadagna il titolo di un romanzo poi nuovamente passa in secondo piano [in Prima di sparire n.d.c.] e poi ritorna [in A nome tuo n.d.c.]. Da qui viene l’idea di una trilogia, idea che avevo già in mente quando scrivevo A perdifiato. Sempre in ambito cinematografico amo il cinema di Lars von Trier, anche se molti suoi film non sono riusciti, secondo me. Più di tutto mi affascina il fatto che si è inventato Dogma, 5 cioè che si è dato delle regole e in questo mi sento vicino al suo cinema: per me è fondamentale, nel mio lavoro, darmi io delle regole e rispettarle, è infernale ma anche creativo, per usare una parola quanto mai logora. Il fatto di mettermi tanti paletti, tante regole, è per me un modo per produrre risolvendo problemi. D. Quando parli di arte, sia nei romanzi sia in altri contesti, sottolinei l’idea della sacralità e della ritualizzazione del gesto artistico. Mi pare che si possa estendere questa prospettiva al gesto letterario in generale e al tuo in particolare; per esempio, espliciti che la funzione dell’arte è rivelativa e che ha senso solo in chiave etica, tanto che l’idea di artista/ scrittore che emerge dall’insieme di questi spunti è una sorta di sacerdote, portatore di una verità di cui ha il dovere di trasmettere il senso. Covacich Il termine sacralità se riferito a me sembra un po’ sovraccarico temo che rischi di depistare con un di più di ‹megalomania›; però c’è sicuramente una religiosità, una ritualizzazione, c’è soprattutto un rapporto religioso con la scrittura. Per me la scrittura è il posto dove io mi centro, la mia casa, in termini di sacralità potrei dire il mio tempio. Quindi c’è indubbiamente un rapporto religioso con la scrittura, proprio perché io la concepisco come una specie di missione, in questo senso sì, indubbiamente, non come una vocazione, ma proprio come una missione. E sicuramente c’è un forte senso etico: dove ne L’umiliazione delle stelle dico «dovrei / I should» (e non «vorrei / I would») 6 intendo proprio lo sfondo etico del video e della mia scrittura. Non è un semplice desiderio, è l’assunzione di un debito, di un dovere, che ho. Diciamo, lo sfondo stoico (per indicare un altro modello) di quel video e del concetto dell’umiliazione delle stelle, che c’è, forte, anche dal punto di vista cosmico. D. Al tempo stesso però tu neghi qualsiasi aura, qualsiasi possibilità di mitizzazione, al performer (in particolare a te, nell’epifania di Rensich) e neghi eroismo a un gesto che pure rappresenta il confronto dell’individuo con il proprio limite, con la propria essenza di uomo. 2_IH_Italienisch_69.indd 7 2_IH_Italienisch_69.indd 7 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 8 A colloquio con Mauro Covacich Covacich Sì, perché il confronto con il limite non è eroico. In realtà il confronto con il limite con quel set è ridicolizzato, c’è un aspetto di autolesionistico ludibrio, perché correre sul tapis-roulant la maratona è una presa in giro, è comico e grottesco, è correre sul posto, è l’esemplificazione dell’inanità di questo sforzo: per tornare al testo del video dico «dovrei essere giusto e non lo sono», io corro sul posto, faccio questa cosa bellissima, la maratona, e ritualizzo questo gesto bellissimo, dei grandi, in un modo così svilente, così ridicolo, cioè su un tapis roulant. Anche la tensione etica del muoversi eternamente verso il meglio è costantemente compromessa da questa inanità del correre sul posto. Quindi non è un gesto eroico ma semmai penitenziale, mi fa pensare a Sisifo, all’impossibilità di raggiungere, di adeguarti al tuo paradigma etico. Appunto: «I should» non «I would», ed è la base di stoicismo di tutti i miei libri, io mi sento uno stoico, e quindi dal mio punto di vista è proprio questa la questione fondamentale: adeguarsi al proprio senso del dovere. Quando ho smesso di insegnare 7 mi svegliavo al mattino, non dovevo andare da nessuna parte, nessuno mi aspettava; il fatto che venisse messo in discussione il mio senso del dovere verso gli altri, quindi verso il cosmo, era un problema, anzi, «il» problema. E il senso del dovere è fondamentale perché in me si fondono due culture: la cultura che amo, che è la cultura stoica, e la cultura che sopporto, che è la cultura religiosa cattolica. La sopporto ma è comunque radicata in me, cioè il mio immaginario è talmente nutrito di cultura religiosa che non saprei pensare all’amore senza l’idea del peccato, del tradimento, del desiderio, delle proibizioni, in termini cattolici, cioè dell’armamentario ideologico che mi è stato fornito dal cattolicesimo che è quello che poi ha istruito il mio immaginario. D. La struttura ‹a polittico› dei tuoi primi romanzi evolve da una trilogia letteraria in una pentalogia multimediale: quando e come sei ritornato al testo letterario dopo la videoinstallazione o, come tu la definisci, dopo l’opera «video-letteraria»? Covacich Partiamo dalla fine, cioè dall’ultimo libro: A nome tuo. Quando mi sono trovato di fronte alla necessità di scriverlo mi sono trovato anche di fronte al problema di doverlo scrivere, perché questo contrastava completamente con il mio progetto di vita e di lavoro. Io ero arrivato a Prima di sparire con la convinzione, abbastanza radicata, che non avrei più scritto un libro e Prima di sparire, per me, raccontava la deposizione di un fallimento, cioè di come non ero riuscito a scrivere la trilogia, di come non ero riuscito ad andare dove 2_IH_Italienisch_69.indd 8 2_IH_Italienisch_69.indd 8 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 9 A colloquio con Mauro Covacich pensavo si potesse andare poiché avevo scoperto che non si può davvero arrivare nel luogo, diciamo, della ‹verità›, perché ogni volta che credevo di arrivarci non c’era la verità ma c’era un racconto della verità. Prima di arrivare al terzo romanzo credevo che avrei potuto scrivere la verità, portando il lettore nel luogo del dolore e della vergogna, perché nel dolore e nella vergogna uno è se stesso, quindi pensavo che mostrando dove mi sono vergognato, mostrando le situazioni più imbarazzanti di me avrei mostrato la verità. E invece questo progetto era fallito. Forte di questo sconforto avevo deciso di non scrivere più, però, nel frattempo, mi hanno invitato in Messico 8 per delle conferenze, e lì mi sono trovato di fronte questa storia per me meravigliosa 9 e mi è venuta voglia di scriverla. A nome tuo attesta il dibattito interiore che ne è derivato, tra una voce dentro di me che diceva assolutamente che il libro dovevo scriverlo e un’altra voce che diceva il contrario, perché sarebbe stata una contraddizione rispetto al mio progetto e alla ‹dichiarazione› fatta nel terzo romanzo. Tant’è vero che in quel momento consolidavo sempre di più la strada del video, avendo pensato di uscire dalla scrittura provando a fare Dario Rensich, provando a fare questo clone, questa epifania del personaggio cui dò il mio corpo. Ho risolto il conflitto interiore con un escamotage, ossia scrivere e pubblicare la storia che avevo trovato con un altro nome: Angela Del Fabbro. 10 Angela era già per me una figura fantasmatica in Prima di sparire, e allora ho scritto il libro con il suo nome. Questo percorso, però, è stato molto combattuto, sofferto, nel senso che per me scrivere con un eteronimo è stata una forma di suicidio assistito. Essendoci un elemento narcisistico nella scrittura, per il quale chi scrive vuole mettere il proprio nome sotto ciò che scrive, quella soluzione era per me una forma di morte, poiché io non esistevo più, non pubblicamente. Scrivere con il nome di un altro l’ho vissuto come una cosa luttuosa, non gioiosamente come pensavo: evidentemente sono abbastanza fiero delle cose che ho fatto e voglio che portino la mia firma. Non è esagerato dire che ho scritto A nome tuo per riappropriarmi del mio testo e di quello che Angela Del Fabbro mi aveva preso. Al tempo stesso però avevo bisogno di compenetrare Vi perdono con il lavoro precedente, cioè se dovevo ‹risorgere› dopo il tentativo di suicidio era importante che risorgessi in modo coerente con il lavoro precedente, mostrando anche in quello nuovo la storia e come l’ho scritta, come ci sono arrivato, prolungando la poetica di Prima di sparire. In questo senso la struttura di A nome tuo è importante, perché quell’enorme prologo che è L’umiliazione delle stelle, cioè la prima parte, si riconnette allo stile di Prima di sparire e a quella che era la mia visione di come avrebbe dovuto essere la mia scrittura. Inoltre, mettere in A nome tuo il dibattito interiore tra me e il mio eteronimo - Angela Del Fabbro è un eteronimo non è uno pseudonimo 2_IH_Italienisch_69.indd 9 2_IH_Italienisch_69.indd 9 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 10 A colloquio con Mauro Covacich perché è dotato di vita, ha una sua storia e diventa addirittura una presenza nel dibattito - per me ripristina il processo dello scrivere la storia mostrando come la scrivo e ripristina la genesi di Vi perdono nella forma del romanzo. Angela Del Fabbro in questo senso non è un nome falso, non è una scatola vuota, è una presenza consolidata nella mia vita, è un mio fantasma, quello con cui io nel libro non a caso ho un corpo a corpo, fisico, non un dialogo sui massimi sistemi, ma un incontro-scontro. A nome tuo ha raggiunto almeno lo scopo di mostrare le ragioni per le quali ho scelto l’eteronimo e nello stesso tempo lo fa nella forma del romanzo. Svelare poi tutto il processo attraverso la lettera finale, è una sorta di quadratura del cerchio. Inoltre è importante il fatto che A nome tuo è un titolo molto più radicato nel testo di quanto sia Vi perdono, perchè rende sia l’idea di quello che fa il personaggio di Vi perdono/ Musica per aeroporti [cfr. nota 10], cioè va a procurare il farmaco per suicidarsi, a nome di un’altra persona che non ne è in grado, sia la delega della scrittura: «scrivo io per te». D. Rispetto a questo stretto rapporto ‹personale› che stabilisci con i tuoi testi e al loro portato autoreferenziale e autobiografico ritieni che sia corretto, come è stato fatto, parlare di autofiction? Covacich Dal mio punto di vista la mia non è autofiction, benchè tutto autorizzi i lettori a credere che lo sia, nel senso che, anche dove invento, adotto un procedimento opposto all’autofiction. Prendiamo il caso di Walter Siti che è un maestro dell’autofiction e che utilizza il suo nome, lo dà al personaggio principale e crea un effetto mitico della sua persona, ma non usa la sua persona. Se io chiamo Walter Siti il mio protagonista e gli faccio fare delle cose ottengo un effetto mitopoietico, racconto delle favole, approfittando dell’attribuzione di una identità reale al mondo della finzione per ottenerne un effetto di personaggio sulla persona. Il mio tentativo è esattamente opposto: cerco di portare nel personaggio la mia persona, di portare me e la mia vulnerabilità dentro quel personaggio e il mio sforzo è quello di far somigliare quel personaggio il più possibile a me. Quindi io non gli potrei mai far fare delle aberrazioni, non potrei mai mettere in un libro che rubo denaro o che stupro una fanciulla o che corrompo qualcuno perché io nel libro debbo dire solo ed esattamente cose che so e posso fare o ho fatto, cose che riguardano la mia vita. Non potrei fare il contrario perché andrebbe contro la mia volontà. Perché la mia tensione etica, per quanto abbiamo scoperto paradossale, è quella di portare il più possibile il lettore vicino alla mia vita, mettendola dentro la letteratura. Non è autofiction dal mio punto di vista questo, è il contrario, non so come si potrebbe dire. 2_IH_Italienisch_69.indd 10 2_IH_Italienisch_69.indd 10 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 11 A colloquio con Mauro Covacich D. In che termini, quindi, la tua narrativa non è autofiction. Covacich Per forza di cose il mio lavoro assomiglia all’autofiction, ad esempio, appunto, a quella di Siti, perché i piani della realtà e della finzione continuano a fondersi e a mescolarsi, però con lo scopo di sottrarre sempre più spazio tra il lettore e me e quindi togliere sempre più spazio alla menzogna che è intrinseca nel raccontare storie. Come ho ammesso nella lettera finale di A nome tuo, cui già facevo riferimento, so che la mia vita è raccontare storie però per me è un dramma, nel senso che io vorrei portare il lettore nel luogo della verità, invece il molto più accorto, molto più avveduto, molto più colto Siti, sa che questo è impossibile, e fa il contrario: in un’ottica postmoderna dice «io mi chiamo Walter Siti come tutti…». 11 L’incipit di Walter Siti attesta la lontananza tra lui e me. Lui dice «mi chiamo Walter Siti come tutti, alla fine sono un nome, un’identità che può essere frutto di invenzione, che può diventare un contenitore di mille storie possibili col mio nome». Io invece dico: «il mio nome non può essere un contenitore di mille storie possibili, il mio nome è la prova che in quella storia ci sono io.» So che narratologicamente autore e narratore non sono mai la stessa cosa però è proprio questo lo sforzo, di stare dentro questo paradosso, il paradosso di recitare la parte di se stessi. L’autofiction dall’inizio si arrende, sa che noi recitiamo sempre una parte, che siamo sempre delle maschere. Pensa all’ultimo libro di Michel Houellebecq, Houellebecq fa Houellebecq, il famoso scrittore, che viene ucciso, quella è autofiction io non mi farei mai uccidere in un mio libro… D. Al di là della questione teorica tutta la tua prosa tende, in generale, a compenetrare due istanze, che si intrecciano cooperando allo sviluppo della trama e al tema centrale del racconto, ossia un fatto di cronaca unito a un’esperienza individuale, eventualmente esplicita, e un elemento teorico, filosofico. Come nasce in quest’ottica la narrazione e quale lavoro di preparazione implica? Covacich La cosa che a me appassiona di più è lo studio. Tutti i libri li ho scritti a partire da interessi più o meno filosofici: per Fiona ho lavorato sul linguaggio televisivo, sulla semiotica televisiva, per Vi perdono mi interessavano tutte le questioni filosofiche sul suicidio assistito e quindi mi sono letto dei libri sull’argomento. Quanto ai fatti reali che narro tendo a scrivere sempre e soltanto di cose che conosco, o di luoghi in cui sono stato e non scelgo mai un fatto di cronaca in base all’eco giornalistica che può avere avuto o alla sua 2_IH_Italienisch_69.indd 11 2_IH_Italienisch_69.indd 11 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 12 A colloquio con Mauro Covacich presenza nei dibattiti, nell’opinione pubblica, ma in base alla percezione che ne ho avuto io, se questo significa che ha toccato una mia corda un mio elemento vivo, di esperienza. Nel caso di A nome tuo, ad esempio, tengo sempre a precisare che, se l’argomento in modo più lato è la scelta di un malato terminale di poter morire, scendendo nel dettaglio c’è un abisso tra il suicidio assistito, cui mi sono interessato, e l’eutanasia (e quindi tutti i casi di cronaca degli anni scorsi); cioè, se parli di suicidio assistito metti in conto che ci debba essere una responsabilità fisica oltre che psichica della persona. L’intento del libro, dal mio punto di vista, è riflettere sulla questione del suicidio, che in Italia è un grande tabù della cultura cattolica, mentre, come sappiamo, ci sono forme di cultura nobili come lo shintoismo, lo stoicismo o l’epicureismo, in cui è un’ipotesi praticabile o addirittura più che rispettata. Io volevo rimettere in gioco il concetto del suicidio che, come dice Albert Camus in Le mythe de Sisyphe (1942), è l’unico argomento degno di essere discusso filosoficamente e interrogarmi sul fatto se si può avere o meno la libertà di scegliere quando e come morire. D. In quale direzione va il tuo interesse per questo tema che arriva a completamento della ricerca affidata alla pentalogia? Covacich Quando ho cominciato a lavorare su questo tema ero sicuro della mia convinzione di partenza, ossia che mi piacerebbe che esistesse anche in Italia, come in Svizzera o in Oregon, il suicidio assistito, perché, se ho di me un’idea di un certo tipo, il fatto di poter essere totalmente impotente sotto le mani di persone che dispongono del mio corpo e mi fanno vivere in un modo che io non ritengo degno di essere vissuto, attiene a un’idea talmente indecorosa e indegna del mio corpo che io mi vergogno. Il che non è tanto legato a un culto dell’efficienza fisica, al senso del fisico decaduto, ma al fatto che questo non sia più tuo. Però, a me interessa spingermi non dove sono sicuro di me, ma dove non sono sicuro di me, perché è proprio lì che funziona la mia ricerca e il luogo in cui io non ero sicuro di me, rispetto a questo tema, l’ho verbalizzato e affrontato in A nome tuo attraverso il personaggio di Grimaldi. Grimaldi è una persona sana - sia fisicamente che mentalmente - che semplicemente ritiene di aver vissuto abbastanza. Il punto critico è: una persona come Grimaldi può fare ricorso al suicidio assistito? In quel luogo, come mi comporterei? Accetterei che ognuno di noi, sano o malato, possa disporre della sua boccettina a casa: io a questo non so ancora rispondere. E assecondando la mia incertezza, mi sono, come sempre, interrogato scrivendo. 2_IH_Italienisch_69.indd 12 2_IH_Italienisch_69.indd 12 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 13 A colloquio con Mauro Covacich Tra l’altro questa era l’unica ragione per cui io potessi mettermi a scrivere quel libro, che è stato l’incontro di due magneti, da una parte il fatto: mi trovavo in Messico, del tutto casualmente, e su Reforma ho letto un’inchiesta giornalistica su quelli che loro chiamano «i corrieri della morte»; dall’altra parte un’esperienza personale: mia nonna, che aveva all’epoca 103 anni e che da almeno tre anni era un tronco inespressivo, che moriva lentissimamente e a quanto vedevo dolorosamente. Questi due elementi devono aver creato una scintilla, su cui poi mi sono messo a lavorare sul piano filosofico. D. La realtà che entra a far parte dei tuoi libri è sempre di stringente attualità. Come si sviluppa la relazione tra testo letterario e cronaca? Covacich Naturalmente non basta l’argomento importante o di cronaca perché io me ne occupi, c’è bisogno che imbattendomici questo risuoni in una cosa che già c’è dentro di me. In Fiona c’è Il grande fratello di cui ho seguito la prima edizione, nel 1999, per il Corriere della Sera, ma non mi sono messo subito a scrivere il romanzo; la stessa cosa per La poetica dell’Unabomber (1999). Né è necessario che sia un fatto molto discusso: la vicenda di cronaca di A nome tuo, era per molti aspetti del tutto trascurabile (parliamo di un periodo ancora precedente alla vicenda di Eluana Englaro, 12 non c’era un interesse generalizzato) ma ha parlato immediatamente a una mia zona emotiva forte. Ed è sempre stato così: il fatto di cronaca dell’intossicazione del Tibisco, 13 l’avevo vista, mi aveva colpito e avevo cominciato a raccogliere materiali. Mi aveva colpito visivamente, perché avevo immediatamente pensato all’immagine della grande vena della terra, me l’ero immaginata come un organismo vivente, in modo classico, nel quale veniva iniettata questa overdose di veleno, ed è l’immagine che c’è in A perdifiato. Successivamente è venuto un invito in Ungheria, 14 a Budapest, da Budapest sono andato a Szeged [cfr. nota 13], dove dovevo stare tre settimane e sono invece rimasto tutto l’inverno, si è sommata quindi un’esperienza personale e diretta, e quando sono tornato a casa ho scritto il libro. C’è sempre un incrocio e mi accorgo subito se una cosa mi può riguardare, immediatamente sento che ha una temperatura, che ne farò qualcosa, che non la uso per fare un pezzo per un giornale, che non la brucio così. Come nel caso dell’ulivo bruciato nella campagna di Campagnatico [di cui in L’amore contro n.d.c.], su cui era uscito un articolo su La Stampa e io ero andato a vedere per «Diario» 15 e poi, arrivato lì, ho visto che non c’erano gli estremi per farne un reportage, ma per fare altro sì e me lo sono tenuto. Poi ci sono pezzi di vero e proprio studio della realtà. I brani dei maghi in L’amore contro sono stati un bellissimo lavoro che sarebbe un ottimo 2_IH_Italienisch_69.indd 13 2_IH_Italienisch_69.indd 13 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 14 A colloquio con Mauro Covacich oggetto di laboratorio di scrittura. Ho fatto un lavoro certosino nel senso che sono tre voci costruite in modo artificiale attraverso l’ascolto ripetuto di voci vere che poi si sono sintetizzate. Avevo quattro cassette da 2.40, ancora le VHS all’epoca, 16 ore di registrazione di tutti i maghi che all’epoca andavano sulle tv private, o meglio, di quelli che mi piacevano di più. Ho passato mesi ad ascoltarli a verbalizzarli a scrivere a sentire le voci e piano piano queste voci da otto sono diventate sei, una è diventata frutto di due, e poi sono diventate le tre del libro che rappresentavano tre tipi: il naif, Floriano Cagnazzo, la furba, Vangelja, e il terzo, Amelior, che corrispondeva a un cliché forte nei modelli, un tipo umano arrogante, fiero di una sua presunta scienza, che fa degli strafalcioni enormi e che poi… quando fa i tarocchi a Sergio, il protagonista del romanzo che si rivolge al mago per cercare di risolvere i propri problemi, «ci prende», ossia indovina punto per punto tutta la vita del personaggio. Ed è questo che a me piace, nel senso che la mia posizione critica, è una posizione sempre ambigua: io sono critico però aderisco alle cose che racconto, il modo in cui tratto l’astrologia ne è un esempio, perché mentre parlavo di astrologia o di tarocchi mi piacevano moltissimo, come medium per giocare sull’interpretazione dell’animo umano. Quindi per essere sempre onesto con me stesso, non volevo solo mostrare un atteggiamento accigliato e critico nei confronti dell’astrologia, o facilmente sarcastico verso i maghi, che alla fine sarebbe stato facile. E questa per me deve essere una costante nel mio lavoro. D. A proposito dei personaggi: ci sono alcune strutture di interrelazione frequenti tra i personaggi o le tipologie di personaggi che ricorrono nei tuoi testi. Per esempio, il personaggio protagonista maschile trova nel personaggio protagonista o co-protagonista femminile una fonte positiva, che lo sollecita ad aprirsi a una prospettiva futura, che lo fa in qualche misura progredire, spesso perché l’ingresso della figura femminile nella vita dell’uomo si collega al pensiero della paternità. Poi però arriva veramente una figlia, Fiona, e questa entra in conflitto con gli altri personaggi tanto che tutti coloro con cui Fiona entra in relazione (e in particolare i personaggi maschili) subiscono un processo di profonda degradazione. Qual’è il senso del ruolo che hai voluto assegnarle? Covacich Fiona è un’ossessione, una presenza ricorrente nel mio pensiero e mai positiva. Fiona, dal mio punto di vista, è la voce della verità. La cosa che ti inchioda alla verità dei fatti. In A perdifiato svela ai due protagonisti che non ce la fanno realmente ad adottare la bambina. Con una metafora orrenda è una cartina di tornasole. In Fiona ancora di più perché, sempre secondo me, il 2_IH_Italienisch_69.indd 14 2_IH_Italienisch_69.indd 14 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 15 A colloquio con Mauro Covacich protagonista è sostanzialmente vittima della complicità del mondo che lo circonda. La moglie gli è complice perché fa la diversa ma non lo è, cioè accetta tutti i benefici della vita del marito, i suoi collaboratori gli sono complici perché più lui si sporca le mani più il programma va bene e più loro sono felici… e lui è schiavo di questa complicità. Paradossalmente, il fatto di non avere un nemico di non avere un ostacolo di non avere un punto su cui sbattare, nessuno specchio in cui guardarsi lo annienta, e poi arriva invece questa bambina che è quella che ti pone i problemi, perché non parla, è cattiva, nel senso che morde, è un elemento disturbatore, non un elemento connettore, un elemento disturbatore che crea dissidio e l’inchioda a se stesso. Certamente i momenti che Sandro passa con Fiona sono i momenti in cui non può sfuggire a ciò che lui è veramente, in cui è messo di fronte a se stesso da una specie di specchietto che smonta il compromesso, smonta la complicità. Guarda anche cosa diventa in A nome tuo, per me era fondamentale perché Fiona è perfettamente coerente con la figurina che è partita da A perdifiato, diventa di nuovo lo specchio, la voce della verità. Lei «mi» chiede «scrivi per me, scrivimi un libro che faccia vendere di più, non scrivere un libro sulla morte, scrivi un libro su una bella saga famigliare». Questa figura che ti mette di fronte a te stesso mi affascina, ne sono innamorato, ma la vorrei anche brutalizzare e non a caso nel libro ne faccio di cotte e di crude. È una presenza con cui i miei personaggi e il personaggio che sono diventato io in questo percorso fanno fatica a fare i conti, perché dice la verità, e non a caso appunto è l’elemento più vicino alla barbarie della natura, quella priva delle nostre convenzioni, dei nostri compromessi, che ci aiutano a sopravvivere, di quelle convenzioni sociali che invece lei non ha. Note 1 Don DeLillo (New York 1936) è considerato il maestro della narrativa postmoderna è autore di: Americana (1971), End zone (1972), Great Jones street (1973), Ratner’s star (1976), Players (1977), Running dog (1978), The names (1982), White noise (1985), Libra (1988), Mao II (1991), Underworld (1997), The body artist (2001), Cosmopolis (2003), The falling man (2007), Point Omega (2010). 2 Marina Abramovich (Belgrado 1946) è stata tra i pionieri dell’arte performativa ed è tutt’ora figura di riferimento nel panorama artistico mondiale. Dal 1975 al 1988 ha collaborato con il performer tedesco Ulay; dal 1988 ha realizzato performance individuali tra le quali si ricordano Objects Performance Video Sound (1995), Balkan Baroque (1997), Artist Body - Public Body (1998), The House with the Ocean View (2003), The Star (2004), Seven Easy Pieces (2005), The Artist is Present (2010). 3 Don DeLillo, Rumore bianco, traduzione di Mario Biondi, Napoli: Pironti 1987. 2_IH_Italienisch_69.indd 15 2_IH_Italienisch_69.indd 15 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 16 A colloquio con Mauro Covacich 4 Sophie Calle (Parigi 1953) artista concettuale che nella propria carriera ha attraversato diversi generi e sperimentato numerosi mezzi espressivi dai libri alla fotografia, dal video e dai film alla performance. Tra le sue realizzazioni si ricordano: The Sleeper (1979), The Shadow (1981), The Blind (1986), Double Blind (1999), Sophie Calle: Did you see me? (2004), Appointment with Sigmund Freud (2005), Exquisite Pain (2005), En finir (2005), Take Care of Yourself (2007), Sophie Calle: Double Game (2007), Sophie Calle: The Reader (2009). 5 Dogma 95 è un movimento cinematografico animato da Lars von Trier che, nel 1995, ha fissato un decalogo di norme, relative alla realizzazione tecnica di un film, cui un regista deve attenersi per dare vita a un cinema non artefatto e non compromesso dalla innaturalità degli effetti speciali. Il manifesto prevede che le riprese vengano effettuate in luoghi e con oggetti reali, che il suono non sia prodotto separatamente all’immagine, che la macchina da presa sia a mano e non fissa, che il film sia a colori e senza illuminazione artificiale né ottiche o filtri; inoltre vieta la simulazione dei fatti (esempio: un omicidio), l’ambientazione al di fuori del tempo presente e i film di genere. 6 Il riferimento è al testo del pamphlet che accompagna il DVD della videoinstallazione L’umiliazione delle stelle, realizzata nel 2010. Se ne può vedere un brevissimo estratto nel video intitolato Verso l’umiliazione delle stelle disponibile sul canale YouTube della Fondazione Claudio Buziol: http: / / www.youtube.com/ watch? v=cHRjBhUt88M (7.2.2013). 7 Dopo la laurea e prima di dedicarsi completamente all’attività di scrittore Covacich è stato insegnante di scuola superiore dal 1993 al 1999. 8 Nel maggio del 2008, invitato dall’Istituto Italiano di Cultura per un tour culturale in varie città messicane. 9 La storia dei cosidetti «corrieri della droga» che procurano - nel caso che poi è diventato soggetto del libro A nome tuo, a persone affette da mali incurabili - medicinali che inducono la morte se assunti in determinate dosi (cfr. infra). 10 Allude a Vi perdono [a firma: Angela Del Fabbro], Torino: Einaudi 2009, poi confluito in A nome tuo, Torino: Einaudi 2011, con il titolo di Musica per aeroporti, che originariamente Covacich aveva dato al testo e che era poi stato cambiato in Vi perdono dietro suggerimento della casa editrice. 11 Walter Siti, Troppi paradisi, Torino: Einaudi 2006. 12 Covacich allude a Eluana Englaro, la donna che, entrata in coma nel 1992, è stata tenuta in vita artificialmente sino a che il padre ha chiesto e ottenuto, nel 2009 e solo dopo un lunghissimo processo, la cessazione delle cure mediche. Come lo stesso Covacich non manca di sottolineare, il cosiddetto «caso Englaro» è un caso di eutanasia e non di suicidio assistito, ma nell’accesissimo dibattito, anche politico, che la vicenda ha suscitato in Italia soprattutto negli anni conclusivi della vicenda, eutanasia e suicidio assistito si sono spesso trovati affiancati e confusi. 13 Affluente di sinistra del Danubio che per una parte del proprio percorso attraversa l’Ungheria e tocca, tra le altre, la cittadina di Szeged (in italiano Seghedino), al confine con la Serbia. Nel 2000 le acque del Tibisco (e del Danubio) vennero gravemente contaminate dal cianuro fuoriuscito da un lago di decantazione di una miniera in Romania. 14 Tra l’ottobre e il dicembre del 2001. 15 «Diario della settimana», supplemento del quotidiano L’Unità. 2_IH_Italienisch_69.indd 16 2_IH_Italienisch_69.indd 16 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 17 A colloquio con Mauro Covacich Bibliografia delle principali opere di Mauro Covacich Safari, Radiodramma per la regia di Edoardo Winspeare, con Lamberto Probo e Massimiliano Speziani, per la serie Atto Unico Presente, a cura di Anna Antonelli e Lorenzo Pavolini, Radio 3, 6-7/ 4/ 2002, poi edito con prefazione di Magda Poli, Pordenone: Associazione provinciale per la prosa 2003. Storia di pazzi e di normali. La follia in una città di provincia. Roma: Theoria 1993; Storia di pazzi e di normali. Roma: Laterza 2007. Colpo di Lama. Vicenza: Neri Pozza 1995. Mal d’autobus. Vivisezione di animali, uomini e sentimenti. Milano: Tropea 1997. Anomalie. Milano: Mondadori 1998; ivi: 2001. La poetica dell’Unabomber. Roma: Theoria 1999. L’amore contro. Milano: Mondadori 2001; Torino: Einaudi 2009. A perdifiato. Milano: Mondadori 2003 [Trieste: FVG 2003, La biblioteca del Piccolo. Trieste d’autore n. 14, suppl. a Il piccolo. Giornale di Trieste]; Torino: Einaudi 2005. Fiona. Torino: Einaudi 2005; ivi: 2011. Trieste sottosopra. Quindici passeggiate nella città del vento. Roma: Laterza, 2006. [Traduzione in tedesco: Triest verkehrt. Berlin: Wagenbach 2012.] Café zentral. Mantova: Corraini, 2006. Prima di sparire. Torino: Einaudi, 2008; ivi: 2010. Vi perdono [a firma: Angela Del Fabbro]. Torino: Einaudi 2009. L’umiliazione delle stelle, DVD, Roma: Buziol, Torino: Einaudi, Roma: MAM Magazzino d’Arte Moderna 2010. A nome tuo. Torino: Einaudi 2011. L’arte contemporanea spiegata a tuo marito. Roma: Laterza 2011. 2_IH_Italienisch_69.indd 17 2_IH_Italienisch_69.indd 17 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 18 A N D R E A M I R A B I L E La morte del dio Mito e soggettività in Gabriele D’Annunzio Tutti i miei pensieri sembran vibrare di penne luminose: alti serafini dalle molte ali disposte intorno a un volto senza corpo, intorno a un’estasi senza cuore. Dianzi, nel Cenacolo delle Reliquie, fra i Santi e gli Idoli, fra le imagini di tutte le credenze, fra gli aspetti di tutto il Divino, ero quasi sopraffatto dall’émpito lirico della mia sintesi religiosa. (D’Annunzio, Libro segreto, p. 71) Nell’affollato pantheon dannunziano, frutto di un instancabile sincretismo in grado di abbracciare le confessioni e i miti più disparati, due figure spiccano per l’interesse che il poeta dimostra, dalla giovinezza fino alla morte, nei loro confronti. Si tratta di Adone e di San Sebastiano. D’Annunzio, a più riprese e volutamente, confonde i due personaggi: entrambi giovani dalla bellezza abbagliante, allegorie della continuità della vita oltre la morte, il dio pagano e il martire cristiano si sovrappongono in un ibrido con complessi risvolti autobiografici. 1 Questi ultimi appaiono evidenti nel sonetto «La morte del dio», dall’edizione del 1894 di Intermezzo. Il riferimento ad Adone è esplicito, dato che ai versi viene anteposto un emistichio di Bione: «Άπώλετο παγòς Άδωνις» ‹È morto il bello Adonide›. Quanto segue stabilisce una fusione fra il passato del mito e il presente del soggetto lirico, in bilico fra la consapevolezza della dimensione onirica di tale identificazione (si noti la ripetizione della parola «Sogno»), il divertimento iperletterario che alterna calco e citazione (l’«Arte»), e il misticismo dell’auspicio («rendere divine / le mie membra») fra automitografico e tanatologico: ‹Spargono del più dolce olio aromale élleno e di lor pianto le supine membra del dio. Per ogni effuso crine armoniosamente il dolor sale.› O antico Sogno di deliziale Morte, io ti prego che t’avveri al fine, 2_IH_Italienisch_69.indd 18 2_IH_Italienisch_69.indd 18 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 19 Andrea Mirabile La morte del dio se può la morte rendere divine le mie membra su’l letto funerale! ‹Al ciel vermiglio, ove il dolor si spande solo, tendon le braccia e ne l’ebrezza lùgubre chiamano a gran voce Astarte.› Così moriva il Giovine, in un grande mistero di dolore e di bellezza quale già finsero il mio Sogno e l’Arte. (Tutti i romanzi, novelle, poesie, teatro 2144, corsivi miei) Che il netto profilo di Adone si debba scorgere sotto questo generico «Giovine» (verso 12) pare confermato anche dall’invocazione ad Astarte (verso 11), dea lunare d’ascendenza siro-fenicia, molto probabilmente assimilabile ad Afrodite. Peraltro, Annamaria Andreoli e Niva Lorenzini ampliano il retroterra mitologico del testo segnalando - nell’epistolario dannunziano, come in molte pagine del Fuoco e nel testo di «Invocazione», sempre dall’Intermezzo, e immediatamente dopo «La morte del dio» - il medesimo accostamento fra morte «deliziale» (da Magalotti), sogno, divinizzazione, voluttà, e arte (si vedano le note delle due studiose in Versi d’amore e di gloria, pp. 926-927, e in particolare l’introduzione della Lorenzini a Intermezzo, pp. 909-917). Infine l’ambivalenza di Adone, in cui vita e morte, declino e rinnovamento coesistono, sembra racchiusa nell’ossimorica «ebrezza / lùgubre» (versi 10-11). È forse superfluo notare che la figura di Adone, da Teocrito a Marino e oltre, è una delle più amate dai poeti di tutti i tempi, e tale orizzonte intertestuale va senz’altro considerato durante la lettura di questi versi dannunziani. È proprio l’ampiezza di tale sfondo, tuttavia, a sollecitare più capillari analisi testuali. Lorenzini e Andreoli, opportunamente, ricordano l’esempio di Mario Guabello, il quale scorge nel sonetto citato l’influenza de «Le Réveil d’un Dieu» dai Trophées di José-Maria de Heredia. 2 Potrebbe essere utile, aggiungerei, considerare un ulteriore elemento da accostare all’ascendenza francese in cui Guabello situa il sonetto. È infatti piuttosto singolare che D’Annunzio usi qui la parola «mistero», visto che - a distanza di circa vent’anni dall’Intermezzo - frammenti de «La morte del dio» e lo stesso Adone riappariranno appunto nel «mystère» del Martyre de Saint Sébastien, ‹opera d’arte totale› scritta direttamente in francese da D’Annunzio, con musica di Claude Debussy, costumi di Léon Bakst, coreografie di Michel Fokine, e la partecipazione di Ida Rubinstein, vedette e androgina icona dei Balletti Russi, nel ruolo del santo. 3 2_IH_Italienisch_69.indd 19 2_IH_Italienisch_69.indd 19 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 20 La morte del dio Andrea Mirabile Siamo nel 1911, fra la Parigi della Belle Époque e la più tranquilla regione atlantica delle Landes, dove lo scrittore italiano si è rifugiato per sfuggire ai troppi creditori, abbandonati - almeno per qualche tempo - al di là delle alpi. Grazie alla fervente amicizia dell’aristocratico dandy Robert de Montesquiou Fezensac (pronipote di D’Artagnan, al quale Proust si ispira per il suo Charlus) e della facoltosa pittrice americana Romaine Brooks (la «Cinerina» del Notturno con cui, benché la donna sia una nota esponente della comunità lesbica parigina, il poeta vive un breve ma appassionato idillio amoroso, poi trasformatosi in amicizia) 4 D’Annunzio ha modo di frequentare i migliori salotti letterari della capitale francese, allora centro della vita culturale europea. La leggenda del bellissimo arciere della guardia imperiale, messo a morte per aver rivelato pubblicamente la sua fede cristiana, diventa per D’Annunzio l’occasione di sintetizzare alcuni dei topoi dell’estetica decadente - per esempio l’ambigua commistione di violenza, erotismo, e religiosità o il carattere superomistico del santo, essere d’eccezione in grado di sublimare estaticamente la sofferenza - e le nuove suggestioni avanguardiste e moderniste. Sappiamo di visite alla Bibliothèque Nationale in compagnia dello studioso e storico del teatro Gustave Cohen: D’Annunzio consulta manoscritti di sacre rappresentazioni e misteri, come sempre da ghiotto linguista-antiquario, o scrupoloso artista-filologo. 5 Del resto ulteriori e molteplici echi, letterari e pittorici, risuonano in questa occasione nell’officina dannunziana: la Bibbia, i vangeli apocrifi, Apuleio, Polibio, la Legenda aurea, gli Acta Sanctorum, Veronica Gambara, Teresa d’Avila, lo Chateaubriand de Les Martyrs, Baudelaire, gli studi sulle persecuzioni religiose di Paul Allard, quelli sulle religioni orientali all’interno del mondo romano di Franz Cumont, Flaubert, Leconte de Lisle, Swinburne, Pater, il Wilde della Salomé, gli scritti sull’arte medievale di Émile Mâle, ma anche la statuaria classica, Botticelli, i Preraffaelliti, Puvis de Chavannes, oltre che gli esperimenti scenografici dell’amico ‹pittore-elettricista› Mariano Fortuny, e le conversazioni con il fedele seguace e pioniere della cinematografia Ricciotto Canudo (assai vicino alle voci più rivoluzionarie del tempo, da Apollinaire a Léger). 6 Per molti il mistero dannunziano è un poema adatto alla lettura, e possibilmente col sostegno di una biblioteca ben fornita, piuttosto che un’opera per il teatro. Troppi i dettagli da centellinare in absentia, rispetto al tanto che pur avviene in scena, dove poesia, drammaturgia, danza, scultura, pittura, e linguaggio filmico - oltre che Decadenza e Avanguardie - si congiungono nei quasi cinquemila versi del testo originale, e nelle cinque ore della première, dal fasto insolito persino per la navigata platea parigina. 7 Ci troviamo di fronte, insomma, ad una sorta di emulazione del, ma anche di sfida al, Gesamtkunstwerk wagneriano, tanto che, pur accolto tiepidamente da pubblico e critica - affaticati dalla messe di raffinatezze libresche, dalla lunghezza della rappresentazione, e dal pesante 2_IH_Italienisch_69.indd 20 2_IH_Italienisch_69.indd 20 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 21 Andrea Mirabile La morte del dio accento russo della Rubinstein - il Martyre viene salutato come il Parsifal francese, e spettatori d’eccezione quali Jean Cocteau e T.S. Eliot ne traggono duratura, anche se un po’ sotterranea, ispirazione. 8 Il riferimento all’eroe di Wagner, tuttavia, è fuorviante, perchè il Sebastiano di D’Annunzio è piuttosto la reincarnazione, cristiana, dell’Adone pagano. Gli esempi sono fin troppo abbondanti. Secondo i suoi compagni arcieri Sebastiano racchiude nelle mani gli anemoni del Libano e le lacrime di Afrodite, come Adone: «Tu es beau / comme Adonis», gli ripetono infatti, implorandolo di sottrarsi al martirio (Tragedie 407-408). Una veggente predice la morte del santo, disteso tuttavia su un letto d’ebano, ferito ad una coscia, dal cui sangue nascono rose, come avviene per Adone (471). L’Imperatore stesso, circondato da una massa di sacerdoti, oggetti di culto, immagini sacre rappresentanti la moltitudine di culti presenti nell’Impero - fra cui spiccano i devoti di Adone o Adoniasti - dichiara più volte la somiglianza fra il suo favorito e il giovane dio (535, 539, 566). Il medesimo verso di Bione citato all’inizio de «La morte del dio» è ripetuto a più riprese da cori di donne, affrante mentre San Sebastiano soffre e spira: alla sua morte, le stesse donne preparano dei ‹giardini d’Adone›, ovvero elaborate composizioni floreali in onore della divinità defunta, da esporre al sole per circa una settimana e poi da gettare in un fiume o nel mare, secondo la più antica tradizione (554, 566, 582). Infine, in molti dei passi citati il nome di Sebastiano viene collegato all’anemone o al giacinto, due dei fiori sacri ad Adone. 9 Non sorprende insomma che molti dei più stretti collaboratori del poeta, fra cui lo stesso Debussy, fossero particolarmente colpiti dall’esplicita, capillare sovrapposizione fra Gesù, Adone, e San Sebastiano nel testo di D’Annunzio. La commistione fra l’antico dio pagano, le cui origini arcaiche si perdono nei millenni che precedono l’era cristiana, e il martire del terzo secolo dopo Cristo, non è l’unica occasione in cui D’Annunzio tende a confondere più piani temporali, depistando qualsivoglia ancoraggio cronotopico da parte dei lettori o degli spettatori. All’inizio del prologo al Martyre de Saint Sébastien, ad esempio, si dichiara che «l’ystoire de Monseigneur Sainct Sebastien» viene rappresentata nel villaggio di Lanlevillar nel maggio del 1567 (p. 388). Tuttavia, un «nuncius» prende immediatamente la parola e descrive i due autori dell’opera in procinto di cominciare: uno, di cui non si rivela il nome, è un «Florentin en exil, / qui s’illustre en langue d’oïl», come Brunetto Latini che l’ha preceduto; l’altro è Claude Debussy (p. 390). Ovviamente, sia gli spettatori che i lettori, soprattutto nella Parigi dei primi anni del Novecento, sanno che Debussy è un compositore contemporaneo, e possono facilmente indovinare l’identità del ‹fiorentino in esilio›: la finzione storica che fa risalire la rappresentazione al sedicesimo secolo, pertanto, è smentita dall’identità dei due artisti, novecenteschi. Questi ultimi, infine, nella generale atmosfera 2_IH_Italienisch_69.indd 21 2_IH_Italienisch_69.indd 21 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 22 La morte del dio Andrea Mirabile acronica, fra il fiabesco e l’onirico, del dramma dannunziano, sembrano a loro volta perdere i propri specifici connotati biografici. Sia Debussy che D’Annunzio, in altre parole, finiscono per partecipare alla medesima prospettiva mitica in cui viene immersa la vicenda di Sebastiano: come il martire, sono soprattutto nomi, o meglio figure, da incastonare («dans la résille de plomb / au bas du vitrail rouge et bleu» ‹nel piombo in basso alla vetrata rossa e blu›, p. 390) in una delle cinque vetrate a cui vengono paragonati i cinque atti ovvero, secondo D’Annunzio, le cinque ‹mansions›, quasi a sottolinearne la natura insieme verbale e visiva del dramma. Anche nella Contemplazione della morte che vede la luce nel 1912, un anno dopo la prima dell’opera sul martire cristiano, D’Annunzio elabora una sofisticata strategia di mescolamento fra concreti elementi biografici, ben noti soprattutto ai contemporanei, e digressioni fantastiche, fra realtà e finzione. Si tratta infatti di una sorta di diario pubblico, attraverso il quale i lettori in Italia, sempre affamati di aneddoti dannunziani, vengono aggiornati sia sulle vicende del compatriota ‹in esilio› sia sui processi di elaborazione del Martyre. Grazie al sostegno della Brooks, il poeta risiede per lunghi periodi nei dintorni di Arcachon, appartata cittadina affacciata sull’Atlantico, nella regione delle Landes. Se prestiamo fede alle parole dell’autore, i giorni trascorrono in solitudine, secondo i ritmi di una rigida disciplina ascetica. Frequenti le lunghe escursioni nelle immense pinete lungo la costa, le visite all’amico, cattolico in odore di santità, e comprensivo padrone di casa Adolphe Bermond, e infine le notti di insonne meditazione fra la musica di Bach e le centinaia di riproduzioni fotografiche di famosi quadri raffiguranti il santo trafitto, spedite da Parigi grazie al fedele segretario Tom Antongini. Questo solitario e introspettivo D’Annunzio è, assai probabilmente, confinato alla finzione della scrittura semi-autobiografica della Contemplazione, piuttosto che ad una effettiva conversione, spirituale o igienista, dopo la débauche parigina - lo stesso Antongini, biografo oltre che factotum, è come di consueto prodigo di divertenti, per quanto non sempre verificabili, osservazioni in merito (138, 284 - 294, 309, 439 - 452). Inoltre, i ricordi della «Landa d’esilio», ovvero dei pini e delle dune dell’«Estremo Occidente», ritorneranno in tante memorabili pagine del Notturno, in cui eventi e paesaggi già descritti nella Contemplazione assumeranno tuttavia un segno spesso negativo, per cui più che calmo angolo di mondo adatto al raccoglimento e alla contemplazione mistica, la regione francese sarà soprattutto la «terra lontana» che ha trattenuto il poeta nei «cinque anni perduti» prima dell’eroica partecipazione alla Grande Guerra (si vedano, del Notturno, le pp. 13, 61, 62, 82, 140-143). Ad ogni modo è durante una delle consuete perlustrazioni nei boschi della zona, leggiamo nella Contemplazione, che il narratore osserva il lavoro di alcuni raccoglitori di resina, e viene colto dall’ispirazione per una delle scene più 2_IH_Italienisch_69.indd 22 2_IH_Italienisch_69.indd 22 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 23 Andrea Mirabile La morte del dio intense del mystère quando, nella quarta ‹mansion› (Tragedie, p. 584), le frecce scagliate contro il martire rimangono conficcate sulla corteccia di un lauro, indenne il corpo sublime del giovane. Ancora una volta il legame fra Sebastiano e Adone, entrambi testimoni della rinascita al di là dell’annientamento della carne, e l’equivalenza fra io narrante e autore reale vengono sottolineati: «Ciascun albero aveva il suo martirio, quasi che in ciascuno abitasse uno spirito avido di soffrire e di sanguinare come l’eroe divino da me eletto. E in quella sera feci l’invenzione del Lauro ferito. Il corpo di Sebastiano si distaccava lasciando tutte le frecce nel tronco del lauro d’Apollo. Le asticciuole scomparivano nella carne miracolosa come un vanire di raggi. ‹Rivivrai, rivivrai! Ritornerai! › gridavano gli Adoniasti.» (Prose 237) La congiunzione di pagano e cristiano, sotto il segno del diverso ma comune anelito verso la rigenerazione vitale oltre la morte, naturalmente non è esclusiva di D’Annunzio, e presto vengono alla memoria almeno le ultime pagine della precedente Tentation de Saint Antoine di Flaubert, la cui impronta appariva già marcata nella seconda edizione (1894) dell’Intermezzo, e forse il modello più frequentato dal poeta alle prese con l’‹Atleta di Cristo›. Non particolarmente originale, inoltre, questa sorta di cattolicesimo paganeggiante, tanto estatico quanto erotico, che soprattutto nella Francia fra Otto e Novecento, sebbene in circoli quasi esclusivamente intellettuali, raccoglie molti proseliti, quasi che la graduale crisi delle forme consuete di religiosità dia l’avvio a ricerche spirituali al di fuori delle istituzioni più tradizionali: quando le gerarchie ecclesiastiche d’oltralpe condannano apertamente il dramma su San Sebastiano, ad ogni modo, lo fanno soprattutto per il grande pubblico che l’autore italiano riesce, o potrebbe riuscire, a richiamare. Anche il mitologema di San Sebastiano, con o senza l’antico gemello Adone, non è esclusiva di D’Annunzio. Come ha dimostrato Harvey Gross nel suo studio su «The Figure of Saint Sebastian», lo si può ritrovare un po’ in tutto il Novecento, da Mann a Mishima (ma la lista potrebbe estendersi, giudizi di qualità e campi disciplinari a parte, fino a Jarman) spesso come simbolo dell’orgogliosa ‹diversità› o del ‹martirio› - variamente sociali, sessuali, o stilistici - dell’artista. Più decisamente dannunziana appare invece l’estensione dei confini del mito verso gli spazi della biografia, e la messa in questione delle barriere fra gli uni e gli altri. Come nel caso del confronto fra «La morte del dio» e il Martyre, l’interesse del poeta per Adone-Sebastiano è diacronico, ovvero riappare in testi, anche molto diversi fra loro, in fasi anche molto lontante della vita del poeta. E quanto avviene con Le Livre secret de Gabriele D’Annunzio 2_IH_Italienisch_69.indd 23 2_IH_Italienisch_69.indd 23 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 24 La morte del dio Andrea Mirabile et de Donatella Cross (pubblicato nel 1947 a cura di Pierre Pascal) e di Cento e cento e cento e cento pagine del Libro segreto di Gabriele D’Annunzio tentato di morire, che risale al 1935. Nel caso del Livre secret, si tratta della raccolta di lettere, per la maggior parte in francese, fra D’Annunzio e la contessa Nathalie de Goloubeff (ribattezzata Donatella Cross), burrascosa amante en titre negli anni dell’esilio oltralpe. Nel caso del Libro segreto, si tratta di una delle ultime opere pubblicate in vita dall’autore - per molti versi una sorta di testamento spirituale. Nel Livre come nel Libro, la figura di San Sebastiano è spesso al centro dell’attenzione, il più delle volte come ‹doppio› mitico-ideale, di D’Annunzio come della donna (donne) amata (amate). Anche senza arrischiarsi in ipotesi interpretative di tipo psicanalitico, date le eventuali implicazioni narcisistiche, sadomasochistiche, e omoerotiche dell’identificazione dell’amata (variabile a seconda delle vicende biografiche del poeta) con l’amato martire - verso cui D’Annunzio dimostra una devozione, o forse meglio passione, stabile a partire dalla tarda adolescenza - i dati testuali sono sotto gli occhi: nel Livre, ad esempio, Nathalie-Donatella è San Sebastiano (XCI, 16, 19, 20, 22, 30, 31); lo stesso avviene nel Libro, per Ida Rubinstein, «mio Sebastiano invitto» (264 - 266). La mima, danzatrice e attrice russa, infatti, nella corrispondenza privata con D’Annunzio si firma variamente come il Santo o Sebastiano, e qualcosa di simile si nota anche con Romaine Brooks, la quale poi, forse imitando le figure androgine dei suoi quadri o forse inconsciamente, usa sia il maschile ‹Sébastien› che il femminile ‹Sébastienne›: 10 D’Annunzio insomma ‹trasforma› più di una donna nel martire trafitto, e le prescelte sembrano cambiare identità o genere a seconda dei rituali di un intricato e perverso gioco dei sensi. Si ha la sensazione di asistere ad una sorta di tableau vivant esistenziale, in cui a individui in carne e ossa vengono assegnati ruoli ispirati al mito, gli uni e gli altri, tuttavia, cristallizati solo momentaneamente. La mitografia, l’iconografia, e l’iconologia dell’‹Atleta di Cristo› sono infatti elementi, per così dire, mobili o circolari, funzioni dal valore ogni volta diverso, dalle tante stanze del Vittoriale dominate da sculture o quadri raffiguranti il santo - per esempio la quattrocentesca statua lignea di Antonio Rizzo da Verona nella ‹Stanza del Lebbroso›, anche perché Sebastiano è, fra l’altro, protettore contro la peste e le malattie veneree (Mazza e Bortolotti 201; Re 40) - fino all’altalenante identificazione sia del poeta che dell’amata di turno con il martire. È quanto si nota a partire da una giovanile avventura romana con la giornalista Olga Ossani (ribattezzata «Febea»), i cui insaziabili baci feriscono il corpo del futuro Vate come le frecce feriscono Sebastiano, fino alla più tarda e decisiva apparizione di Ida Rubinstein nei camerini dei teatri di Parigi, come ricorda D’Annunzio (con qualche contraddizione, forse dovuta al passare degli anni) in più punti delle note postume raccolte in Di me a me stesso. Fatto non raro per il pescarese, 2_IH_Italienisch_69.indd 24 2_IH_Italienisch_69.indd 24 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 25 Andrea Mirabile La morte del dio alcuni episodi già narrati in testi precedenti (in questo caso, le origini del quarto atto del Martyre, con la miracolosa scomparsa delle frecce) vengono ripresi, lievemente modificati o meglio ricalibrati alla luce del presente: «S. Sebastiano. La prima apparizione - a ventun anno - […]. Il mio corpo maculato dai baci violenti, dai morsi di vampiro. Una notte di giugno torno a casa con la pelle più maculosa che quella della pantèra. La sera seguente - il convegno nel bosco alto della Villa Medici. Ella non sa fino a qual punto il suo ardore mi abbia piagato. Subitanea fantasia. La luna entra fra i lecci. Mi nascondo. Tolgo rapido il leggero abito estivo. La chiamo, addossato a un oleandro, atteggiandomi come se vi fossi legato. La luna bagna il mio corpo nudo, e tutte le lividure appaiono. ‹San Sebastiano›! ella grida. Quando s’avvicina e m’attira a sé, ho - per la prima volta, in un fremito lirico - la sensazione (e l’invenzione) che le saette vaniscano nelle mie piaghe e rimangano infisse nell’oleandro (Le laurier blessé). A Parigi, dopo 27 anni! , la sera del ballo russo Cleopatra. La visita nel camerino della Diva, condotto da Montesquiou. C’è Barrès, c’è Rostand, ci sono altri letterati franciosi, imbarazzati, agghindati. Con la solita temerità, vedendo da vicino le meravigliose gambe nude, mi getto a terra - senza sentire su me l’abito ‹a coda di rondine› - e bacio i piedi, salgo su pel fasolo alle ginocchia, e su per la coscia fino all’inguine, con il labbro agile e fuggevole dell’aulete che scorre il doppio flauto. Tableau! Scandalo! Alzo gli occhi. Vedo il volto di Cleopatra, sotto la grande capellatura azzurra, chino verso di me sorridere con una bocca abbagliante. Mi rialzo, in un silenzio ottuso, e mormoro, come trasognato: Saint Sébastien? » (218 - 221). L’attrazione per San Sebastiano è, insomma, una specie di persistente leitmotiv, che inoltre non pare limitato, come sottolinea Woodhouse, ad una «literary obsession» (56), se non altro per il fatto che il poeta condensa, nel suo interesse per il martire, il verbale ma anche il visuale. Nell’elegante dedica a Maurice Barrès che precede il Martyre de Saint Sébastien, D’Annunzio stesso cita Francesco Francia, Michelangelo, il Laurana, il Giambologna, e rivela di aver composto il dramma tenendo sotto gli occhi una «plaquette d’Antonio del Pollaiolo,» rappresentante il santo circondato da un gruppo di arcieri. Va notato che all’interno del piccolo esercito si staglia un centauro, simbolo della commistione di spirituale e animale, cristiano e pagano, come per una specie di vue en abyme, da un lato della particolare rappresentazione - ora diafana ora quasi grottescamente violenta - che verrà offerta dell’efebico 2_IH_Italienisch_69.indd 25 2_IH_Italienisch_69.indd 25 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 26 La morte del dio Andrea Mirabile martire, dall’altro dello stile del Barrès (385). 11 Inoltre, a parte la testimonianza di Antongini, e al di là di quanto è possibile ammirare presso il Vittoriale, si presti attenzione a tante pagine dei Taccuini, in cui D’Annunzio annota le sue impressioni dopo aver contemplato alcune rappresentazioni pittoriche del santo ospitate da chiese e musei in Italia e in Europa. Emergono Francesco Francia, Madonna e Santi, nella chiesa di San Giacomo Maggiore a Bologna (Taccuini, 454); Giovanni Buonconsiglio, San Sebastiano con San Rocco e San Lorenzo, nella chiesa di San Giacomo dall’Orio a Venezia (Altri taccuini, 30); Fiorenzo di Lorenzo, Madonna con Bambino e i Santi Cristoforo e Sebastiano, Städel Museum, Francoforte (Altri taccuini, 139). In due articoli del 1886 apparsi su La Tribuna, il poeta segnala, con piglio da conoscitore, altri due quadri su San Sebastiano, di Pietro Perugino, al Louvre, e di Domenichino, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli a Roma (si veda Forcella, 237 e 147). Infine, ne La Leda senza cigno, dopo aver sottolineato l’analogia fra Adone e Cristo (1010) - analogia che, nel Martyre, viene più volte estesa al martire giovinetto (il quale rivive le tappe della Passione, se non che le lacrime di Maria per suo figlio si trasformano nel pianto di Afrodite per l’amato) - descrive una visita alla Ca’ d’Oro a Venezia, e una serie di inebrianti sensazioni sinestetiche suscitate da uno dei capolavori pittorici ivi conservati, il San Sebastiano di Mantegna (Poesie, 1030-1034). 12 E la tendenza verso la sinestesia è forse la chiave per approfondire un altro aspetto, più volte ricorrente, nella tenace inclinazione che il poeta dimostra verso Adone e Sebastiano. Entrambi i personaggi incarnano infatti, almeno agli occhi di D’Annunzio, l’esperienza della metamorfosi, in modo particolare della metamorfosi fra mondo animale e mondo vegetale. Si tratta certo di un tema ben noto ai lettori di D’Annunzio, ed è inutile ricordarne le tante epifanie, non solo in Maia. Meno scontato risulta probabilmente esplorarne le dinamiche in un’area apparentemente marginale del corpus dannunziano. Il santo, ad esempio, oltre che a Cristo o Adone è - di nuovo con caratteristica ambiguità sessuale - spesso paragonato a Dafne: «S. Sebastien à l’arbre», leggiamo nei Taccuini, quasi a riproporre tante scene del lontano Sogno d’un mattino di primavera, «une Daphné. L’unité des êtres - les limites entre les espèces abolie.» ‹San Sebastiano all’albero, una Dafne. L’unità degli esseri, i limiti fra le speci aboliti› (603). 13 Il più volte progettato, e mai portato a termine, adattamento filmico del Martyre riaffiora forse anche nello scritto «Del cinematografo considerato come strumento di liberazione e come arte di trasfigurazione», del 1914, quando Dafne e la sua metamorfosi ritornano e diventano per certi versi numi tutelari della nuova arte del film, le cui meraviglie tecniche si auspica possano rianimare gli antichi miti mediterranei. La metamorfosi sembra in questo senso non solo un anticipo di suggestioni modernistiche, uno dei topoi dell’estetica simbolista e decadente (si pensi a 2_IH_Italienisch_69.indd 26 2_IH_Italienisch_69.indd 26 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 27 Andrea Mirabile La morte del dio tante opere di Moreau), o un chiaro lascito da Ovidio - dichiarato maestro, fonte perenne per D’Annunzio 14 - ma anche, per dirla con Mauron, una specie di ‹mito personale›, con svariati riflessi biografici: come i tanti dei o semidei in grado di perdere e ricreare la propria identità nel flusso di continue trasformazioni fra i vari regni dell’essere, così il poeta è pronto a un continuo rimodellamento della propria identità insieme artistica e biografica: «È il privilegio del primigenio questo d’una verginità perpetua dello spirito insonne. ‹io nacqui ogni mattina› canta il poeta novo in una lauda della vita. nasco in quest’ora.» (Libro segreto, p. 235). L’«estasi senza cuore» e il «volto senza corpo» citati in apertura, sono forse le metafore di questa sorta di spazio vuoto, fluido, eterno presente - più che eterno ritorno - aperto all’andirivieni di mille presenze e più mutamenti, che pare il sigillo sia della religiosità di D’Annunzio, «mistico senza dio» (ancora Libro segreto, p. 51, ma già nel Trionfo della morte), che della dialettica fra io fittizio e io reale nella sua scrittura. Potente emblema di rinnovamento perpetuo, al di là di ogni limite temporale e biologico, il binomio Adone-Sebastiano pare sintetizzare, sotto la penna di D’Annunzio, sia la possibilità di frantumare le angustie della soggettività autoriale, elevando l’artista nella dimensione inscalfibile del mito, che l’anelito a congiungere antico e moderno, mondo pagano e mondo cristiano in una più ampia sintesi sincretistica. 15 Se poi è tuttora consuetudine, per i lettori di D’Annunzio, rintracciare la vita negli spazi del libro, altrettanto valido è il percorso inverso, per cui il libro (il quadro, la statua) plasmano o ispirano - almeno idealmente - le occasioni della vita. Nel caso di Sebastiano- Adone, per esempio, l’autore in quanto individuo storico, il soggetto lirico o narrativo, e l’immagine mitica del martire cristiano e pagano si confondono in fertili scambi - o, forse meglio, metamorfosi - fra l’erotico, l’esistenziale e il testuale. Ne scaturisce un’euforia, mai sopita, che viene tuttavia corretta dalla consapevolezza della natura momentanea, se non illusoria, di tali fusioni. Consapevolezza che si direbbe crescere più acuta, e dolorosa, col passare degli anni. «Forse l’estasi a Sebastiano impediva sentir le frecce, distinguere le parti della statura dove le punte s’infiggevano», scrive l’ormai anziano poeta in una malinconica pagina del Libro segreto, «ma come sento io, con quale esattezza, quest’ultima freccia nel mio costato! Con qual lucidità considero se mi sia possibile togliermela senza troppo lacerarmi e troppo sanguinare! » (281) 16 Abstract. Die Figur des Heiligen Sebastian ist von den Jugendgedichten in Intermezzo bis zu den Fragmenten in Libro segreto im Werk Gabriele D’Annunzios präsent. Der Dichter widmete dem «Athleten von Christus» 2_IH_Italienisch_69.indd 27 2_IH_Italienisch_69.indd 27 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 28 La morte del dio Andrea Mirabile sogar eines seiner experimentellen Theaterstücke, Le Martyre de Saint Sébastien. Die Darstellung des Sebastian durch D’Annunzio geht freilich über die Grenzen des Hagiographischen hinaus: der christliche Mythos wird mit dem heidnischen Mythos überblendet, genauso wie die poetische oder dramatische Sprache mit dem biographischen oder halb-biographischen Bericht. In den Texten D’Annunzios ist der Heilige sowohl ein sinnlicher androgyner Jüngling - nach der Ikonographie, die die meisten Dichter und Maler der Renaissance bevorzugten -, aber auch Adonis, als ganz antike mythische Verkörperung der Wiedergeburt nach dem Vergehen des Körpers, und schließlich ist er der Dichter selbst, der bestrebt ist, Heidnisches und Christliches, Liebe und Tod, Leiden und Extase, Literatur, Bildende Kunst und Theater in einer Art idealisierenden und widersprüchlichen Selbststilisierung zum Mythos zusammenzubringen. Note 1 Sulla figura di Adone, amato da Afrodite e mutato in fiore, è tuttora consigliabile il classico The Golden Bough di James Frazer (in particolare pp. 390-418). Del culto di Adone, Frazer esplora i rituali, la variegata simbologia vegetale, e le lontane radici asiatiche, irradiatesi ed evolutesi in seguito nel bacino mediterraneo, dal mondo greco a quello cristiano: identiche, nonostante le differenze locali, le linee essenziali del mito, ovvero la morte e la resurrezione di un giovane dio, a specchio del declino e della fioritura periodiche della vegetazione. Lo studioso fa notare che: «The worship of Adonis was practised by the Semitic peoples of Babylonia and Syria, and the Greeks borrowed it from them as early as the seventh century before Christ. The true name of the deity was Tammuz: the appellation of Adonis is merely the Semitic Adon, ‹lord›, a title of honour by which his worshippers addressed him. But the Greeks through a misunderstanding converted the title of honour into a proper name.» ‹Il culto di Adone veniva praticato dalle popolazioni semitiche di Babilonia e Siria, e i greci lo assorbirono a partire dal settimo secolo prima di Cristo. Il vero nome del dio era Tammuz: Adone è semplicemente il semitico Adon, ‹Signore›, un titolo d’onore usato dai fedeli. I greci, fraintendendo, traformarono il titolo onorifico in un nome proprio.› (392, qui e in seguito tutte le traduzioni sono mie). Lo stesso D’Annunzio, nel Martyre de Saint Sébastien, sembra talvolta giocare sull’ambiguità fra le due accezioni: Adone come aggettivo - quindi non necessariamente legato a un contesto pagano - o nome proprio, pagano (Tragedie 454, 558). 2 «La chevelure éparse et la gorge meurtrie, / Irritant par les pleurs l’ivresse de leurs sens, / Les femmes de Byblos, en lugubres accents, / Mènent la funéraire et lente théorie. / Car sur le lit jonché d’anémone fleurie / Où la Mort avait clos ses longs yeux languissants, / Repose, parfumé d’aromate et d’encens, / Le jeune homme adoré des vierges de Syrie. / Jusqu’à l’aurore ainsi le choeur s’est lamenté, / Mais voici qu’il s’éveille à l’appel d’Astarté, / L’Epoux mystérieux que le cinname arrose. / Il est ressuscité, l’antique adolescent ! / Et le ciel tout en fleur semble une immense rose / Qu’un Adonis céleste a teinte de son sang» ‹Le chiome sciolte e le gole straziate, eccitando col pianto l’esaltazione dei sensi, le donne di Biblo, con voci lugubri, conducono il lento corteo funebre. Infatti sul letto cosparso d’anemoni in fiore dove la Morte aveva chiuso i suoi lunghi e languidi occhi, riposa, profumato di piante aromatiche e incenso, il giovane adorato dalle vergini di Siria. 2_IH_Italienisch_69.indd 28 2_IH_Italienisch_69.indd 28 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 29 Andrea Mirabile La morte del dio Fino all’aurora il coro si è lamentato, ma ecco che si risveglia all’appello di Astarte, lo Sposo misterioso, cosparso di cinnamomo. È risuscitato, l’antico adolescente! E il cielo in fiore sembra un’immensa rosa che un Adone celeste ha tinto col proprio sangue› (52). Sempre in ambito francese, e sempre nel medesimo clima culturale, si ricordino anche due poemi di Leconte de Lisle, «La Résurrection d’Adonis», dai Poèmes tragiques del 1884, e «Le Parfum d’Adonis», dai Derniers poèmes del 1895. Per le analogie fra i miti pagani sulla resurrezione e Cristo, tema assai ricorrente in epoca decadente e negli studi sulla mitologia a cavallo fra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, si veda anche «Le Christ aux Oliviers» da Odelettes (1832) di Nerval. 3 È curioso che, al di fuori dell’italianistica, D’Annunzio venga raramente preso in considerazione negli studi dedicati al concetto di opera d’arte totale. Nelle recenti antologie L’Oeuvre d’art totale (per cura di Galard e Zugazagoita) e The Aesthetics of the Total Artwork (Follett e Finger), ad esempio, il poeta pescarese non è mai citato. Eppure, i progetti per un faraonico «Théâtre de Fête», a cui D’Annunzio lavora in compagnia di Fortuny durante gli anni parigini, sono chiaramente ispirati da un tentativo di rivaleggiare con Wagner e Bayreuth, proponendone un’alternativa ‹latina›. L’opera d’arte totale, inoltre, presuppone l’inserimento (o annullamento) della vita stessa dell’autore all’interno dell’opera, e pochi come D’Annunzio possono vantare - nel bene come nel male - maggiore osservanza a tale principio. Sul francese dannunziano, si veda invece il severo giudizio espresso da Contini fin dal lontano 1937, ora negli Esercizi di lettura («Vita macaronica del francese dannunziano», pp. 274 -285). Il grande filologo sottolinea la «sostanziale estraneità del D’Annunzio alla struttura spirituale del francese» (p. 285) e la fa-scinazione del poeta per le periferie esotiche della lingua d’oltralpe: «Il francese arriva a lui per il lungo circuito bizantino e cipriota, attraverso la mediazione dell’Impero latino d’Oriente, fra la lussuria e le spezie che la nave (o la Nave) convogliano verso una Venezia barbarica e smaltata» (284). Assai più positiva la valutazione di Annette Bossut Ticchioni. 4 Si vedano le note di Gianni Turchetta nell’edizione mondadoriana del Notturno (in particolare pp. 241-242), la biografia della Brooks di Meryle Secrest, e il catalogo delle opere della pittrice a cura di Whitney Chadwick. Il carteggio fra D’Annunzio e la Brooks, in massima parte inedito, è conservato presso il Vittoriale: ringrazio il Dottor Alessandro Tonacci e la Dottoressa Roberta Valbusa, responsabili dell’archivio del Vittoriale, che mi hanno permesso di consultare questi preziosi documenti. Le lettere risalenti al periodo del Martyre confermano in modo inequivocabile la natura intensamente amorosa, almeno agli inizi, della relazione fra il poeta e l’artista statunitense, la quale fra l’altro dipinge (e descrive nel carteggio) un misterioso quadro - ora irreperibile. Il dipinto rappresenta una giovane donna dalle fattezze androgine, molto simili a quelle della Rubinstein, a sua volta amante della pittrice. La donna, completamente nuda, è legata ad un albero come San Sebastiano, e attende di essere trafitta da una sorta di arciere-nanerottolo, piuttosto grottesco, sotto la cui maschera molto probabilmente si nasconde D’Annunzio (si veda Secrest, p. 271, che riproduce una rara fotografia del dipinto). Nelle lettere, per lo più in francese, la Brooks si riferisce a Sebastiano usando alternativamente il maschile o il femminile, e non senza ironia si dichiara incerta se dipingere D’Annunzio nel ruolo del santo o dell’arciere. 5 La testimonianza di Cohen (si vedano in particolare le pagine 64 - 65, 80 - 81) è breve ma preziosa - oltre che per i gustosi dettagli sulla vita del poeta durante l’‹esilio› francese - soprattutto per chi voglia sondare le abitudini di D’Annunzio durante la fase di preparazione alla scrittura, spesa in questa come in tante altre occasioni nella paziente raccolta di dati, oltre che nell’approfondimento febbrile di molteplici campi disciplinari, gerghi specialistici, particolari eruditi. 2_IH_Italienisch_69.indd 29 2_IH_Italienisch_69.indd 29 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 30 La morte del dio Andrea Mirabile 6 Sulle relazioni fra D’Annunzio e Canudo, e la multiforme attività di quest’ultimo negli ambienti delle avanguardie, si legga il volume di Verdone su Drammaturgia e arte totale (soprattutto le pp. 135-146). 7 Per quanto riguarda la dialettica fra intreccio narrativo in absentia (che il lettore ricostruisce mentalmente) e in praesentia (l’ultimo prevalente nel teatro), rimando al Segre di Teatro e romanzo (pp. 15-26): gli appunti dello studioso sugli elementi non verbali, sulla coppia finito-infinito, e sui legami fra rito e forme teatrali sono preziosi per soppesare le consuete critiche a D’Annunzio drammaturgo, in primo luogo la scarsa sensibilità ad un presunto ‹specifico› teatrale. La fitta trama di collaborazioni creative, innovazioni tecnologiche, e discussioni sui limiti e sulle possibilità della scena, sempre vivace in D’Annunzio ma con punte di particolare rigo-glio durante il periodo del Martyre de Saint Sébastien e della Pisanelle (del 1913), è attentamente analizzata nel volume di Giovanni Isgrò, D’Annunzio e la ‹mise en scène›, di cui si vedano innanzitutto le pagine 151-193. L’aspetto più originale dello studio di Isgrò consiste nell’analisi delle sovrapposizioni, in questa fase della drammaturgia dannunziana, fra linguaggio teatrale e linguaggio filmico, e più in generale nell’utopica sintesi fra stasi ieratica e dinamismo cinetico, assai probabilmente influenzata dalle innovazioni della allora crescente industria cinematografica. Su questi argomenti, e sui drammi in francese di D’Annunzio, si vedano anche i saggi di Gullace, Santoli, e Fleischer (di quest’ultima in particolare pp. 19 - 92). 8 La presenza di Eliot (appassionato di danza, e a Parigi nel 1911) ad una delle rappresentazioni del Martyre sembra confermata dal misterioso poema «The Love Song of Saint Sebastian», risalente al 1914 (ora in: The Letters of T.S. Eliot, vol. 1, p. 47; si vedano anche le considerazioni di Fleischer, p. 42). Nel poema, dai toni fortemente sadomasochistici - Sebastiano, ad esempio, si autoinfligge il martirio - appare evidente sia l’influenza di D’Annunzio che quella di Wilde. Come il poeta italiano, inoltre, Eliot frequenta in quegli anni il salotto di Natalie Barney, grande mecenate, nonché amante di Romaine Brooks. Per quanto riguarda Cocteau, si vedano le belle pagine che lo scrittore francese dedica al dramma dannunziano, e soprattutto a Ida Rubinstein, in: L’art décoratif de Léon Bakst (35-37). Cocteau vi descrive la mima e danzatrice russa come una figura animata e scesa per miracolo da una vetrata gotica, pertanto non ancora del tutto padrona dei propri movimenti e delle proprie parole. 9 Si veda di nuovo Frazer, convinto dell’analogia fra Adone e Cristo: «When we reflect how often the Church has skillfully contrived to plant the seeds of the new faith on the old stock of paganism, we may surmise that the Easter celebration of the dead and risen Christ was grafted upon a similar celebration of the dead and risen Adonis.» ‹Se consideriamo quanto spesso la Chiesa abbia abilmente tentato di piantare i semi della nuova fede sul vecchio terreno del paganesimo, possiamo ipotizzare che la celebrazione della morte e resurrezione di Cristo durante la Pasqua fu ispirata da riti simili per la morte e la resurrezione di Adone› (416). È utile ricordare, del resto, anche le intuizioni del Nietzsche di Der Antichrist sullo stesso argomento: «Damit Liebe möglich ist, muss Gott Person sein; damit die untersten Instinkte mitreden können, muss Gott jung sein. Man hat für die Inbrunst der Weiber einen schönen Heiligen, für die der Männer eine Maria in den Vordergrund zu rücken. Dies unter der Voraussetzung, dass das Christenthum auf einem Boden Herr warden will, wo aphrodisische oder Adonis-Culte den Begriff des Cultus bereits bestimmt haben.» ‹Perché l’amore sia possibile, Dio dev’essere una persona; perchè gli istinti più bassi possano essere stimolati, dev’essere giovane. Per infiammare l’ardore delle donne, un bellissimo santo deve fare capolino, e per gli uomini, una Maria - se partiamo dall’ipotesi che il Cristianesimo voglia soppiantare antichi culti di Afrodite o di Adone, già in grado 2_IH_Italienisch_69.indd 30 2_IH_Italienisch_69.indd 30 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 31 Andrea Mirabile La morte del dio di stabilire l’idea generale di culto› (188). Com’è noto, anche la generazione di Pound ed Eliot mediterà a lungo su tali suggerimenti, tanto che si può dire che l’analisi delle convergenze fra mondo pagano e mondo cristiano rappresenti uno dei grandi paradigmi culturali fra fine Ottocento e primi decenni del Novecento, almeno fino al secondo conflitto mondiale - D’Annunzio è una delle voci più riconoscibili e influenti, anche se tuttora trascurate, di tale tendenza. Sui rapporti - ancora in gran parte inesplorati - fra Pound e D’Annunzio, si vedano il volume di Valesio (p. 114), e il recente saggio di Ernesto Livorni, «D’Annunzio, Marinetti, Pound e il mito di Venezia». 10 Canudo, da parte sua, talvolta firma «Sanaé» - ovvero l’amico prediletto di Sebastiano nel Martyre - le sue lettere a D’Annunzio. 11 La plaquette, originariamente nella collezione Dreyfus a Parigi, si trova ora presso la National Gallery di Washington. È possibile ammirarne una copia - la cosiddetta Maestade o Pace di San Sebastiano - anche presso il Museo di San Petronio a Bologna. L’attribuzione a Pollaiolo sembra ormai da escludere, mentre evidente (per il forte ‹espressionismo› figurativo) appare l’influenza di artisti di area settentrionale. Si vedano Pecci, 123, Pope-Hennessy 85, Mazzarotto 309, Fanti 60. Per quanto riguarda il rapporto di reciproca influenza fra D’Annunzio e Barrès, prestigioso interlocutore del poeta italiano durante gli anni parigini, cattolico nazionalista, ed esponente del più ristretto establishment letterario francese, si vedano le precisazioni di De Montera e Tosi nel loro dettagliato studio su D’Annunzio, Montesquiou, Matilde Serao, oltre che le osservazioni dello stesso Barrès nei suoi Cahiers (VIII, 192 - 193; si leggano inoltre, nella stessa raccolta, gli appunti sulla sensualità dei martiri - assai vicini alla sensibilità dannunziana - in II, 27). 12 A parte quest’ultimo caso, è piuttosto interessante notare che D’Annunzio pare attratto da rappresentazioni in cui il martire è accompagnato da altre figure, a partire da «La morte del dio» e quasi prefigurando una resa drammatica (basata sul contrasto fra massa e individuo d’eccezione) poi confluita ne Le Martyre de Saint Sébastien - oltre che in tante sequenze del cinema cosiddetto dannunziano. Questa impressione sembra confermata da Robert de Montesquiou, fra i primi a intuire le analogie fra il dramma religioso e il linguaggio del cinema, dopo aver osservato come il poeta italiano si sia rivolto ai San Sebastiano di Anthony Van Dyck (ad Anversa) e Hans Memling (Bruxelles) per l’atteggiamento degli arcieri, discepoli e insieme assassini del martire (Têtes 88 - 92). Nella primavera del 1911, Léon Blum - fra l’altro vicino a Canudo e ai suoi interessi cinematografici - invia a D’Annunzio due riproduzioni di quadri su Sebastiano, di Sodoma e di Fiorenzo di Lorenzo (Pecci 124). 13 Sulla «tematica metamorfica» del Sogno d’un mattino di primavera, e in genere sulla metamorfosi arborea nel teatro dannunziano, rinvio al saggio di Katia Lara Angioletti (77 - 87). 14 «L’analogia vera - quella veramente profonda - tra me e Ovidio (espressi dalla medesima razza) è nella celebrazione delle Metamorfosi, nella credenza istintiva o lirica alla virtù eccelsa delle Metamorfosi.» (Di me a me stesso 33) 15 Come osserva Niva Lorenzini a proposito di Intermezzo: «Trasformare la propria vicenda in mito significa per D’Annunzio ormai avviato, sulla traccia wagneriana e nietzschiana, verso i romanzi-poemi (Il Fuoco, Le vergini delle rocce) e verso le tragedie, ripercorrere letterariamente lo spazio della parola poetica, tracciare le coordinate di un’esperienza che vede l’autobiografia inscindibile dalla rielaborazione affabulata di essa.» (Versi d’amore e di gloria, 913) Anche Valesio approfondisce il medesimo tema con la nozione di «narrative continuity» (p. 114, 248). 16 Con lievi variazioni anche in Di me a me stesso, p. 219. 2_IH_Italienisch_69.indd 31 2_IH_Italienisch_69.indd 31 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 32 La morte del dio Andrea Mirabile Bibliografia Angioletti, Katia Lara: Il poeta a teatro. Gabriele D’Annunzio e la riforma della scena drammatica. Milano: Cuem 2010. Antongini, Tom: D’Annunzio. London: Heinemann 1938. Barrès, Maurice: Mes Cahiers. 14 volumi. Paris: La Palatine 1929-1938. Chadwick, Whitney: Amazons in the Drawing Room. The Art of Romaine Brooks. Chesterfield: Chameleon 2000. Cocteau, Jean e Alexandre Arsène: L’art décoratif de Léon Bakst. Paris: De Brunoff 1913. Cohen, Gustave: Ceux que j’ai connus. Montréal: L’Arbre 1946. D’Annunzio, Gabriele: «Del cinematografo considerato come strumento di liberazione e come arte di trasfigurazione» (1914). In: Giovanni Pastrone. Gli anni d’oro del cinema a Torino, a cura di Paolo Cherchi Usai, Torino: UTET 1986, pp. 115 -122. -: Notturno. 1916. A cura di Gianni Turchetta. Milano: Mondadori 1995. -: Cento e cento e cento e cento pagine del Libro segreto di Gabriele D’Annunzio tentato di morire. 1935. A cura di Piero Gibellini. Milano: Mondadori 1977. -: Tragedie, sogni e misteri. Volume II. Milano: Mondadori 1940. -: Prose di romanzi. Volume II. Milano: Mondadori 1942. -: Prose di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento, di indovinamento, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni. Volume III. A cura di Egidio Bianchetti. Milano: Mondadori 1950. -: Le Livre secret de Gabriele D’Annunzio et de Donatella Cross. Sauvé de la destruction et commenté par Pierre Pascal. Padova: Le Tre Venezie 1947. -: Taccuini. A cura di Enrica Bianchetti e Roberto Forcella. Milano: Mondadori 1965. -: Altri taccuini. A cura di Enrica Bianchetti. Milano: Mondadori 1976. -: Versi d’amore e di gloria. Edizione diretta da Luciano Anceschi. A cura di Annamaria Andreoli e Niva Lorenzini. Introduzione di Luciano Anceschi. Milano: Mondadori 1982. -: Di me a me stesso. A cura di Annamaria Andreoli. Milano: Mondadori 1990. -. D’Annunzio. Tutti i romanzi, novelle, poesie, teatro. Introduzione generale di Giordano Bruno Guerri. A cura di Giovanni Antonucci e Gianni Oliva. Roma: Newton Compton 2011. De Heredia, José-Maria: Les Trophées. 1893. Paris: Gallimard 1981. De Montera, Pierre e Guy Tosi: D’Annunzio, Montesquiou, Matilde Serao. Roma: Edizioni di Storia e Letteratura 1972. Eliot, T.S.: The Letters of T.S. Eliot. Ed. Valerie Eliot. Vol 1, 1898-1922. San Diego: Harcourt 1988. Fanti, Mario: Il Museo di San Petronio in Bologna. Bologna: Patron 1970. Finger, Anke e Danielle Follet (a cura di): The Aesthetics of the Total Artwork. On Borders and Fragments. Baltimore: The Johns Hopkins University Press 2011. Fleischer, Mary: Embodied Texts: Symbolist Playwright-Dancer Collaborations. Amsterdam-New York: Rodopi 2007. Forcella, Roberto: D’Annunzio 1886. Burt Franklin: New York 1973. Frazer, James: The Golden Bough. A Study in Magic and Religion. 1922. Abridged Edition. With an Introduction by George W. Stocking, Jr. New York: Penguin 1996. 2_IH_Italienisch_69.indd 32 2_IH_Italienisch_69.indd 32 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 3 3 Andrea Mirabile La morte del dio Galard, Jean and Julian Zugazagoita (a cura di): L’Oeuvre d’art totale. Paris: Gallimard 2003. Gross, Harvey: «The Figure of Saint Sebastian.» The Southern Review, 21, 4 (1985), pp. 974 - 984. Gullace, Giovanni: Gabriele D’Annunzio in France: A Study in Cultural Relations. Syracuse: Syracuse University Press 1966. Isgrò, Giovanni: D’Annunzio e la ‹mise en scène›. Palermo: Palumbo 1993. Livorni, Ernesto: «D’Annunzio, Marinetti, Pound e il mito di Venezia.» TriceVersa, 3, 1 (2009), pp. 101-117. Mazzarotto, Bianca Tamassia: Le arti figurative nell’arte di Gabriele D’Annunzio. Milano: Bocca 1949. Nietzsche, Friedrich: Werke. Vol. VI. 3 (Der Fall Wagner, Götzen-Dämmerung, Der Antichrist, Ecce homo, Dionysos-Dithyramben, Nietzsche contra Wagner). Edizione a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari. Berlino: Gruyter 1969. Pecci, Giuseppe: D’Annunzio e il mistero. Milano: Pan 1969. Pope-Hennessy, John: Renaissance Bronzes from the Samuel H. Kress Collection. Reliefs, plaquettes, statuettes, utensils, and mortars. London: Phaidon 1965. Santoli, Carlo (a cura di): L’arte del tragico. L’avventura scenica del ‹Martyre de Saint Sébastien› di Gabriele D’Annunzio dal 1911 a oggi. Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane 2000. -: Le théâtre français de Gabriele D’Annunzio et l’art décoratif de Léon Bakst. La mise en scène du ‹Martyre de Saint Sébastien›, de ‹La Pisanelle› et de ‹Phèdre› à travers ‹Cabiria›. Paris: Presses de l’Université Paris-Sorbonne 2009. Santoli, Carlo e Silvana de Capua (a cura di): Gabriele D’Annunzio, Léon Bakst e i Balletti russi di Sergej Djagilev. Roma: Quaderni della Biblioteca nazionale centrale di Roma 2010. Secrest, Meryle: Between Me and Life. A Biography of Romaine Brooks. New York: Doubleday 1974. Segre, Cesare: Teatro e romanzo. Torino: Einaudi 1984. Ticchioni, Annette Bossut: «D’Annunzio, Grammont et Banville. Sur la versification du Martyrede Saint Sébastien.» Giornale italiano di filologia, Roma 1977, Nuova serie, VIII/ XXIX/ 2. Valesio, Paolo: Gabriele D’Annunzio: The Dark Flame. New Haven: Yale University Press 1992. Woodhouse, John: D’Annunzio. Defiant Archangel. Oxford: Clarendon Press 1998. 2_IH_Italienisch_69.indd 33 2_IH_Italienisch_69.indd 33 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 3 4 PAT R I Z I A P I R E D DA Il ricordo e la visione La costruzione autobiografica negli ultimi scritti di Gabriele D’Annunzio Il presente articolo è uno studio sull’ultima produzione dannunziana che si definisce autobiografica. Attraverso l’analisi testuale, metterò in luce come, attraverso la scrittura, D’Annunzio crei un’immagine mitica di se stesso quale uomo eccezionale, unico e al di sopra di tutti gli altri uomini per sensibilità, ardore, passione, eleganza. Tuttavia questa immagine, che D’Annunzio elabora attraverso diverse fasi autobiografiche come preannunciata dal destino fin dall’infanzia, anziché risolversi nell’apoteosi eroica della morte in guerra durante il conflitto del 1915-1918, diventa, nella terza e ultima fase autobiografica, oggetto di una rappresentazione malinconica e decadente, in cui si sostituiscono all’eroismo e al vitalismo estetistico le allegorie cristologiche e la contemplazione della morte. In tutta la sua opera D’Annunzio dissemina tracce della sua vita utilizzando varie modalità espressive che solo nelle ultime opere possono essere definite autobiografiche. 1 Se però generalmente la scrittura autobiografica costringe lo scrittore a cercar di mantenere uno sguardo prospettico sul passato il più possibilmente neutro e oggettivo, D’Annunzio, nel momento in cui ricerca nei meandri dei ricordi gli eventi della sua vita, aiutato dagli appunti che costantemente ha raccolto nei taccuini, «ha bisogno di montare ogni accadimento, di gonfiarlo, di arricchirlo, non solo di mostrare, ma di illustrare con tutti i mezzi della parola quello che è stato e che sta narrando di essere stato.» 2 L’abitudine di appuntare qualsiasi cosa desti il suo interesse, un fatto, un’impressione o una sensazione, su un taccuino che non mancava mai di portare con sé, ha origine nel periodo romano quando D’Annunzio svolgeva prevalentemente l’attività di cronista. Già nei taccuini 3 la scrittura è concepita in funzione di uno scopo pratico-utilitaristico ed è per questo che «insieme con la consapevolezza dei propri mezzi espressivi D’Annunzio ha in effetti avuto da sempre l’abilità di attrezzare un efficientissimo laboratorio di scrittura.» 4 L’abitudine di appuntare tutti i dettagli della quotidianità, che ben presto diventa una tecnica per la composizione di testi letterari, dà vita a un calderone di abbozzi, di parti scritte più o meno organicamente, di piccoli frammenti descrittivi successivamente utilizzati nei romanzi, nei discorsi e nelle composizioni poetiche. Anche il taccuino, dunque, non è composto da una scrittura privata e intimistica, ma è composto come se ci fosse un lettore pronto a leggerne le pagine: da un lato dunque il taccuino «con i suoi periodi franti, paratattici, con i suoi rapidi schizzi aggiunti allo strumento espressivo ‹parola›, denuncia 2_IH_Italienisch_69.indd 34 2_IH_Italienisch_69.indd 34 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 35 Patrizia Piredda Il ricordo e la visione costantemente il desiderio di impossessarsi dell’oggetto,» 5 dall’altro svela il bisogno costante della presenza dell’altro, del lettore, senza il quale la parola nata come parola estetizzante, ossia protesa a creare un effetto immediato, non avrebbe senso. Solo nell’ultima fase della sua produzione D’Annunzio scrive però delle memorie autobiografiche: per questo Andreoli annota che «sin dalle prime prove D’Annunzio si rivela propenso all’autobiografia, anche se bisognerà attendere gli anni della maturità perché emerga appieno il memorialista, è tuttavia innegabile che gli eroi dei cicli narrativi della rosa, del giglio e del melograno gli somiglino a oltranza.» 6 In questi testi dalla costruzione di se stesso come esteta aristocratico, capace di creare la bellezza che riporterà agli antichi splendori gli uomini, ridotti ad essere una moltitudine informe priva di nobiltà, all’esaltazione del mito di sé come poeta guerriero e mistico veggente, ritirato a vivere nella sua dimora sul lago di Garda, D’Annunzio rivive nel ricordo tutti gli eventi della sua vita che ha sempre definito inimitabile benché suo malgrado, scrive Andreoli, sia stato «fin troppo imitato e due generazioni hanno ormai appreso dall’unico dandy dell’Italia postunitaria come si seduce una donna, come ci si veste, quali sport praticare o dove andare in vacanza.» 7 In questa fase propriamente autobiografica si possono individuare due momenti della scrittura dei ricordi di D’Annunzio: il primo momento è quello del Notturno, che cade durante la pausa dalla guerra nel 1916 dovuta a un ammaraggio di fortuna dal quale D’Annunzio riceve una ferita alla testa e la perdita dell’occhio destro. Il secondo momento è quello caratterizzato dal ricordo melanconico degli anni del Libro segreto. Le tonalità mistiche del primo momento: il Notturno In questo periodo D’Annunzio scrive delle memorie «a caldo», che sono poi pubblicate nel 1921 nel Notturno. In quest’opera, la narrazione diventa la porta che apre alla dimensione del passato e che permette a D’Annunzio di vivere con memorie visionarie il dinamismo e la frenesia che caratterizzarono le esperienze belliche. Steso sul letto scrive: «non sento più il guanciale, non sento più il letto. Odo un rombo confuso, odo il fragore del volo, odo il crepitio del combattimento. Una mano pietosa e rude m’ha discostato, m’ha sospinto. Il mio capo è forato: penzola nel vuoto, dal bordo della carlinga che vibra.» 8 2_IH_Italienisch_69.indd 35 2_IH_Italienisch_69.indd 35 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 36 Il ricordo e la visione Patrizia Piredda Questa è la descrizione estetizzata del momento in cui subisce la ferita all’occhio, ancora talmente vivo da essere percepito più reale della materialità del letto nel quale si trova immobilizzato. Il Notturno è definito un libro di visioni, di immagini che riaffiorano dal passato allo sguardo interiore del poeta-combattente che, immobile nel buio del suo letto, è costretto a scrivere come la Sibilla su strisce di carta preparate dalla figlia Renata che amorevolmente lo accudisce durante la convalescenza. Se prima della guerra D’Annunzio riesce a vedere come in una visione oracolare il futuro glorioso dell’Italia, dopo la guerra, quando la sua vista è chiusa alle cose terrene presenti, non vede più il futuro ma il passato: «solo il passato esiste, solo il passato è reale come la benda che mi fascia, è palpabile come il mio corpo in croce.» 9 Gli annuncia il dottore: «È oramai cieco senza speranza ma di una cecità che vive della vostra più profonda vita cerebrale esprimendola con segni di continuo variati, interpretandola con figure luminose di origine a voi medesimo ignota, registrandola con non so che scrittura geroglifica ispirata da un mistero ove si addensano e si dissolvono tutti i vostri misteri e quelli de’ vostri maggiori e quelli della vostra discendenza. Un altro uomo assistendo a un tale travaglio direi quasi cosmogonico, impazzirebbe. Voi siete sempre più avido di questi spettacoli appariti a voi solo.» 10 Per capire il ruolo della visione nel periodo della lontananza dall’azione, della staticità, bisogna tener conto che per D’Annunzio è sempre stato valido il chiasmo in cui la morte, quando connessa all’azione eroica, è vitale, mentre la vita, quando connessa alla staticità della non-azione, è mortuaria. Vivere significa agire eroicamente, rendendo la propria esistenza un unicum; mentre chi non agisce vive come un morto in vita. Ma, nell’immobilità della convalescenza, e più tardi nel ritiro dalle scene mondane il rigore con il quale si afferma l’equazione vita=azione/ morte=inazione, è sfumato da un altro costrutto chiasmico nel quale l’azione è sempre vita, ma l’inazione non è più morte bensì visione. La vista metafisica acquisita con la cecità è limitata all’osservazione del passaggio di una via crucis del ricordo dove appaiono, uno dietro l’altro, gli spiriti e i volti, che rivivono nella sofferenza dell’anima: «volti, volti, volti, tutte le mie passioni di tutti i volti, scorrono attraverso il mio occhio piagato, innumerabilmente, come la sabbia calda attraverso il pugno.» 11 I volti si tramutano velocemente e si trasformano in una nuova visione che lo riporta al 15 di maggio del 1915, quando dalla ringhiera del Campidoglio vede i volti del popolo «formati nella bragia carnale, stampati nel fuoco sanguigni,» quando «il tumulto ha il fiato di una fornace.» 12 Que- 2_IH_Italienisch_69.indd 36 2_IH_Italienisch_69.indd 36 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 37 Patrizia Piredda Il ricordo e la visione sto è stato l’ultimo discorso tenuto da D’Annunzio prima dell’entrata in guerra; un discordo molto animato del quale D’Annunzio ricorda i minimi particolari: «trascino e sono trascinato […] il delirio confuso della moltitudine si fa voce chiara in me […] la folla urla e si torce per generare il suo destino.» 13 Ricorda che a un certo punto qualcuno gli porge la spada di Bixio e lui la mostra alla folla che diviene «come una colata incandescente. Tutte le bocche della forma sono aperte. Una statua gigantesca si fonde.» 14 Il telos di questo scritto è ricordare che in guerra l’ideale eroico si è realizzato nella figura del poeta combattente che ha incarnato la forza, la virilità, la violenza, l’ardore e anche la capacità di sopportare l’altro uomosoldato, percepito come un qualcosa di negativo e di estraneo. Il vero abominio della guerra infatti per il D’Annunzio è la concretizzazione di quello stesso orrore che prova «fin dai primi anni d’età - dell’odore del prossimo, dell’aspetto del prossimo, della vicinanza o del contatto di un estraneo.» 15 D’Annunzio anticipa retoricamente questo suo disgusto per l’altro all’età dell’infanzia per farne un tratto essenziale della sua personalità, un orrore che l’ha costretto a dei veri e propri patimenti durante la promiscuità della guerra che utilizza però per determinarsi come eroe eccezionale, l’unico capace di sopportare il sacrificio che aliena l’individuo per il bene del sacro telos: «il mio sforzo nel tollerare il ‹gomito a gomito› nella nave, nel velivolo, nella trincea, è parte vera del mio eroismo senza misura; ed è la certa diminuzione della mia gioia nell’atto mistico del dono di me, della sfida costante alla morte.» 16 La guerra richiede così all’eroe eccezionale persino di accettare e sopportare il sacrificio del donarsi completamente, pur sapendo che riceverà in cambio una gioia mutilata perché vissuta forzatamente assieme e a contatto con l’altro che poco o nulla ha in sé di eroico. Questo credere fermamente che l’eroismo sia qualcosa di estetizzante, di visibile, di plastico da sovrapporre alla vera guerra, alla realtà delle trincee, all’eroismo fuori dai riflettori, porta D’Annunzio a preferire l’esperienza della guerra in aria la quale in un certo qual modo permetteva che, in una guerra di fatta di numeri più che di soldati, l’individuo potesse essere ancora un guerriero che combatte un duello vis-àvis con il nemico. La guerra aerea è l’incarnazione del mito di Icaro e l’affermazione vittoriosa della tecnologia, dove la presenza dell’altro è fortemente limitata al contatto con un uomo che si percepisce non come un estraneo, perché con il compagno di volo si instaura una particolare affinità, mistura di fiducia, ammirazione e rispetto. 17 Nel momento in cui invece la promiscuità tra l’eroe e i non-eroi, tra chi vive nel bello e chi vive nella sozzura, si fa più forte, ricorda D’Annunzio di dover continuare ad agire «pur 2_IH_Italienisch_69.indd 37 2_IH_Italienisch_69.indd 37 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 3 8 Il ricordo e la visione Patrizia Piredda mantenendo l’orrido intrico degli eventi nel mondo, pur mantenendo l’atroce lotta della vita esterna», 18 inebriato sempre dalla volontà di vivere ma «non dalla volontà bassa di vivere, da quella canina a quella porcina, ma dalla volontà eroica di vivere per dominare le forze esteriori e per vincere la battaglia.» 19 L’azione eroica, dunque, non può essere vissuta per il D’Annunzio dai soldati che lottano senza l’ubriachezza dei fumi dell’esaltazione mistica ed estetizzante. Opponendo la massa di uomini-soldato a se stesso D’Annunzio retoricamente alimenta una dualità che si trova costante in tutta la sua opera: da un alto si ha tutto ciò che è nobile, bello, estetistico, raffinato, unico, eroico, vitale; dall’altro tutto ciò che è volgare, brutto, molteplice, porcino, tedioso. 20 Nel Notturno questa differenza tra l’uno e i molti, è rappresentata dall’opposizione tra il veggente solitario che racconta e la moltitudine cieca, muta senza parola. Da sempre D’Annunzio invoca la propria diversità, tanto da affermare successivamente nel Libro segreto che, unica voce solitaria, la sua ha proclamato contro l’opinione di tutti la bellezza della guerra: «non ascoltato e vilipeso, io solo annunziavo la guerra come una potenza liberatrice e creatrice, esploravo gli orizzonti con gli occhi avidi ch’erano due prima che la mutilazione, invece di menomare la vista, l’afforzasse e la moltiplicasse nel visibile e di là dal visibile, nel veduto e nel non mai veduto.» 21 Ovviamente la guerra è stata proclamata come evento positivo, bello, vitalistico da molte altre voci, non da ultimi dai futuristi che nel Manifesto di Marinetti la esaltarono come rinnovatrice, forte, purificatrice. 22 Ma lo scopo retorico di questo tipo di proposizioni sta proprio nel creare uno iato tra l’uno e il molteplice, al di là della realtà dei fatti e del contesto al quale tale argomentazione si riferisce, per esaltare attraverso l’opposizione degli opposti l’uno che per D’Annunzio è l’unico vero e possibile eroe: se stesso. Un turbine di visioni emerge ancora davanti agli occhi di D’Annunzio dallo sfondo nero della cecità, e crea una sospensione della stasi a cui è costretto il corpo che giace sul letto, e il supplizio dell’anima causato dalla comparsa di immagini dal passato della guerra. L’inferno della guerra che coinvolge l’uomo nella sua totalità sensoriale, dal dolore fisico agli olezzi acri, al rumore assordante dei bombardamenti, alla vista di scene orribile, ai sapori rancidi e metallici, si trasferisce adesso all’interno della persona stessa e diviene inferno dello spirito e del ricordo. Le visioni vengono definite «folgori di follia» e sono percepite in modo così realistico e crudo che D’Annunzio fa un grande «sforzo per non gridare di spavento e di dolore» e metter fine a quella lunga notte «di fiamme in travaglio.» 23 L’immobilità del corpo è identificata con la morte, così come il letto è identificato con la bara: «tutto è buio. Sono 2_IH_Italienisch_69.indd 38 2_IH_Italienisch_69.indd 38 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 39 Patrizia Piredda Il ricordo e la visione in fondo a un ipogeo. Sono nella mia cassa di legno dipinto, stretta e adatta al mio corpo come una guaina.» 24 In questa dimensione mortuaria passa la processione delle immagini dei compagni morti in battaglia che si presentano agli occhi del poeta così come li aveva visti durante la guerra: gli compare, ad esempio, lo scultore Vincenzo Gemito intento a modellare un pezzo di cera rossa, lo stesso identico gesto che ripeteva ossessivamente e che lo legava ancora al mondo dei «sani» dopo essere diventato demente a causa di una ferita alla fronte. Gemito gli appare «là, nell’inferno» del suo occhio bendato, fino a quando «il suo corpo scompare, divorato dal fuoco che arde» 25 sotto la sua palpebra. Nell’immobilità buia, l’occhio bendato è persino in grado di vedere la dimensione della propria anima, percepita altrettanto reale come quella dei fatti, della contingenza. Questa visione è una sorta di auto-visione o di auto-percezione che permette a D’Annunzio di cogliere «il meraviglioso viso che ora è veramente il suo viso, quello che tanto desiderò avere e non potette,» 26 e di afferrare una verità fino ad allora percepita ma mai pienamente compresa: la sua anima «sapeva la morte essere una vittoria, ma non così grande. Immortale, ella è tuttavia radiosa nella morte, e il vento del volo funebre non la svelle. La carne era il suo peso, ed ora è il suo rapimento. Il sangue era la sua turbolenza, ed ora è il suo miracolo. La vita era il suo limite, ed ora è la sua libertà.» 27 Contro il primato dell’azione, in queste rappresentazioni di visioni si arriva, a un vero capovolgimento di prospettiva e si accoglie l’idea platonica del corpo come soma, come tomba dell’anima, la parte dove risiede la vera vita dell’uomo. Capovolgimento che rimarca l’eccezionalità del poeta-eroe che in azione è sublime corporeità, nella non-azione è sublime spiritualità, ma che, comunque, non annulla l’idea che la vita debba essere vissuta nel presente, dimensione temporale dell’agire, perché solo in questa dimensione temporale il corpo è la materia che accoglie ed esprime l’anima. Questa concezione non muta neanche negli anni Venti quando, «la guerra, ch’era divenuta una vera necessità della sua esistenza, è finita, ormai è inesorabilmente alle spalle; per quanto auspichi e faccia, non riprenderà. L’avventura di Fiume sarà solo una pallida, triste parodia, su scala immensamente ridotta, dell’immane epopea della guerra vera.» 28 2_IH_Italienisch_69.indd 39 2_IH_Italienisch_69.indd 39 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 4 0 Il ricordo e la visione Patrizia Piredda Le tonalità crepuscolari del periodo di passaggio: le Favole del Maglio Dopo la guerra e l’impresa di Fiume, ormai prossimo ai sessant’anni, D’Annunzio sa che non ci potrà essere per lui un altro evento del quale essere protagonista attivo: «io sono uno di quei navigatori che, per non udire le sirene del Passato e per non cedere alla tentazione di volgersi indietro mollano la scotta, si turano le orecchie con la cera d’Ulisse. Nondimeno m’accade talvolta di sentir rivivere le cose morte con sì grande polso, che il presente n’è soverchiato e l’avvenire n’è tutto pallido.» 29 D’Annunzio non aveva avuto paura di finire i suoi giorni sul campo di battaglia; perché ciò lo avrebbe immortalato come individuo pensante e soprattutto agente, ma paventava la decadenza fisica. In una lettera a Salandra del 1915 scrive che, una volta finita la guerra, avrebbe voluto tornare alla solitudine: «Qualche mese prima del triste epilogo fiumano, aveva detto al figlio Mario: ‹pensi tu come io possa, dopo lo sforzo di cinque anni di guerra e dopo che ho avuto quasi onori sovrani, ritirarmi in una vita mediocre e rifare il poeta e lo scrivano nazionale? › era come dire, fra l’altro, che non concepiva più il poetare e lo scrivere sciolto dall’azione e dal combattimento.» 30 Tuttavia, nella solitudine D’Annunzio torna a scrivere, ma il suo linguaggio perde gli ‹eroici furori› e assume le tinte crepuscolari e melanconiche del ricordo. Tra il Notturno e Il Libro segreto, D’Annunzio pubblica una serie di scritti autobiografici, composti tra la fine dell’Ottocento e la prima decade del Novecento, nei quali compare la morte come perdita della vitalità, della giovinezza e della virilità, e si colgono le prime tracce linguistiche che indicano la comparsa del sentimento melanconico. Ne Il venturiero senza ventura (scritto tra il 1896 e il 1907), Il compagno dagli occhi senza cigli (1900), Esequie della giovinezza (1903), Dell’amore e della morte e del miracolo (1905) raccolti nel 1924 in Le faville del maglio, D’Annunzio racconta gli anni del collegio, i volti, gli ambienti, le atmosfere e degli episodi di quella vita passata che non amava ricordare: «non so terrore più profondo di quello che m’occupa quando, nella pausa della mia propria volontà che mi crea, io vedo accor- 2_IH_Italienisch_69.indd 40 2_IH_Italienisch_69.indd 40 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 41 Patrizia Piredda Il ricordo e la visione rere dall’infinito il vento senza nome in esso agitarsi la polvere del passato e levarsi contro a me non come ombre delle cose che furono ma come aspetti di quelle che sono per essere: ond’io non riconosco più la successione della vita né la mutazione della sua sostanza, ma avverto entro me una specie d’immobilità veggente, simile a quella dell’occhio che m’aperse quando nacqui lagnandomi.» 31 Ne Il venturiero, come cita il proseguo del titolo, D’Annunzio descrive esplicitamente la sua esistenza come ‹vivere inimitabile›. Si legge in apertura dell’opera che «tutte queste mie ardue prose furono scritte a chiarezza di me, con la volontà costante di acuire sempre più la mia attenzione sopra la mia vita profonda e con l’assiduo sforzo di cercare quella mia ‹forma pura›, a cui il mio fervore il mio coraggio il mio patimento sono chiamati e destinati.» 32 La scrittura ha il compito di esprimere la personalità dell’autore in modo tale che sia resa più evidente la connessione tra ‹la forma pura› vale a dire la forma perfetta delle sue rappresentazioni artistiche e la vita di D’Annunzio, una connessione viscerale e voluta dal Fato. Non c’è iato né differenza allora tra la parola e la cosa pronunciata perché, scrive D’Annunzio «il mio linguaggio m’appartiene intiero; e circola in me, e si sviluppa e si accresce e si moltiplica in me come la forza vegetale che dell’albero fa una sola creatura compiuta: materia e forma.» 33 Il rapporto tra forma e contenuto che secondo D’Annunzio rende la sua opera unica e la sua vita eccezionale è descritto come qualcosa che nasce dalla più profonda irrazionalità dell’essere umano, da un livello animalesco che sfiora la dimensione ctonia: «io ho la mia bestia meco, quando creo. Quando le scintille si partono da me, allora più sento la materia spessa di cui sono fatto. Tutta la mia sostanza è commossa e sommossa, talché non v’è istinto ferino che non si sollevi dal fondo a soperchiarmi.» 34 Nello scritto, D’Annunzio continua ad argomentare la sua unicità, ponendo queste forze irrazionali e primordiali al fondamento della sua determinazione: quella perfezione che egli incarna e che viene rappresentata nelle sue opere, non è altro che il frutto dell’educazione della sua natura mistico-irrazionale. «Qualis artifex valeo! Qual mirabile strumento sono io divenuto! » scrive poco oltre D’Annunzio: 2_IH_Italienisch_69.indd 41 2_IH_Italienisch_69.indd 41 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 42 Il ricordo e la visione Patrizia Piredda «il violino escito dalle mani del maestro liutaio non è se non un fanciullo ben nato. Ma sol dopo anni ed anni di vita sonora ei moltiplica la sua virtù e raggiunge la sua perfezione. Per mesi e mesi, a traverso il mio corpo attenuato ed estenuato passò il corpo della poesia. Per mesi e mesi non fui se non l’alveo della mia musicata parola.» 35 In realtà quale sia il processo di formazione di se stesso come entità sublime in grado di creare opere perfette, non è mai descritto dal D’Annunzio perché il raggiungimento della sua perfezione sensibile e spirituale è giustificato con il richiamo al destino. Non avrebbe potuto vivere in nessun’altra maniera D’Annunzio perché quella sua vita era il compimento di una decisione determinata da poteri contro i quali l’uomo non può fare nulla. Poco oltre nel testo de Il venturiero, D’Annunzio racconta che decise un anno di passare del tempo in Svizzera perché in qualsiasi altro posto in Italia si sarebbe confuso «col mare, con la selva, con la pietra» lì, invece, estraneo al paesaggio, poteva sentire e percepire la sua diversità: eppure, quando descrive la sua diversità, non la pone linguisticamente nella dimensione della natura, ma della società: «Certo, la mia cravatta è annodata non senza grazia e squisito è il fiore che porto all’occhiello; ma posseggo un anello più meraviglioso che l’anello di Gige, e qui nessuno lo sa. Quei due bruti ben pettinati, mentre laggiù muovono le mascelle non diversamente da due macacchi sul ramo, ignorano la qualità dell’occhio che li guarda e li scompone ed estrae dai loro ceffi le linee che non rivela alcuno specchio. La mia visione è una sorta di magìa pratica che si esercita su i più comuni oggetti. Avendo ancor calda in me l’impronta ideale delle forme da me generate, penetro nel fondo d’ogni cosa brutta o vile come in un enigma inestricabile che non resiste alla mia destrezza.» 36 La diversità, da questo passo, è del tutto esteriore è estetizzante: D’Annunzio è diverso perché sa che la maschera con la quale appare in società è ben costruita e calibrata razionalmente. La sua eccezionalità deriva dal fatto che egli non solo riesce a scorgere la bellezza delle forme negli oggetti comuni, ma anche perché riesce a riprodurre la perfezione di tale bellezza per esempio nel nodo della cravatta. Qua sta la differenza che D’Annunzio determina tra sé e le altre persone: queste, infatti, non possedendo la sensibilità dell’esteta, possono tutt’al più riconoscere la bellezza nella sua persona, ma non possono riprodurla. L’eccezionalità dannunziana, dunque, è creata linguisticamente attraverso una mistura che ora inneggia all’irrazionale, all’inafferrabile per 2_IH_Italienisch_69.indd 42 2_IH_Italienisch_69.indd 42 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 4 3 Patrizia Piredda Il ricordo e la visione giustificare l’unicità determinata dal destino, ora, invece, è posta come il frutto della valutazione razionale. Ancora un’argomentazione volta all’esaltazione del proprio io si trova in Dell’amore e della morte e del miracolo, dove D’Annunzio ricorda le sei settimane durante le quali assisté amorevolmente la sua compagna Alessandra di Rudinì, soprannominata Nike, che aveva dovuto subire tre interventi chirurgici rischiando la morte: anche in questo caso l’attenzione è volta quasi interamente a definire l’eccezionalità dello spirito del poeta: «non so quale ebbrezza di volontà m’infiammi e moltiplichi le mie forze. I medici sono attoniti della mia resistenza» 37 ; l’eccezionalità dell’evento del quale il poeta è osservatore «ho veduto quel che forse nessun altro uomo vide mai: ho veduto sorridere una creatura umana che aveva posato i suoi piedi leggeri su gli asfodeli eterni» 38 ; l’eccezionalità della Volontà del poeta che aveva richiesto il miracolo della salvezza nel nome dell’Amore: e scrive D’Annunzio «nel nome della Volontà, e mi fu dato; nel nome della Volontà d’amore, e mi fu risposto. Con una miracolosa trasfusione di vita, io vinsi la morte.» 39 Negli scritti Il compagno dagli occhi senza ciglia e le Esequie, si inizia a trovare accanto al linguaggio che esalta l’inimitabilità del vivere, anche quel linguaggio melanconico che caratterizzerà Il Libro segreto: in entrambi i ricordi, D’Annunzio fa infatti riferimento alla sua giovinezza ormai svanita. Nel primo testo, dove è narrata la visita di Dario, suo amico fraterno ai tempi del collegio, dice «‹Oh, non sei mutato, quasi, Guarda me! › E vorrei enumerare le lesioni del tempo, esagerarle, apparirgli come un uomo esausto su cui sia sospesa la minaccia, ridiventargli compagno anche nella misera e nella passione. ‹Vedi: non ho più capelli; i denti mi si logorano; la vista mi diminuisce ogni giorno; soffro d’insonnio e d’allucinazione. Tutta questa ricchezza, è illusoria. Sono carico di debiti. O prima o poi, non mi lasceranno se non una cinquantina di libri e una tavola d’abete›.» 40 Nel secondo, invece, oppresso dall’idea di dover festeggiare il suo compleanno, D’Annunzio deve fingere di fronte alla la madre la quale non si rende conto che il figlio non è più ventenne, non è più giovane. La descrizione della maschera che D’Annunzio sa di dover indossare ha i toni mortuari che caratterizzano i corpi mummificati, resi tali proprio per vincere la distruzione del tempo: «Bisogna dunque che io mi imbalsami al fine il cadavere della giovinezza, che fasciato di bende io lo chiuda tra quattro assi e 2_IH_Italienisch_69.indd 43 2_IH_Italienisch_69.indd 43 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 4 4 Il ricordo e la visione Patrizia Piredda ch’io faccia passare per quella porta ove lo spettro della vecchiaia è apparso tra i battenti socchiusi e come un cenno quasi familiare m’ha augurato il buon giorno. È apparso e scomparso. Nulla sembra mutato, in me, fuori di me. Non sento alcuna diminuzione vitale, se spie le mie arterie i miei muscoli i miei polmoni il mio cervello. Tuttavia so che lo spettro abominevole è ora nascosto in qualche angolo della casa, dentro un di quegli armarii tarlati, dietro quel mucchio di cartapecore, forse tra quell’oriuolo da polvere e quel cero lacrimoso, nell’ombra perfida, è il nuovo ospite. Scacciarlo non potrò; ma domani forse lo dimenticherò vestendomi di quell’acciaio che ogni mattina suol fabbricarmi il mio coraggio.» 41 Le tonalità melanconiche della seconda fase: il Libro segreto Nell’ultima fase della vita e della produzione artistica dannunziana, la parola spesso cede il posto al silenzio o meglio a un linguaggio che invoca il silenzio di fronte alla decadenza: «nato per esprimere, non mai come ora fui una potenza di espressione in continua opera. Fui grande oratore? Seppi con la parola trarre gli uomini e dominare gli eventi? Ora per lunghi giorni resto in silenzio.» 42 La malinconia, comparsa già nei testi precedenti, nel Libro segreto detta il ritmo della scrittura, accompagnata dall’ironica consapevolezza di chi avrebbe voluto ricevere una morte eroica sul campo di battaglia per non invecchiare, ma che invece vede solo morire i suoi compagni nel fiore dell’età da eroi, mentre lui sopravvivere a quella esperienza per esperire la decadenza della vecchiaia. D’Annunzio, che si era descritto in passato come un superuomo o un eroe di guerra, nel Libro segreto si descrive come un «vecchio guercio» che, «senza denti», ride della vita e del destino beffardo che gli riserva una fine molto lontana dall’ideale di vivere inimitabile che aveva caratterizzato gli anni della sua maturità. E attraverso l’ironica risata sembra percepire la gabbia nella quale ha rinchiuso la sua esistenza costringendosi a recitare la parte del personaggio Gabriele D’Annunzio: come scrive Gianni Oliva, «insomma, nel diario ultimo prevalgono in modo ossessivo i motivi dell’insofferenza, dell’inquietudine, della morte e del nulla, filtrati attraverso una meticolosa introspezione malinconica.» 43 I ricordi si inseguono e compaiono nella sua mente insinuando una consapevolezza amara che D’Annunzio, durante gli anni dell’azione, del movimento, degli scandali, delle avventure, non aveva mai avuto. Prima di morire, egli vuole rivivere tutti gli attimi più significativi della sua vita e nell’ascolto, nella contemplazione del suo passato sente la profonda solitudine del presente e, scrive «odio il mio vivere chiamato 2_IH_Italienisch_69.indd 44 2_IH_Italienisch_69.indd 44 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 4 5 Patrizia Piredda Il ricordo e la visione inimitabile, maledico l’ingiustizia che mi mozza e tronca, mi altera e mutila, mi storce e frange.» 44 Ricorda la gioventù e soprattutto la guerra, i suoi discorsi e le sue azioni consapevole del potere che la sua parola estetizzante aveva sulla folla tesa all’ascolto: «o quelli che mi ascoltano, conosco quelli che non mi ascoltano, fin dalle mie prime parole. Modulo la mia voce per sedurre per incantare per domare. Se fallisco, faccio il gesto ironico e iroso di chi stronca e scaglia un raro strumento. E d’un fiato bevo un bicchiere d’acqua.» 45 E poi ancora, ricordando l’impresa fiumana, narra dell’eccezionalità e del carisma della sua persona, del suo corpo e della sua anima, che riusciva con la parola ad esaltare ed inebriare una massa sperduta in preda all’angoscia dell’insicurezza. In questo caso, come tutte le volte che si era trovato a pronunciare un’orazione a favore e in sostegno della guerra, D’Annunzio ricorda l’immediato effetto sulla folla e l’influenza che la sola sua immagine aveva su di loro: «in Fiume d’Italia ho conosciuto intera la diversità fra l’orazione scritta e l’orazione improvvisa. Veramente quella mezza ora che il mio spirito e la mia volontà di dominio vivevano prima ch’io apparissi alla ringhiera, quella misura di tempo senza misura m’era sublime, il popolo tumultuava e urlava chiamandomi. Sotto le mie finestre la disumana massa umana esultava ribolliva ristoppiava come la materia in fusione. Io dovevo rispondere alla sua angoscia, dovevo esaltare la sua speranza, dovevo rendere sempre più cieca la sua dedizione, sempre più rovente il suo amore a me, a me solo. E questo con la mia presenza, con la mia voce, col mio gesto, con la mia faccia pallida, col mio sguardo guercio.» 46 Finita la guerra, passata la gioventù, D’Annunzio rimane nell’attesa malinconica di una morte senza gloria: là, scrive, «l’oscurità s’addensa. L’angoscia serra […] rimango qui nell’aspettazione atroce; e non seguo l’istinto del mio coraggio, non mi levo, non accorro a respingere il male che si prepara.» 47 Nel mondo fuori, dunque, la sua maschera, il suo mito, non può più esistere attivamente ma solo in forma di ricordo di gesta e di parole di un tempo che fu: l’unico spazio nel quale D’Annunzio riesce a sopportare la vita è la sua casa che ha plasmato in armonia con la sua essenza, tanto che ogni oggetto che la riempie è metafisicamente il suo riflesso. In fin dei conti se «l’uomo coraggioso non è quegli che ha compiuto un atto di coraggio o condotto una 2_IH_Italienisch_69.indd 45 2_IH_Italienisch_69.indd 45 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 4 6 Il ricordo e la visione Patrizia Piredda impresa temeraria; ma quegli deliberato a concludere coraggiosamente la sua vita che fu coraggiosa in tutto il suo corso, in tutto il suo corso magnanima,» 48 allora non ha da temere neanche il lento giungere della morte, consapevole che «la carne non è che uno spirito devoto alla morte.» 49 Il Libro segreto inizia sotto il segno della morte: nelle prime righe D’Annunzio pone, infatti, la morte come uno dei segni destinici della sua esistenza, narrando della sua nascita quando dice «fui come imbavagliato dalla morte; sicché non diedi grido.» 50 Retoricamente, dunque, D’Annunzio crea la premessa assiomatica che torna come Leitmotiv in tutto il testo, continuando senza soluzione di continuità a costruire l’immagine unica di se stesso. Tanto la morte l’aveva imbavagliato nel momento della nascita, tanto egli, poeta-eroe, per tutta la vita non ha fatto altro che sfidarla, ricercarla e facendo della parola il suo mezzo espressivo privilegiato per narrare la sua vita eccezionale. Nel libro, così, la morte compare come presenza costante, ed è utilizzata al fine di anticipare il suo mito all’infanzia e alla giovinezza. Nei ricordi narrati ne Il Libro segreto, non importa se veri o falsi, D’Annunzio si dipinge come bambino e adolescente eccezionale. La prima volta che D’Annunzio ricorda essersi confrontato con il pensiero della morte è l’episodio della morte del pony Aquilino. Ricorda che una mattina si era sentito in colpa nei confronti dell’amato Pony perché, istigato dalla sorella Ernesta, gli aveva strappato dei crini. La stessa sera, poi, era andato nella rimessa assieme al fratello e alle sorelle dove i tre bambini avevano assistito a una scena inaspettata: il pony Aquilino era sdraiato agonizzante sulla paglia. La reazione dei tre piccoli osservatori era stata un misto di stupore e dolore assieme: «guardammo senza piangere, con un cuore serrato che non lasciava passare né una goccia di sangue né una lacrima di dolore. Guardavamo per la prima volta la morte, noi che non ci avevamo mai pensato se non nella notte dopo Ognissanti per aspettare che ci portassero i suoi doni.» 51 Per la prima volta la morte compare nell’immaginario di D’Annunzio bambino come un evento doloroso: mentre nella festa di Ognissanti la morte era connessa con l’azione del dare e ricevere i doni, adesso la morte è invece mancanza e sottrazione di vita. Poi oltre la morte è invece connessa alla testarda volontà e al gusto infantile dell’avventura e del pericolo. Nell’episodio ricordato compare nuovamente la dispettosa sorella Ernesta: fu proprio per replicare a un suo dispetto che il piccolo Gabriele, decide di arrampicarsi sul tetto della casa per prendere un uovo di rondine da mostrare alla sorella. Il ricordo è costruito retoricamente secondo un triplo movimento che partendo 2_IH_Italienisch_69.indd 46 2_IH_Italienisch_69.indd 46 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 47 Patrizia Piredda Il ricordo e la visione dal pericolo dell’avventura, passa per la salvezza e finisce con una rinascita. D’Annunzio scrive infatti che, mentre stava salendo sul tetto, aiutandosi con un «palchetto senza spalliera tutto di faggio», 52 sotto lo sguardo attonito della gente in strada che guardava il bambino arrampicarsi pericolosamente, compare sulla scena, come un deus ex machina, la zia Rosalba che, afferrandolo e tirandolo dentro casa, lo mette in salvo. Dopo lo scampato pericolo, la famiglia composta solo dal padre, dalla madre e dal bambino è riunita in un quadro familiare che viene paragonato all’immagine della sacra famiglia, riuscita a sfuggire all’infanticidio di Erode: tre persone, «tre creature e una creatura sola, come nell’attimo remoto della creazione», dove D’Annunzio, bambino, è bagnato dal nuovo battesimo delle lacrime del pianto materno, per poi venir esposto «al popolo ebro di presagi, già smanioso di foggiare» 53 il bambino in mito. La terza volta che D’Annunzio ricorda di aver sentito in vita sua il richiamo della morte è a venticinque anni. Lontano dal sacro misticismo del primo ricordo, adesso la morte è connessa a Eros, al supplizio dell’innamoramento per una donna che non riusciva né ad avere, né a dimenticare: «L’incontro improvviso di Barbarella nella via romana, la sua bellezza patetica e sensuale, il suo morbo contratto nelle nozze, la turpitudine del marito, l’audacia di costui nell’estorcere e nel frodare, gli impedimenti iniqui alla separazione legittima: e tutta la mia passione non medicabile, l’impossibilità di rinunciare a lei, l’impossibilità di seguire ogni consiglio ragionevole.» 54 L’impossibilità di avere la giovane donna, sigillata da una lettera di addi, getta il giovane D’Annunzio in un profondo dolore che impedisce qualsiasi rimedio, che toglie valore a qualsiasi cosa, che induce a ricercare la morte. Infine D’Annunzio ricorda la prima l’idea della morte lo porta a percepirsi in profonda unione analogica con la figura del Cristo. Il primo ricordo nel quale D’Annunzio si dipinge in termini cristologici, risale a quando quindicenne, andò nella chiesa bolognese di Santa Maria della Vita a vedere la Deposizione di terracotta di cui gli aveva parlato sua zia Maria. La materialità della statua gli fece percepire misticamente la presenza vera del Cristo, unita inesorabilmente alla morte tanto che, nel racconto, la materia della statua si confonde e fino a che non è più possibile capire cosa sia in realtà: «era di carne e d’ossa il cruciato? O era di terra e di fornace? Non sapevo di che sostanza fosse.» 55 Retoricamente la materia-mistica del corpo di Cristo incarnato nella statua è accostata analogicamente al suo giovane corpo che, anch’esso incarnazione di qualcosa di sacro, di mistico e di unico. Questa analogia che accosta due esemplarità, è messa in risalto dalla 2_IH_Italienisch_69.indd 47 2_IH_Italienisch_69.indd 47 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 4 8 Il ricordo e la visione Patrizia Piredda narrazione della scena: a fianco della ‹carne› del Cristo, si trovava «la carne putrida e infetta», che il beccaio, quando «voleva frodare i gabellieri,» 56 gettava ai piedi del crocefisso dentro la nicchia della Pietà. Di fronte a tale azione deplorevole e blasfema D’Annunzio «vaccilando e ansimando» scappò via, e nella fuga, cadde, sbatté le ginocchia, la fronte e la bocca ed ebbe la sensazione di morire: «morii. Morii senza morire.» 57 Torna qui, nuovamente, il senso di orrore per l’uomo volgare della massa. Ecco allora l’immagine del suo mito innalzarsi attraverso un espediente retorico all’immagine del Cristo: entrambi, eccezioni venute a portare la sacra parola, l’uno di Dio, l’altro della Bellezza estetizzante, muoiono senza morire. L’inscindibile rapporto che caratterizza l’immagine eccezionale di D’Annunzio tra morte, eroismo, unicità, estetismo e misticismo, è alla base anche dei suoi ricordi di guerra. L’attualizzazione del mito del condottieroeroe non poteva avvenire infatti se non attraverso la sua morte gloriosa, ma tale morte gloriosa è descritta secondo un lessico cristologico: supplizio, martirio, sofferenza, liberazione. D’Annunzio ricorda che durante gli anni della guerra la morte non fu più solo un’idea, un pensiero costante, ma una vera e propria realtà che incessantemente lo aveva torturato, attanagliato, avvolto: «la guerra - quella da me guerreggiata nel mio spazio spirituale ch’ebbe fiumi più sanguigni dell’Isonzo, vette più ardue dell’Ermada e del Grappa, termini più distanti dell’Albio - fu veramente una disfida senza guanto fra me e la morte.» 58 Pur cercando la morte per coronare il suo ideale eroico vive e vede morire uno dopo l’altro i suoi giovani compagni di volo e lentamente inizia a sentire l’inquietudine del dubbio: «già otto de’ miei compagni di Cattaro sono perduti. I migliori. Gli altri sorridono aspettando la loro sorte. Son io dannato a sopravvivere? » 59 Più la morte tarda a giungere, più aumenta il dubbio, il tormento, e l’angoscia di sapere che non avrebbe mai occupato un posto d’eccezione assieme agli eroi e ai poeti: «alla mia età l’Alighieri era sul limitare della morte, il Bonaparte l’aveva già varcato, se Giorgio Barbarelli e Vincenzo Bellini s’eran rivelati e s’erano spenti a trent’anni. La turpe vecchiezza non umiliava la potenza e la grazia.» 60 La morte di Miraglia, il primo pilota che ospita il D’Annunzio nel suo velivolo, è raccontata come un fatto ingiusto, perché «la morte che doveva prendere i due, ne prese uno, un solo, contro il patto, contro l’offerta, contro la giustizia, contro la gloria. Alla cima della gloria, per la coppia alata, è l’olocausto: il sacrificio in cui è arsa tutta la vittima. La sorte del fuoco è la lor vera sorte.» 61 L’ingiustizia sta nel fatto che la morte ha separato una alleanza di amicizia suggellata da un patto silenzioso, rendendo solo uno dei due uomini un eroe, attraverso il sacrificio consumato dal fuoco purificatore, l’elemento della natura si può dire più caro 2_IH_Italienisch_69.indd 48 2_IH_Italienisch_69.indd 48 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 4 9 Patrizia Piredda Il ricordo e la visione a D’Annunzio, ritardando il compimento di quello che avrebbe dovuto essere invece il suo destino. D’Annunzio allora scrive: «non io soltanto continuavo a soffrire di morire senza morire ma tutti gli Italiani attendevano con giusta fede unanime che al fine il fato si dimostrasse giusto alla mia infelicità dandomi il compimento giusto nella battaglia o di terra o di mare di cielo.» 62 La morte dell’amico è tuttavia un evento eccezionalmente doloroso per D’Annunzio al quale dedica forse le pagine più belle de Il Libro segreto. Quando Miraglia muore D’Annunzio si trova a Venezia: un giorno, mentre posa per il ritratto che la Cinerina sta dipingendo, la figlia Renata irrompe per annunciare la disgrazia: «scendo, col cuore palpitante […] Giuseppe Miraglia è precipitato in mare […] Io, Genua e Renata ci mettiamo a correre per le Zattere in cerca di una gondola, di una qualunque barca […] le ginocchia mi vacillano. La lingua mi s’impiglia… la gente mi guarda. Non so dominare la mia orribile ansia.» 63 Il dolore per la perdita, per il lutto non è in D’Annunzio derivato dallo sgomento di fronte alla carneficina della guerra, ma piuttosto dall’orrore della morte dell’amico. L’amico è l’eroe, il corpo di Patroclo venerato e pianto. Dopo aver visto con i propri occhi il corpo straziato dalla morte violenta che descrive minuziosamente, D’Annunzio è sconvolto: «vogliono trascinarmi via. Mi rifiuto. Resto in ginocchio. Prego di lasciarmi solo. Quando sono solo, mi chino sopra il morto, lo chiamo più volte. Le lacrime gli piovono sul viso. Non risponde, non si muove. Ricado in ginocchio […] Non posso muovermi, non posso alzarmi.» 64 È vera morte se nel ricordo l’immagine del defunto è viva? La realtà dà un’immagine talmente orrenda che non sembra essere vera, mentre vera sembra essere l’immagine scaturita dal ricordo cristallino, forte e vivo del D’Annunzio: «ho con me la morte, l’odore della morte. Renata mi aspetta: sa tutto. Ci abbracciamo piangiamo. Vuol venire a vederlo […] la realtà di tratto in tratto mi sfugge. Rifletto. Chiudo gli occhi. Me lo immagino vivo come ieri; poi lo guardo e lo vedo inerte, esangue. È vero? » 65 2_IH_Italienisch_69.indd 49 2_IH_Italienisch_69.indd 49 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 50 Il ricordo e la visione Patrizia Piredda Ma la mente, dopo l’impatto con la crudeltà del reale, produce delle alterazioni che impediscono al desiderio di rivedere in vita l’amico perso di alimentarsi. Così, addormentatosi, D’Annunzio ricorda di aver sognato: «quando chiudo gli occhi e il sopore m’invade, vedo il mio amico vivo, che mi viene incontro. Sobbalzo. Sogno ch’egli entra nella Casa rossa e che io gli dico: ‹Sei tu? Sei tornato? › Si scopre, si disviluppa dal mantello nero. Non è lui: è una maschera, una di quelle maschere bianche ingessate che i Veneziani portavano con la bauta.» 66 E la bauta non è altro che una maschera inquietante perché non possiede alcun tratto determinante che possa ricondurre la fissità fredda del suo monocromatismo a un volto umano. Altre volte durante la guerra il destino ha negato la morte eroica e gloriosa a D’Annunzio. Morto Miraglia, D’Annunzio tornerà a volare con un altro compagno, Oreste Salomon. Ma proprio il giorno in cui a causa di un ritardo di D’Annunzio Alfredo Barbieri occupa il secondo posto nel velivolo, la morte sopraggiunge di nuovo. Anche questa volta, scrive D’Annunzio, «il destino aveva scambiato i dadi nel buio. La morte aveva cancellato dalla tessera il mio nome e prestamente scritto quell’altro.» 67 D’Annunzio è condannato a invecchiare ma, scrive, quel corpo straziato dagli anni non è la sua vera immagine. Come accade a Dorian Gray, la morte riuscirà a svelare quale sia il suo vero volto, occultato da una maschera che negli anni ha accumulato le tracce della decadenza della vita terrena. Inversamente a quanto accade a Dorian Gray, l’ultima immagine nella quale il volto del D’Annunzio si fisserà, però, sarà colmo di un nuovo e fresco splendore. Così, scrive: «Mi avviene di dire, quando alcuno osserva non senza pietà che il mio volto è ormai tutt’osso, è crudamente riscolpito nell’osso giallastro, mi avvien di dire: ‹credete che la mia vera maschera carnale sia questa? Guardate il mio naso che per troppa sensualità non è ancor giunto a bene affilarsi. Guardate la mia bocca amara senza rinunzia e senza pace: le stupende suture del mio cranio; i miei occhi affondati nel fuoco perpetuo del mio cervello: il leggero strabismo del destro ferito, che la mia pertinacia tenta ricondurre verso l’asse vincendo il terrore dello specchio mattutino o notturno. Guardate le mie mani che una donna chiamò fiori sottomarini senza gioia, asterie senza ribrezzo. Ma non questa è la mia vera maschera, né queste sono le mie mani ultime. Venite a guardare il mio viso due o tre ore dopo la mia morte, 2_IH_Italienisch_69.indd 50 2_IH_Italienisch_69.indd 50 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 51 Patrizia Piredda Il ricordo e la visione prima che vi s’imprima il gesso memorativo dopo tanto fango non giunto al segno. Allora soltanto io avrò il viso che m’era destinato, immune dagli anni dalle fatiche dai patimenti, dagli innumerevoli eventi che forzò e forza e forzerà pur in estremo il mio disperato coraggio. Allora soltanto, sono alla terza ora, sarà il mio viso la cima sovranamente effigiata della mia anima bella: il viso della giovinezza sublime, di là dell’opera, di là della gloria: la maschera del porfirogenito.›» 68 Abstract. Der Beitrag ist eine Studie zum Spätwerk von Gabriele D’Annunzio, das stark autobiographisch geprägt ist. Durch eine genaue Textanalyse wird herausgearbeitet, wie D’Annunzio sich selbst als Mythos gestaltet, als eine Ausnahmeerscheinung, einzigartig und über allen anderen stehend im Hinblick auf Empfindsamkeit, Kühnheit, Leidenschaft, Eleganz. Es werden speziell zwei Prosatexte D’Annunzios untersucht, die streng genommen dem autobiographischen Genre zugehören: Notturno (1921) und Il Libro segreto (1935). In der Zeit zwischen diesen beiden Werken publiziert D’Annunzio verschiedene früher verfasste Texte mit Erinnerungen. Die erste Phase seines autobiographischen Schreibens ist charakterisiert durch eine mystische Sprache, mit Hilfe derer er sich selbst als Verkörperung des mythischen Helden beschreibt. Die mittlere Phase ist durch eine an den Crepuscolari orientierte Sprache geprägt, der Mythos wird in Erzählungen gestaltet, die aus der Studienzeit berichten. Diese Episoden werden von dem Gedanken der Einzigartigkeit des ästhetisch-mystischen Helden als Schicksal überformt. Das gleiche Schicksal führt ihn jedoch nicht in den verklärten Heldentod im Krieg, sondern zwingt ihn zu einem Leben in Alter und Dekadenz. Die zweite Phase ist deshalb gekennzeichnet von einem melancholischen Stil und von der sukzessiven Wandlung des Mythos vom Selbst zum Christus und Märtyrer, parallel zum Verlust der Lebenskraft und zum Nachdenken über den Tod, der, typisch für das mythische Selbstbild, dem Tode Christi ähnlich ist. Note 1 L’autobiografia in sé è la narrazione della vita di un individuo considerata nel suo insieme, non necessariamente perché l’intera vita dell’autore sia coperta dal racconto, ma perché alcuni eventi «sono investiti comunque da una riflessione generale che riguarda la vita nella sua interezza.» (Franco D’Intino, L’autobiografia moderna. Storia, forme, problemi, Roma: Bulzoni 1998, p. 129). Per questo la materia dell’autobiografia non è la narrazione del passato così come esso è stato, ma come esso è conservato nella memoria dello scrittore che «scarta e omette, pure può aggiungere e trasformare, inventando.» (p. 129). Va da sé che questo tipo di scrittura che si pone come racconto veritiero di una 2_IH_Italienisch_69.indd 51 2_IH_Italienisch_69.indd 51 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 52 Il ricordo e la visione Patrizia Piredda storia accaduta, ha in sé la possibilità dell’errore dato che la memoria non è una meccanica catalogazione dei fatti, ma una facoltà attiva che seleziona, dimentica e modifica l’accaduto in base ai cambiamenti dell’individuo nel corso del tempo. Di conseguenza è inesatto affermare che vi sia identità tra il racconto narrato e i fatti accaduti, e che vi sia identità, soprattutto, tra quella persona che il narratore era in passato e la persona che è al presente della scrittura. La problematica fondamentale della scrittura autobiografica si sviluppa, dunque, attorno alla questione della «identità fra narratore […] e personaggio. In generale, non solo ciascun io tende ad essere personaggio per l’autore che scrive di sé, ma l’io del passato, per un autobiografo, è sempre un altro pur continuando ad essere anagraficamente se stesso: è sempre un personaggio che, man mano che si allontana nel tempo, più difficilmente può venir rappresentato senza il ricorso alle risorse della distanziazione ironica.» (Bartolo Anglani, I letti di Procuste: teoria e storia dell’autobiografia, Bari: Laterza 1996, p. 38). 2 Riccardo Scrivano, «D’Annunzio biografo di se stesso», in: AA.VV, Le molte vite dell’imaginifico. Biografie, mitografia e aneddotica, 28° Convegno di studi 9-10 novembre 2001 Chieti-Pescara: Centro Nazionali di Studi Dannunziani 2001, pp. 13-30 (p. 18). 3 Due studi accurati sull’utilizzo e il riutilizzo degli stessi materiali che compongono i taccuini di guerra, sono i testi della Costa, Il fuoco invisibile, Firenze: Vallecchi 1985, nel quale si tracciano le parti nella poesia e nella prosa che provengono dagli appunti dei taccuini, e il testo di Bruers, che scrive di aver intrapreso tale studio quando «nel 1935, leggendo, appena apparse, le Cento e cento e cento e cento pagine del Libro segreto di Gabriele D’Annunzio, giunto alla pagina 258 e seguenti ebbi l’impressione che gli episodi di guerra ivi descritti non mi fossero nuovi, infatti, potei accertare che essi erano già stati pubblicati dal Comandante nella Licenza della Leda senza cigni. Diversa la redazione per modificazioni, soppressioni e aggiunte, ma identica la sostanza» (Antonio Bruers, Le tre redazioni di un taccuino di guerra di Gabriele D’Annunzio, Milano: Mondadori 1942, p. 13). Ad esempio, continua Bruers, «alla pagina XL, l’episodio della visita alla Deposizione di Niccolò dell’Arca, nella chiesa di Santa Maria della Vita in Bologna, ha un precedente nelle Faville del Maglio, ed entrambe le redazioni derivano da un inedito Taccuino del 1906» (ibid.). 4 Annamaria Andreoli, «Introduzione», in: Gabriele D’Annunzio, Diari di guerra. 1914- 1918, Milano: Mondadori 2002, pp. v - xlix (p. vi). 5 Simona Costa, Il fuoco invisibile, p. 223. 6 Annamaria Andreoli, «Introduzione», in: Gabriele D’Annunzio, Diari di guerra, op. cit., p. vii. 7 Anna Maria Andreoli, «Lo scriba recluso», in: Gabriele D’Annunzio, Di me a me stesso, Milano: Mondadori 1990, pp. xi - lix (p. xxxi). 8 Gabriele D’Annunzio, Notturno, in: Prose di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento d’indovinamento, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni, 2 voll., Milano: Mondadori 1950, vol. 1, pp. 165- 442 (p. 178). 9 Ivi, p. 180. 10 Gabriele D’Annunzio, Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D’Annunzio tentato di morire, in: Prose di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento d’indovinamento, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni, op. cit., pp. 639 - 926 (p. 878). 11 Gabriele D’Annunzio, Notturno, op. cit., p. 224. 12 Ivi, p. 235. 2_IH_Italienisch_69.indd 52 2_IH_Italienisch_69.indd 52 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 53 Patrizia Piredda Il ricordo e la visione 13 Ibid. 14 Ivi, pp. 366 -7. 15 Gabriele D’Annunzio, Di me a me stesso, Milano: Mondadori 1990, p. 29. 16 Ibid. 17 Sulla passione di D’Annunzio per l’aviazione, scrive Asciuti che «in modo particolare il D’Annunzio, sempre sensibile all’effetto degli eventi sull’opinione pubblica e sempre attento a padroneggiare i mass-media comprende l’importanza del nuovo mezzo e le sue utilizzazioni future per quanto riguarda non solo lo stile del suo ‹vivere inimitabile›, ma per tutto ciò che è e poi potrà essere ogni altro suo futuro rituale ‹collettivo›.» E poi ancora: «è risaputo da tutti come il D’Annunzio post-interventista non lesinasse certo la sua presenza sul fronte della guerra, e come tentasse, in tutti i modi, di farsi affidare qualche nuova missione tale da mettersi in luce di fronte non tanto agli altri gradi dell’esercito, ma piuttosto al suo pubblico che non s’era certo dimenticato di lui… appena seppe che il tenente Giuseppe Miraglia stava preparando un volo su Trieste si offrì volontario. Il volo non si tenne, ma il giornale La Tribuna non macò di darlo come avvenuto; così per evitare da un lato che la vita di D’Annunzio, in quel momento ‹preziosa› alle Forse Armate più come mezzo di propaganda che come effettivo valore militare potesse esser messa in pericolo da qualche attività particolarmente pericolosa.» (Claudio Asciuti, Il corsaro e il Trasvolatore. Le crociere celesti di D’Annunzio e Balbo, Genova: Bozzi 1990, p. 12-19). 18 Gabriele D’Annunzio, Di me a me stesso, op. cit., p. 36. 19 Ibid. 20 «Quando invece della malattia mortale, appare nell’uomo il taedium vitae, egli muore, egli deve inesorabilmente morire.» (Ibid.) 21 Gabriele D’Annunzio, Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D’Annunzio tentato di morire, op. cit., p. 795. In realtà, vi era stata un’ampia discussione pubblica tra gli intellettuali italiani del periodo prebellico sulla possibilità che la guerra fosse o no un elemento in grado di rinnovare e di generare qualcosa di nuovo: e la maggior parte di essi, fra i quali Marinetti, Prezzolini, Papini, era fiduciosa nel fatto che la guerra avesse un potere in grado di rinnovare l’Italia. 22 Filippo Tommaso Marinetti, «Manifesto del Futurismo», in: Marinetti e il Futurismo, a cura di Luciano De Maria, Milano: Mondadori 1973, pp. 5 -7. 23 Gabriele D’Annunzio, Notturno, op. cit., p. 177. 24 Ivi, p. 174. 25 Ivi, pp. 176 -177. 26 Ivi, p. 179. 27 Ibid. 28 Vittorio Martinelli, La guerra di D’Annunzio. Da poeta e dandy a eroe di guerra e «comandante», Udine: Gaspari 2001, p. 302. 29 Gabriele D’Annunzio, «Il compagno dagli occhi senza cigli», in: Prose di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento, d’indovinamento, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni, op. cit., vol. 2, pp. 413-530 (p. 417). 30 Gioacchino Volpe, Gabriele D’Annunzio. L’italiano, il Politico, il Combattente, Roma: Volpe 1981, p. 115. 31 Gabriele D’Annunzio, «Il compagno dagli occhi senza cigli», op. cit., p. 426. 32 Gabriele D’Annunzio, «Il venturiero senza ventura, e altri studii del vivere inimitabile», in: Prose di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento, d’indovinamento, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni, op. cit., vol. 2, pp. 1-124 (p. 4). 2_IH_Italienisch_69.indd 53 2_IH_Italienisch_69.indd 53 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 5 4 Il ricordo e la visione Patrizia Piredda 33 Ivi, p. 5. 34 Ivi, p. 12. 35 Ivi, pp. 39-40. 36 Ivi, p. 41. 37 Gabriele D’Annunzio, «Dell’amore e della morte e del miracolo», in: Prose di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento, d’indovinamento, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni, op. cit., vol. 2, pp. 628-631 (p. 629). 38 Ivi, p. 630. 39 Ivi, p. 631. 40 Gabriele D’Annunzio, «Il compagno dagli occhi senza cigli», op. cit., p. 429. 41 Gabriele D’Annunzio, «Esequie della giovinezza», in: Prose di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento, d’indovinamento, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni, op. cit., vol. 2, pp. 531-541 (p. 532). 42 Gabriele D’Annunzio, Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D’Annunzio tentato di morire, op. cit., p. 878. 43 Gianni Oliva, «D’Annunzio: la malinconia come elemento autobiografico», in: Le molte vite dell’imaginifico, Pescara: Ediars 2001, pp. 45-63 (p. 46). 44 Gabriele D’Annunzio, Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D’Annunzio tentato di morire, op. cit., p. 689. 45 Ivi, p. 739. 46 Ibid. 47 Ivi, p. 777. 48 Ivi, p. 897. 49 Ivi, p. 916. 50 Ivi, p. 649. 51 Gabriele D’Annunzio, Notturno, op. cit., p. 380. 52 Gabriele D’Annunzio, Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D’Annunzio tentato di morire, op. cit., p. 651. 53 Ivi, p. 654. 54 Ivi, p. 668. 55 Ivi, p. 666. 56 Ivi, p. 668. 57 Ibid. 58 Ivi, p. 683. 59 Ivi, p. 798. 60 Ivi, p. 686. 61 Gabriele D’Annunzio, Notturno, op. cit., p. 180. 62 Gabriele D’Annunzio, Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D’Annunzio tentato di morire, op. cit., p. 684. 63 Gabriele D’Annunzio, Notturno, op. cit., p. 199. 64 Ivi, p. 201. 65 Ivi, p. 203. 66 Ivi, p. 204. 67 Ivi, p. 231. 68 Gabriele D’Annunzio, Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D’Annunzio tentato di morire, op. cit., p. 712. 2_IH_Italienisch_69.indd 54 2_IH_Italienisch_69.indd 54 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 55 Patrizia Piredda Il ricordo e la visione Bibliografia Andreoli, Anna Maria: «Introduzione», in: Gabriele D’Annunzio, Diari di guerra. 1914-1918, Milano: Mondadori 2002, pp. v-xlix. 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D’Annunzio, Gabriele: Il compagno dagli occhi senza cigli, in: Prose di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento, d’indovinamento, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni, 2 voll., Milano: Mondadori 1950, vol. 2, pp. 413 - 530. D’Annunzio, Gabriele: «Dell’amore e della morte e del miracolo», in: Prose di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento, d’indovinamento, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni, 2 voll., Milano: Mondadori 1950, vol. 2, pp. 628 - 631. D’Annunzio, Gabriele: Di me a me stesso, Milano: Mondadori 1990. D’Annunzio, Gabriele: «Esequie della giovinezza», in: Prose di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento, d’indovinamento, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni, 2 voll., Milano: Mondadori 1950, vol. 2, pp. 531-541. D’Annunzio, Gabriele: Notturno, in: Prose di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento d’indovinamento, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni, 2 voll., Milano: Mondadori 1950, vol. 1, pp. 165 - 442. D’Annunzio, Gabriele: Il venturiero senza ventura, e altri studii del vivere inimitabile, in: Prose di ricerca, di lotta, di comando, di conquista, di tormento, d’indovinamento, di rinnovamento, di celebrazione, di rivendicazione, di liberazione, di favole, di giochi, di baleni, 2 voll., Milano: Mondadori 1950, vol. 2, pp. 1-124. Marinetti, Filippo Tommaso: «Manifesto del Futurismo», in: Marinetti e il Futurismo, a cura di Luciano De Maria, Milano: Mondadori 1973. Martinelli, Vittorio: La guerra di D’Annunzio. Da poeta e dandy a eroe di guerra e «comandante», Udine: Gaspari 2001. Oliva, Gianni: «D’Annunzio: la malinconia come elemento autobiografico», in: AA.VV., Le molte vite dell’imaginifico. Biografie, mitografia e aneddotica, 28° Convegno di studi 9-10 novembre 2001 Chieti-Pescara: Centro Nazionali di Studi Dannunziani 2001, pp. 45- 63. Scrivano, Riccardo: «D’Annunzio biografo di se stesso», in: AA.VV, Le molte vite dell’imaginifico. Biografie, mitografia e aneddotica, 28° Convegno di studi 9-10 novembre 2001 Chieti-Pescara: Centro Nazionali di Studi Dannunziani 2001, pp. 13 - 30. Volpe, Gioacchino: Gabriele D’Annunzio. L’italiano, il Politico, il Combattente, Roma: Volpe 1981. 2_IH_Italienisch_69.indd 55 2_IH_Italienisch_69.indd 55 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 56 K AT R I N S C H M E I S S N E R Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation: Alessandro Blasettis Film 1860 Io ho sempre pensato: L’ispirazione deve essere ricercata in qualcosa di complessivo, generale; ma il dettaglio deve partire da una convinzione unica, propria. (A. Blasetti) Nach einigen ersten, nicht mehr als zwei Minuten dauernden Dokumentarfilmen wurde 1905 mit La presa di Roma (produziert für Alberini & Santoni) der erste italienische Spielfilm gedreht. In wenigen kurzen Szenen zeigt der Regisseur Filoteo Alberini darin die militärischen Auseinandersetzungen zwischen dem päpstlichen und dem italienischen Heer, welche 1870 die Eroberung Roms und seine Eingliederung in den noch jungen italienischen Einheitsstaat zur Folge hatten. Die Aufführung dieses Films, der ein konventionelles, glorifizierendes Bild der Entstehung des Königreichs entwarf, sollte im September desselben Jahres tausende Personen in den Lichtspielpalast der Via Nomentana in der Hauptstadt strömen lassen. Im zweiten Jahrzehnt des 20. Jahrhunderts erwachte erneut das Interesse für die Entstehung der eigenen Nation. Diese Hinwendung zur Einheitsbewegung bezeugen unzählige Produktionen, die in ihrer Ausrichtung La presa di Roma folgten. Zu ihnen gehört u. a. Anita Garibaldi, ein der Gefährtin des Generals gewidmeter, zwölfminütiger Film, entstanden 1910 in der Regie von Mario Caserini. Er fokussiert in chronologischer Abfolge den Beginn von Garibaldis großer Liebe zu Aninha Maria de Jesus, später als Anita bezeichnet, in Südamerika, sein Handanhalten um sie bei ihrem erfreuten Vater, die Ankunft der beiden in Nizza, die langersehnte Übernahme militärischer Verantwortung durch Garibaldi im geteilten Italien sowie die letzte Schlacht um das nicht zu haltende Rom am Gianicolo. 1 Es folgen der Rückzug seiner Truppen und die Verabschiedung seiner Männer in San Marino, die Einschiffung Richtung Norden, die Ankunft der Verfolgten am Lido di Comacchio und Anitas krankheitsbedingter Tod - vor dem sie inbrünstig das Schwert des Generals, mit dem er für die Einheit weiterkämpfen wird, küsst. Obwohl der Titel ein besonderes Augenmerk für Anita Garibaldi suggeriert, steht ihr Mann im Mittelpunkt - sie steht ihm allenfalls verbal unterstützend zur Seite. Jenseits der für den Stummfilm generell typischen gestischen und mimischen Überzeichnungen, die sich auch hier finden, charakteri- 2_IH_Italienisch_69.indd 56 2_IH_Italienisch_69.indd 56 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 57 Katrin Schmeißner Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation siert den Film ein opernhafter, pathetischer Stil vor allem in der Körpersprache der Aktanten. 2 Caserini verfolgte das Thema weiter und drehte 1912 I Mille, im selben Jahr entstand Garibaldi a Marsala. Doch auch andere Produktionen wie Goffredo Mameli, Il tamburino sardo und Nozze d’oro (1911), La lampada della nonna (1913), Guglielmo Oberdan, Ciceruacchio und Brescia, leonessa d’Italia sowie I martiri di Belfiore (1915) griffen das Risorgimento und seinen beliebten Helden verherrlichend auf. 3 Dass Filme zur Befreiung Italiens zunächst bis zum Beginn des Ersten Weltkrieges weiterhin gedreht wurden, begründete sich vor allem durch die fortdauernde Notwendigkeit, das Nationalgefühl der Italiener zu stärken. 4 Als das faschistische Regime in der Zeit seiner Konsolidierung Anfang der zwanziger Jahre historischer Vorbilder bedurfte, oblag besonders dem Medium Film, das zur «arma più forte dello stato» deklariert worden war, die ideologisch passende Präsentation dieser. Zu den Themen, die inhaltliche Schwerpunkte der Produktion ausmachten, gehörten neben der Darstellung der Kolonien, der Hervorhebung nationaler Glorie und antikommunistischer Agitation auch die an Popularität zunehmenden Risorgimento-Verfilmungen. Mit Kriegen, Scharmützeln und opferbereiten Helden erweiterten die Historienfilme die Grenzen des erzählerischen Repertoires von bürgerlichem Melodram bzw. Literaturverfilmungen. Die in patriotischen Filmen wie I martiri d’Italia, Redenzione d’anime, Un balilla del ’48, Nostra patria, Garibaldi e i suoi tempi aufgezeigte historische ‹Unumgänglichkeit› der historischen Nachfolge von Risorgimento und Faschismus machte sie gleichwohl Propagandazwecken dienlich. Unter den aufgeführten Filmen der Frühphase des Faschismus hebt sich 1860 aus dem Jahr 1933 (Regie: Alessandro Blasetti) deutlich ab: Durch ein starkes Aufgreifen regimekonformer Konzepte gekennzeichnet, charakterisiert ihn ebenso ein deutlich innovativer Gestus. Dieser wurde ihm immer wieder vonseiten der Kritik bescheinigt, die ihn deshalb nicht nur zu den wichtigsten Filmen des Regisseurs zählt, sondern auch unter den ersten Vorreitern des Neorealismus nennt. 5 Dennoch zeigen eine genauere Betrachtung der Genese des Films vom Entstehungsprozess des Drehbuches über seine Fertigstellung, dass Blasetti in 1860 weitaus weniger zwischen der Umsetzung regimekonformer Konzepte und der Suche nach künstlerischer Eigenständigkeit, zwischen Verhaftung in der Tradition und dem Insistieren auf Innovation changiert, sondern bewusst verschiedene Diskurse des Zeitgeistes miteinander verbindet. Die Analyse des Films legt offen, welcher Mittel er sich dazu im Einzelnen bediente. 2_IH_Italienisch_69.indd 57 2_IH_Italienisch_69.indd 57 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 5 8 Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation Katrin Schmeißner I. Blasettis 1860 - Vom Drehbuch zum Film Ende der zwanziger und zu Beginn der dreißiger Jahre, kurz vor und nach der Erfindung des Tonfilms, wurden auf der Halbinsel vorwiegend ausländische, speziell amerikanische Produktionen in den Kinos gezeigt. Das Interesse daran flaute nach 1931 spürbar ab - das Publikum wünschte sich nun qualitativ Hochwertigeres zu sehen. Zugleich war die Zeit von einer intellektuellen Debatte um den Film geprägt, zu deren Zentren Florenz, Turin und Rom avancierten. In der Hauptstadt entstand unter dem Theaterregisseur und Kritiker Enzo Ferrieri der erste Filmclub, auf den in Turin derjenige Giacomo Debenedettis folgte. 6 Die 1906 als eine der ersten Filmproduktionsfirmen in Rom gegründete Cines wurde von 1929 bis 1931 von Stefano Pittaluga geleitet; danach übernahm Ludvico Toeplitz die Direktion, die er bis 1935 innehatte. Da Toeplitz den Autor Emilio Cecchi zum Generaldirektor der Produktion berief, gestaltete sich das Filmspektrum zwischen 1932 und 1933 besonders interessant. Cecchi sammelte Schriftsteller und Künstler um sich und richtete seine Aktivität deutlich auf den film d’arte aus. 7 Vor dem angedeuteten Hintergrund mit einer spezifischen Aufmerksamkeit von Kritik und Publikum für den (italienischen) Film wie der neuen künstlerischen Ausrichtung der Cines war der Anspruch an den noch jungen Blasetti, der bereits mit Sole (1929), Terra madre (1931) und La tavola dei poveri (1932) auf sich aufmerksam gemacht hatte, und an seinen Film über Garibaldi von Beginn an hoch. Sein Werk sollte neben Gli uomini che mascalzoni von Mario Caserini (1932) dazu beitragen, eine neue italienische ‹Schule› zu konstituieren, die fähig wäre, sich nicht allein im In-, sondern auch im Ausland durchzusetzen. 1928 wurde Gino Mazzuchi von der Cines mit der Entwicklung eines Sujets für einen Film beauftragt, der Garibaldi zum 50. Jahrestag der Einigung Italiens ehren sollte. Nach den Wünschen des Produzenten hatte der auf der Basis dieses Drehbuch entstehende Film nicht allein die Darstellung von Garibaldis Biografie zu sein, sondern würde vor allem den Einfluss seiner militärischen Aktion auf das vorangegangene Jahrhundert sowie den Abenteuer- und Kampfesgeist der Italiener zeigen. Mazzucchi fühlte sich zunächst unfähig, ein solches Drehbuch zu verfassen, zumal er bereits ein völlig konträr geartetes präsent hatte, in dem kein legendenhaft verklärter, sondern ein menschlich angelegter Garibaldi im Zentrum hätte stehen sollen: «semplicemente un Garibaldi uomo». «Avrei cominciato col mostrare Garibaldi come quell’uomo titubante che a Genova ha paura di iniziare una simile pericolosa spedizione, […] avrei voluto vedere Garibaldi discinto e con le 2_IH_Italienisch_69.indd 58 2_IH_Italienisch_69.indd 58 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 59 Katrin Schmeißner Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation maniche rimboccate, mangiare pane e cacio nelle brevi soste delle tappe per Salemi; l’avrei voluto vedere mentre si accorda con Frau Pantaleo di baciare il Santissimo Sacramento che il frate gli avrebbe mostrato coram populo, appena giunto a Salemi; avrei voluto vederlo dimenticarsi della promessa che aveva fatto al frate […].» 8 Mazzucchi merkte schnell, dass ein solcher Plot zu wenig im Sinne des Zeitgeistes und deshalb keineswegs akzeptiert worden wäre und verwarf ihn. Ungenügend erschien ihm auch die Idee, stattdessen die Geschichte zweier Liebender zu erzählen, die Italien von Mailand bis Sizilien bereisen, um finanzielle Mittel für die Società del Milione di Fucili per il Generale Garibaldi zu sammeln, während der General von Genua aus nach Sizilien aufbricht. Deshalb präsentierte er Alessandro Blasetti einen dritten Vorschlag, der das Augenmerk vorrangig auf die Unterdrückung durch die Bourbonen in einem kleinen, traditionellen Dorf Siziliens richtete. Die Handlung des Drehbuchs ist schnell umrissen: Als die Dorfbewohner zur Madonna delle Grazie in der Provinz Trapani pilgern, führt sie ihr Weg in eine Stadt, in der es zu militärischen Auseinandersetzungen mit den Besatzern kommt. Die Reisenden übernehmen in Unkenntnis der politischen Situation die Rufe der anwesenden Mitstreiter Garibaldis und mengen sich unter die ihnen günstig gesonnene Bevölkerung: Ihr Hungermarsch wird so zu einem Triumphzug. Doch dieser Entwurf stellte wiederum Blasetti nicht völlig zufrieden, der letztlich Elemente des zweiten und dritten vermischte und sich außerdem am Augenzeugenbericht Da Quarto a Volturno: Noterelle di uno dei mille von Giuseppe Cesare Abba, an den Erinnerungen Garibaldis und seines Kampfesgenossen Nino Bixio orientierte, Garibaldi condottiero und Charles-Maurice de Talleyrand- Périgords Memoiren sowie Anekdoten und Zeitungsberichte bei der Erarbeitung der Szenen einbezog. 9 Bis zum Anfang der Filmproduktion sollten vier Jahre vergehen. Bevor Blasetti Ende September 1932 gemeinsam mit dem Regieassistenten Giacinto Solito 10 die Aufnahmen in Valguarnera, einem nahezu völlig verlassenen Dorf in der Nähe Partinicos auf Sizilien begann, informierte bereits die sizilianische Presse über die geplanten Dreharbeiten: «È di passaggio in Palermo Alessandro Blasetti, direttore della scena della Cines Pittaluga. Lo scopo del viaggio di Blasetti è quello di scegliere luoghi e tipi siciliani per la realizzazione di un grande film sulla epopea garibaldina. Quanti avessero intenzione di prendere parte al film in questione possono presentarsi alla Sede della Società Pittaluga in via Emerico Amari 142, 2_IH_Italienisch_69.indd 59 2_IH_Italienisch_69.indd 59 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 6 0 Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation Katrin Schmeißner venerdì 30 corrente […]. È inutile dire che debbono presentarsi solo siciliani.» 11 Anfang Dezember 1932 ließ Blasetti die Cines, mit der er in regelmäßigem und ausführlichem Briefkontakt stand, in dem die verschiedensten Details des Films diskutiert wurden, vom tatsächlichen Beginn der Aufnahmen wissen. 12 Zugleich informierte er sie über die weitgehend zufriedenstellenden Ergebnisse der Probedrehs. «Ieri abbiamo iniziato la lavorazione; non Le scrissi subito perché le notizie, pure se buone, non erano ottime come volevo. Oggi invece abbiamo fatto, nonostante l’ostilità del tempo, dell’ottimo lavoro. Ho visto i provini di sviluppo fatti stasera stessa e credo di aver ottenuto l’effetto fotografico che desideravo. […] Domani gireremo i quadri di apertura del film che, in seguito alle modifiche cui le feci cenno e delle quali anche il Prof. Cecchi è informato, sono sensibilmente variati e non dico migliorati perché aspetto ad averne catturato l’immagine nella camera, domani.» 13 Nach weiteren Korrespondenzen setzte er den Produzenten Cecchi am 21. Dezember 1932 über die Arbeit mit den einzelnen Hauptdarstellern, die noch nicht ganz nach seinen Wünschen verlief, und einen ansonsten positiven Fortgang der Aufnahmearbeiten in Kenntnis. Daneben beschrieb er die Schwierigkeiten, die sich aus der kurzen Dauer bestimmter Lichtverhältnisse und den damit in Übereinklang zu bringenden Massenszenen ergaben. Diese Umstände stellte er als die grundlegende Ursache seines Fokussierens der Aktion der Menschenmenge dar. Gleichzeitig präsentierte er in diesem Brief eine grundlegende Abfolge der Szenen, die dann auch den fertigen Film prägen sollten. Im Bestreben, das zur Verfügung stehende finanzielle Budget nicht vollständig aufzubrauchen, bemühte sich Blasetti um ein rasches Voranschreiten der Arbeiten. 14 Am 4. Januar 1933 informierte er Cecchi bereits über das Ende der kostspieligen Außenaufnahmen auf der Insel und den daraufhin geplanten Beginn der Drehtermine im Studio: «[…] il nostro lavoro è finito puntualmente nonostante che il tempo, per quanto eccezionalmente favorevole, ci abbia frequentemente costretti ad ore di fermo. Ma la troupe ha lavorato instancabilmente dalle cinque di mattina fino all’ultimo raggio di sole con solo due giorni di sosta a Natale e Capo d’anno così che gli esterni siciliani terminano senza ritardi. […] Lunedì attaccheremo il lavoro in teatro di posa.» 15 2_IH_Italienisch_69.indd 60 2_IH_Italienisch_69.indd 60 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 61 Katrin Schmeißner Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation Die sich an die Außenaufnahmen anschließenden Arbeiten fanden in einem Theater der Cines in Rom statt. Auf diese folgten einige letzte Drehs im Freien in der Nähe der Hauptstadt. Hier wurde u.a. die großangelegte Schlacht von Calatafimi mit der hohen Zahl von insgesamt etwa 1500 Darstellern und Komparsen aufgenommen: «Blasetti, sotto, piazza obiettivi e microfoni. Brizzi, Gengarelli, Terzano, Scala, Lombardi e compagni prendono posto vicino alle sei macchine da presa. Sono arrivati anche due autocarri sonori. Due macchine si allacciano con gli autocarri. Si piazzano i telefoni, s’inseriscono gli altoparlanti per poter comunicare alle masse. Molti macchinisti si vestono da garibaldini e da borbonici per poter continuare il lavoro in campo, indisturbati. Sono le dieci. […] I fichi d’india sparsi qua e là danno colore siciliano a questa terra romana. Il gruppo piemontese verrà giù di corsa da una stradina.» 16 II. Plot, Personenkonstellation und stilistische Mittel Die Geschehnisse von 1860 berichtet Blasetti in seinem Film mit einem einfachen, linear aufgebauten Sujet um den jungen Hirten Carmeliddu: Er gehört einer Gruppe Aufständischer auf Sizilien an. Da sie starken Repressionen durch die Bourbonen unter der Regierung Franz II. ausgesetzt sind, erwarten sie mit steigender Ungeduld Unterstützung. Von seinen Mitstreitern wird der vertrauenswürdige Carmeliddu für eine Reise nach Genua gewählt, wo er Oberst Carini, der die Befreiung Italiens unter Garibaldi mit vorbereitet, treffen soll. Dazu muss er nicht nur die vertraute Insel, sondern auch die innig geliebte Gesuzza verlassen. Seine Gefährtin wird festgenommen, aufgrund einer rechtzeitig verkündeten Amnestie entgeht sie zusammen mit anderen Kämpfern für die Befreiung Italiens nur knapp der Todesstrafe. Ihrem Mann gelingt es indessen, reitend die Küste und auf einem Boot unter großen körperlichen Anstrengungen die Hafenstadt Civitavecchia zu erreichen, von wo er seine Reise im Zug bis in den Norden fortsetzt. Unterwegs trifft er auf Sympathisanten der Monarchie und Giobertis sowie andere Vertreter verschiedenster politischer Ideen. Von ihnen unbeeinflusst erhofft er in Genua nervös die Entscheidung Garibaldis, seinen Landsleuten endlich zu Hilfe zu eilen. Nach ihrer Landung in Marsala dringen die Truppen des Generals ohne Probleme vor und Gesuzza erlangt unbeschadet die Freiheit wieder. Als sie Carmeliddu nach der Schlacht von Calatafimi ängstlich unter den Verwundeten zu entdecken sucht, kommt er ihr nicht nur unverwundet entgegen, sondern kann auch den lang ersehnten Sieg verkünden. 2_IH_Italienisch_69.indd 61 2_IH_Italienisch_69.indd 61 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 62 Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation Katrin Schmeißner Mit dem Finale noch keineswegs zufriedengestellt, schlug die Produktionsleitung Blasetti ein Filmende vor, das den Faschismus deutlicher als Nachfolger des Risorgimento kennzeichnete. Blasetti fügte deswegen eine Szene an, in der einige der in die Jahre gekommenen Kämpfer Garibaldis stolzen Hauptes versammelt stehen, während vor ihnen die neuen Schwarzhemden vorbeimarschieren. 17 Dieser kurz skizzierte Handlungsbogen wird durch sich über die ganze Leinwand erstreckende Erläuterungen in Abschnitte unterteilt sowie weitergeführt. Die Hinweise sind knapp formuliert und geben über den Bildinhalt hinaus gehende Zusatzinformationen, z. B. «La Sicilia era ancora sotto il dominio borbonico, che opponeva, al crescente odio dei popoli, regimenti di mercenari stranieri.» / «La rivolta di Palermo era soffocata nel sangue, ma le distruzioni e le stragi non facevano che accrescere l’accorrere dei ‹picciotti›.» / «Le bande ribelli si annidavano sui monti in attesa del liberatore Giuseppe Garibaldi.» Bei der Verschriftlichung des Geschehens handelt es sich um einen aus der Stummfilmzeit beibehaltenen Explikationsmodus. 18 Garibaldi ist nur in drei sehr kurzen Szenen und selbst in diesen aufgrund der geringen Einstellungsgrößen kaum sichtbar: bei der Abfahrt der tausend Rothemden in Holzbooten von Quarto aus; im Stehen Brot und Käse essend bei einer Besprechung im Heereslager und zu Pferd vor der Schlacht von Calatafimi. Damit wird er als unprätentiöse, realitätsnahe Führungspersönlichkeit gekennzeichnet, doch spezifische Charakteristika seiner Person, Details seines Marsches von Marsala nach Palermo und seiner militärischen Strategie bleiben ausgeblendet; spürbar wird allein der ihm vorauseilende Nimbus. 19 Nur so war es - im Gegensatz zur permanenten Präsenz anderer Visualisierungen (wie des Porträts Benito Mussolinis) in der Epoche der Diktatur - möglich, eine ikonografische Offenheit und Mehrdeutigkeit zu bewahren und dennoch den Mythos des Kämpfers zu stärken. Ganz ähnlich wird mit Carlo Pisacane verfahren: Der Leutnant und Radikalrepublikaner, der sich am I. Italienischen Unabhängigkeitskrieg in der Lombardei und der Gründung der Römischen Republik beteiligt hatte, neben Garibaldi einer der zentralen Verfechter und Kämpfer für die nationale Idee in Italien zur Zeit des Risorgimento, ist nur in einer gerahmten, an einer Wand hängenden Abbildung sichtbar. 20 Durch wesentlich mehr Präsenz heben sich Carmeliddu und Gesuzza ab. Carmeliddu, etwas hager und groß gewachsen, wird als aktiver, pflichtbewusster, aufmerksamer und - anhand des Weges in den Norden und über seine Teilnahme an der Schlacht - unerschrockene und patriotische Persönlichkeit gezeichnet. Das Verhalten Gesuzzas mit ihren etwas weicheren Formen lässt sich als treu, anhänglich, im Kampf gegen die Unterdrücker couragiert und standhaft beschreiben: Sie kümmert sich um Kranke und tröstet 2_IH_Italienisch_69.indd 62 2_IH_Italienisch_69.indd 62 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 6 3 Katrin Schmeißner Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation einen Sterbenden. Das junge, innig verbundene Paar ist Teil einer Familie, die auch vor Opfern nicht zurückschreckt: Der Sohn und ihr Vater sterben während der bewaffneten Auseinandersetzungen mit den Besatzern. Eine ähnliche Bedeutung wie den einzelnen Familienmitgliedern kommt dem Pfarrer durch seine Position in exponierter Stellung zu, hält er doch zu den Landarbeitern. Er gibt ihren Aktivitäten eine Richtung und geht unbeirrt seinen Aufgaben an ihrer Seite nach. Über Carmeliddu, Gesuzza und ihren Sohn, die den festgeschriebenen Rollen im rückständigen, traditionell-bäuerlich geprägten Sizilien entsprechen, inszeniert das Werk die Familie als Kern der Gesellschaft und transportiert somit ein wesentliches Element faschistischer Ideologie. Weitaus stärker als durch diese - charakterlich nicht vertieften - Einzelpersonen ist der Film durch drei große Menschengruppen gekennzeichnet: die der Aufständischen, die des Bourbonenheeres und die der Truppen Garibaldis. Ob die aufständischen Dorfbewohner, die Besatzer oder die Garibaldi- Truppen fokussiert werden, sie sind immer in Bewegung. In nahezu jeder Szene sind Menschen diskutierend, laufend, hervorstürmend, reitend, flüchtend, kämpfend zu sehen. 21 Dadurch entsteht der Eindruck eines nicht zu bremsenden Aktionismus. Hervorgehoben wird dieser noch durch die Kameraführung: Sie fixiert voraneilende Aufständische, das Heer oder Truppen oder schwenkt auf marschierende Heereszüge als Diagonale durchs Bild. Im Gegensatz dazu steht das Zeigen von Starrem, ein häufiges Einblenden von Personenporträts frontal oder im Profil (betont Mimik), die auf den konträren Aspekt der Ruhe abzielen. Deswegen ist der scheinbar einem Vertreter der armen Unterschicht gewidmete Film genauer einer über die aufbegehrenden Dorfbewohner und damit über das aktiv für die Einheit des Landes und Selbstbestimmung kämpfende Volk 22 in einem historischen Moment des Umbruchs. 23 Primär vermittelt er den optimistischen Glauben an die handlungsfähige Masse - von ihr ausgehend stellt Blasetti den Dienst am Heimatland vor individuelle Wünsche, feiert den Kampfesgeist für das Vaterland wie die Befreiung von der Fremdherrschaft und forciert so entschieden die italianità. 24 Trotz der aufgezeigten regimekonformen Aspekte ist 1860 einer der ersten und beachtenswertesten Versuche, Charakteristika des Realismus auf die Darstellung vergangener Epochen anzuwenden und einen gewissen Zeitabschnitt möglichst wirklichkeitsnah wiederzugeben. Dazu bediente sich der Regisseur mehrerer Mittel. Er bevorzugte die angesichts des Kulissenkitsches der Zeit höchst innovativen Außenaufnahmen einer authentischen Realität. 25 Deshalb erfolgte der Dreh tagsüber allein bei völlig gleichmäßig einfallendem Licht ohne direkte Sonneneinstrahlung. Nachts wurde auf große Feuer oder Fackeln zum Erhellen der Umgebung zurückgegriffen. 26 Bei Aufnahmen in Innenräumen wurde der Lichteinfall von außen gezeigt, weitere Lichtquellen 2_IH_Italienisch_69.indd 63 2_IH_Italienisch_69.indd 63 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 6 4 Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation Katrin Schmeißner sind mit Ausnahmen von Kerzen nicht sichtbar. Auch hier arbeitete man - trotz des entscheidenden Augenmerks, das a priori dem Licht galt - zumindest zugunsten eines natürlichen Eindrucks. Unter Ausblendung von Städten, kultivierten Gebieten oder Straßen 27 betont die Kameraführung immer wieder das unberührte, rissig-spröde Element der natürlichen Umgebung. 28 In den Blick geraten (in Totale oder Halbnah) eine karge, nahezu vegetationslose, flache Landschaft, zerklüfteter Steinboden mit nur wenigen Wiesen, ein einziger Fluss, große, verästelte Feigenkakteen (in Nahaufnahme), Klippen, das Meer. Vor diesem hellgrauen, fast weißen, leblos-reduziert wirkenden Hintergrund, 29 über dem sich ein weiter Himmel erstreckt, heben sich allein ärmliche Häuser ab. Die dadurch erreichte besondere Detailarmut macht den Blick frei für die hier agierenden Menschen: 30 Die Expressivität ihrer durch den bäuerlichen Alltag geprägten Gesichter, die traditionelle Kleidung der Männer mit Hemden und grobem Fellüberwurf, die langen, weiten Kleider der Frauen. 31 Allein durch das passende Arrangement dieser einzelnen Bildelemente mit ihrer betonten Stofflichkeit wird eine bemerkenswerte visuelle Eindringlichkeit erzielt. So besticht der Film mit einer aus der Komposition und einer figurativen und plastischen Sensibilität 32 resultierenden s / w-Ästhetik, die G. Sadoul zu Recht als «perfetto esercizio di stile» bezeichnete. 33 Nahezu alle Aufnahmen wurden mit Laiendarstellern gedreht, besonders die Protagonisten unter Nicht-Professionalisten ausgewählt: Aida Bellia spielte Gesuzza, Giuseppe Gulino Carmeliddu, Gianfranco Giachetti den Vater Costanzo, Mario Ferrari den Colonello Carini. Als Schauspieler überzeugen sie mit einer ungekünstelten, eindringlichen Emotionalität und Spontanität. Darüber hinaus galt das Augenmerk der Kamera erstmals Frauen und armen Bauern, die bis zu diesem Moment im Film unbeachtet geblieben waren. Dass sich der Blick nun auch für neues Personal öffnete, ist dem Kult eines Italia minore unter Dichtern, Malern und Filmemachern geschuldet; beim Publikum hingegen zielte er auf die Anhänger des fascismo di sinistra ab. Die Vorliebe für die Präsentation des Realen schlug sich auch im aufgenommenen Sprachgewirr nieder. 1860 vermittelt die Pluralität der Sprachen vor der italienischen Einheit: Während Carmeliddu und Gesuzza sizilianischen Dialekt sprechen, sind die Genueser im Genuseischen und die Garibaldi- Anhänger und die Camicie rosse in verschiedenen anderen Mundarten zu hören. «Soprattutto questo film offre, come un’eccezionale partitura sinfonica dialettale, capace di armonizzare, in un unico spazio, la pluralità delle parlate italiane [...]: c’è il dialetto dei torinesi che si manifesta, attraverso le parole della Bella Gigugin e quello veneto 2_IH_Italienisch_69.indd 64 2_IH_Italienisch_69.indd 64 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 6 5 Katrin Schmeißner Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation che troviamo esemplarmente fissato nella frase del volontario che giunge a Quarto accompagnato dalla mamma (‹no sta a piànser, mama, che xe i compagni qua che…›). E c’è un dialetto siciliano in parte italianizzato: ‹Figghiu meo! Figghiu meo! L’amazzarono! …›, ‹Carmeniddu che fu ’a paese? ›» 34 Zudem verständigen sich die Besatzer auf Deutsch bzw. Französisch. Ganz der filminternen Logik folgend, werden ihre Befehle an die einheimische Bevölkerung von einem der jeweiligen Truppe angehörigen Sprachverständigen übersetzt. 35 Zugleich folgte Blasetti mit der Kamera nicht vorrangig dem Blick eines Protagonisten, sondern einer Vielzahl der Involvierten. So gibt er den Blick Carmeliddus und des Vaters auf Gesuzza wie den des Pfarrers frei. Er lässt aber auch diejenigen von Bauern auf die Opfer der Kämpfe, wie den einer einfachen Frau, nicht aus. Insofern zielt die subjektive Kamera (Point-of-viewshot) - auch wenn sie die schauende Person frontal zeigt und den Zuschauer damit direkt anspricht - nicht auf eine starke emotionale Beteiligung oder gar Identifikation des Betrachters. Mit den einzeln genannten Techniken verzichtet Blasetti konsequent auf den perzeptiven Reichtum eines traditionellen Historienfilms. Als Resultat führen gerade der simple Plot mit einer schlichten Metaphorik und die bewegten, aber visuell essentiellen Bilder zur Eindringlichkeit des Films. 36 Trotz der verschiedenartigen Ansprüche an das Werk wie der Fiktionalisierung der Vergangenheit mit persuasiver Funktion und Blasettis ‹Experimentieren› mit vergleichsweise neuen cineastischen Mitteln vermittelt es erstaunlicherweise vor allem eins: einen homogenen Gesamteindruck. Unter filmgeschichtlicher Perspektive ist darauf zu verweisen, dass der Realismus in der cineastischen Tradition Italiens seit den ersten documentari nie völlig verschwunden war. 37 Leo Longanesi forderte im Entstehungsjahr von 1860 in Italiano einen Dreh ohne Drehbuch, da einfache Aufnahmen auf der Straße seines Erachtens nach völlig ausreichten. Diese Diskussion wurde von Alberto Lattuada und Luigi Comencini, von Cesare Zavattini und Ennio Flaiano fortgesetzt. 38 In der intellektuellen Debatte um einen filmischen Realismus war so Blasettis ‹Stellungnahme› gleichsam vorgeprägt: Im Zusammenhang mit dieser Entwicklung erschließt sich der erste umfassende Versuch, ein (so dies überhaupt innerhalb der gegebenen Einschränkungen möglich war) nicht stilisiertes, unkonventionelles Bild der Insel zu entwickeln ebenso als das Anknüpfen an eine Tradition. Dass damit aber keineswegs feststand, welche Realität als ‹realistisch› zu definieren und also für die Aufnahmen geeignet sei, zeigen Details im Film, die während des Produktionsprozesses umstritten blieben und einseitig wirken können. Den Charakter eines Novums kann 2_IH_Italienisch_69.indd 65 2_IH_Italienisch_69.indd 65 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 66 Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation Katrin Schmeißner Blasetttis Hinwendung zum Realen gleichwohl für sich beanspruchen, da sie sich in einer Vielzahl verschiedener Merkmale manifestiert. III. Rezeption, Revision und Aktualisierung Beworben als «superfilm che esalta la gesta garibaldina in Sicilia», in Neapel im November 1933 erstaufgeführt, wird der Film von Journalisten wie Autoren positiv, aber nicht unkritisch aufgenommen. Davon zeugen Stimmen wie die Corrado Alvaros, der in der Nuova Antologia über ihn schreibt, dass er auf ungewöhnliche Weise das sizilianische Ambiente einfange und dies als einen entscheidenden Vorzug preist: «Vi sono alcune scene di 1860 veramente di prim’ordine: quelle case solitarie su gli altopiani della Sicilia, le poche case dei villagi che bastano a formare la faccia secolare d’un viccolo, e i cavalli e i ragazzi e le donne nei loro mantelli neri, con quegli attegiamenti che nessun attore potrà mai imitare, e quei visi che si levano come da un abisso di anni sempre giovani e immortali; tutto quello che è autentico in questo film è importante, e mostra quali possibilità offre il paesaggio italiano, del tutto inesplorato, alla cinematografia italiana. […] Non dico che 1860 sia tutto riuscito, ma è la cosa più notevole dell’ultima cinematografia italiana, e […] potrebbe segnare un punto di partenza.» 39 Unabhängig von seinem Lob spart er aber auch nicht mit Zweifeln oder gar Kritik, die - wie bei anderen Rezensionen auch - darauf abzielt, dass der Film nicht an einem internationalen Maßstab gemessen werden könne und keinem nicht italienischen Publikum gerecht werde. «Mettiamoci dal punto di vista d’uno spettatore straniero. La nascita di questo avvenimento, l’incentivo alla lotta, la giustificazione infine, del dramma, l’episodio rivelatore di uno stato d’animo egli lo cercherebbe inutilmente. Non si può dare per accettata a meno che non se ne voglia fare una celebrazione retorica, la giustezza d’una causa e d’una rivoluzione come quella siciliana; occorre determinarla […]. Credo che uno spettatore, ignaro della nostra storia, rischi di non rimanere abbastanza convinto.» 40 Wie verschieden auch immer die Bewertung des Films ausfiel, seine bahnbrechende Leistung konnte ihm nicht abgesprochen werden. Gleichwohl blieb 2_IH_Italienisch_69.indd 66 2_IH_Italienisch_69.indd 66 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 67 Katrin Schmeißner Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation er ein singuläres Phänomen ohne unmittelbar nachfolgende, qualitativ gleichwertige Werke; 41 die Idee einer italienischen Filmschule geriet in Vergessenheit. 1941 hoben Massimo Mida und Fausto Motesani Blasettis Werk in einem journalistischen Beitrag als «beispielhaft» hervor, als Aushängeschild des cinema nazional-popolare erhält es schnell den Status eines Klassikers. Aufstrebende Cineasten begannen, den Film für sich zu erschließen. Hier erwies er sich in mehrerer Hinsicht als richtungsweisend: Mit seinen auf Realismus abzielenden Inzenierungsstrategien stellte er die Gestaltungsprinzipien für den Neoralismus (etwa für Giuseppe De Santis, Pietro Germi und Vittorio De Sica) bereit. Er gab die Hinwendung zu ländlichen Gebieten, wie in Il canale degli angeli von Francesco Pasinetti und Lucchino Viscontis Ossessione vor. 42 Seine auf das Fassbar-Stoffliche setzende Gestaltung ermöglichte «das sinnliche Erleben», «die Sinnlichkeit und Sinnenform eines menschlichen Individuums» in Viscontis La terra trema. 43 Nicht zuletzt findet sich die ihn bestimmende Personenkonstellation (Paar, Pfarrer versus Besatzer) - wenn auch gänzlich anders ausgestaltet - in Roma, città aperta wieder. Abgesehen davon wird der Film 1951 wiederholt in den Kinos gezeigt, diesmal mit dem angefügten Untertitel I mille di Garibaldi. 44 Noch einmal erschien es von Nutzen, an vergangene, den jetzigen ähnliche Momente zu erinnern («rievocare momenti perfettamente analogici con quelli che viviamo») und das Nationalgefühl zu stärken («e rinforzare la coscienza popolare di oggi»). 45 Die Wiederaufführung, für die abermals Blasetti verantwortlich war, lag nun in den Händen der Produktionsgesellschaft Nembo Film, die von der Cines die Rechte für 1860 erworben hatte. Ihr Ziel der Bekanntmachung des Werkes bei einem inwie ausländischen Publikum, der entschiedene Wille zu einem «lancio che porti questa opera - valida forse più di quando fu prodotta - a conoscenza del grande pubblico italiano e straniero», war keineswegs neu. 46 Am Film wurden einige Veränderungen vorgenommen: Er wurde musikalisch anders unterlegt, einige Szenen gekürzt, das moderne Ende entfernt, am Schluss einige Aufnahmen eingefügt. Die aktualisierte, ‹neutrale› Version passte erneut zur unmittelbaren politischen Vergangenheit Italiens: hatte doch die Befreiung Italiens vom Faschismus durch die amerikanischen Truppen von Süden her stattgefunden. IV. Neue Methoden der Anverwandlung des Sujets Auf die aktualisierte Version von 1860 folgten weitere neue Filme, die sich dem Risorgimento widmeten: Verwiesen sei auf Il brigante di tacca del lupo von Pietro Germi (1952), Camicie rosse (1952) von Goffredo Alessandrini und Francesco Rosi und vor allem auf den 1953 entstandenen Senso von 2_IH_Italienisch_69.indd 67 2_IH_Italienisch_69.indd 67 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 6 8 Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation Katrin Schmeißner Visconti, den ersten Film, der den Nationen- und Garibaldi-Mythos hinter sich ließ. 47 Hervorzuheben gilt es auch Roberto Rossellinis Viva l’Italia von 1961. Rossellini folgt, wie auch Blasetti, einem didaktischen Impetus, allerdings mit einem anderen Ziel. In einem deutlichen intertextuellen Verweis setzt er am Anfang des Films Kirchenglocken wieder ein, die in 1860 die Bourbonen entfernten, damit mit ihnen keine Signale zum Aufstand übertragen werden können. So macht er die Massen zum wirklichen Träger der Handlung, da ihnen nun auch die Handlungsmittel wieder gegeben sind. Ebenso wieder eingesetzt wird Garibaldi: als schon alternder, großzügiger, ruhiger und (selbst-)bewusster Führer der tausend Rothemden. Wie aus dem unverschleierten Spiel mit Versatzstücken resultiert die Kraft seines Films (neben der Darstellung des Risorgimento in Legendenform und einer Poetik «in sintonia con i vinti della storia» 48 ) auch aus der rigorosen Neudeutung des Protagonisten jenseits des bisherigen Stereotyps. Rossellini kehrt so mit seinem Entwurf eines menschlich-allzumenschlichen Garibaldi zu einer Perspektive auf den General zurück, die schon am Anfang der Überlegungen zu einem Drehbuch für 1860 gestanden hatte. Abstract. Quando il regime fascista, nella fase del suo consolidamento dall’inizio fino alla metà degli anni venti aveva bisogno di modelli storici, spettava particolarmente al cinema l’adeguata presentazione ideologica degli stessi. Fra i temi trattati per quanto riguarda il contenuto della produzione cinematografica, c’era oltre alla presentazione delle colonie, al dar rilievo alla gloria nazionale e all’agitazione anticomunista, l’adattamento cinematografico del Risorgimento che diventava sempre più popolare. Queste produzioni cinematografiche con guerre, scaramucce ed eroi pronti a sacrifici ampliavano i limiti del repertorio narrativo del melodramma borghese risp. del riadattamento cinematografico. L’indispensabilità storica della successione del Risorgimento e del fascismo mostrata nei film patriottici come I martiri d’Italia, Redenzione d’anime, Un balilla del ’48, Nostra patria, Garibaldi e i suoi tempi la rendeva utile alla propaganda fascista. Fra i film menzionati si distingue bene la pellicola 1860 di Alessandro Blasetti: questo film, una ripresa sottile di concetti conformi al regime, è caratterizzato allo stesso modo da un gesto molto innovativo. Critici lo considerano come anticipatore del neorealismo. Un’analisi precisa della nascita del film dalla sceneggiatura alla produzione finale mostra come Blasetti oscilli fra concetti conformi al regime e l’indipendenza artistica, fra radicamento alla tradizione e l’insistere all’innovazione unendo così consapevolmente diverse componenti dello spirito del tempo. 2_IH_Italienisch_69.indd 68 2_IH_Italienisch_69.indd 68 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 6 9 Katrin Schmeißner Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation Anmerkungen 1 Vgl. auch: Claudio Modena, Giuseppe e Anita Garibaldi. Una storia d’amore e di battaglie. Roma: Editori riuniti 2007. 2 Die Expressivität der Körpersprache wird besonders deutlich, wenn man den Film mit deutschen Produktionen dieser Zeit vergleicht, z. B. denen des Filmpioniers Guido Seeber. 3 Vgl. Aldo Bernardini, «Dai baracconi alla conquista del mondo», in: Ente Cinema (a cura di), La città del cinema, Roma: Skira 2002, S. 56. 4 Vgl. ebd. 5 Als Vorläufer des neorealismo gelten u.a. die Filme Sperduti nel buio (Nino Mertoglio, 1916), Assunta Spina (Gustavo Serena, Francesca Bertini, 1915) und aus der Zeit des Faschismus Alessandro Blasettis Sole (1928), Quattro passi tra le nuvole (1942) sowie Mario Camerinis Rotaie (1929). 6 Vgl. Aldo Bernardini, «Dai baracconi alla conquista del mondo», S. 50. 7 1934 beendete die Cines ihren zweiten produktiven Zyklus. 8 Vgl. Gino Mazzucchi, «Com’è nato il soggetto del film garibaldino», in: 1860: Un film di Alessandro Blasetti. Testimonianze e documenti, Roma: Cineteca Nazionale 2007, S. 5. 9 Emilio Cecchi selbst verwies Blasetti auf Cesare Abbas Noterelle. Vgl. Adriano Aprà (a cura di), Alessandro Blassetti. Scritti sul cinema. Venezia: Marsilio Editori 1982, S. 199. 10 Solito war auch Hauptredakteur der Zeitschrift Cinematografo, die Blasetti seit Ende der zwanziger Jahre leitete. 11 «Ora. Palermo 28.09.1912», in: 1860: Un film di Alessandro Blasetti, S. 9. 12 Für Blasetti war das Entstehen eines Films eine kollektive Angelegenheit («arte collettiva»), und nicht nur die des Regisseurs. Das zeigt sich auch an den Arbeiten von 1860. Vgl. Gianfranco Gori, Alessandro Blasetti, Firenze: La Nuova Italia Editrice 1984, S. 36. 13 Brief von Blasetti an Cecchi. 08.12.1932. In: 1860: Un film di Alessandro Blasetti, S. 10. 14 Die Produktionskosten für den Film lagen bei 1.300.000 Lire. Bereits sie allein ließen das Werk zu einem Kolossalfilm unter den italienischen Produktionen werden. 15 Brief von Blasetti an Cecci. 04.01.1933. In: 1860: Un film di Alessandro Blasetti, S. 17. 16 Gabo, «Dal fuoco delle armi a quello dell’obiettivo». In: Ebd., S. 19. 17 Der Regisseur stand dem Faschismus in dieser Zeit nahe. Die Schwierigkeit, das Sujet so zu gestalten, dass es das ihn als Nachfolger des Risorgimento vermitteln konnte, zeigt sich auch an der Vielzahl provisorischer Titel für den Film. Vorgeschlagen wurden: Garibaldi, Calatafimi, L’ondata rossa: un epopea Garibaldina, La grande avventura. 18 Er galt im Moment der Entstehung des Werkes schon als wenig zeitgemäß. Denn der Tonfilm war 1922 erfunden worden und hatte sich bis 1936 weitestgehend durchgesetzt. 19 Z.T. wird die Euphorie über die Gegenwart bzw. Ankunft des Freiheitshelden mit einer simplen Metaphorik verdeutlicht: Während anfangs nur kahle Bäume auf Sizilien zu sehen sind, beginnt mit Garibaldis Anwesenheit der Frühling. Sobald er sichtbar ist, wird ein blühender Zweig eingeblendet, vor der endgültigen Schlacht sommerliches, belaubtes Gehölz. 20 Seine Position als Verfechter eines «risorgimentalen Sozialismus» und seine Propaganda der Tat erklären hier seine Vereinnahmung. Vgl.: Ugo Dotti, Dissidenti del Risorgimento. Cataneo, Ferrari, Pisacane, Roma: Laterza 1981. 21 Das Ewige, Starre der Insel wird von ihm gleichsam gegen den Moment der Unruhe bei der Erhebung bzw. dem Kampf für die Einheit gesetzt. Visuell inszeniert Blasetti den ganzen Film hindurch die Dichotomie zwischen Permanentem und punktuellem Ereignis. 22 Das wird auch von der Sekundärliteratur betont, vgl. Gori 1984, S. 40. 2_IH_Italienisch_69.indd 69 2_IH_Italienisch_69.indd 69 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 70 Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation Katrin Schmeißner 23 Hiermit setzte Blasetti der These nach zu geringer Einbindung der Masse in Einigungsprozess Italiens ein anderes ‹Bild› entgegen. Er stellte später die Absicht der Darstellung der Anstrengungen, die zum Risorgimento führten, auch in den Vordergrund: «Avevo solo lo scopo di dire attraverso quali sforzi, quali sacrifici fu fatta l’Italia, questa strana storia italiana di disordine, di sconclusione, di continua polemica, di divisione fra regione e regione (…). In cui però alla fine resta sempre qualcosa che unisce […]. Questo è quello che volevo fare.» In: Franco Prono (a cura di), Alessandro Blasetti: Il cinema che ho vissuto, Roma: Dedalo Ed. 1982, S. 220. 24 Blasetti bekannte sich auch zu den vom Film vermittelten Werten: «Noi educatori di pellicole abbiamo, a un certo punto, di fronte alle masse spettatrici, la responsabilità di ciò che loro diamo e anche quella di ciò che non diamo, in questo senso: non basta non essere immorali, scettici, pessimisti, non basta far commuovere o divertire; occorre anche sostanziare di contenuto questa materia che le folle, nella loro sete di distrazione, corrono ad assimilare, rieducare nel mondo i sensi idealistici, religiosi, la sana politica […].» In: Alessandro Blasetti, «Camicie rosse in Sicilia», in: 1860: Un film di Alessandro Blasetti, 2007, S. 26f. 25 Siehe dazu auch die vorangehenden Polemiken in der von ihm herausgebenen Zeitschrift Cinematografo. Vgl. Alessandro Blasetti, Cinematografo. Come nasce un film. 1931-32. Roma: o.A. 26 Zum Licht siehe Richard Blank, Film und Licht. Berlin: Alexander 2009, S. 37 ff. Daneben betont der Regisseur mit der Kameraführung immer wieder die einzelnen Elemente wie am Filmanfang das Feuer, später das Wasser (Fluss, Meer), dann die Erde. 27 So entwirft Blasetti letztlich einen Kontrapunkt zum zivilisierten Raum, ein facettenloses Gemälde des archaischen, ländlich geprägten Sizilien. Damit präsentiert er eine Situation, die auf der Insel, die seit 1734 zum Regno delle due Sicilie gehörte, in einer solch radikalen Ausprägung ohne Zweifel zu finden war. Die Kluft zwischen Landproletariat sowie der den Boden besitzenden Aristokratie war durch verändert gesetzlich festgelegte Landnutzungsrechte 1824 kaum behoben worden. Andererseits hatte Sizilien vor der Einigung Italiens nicht nur Weizen bis nach Neapel, England, Portugal und Frankreich exportiert, sondern daneben eine entscheidende wirtschaftliche und industrielle Entwicklung erlebt und war mit seinen ca. zwei Millionen Einwohnern eine vergleichsweise reiche Region. Neben dem Getreideanbau prägte es der Handel mit Schwefel, Marmor und Agrumen; bei der Exposition Universelle de la Science in Paris 1856 war es sogar als drittindustrialisierter Staat Europas geehrt worden. Vgl. Finley, Moses/ Mack Smith, Denis / Duggan, Christopher, Geschichte Siziliens und der Sizilianer, München: Beck 1998, S. 335 ff. 28 Vor dem Hintergrund der Forderung nach einen neuen Realismus ist auch die spezifische Aufmerksamkeit Blasettis für Sizilien zugleich der Versuch, eine bisher zum Teil noch unbekannte Region zu entdecken. Obgleich die öffentliche wie intellektuelle Debatte um die Situation Süditaliens und die Bewegung des meridionalismo mit Verfechtern wie Leopoldo Franchetti, Giogio Sidney Sonnino und Giustino Fortunato bereits in die Vergangenheit zurückreichte und Benedetto Croces diesbezügliches Engagement in der Storia del Regno di Napoli (1923) nicht übersehen werden konnte, galt dieser Problematik nicht die Aufmerksamkeit Blasettis. Ihm ging es keineswegs um eine sozialkritische Milieustudie. Vgl. Blasetti parla dei suoi film, Francesco Savio 1974, Italien. 29 Die Hinwendung zum Landschaftlich-Dörflichen zeigt sich auch in der Farbgebung: Sizilien wird hell bzw. weiß und damit unbefleckt gezeigt, Norditalien dunkler. 30 Vgl. C. Pacioli, «Alessandro Blasetti», in: http: / / www.pacioli.net, 25.10.2011 Blasettis programmatisches Ablehnen alles Spektakulären und sein Verzicht auf grandiose Töne verdankt sich dem Einfluss Eisensteins. 2_IH_Italienisch_69.indd 70 2_IH_Italienisch_69.indd 70 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 71 Katrin Schmeißner Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation 31 Der Regisseur lehnte sich motivisch insbesondere an Giovanni Fattori (1825-1908) an. In der Tat ähneln Blasettis Dorf- und Schlachtenszenen Bildern wie Battaglia a Magenta (1861), La battaglia di Montebello (1968) und In vendetta (1870) des Macchiaioli- Künstlers sowohl in der alltäglich-heroischen Stimmung, der Position der Figuren, ihrer Haltung und Kleidung. Dass in diesem Zusammenhang der sorgsam arrangierten Kostümierung der Schauspieler besonderes Augenmerk galt zeigt, dass die Kostüme von der renommierten Casa Caramba - die für die Ausstattung der bedeutendsten nationalen und internationalen Theater wie die Scala, die Opera in Rom und das Metropolitan in New York verantwortlich war - gefertigt wurden. 32 Vgl. Martin Seel, Die Macht des Erscheinens. Texte zur Ästhetik, Frankfurt/ M.: Suhrkamp 2007, S. 155 f. 33 Vgl. Blasetti parla dei suoi film, Francesco Savio 1974, Italien. 34 Gian P. Brunetta, Cent’anni di cinema italiano. Bd. 1, Bari: Laterza 2003, S. 241. 35 Im Gegensatz zur sprachlichen Komplexität steht die akustische Untermalung des Films: Zu Beginn des Films sind nur hin und wieder Naturgeräusche, die Trommeln des Bourbonenheeres, Stimmen und knappe Dialoge hörbar. Erst mit dem sich ankündigenden Sichtbarwerden Garibaldis folgen patriotische Gesänge und ein Unterlegen mit Musik. 36 Vito Zagarrio bezeichnet diese Eindringlichkeit treffend als «elemento mitico-fiabesco», in: Vito Zagarrio, «La mappa immaginaria per una rivisitazione di luoghi e topoi degli anni trenta», in: Ente cinema 2002, S. 114. 37 Er manifestierte sich danach in der 1910 vor allem von Giovanni Vitrotti und Luca Comerio ausgehenden Dokumentarfilmschule. In der Folge wurde er vor allem bei solchen Initiativen beibehalten, die sich der süditalienischen Kultur widmeten. Beispiele dafür sind La zolfara, Feudalesimo und Un dramma alla masseria von Alfredo Robert (1912). Nicht allein mit dem Sujet, sondern auch mit den stilistischen Merkmalen wandte man sich in dieser Zeit der Lebenswirklichkeit zu. Außenaufnahmen waren recht häufig und blieben es auch in den folgenden Jahren (wie in Sperduti nel buio von 1914). Dieser und weitere Filme wie Fenesta ca lucive (1914) sowie L’emigrante (1915) bildeten die Grundlage für ein cinema popolare realistischer Prägung, das in Italien gegen Beginn der zwanziger Jahre mit Produktionen des genere napoletano wieder aufkam. Vgl.: Aldo Bernardini, «Dai Baracconi alla conquista del mondo», in: Ente Cinema 1995, S. 58. 38 Brunetta schreibt diesbezüglich: «Di fatto non si può capire la morfogenesi del neorealismo senza tener conto del fatto che il realismo era un obiettivo e una parola d’ordine comune a fascisti e antifascisti, né ignorare il dibattito culturale che, verso la fine degli anni venti, coinvolge intellettuali militanti fascisti e antifascisti ed ha, come contesto naturale, il tramonto delle avanguardie europee.» In: Brunetta 2003, S. 237. Daneben hatte Blasetti in seinen Beiträgen für verschiedene Filmjournale bereits die Grundzüge seiner wirklichkeitsorientierten Filmästhetik entworfen, wo er auch ihre Umsetzung von der neuen Generation an Regisseuren forderte. Vgl. Alessandro Blasetti, «Come si scrive un soggetto», in: Aprà 1982, S. 141-148. 39 Corrado Alvaro, 1860, in: 1860: Un film di Alessandro Blasetti, S. 24. 40 Ebd., S. 25. 41 Konkreter zu den einzelnen Strömungen des Realismus führt Brunetta aus: «Agli inizi degli anni trenta, per la verità, le strade per il realismo addirittura si triforcano: da una parte vanno i teorici come Barbaro […], dall’altra marcia Blasetti che si sente investito direttamente dal […] compito di celebrare l’anima popolare e, lungo la terza via, si muove Camerini che, per primo, cerca di esplorare, parallelamente, la geografia degli spazzi urbani e quella degli spazzi mentali […]. La sua sarà la strada più seguita.» Vgl. Brunetta 2003, S. 244. 2_IH_Italienisch_69.indd 71 2_IH_Italienisch_69.indd 71 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 72 Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation Katrin Schmeißner 42 Dafür wird Blasetti trotz der regimetreuen Implikationen im Film auch anerkannt. Visconti beispielsweise bringt das in einem Brief vom Februar 1943 zum Ausdruck; zugleich lädt er den Regisseur ein, beim Schnitt seines eigenen Films mitzuwirken: «Caro Blasetti, […] ti posso assicurare che le vociferazioni dell’ambiente mi lasciano assolutamente indifferente, davanti all’enorme pregio che io attribuisco alla possibilità di discussione e di rapporti artistici e umani con un uomo e un artista quale tu sei. Vieni alla moviola di Ossessione quando vuoi. Mi troverai sempre enormemente riconoscente per ogni consiglio che vorrai darmi.» In: http: / / www.cinetecadibologna.it/ biblioteca/ pa 08.08.2012. 43 Vgl. Hermann Kappelhof, Realismus: das Kino und die Politik des Ästhetischen, Berlin: Vorwerk 8 2008, S. 71-77. 44 Außerdem läuft er drei Mal im italienischen Fernsehen. Vgl. Aprà 1982, S. 21. 45 Alessandro Blassetti, «Camicie rosse in Sicilia», in: 1860: Un film di Alessandro Blasetti, S. 25. 46 In: Ebd., S. 4. Im Ausland blieb der Film aber auch diesmal unbeachtet. Vgl.: http: / / cinema. Encyclopedie.personalites. bifi.fr/ index.php? pk, 25.10.2011. 47 1970 präsentierte Blasetti zudem Napoli 1860: la fine dei Borboni, einen Zweiteiler in s/ w für das Fernsehen. Ausgangspunkt ist abermals der Niedergang des Regno delle due Sicilie, der vom letzten Herrscher der Bourbonen beobachtet wird. Auch dieser Film zielte auf eine Neudimensionierung des Risorgimento- und Garibaldi-Mythos. 48 Barnaba Maj, Rossellini e l’impresa dei mille, Bologna: CLUEB 2009, S. 9. Bibliografie Filme Anita Garibaldi. Regie: Mario Camerini 1912, Italien. Blasetti parla dei suoi film. Francesco Savio 1974, Italien. Camicie rosse (Anita Garibaldi). Regie: Goffredo Alessandrini / Francesco Rosi / Luchino Visconti 1952, Italien / Frankreich. 1860. Versione restaurata. Finale prima versione. Regie: Alessandro Blasetti 1933, Italien. Roma, città aperta. Regie: Roberto Rossellini 1945, Italien. Viva l’Italia. Regie: Roberto Rossellini 1960, Italien. Primärliteratur Aprà, Adriano (a cura di): Alessandro Blassetti. Scritti sul cinema. Venezia: Marsilio Editori 1982. Blasetti, Alessandro: Cinematografo. Come nasce un film. 1931-32. Roma: o.A. Capuzzi, Giuseppe: La spedizione di Garibaldi in Sicilia. Memorie di un volontario. Palermo: Autores Editrice 2003. Garibaldi, Giuseppe: I Mille. Sassari: Carlo Delfino Editore 2007. 2_IH_Italienisch_69.indd 72 2_IH_Italienisch_69.indd 72 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 73 Katrin Schmeißner Zwischen Restriktion, Konformismus und Innovation Sekundärliteratur An.: 1860: Un film di Alessandro Blasetti. Testimonianze e documenti. Roma: Cineteca Nazionale 2007. 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I segni di permanenza sono la manifestazione tangibile di ininterrotta continuità abitativa e di durata storica: anche considerando i cambiamenti intervenuti nel tempo e la stratificazione dei livelli stradali, è evidente che la città di oggi, almeno in una sua parte, è la stessa città antica, che non è conservata in spazi a parte, ma è rimasta inglobata (e in parte riconoscibile) nella città che si è modificata nei secoli. Come sottolinea Aldo Rossi, l’identità di un luogo urbano si fonda non solo sulla conservazione dei monumenti, ma anche sulla persistenza della pianta e dei tracciati stradali. 1 A Napoli tali persistenze si rilevano anche attraverso indizi toponomastici: il nome di via Anticaglia allude per esempio alla presenza, un tempo molto più evidente, di costruzioni antiche: oggi ciò vale per il teatro romano, da alcuni secoli coperto da edifici, ma almeno in parte ancora visibile, e per le colonne del Tempio di Castore e Polluce che in piazza San Gaetano adornano la facciata di San Paolo Maggiore. I segni della città antica, insomma, ‹vivono› nella città attuale, di cui fanno parte, come elementi architettonici tuttora funzionali. La stessa cosa può dirsi, a maggior ragione, per gli edifici religiosi e per i castelli di epoca medievale. Nella continuità del locus si notano anche elementi di persistenza e di continuità linguistica. Proprio il parametro della continuità abitativa permette inoltre di sottolineare, già a prima vista, un elemento di variazione all’interno della città: alcune zone, infatti, sono abitate ininterrottamente da più di venti secoli, mentre altre sono state popolate in modo significativo negli ultimi secoli o, in qualche caso, negli ultimi decenni. In questo lavoro si intende appunto sottolineare che la città è al suo interno differenziata e che vi si riscontrano diversi gradi di conservazione del 2_IH_Italienisch_69.indd 75 2_IH_Italienisch_69.indd 75 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 76 Persistenze e variazione a Napoli Nicola De Blasi dialetto, che peraltro è molto presente nell’uso: in una situazione complessiva di conservazione, è possibile che il dialetto in alcuni quartieri sia più usato che altrove, prevedibilmente anche in rapporto al diverso profilo sociolinguistico dei parlanti e, in una certa misura, alla loro provenienza. Del resto proprio in rapporto alla provenienza degli abitanti e alle vicende demografiche della città è forse possibile interpretare sia la buona conservazione del dialetto nell’uso, sia il fatto che a Napoli non tutti parlino abitualmente il napoletano. 2 La conservazione del dialetto è pobabilmente da collegare, almeno in parte, alla stabilità degli abitanti 3 e all’identità dei luoghi, che per l’età moderna risalta con piena evidenza. In particolare è da sottolineare che la città nei secoli XVI-XIX ha subito un ampliamento molto ridotto. Un’idea di tale stabilità topografica si ricava dal confronto tra due immagini: la prima, che è del 1566, è la cosiddetta Pianta di Lafréry; la seconda è una pianta pubblicata nella Guida Baedeker del 1887. Figura 1: Pianta di Napoli incisa da Etienne Dupérac, edita da Antoine Lafréry (1566). Nonostante la diversa angolazione delle immagini, è evidente che l’area urbanizzata nella seconda metà del secolo XVI, coincide sostanzialmente con la 2_IH_Italienisch_69.indd 76 2_IH_Italienisch_69.indd 76 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 77 Nicola De Blasi Persistenze e variazione a Napoli città della fine del secolo XIX. Nel Cinquecento infatti Napoli assume una forma rimasta stabile per tre secoli: proprio nel 1566 è completata la realizzazione delle mura (visibili nella pianta di Lafréry) volute dal Viceré don Pedro de Toledo, che prima della metà del secolo aveva fatto edificare i Quartieri Spagnoli. Nella pianta dell’Ottocento si notano i pochi ampliamenti dell’area urbana: nella zona dell’attuale piazza Carlo III nel Settecento era sorto l’Albergo dei Poveri (indicato sulla pianta), mentre nell’area costiera occidentale, nella zona di Chiaia, si infittiscono le aree edificate. Figura 2: Pianta di Napoli (1887), inserita in Karl Baedecker, Italie. Manuel du Voyageur, Paris - Leipzig, 1887 In uno spazio stabile si modifica sensibilmente il numero degli abitanti: nel 1547 erano 212.000, 4 nel 1606 «un censimento effettuato per poter procedere alla distribuzione del pane segnalò 267.973 abitanti», 5 mentre nel 1871 la città contava circa 448.000 abitanti. A fine Ottocento, dunque, i cittadini vivono in una forte concentrazione abitativa, in cui diversi ceti sociali sono a stretto contatto negli stessi edifici. In questo contesto, come in altre grandi città dell’epoca moderna, l’ambiente abitativo tipico è il cosiddetto «palazzo microcosmo», in cui, pur in diversi piani e con spazi e comodità non uguali, si trovano in una situazione di contiguità abitanti di varia condizione sociale, 2_IH_Italienisch_69.indd 77 2_IH_Italienisch_69.indd 77 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 78 Persistenze e variazione a Napoli Nicola De Blasi economica e culturale. Dalla fine dell’Ottocento in poi, con gli interventi urbanistici del Risanamento e la costruzione di strade più ampie nel centro della città (via Depretis, corso Umberto, piazza Bovio ecc.), si è invece determinato lo spostamento di abitanti in zone di edificazione più recente. Nel corso del Novecento, con l’aggregazione nel 1927 di una serie di comuni limitrofi e con il sorgere successivo di nuove periferie, si è maggiormente intensificata la dislocazione degli abitanti in zone diversificate, alcune periferiche, altre residenziali. (l’attuale ampiezza della città si può vedere nella Figura 3). Per effetto del rinnovamento urbanistico, la città cambia aspetto e probabilmente gli stessi abitanti la percepiscono in modo diverso; un ricordo di Benedetto Croce, che si riferisce agli anni successivi alla guerra del 1915- 18, dà l’idea di quanto la città apparisse «alterata nella sua fisionomia»: «Quando ero ministro, nel ’20, essendo venuto una domenica a Napoli, nell’uscire da una tornata dell’Accademia Pontaniana proposi a un amico di accompagnarmi in una passeggiata da piazza Dante a piazza san Ferdinando, per via Toledo, perché avremmo fatto l’esperienza che nessuno mi avrebbe riconosciuto e nessuno mi avrebbe salutato. Così infatti accadde, laddove, negli anni precedenti alla guerra, a ogni passo si salutavano conoscenti ed amici e ci si soffermava a brevi scambi di parole». 6 Negli anni Venti Napoli non è più la piccola e concentrata città in cui è facile imbattersi in conoscenti con cui si condividono abitudini sociali e percorsi. Ciò almeno in parte dipende dall’ampliamento della città e dalle accentuate differenze tra una zona e l’altra. Già nel 1902 del resto un articolo della Domenica del Corriere sottolineava che Napoli dava l’idea di due città sovrapposte: «Alla Napoli d’un tempo con le sue feste, le sue credenze e le sue passioni s’è sovrapposta, a così dire, un’altra città che i forestieri prediligono, piena di comodi alberghi e di villini, ma quella schiettamente popolare è rimasta tal quale». 7 Un certo dualismo nell’area urbana risaltava, alla fine degli anni Cinquanta, in un saggio di Emilio Luongo e Antonio Oliva che descrivevano alcune zone come «isole»: «Come già si è osservato, accanto a una struttura urbana di tipo moderno, un’altra ne sopravvive, enormemente arretrata. Un 2_IH_Italienisch_69.indd 78 2_IH_Italienisch_69.indd 78 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 79 Nicola De Blasi Persistenze e variazione a Napoli dualismo analogo è riscontrabile in tutte le metropoli, ma a Napoli il fenomeno assume un carattere particolare: invece che in periferia, la parte depressa è situata prevalentemente nella zona centrale della pianta cittadina, corrispondente ai quartieri più antichi». 8 Questi due accenni sottolineano già a sufficienza la vocazione conservativa di alcuni quartieri del centro; a questi si sono aggiunte nel tempo le nuove periferie, mentre verso altri quartieri residenziali si è indirizzata l’immigrazione giunta a Napoli dalle province nel corso del Novecento e in particolare tra gli anni Cinquanta e Settanta (quando la città raggiunse un picco demografico di circa 1.200.000 abitanti). La presenza di una consistente percentuale di abitanti appartenenti da generazioni a famiglie napoletane ha forse meglio favorito in alcune zone una più evidente conservazione del napoletano come varietà corrente della comunicazione familiare e ambientale. In questo quadro, d’altro canto, anche coloro che non parlavano il napoletano come lingua materna hanno elaborato un’immagine positiva del napoletano, in particolar modo in rapporto alla sua larga presenza nella comunicazione artistica (canzone, teatro, poesia); ciò del resto è confermato dal largo successo e dall’enorme popolarità di attori, autori, cantanti di primo piano, molto noti anche al di fuori di Napoli (da Eduardo De Filippo a Massimo Troisi, da Salvatore Di Giacomo a Sergio Bruni e ad altri ancora in attività), ma anche dalla popolarità locale di artisti che trovano in ambito cittadino notevole e meritato successo (riecheggiato da emittenti televisive e radiofoniche locali). La maggiore conservatività di alcune zone cittadine è probabilmente una delle caratteristiche che permisero a Pier Paolo Pasolini di formulare questa sua riflessione: «Io so questo: che i napoletani oggi sono una grande tribù, che anziché vivere nel deserto o nella savana, come i Tuareg o i Beja, vive nel ventre di una grande città di mare. Questa tribù ha deciso - in quanto tale, senza rispondere delle proprie possibili mutazioni coatte - di estinguersi, rifiutando il nuovo potere, ossia quella che chiamiamo la storia, o altrimenti la modernità. [...] La vecchia tribù dei napoletani, nei suoi vichi, nelle sue piazzette nere o rosa, continua come se nulla fosse successo, a fare i suoi gesti, a lanciare le sue esclamazioni, a dare nelle sue escandescenze, a compiere le proprie guappesche prepotenze, a servire, a comandare, a lamentarsi, a ridere, a gridare, a sfottere; nel frattem- 2_IH_Italienisch_69.indd 79 2_IH_Italienisch_69.indd 79 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 8 0 Persistenze e variazione a Napoli Nicola De Blasi po, e per trasferimenti imposti in altri quartieri (per esempio il quartiere Traiano) o per il diffondersi di un certo irrisorio benessere (era fatale! ), tale tribù sta diventando altra. Finché i veri napoletani ci saranno, ci saranno, quando non ci saranno più, saranno altri (non saranno dei napoletani trasformati). I napoletani hanno deciso di estinguersi, restando fino all’ultimo napoletani, cioè irripetibili, irriducibili e incorruttibili». 9 A distanza di oltre quarant’anni si può pensare che le due prospettive opposte (conservazione incorrotta e trasformazione radicale) si siano tra loro combinate, ed è possibile che negli usi linguistici. e nelle abitudini comunicative si riconoscano i riflessi di una certa dinamica storica. 2. Prospettiva diatopica e indagine sul campo La buona vitalità del dialetto è tuttora un elemento (positivo) che si presenta agli occhi (o per meglio dire alle orecchie) degli osservatori. Sembra tuttavia necessario non fermarsi a una prima constatazione, anche per non cadere nella prospettiva semplificata di chi mostra di non credere a un’articolazione interna della realtà linguistica di Napoli. 10 L’osservazione diretta, i dati dei censimenti e la storia urbana hanno già permesso di ipotizzare che Napoli sia una «metropoli dialettale», in cui si notano quartieri caratterizzati da condizioni più favorevoli per la conservazione del dialetto e altri maggiormente segnati da innovazione linguistica. 11 Il legame tra le caratteristiche dei luoghi urbani e le loro valenze latamente culturali (quindi anche linguistiche, in una prospettiva areale riferita alla città) può essere peraltro affermato anche in sintonia con quanto scrive Aldo Rossi, secondo cui «per una determinata città si può stabilire una classificazione delle strade», che si caratterizzano anche in rapporto agli «scambi che vi si effettuano, gli scambi culturali a pari titolo di quelli commerciali». 12 Pertanto non stupisce che alcune condizioni abbiano favorito, sia pure con diversa intensità, anche la conservazione del dialetto, come se si fosse determinata, in una specialissima riserva naturalistica e ambientale, una sorta di tutela spontanea da parte dei parlanti. In un’epoca in cui si prospettano e talvolta si attuano spese ingenti per la conservazione e la difesa dei dialetti (che secondo alcuni dovrebbero anche essere proposti o «imposti» nella scuola o per legge 13 ) si deve forse ammettere che la più efficace forma di tutela dei dialetti è affidata all’iniziativa e alle scelte dei parlanti nella comunicazione corrente e quotidiana (sulla quale poco inciderebbero esplicite norme legislative o pressioni didattiche). 2_IH_Italienisch_69.indd 80 2_IH_Italienisch_69.indd 80 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 81 Nicola De Blasi Persistenze e variazione a Napoli L’ipotesi formulata in passato in merito alla variazione degli usi linguistici tra i quartieri della città può ora essere verificata grazie ai dati offerti da un’inchiesta sul campo, di cui si forniscono qui i primi risultati. Figura 3. Perimetro urbano attuale (la città ottocentesca comprendeva i quartieri nn. 1-12). Nell’anno accademico 2006-2007, nell’ambito del corso di Linguistica italiana (del corso di laurea specialistica in Filologia moderna, presso l’Università di Napoli «Federico II»), ho proposto come esercitazione lo svolgimento di una ricerca sul campo in alcuni quartieri di Napoli. 14 L’indagine prevedeva la somministrazione di un questionario articolato in 20 domande sugli usi linguistici; per ogni domanda si chiedeva di indicare la varietà usata dal parlante; le soluzioni proposte come risposta si distribuivano in una serie che andava dall’uso esclusivo del dialetto all’uso esclusivo dell’italiano: a) sempre il dialetto b) più il dialetto che l’italiano c) sia il dialetto, che l’italiano d) più l’italiano che il dialetto e) sempre l’italiano. Questo è l’elenco delle venti domande: 1. Lei ricorda di aver usato, prima di andare a scuola (fino ai 5-6 anni) a) sempre il dialetto b) più il dialetto che l’italiano c) sia il dialetto, che l’italiano d) più l’italiano che il dialetto e) sempre l’italiano? 2_IH_Italienisch_69.indd 81 2_IH_Italienisch_69.indd 81 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 82 Persistenze e variazione a Napoli Nicola De Blasi 2. I suoi genitori parlano (o parlavano) tra loro a), b), c), d), e)? 3. I suoi insegnanti delle scuole materne ed elementari parlavano (o parlano) con gli alunni usando a), b), c), d), e)? 4. I suoi insegnanti delle scuole medie e superiori parlavano (o parlano) con gli alunni usando a), b), c), d), e)? 5. I suoi compagni di scuola parlavano (o parlano) tra loro usando a), b), c), d), e)? 6. Lei parla con i suoi fratelli e sorelle usando a), b), c), d), e)? 7. Lei parla con il suo partner usando a), b), c), d), e)? 8. Lei parla con i suoi genitori usando a), b), c), d), e)? 9. Lei parla con i suoi nonni usando a), b), c), d), e)? 10. Lei parla con i suoi figli usando a), b), c), d), e)? 11. Lei parla con i figli dei suoi figli usando a), b), c), d), e)? 12. Lei parla con i suoi amici più intimi usando a), b), c), d), e)? 13. Lei parla con i suoi colleghi di lavoro usando a), b), c), d), e)? 14. Lei parla con i commercianti del suo quartiere usando a), b), c), d), e)? 15. Lei parla con il suo datore di lavoro usando a), b), c), d), e)? 16. Lei parla con i suoi dipendenti usando a), b), c), d), e)? 17. Lei parla con uno sconosciuto nell’autobus usando a), b), c), d), e)? 18. Lei parla con un operatore al telefono usando a), b), c), d), e)? 19. Lei parla con i suoi vicini di casa usando a), b), c), d), e)? 20. Lei parla con l’impiegato delle poste o della banca usando a), b), c), d), e)? Il questionario comprendeva infine un punto 21, in cui il rilevatore, con le stesse modalità previste per le risposte degli intervistati, annotava se l’interlocutore aveva usato il dialetto o l’italiano. L’indagine è stata condotta in otto diversi quartieri: Montecalvario, Secondigliano, San Lorenzo, Porto, Chiaia, San Giuseppe, Arenella, Vomero. Tra questi quartieri, San Lorenzo si trova nel centro antico, cioè nella zona della città già popolata in età romana (è il n. 9 nella Figura 3); Porto (n. 12), San Giuseppe (n. 3), Montecalvario (n. 4, corrispondente in parte alla zona dei cosiddetti Quartieri Spagnoli), Chiaia (n. 2) sono quartieri del centro storico (si tratta cioè di zone popolatesi progressivamente tra il Medioevo e l’età moderna); il Vomero (n. 13) e l’Arenella (n. 14) sono quartieri collinari; Secondigliano (n. 25) è l’ampliamento di un comune un tempo autonomo, aggregato alla città nel 1927. In totale sono state intervistate 595 persone. Nei quartieri raggiunti con l’indagine, secondo il censimento del 2001, risiedevano circa 300.000 abitanti. Al riguardo si deve precisare che per alcuni quartieri non è stato possibile raggiungere la quota di cento intervistati; sembra tuttavia che i dati 2_IH_Italienisch_69.indd 82 2_IH_Italienisch_69.indd 82 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 8 3 Nicola De Blasi Persistenze e variazione a Napoli ottenuti conservino ugualmente un valore indicativo. Nella tabella n. 1 si segnala la consistenza del campione per le diverse aree, la distribuzione degli intervistati e il loro livello di istruzione (Titolo di Licenza elementare o nessun titolo di studio, Titolo di licenza media, Diploma, Laurea): Montec Secon S. Lor. Porto Chiaia S. Gius. Aren Vomero Totale % Elem 35 9 9 10 10 15 12 4 104 17,48 Medie 37 8 27 12 16 43 27 43 213 35,63 Dipl 24 2 35 7 17 34 35 31 185 31,09 Laurea 4 2 4 4 23 8 26 22 93 15,80 Totale 100 21 75 33 66 100 100 100 595 100 Tabella n. 1 Le interviste sono state proposte a persone incontrate in strada o nei locali commerciali delle diverse zone. I parlanti intervistati quindi non rappresentano un campione nel vero senso della parola, poiché non sono stati selezionati in rapporto a parametri statistici noti, ma le informazioni ottenute sembrano comunque di un certo interesse, poiché l’obiettivo dell’indagine è quello di ricevere indicazioni su eventuali differenze tra i quartieri considerati. Dal momento che tutte le interviste sono state condotte con criteri identici, è possibile tener conto, in modo comparativo, delle differenze che si delineano attraverso le risposte date dai parlanti. Inoltre è da chiarire che sono stati intervistati volta per volta solo i parlanti residenti nel quartiere in cui si svolgeva l’intervista o in qualche caso stabilmente presenti in esso per motivi di lavoro (è il caso dei commercianti intervistati). Nel gruppo degli intervistati, che pure è differenziato al suo interno, le percentuali relative al livello di istruzione sono in parte diverse dalle percentuali che si rilevano in ambito cittadino e su scala nazionale, come si vede dalla Tabella n. 2. Titolo di studio Intervistati Napoli 2001 Italia 2001 Elementari o senza titolo 17,48% 35,61% 33,20% Medie 35,63% 29,22% 31,70% Diploma 31,09% 24,40% 27,20% Laurea 15,80% 10,78% 7,9% Tabella n. 2 2_IH_Italienisch_69.indd 83 2_IH_Italienisch_69.indd 83 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 8 4 Persistenze e variazione a Napoli Nicola De Blasi Le differenze più vistose riguardano i parlanti dotati di licenza elementare o privi di titolo di studio. Pertanto si deve considerare che gli orientamenti attribuibili (alla luce delle interviste) ai parlanti con basso livello di istruzione, probabilmente non riguarderebbero in città il 17% circa degli abitanti, ma una percentuale doppia di cittadini. Un’ultima precisazione riguarda il rapporto tra le dichiarazioni degli intervistati e i loro usi linguistici nelle effettive interazioni comunicative. Questo problema si pone per tutte le inchieste affidate all’autovalutazione dei parlanti; in questo caso è però significativo il fatto che i parlanti abbiano avuto la possibilità di indicare anche soluzione intermedie, senza dover dichiarare in modo drastico la propensione verso il dialetto o verso l’italiano. Inoltre assume una funzione «correttiva» o di verifica l’osservazione da parte dell’intervistatore. Più in generale va poi considerato che le risposte ottenute rappresentano non solo una dichiarazione su un uso effettivo, ma anche la manifestazione di un’intenzione, connessa a una certa percezione da parte dei parlanti. Del resto, a parità di incertezza nella valutazione delle risposte, ciò che conta di più è la possibilità di stabilire confronti tra le diverse zone della città. Per una prima osservazione dei dati offerti dalle interviste si considerano qui solo le risposte alla domanda n. 12 (relativa alla conversazione con amici) e alla domanda n. 20 (interazione con un impiegato in un ufficio). Da queste risposte si possono avere informazioni in prospettiva diafasica, poiché le due domande si riferiscono a una comunicazione informale e a un’altra più formale. I dati relativi alla domanda n. 12 sono sintetizzati nella Tabella n. 3. Mcalv Vomero Arenella Second S.Loren S.Gius Porto Chiaia Totale Dialetto 42 28 9 14 26 33 10 5 167 Più Dial 15 6 5 2 12 5 6 0 51 Dial/ Ital 23 18 22 - 23 29 13 26 154 Più Ital 3 17 30 2 5 13 2 21 93 Italiano 13 29 33 3 9 19 2 13 121 non risp 4 2 1 - 1 0 1 9 100 100 100 21 75 100 33 66 595 Tabella n.3. Risposte alla domanda n. 12: conversazione con amici 2_IH_Italienisch_69.indd 84 2_IH_Italienisch_69.indd 84 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 85 Nicola De Blasi Persistenze e variazione a Napoli Nella conversazione tra amici l’uso esclusivo del dialetto è in alcuni quartieri molto più diffuso dell’uso esclusivo dell’italiano, anche se sono molto numerose le soluzioni miste. La scelta a favore del dialetto o segnata da prevalente uso del dialetto è molto evidente nei quartieri di Montecalvario, San Lorenzo, Secondigliano, Porto; anche nel quartiere San Giuseppe è prevalente l’uso del dialetto. Nei quartieri di Chiaia e Arenella invece prevale l’uso dell’italiano; nel quartiere Vomero si nota una situazione di sostanziale parità tra scelta esclusivamente dialettale e uso esclusivo dell’italiano (ma nel complesso l’italiano prevale se si considerano le risposte di tipo misto). Le risposte date alla domanda n. 20 sono presentate nella Tabella n. 4. Mcalv Vomero Arenella Second S.Loren S.Gius Porto Chiaia Totale Dialetto 1 3 1 2 2 2 0 11 Più Dial 8 2 2 1 1 1 0 15 Dial/ Ital 12 5 2 - 1 1 1 2 24 Più Ital 26 3 4 1 1 1 4 40 Italiano 51 86 91 17 73 90 29 55 492 non risp 2 1 - - 5 5 13 100 100 100 21 75 100 33 66 595 Tabella n. 4. Risposte alla domanda n. 20: interazione in un ufficio (poste o banca) Per le interazioni negli uffici prevale in tutti i quartieri l’orientamento verso l’italiano, che evidentemente rientra di fatto nel repertorio di quasi tutti i parlanti interpellati; anche coloro che usano solo il dialetto nella comunicazione informale e spontanea passerebbero in caso di necessità all’italiano: con gli amici parlerebbero in dialetto 167 persone, ma negli uffici pubblici solo 11 intervistati parlerebbero esclusivamente in dialetto. Tale dato non è sorprendente se rapportato al livello di istruzione. Come per il resto d’Italia, tuttavia, anche per Napoli c’è da domandarsi quanto nei singoli parlanti sia compiuta e articolata la competenza della lingua italiana, ma questo tema non è al centro della presente indagine. In una situazione di diffuso bilinguismo, in cui incidono molto la variabile diafasica e quella diatopica, si profila anche una tendenziale diversificazione in rapporto al livello di istruzione: in ogni quartiere, infatti, la presenza dell’italiano è maggiore negli usi dei parlanti in possesso di laurea o di 2_IH_Italienisch_69.indd 85 2_IH_Italienisch_69.indd 85 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 86 Persistenze e variazione a Napoli Nicola De Blasi diploma di scuola superiore secondaria di seconda grado. Una più consistente presenza del dialetto nell’uso si manifesta invece nei parlanti in possesso del solo titolo di licenza elementare (o privi di titolo di studio). Nelle tabelle che seguono (nn. 5-6) si riportano soltanto le risposte date dai parlanti in possesso di licenza elementare e di quelli in possesso di laurea alle domande n. 8, 10, 12, che riguardano il modo di parlare con i genitori, con i figli e con gli amici. 15 Con una diversificazione forse prevedibile, si nota che la variabile relativa all’istruzione si incrocia con quella di quartiere: nel quartiere Chiaia, per esempio, nessun laureato userebbe soltanto o prevalentemente il dialetto parlando con i figli; nello stesso quartiere però anche i parlanti dotati della sola licenza elementare escludono con i figli e con i genitori l’uso del solo dialetto. S. Lorenzo Elem / Lau Secondigl. Elem / Lau Arenella Elem / Lau Vomero Elem / Lau S. Giuseppe Elem / Lau Montecalv. Elem / Lau Chiaia Elem / Lau Porto Elem / Lau 8 Dial 8 2 8 6 1 4 8 1 31 2 6 Più Dial 1 2 1 1 1 1 Dial/ Ital 1 2 5 6 2 1 1 4 2 1 Più Ital 1 1 8 2 1 2 1 2 2 2 Italiano 1 1 1 11 14 1 3 1 1 2 16 1 8 n r 1 3 1 1 2 3 1 1 10 Dial 3 5 3 1 1 4 1 13 3 Più Dial 2 2 4 Dial/ Ital 1 1 1 3 2 Più Ital 2 1 2 1 1 2 1 Italiano 2 2 1 5 11 2 11 2 3 5 1 4 14 2 2 10 n r 1 2 1 2 14 11 4 3 10 3 4 9 4 2 12 Dial 7 1 7 1 5 2 2 11 25 1 4 Più Dial 1 1 4 1 1 1 Dial/ Ital 1 1 1 2 2 1 3 1 1 3 1 7 3 5 1 Più Ital 1 4 9 1 5 2 2 1 1 13 2 Italiano 1 1 1 14 12 1 5 1 1 1 7 12 n r 1 1 1 Tabella n. 5 - Risposte, con distribuzione per quartiere, alle domande nn. 8 (genitori), 10 (figli), 12 (amici) in rapporto al titolo di studio 2_IH_Italienisch_69.indd 86 2_IH_Italienisch_69.indd 86 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 87 Nicola De Blasi Persistenze e variazione a Napoli Licenza Elementare Laurea 8 A Solo dialetto 71 6 8 B Più dialetto che italiano 5 2 8 C Dialetto e italiano 9 16 8 D Più italiano che dialetto 5 17 8 E Solo italiano 6 47 8 Non rispondono 8 5 10 A Solo dialetto 32 2 10 B Più dialetto che italiano 8 10 C Dialetto e italiano 8 10 D Più italiano che dialetto 9 1 10 E Solo italiano 22 45 10 Non rispondono 25 45 12 A Solo dialetto 62 4 12 B Più dialetto che italiano 7 2 12 C Dialetto e italiano 21 12 12 D Più italiano che dialetto 8 33 12 E Solo italiano 4 41 12 Non rispondono 2 1 Tabella n. 6. Totali delle risposte alle domande nn. 8, 10, 12 per titolo di studio Per chi conosce la realtà napoletana gli esiti del questionario risultano forse abbastanza prevedibili (e di fatto corrispondono in sostanza a quelli già ipotizzati); tuttavia non si può negare che l’apporto di dati numerici sia significativo. L’indagine tra l’altro mette in luce, più di quanto non sia accaduto finora, una situazione di permeabilità tra napoletano e italiano, dal momento che i medesimi parlanti mostrano di poter passare da una varietà all’altra (anche se permangono quote di dialettofoni o di italofoni esclusivi). Sul versante della diffusione dell’italiano appare quindi sostanzialmente confermata l’idea di Tullio De Mauro che sottolinea come ormai l’italiano sia alla portata dei parlanti indipendentemete dal livello di istruzione. Tale elemento rappresenta una novità rispetto alla situazione italiana della fine dell’Ottocento: 2_IH_Italienisch_69.indd 87 2_IH_Italienisch_69.indd 87 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 8 8 Persistenze e variazione a Napoli Nicola De Blasi «L’uso dell’italiano era riservato, Roma e Firenze a parte, a chi aveva un livello relativamente alto di istruzione. Oggi invece la metà circa della popolazione che dichiara di parlare italiano è dotata della sola licenza elementare e all’uso della lingua comune si affacciano anche persone sfornite di ogni titolo. Al progresso della diffusione dell’uso dell’italiano non ha corrisposto e non corrisponde un pari aumento di livelli di scolarità. È un fatto nuovo nella nostra storia linguistica: l’italiano è usato attivamente ben aldilà dei confini della fascia dotata dell’istruzione postelementare più elevata». 16 Come già si è accennato, però, un livello medio o elevato di scolarizzazione non garantisce un buon possesso della lingua: «Non sempre i livelli formali di scolarità coincidono con buoni livelli del possesso della lingua». 17 I due aspetti evidenziati da De Mauro forse non sono tra loro in contrasto; vale a dire che in caso di necessità quasi tutti i parlanti sono in grado di usare (con modalità diversificate) l’italiano, ma evidentemente molti parlanti per la comunicazione spontanea e informale preferiscono forme più immediate che possono coincidere con il dialetto. Tale preferenza per il dialetto risalta senz’altro a Napoli soprattutto, come si è detto, in rapporto ad alcuni elementi variabili (diatopici, diafasici, diastratici). In relazione a quanto anticipato a proposito della vicenda storica di Napoli è possibile insomma che tra gli elementi che favoriscono la buona conservazione del dialetto vada considerato rilevante il radicamento abitativo, con la conseguente tenuta di un tessuto comunicativo all’interno dei diversi ambienti sociali. 4. Elementi di novità nello spazio urbano In un quadro di differenziazione tra quartieri che non sfugge all’osservazione e alla valutazione di chi conosce la città, si è inserita negli ultimi decenni, come un nuovo elemento di diversificazione, la presenza di numerosi immigrati (ormai oltre 30.000). Pertanto gli immigrati raggiungono ora in città una percentuale del 3% sul totale dei residenti. A queste cifre va poi aggiunto il numero dei migranti non censiti. La localizzazione dei «nuovi napoletani» nello spazio urbano ha un’immediata rilevanza linguistica, perché si determinano nuovi contatti tra l’italiano, il napoletano e le altre lingue. In particolare in città risulta evidente la presenza di gruppi che tendono a concentrarsi in alcune zone. Mentre i numerosi lavoratori provenienti dall’Ucraina tendono in genere a risiedere presso il luogo di lavoro, poiché per loro prevalgono gli impegni cosiddetti 2_IH_Italienisch_69.indd 88 2_IH_Italienisch_69.indd 88 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 8 9 Nicola De Blasi Persistenze e variazione a Napoli notte e giorno, i migranti che provengono dallo Sri-Lanka (attualmente stimabili in almeno 6 -7000 presenze) risiedono di preferenza in alcune zone del centro storico. La presenza srilankese si nota in particolare in alcune strade (per esempio via Francesco Saverio Correra), come del resto dimostra il recente film Into Paradiso di Paola Randi (2010), che è ambientato proprio nella zona del cosiddetto Cavone (dove si trova via Correra); il film, portando sullo schermo i nuovi abitanti srilankesi, offre l’efficace e verosimile immagine di una città che cambia. Nel quartiere di San Lorenzo è invece alta la concentrazione di cinesi, che tendono ad abitare nella zona (specialmente nell’area della Duchesca e nei dintorni) in cui svolgono le loro attività commerciali. Un luogo della città in cui, molto più che altrove, si percepisce il cambiamento è piazza Garibaldi, al centro della zona identificata dai napoletani come Ferrovia. A questa zona è dedicato il film Bianco e nero alla Ferrovia (2006) di Antonio Capuano. Le nuove presenze, se da un lato sono indizio di evidenti novità, dall’altro si pongono anche in una linea di continuità rispetto alla precedente storia di Napoli, che in effetti da alcuni secoli è stata sempre percepita come metropoli, cioè come luogo di accoglienza e di incontro per genti di diversa origine (si pensi alle consistenti immigrazioni di cittadini provenienti nei secoli dalle province un tempo appartenenti al Regno di Napoli). Con le caratteristiche di diversificazione interna e come luogo di incontro dialettico e produttivo tra persone, Napoli si avvia a diventare «città metropolitana», in un senso propriamente istituzionale, visto che con le modifiche all’art. 114 della Costituzione si annuncia il nuovo status delle città italiane più grandi: «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato [...]». Le città metropolitane nasceranno da un accorpamento delle attuali province: si prospetta quindi, su scala ancora più ampia, una situazione che per Napoli già si è determinata nel 1927, quando furono aggregati a Napoli una serie di comuni prima autonomi (da San Giovanni a Teduccio a Secondigliano). Se tutti i centri della provincia entreranno nella nuova istituzione, Napoli, considerando l’attuale consistenza demografica della sua provincia (3.035.918 abitanti in circa 1100 Kmq.), potrebbe quasi pareggiare il numero di abitanti della città metropolitana di Milano (3.043.501 abitanti in circa 1500 Kmq). Nella città metropolitana si proporranno probabilmente nuove dinamiche di convivenza tra centri demograficamente rilevanti: si pensi che nella provincia di Napoli rientrano città che hanno un numero di abitanti superiore a quello di molti attuali capoluoghi di provincia e di alcuni capoluoghi di regione: è il caso di Acerra (56647 ab.), Afragola (62751 ab.), Casalnuovo 2_IH_Italienisch_69.indd 89 2_IH_Italienisch_69.indd 89 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 9 0 Persistenze e variazione a Napoli Nicola De Blasi (48726 ab.), Castellammare (66087 ab.), Ercolano (53582 ab.), Giugliano (106591 ab.), Marano di Napoli (56568 ab.), Portici (55640 ab.), Pozzuoli (80285 ab.), San Giorgio (45058 ab.), Torre Annunziata (43638 ab.), Torre del Greco 85989 ab.). Tutti questi centri (e altri) hanno finora conservato riconoscibili specificità linguistiche). 18 Sembra difficile che il quadro linguistico possa mutare in modo profondo in tempi brevi, mentre è probabile che, come è accaduto per i quartieri della città attuale, permangano anche nella città metropolitana elementi di connotazione diatopica, che in qualche caso potranno configurarsi come effettive differenze di tipo fonetico, morfologico e lessicale. Questi aspetti, però, qui sono segnalati solo come spunto di riflessione, poiché, com’è noto, non è mai agevole, né produttivo sbilanciarsi in previsioni relative agli usi linguistici del futuro. Abstract. Ausgehend von einer historischen Betrachtung des städtischen Raums Neapel werden in dem vorliegenden Beitrag die Ergebnisse einer Feldforschung präsentiert, die die diatopischen Varietäten des Sprachgebrauchs in Neapel dokumentiert. Note 1 Aldo Rossi, L’architettura della città, a cura di Daniele Vitale, Padova: Clup 1987, p. 50. 2 Nicola De Blasi, «Perché a Napoli non tutti parlano il napoletano? Riflessione sulle implicazioni linguistiche del ruolo di capitale», in: Lo spazio del dialetto in città, a cura di Carla Marcato e Nicola De Blasi, Napoli: Liguori 2006, p. 219 - 235. 3 Per questo aspetto rinvio a Nicola De Blasi, «Vitalità e fortuna del dialetto a Napoli dopo l’Unità», in: Archivio storico per le province napoletane, 130/ 2012, p. 189 - 206. 4 Giovanni Muto, «Le tante città di una capitale: Napoli nella prima età moderna», in: Rivista di storia urbana, 123 / 2009, p. 19 - 54 (p. 32). 5 Giovanni Vitolo/ Leonardo Di Mauro, Breve storia di Napoli, Pisa: Pacini 2006, p. 93. 6 Benedetto Croce, «Salvatore Di Giacomo», in: Nuove pagine sparse, ora in: Filosofia. Poesia. Storia. Pagine tratte da tutte le opere a cura dell’autore, Milano-Napoli: Ricciardi 1951, p. 1128. 7 «La Pasqua di Napoli. Illustrazioni del pittore V. La Bella», in: La domenica del Corriere, 4/ 1902, p. 3 - 4. 8 Emilio Luongo / Antonio Oliva, Napoli come è, Milano: Feltrinelli 1959, p. 60. 9 Pier Paolo Pasolini, «Dichiarazione del 1971», in: Saggi sulla politica e sulla società, Milano: Mondadori,1999, p. 230 - 231. 10 Da una recensione apparsa tempo fa in rete (in un sito denominato www.ilc.it) con firma di Jean Pier Cavaillé (della école des Hautes études), si direbbe che non tutti siano disposti ad accettare l’idea che una realtà urbana sia differenziata al suo interno dal punto di vista sociolinguistico (in rapporto ad aree più aperte o più chiuse, più conservative o meno conservative). Per inciso si segnala che lo stesso autore della recensione non ritiene accettabile che il napoletano sia definito dialetto, segno che al di fuori dell’ambito degli 2_IH_Italienisch_69.indd 90 2_IH_Italienisch_69.indd 90 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 91 Nicola De Blasi Persistenze e variazione a Napoli studi linguistici permane una certa ostinazione nel ritenere che la qualifica di dialetto sia una qualifica spregiativa. Ciò, a ben guardare, potrebbe forse rivelare una forma particolare di pregiudizio antidialettale, che svelerebbe la propensione a distinguere tra varietà degne di considerazione, meritevoli della qualifica di lingua, e altre, meno degne, per le quali sarebbe adeguata la qualifica di dialetto: com’è noto, però, non è questa la prospettiva di chi studia la storia linguistica italiana. 11 Nicola De Blasi, «Per la storia contemporanea del dialetto nella città di Napoli», in: Lingua e stile, 37/ 2002, p. 123 -157. 12 Aldo Rossi: L’architettura della città, cit., p. 39-40; mio il corsivo nella citazione. 13 Nicola De Blasi: «Dialetti in rete, l’idea di norma e la difesa delle minoranze linguistiche (con il sacrificio delle ‹minimanze›)», in: Dialetti: per parlare e parlarne, a cura di Patrizia Del Puente, Atti del I Convegno internazionale di Dialettologia - Progetto A.L.Ba, Potenza: Ermes 2010, p. 13 -31, 14 All’indagine hanno partecipato Ivana Bruno, Raffaella Buonopane, Claudia D’Aniello, Alexandra Dufeu, Lucrezia Girardi, Ida Grasso, Eva Imperatore, Eleonora Naddeo, Claudio Pisco, Paola Savinelli, Assunta Claudia Scotto di Carlo, Marco Sorrentino, Alessandra Fanelli, Amalia Zaccaro. Ringrazio qui gli studenti che hanno condotto l’indagine sul campo inserita tra le attività del corso. Con il rischio di errori di calcolo e di analisi è anche mia la responsabilità dell’impostazione del questionario, della sistemazione complessiva e dell’interpretazione dei dati. 15 Per le prime due domande, naturalmente, non si dispone delle risposte di tutti gli intervistati poiché non tutti i parlanti hanno figli e alcuni parlanti non hanno più i genitori. 16 Tullio De Mauro, «Saluto iniziale. L’Italia linguistica in cammino nell’età della Repubblica», in: Italia linguistica anno mille Italia linguistica anno Duemila, a cura di Nicoletta Maraschio e Teresa Poggi Salani, Roma: Bulzoni 2003, p. 11-18 (p. 16). 17 Ibidem, p. 18. 18 Edgar Radtke, I dialetti della Campania, Roma: Il calamo 1997; Nicola De Blasi, Profilo linguistico della Campania, Bari-Roma: Laterza 2006. Bibliografia Croce, Benedetto: «Salvatore Di Giacomo», in: Nuove pagine sparse, ora in: Filosofia. Poesia. Storia. Pagine tratte da tutte le opere a cura dell’autore, Milano - Napoli: Ricciardi 1951, p. 1128. De Blasi, Nicola: «Per la storia contemporanea del dialetto nella città di Napoli», in: Lingua e stile, 37/ 2002, p. 123 - 157. De Blasi, Nicola: Profilo linguistico della Campania, Bari-Roma: Laterza 2006. De Blasi, Nicola: «Perché a Napoli non tutti parlano il napoletano? Riflessione sulle implicazioni linguistiche del ruolo di capitale», in: Lo spazio del dialetto in città, a cura di Carla Marcato e Nicola De Blasi, Napoli: Liguori 2006, p. 219 - 235. De Blasi, Nicola: «Dialetti in rete, l’idea di norma e la difesa delle minoranze linguistiche (con il sacrificio delle ‹minimanze›)», in: Dialetti: per parlare e parlarne, a cura di Patrizia Del Puente, Atti del I Convegno internazionale di Dialettologia - Progetto A.L.Ba, Potenza: Ermes 2010, p. 13 - 31. De Blasi, Nicola: «Parlanti in contatto nello spazio urbano di Napoli», in: Lingue in contatto e plurilinguismo nella cultura italiana, a cura di Mirella Pasquarelli Clivio, New York-Ottawa-Toronto: Legas 2011, p. 19 - 46. 2_IH_Italienisch_69.indd 91 2_IH_Italienisch_69.indd 91 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 92 Persistenze e variazione a Napoli Nicola De Blasi De Blasi, Nicola: Storia linguistica di Napoli. Roma: Carocci 2012. De Blasi, Nicola: «Vitalità e fortuna del dialetto a Napoli dopo l’Unità», in: Archivio storico per le province napoletane, 130/ 2012, in stampa. De Mauro, Tullio: «Saluto iniziale. L’Italia linguistica in cammino nell’età della Repubblica», in: Italia linguistica anno mille Italia linguistica anno Duemila, a cura di Nicoletta Maraschio e Teresa Poggi Salani, Roma: Bulzoni 2003, p. 11 - 18. «La Pasqua a Napoli. Illustrazioni del pittore V. La Bella», in: La domenica del Corriere, 4 / 1902, p. 3 - 4. Luongo, Emilio/ Oliva, Antonio: Napoli come è, Milano: Feltrinelli 1959. Muto, Giovanni: «Le tante città di una capitale: Napoli nella prima età moderna», in: Rivista di storia urbana, 123/ 2009, p. 19 - 54. Pasolini, Pier Paolo, «Dichiarazione del 1971», in: Saggi sulla politica e sulla società, Milano: Mondadori 1999, p. 230 - 231. Radtke, Edgar: I dialetti della Campania, Roma: Il calamo 1997. Rossi, Aldo: L’architettura della città, a cura di Daniele Vitale, Padova: Clup 1987. Vitolo, Giovanni/ Di Mauro, Leonardo: Breve storia di Napoli, Pisa: Pacini 2006, p. 93. 2_IH_Italienisch_69.indd 92 2_IH_Italienisch_69.indd 92 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 93 Biblioteca poetica Vivisektion der Romantik: Arrigo Boitos «Lezione d’anatomia» Arrigo Boito (1842-1918) ist wohl nicht zuletzt als Komponist und Textdichter seiner Faustoper Mefistofele bekannt, die erst 1881 in der überarbeiteten Fassung zu einem Erfolg an der Mailänder Scala wurde. 1 An dieser Stelle soll es um den Dichter Boito gehen, der als Teil der norditalienischen Scapigliatura deren Poetik maßgeblich mitbestimmte. Ein typisches Beispiel für diese ist sein Gedicht «Lezione d’anatomia»: 2 La sala è lùgubre; Dal negro tetto Discende l’alba, Che si riverbera Sul freddo letto 5 Con luce scialba. Chi dorme? … Un’etica Defunta ieri All’ospedale; Tolta alla requie 10 Dei cimiteri, E al funerale: Tolta alla placida Nenia del prete, E al dormitorio; 15 Tolta alle gocciole Roride e chete Dell’aspersorio. Delitto! e sanguina Per piaga immonda 20 Il petto a quella! … Ed era giovane! Ed era bionda! Ed era bella! Con quel cadavere 25 (Steril connubio! Sapienza insana! ) Tu accresci il numero Di qualche dubio. Scïenza umana! 30 Im Saal ist es düster; vom dunklen Dach fällt Morgenlicht, widergespiegelt vom kaltem Bett mit fahlem Schein. Wer ruht? … Eine Schwindsüchtige gestern verstorben im Krankenhaus; entzogen der letzten Ruhe des Friedhofs und dem Begräbnis: entzogen dem pfäffischen Totengebet und dem Schlafsaal; entzogen den Tautropfen des ewigen Friedens vom Aspergill. Frevel! Und blutet aus unziemlicher Wunde nun ihre Brust! … Und war sie doch jung! Und war sie doch blond! Und war sie doch schön! Mit diesem Kadaver hier (fruchtlose Vereinigung! wahnsinnige Gelehrtheit! ) vergrößerst die Menge der Zweifel bloß Menschenwissenschaft! 2_IH_Italienisch_69.indd 93 2_IH_Italienisch_69.indd 93 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 9 4 Vivisektion der Romantik: Arrigo Boitos «Lezione d’anatomia» Ludger Scherer Mentre urla il medico La sua lezione E cita ad hoc: Vesalio, Ippocrate, Harvey, Bacone, 35 Sprengel e Koch, Io penso ai teneri Casi passati Su quella testa, Ai sogni estatici 40 Invan sognati Da quella mesta. Penso agli eterei Della speranza Mille universi! 45 Finzion fuggevole Più che una stanza Di quattro versi. Pur quella vergine Senza sudario 50 Sperò, nell’ore Più melanconiche Come un santuario Chiuse il suo cuore, Ed ora il clinico 55 Che glielo svelle Grida ed esorta: «Ecco le valvole,» «Ecco le celle,» «Ecco l’aòrta.» 60 Poi segue: «huic sanguinis Circulationi…» Ed io, travolto, Ritorno a leggere Le mie visioni 65 Sul bianco volto. Scïenza, vattene Co’ tuoi conforti! Ridammi i mondi Del sogno e l’anima! 70 Sia pace ai morti E ai moribondi. Indes schreiend der Arzt seine Vorlesung hält und ad hoc zitiert: Vesalius, Hippokrates, Harvey und Bacon, Sprengel und Koch, denk ich an die zarten Geschehnisse in diesem Kopf, an die begeisterten Träume vergebens geträumet von dieser Unglücklichen. Ich denk an die himmlischen von Hoffnung erfüllten unzähligen Welten. Erfindungen, flüchtiger als eine Strophe von vier Versen. Doch diese Jungfrau nun ohne Leichentuch hoffte in Stunden tieferer Melancholie, ein Heiligenschrein umschließe ihr Herz, nun ist es der Anatom, der ihr’s herausreißt, schreit und doziert: «Seht hier die Klappen,» «Seht hier die Kammern,» «Seht hier die Aorta.» Und fährt fort «huic sanguinis Circulationi…» Und ich, ganz verstört, widme mich wieder der innigen Betrachtung des blassen Gesichts. Wissenschaft, fort mit dir und deinem Trost! Gib mir die Welt zurück des Traums und der Seele! Friede den Toten und den Sterbenden auch. 2_IH_Italienisch_69.indd 94 2_IH_Italienisch_69.indd 94 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 95 Ludger Scherer Vivisektion der Romantik: Arrigo Boitos «Lezione d’anatomia» Perdona o pallida Adolescente! Fanciulla pia, 75 Dolce, purissima, Fiore languente Di poësia! E mentre suscito Nel mio segreto 80 Quei sogni adorni,… In quel cadavere Si scopre un feto Di trenta giorni. Giugno, 1865 Das auf das Jahr 1865 datierte Gedicht erschien zuerst in der Rivista Minima vom 17. Mai 1874 und wurde dann in Boitos Sammlung Il libro dei versi (1877) aufgenommen. Die 14 Strophen aus je sechs Fünfsilbern spiegeln bereits in ihrem Metrum die Spannungen wider, die den Text bis zu seiner Schlusspointe durchziehen. Der quinario, bekanntlich kein sonderlich verbreiteter Vers im Italienischen, ist hier durch die Silbenzahl des Titelwortes anatomia und dessen zentrale Bedeutung motiviert. Die rhythmische Unruhe des Gedichts verdankt sich nicht zuletzt dem häufigen Einsatz von versi sdruccioli: Der erste und vierte Vers jeder Strophe weist sechs grammatische Silben auf, die konventionell wegen des Proparoxytonons am Versschluss zu fünf metrischen Silben verkürzt werden - die scheinbare und auch im Vortrag wahrnehmbare Unregelmäßigkeit wird also in eine regelgerechte Ordnung überführt. Analog bildet auch die Reimordnung xabxab sowohl die hervorgehobene Position der ‹stolpernden› Zeilen als auch die bewusste Kombination konventioneller und transgredierender Elemente in Boitos Gedicht ab. Der metrische Befund findet seine Entsprechung in Struktur und Thematik des Textes. Dessen antithetischer Aufbau zeigt sich von der ersten Strophe an, in der das anatomische Theater im chiaroscuro von dunklem Dach und fahlem Tageslicht gezeichnet wird. Der grauende Morgen bringt den fundamentalen Gegensatz von romantischem Idealismus und positivistischem Materialismus zum Vorschein, der das Gedicht durchzieht. Gelenkt von einem Dichter-Ich, das sich zunehmend romantisch stilisiert und nicht vorschnell mit dem Autor identifiziert werden sollte, ist der Rezipient angehalten, dessen Blick auf eine schöne Leiche nachzuvollziehen. Das frisch an der Tuberkulose, der romantischen Krankheit par excellence, verstorbene Mädchen wird in seinem trostlosen materiellen Elend gezeigt: dem Schlafsaal des Armenspitals und dem Vergib, du erbleichtes erblühendes Mädchen! Du Jungfrau so fromm, so süß und so rein, welkende Blume der Poesie! Und während ich inniglich in mir erwecke solch liebliche Träume… entdeckt im Kadaver man einen Fötus von dreißig Tagen. Juni 1865 2_IH_Italienisch_69.indd 95 2_IH_Italienisch_69.indd 95 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 9 6 Vivisektion der Romantik: Arrigo Boitos «Lezione d’anatomia» Ludger Scherer routinierten Begräbnis des Priesters entrissen, schamlos enthüllt (senza sudario, v. 50) und mit offenem Brustkorb (vv. 19-21) der anatomischen Misshandlung ausgesetzt. Seine vage physische Beschreibung kolportiert traditionelle, als romantisch anzusprechende Stereotypen (giovane, bionda, bella, vv. 22-24), die sich zu einer fulminanten Idealisierung ihrer Person steigern: Die reine Jungfrau (vergine, v. 49) erhält alle Prädikate der konventionellen weiblichen Kalokagathie (pia, dolce, purissima, vv. 75-76) zugewiesen, die sie zudem, mit blasphemischem Unterton, in die Nähe der Gottesmutter Maria bringen, die bekanntlich im Salve Regina als dulcis und pia angesprochen wird. Am Schluss der vorletzten Strophe erfolgt gar eine Apotheose der namenlose Leiche zur Metapher der poësia (v. 78), der romantischen Dichtkunst selber. Die Redeweise dieses Dichters, der sich vom zerstückelten Körper ab- und dem geistig-seelischen Innenleben des Mädchens zuwendet, ist entsprechend stark emphatisch, von zahlreichen Ausrufen gekennzeichnet (vv. 21-24, 26-27, 30, 45, 68, 70, 74, 78). Die sprachliche Gestaltung des Gedichts stellt dem romantischen Pathos gewählter Ausdrücke und rhetorischer Figuren den kruden Realismus der Wissenschaft entgegen, deren Protagonisten namentlich aufgezählt (vv. 34-36) und deren lateinische Fachsprache (vv. 33, 61-62) und Terminologie (vv. 58-60) zitiert werden. Das Bild der positivistischen Wissenschaft wird eindeutig negativ gezeichnet: Der Anatom profaniert die schöne Leiche durch die Öffnung des Brustkorbs (v. 20), führt seine Demonstration schreiend (v. 31) durch und reißt dem Mädchen unbeeindruckt das Herz heraus (v. 56). Der zynische Mediziner steht für eine Wissenschaft, die den Menschen auf seine materielle Existenz reduziert, das Prädikat umana (v. 30) demnach nur ironisch verdient, die jedoch aus dem respekt- und gefühllosen Umgang mit dem toten Körper keinen Erkenntnisgewinn zieht (steril, v. 26) und lediglich die Zahl der Irrtümer und Zweifel (dubio, v. 29) vermehrt. Folgerichtig werden die positivistischen Naturwissenschaften vom Dichter-Ich im Namen der inneren Werte des Menschen emphatisch von sich gewiesen: Sciënza vattene (v. 67). Diese an beiden Stellen (ebenso v. 30) im Gedicht durch Diärese zusätzlich betonte Wissenschaft scheint jedoch recht zu behalten, zerstören die letzten drei Verse doch sarkastisch die auf maximale Fallhöhe gebrachte romantische Illusion der reinen Unschuld: In der schönen Leiche entdeckt der Anatom einen Fötus, der den Mythos der Jungfräulichkeit vernichtet. Die Desillusionierung des romantischen Ideals durch makabren Realismus passt offensichtlich genau zur dualistischen Poetik der Scapigliatura: Diese Gruppierung entsteht als italienische Bohème in den kulturell und industriell prosperierenden Großstädten Milano und Torino der 1860er Jahre, zur Zeit der Gründung des Nationalstaats. Der vorläufige Abschluss des Risorgimento brachte neben ökonomischen und sozialen auch weitreichende Verän- 2_IH_Italienisch_69.indd 96 2_IH_Italienisch_69.indd 96 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 97 Ludger Scherer Vivisektion der Romantik: Arrigo Boitos «Lezione d’anatomia» derungen im literarischen Feld mit sich, die sich auf die Stellung des Schriftstellers in der merkantilisierten Gesellschaft auswirkten. Die zunehmende Funktionslosigkeit des Dichters ließ eine antibürgerliche Revolte im Bewusstsein der Krise entstehen. Zudem führte das Gefühl der nationalen Verspätung dazu, dass sich die scapigliati verstärkt an ausländischen Vorbildern orientierten, neben England und Deutschland vor allem an Frankreich. 3 Die vom Ergebnis der unità d’Italia enttäuschten Intellektuellen, die sich mehrheitlich im Befreiungskampf engagiert hatten, rebellierten gegen die Väter-Generation, die bürgerlichen Werte, die immer noch starke Stellung der Kirche und auch gegen eine oberflächliche Konsumliteratur. Auf der Suche nach neuen literarischen Formen und Inhalten gerieten die Nachtseiten der Romantik und das Hässliche vermehrt in den Blick der Autoren, für die insbesondere Baudelaire zur Schlüsselfigur der Moderne wurde. 4 Diese Konfrontation mit dem Neuen führte zu einer polemischen Auseinandersetzung mit der nationalen Tradition, für die im Ottocento dominierend Manzoni steht. 5 Bekannte Autoren wie Cletto Arrighi, Arrigo und Camillo Boito, Giovanni Camerana, Carlo Dossi, Emilio Praga und Igino Ugo Tarchetti lassen sich als Gruppierung antibürgerlicher Erneuerer fassen, die durch persönliche Kontakte und Freundschaften verbunden sind und mit manifestartigen Texten die Konventionen und Traditionen der Kunst in Frage stellen. Nicht zufällig sind zahlreiche künstlerische Doppelbegabungen bei den scapigliati auszumachen, die als Bohémiens nicht nur die Grenze zwischen Kunst und Leben, sondern auch zwischen den einzelnen Künsten überschritten und folgerichtig als erste italienische Avantgarde bezeichnet werden können. 6 Ein wichtiges Kennzeichen der Scapigliatura ist nun die Zerrissenheit der modernen Künstlerexistenz, der Dualismus von Ideal und Wirklichkeit, wie er in programmatischen Gedichten wie Pragas «Preludio» (1864) und Boitos «Dualismo» (1863) zum Ausdruck kommt. Die Opposition von reiner absoluter Kunst des Ideals und rebellischer hässlicher Kunst des Realismus steht hier im Zeichen der coincidentia oppositorum, was beim Faustkenner Boito durchaus im alchemistischen Sinne gedacht ist. Damit wäre jedoch die einfache Lesart einer Überwindung der Romantik im brutalen Realismus der Scapigliatura differenzierter zu betrachten. Boitos Gedicht, in dem dualistische Gegensätze von Schönheit und Tod, Poesie und Wissenschaft, Traum und Realität omnipräsent sind, steht im Dialog mit thematisch verwandten Texten der Scapigliatura: Emilio Pragas «A un feto» aus dem Band Penombre (1864) beispielsweise, der einen Besuch im Naturkundemuseum mit einem Horrorkabinett konservierter anatomischer Exponate zum Anlass einer Meditation über die Theodizee nimmt. Zwar kann hier analog zu Boito der Positivismus keine Antwort auf die Sinnfrage geben und der Hoffnungsschimmer am Ende des Gedichts scheint ebenso auf die Möglichkeiten der Poesie zu verweisen, der in beiden Texten ausgesprochene 2_IH_Italienisch_69.indd 97 2_IH_Italienisch_69.indd 97 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 9 8 Vivisektion der Romantik: Arrigo Boitos «Lezione d’anatomia» Ludger Scherer dubbio ist hier jedoch vor allem auf Gott und nicht auf die Wissenschaft bezogen. Bernardino Zendrinis «Una lezione di anatomia» erschien 1871 in seinem Band Prime poesie, wird aber ungefähr zeitgleich mit Boitos beinahe gleichnamigem Gedicht entstanden sein. Die Unterschiede überwiegen jedenfalls, bleibt Zendrini doch bei der spätromantischen Kritik an der Sektion eines Herzens, das als Sitz der Gefühle idealisiert wird, und bei einem konventionellen Eskapismus stehen. Auch Giovanni Cameranas 1865 erschienenes Gedicht «Io sognai. Fu il mio sogno fantastico» steht vor allem durch die gemeinsamen Themen der schönen Leiche und der Gefährdung der Poesie durch die Wissenschaft in Beziehung zu Boitos «Lezione d’anatomia», weist jedoch keine anatomisierende Situierung auf. 7 Den interessantesten Intertext stellt Camillo Boitos Erzählung «Un corpo» (1870) dar, in dem Arrigos älterer Bruder einen jungen Maler seine schöne Geliebte Carlotta schließlich auf dem Seziertisch des unheimlichen Wiener Anatomen Karl Gulz wiederfinden lässt, die Wissenschaft demnach über die romantischen Gefühle zu triumphieren scheint. 8 Auf die Parallelen zur bildenden Kunst, die zahlreichen anatomischen Darstellungen von Rembrandt bis Giacomo Favretto und Gabriel von Max kann an dieser Stelle nicht weiter eingegangen werden, sie zeigen deutlich die Virulenz eines Themas und der damit verbundenen Reflexionen in den Künsten. 9 Boitos «Lezione d’anatomia» wird im Kontext der Scapigliatura entsprechend verbreitet als Ausdruck seines ‹antiromanticismo›, 10 als Zerstörung des Ideals durch den Realismus der Satire und als Sieg der Wissenschaft über die Kunst interpretiert. 11 Zerstört wird bei genauerem Hinsehen jedoch lediglich die romantisierende Illusion einer jungfräulichen Unschuld, mithin eine christlich fundierte Phantasievorstellung weiblicher Ideale, sowie der konventionelle Lyrismus spätromantischer Klischees. Weder die Schönheit an sich noch die Möglichkeit ihrer literarischen Darstellung wird dadurch in Abrede gestellt, dass traditionelle Muster ironisch entlarvt werden. Die makabre Schlusspointe kassiert zudem keinesfalls die im gesamten Gedicht greifbare Kritik am reduktionistischen positivistischen Materialismus. Als Lösung der existentiellen Zerrissenheit des Menschen kommt die derart diskreditierte Wissenschaft jedenfalls nicht in Frage, die Hilflosigkeit überkommener Kunstformen angesichts der Logik der Empirie ist allerdings deutlich geschildert. Die scapigliati haben sich intensiv mit den zeitgenössischen Fortschritten der Naturwissenschaften auseinandergesetzt, was bereits in der Liste paradigmatischer Wissenschaftler bei Boito zum Vorschein kommt: Neben Gründungsfiguren der Medizin (Hippokrates) und der experimentellen Wissenschaft (Francis Bacon) finden sich frühneuzeitliche Anatomen wie Andreas Vesalius, William Harvey und Andrea Cesalpino, von dem das lateinische Zitat stammt, die mit der Beschreibung des Blutkreislaufs und des Herzens als dessen zen- 2_IH_Italienisch_69.indd 98 2_IH_Italienisch_69.indd 98 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 99 Ludger Scherer Vivisektion der Romantik: Arrigo Boitos «Lezione d’anatomia» tralem Organ unmittelbar verbunden sind. Ein besonders interessanter Name ist in diesem Zusammenhang der Bakteriologe Robert Koch, der für den Nachweis des Tuberkelbazillus bekannt ist und damit eine sehr konkrete Verbindung zur tödlichen Krankheit des sezierten Mädchens etabliert. Diese Entdeckung gelang Koch jedoch erst im Jahr 1882, mithin 17 Jahre nach der Entstehung von «Lezione d’anatomia». 12 Was also auf den ersten Blick unmittelbar plausibel erscheint, weist Boitos Gedicht auf den zweiten Blick eine prophetische Qualität zu, die geeignet ist, den Erkenntnisvorsprung der Wissenschaft und ihren Primat über die funktionslose Kunst in Frage zu stellen. Zwar waren Kochs Forschungen wohl bereits in den 1860er Jahren in Italien derart bekannt, dass Boito ihn in seine illustre Liste paradigmatischer Wissenschaftler aufnahm, ohne notwendigerweise dabei an die verborgene Verbindung von romantischer Schwindsucht und deren positivistischer Diagnose zu denken. Das Beispiel zeigt jedoch, dass Boito und andere scapigliati sich bei ihrer kritischen Auseinandersetzung mit den Naturwissenschaften eindeutig auf der Höhe der Zeit und in genauer Kenntnis der Sachlage bewegten und eben kein vages romantisches Unbehagen an modernen Entwicklungen zu Papier brachten. Sie führten vielmehr einen Zweifrontenkrieg gegen verkrustete Kunsttraditionen auf der einen Seite und inhumanen Szientizismus auf der anderen Seite, der sehr wohl einen fundamentalen Erkenntnisgewinn auch in gesellschaftlich-wissenschaftlicher Hinsicht produzieren kann. Die italienische Scapigliatura holte, wie Boitos «Lezione d’anatomia» zeigt, die Romantik in ihrer europäischen Dimension für Italien ein Stück weit nach, überwand sie gleichzeitig und bewahrte doch den Autonomieanspruch der Kunst gegen alle positivistischen Banalisierungsversuche - sie kann demnach als bislang nicht genügend erforschte eigenständige Bewegung gesehen werden, deren spezifische Verschmelzung von Tradition und Innovation, nationaler und internationaler Kunst kein bloßes Übergangsphänomen und keinen ephimeren Betriebsunfall der Literaturgeschichte darstellt. Die dualistische Zerrissenheit der Kunst zwischen Idealismus und Realismus wird von Arrigo Boito und anderen scapigliati vielmehr bewusst ausgestellt und ausgehalten und als coincidentia oppositorum zum Wahrzeichen einer neuen Literatur erklärt. Übersetzung und Kommentar: Ludger Scherer 2_IH_Italienisch_69.indd 99 2_IH_Italienisch_69.indd 99 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 10 0 Vivisektion der Romantik: Arrigo Boitos «Lezione d’anatomia» Ludger Scherer Anmerkungen 1 Vgl. Arnold Jacobshagen, «Boito, Arrigo», in: Die Musik in Geschichte und Gegenwart. 2. Ausgabe. Hrsg. von Ludwig Finscher. Personenteil 3, Kassel: Bärenreiter 2000, S. 281-287. 2 Zitiert nach: Arrigo Boito, Il libro dei versi. A cura di Claudio Mariotti, Modena: Mucchi 2008, S. 101-105. 3 Vgl. zur Scapigliatura: Giuseppe Farinelli, La Scapigliatura. Profilo storico, protagonisti, documenti, Roma: Carocci 2003; Alessandro Ferrini, Invito a conoscere la scapigliatura, Milano: Mursia 1988; Elio Gioanola, La scapigliatura. Testi e commento, Torino: Marietti 1975; Gaetano Mariani, Storia della Scapigliatura, Caltanissetta / Roma: Sciascia 1967; Francesco Ogliardi/ Susanna Federici (a cura di), La Milano della Scapigliatura. Letteratura, arte, storia e costume, Pavia: Selecta 2006. 4 Mariotti (2008, S. 100) stellt konkret Baudelaires Gedicht «Une martyre» aus den Fleurs du Mal als direktes Vorbild für Boitos «Lezione d’anatomia» dar, was sicher so nicht zutrifft. 5 Entsprechend arbeiteten sich etliche scapigliati am Über-Dichter des vereinigten Italien ab, was jeweils differenziert und historisierend betrachtet werden müsste. Zum Verhältnis der Scapigliatura zu Manzoni vgl. beispielsweise: Renzo Negri (a cura di), Il ‹Vegliardo› e gli ‹Antecristi›. Studi su Manzoni e la Scapigliatura, Milano: Vita e pensiero 1978. 6 Vgl. Sabine Schrader, «‹L’Umorismo è la letteratura dello scetticismo› (Dossi) - Humor, Parodie und Absurdes in der Literatur der Scapigliatura», in: Ludger Scherer/ Rolf Lohse (Hrsg.), Avantgarde und Komik, Amsterdam/ New York: Rodopi 2004, S. 37-54. 7 Diese drei Paralleltexte, die in Kommentaren zu Boitos Gedicht beständig angesprochen werden, deren gründlichere Analyse neben den offensichtlichen Gemeinsamkeiten jedoch vor allem die Unterschiede zu Tage treten lassen würde, finden sich beispielsweise abgedruckt in: La poesia scapigliata. A cura di Roberto Carnero, Milano: BUR 2007, S. 120 -129, 294 -298, 397- 399. 8 Mariotti (2008, S. 100) vertritt die Lesart einer eindeutigen Abhängigkeit des Gedichts von der Erzählung und deutet beide als Sieg des Positivismus über die Romantik - was deutlich differenzierter zu interpretieren wäre. «Un corpo» erschien zuerst 1870 in Nuova Antologia, dann 1876 in Camillo Boitos Storielle vane. 9 Vgl. beispielsweise Alberto Carli, Anatomie scapigliate. L’estetica della morte tra letteratura, arte e scienza, Novara: Interlinea 2004, bes. S. 68 - 69. 10 So die Herausgeberin in: Arrigo Boito, Opere letterarie. A cura di Angela Ida Villa, Milano: Edizioni Otto/ Novecento 4 2009, S. 424. 11 Vgl. beispielsweise Mariotti 2008, S. 99 - 101; Carnero 2007, S. 203. 12 Meines Wissens weist nur Carnero (2007, S. 206) ebenfalls auf diesen Umstand hin. 2_IH_Italienisch_69.indd 100 2_IH_Italienisch_69.indd 100 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 101 Sprachecke Italienisch Die Rubrik «Sprachecke Italienisch» stellt aktuelle Probleme und Tendenzen des Gegenwartsitalienischen vor und befasst sich mit Normierungsschwankungen, grammatischen Unsicherheiten, Neubildungen u. a. Dabei sollen möglichst auch Anfragen und Anregungen aus dem Leserkreis aufgegriffen werden, die die Dynamik des Gegenwartsitalienischen als «lingua […] in forte ebollizione» (F. Sabatini) präsentieren. Verantwortlich für die «Sprachecke Italienisch» ist Prof.Dr. Edgar Radtke (Universität Heidelberg): edgar.radtke@rose.uni-heidelberg.de. Marmaldesco und soldatessa Das Aufleben einiger Wörter, denen man geneigt ist, eine ansehnliche Wortgeschichte zu unterstellen, taucht mehr oder weniger sporadisch im Gegenwartsitalienischen auf und verdient einen Kommentar zur Kuriosität ihrer Wiederverwendung. Aus meiner Sammlung solcher Verdachtsfälle greife ich zwei Beispiele heraus, die für die lexikographische Behandlung wieder erstarkter Lexeme von Bedeutung sein könnten: La Repubblica vom 13. September 1992 schreibt auf Seite 1 im Artikel «Il carro di Craxi»: «Sparare su Craxi che si riforma se stesso è come sperare sulla Croce Rossa. Un esercizio marmaldesco e caricaturale.» [Kursivsetzung d.A.] Man ist geneigt, die Verwendung von marmaldesco als Eintagsfliege abzutun. Allerdings ist in jüngerer Zeit das Wort auch in einer Leserzuschrift in Il foglio.it greifbar: «Ci dovremo subire, invece, l’irreducibile e grottesca compagina depietrista dalla quale non c’è proprio speranza di sentir far un intervento che non sia di odio marmaldesco.» [Luciana Valent] (www.ilfoglio. it/ danton/ 457). Die gängigen einsprachigen Wörterbücher Zingarelli 2011 oder Sabatini-Coletti verzeichnen marmaldesco nicht, was unverständlich bleibt: Wenn marmaldesco in politischen Artikeln zwischen 1992 und 2009 verwendet wird - wenngleich selten -, scheint das Wort doch einen festen Platz einzunehmen mit der Konnotierung ironico oder scherzoso. Zur Ermittlung der Bedeutung ist auch auf marmaglia ‹gente disonesta dispregevole› und maramaldeggiare ‹fare il prepotente con i deboli› und maramaldesco zurückzugreifen: Die Wörterbücher führen marmaldo nicht. Dieses negativ konnotierte Adjektiv wird zudem mit diskutablem politischen Tun in beiden Zitaten in Zusammenhang gebracht. Wortgeschichtlich handelt es sich um die Umsetzung eines Eigennamens in ein allgemeines Lexem (dal nome proprio al nome comune gemäß Bruno Migliorini), wie es etwa für die pantaloni gilt, das als Ausgangspunkt auf die Figur des Pantaleone in der venezianischen Stegreifkomödie zurückgreift. Dem Begriff liegt der Heerführer Fabrizio Maramaldo 2_IH_Italienisch_69.indd 101 2_IH_Italienisch_69.indd 101 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 102 Marmaldesco und soldatessa Edgar Radtke (vor 1500 - 1552) zugrunde, der ein sehr bewegtes Abenteurerleben führte; so flüchtete er wegen des Mordes an seiner Ehefrau von Neapel nach Mantova. Militärisch erlangte er zunächst große Bewunderung ob seiner Strategien in der Belagerung von Asti (1526), seiner Teilnahme am Sacco di Roma von 1527 und der Belagerung von Monopoli im Jahre 1529. Die negative Konnotation rührt indessen von der Ermordung des gefangenen Francesco Ferruccio in der Schlacht von Gavinana 1530 her. Ab dem 19. Jahrhundert verfestigt sich das negative Bild von Maramaldo als Symbol für die Zusammenarbeit mit fremden Truppen zur Unterdrückung der Repubblica fiorentina, so dass sich maramaldo für ‹feige›, ‹hinterhältig› durchsetzen kann. Interessant ist auch die euphorisch bedingte Polymorphie von marmaldo und maramaldo. Zudem zeigt das Suffix -esco auch einen diskreten Hang zur depreziativen Konnotation an. Marmaldesco ist sicherlich kein Neologismus, sondern verfügt über eine jahrhundertealte Wortgeschichte, die leider keine Belege zu kennen scheint. Für das Italienische mit einer beeindruckenden Nationallexikographie stellt dies eine Kuriosität dar. Für die Materialsicherung wäre als erstes sicherlich eine systematische Materialexploration in der Romanproduktion des 17. Jahrhunderts angezeigt für eine historische Aufklärung des Begriffes, der sich bis heute in den politischen Journalismus gerettet hat und für die Bewertung der jüngeren italienischen Tagespolitik signifikant ist. Eine sprachhistorische Vertiefung verdient auch der Begriff soldatessa in einem Beleg aus La Repubblica vom 13. September 1992, S. 22: «Un’altra tradizione delle vecchia Inghilterra se n’è andata ieri quando nove soldatesse hanno partecipato per la prima volta dopo 150 anni al cambio della guardia di Buckingham Palace.» [Kursivsetzung d.A.] Soldatessa als Berufsbezeichnung ist nun zwar seit geraumer Zeit gang und gäbe, aber das Lexem lebt immer noch einen semantischen Konkurrenzkampf mit donna soldato. Die sogenannten neuen weiblichen Berufsbezeichnungen sind noch nicht alle eindeutig normiert, vielmehr greifen wie im Französischen mehrere Verfahren wie donna/ signora avvocato gegenüber avvocatessa in eine Dynamik ein, die auch konnotierte Formen bewusst kreiert: Die neutrale Form avvocato gewinnt gegenüber avvocatessa (Sabatini-Coletti: non comune) an Terrain, medico ebenso gegenüber medica und medichessa, was für Sabatini-Coletti als «antico» oder «scherzoso» gilt. Bei soldatessa hingegen verhält es sich etwas anders: Sabatini-Coletti definiert das Wort synonymisch mit donna soldato unter Hinzufügung einer Zweitbedeutung ‹donna dal fare soldatesco› mit scherzhafter Markierung. Auffällig ist auch die Datierung aus dem 18. Jahrhundert, so dass davon auszugehen ist, dass in diesem spezifischen Fall die konnotierte Bedeutung der Berufsbezeichnung vorausgegangen ist. Der Zingarelli verfährt gleichartig, differenziert aber zwischen dem uso femminile von 2_IH_Italienisch_69.indd 102 2_IH_Italienisch_69.indd 102 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 103 Edgar Radtke Marmaldesco und soldatessa soldato, dem seltenen soldata und natürlich soldatessa. Es stellt sich in der Gesamtentwicklung der letzten 20 Jahre die Frage, ob die Lexikographen nicht dazu übergehen sollten, donna soldato als eigenständiges Lexem aufzuführen, und zwar weniger als Komposition, sondern eher als präfigierende Markierung. Bei der Bewertung der Verteilung der drei Konstruktionsmöglichkeiten für die weiblichen Berufsbezeichnungen ist in erster Linie die Häufigkeit ausschlaggebend. Bei aller Vorsicht der Bewertung von Suchmaschinen gibt Google jedoch durchaus einen Anhaltspunkt für die Gebrauchsfrequenz: donna soldato liefert ca 1.800.000 Belege (einschließlich der Fotografien), soldata 710.000 Einträge und soldatessa 344.000 Belege. Ähnlich spiegelt diesen Sachverhalt auch donna avvocato mit ca. 606.000 Einträgen, avvocata 507.000 Belegen (unter Einschluss des Viertels L’Avvocata in Neapel u. a. m.) sowie avvocatessa mit 392.000 Elementen. Daraus könnte man kühn einen ersten Trend ablesen, dass die -essa-Formen zur Berufsbezeichnung eher rückläufig sind und ihre ironisch-scherzhafte Konnotation nicht aufgegeben haben zur Abgrenzung von donna + männliches Grundwort. Für ein abschließendes Urteil ist es jedoch noch viel zu früh. Edgar Radtke 2_IH_Italienisch_69.indd 103 2_IH_Italienisch_69.indd 103 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 10 4 DA N I E L R E I M A N N Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik: Den Umgang mit zweisprachigen Wörterbüchern erlernen Fragestellung Lernerautonomie und Individualisierung sind - zusammen mit Heterogenität, Differenzierung und Inklusion - (wieder) zu großen, aus Erziehungswissenschaften und Bildungspolitik übernommenen Diskussionsfeldern der Fremdsprachendidaktik geworden. 1 Gleichzeitig werden zweisprachige Wörterbücher immer häufiger im Fremdsprachenunterricht eingesetzt, nicht zuletzt, da sie z. B. in Bayern inzwischen in der Abiturprüfung zugelassen sind. Zudem haben sich gerade zweisprachige Lernerwörterbücher im letzten Jahrzehnt insofern zu einem immer komplexeren ‹Text› im etymologischen Sinne des Wortes entwickelt, als sie seit gut zehn Jahren sog. Info-Fenster bereit halten, in denen zu einzelnen Lemmata lexikalische, morphosyntaktische, pragmatische und kulturkundliche Zusatz-Informationen dargeboten werden. Nicht nur darin unterscheiden sie sich von qualitativ nicht ebenbürtigen Online-Angeboten wie etwa LEO, auf die Schülerinnen und Schüler im Alltag gerne zurückgreifen, wovor sie aber gewarnt werden sollten. Ein verstärkter Rückgriff auf Print-Wörterbücher wird dann erfolgen, wenn die Schülerinnen und Schüler lernen, mit diesen umzugehen und deren Potential voll auszuschöpfen. Die Wörterbuchdidaktik ist indes ein äußerst unterentwickeltes Teilgebiet der Fremdsprachendidaktik. Der Beitrag setzt sich daher zum Ziel, die genannten aktuellen Diskurse zusammenzuführen, indem Wörterbücher als ein wichtiges Instrument zur Individualisierung und zur Entwicklung von Lernerautonomie eingeführt werden und Anregungen gegeben werden, wie man einen umsichtigen Umgang mit dem zweisprachigen Wörterbuch im Italienischunterricht vermitteln kann. Lernerautonomie Die sich heute in der Fremdsprachendidaktik intensivierende Differenzierungs- und Individualisierungs-Debatte kann an die Bemühungen um Lerner- und Schülerorientierung der 1990er Jahre anknüpfen. Diese Bemühungen lassen sich auf das - in seiner letzten Konsequenz utopische - Konzept der Lernerautonomie zurückführen, dessen Ziel das selbständige, zu lebenslangem Lernen fähige Individuum ist - ein Ziel, das durchaus verfolgt werden kann und soll, wenn auch ‹radikale› Lernerautonomie in Kontexten gesteuerten Lernens 2_IH_Italienisch_69.indd 104 2_IH_Italienisch_69.indd 104 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 105 Daniel Reimann Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik unrealistisch ist. Das Konzept wurde im fremdsprachendidaktischen Bereich seit Ende der 1970er Jahre in Frankreich ausgehend vom Centre de Recherches et d’Applications Pédagogiques en Langues (CRAPEL) der Université de Nancy entwickelt und bezog sich zunächst, befördert auch durch den Rat für kulturelle Zusammenarbeit beim Europarat, v.a. auf den Bereich der Erwachsenenbildung. 2 In den 1990er Jahren avanciert Lernerorientierung zusammen mit Interkulturalität und Mehrsprachigkeit zu einer der tragenden Säulen des «neokommunikativen» Ansatzes (Meißner/ Reinfried 2001). Individualisierung Individualisierung ist im Grunde die letzte, auf die/ den einzelne/ n Schülerin/ Schüler als Individuum bezogene, Konsequenz der Bemühungen um Differenzierung. Ziel ist im Falle des Fremdsprachenunterrichts, dem individuellen Charakter einer jeden Fremdsprachenaneignung, der sich aus den Erkenntnissen des Konstruktivismus begründet, Rechnung zu tragen. Dies manifestiert sich idealerweise in der Berücksichtigung der jeweils einzigartigen, mehrsprachigen und transkulturellen Sprachlernbiographie gerade in der dritten oder spät beginnenden Fremdsprache. Methodische Implikationen des Bemühens um Individualisierung sind etwa das Verständnis von - Unterricht als Lernangebot - Lehrkräften als Helfer und Berater - offenem Unterricht als zentralem Prinzip (z. B. Königs 2010, S. 327). Dass ein solches Verständnis vom Lernen in der Institution Schule keineswegs unumstritten ist, zeigt zuletzt auch die breite Rezeption der so genannten Hattie-Studie in den verschiedensten Medien, die offenem Unterricht insgesamt eher kritisch gegenüber steht. 3 In Anlehnung an die umsichtige Zusammenstellung von Wolfgang Steveker kann man etwa folgende Handlungsfelder der Individualisierung erwähnen, auf die im individualisierenden Unterricht eingegangen werden sollte: Vorwissen und Lerntempo. Mithin sollten Lernziele und Lernhilfen an die jeweiligen Bedürfnisse angepasst und alle Lernenden aktiviert werden (Steveker 2010, S. 5). Als priviligierte Organisationsformen für individualisierenden Fremdsprachenunterricht nennt er das «kooperative Lernen», worunter er u.a. «Tandem, Gruppenarbeit, Expertenpuzzle» versteht, und offenen Unterricht, insbesondere Stationenlernen, Lerntheke, Freiarbeit (ebd.). Im weiteren Verlauf seiner einführenden Darstellung unterscheidet Steveker 2010 (S. 5 ff.) zwischen gemäßgt und stark individualisierenden Verfahren. Einige davon sollen hier - weiter systematisiert und teilweise ergänzt - erwähnt werden: 2_IH_Italienisch_69.indd 105 2_IH_Italienisch_69.indd 105 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 106 Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik Daniel Reimann gemäßigt individualisierend stark individualisierend - Stundeneinstieg mit Bildern (OHP, Beamer, Interactive Whiteboard) - Partnerarbeit (z. B. Partner-Interview, Tandembögen) - Think-Pair-Share (Stillarbeit, Besprechung in Partnerarbeit, Diskussion im Plenum) - Gruppenarbeit (z. B. Vorbereitung von Rollenspielen, Erstellung von [Lern-] Postern, Wandzeitungen etc., Gruppenpuzzle/ Expertengruppen) - Stationenlernen, WebQuest - Stilles Schreibgespräch (Fixierung von Vorwissen oder Assoziationen auf im Klassenraum verteilten Plakaten; die Einträge werden nach dieser «stummen» Phase im Plenum besprochen) - Lernmaterial selbst erstellen (z. B. Lückentext erstellen, Fragen zu einem Text formulieren) - Lernmaterial ergänzen (z. B. Texte weiter-/ umschreiben etc., i.e. Verfahren des kreativen Umgangs mit Texten, Filmen, Liedern usw.) - Mitschreibetechniken entwickeln - «One-/ twoetc. minute talk»/ «relazione un minuto» (Vorbereitung auf das möglichst freie Sprechen durch sehr kurze, frei vorzutragende Beiträge/ «Kürzestreferate») - «Bus stop»/ «fermata dell’autobus» (die Schülerinnen und Schüler bearbeiten Aufgaben individuell; alle, immer zwei zu etwa demselben Zeitpunkt fertig werdende Schülerinnen und Schüler begeben sich zu jeweils einem als «Bushaltestelle» ausgewiesenen Punkt im Klassenzimmer und besprechen dort ihre Lösungen) - Stillarbeit - Lerntheke (Bereitstellung von Lernmaterialien, die die Schülerinnen und Schüler nach dem jeweils von ihnen wahrgenomenen Bedürfnissen auswählen können; im Unterschied zum Stationenlernen ist also keine bestimmte Reihenfolge bei der Bearbeitung vorgegeben) - Lesekoffer, Lesezirkel (und damit verbundene Aktivitäten wie Lesetagebuch) - Freiarbeit - Wochenplanarbeit - Simulation - Projektarbeit - Lerntagebuch - Portfolio-Arbeit 2_IH_Italienisch_69.indd 106 2_IH_Italienisch_69.indd 106 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 107 Daniel Reimann Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik gemäßigt individualisierend - Kugellager/ «cuscinetto a sfere» (die Lerngruppe stellt sich in zwei konzentrischen Kreisen auf; die Schülerinnen und Schüler des Innenkreises geben jeweils einen sprachlichen Input (z. B. Satzanfang oder Diskussionsanstoß), der von den Schülerinnen und Schülern des äußeren Kreises aufgegriffen werden muss. Dann dreht sich der äußere Kreis geschlossen um eine Station weiter, so dass er einen Input von der jeweils nächsten Schülerin/ dem jeweils nächsten Schüler erhält usw.). - Rollenspiel und weitere Formen szenischen Spiels - Einsatz digitaler Medien in Einzel-, Partner- und Gruppenarbeit (z. B. eigene Gestaltung eines «Hefteintrags» in Laptop/ I-Pad-usw.-Klassen, Selbstbestimmung über Zahl- und Art der herangezogenen Quellen, Wortschatzhilfen (sei es auf der Cd-Rom eines Hörbuchs offline, sei es, in Online- Wörterbüchern etc.), ggf. Anpassung der Vorspiel/ Hörgeschwindigkeit etc. - Selbstevaluation anhand vorgegebener Kriterien Betrachtet man diese - von Steveker erstellte und von mir systematisierte und erweiterte - Übersicht, fällt auf, dass hier für unser heutiges Verständnis viele selbstverständliche Verfahrensweisen zusammengestellt sind, die man auf den ersten Blick nur mittelbar mit Individualisierung in Verbindung bringen würde, d.h., dass entweder vom Individualisierungsdiskurs allgemein anerkannte Prinzipien eines zeitgemäßen Fremdsprachenunterrichts aufgegriffen werden, oder - was eher der Fall zu sein scheint -, dass Prinzipien der Individualisierung bereits wie selbstverständlich in das allgemeine fremdsprachenmethodische Repertoire Einzug gehalten haben. Eine Reflexion über das spezifische Individualisierungspotential eines jeden Verfahrens bei der Unterrichtsplanung kann trotzdem dazu beitragen, den Unterricht so zu gestalten, dass den einzelnen Lernenden und ihren Bedürfnissen möglichst individuell Rechnung getragen wird. In vielen dieser individualisierenden Verfahren, gerade auch in solchen, die zugleich Spielarten des kooperativen Lernens darstellen, können zweisprachige Wörterbücher gewinnbringend eingesetzt werden (z. B. bei bestimmten Arbeitsaufträgen für Partner- oder Think-Pair-Share- Aktivitäten, Gruppenarbeit, Lesekoffer, Freiarbeit, Wochenplanarbeit, Simulation usw.). 2_IH_Italienisch_69.indd 107 2_IH_Italienisch_69.indd 107 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 108 Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik Daniel Reimann Wörterbuchdidaktik Die Wörterbuchdidaktik ist in der deutschen Fremdsprachendidaktik allerdings derzeit unterentwickelt. 4 Defizite bestehen v. a. im Bereich der Erforschung des Umgangs mit dem zweisprachigen Wörterbuch in schulischen Kontexten sowie im Bereich der Vermittlung von Kompetenzen zur Benutzung zweisprachiger Lexika. 5 Es besteht indes u.a. aufgrund der Zulassung zweisprachiger Wörterbücher in den Abiturprüfungen - z. B. in Bayern laut Abitur- KMS VI.6-5 S 5500-6.24270 vom 25.09.2009 durch die Schülerinnen und Schüler frei wählbar - ein zunehmender Bedarf an fachdidaktischer Reflexion über die Nutzung zweisprachiger Wörterbücher und an methodischen Anregungen im Hinblick auf das Erlernen des Umgangs mit zweisprachigen Wörterbüchern. «Info-Fenster» in zweisprachigen Lernerwörterbüchern So genannte Info-Fenster in zweisprachigen Lernerwörterbüchern sind verstärkt ab etwa 2000 nachgewiesen (vgl. Reimann 2012). Sie beinhalten entweder sprachliche Zusatzinformationen (v.a. zu Aussprache, Lexik, bes. Semantik und «falsche Freunde», Morphosyntax und Pragmatik) oder kulturkundliche Hinweise und bedingen eine neue Qualität zweisprachiger Lerner- und Handwörterbücher, die z. B. in Hausmann 1989 ff. noch nicht erfasst werden konnte. 6 Den Info-Fenstern kommt gerade im Hinblick auf die adäquate Verwendung der lexikalischen Informationen besondere Bedeutung zu. Zu berücksichtigen ist freilich u. a., dass sie im ihnen gegebenen engen Rahmen u. a. kulturkundliche Informationen sehr reduzieren. Ihre besondere Bedeutung gewinnen diese Zusatzinformationen ferner vor dem Hintergrund der Forderungen nach Kognitivierung, Lernerautonomie und der Grundlegung lebenslangen Lernens, die an den heutigen Fremdsprachenunterricht gestellt werden. Mit dem handlungs- und aufgabenorientierten Ansatz des GeR (Gemeinsamen Europäischen Referenzrahmens) einerseits und seiner Betonung der interkulturellen Dimension andererseits wird ferner eine interbzw. transkulturelle pragmatische Kompetenz (vgl. Reimann 2011, 2012) zunehmend bedeutsam. Auch deren Entwicklung kann durch die Info-Boxen begünstigt werden. Aktivitäten zum Umgang mit dem zweisprachigen Wörterbuch Die im Folgenden beschriebenen sieben Aktivitäten zum Umgang mit dem zweisprachigen Wörterbuch können grundsätzlich ab dem ersten Lernjahr eingesetzt werden. Je nach Grad der Vertiefung sind insbesondere die Arbeitsblätter 3, 4 und 7 eher ab dem 2. bzw. 3. Lernjahr zu verwenden. Je nach in 2_IH_Italienisch_69.indd 108 2_IH_Italienisch_69.indd 108 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 109 Daniel Reimann Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik der jeweiligen Lerngruppe anzutreffender Kompetenz im Umgang mit Wörterbüchern können die sieben Aktivitäten entweder als eine Unterrichtsreihe durchgeführt (etwa drei bis fünf Unterrichtsstunden) oder unabhängig voneinander als ggf. aufeinander aufbauende Module zur Kompetenzentwicklung im Bereich Wörterbuchbenutzung eingesetzt werden (eine ausführliche Darstellung der Unterrichtsreihe, bezogen auf das Spanische, findet sich in dem Kapitel «Strategien im Umgang mit dem zweisprachigen Wörterbuch»). Das Arbeitsblatt 1, das an die in der jeweiligen Lerngruppe eingesetzten Lernerwörterbücher angepasst werden sollte, dient dazu, die Schülerinnen und Schüler mit ihrem Wörterbuch vertraut zu machen; sie sollen sich des vielfältigen Informationspotentials, das in einem zweisprachigen Wörterbuch steckt, bewusst werden. Die Frage könnte ggf. auch in deutscher Sprache formuliert werden, also: «Welche nützlichen Informationen enthält Dein Wörterbuch neben den alphabetischen Wortschatzlisten? ». Denn gerade im ersten Lernjahr können hier Antworten in deutscher Sprache zugelassen werden, da bei dieser Aktivität ausschließlich Vertrautheit mit dem Hilfsinstrument erworben werden soll. Im Hinblick auf das Wörterbuch der Langenscheidt Redaktion (2005) lautet der Erwartungshorizont: - Bildwörterbuch-Seiten (Verzeichnis S. 5), - Infoboxen zu Sprache und Landeskunde/ interkulturellem Lernen (alphabetisches Verzeichnis S. 975 ff.), - Zeichnungen zu «falschen Freunden» (Verzeichnis S. 5), - Landkarten (Verzeichnis S. 5), - Aussprachetabellen (S. 812), - Verbtabellen (S. 952 - 969), - Muster-E-Mails (S. 970 f.), - Übersicht über Zahlwörter (S. 973 f.) Die Arbeitsblätter 2, 3 und 4 zielen darauf ab, dass die Schülerinnen und Schüler im Hinblick auf das selbständige Lernen zu einem bewussten Umgang mit den semantischen Informationen des Wörterbuchs gelangen. In einem ersten Schritt dient das zweite Arbeitsblatt dazu, dass sich die Lernenden der teils asymmetrischen Verteilung der semantischen Informationen in den beiden Teilen eines zweisprachigen Wörterbuchs bewusst werden. Die Komplementarität der beiden Sprachrichtungen soll erkannt werden und die Schülerinnen und Schüler zu der Erkenntnis gelangen, dass sie unabhängig von der durch die jeweils zu bewältigenden Aufgabe bedingten (ersten) Suchrichtung immer beide Teile des zweisprachigen Wörterbuchs benutzen sollten, und dass gerade der Abschnitt Italienisch-Deutsch Teile der Funktionen eines einsprachigen Lernerwörterbuchs übernehmen kann. Der Erwartungshorizont lautet im Einzelnen: 2_IH_Italienisch_69.indd 109 2_IH_Italienisch_69.indd 109 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 110 Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik Daniel Reimann zu 1.: - significato, - rezione del verbo, - una espressione idiomatica, zu 2.: - pronuncia, - modalità di uso, - costruzione del verbo, - rezione del verbo, - usi particolari. Soweit noch nicht bekannt, bietet diese Aktivität die Gelegenheit, das entsprechende metasprachliche Vokabular einzuführen. Im Abschnitt «Conseguenze? Strategie? » könnte formuliert werden: - consultare il dizionario nelle due direzioni, - verificare sempre la parte italiano -> tedesco (in generale, più informazioni sull’uso della parola nel contesto). Das Arbeitsblatt Nr. 3 sieht ein, eher für den Oberstufenunterricht geeignetes, Beispiel vor, um diese Erkenntnis in der praktischen Arbeit mit dem Wörterbuch umzusetzen. Unterstellt wird die Intention eines Lernenden, die Aussage «Der Ausstieg aus der Atomenergie ist unabdingbar» im Italienischen zu formulieren, wobei er das italienische Wort für «Ausstieg» nicht kennt und im zweisprachigen Wörterbuch sucht. Hier wird er in den berücksichtigten Wörterbüchern in einem ersten, nahe liegenden Arbeitsschritt im Teil Deutsch- Italienisch nicht zu einer eindeutigen Lösung gelangen, zu welcher ihm in einem zweiten Schritt der Teil Italienisch-Deutsch verhilft, sofern sich die Schülerin bzw. der Schüler die Mühe macht, dort alle im ersten Suchschritt gefundenen Lexeme nochmals zu verifizieren. Der Erwartungshorizont lautet wie folgt: => informazioni della parte tedesco -> italiano del dizionario: z. B. Langenscheidt Power s.v. Ausstieg 1 l’uscita, 2 figurativ l’abbandono =>informazioni della parte italiano -> tedesco del dizionario: z. B. Langenscheidt Power s. v. uscita […] Ausgang; für Fahrzeuge: Ausfahrt; aus einem Land: Ausreise; von der Bühne: Abgang; eines Buches, einer CD: Erscheinen; eines Filmes: Anlaufen; le entrate e le uscite finanziell: die Einnahmen und Ausgaben; des Torwarts: Herauslaufen; l’uscita di sicurezza Notausgang 2_IH_Italienisch_69.indd 110 2_IH_Italienisch_69.indd 110 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 111 Daniel Reimann Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik => kein einziges Sem, das «Ausstieg» im Sinne von «Aufgeben» vermuten lässt s. v. abbandono von einem Ort: Verlassen; von einem Kind, Tier: Aussetzen; (Vernachlässigung) Verwahrlosung; Sport: Aufgabe => kein weiteres Sem, das den entgegengesetzten Sinn von «Start» (vgl. mehrfach s.v. uscita) vermuten lässt => soluzione dopo aver consultato le due parti del dizionario: Credo che l’abbandono dell’´energia nucleare sia imprescindibile. Als «Conseguenze» bzw. «Strategie» lassen sich auch hier ableiten: - consultare il dizionario nelle due direzioni, - verificare sempre la parte italiano -> tedesco (in generale, più informazioni sull’uso della parola nel contesto). Das Arbeitsblatt 4, das als Alternative zu Arbeitsblatt 3 eingesetzt werden kann, lässt die Lernenden erkennen, wie ergänzend das Internet («ricerca avanzata») als Vergleichskorpus einbezogen werden kann. 7 Der Erwartungshorizont gestaltet sich folglich bis zu «soluzione dopo aver consultato le due parti del dizionario» identisch mit dem des Arbeitsblatts 3, lediglich dass die dort erzielte Lösung zunächst als provisorisch angenommen und weiter hinterfragt, in diesem Fall aber durch das Internet eindeutig bestätigt wird: => soluzione dopo aver consultato le due parti del dizionario: Credo che l’abbandono [? ] dell’energia nucleare sia imprescindibile. => informazioni che risultano dalla ricerca avanzata («la frase esatta») su un motore di ricerca italiano: «uscita dall’energia nucleare» 59 risultati (yahoo.it) «abbandono dell’energia nucleare»: 10.100 risultati (yahoo.it) => soluzione dopo aver verificato su internet: Credo che l’abbandono dell’energia nucleare sia imprescindibile. 2_IH_Italienisch_69.indd 111 2_IH_Italienisch_69.indd 111 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 112 Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik Daniel Reimann Im Bereich «Conseguenze / Strategie» lassen sich daher auf Arbeitsblatt 4 folgende weiterführende Folgerungen festhalten: 1. Domande alle quali la ricerca avanzata in internet può apportare soluzioni: contesto: rezione del verbo, collocazioni, espressioni idiomatiche 2. Attenzione alle «soluzioni» proposte da internet nei casi seguenti: * scarso numero di risultati * origine dubbia dei risultati (pochi risultati incontrati su pagine «.de/ .at»? ) * i risultati sono veramente esatti (o separati da punteggiatura ecc.) Die Arbeitsblätter 5 und 6 sollen die Schülerinnen und Schüler für einen bewussten Umgang mit den «Info-Fenstern» der Wörterbuch-Generation nach 2000 sensibilisieren. Arbeitsblatt 5, das wiederum ab dem ersten Lernjahr eingesetzt werden und auch im unmittelbaren Anschluss an Arbeitsblatt 1 verwendet werden kann, dient der Kognitivierung im Hinblick auf das Informationspotential der sogenannten «Info-Fenster». Die Schülerinnen und Schüler sollen erkennen, dass es einerseits kulturkundliche Info-Boxen gibt, andererseits sprachbezogene Fenster, welche über die einzelnen Lemmata hinausgehende Informationen zur Verwendung der Lexeme beinhalten. Erwartet werden daher unter «1. Su quali temi ci informano i riquadri» die beiden Spalten «lingua» und «cultura», wobei unter «lingua» weiter spezifiziert werden kann: pronuncia, grammatica, lessico, pragmatica. Die zweite Frage «2. Come si trovano i riquadri nel dizionario? » zielt darauf ab, dafür zu sensibilisieren, wie man die Info-Boxen finden kann. Die Lösung müsste dementsprechend - einfach, aber der strategiebildenden Bewusstmachung dienend - lauten: «indice alfabetico» (S. 975 - 977). Das Arbeitsblatt 6 intendiert indes eine gezielte Informationsentnahme aus den Info-Fenstern, einerseits zu vorgegebenen Stichwörtern (6.1), andererseits zu Themenkomplexen, zu denen die Schülerinnen und Schüler Info-Boxen ausfindig machen müssen (6.2). Während letztgenannte Aufgabe in Partnerarbeit zu absolvieren ist, sollte 6.1 in Kleingruppen bearbeitet werden. Bei der Auswahl der vorgegebenen Stichwörter wurde darauf geachtet, dass jede Gruppe Einträge aus verschiedenen durch die Info-Boxen abgedeckten Bereichen bearbeiten muss (u. a. Geschichte, Alltagsleben, Gastronomie). Der Erwartungshorizont ergibt sich aus den entsprechenden Einträgen im Wörterbuch. 2_IH_Italienisch_69.indd 112 2_IH_Italienisch_69.indd 112 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 113 Daniel Reimann Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik Arbeitsblatt 7 dient dem reflektierten Umgang mit dem zweisprachigen Wörterbuch. Es kann ggf. am Schluss der skizzierten Sequenz von Übungen und Aufgaben zur Entwicklung von Strategien im Umgang mit dem zweisprachigen Wörterbuch stehen oder aber in der Oberstufe bei bereits fortgeschrittener Wörterbuchbenutzungskompetenz zur rekapitulierenden Sensibilisierung eingesetzt werden. Bei der Bearbeitung dieses Arbeitsblattes sollen die Lernenden in drei Beispielen ihr gesamtes strategisches Repertoire zur Wörterbuchbenutzung einfließen lassen, Informationen aus den verschiedenen Teilen des Wörterbuchs (z. B. Lemmata, Annexe, Info-Fenster) integrieren und - im Hinblick auf die eigene Textproduktion - kritisch reflektieren. Der Erwartungshorizont für die Fragen 1 bis 3 ergibt sich aus den Einträgen im Wörterbuch und in der berücksichtigten Grammatik. Unter «Conseguenze/ Strategie» sollten die Lernenden etwa zu folgendem Ergebnis gelangen: a. se l’informazione non ti sembra assolutamente affidabile ossia quando non sei sicuro, usa anche una grammatica! , b. - i riquadri non possono sostituire altre fonti per la preparazione di un testo o di una presentazione; - quelle vanno utilizzate sempre; possono incoraggiare ad approfondire un tema. 2_IH_Italienisch_69.indd 113 2_IH_Italienisch_69.indd 113 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 114 Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik Daniel Reimann Arbeitsblatt 1 Strategie per l’uso del dizionario bilingue - 1 [ab 1. Lernjahr] A parte gli elenchi alfabetici di parole, quali sezioni di informazioni utili contiene il tuo dizionario? 2_IH_Italienisch_69.indd 114 2_IH_Italienisch_69.indd 114 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 115 Daniel Reimann Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik Arbeitsblatt 2 Strategie per l’uso del dizionario bilingue - 2 [ab 1. Lernjahr] 1. Quali informazioni ti dà su una parola la parte tedesco -> italiano del tuo dizionario? Langenscheidt Power 2. Quali informazioni ti dà su una parola la parte italiano -> tedesco del tuo dizionario? Langenscheidt Power Conseguenze? -> Strategie? (p. es. per la produzione di testi scritti / la preparazione di un intervento orale) 2_IH_Italienisch_69.indd 115 2_IH_Italienisch_69.indd 115 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 116 Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik Daniel Reimann Arbeitsblatt 3: Strategie per l’uso del dizionario bilingue - 3 [grundsätzlich ab 1. Lernjahr, differenzierter ab 2. / 3. Lernjahr] Perché usare le due parti di un dizionario bilingue? Vorresti scrivere la frase seguente. Ti manca la parola italiana per il tedesco «[der Ausstieg]». Cerca nella parte tedesco - italiano del tuo dizionario, poi consulta anche la parte italiano - tedesco. Credo che [der Ausstieg] di/ da [? ] l’energia nucleare sia imprescindibile. => informazioni della parte tedesco -> italiano del dizionario: =>informazioni della parte italiano -> tedesco del dizionario: => soluzione dopo aver consultato le due parti del dizionario: Conseguenze? -> Strategie? (p. es. per la produzione di testi scritti/ la preparazione di un intervento orale) 2_IH_Italienisch_69.indd 116 2_IH_Italienisch_69.indd 116 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 117 Daniel Reimann Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik Arbeitsblatt 4 Strategie per l’uso del dizionario bilingue - 4 [ab 4. Lernjahr] Come usare un dizionario bilingue e internet? Vorresti scrivere la frase seguente. Ti manca la parola scritta in tedesco. Cerca nella parte tedesco - italiano del tuo dizionario, poi consulta anche la parte italiano - tedesco e l’internet. Credo che [der Ausstieg] di/ da [? ] l’energia nucleare sia imprescindibile. => informazioni della parte tedesco -> italiano del dizionario: => informazioni della parte italiano -> tedesco del dizionario: => soluzione dopo aver consultato le due parti del dizionario: => informazioni che risultano dalla ricerca avanzata («la frase esatta») su un motore di ricerca italiano: => soluzione dopo aver verificato su internet: Conseguenze? -> Strategie? (p. es. per la produzione di testi scritti/ la preparazione di un intervento orale) 1. Domande alle quali la ricerca avanzata in internet può apportare soluzioni: 2. Attenzione alle «soluzioni» proposte da internet nei casi seguenti: 2_IH_Italienisch_69.indd 117 2_IH_Italienisch_69.indd 117 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 118 Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik Daniel Reimann Arbeitsblatt 5 Strategie per l’uso del dizionario bilingue - 5 [ab 1. Lernjahr] Come utilizzare i riquadri del dizionario bilingue? 1. Su quali temi ci informano i riquadri? 2. Come si trovano i riquadri nel dizionario? 2_IH_Italienisch_69.indd 118 2_IH_Italienisch_69.indd 118 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 119 Daniel Reimann Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik Arbeitsblatt 6 Strategie per l’´uso del dizionario bilingue - 6 [ab 1. Lernjahr, bezogen auf Langenscheidt Power] Scoprire i riquadri del dizionario bilingue 1. Lavorate in quattro gruppi. Vince il gruppo che per primo riesce a spiegare (in tedesco) le parole o i nomi seguenti: Gruppo I luna-park agriturismo Biennale scontrino Gruppo II grana coperto ACI Tabacchi Gruppo III giallo bar onomastico sciopero Gruppo IV Palio bancomat sagra extracomunitari 2_IH_Italienisch_69.indd 119 2_IH_Italienisch_69.indd 119 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 120 Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik Daniel Reimann 2. Lavorate in due. Trovate e spiegate due parole, espressioni o nomi degli ambiti seguenti: feste sistema educativo linguaggio degli sms/ e-mail caffè gastronomia 2_IH_Italienisch_69.indd 120 2_IH_Italienisch_69.indd 120 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 121 Daniel Reimann Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik Arbeitsblatt 7 Strategie per l’uso del dizionario bilingue - 7 [ab 3. Lernjahr] Uso intelligente del dizionario bilingue: Abbiamo visto che i nuovi dizionari bilingui contengono tante informazioni. Bisogna però usarli in modo intelligente: data la brevità dei lemmi e dei riquadri, a volte le informazioni possono risultare superficiali. Guarda gli esempi seguenti e compara, in ciascuno dei casi, le informazioni del dizionario con quelle di altre fonti: 1. Vorresti utilizzare la preposizione con seguita dall’articolo la. [Langenscheidt Power] informazione del dizionario: informazione di una grammatica: 2. Vorresti formare il comparativo «Il cane di Laura è più vecchio [als] quello di Marco». Non sei sicuro di quale preposizione usare. [Langenscheidt Power] informazione del dizionario: informazione di una grammatica: 2_IH_Italienisch_69.indd 121 2_IH_Italienisch_69.indd 121 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 122 Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik Daniel Reimann 3. Vorresti sapere di più sul Palio di Siena. Compara le informazioni date dal dizionario con quelle di un’altra fonte a tua scelta. informazioni più dettagliate contenute nella seconda fonte: Conseguenze? -> Strategie? a. per la correzione grammaticale di produzioni di testo b. per i contenuti delle mie produzioni di testo/ presentazioni etc. 2_IH_Italienisch_69.indd 122 2_IH_Italienisch_69.indd 122 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 123 Daniel Reimann Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik Anmerkungen 1 Einführend z. B. Bönsch 1 2009 und 4 2009 und gerade auch aus fremdsprachendidaktischer Perspektive Eisenmann / Grimm 2011. 2 Eine grundlegende Veröffentlichung in diesem Kontext ist Autonomie et apprentissage des langues étrangères von Henri Hole ˇ c (Strasbourg: Conseil de l’Europe 1980). 3 Vgl. z. B. Die Zeit vom 03.01.2013 zur umfassenden Metastudie von John Hattie Visible learning aus dem Jahr 2008. 4 Vgl. den aktuellen Forschungsbericht Zöfgen 2010 und Reimann 2012. 5 Vgl. auch aus romanistisch-didaktischer Perspektive den Sammelband Ruhstaller/ Gordón 2010, der überwiegend das einsprachige (Lerner-) Wörterbuch fokussiert. Das Phänomen der so genannten Info-Fenster in zweisprachigen Lernerwörterbüchern des Spanischen wird aus angewandt-linguistischer und fremdsprachendidaktischer Perspektive erstmals von Reimann 2011 und 2012 untersucht. 6 Allerdings wird in dem im Erscheinen begriffenen Ergänzungsband zu Hausmann 1989 f. von Kiesler (im Druck) auf solche Info-Fenster verweisen. 7 Im konkreten Fall ist für das Italienische «uscita» nur sehr selten belegt, und zwar v.a. mit Bezug auf Deutschland oder aber in Schweizerischen Quellen, in denen eine Interferenz aus dem Deutschen angenommen werden darf (z. B. Detailsuche auf yahoo. it am 09.12.2012: «uscita dall’energia nucleare»: 59 Treffer, «abbandono dell’energia nucleare»: 10.100 Treffer). Bibliographie Bönsch, Manfred ( 1 2009): Erfolgreiches Lernen durch Differenzierung im Unterricht. Braunschweig: Westermann. Bönsch, Manfred ( 4 2009): Intelligente Unterrichtsstrukturen. Eine Einführung in die Differenzierung. Baltmannsweiler: Schneider Verlag Hohengehren. Eisenmann, Maria/ Grimm, Thomas (Hrsg.) (2011): Heterogene Klassen. Differenzierung in Schule und Unterricht. Baltmannsweiler: Schneider Hohengehren. Grieser-Kindel, Christin/ Henseler, Roswitha/ Möller, Stefan (2009): Method Guide. Methoden für einen kooperativen und individualisierenden Englischunterricht in den Klassen 5 - 12. Paderborn: Schöningh. Hallet, Wolfgang / Königs, Frank G. (Hrsg.) (2010): Handbuch Fremdsprachendidaktik. Seelze-Velber: Kallmeyer. Hausmann, Franz Josef et al. (Hrsg.) (1989 ff.): Wörterbücher. Ein internationales Handbuch zur Lexikographie. Dictionaries. An International Encyclopedia of Lexicography. Dictionnaires. Encyclopédie internationale de lexicographie. Berlin / New York: de Gruyter. Holec, Henri (1980): Autonomie et apprentissage des langues étrangères. Strasbourg: Conseil de l’Europe. Kiesler, Reinhard (im Druck): «45. Iberoromance II: Synchronic lexicography», in: Gouws, Rufus H. et al. (Hrsg.): Dictionaries. An International Encyclopedia of Lexicography. Supplementary Volume: Recent developments with special focus on computational lexicography. Berlin: de Gruyter. Königs, Frank G. (2010): «Lernpsychologische und psycholinguistische Grundlagen des Fremdsprachenlernens», in: Hallet / Königs 2010, S. 326 -329. 2_IH_Italienisch_69.indd 123 2_IH_Italienisch_69.indd 123 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 124 Lernerautonomie, Individualisierung und Wörterbuchdidaktik Daniel Reimann Langenscheidt Redaktion (Hrsg.) (2005): Power Wörterbuch Italienisch. Berlin et al.: Langenscheidt. Meißner, Franz-Joseph/ Reinfried, Marcus (Hrsg.) (2001): Bausteine für einen neokommunikativen Fremdsprachenunterricht. Lernerzentrierung, Ganzheitlichkeit, Handlungsorientierung, Interkulturalität, Mehrsprachigkeitsdidaktik. Tübingen: Narr. Reimann, Daniel (2011): «Strategien im Umgang mit dem zweisprachigen Wörterbuch beim Lehren und Lernen der spanischen Sprache», in: Der fremdsprachliche Unterricht Spanisch 35, 2011, S. 28 - 33. Reimann, Daniel (2012): «Kontrastive Pragmatik und transkulturelle Kompetenz. Eine Analyse zweisprachiger Lerner- und Handwörterbücher Deutsch-Spanisch / Spanisch-Deutsch», in: Sánchez Prieto, Raúl / Soliño Pazó, Mar (Hrsg.): Contrastivica I: Aktuelle Studien zur kontrastiven Linguistik Deutsch - Spanisch - Portugiesisch. Stuttgart: ibidem 2012, S. 199 - 228. Ruhstaller, Stefan / Gordón, María Dolores (2010) (Hrsg.): Diccionario y aprendizaje del español. Frankfurt am Main et al.: Lang. Steveker, Wolfgang (2010): «Individualisierung im Spanischunterricht», in: Der fremdsprachliche Unterricht Spanisch 28, 2010, S. 4 -10. Zöfgen, Ekkehard (2010): «Wörterbuchdidaktik», in: Hallet, Wolfgang / Königs, Frank G. (Hrsg.): Handbuch Fremdsprachendidaktik. Seelze: Kallmeyer 2010, S. 107-111. 2_IH_Italienisch_69.indd 124 2_IH_Italienisch_69.indd 124 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 125 Buchbesprechungen Robert Lukenda: Die Erinnerungsorte des Risorgimento. Genese und Entfaltung patriotischer Symbolik im Zeitalter der italienischen Nationalstaatsbildung . Würzburg: Königshausen & Neumann 2012, 276 Seiten, € 39,80 Diese am Fachbereich für Translations-, Sprach-, und Kulturwissenschaft der Universität Mainz (mit Sitz in Germersheim) angefertigte Dissertation stellt sich - fast noch rechtzeitig zum 150. Staatsjubiläum Italiens - eine anspruchsvolle Aufgabe. In der methodischen Nachfolge von Pierre Nora, der in der französischen Historiographie den Paradigmenwechsel von der ‹Geschichte der Fakten› zur ‹Geschichte der Erinnerungen an die Fakten› verwirklicht hat, 1 setzt sich der Verfasser zum Ziel, «Die Erinnerungsorte des Risorgimento» zu benennen und vorzustellen. Der Anspruch der Untersuchung ist also umfassend; er erstreckt sich auf die Gesamtheit der «luoghi della memoria» der italienischen Nationalbewegung - ein hohes, zweifellos nicht leicht zu verwirklichendes Ziel, bedenkt man die Problematik des Begriffs «Erinnerungsort», der ja bereits in seiner ursprünglichen Konzeption bei Nora weit über rein topographisch fassbare Phänomene hinausgeht und ein breites Spektrum von zu Symbolen erhobenen, ja zu Mythen ausgestalteten Fakten, Figuren und «Erzählungen» umfasst, die ihren Platz im «kollektiven Gedächtnis» einer Nation gefunden haben. Die Erforschung der italienischen Erinnerungsorte in den letzten beiden Jahrzehnten ist freilich bereits in mehreren großen Publikationen dokumentiert, die eine solide allgemeine Grundlage für die hier vorgelegte, detaillierte Untersuchung eines spezifischen Feldes innerhalb der italienischen «luoghi della memoria» bilden. 2 Was der jüngeren historischen und soziologischen Forschung zu den italienischen Erinnerungsorten des Risorgimento ihre besondere Relevanz verleiht, ist ihr enger Zusammenhang mit der seit den frühen 90er Jahren wieder besonders virulent gewordenen Diskussion um die nach wie vor problematische italienische nationale Identität. Lukenda lässt in Kap. 3 seiner Arbeit (S. 74 - 87) die verschiedenen Positionen der Forschung bei der Beurteilung des italienischen «nationalen Selbstfindungsprozesses», der in eine, wenn auch sehr problematische, nationale Identität mündet, Revue passieren. Das Ziel der vorliegenden Arbeit ist dagegen im Wesentlichen ein ‹archäologisches›: Es geht dem Vf. darum, die Wurzeln der patriotischen «Symbole» und «Mythen» - so die im weiteren Verlauf der Arbeit bevorzugten Bezeichnungen - im «Zeitraum der italienischen Vornationalstaatlichkeit» (S. 21) 2_IH_Italienisch_69.indd 125 2_IH_Italienisch_69.indd 125 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 126 Buchbesprechungen freizulegen und ihre «Entfaltung», aber bemerkenswerterweise auch bereits ihren teilweisen «Niedergang» bis zum Zeitpunkt der Nationalstaatsgründung 1860/ 61 darzustellen. Den beginnenden Niedergang setzt Lukenda ab 1848 an; von nun an erscheine das Risorgimento «bereits als geschichtlicher Prozess» (S. 24) und es finde eine «Gedächtnisentfremdung» (S. 25) statt. Hier sieht Lukenda die eigentliche Forschungslücke. Trotzdem scheint mir diese Einschränkung auf den Zeitraum von 1800 bis 1861 gerade in den Fällen herausragender Mythen 3 (oder «Erinnerungsorte», wenn man bei dem Begriff bleiben will) wie etwa der «Lega lombarda» 4 oder den «Vespri siciliani» 5 bedauerlich, weil gerade hier historische Längsschnitte den Wandel und die Vitalität der Mythen bis hinein in die heutige Zeit besonders deutlich hätten zeigen können. Diesen Reiz spürte offenbar auch der Vf., denn er erlaubt sich da und dort doch Ausflüge in die Zeit nach 1861 bis hinein in die faschistische Ära - was er auch vom Ansatz her begründet (S. 38). Die nationalpolitischen «Mythen» des Risorgimento manifestierten sich bekanntlich in sehr unterschiedlichen kulturellen Feldern, von der Literatur mit ihren verschiedenen Gattungen über den besonders wichtigen Bereich des melodramma, also der italienischen Oper, bis hin zur populären Historienmalerei eines Francesco Hayez oder Massimo D’Azeglio. In der vorliegenden Arbeit wird unter diesen Phänomenen klar die Literatur unter Einschluss der zeitgenössischen, publizierten Memorialistik präferiert; die Oper wird nur en passant gestreift, die Malerei erscheint zwar eindrucksvoll als Titelbild des Buchs und in sechs unkommentierten kleinen Schwarz-Weiß-Abbildungen am Schluss, wird aber leider nicht näher behandelt. Somit ist diese Untersuchung letztlich innerhalb von zwei methodischen Traditionen angesiedelt, nämlich der Literaturwissenschaft und der Geschichtswissenschaft. Je nachdem, welcher Zugang gewählt wird, erscheinen die zu betrachtenden Texte entweder als ästhetisch definierte Kunstwerke, die nach entsprechenden Kriterien zu bewerten sind, oder - und dies ist hier häufiger der Fall - als sozialhistorische Quellen, die mit den Verfahren der Quellenkritik zu analysieren sind. Innerhalb dieser selbst gewählten Grenzen ist die vorliegende Arbeit eine originelle, reichhaltige und vielseitige Untersuchung, deren Lektüre unbedingt lohnt. Für den ihn interessierenden Zeitraum vom Beginn des 19. Jhs. bis zur italienischen Staatsgründung postuliert Lukenda eine «im Kern kohärente nationale Erinnerungssemantik» (S. 21), was nicht bestritten werden soll, denkt man etwa an Ugo Foscolos berühmtestes Gedicht «Dei sepolcri» (1807), in dem die Reihe der verewigten Heroen der italienischen Kultur mit Dante an der Spitze erscheint. Dieser eindeutig kulturell orientierte Kanon nationaler Größe 6 erfährt, so das Ergebnis der Analyse, eine entschiedene Bedeutungsverschiebung hin zu einer politischen Mythenbildung und einer Symbolik, die einer politisch aktiven, ja zum Teil revolutionär-militanten 2_IH_Italienisch_69.indd 126 2_IH_Italienisch_69.indd 126 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 127 Buchbesprechungen Bewegung - eben dem später so genannten «Risorgimento» - angemessen sein sollte. 7 Der Frage, in wie weit die neuen, «militanten» 8 Mythen dazu geeignet waren, eine bewaffnete Unterstützung der Nationalbewegung nicht nur bei der schmalen gebildeten Schicht, sondern auch beim sogenannten «popolo» zu erwirken, stellt sich der Vf. ebenfalls; nach seiner Überzeugung wurde «eine kurzzeitige Einheit von Elite und Volk» auf dem Höhepunkt der Nationalbewegung, nämlich in den Aufständen und Kriegen der Jahre 1848/ 49 tatsächlich erreicht. Betrachten wir nun die Untersuchung in der Abfolge ihrer einzelnen Schritte. Sie setzt ein mit einem mit «Einleitung» überschriebenen Kapitel 1 (S. 11 - 38), das aus drei Abschnitten besteht, die jedoch nicht eigens hervorgehoben werden. Zunächst wird in einem kurzen Forschungsbericht die jüngere historiographische Risorgimento-Forschung skizziert, gefolgt von einer Darstellung der theoretischen Grundlagen der Arbeit, die, wie oben schon erwähnt, auf Pierre Noras Modell, aber auch auf verwandten Begriffen wie dem des «kollektiven Gedächtnis» (M. Halbwachs) und des «kulturellen Gedächtnis» (A. und J. Assmann) sowie dem jüngeren Begriff der «Erinnerungskonkurrenz» (Wodianka) beruhen. Dazu kommt ein Blick auf spezifische Referenzwerke zum Thema, unter denen zu Recht die Arbeiten von Manuela Heidler 9 und Peter Ihring 10 eine besondere Hervorhebung erfahren. Darauf folgt ein Aufriss des Plans der Arbeit (S. 25 ff.) mit der abschließenden Formulierung der Erkenntnisziele. 11 Der Hauptteil gliedert sich demnach in vier, in Umfang und Gewicht ungleiche «thematische Blöcke» (S. 25), die in der Folge als Kapitel zwei bis fünf erscheinen. Dabei ist grundsätzlich der chronologische Aufbau vom Anfang des Jahrhunderts bis 1860/ 61 gewahrt; er tritt aber zuweilen in Konkurrenz zu typologisch/ thematischen Ordnungsprinzipien. So werden etwa in Kap. 2 («Die Wurzeln des Nationalen: Vergangenheit, Erinnerung und Risorgimento», S. 39 -74) einerseits die «Anfänge und Grundzüge einer nationalen Erinnerungskultur» dargestellt, die im revolutionären «triennio repubblicano» (1796 bis 1799) anzusetzen sind; andererseits wird die patriotische Idealfigur des «poeta-soldato» vom frühen Vertreter Ugo Foscolo bis hin zu Ippolito Nievo entwickelt, was logischerweise den gesamten Zeitraum der Untersuchung vom Jahrhundertbeginn bis 1860/ 61 einbezieht. Dasselbe Verfahren benutzt Lukenda in Bezug auf die patriotische «poesia popolare» der ersten Jahrhunderthälfte und die von ihm so genannten «Narrative des Nationalen» (im Klartext: patriotische historische Romane und Geschichtsdramen), in denen er eine «Strategie der Geschichtsmelodramatisierung» (S. 73) - in der Nachfolge der These von Peter Ihring - zum Zweck der «revolutionären Mobilmachung» (ebd.) am Werk sieht. Das «Erinnerungsrepertoire» (Lukenda) wird also, so der Tenor des Kapitels, für die politischen Bestrebungen der Gegenwart zugerichtet und ihnen dienstbar 2_IH_Italienisch_69.indd 127 2_IH_Italienisch_69.indd 127 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 128 Buchbesprechungen gemacht. Am deutlichsten beobachtbar wird dies vielleicht im berühmten «Canto nazionale» «Fratelli d’Italia» Goffredo Mamelis von 1847 (seit 2005 die offizielle italienische Nationalhymne), den der Vf. des Öfteren (so schon unter den ‹motti› des Buchs) zitiert. Bezeichnenderweise finden sich fast alle bedeutsamen, in der vorliegenden Studie dargestellten «luoghi della memoria» im Lied Mamelis als Motive explizit oder implizit bereits erwähnt. Man könnte also, pointiert ausgedrückt, durchaus sagen, bei Mamelis «canto» handle es sich um eine Art ‹Makro-Erinnerungsort›, der so gut wie alle einzelnen «luoghi della memoria» der italienischen Nationalbewegung einschließt. Mamelis Lied hätte deshalb nach meinem Dafürhalten eine eigenständige Betrachtung in einem eigenen Kapitel verdient. Das kurze Kapitel 3 mit dem zunächst etwas rätselhaften Titel «Kanon und/ oder Konkurrenz: Das patriotische Gedächtnis im Zeitalter des nationalen Aufbruchs» (S. 74 - 87) diskutiert die Positionen der historischen Forschung zur Frage: War die Bewegung des Risorgimento ein revolutionäres Massenphänomen und schufen die «luoghi della memoria» der italienischen patriotischen Bewegung ein starkes, mit anderen Nationen vergleichbares nationales Identitätsbewusstsein? Lukenda folgt mit seiner positiven, aber doch vorsichtig differenzierenden Beantwortung der Frage hier im Wesentlichen Banti und Isnenghi, die ihrerseits letztlich Benedetto Croces Wort von der «geglückten Nationwerdung» aufnehmen. Insbesondere bezieht er sich auf Franco Cardini 12 und dessen Begriff einer «confederazione dei miti patriottici» (S. 84). Lukenda gelangt schließlich zu der Kompromissformel, der «patriotische Gedächtnisentwurf» weise zwar keinen «ideologischen», wohl aber einen «kulturellen Zusammenhalt» (S. 85) auf. Kapitel 4 («Die Erinnerungsorte des Risorgimento», S. 88 - 249) umfasst den umfangreichsten und zugleich am Klarsten strukturierten Teil der Arbeit. Zunächst zeichnet der Vf. die Entwicklung des Eigenbilds Italiens vom klassischen, unvergänglichen, rein ästhetisch konnotierten «bel paese» zum «Erinnerungsraum» und damit zu einer von patriotischen ‹landmarks› durchsetzten «revolutionären Geographie» (S. 130) nach. Dies ist m. E. einer der originellsten und am gewinnbringendsten zu lesenden Teile der Untersuchung, in dem auch zahlreiche kaum bekannte literarische Quellentexte erschlossen werden; hier erscheint etwa der Mythos der «Alpi» als - leider oft erstürmter - Grenzwall gegen die nordischen Barbaren (S. 115 ff.) ebenso wie der Mythos des «mezzogiorno» als «terrestre paradiso und Elendstopographie» (S. 119 ff.) und der der italienischen «campagna», die nun laut Luigi Mercantinis «Inno di Garibaldi» von 1859 von der «terra dei fiori» zur «terra dell’armi» zurückkehren soll (S. 136). Der Abschnitt 4.3 «Die Erinnerungsorte des Risorgimento: Vergangenheit und Gegenwart» enthält den thematischen Kern der gesamten Untersuchung: In chronologischer Reihung werden der 2_IH_Italienisch_69.indd 128 2_IH_Italienisch_69.indd 128 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 129 Buchbesprechungen «Lombardische Bund», die «sizilianische Vesper», der «Untergang der Republik Florenz 1530», der sogenannte «Balilla-Aufstand» in Genua 1746, Papst Pius IX. als problematische nationale Ikone sowie die seit 1848 im Mittelpunkt stehenden «martiri und volontari als nationale Avantgarden» in jeweils verschiedener, konkurrierender Erinnerungssicht vorgestellt. Auf die einzelnen, auf zahlreiche bislang kaum wahrgenommene Quellen gestützten, umfangreichen und verdienstvollen Analysen kann hier aus Raumgründen nicht eingegangen werden. In ihnen wird deutlich, wie stark die Unterschiede in der politischen Einfärbung der Mythen ausgeprägt sind, je nachdem ob der in die politischen Geschehnisse der Risorgimento-Epoche involvierte Interpret dem mazzinianisch-demokratischen oder dem moderaten Flügel des Risorgimento nahestand oder gar zu den Gegnern der Nationalbewegung gehörte. Die Ausführungen versammeln die zahlreichen Quellen und Urteile aus der Feder einer großen Zahl von Persönlichkeiten der Zeit des Risorgimento und der späteren historischen Forschung, allerdings in oft recht bunter, assoziativer Reihung. So entsteht zwar ein dichtes und vielfarbiges Mosaik von Interpretationen, doch wäre es wohl der Klarheit zuträglicher gewesen, wenn die Diskursstrategien der verschiedenen politischen Lager und die Entwicklungslinien der verschiedenartigen Interpretationen der «luoghi della memoria» voneinander getrennt dargestellt worden wären. Das abschließende Kap. 5 (S. 250-57), das den anspruchsvollen Titel «‹poesia di unione e passioni di separamento›: ‹Horizonte› und Diskurse des Nationalen vom Risorgimento bis in die Gegenwart (ein Abriss)» trägt, hätte ohne Verlust auch als ‹Zusammenfassung und Ausblick› firmieren können. Der Kern des hier zu lesenden, differenzierten Fazits sei deshalb zitiert: «Aus der Perspektive der historischen Erinnerungen ist die Geschichte der italienischen Selbstfindung eine Geschichte der geteilten und der teilenden Erinnerung, der Harmonie und Dissonanz, der Kontinuität und des Bruchs und damit eine Geschichte des Erfolgs und des Scheiterns zugleich.» (S. 252) Dass diese «Selbstfindung» noch immer nicht abgeschlossen ist, haben die Ereignisse der italienischen Geschichte der letzten 150 Jahre immer wieder deutlich werden lassen. Der Vf. sieht mit Blick auf ihren Verlauf abschließend «in den angeblichen Oppositionen viel mehr Vereinigendes als Trennendes» (S. 256). Dies sei dahin gestellt, doch zweifellos hat die hier vorgestellte Untersuchung die genetische Vielgestaltigkeit und Einzigartigkeit der politischen «italianità» um Vieles deutlicher werden lassen. Abschließend sei kritisch angemerkt, dass die an Quellentexten und zitierten Positionen der Forschung so reiche Untersuchung sehr unter dem Fehlen eines Personen- und Sachregisters leidet. Ebenfalls der Übersichtlichkeit dienlich gewesen wäre eine Aufteilung des Literaturverzeichnisses in Primär- und Sekundärliteratur. 13 Insgesamt hat Robert Lukenda aber mit dieser 2_IH_Italienisch_69.indd 129 2_IH_Italienisch_69.indd 129 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 130 Buchbesprechungen breit angelegten und gründlichen Studie die deutschsprachige Risorgimentoforschung ein gutes Stück vorangebracht. Richard Schwaderer Anmerkungen 1 Pierre Nora charakterisiert seine «Geschichtsbetrachtung» wie folgt: «La voie est ouverte à une tout autre histoire: non plus les déterminants, mais leurs effets; non plus les actions mémorisées ni même commémorées, mais la trace de ces actions et le jeu de ces commémorations; pas les événements pour eux-mêmes, mais leur construction dans le temps, l’effacement et la résurgence de leurs significations ; non le passé tel qu’il s’est passé, mais ses réemplois successifs; pas la tradition, mais la manière dont elle s’est constituée et transmise.» P. Nora, «Comment on écrit l’histoire de France». Les Lieux de mémoire, Les France, tome III, vol. 1, 1993, S. 24. 2 Wie von Lukenda in seinem Forschungsüberblick dargelegt, sind hier vor allem die zahlreichen Einzelstudien und Überblicksdarstellungen von Mario Isnenghi zu nennen, insbesondere das von ihm herausgegebene umfangreiche Werk I luoghi della memoria, 3 Bde., Roma-Bari 1996-97, das sich auf die «Italia unita» bezieht, aber auch die unmittelbare Vorgeschichte beleuchtet. Nicht mehr berücksichtigen konnte der Vf. der vorliegenden Studie die neue Publikation Isnenghis, Storia d’Italia. I fatti e le percezioni dal Risorgimento alla società dello spet-tacolo, Roma-Bari: Laterza 2011. Ebenfalls der neuen methodischen Betrachtungsweise verpflichtet sind die umfassenden Arbeiten von Mario Alberto Banti, La nazione del Risorgimento, Torino 2000 und Il Risorgimento italiano, Roma-Bari 2004, sowie der von Banti und Paul Ginsborg verantwortete Band: Il Risorgimento, in: Storia d’Italia, Reihe Gli Annali, 22, Torino: Ei-naudi 2007, an dem zahlreiche Gelehrte mitgearbeitet haben. Isnenghi verdankt die vorliegende Arbeit auch die wichtige Definition für die Besonderheit der italienischen kollektiven «memoria». Dieser prägte den Begriff der «memoria divisa e condivisa», also einer im doppelten Sinne «geteilten» Erinnerung. Gemeint ist die Tatsache, dass zwar ein kollektives italienisches Gedächtnis («memoria condivisa») existiert, die einzelnen «luoghi» jedoch je nach politischer Einstellung ganz unterschiedlich «erinnert» und bewertet werden («memoria divisa»). In diese Richtung argumentiert auch die vorliegende Untersuchung. 3 Eine eingehende Erläuterung seines Verständnisses des Begriffs «Mythos» verschiebt der Vf. aus nicht deutlich werdenden Gründen auf die Seiten 237-41 der vorliegenden Arbeit. 4 Vgl. hierzu S. 139-51. 5 Vgl. hierzu S. 152-71. 6 Die Untersuchung benutzt im Hinblick auf die großen Leistungen der italienischen Kultur durchweg den italienischen Begriff der «Grandezza» (S. 39 u.ö.), was etwas unglücklich ist, denn laut Dudens Wörterbuch (Ausgabe 2009) meint dieser als Fremdwort im Deutschen gebrauchte Begriff nur «würdevoll-elegantes Benehmen», was in diesem Zusammenhang natürlich nicht gemeint sein kann. 7 Lukenda spricht in diesem Bedeutungszusammenhang einmal plakativ, aber sprachlich nicht sehr glücklich von einem stattfindenden «Wertewandel von der Kulturalität zur Kombattivität». (S. 213) 2_IH_Italienisch_69.indd 130 2_IH_Italienisch_69.indd 130 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 131 Buchbesprechungen 8 Der Begriff nimmt den der «Militanz» auf, der in der vorliegenden Untersuchung durchgehend als wesentliches Charakteristikum der «Erinnerungsorte» des Risorgimento benutzt wird. 9 L’interpretazione della storia nella letteratura del Risorgimento, Freiburg/ Br. 1976. 10 Die beweinte Nation: Melodramatik und Patriotismus im «romanzo storico risorgimentale», Tübingen 1999. Vgl. hierzu auch die Rezension des Verf. in Italienisch, H. 45 (2001), S. 93-97. 11 Da das Ziel einigermaßen diffus ist, sei hier der entsprechende Absatz auf S. 38 zitiert: «Dem Rahmen dieser Arbeit entsprechend wird sich die Analyse des nationalen Erinnerungsrepertoires darauf konzentrieren, im weiten literarischen Spektrum und diskursiven Durcheinander des patriotischen Zeitalters jene wesentlichen Elemente - ideologische Standpunkte, Vergangenheitsvorstellungen, Ideen usw. - herauszuarbeiten, die den Symbolisierungsprozess des Nationalen grundsätzlich prägen.» 12 F. Cardini, «Federico Barbarossa e il romanticismo italiano», in: R. Elze / P. Schiera (Hrsg.): Italia e Germania. Immagini, modelli, miti fra due popoli nell’Ottocento: Il medioevo, Bologna-Berlin 1988, S. 83 -126. 13 Angemerkt sei auch noch, dass stilistisch holprige Formulierungen sowie nicht immer glückliche lexikalische Neuschöpfungen (z. B. «Exzesshaftigkeit», «Aggressivierung», «Vornationalstaatlichkeit», «lega-Narration», «erinnerungskulturelle Relevanz», «identitäre Selbstfindung» u. ä.) die Lektüre vieler Passagen etwas mühsam machen. Im Text finden sich dagegen kaum Druckfehler, sieht man von der fast durchgehenden Schreibung von Giovanni Berchets «Lettera semiseria» als «semisera» oder «lies» (S. 153) statt «ließ», «Prozesses» (S. 233) statt «Prozess» und «Dissenz» (S. 250) (statt «Dissens») ab. 2_IH_Italienisch_69.indd 131 2_IH_Italienisch_69.indd 131 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 132 Buchbesprechungen Monica Biasiolo: Giaime Pintor und die deutsche Kultur. Auf der Suche nach komplementären Stimmen . Heidelberg: Universitätsverlag Winter 2010, pp. 586, € 93,50 Si offre all’attenzione degli italianisti, dei germanisti e dei cultori di questioni tedesche un volume corposo, articolato in dieci capitoli («Forschungsanlage zur Rezeption eines antifaschistischen Intellektuellen: Schriften pro und contra Giaime Pintor»; «Una vocazione intellettuale»; «Begegnung durch die Übersetzung»; «Pintor als Hermetiker: Eine widersprüchliche Identität»; «Zwei Anthologien für Bompiani: Germanica und Teatro tedesco»; «Zwei Jahre bei Einaudi»; «Zwischen Deutschland, America und Sizilien»; «Treffpunkt Weimar: Literatur und Politik»; «Synthese der Konstanten») e quarantotto sottocapitoli unitamente a una brillante introduzione, a un’appendice articolata e a un ricco apparato illustrativo-bibliografico che la giovane studiosa Monica Biasiolo dell’Università di Erlangen-Nürnberg dedica a Giaime Pintor (1919-1943) e al suo intenso rapporto con la cultura tedesca, a una delle figure più controverse e sfaccettate dell’intellighenzia italiana del Ventennio. Le fitte pagine di questo studio presentano elementi nuovi che arricchiscono la portata del profilo intellettuale e umano di Pintor sulla scorta di informazioni inedite, di analisi testuali e comparative accattivanti che ineriscono sia l’ambito extra-testuale sia quello letterario tout court. Il volume si apre con una messa a punto ragionata della recezione dell’opera poliedrica di Pintor alla luce degli scritti dei suoi sostenitori e detrattori di ambito italiano, appartenenti prevalentemente al mondo della sinistra, che per un verso ha salutato il giovane autore come antifascista, comunista, eroe della Resistenza e modello di un’intera generazione (già definita dallo stesso Pintor «perduta che ha visto infranto le sue carriere»), ma che per un altro ha puntato il dito sul fatto che il giovane intellettuale abbia goduto di buon entrature politiche nell’élite culturale del Ventennio. Del resto lo sguardo acuto di Pintor rivolto ai contesti della cultura ufficiale italiana dominati ancora dall’estetismo dannunziano, dal magistero storicista di Croce, dalla figura numinosa di Papini fondatore instancabile di molte riviste (tra l’altro Leonardo, Il Regno, La voce, Lacerba), dall’ermetismo, ha colto non pochi limiti del provincialismo italiano autarchico collegato con i cosiddetti paesi alleati dell’Asse. La conoscenza delle lingue europee soprattutto del francese e del tedesco, quest’ultima appresa in parte da autodidatta, gli permetterà di accedere direttamente alle opere di carattere letterario e filosofico, di varcare i confini di un’Italia fascista che celebrava i fasti del suo consolidamento interno e della sua alleanza con la Germania nazista. La maturazione della coscienza politica di Pintor come pure la sua critica, non 2_IH_Italienisch_69.indd 132 2_IH_Italienisch_69.indd 132 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 13 3 Buchbesprechungen sempre cauta rispetto alle disposizioni della censura ufficiale di regime, rivolta ai totalitarismi di destra con i suoi apparati ideologici avviene attraverso la riflessione su concetti cardine del pensiero europeo come, ad esempio, quello di romanticismo, caro alla tradizione culturale tedesca (Pintor ha letto o tradotto eminenti autori quali i fratelli Schlegel, von Arnim, Tieck con una puntata a Kleist di per sé eterodosso) cercando di liberarlo da quel pathos che costituisce «il più grave peso morto che l’Europa intellettuale si trascina» (p. 107). I miti romantici rappresentano per lui «gli idoli a cui sacrifica la parte più corrotta d’Europa« (p. 107), alludendo senza giri di parole soprattutto al Nazionalsocialismo. È dal riconoscimento della decadenza che è derivata da una certa accezione di romanticismo, in particolare quella che fa leva sull’attaccamento al suolo patrio, al sangue e alla razza - si ricordi la Blut-und-Boden-Literatur - che Pintor recupera la Dea Ragione di Robespierre, ossia le istanze illuministiche rivoluzionarie e nel contempo quelle risorgimentali. L’interesse di Pintor per la componente morale e politica lo orienteranno verso la lettura di Jünger, Remarque, Wiechert, nelle cui opere la guerra e le dinamiche del potere militarista dittatoriale costituiscono non solo lo sfondo, ma pure i temi centrali, su cui si incentra la narrazione. Nelle sue recensioni ai romanzi di questi autori, Pintor ne coglierà in modo disincantato i pregi e i limiti scegliendo come criterio di giudizio critico l’autenticità esistenziale presente in tali lavori libera dalla roboante e vuota retorica declinata secondo i dettami della propaganda di regime. Ma la critica alla cosiddetta «lingua dei barbari» (usando un’espressione di Erika Mann), avviene in Pintor nella tensione «zwischen zwei unterschiedlichen Bedeutungslinien (eine Bedeutungsebene zeichnet das literaturkritische Bild, die andere dagegen verweist auf jene Elemente, die von der Zensur als bedrohlich betrachtet, jedoch dabei unsichtbar bleiben sollten) fühlbar ist, die die Meta-Ebene seiner Literaturkritik aufdeckt» (p. 117). È questa la chiave ermeneutica adeguata per interpretare il tenore della sua saggistica e delle sue recensioni (apparse nelle riviste Letteratura, Oggi, Roma fascista, La nuova Europa, Primato, Aretusa), della fervida collaborazione biennale presso la casa editrice Einaudi (cfr. p. 307-378), dei progetti editoriali per la Bompiani che porteranno alla pubblicazione delle due antologie Germanica (1942) e Teatro tedesco (uscita postuma nel 1946), nonché le sue traduzioni dal tedesco delle poesie di Rilke, Hofmannsthal, Trakl e delle opere in prosa di E. Jünger, K. Kerst, H. Hesse, G. Britting, P. Alverdes. Il viaggio intellettuale di Pintor attraversa la Germania letteraria nazista («La Germania di oggi perpetua la retorica dell’uomo inattuale», p. 391), di cui recensisce il volume Deutsche Dichter unserer Zeit (1939) curato da H. Gerstner e K. Schworm, alcune opere di E. Jünger e di E. Wiechert e il romanzo Die Geächteten di E. von Salomon, tocca l’America 2_IH_Italienisch_69.indd 133 2_IH_Italienisch_69.indd 133 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 13 4 Buchbesprechungen filtrata attraverso la lezione di Pavese e di Vittorini (cfr. p. 379 - 415) e salutata come «Der Neue Kontinent […] im Hinblick auf die Entwicklung der Menschheit» e in qualità di «Katalysator» (p. 392), cui si aggiunge la Sicilia evocata dalla forza descrittiva della scrittura di Vittorini in Conversazione in Sicilia che «ha un valore assoluto di allegoria, unica allegoria possibile del sentimento, discorso in cui gli uomini e le cose portano i segni a noi familiari e tuttavia sono sempre molto remoti oltre i limiti della cronaca» (p. 397). Ma il ruolo centrale all’interno dei percorsi intellettuali del germanista Pintor spetta alla traduzione, al compito del traduttore che è quello di «sich kritisch mit dem Text auseinanderzusetzen, anstatt diesen unreflektiert zu imitieren» (p. 129), offrendo a se stesso e ai lettori l’opportunità di incontrare nuove opere e nuovi autori. Pintor fu un enfant prodige dell’arte del tradurre. Vi si dedicò appena appresi i primi rudimenti della lingua tedesca, la cui conoscenza egli perfezionerà nel corso degli anni anche grazie all’insegnamento della filologa e germanista Olga Gogala di Leesthal. La sua attività traduttiva avverrà sotto la costellazione di Rilke (Sonetti a Orfeo), Hofmannsthal (Il pazzo e la morte), Trakl (Al ragazzo Elis, Hohenburg, Canto serale, In primavera), le cui composizioni poetiche verranno rese in versione italiana sulla scorta di un registro linguistico ermetico, antiretorico, personale che saprà offrire le parole e le espressioni più efficaci ed equivalenti nella difficile negoziazione tra il testo di partenza e quello di arrivo. Il piano critico della prassi traduttiva di Pintor non è mai disgiunto da quello metacritico che intende liberare la lingua italiana (veicolo della traduzione) dalla retorica di regime, dall’accademisno ottocentesco, dal dannunzianesimo estetizzante. L’impegno del traduttore diviene quindi anche un impegno sociale e politico sia pure sul versante linguistico e letterario. Nella prassi traduttiva delle poesie egli rispetta la rima e il ritmo che gli garantiscono la necessaria musicalità e l’adeguato slancio poetico, per cui egli non punta tanto alla riproduzione esatta dei versi ma a «ein möglichst genaues Äquivalent des eigentlichen Klangs des Gedichtes zu bilden» (p. 469). La pagina letteraria nelle sue diverse articolazioni quanto al genere ha rappresentato per Pintor il laboratorio più idoneo per affrontare criticamente le aporie del suo tempo, è stata una sorta di resistenza interiore attiva volta a denunciare i cliché obsoleti della propaganda ideologica dei totalitarismi di destra, le censure e il vuoto, roboante e macabro trionfalismo di regime, la sua è stata una resistenza intellettuale aristocratica, raffinata che ha dovuto fare i conti con l’illetterarietà dei capi, con la loro delirante e demagogica sete di potere. La consapevolezza di Pintor dello stretto rapporto che intercorre tra letteratura e politica, lo aiutò senza dubbio ad affrancarsi sempre di più dall’entourage culturale del cosiddetto fascismo militante e ad aderire agli ideali del movimento della Resistenza in stretto contatto con gli Alleati (cfr. 2_IH_Italienisch_69.indd 134 2_IH_Italienisch_69.indd 134 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 135 Buchbesprechungen p. 445- 466), in nome dei quali perderà la vita il 1° dicembre 1943 a Castelnuovo al Volturno nel corso di un’azione partigiana sulla via per Roma. Tale nesso problematico trova un momento di profonda riflessione in occasione del suo invito a presenziare nell’ottobre 1942 in compagnia dell’amico Elio Vittorini al Congresso degli scrittori tedeschi nella Weimar nazista addobbata a dovere per quell’evento cruciale. Le simpatie filonaziste che gli sono state attribuite sono ben presto fugate dal rendiconto a dir poco azzardato, se si considera lo sguardo attento della censura fascista in quegli anni, che egli diede del simposio, cui prese parte come invitato esterno, rendiconto titolato Scrittori a Weimar che scrisse per la rivista Primato e che apparve solo nel 1950 in Sangue d’Europa con il titolo modificato in Il mondo offeso. Biasiolo ricostruisce con dovizia di particolari, talvolta inediti in Italia, quell’importante appuntamento intellettuale e in particolare lo stato d’animo e le impressioni che Pintor ne ebbe soprattutto relativamente all’ultimo giorno in cui Goebbels tenne un solenne discorso di chiusura toccando tutti i più importanti cliché della propaganda ufficiale nazista. Il volume di Monica Biasiolo è, in buona sostanza, avvincente, davvero ricco di stimoli, di spunti di riflessione, di informazioni inedite, di analisi testuali puntuali che ricompongono con un piglio critico maturo, nonostante la giovane età della studiosa, la figura poliedrica e controversa di Giaime Pintor che il fratello Luigi ebbe a definire in un’intervista, «non tanto inquadrabile». Erminio Morenghi 2_IH_Italienisch_69.indd 135 2_IH_Italienisch_69.indd 135 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 136 Kurzrezensionen Gino Tellini: Letteratura italiana. Un metodo di studio . Milano: Mondadori Education 2011, pp. 690 [+ materiale on line : La fabbrica del testo , Strumenti , Due itinerari di lettura ], € 37,00 C’era bisogno di un’altra storia della letteratura italiana con scelta antologica di testi? La risposta è in questo caso netta quanto immediata: sì, perché si tratta di un libro che va a colmare - pare incredibile - una vera e propria lacuna in questo non certo angusto ambito bibliografico. L’autore, Gino Tellini, non ha bisogno di presentazioni: basta ricordare come a fianco di una lunga attività critico-saggistica - carettianamente impostata sul binomio «filologia e critica» - altrettanto fruttuosa è quella di storiografo della letteratura, anche nel settore della manualistica. Sul piano della didattica, in effetti, Letteratura italiana. Un metodo di studio è il perfetto complemento al recente volume «gemello», anch’esso mondadoriano, intitolato Metodi e protagonisti della critica letteraria (2010), che offre un articolato percorso nei complessi territori della teoria e della critica. Ma per tornare al nuovo Letteratura italiana. Un metodo di studio, già a un primo sguardo ci si rende conto che è un libro che mancava. Intanto per il taglio: non si tratta di una enciclopedia in cui uno studente alle prime armi si può perdere, magari finendo per limitarsi a una consultazione desolatamente vocabolaristica; ma nemmeno è uno di quei terribili compendi - Tellini li chiama «panoramini e strumentini» (p. XII) - minimali e inariditi, che rimasticano materiali di seconda mano e rischiano di ridurre lo studio della letteratura a vuoto esercizio mnemonico-computazionale. Scaturito da una pluridecennale esperienza di docenza e di ricerca, svolta sia in Italia che all’estero, questo manuale-antologia ha invece il dono della versatilità: si rivolge in primis agli studenti italiani e stranieri della laurea triennale, ma risulta una guida ricca di sorprese e spunti interessanti anche per il lettore più esperto. Uno dei rischi principali, per qualsiasi storia letteraria, è paradossalmente quello di estinguere la voce del proprio oggetto, ovvero la letteratura stessa, riducendosi così a un regesto di parole lontane, un lungo discorso astratto su qualcosa di cui non si ha notizia alcuna. Una storia, insomma, senza la letteratura. E invece in Tellini i testi, benché ridotti al minimo per ovvie esigenze di sintesi, rimangono il centro del discorso: sfolgoranti nella loro qualità, fanno di questo libro, fra l’altro, un florilegio di capolavori. 2_IH_Italienisch_69.indd 136 2_IH_Italienisch_69.indd 136 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 137 Kurzrezensionen Altro rischio, particolarmente subdolo, cui va incontro lo storiografo della letteratura, è quello di compilare un volume esauriente e circostanziato che passi tutto in rassegna, ordini e riassuma posizioni critiche, azzerando tutto sull’orizzonte di una pretesa obiettività scientifica e che tuttavia, fatalmente, manchi di una qualunque scintilla personale, di un riverbero della complessità e dell’iridescenza della materia viva di cui tratta. Ecco, se è lecito continuare con argomentazioni da teologia negativa, tutto questo è quanto il libro di Tellini non è. Al contrario, l’autore è riuscito in una invidiabile sintesi tra concisione manualistica e ampiezza di prospettive, tra rigore scientifico e fascino del raccontare, bilanciando sapientemente fondatezza storico-filologica, sensibilità critica e vocazione didattica. E proprio in questo modo, complice la sua prosa mossa e coinvolgente, Tellini mostra quale sorprendente percorso possa rivelarsi una storia della letteratura italiana. Poco meno di 700 pagine - cui si deve aggiungere molto materiale gratuitamente accessibile in linea - offrono un completo panorama storico, critico e antologico, da San Francesco a Italo Calvino. Per ogni epoca o movimento (Scapigliatura, Verismo, Avanguardie…) è presente una introduzione storicoletteraria, mentre agli autori più significativi viene dedicato un intero capitolo, che si articola come segue: a una scheda cronologica su vita e opere, non di rado arricchita da brevi ma illuminanti citazioni, segue un profilo critico dell’autore trattato che passa in rassegna opere, mutamenti e svolte, tematiche fondamentali, spunti interpretativi; ciascuno dei testi antologizzati, poi, è introdotto da un paragrafo che lo contestualizza ed è corredato da annotazioni per agevolarne la comprensione anche da parte di chi studia l’italiano come lingua straniera; utilissimo, a seguire, un paragrafo di commento che in poco spazio riesce a condensare e far reagire tra loro dati filologici, note esplicative e impulsi ermeneutici. Concludono il capitolo alcuni brani critici, non di rado capolavori anch’essi, scelti all’interno della più significativa bibliografia dedicata all’autore in questione. È un modo per aprire allo studente prospettive di dialogo con i grandi classici della saggistica letteraria, ma si noti che anche in questa zona tipicamente da «addetti ai lavori», Tellini lascia volentieri la parola a scrittori che si pronunciano - magistralmente - su altri scrittori: ecco così che troviamo «Montale su Dante, Saba su Petrarca e su Alfieri, Calvino su Ariosto, Carducci su Parini, Gadda e Zanzotto su Manzoni, Primo Levi su Belli, Tozzi su Verga, Palazzeschi e Montale su Svevo, Tozzi su Pirandello, Pirandello su Tozzi […]» (p. XIII); e la letteratura rimane protagonista. Chiara e razionale, la struttura pensata da Tellini conferisce al volume un dinamismo che tuttavia non conosce la superficialità, mentre la vis narrativa si mantiene su un alto profilo saggistico, senza mai scadere nel didattico. 2_IH_Italienisch_69.indd 137 2_IH_Italienisch_69.indd 137 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 13 8 Kurzrezensionen Detto questo, non sfugge che il sottotitolo del volume, Un metodo di studio, si presenta anche come affermazione teorica densa d’implicazioni. All’autore interessa, leggiamo nella «Presentazione», «non il sofisticato, ma il semplice e l’essenziale» (p. XI). E proprio con lo sguardo fisso all’essenziale, Tellini rifugge e critica in re l’alto livello di sofisticazione di tanti studi contemporanei, quella dilagante «specializzazione altezzosa quanto infruttuosa» (ibid.) che non di rado nasconde vuoti di pensiero o, peggio ancora, di sensibilità. In questa prospettiva viene invocato un ritorno all’importanza della propedeutica, sempre più spesso sdoganata da parte di docenti e discenti con un senso di fastidio, quasi a liberarsi da un inutile e noioso pulzellaggio, un rito d’altri tempi, usanza pedantescamente inutile» (ibid.). L’invito, che oggi come oggi può apparire addirittura temerario, è a intendere lo studio della letteratura secondo quanto Lanfranco Caretti ha definito «modesta pratica di bottega» 1 : un rispettoso amore per il testo, l’ammirazione - non certo ingenua ma anzi filologicamente, criticamente e storicamente confortata - per la materia letteraria, un atteggiamento di fondamentale umiltà che non smette mai di arricchirci. Se tale atteggiamento può aprire il fianco ad accuse di ingenuità teorica o di anacronismo metodologico, basterà sfogliare per rendersi conto di come la grande letteratura non sia mai ingenua o anacronistica, né abbia per forza bisogno di aprioristici puntelli teorici, sociologici, ideologici, eccetera. Lo dimostra, fra l’altro, la sezione intitolata «Questioni» e dedicata a grandi temi di discussione, quasi domande esistenziali che la letteratura pone a se stessa: «Per chi e perché si scrive? », «Perché lo studio della letteratura? », «Quale lingua? », «Letteratura e politica», «Responsabilità della parola», per citarne solo alcune. Il lettore, anche in questo caso, non si trova di fronte capitoli teorici che riassumono e discutono vari punti di vista speculativi, ma brani o articoli nei quali parla la voce viva dei protagonisti: pensatori, critici e scrittori, così da imprimere alla materia trattata il complesso dinamismo del pensiero umano. E allora, qualunque sia il tipo di lettore, questo libro risulta davvero terapeutico: scongiura, offrendo formidabili anticorpi, ogni concezione «turistica» dello studio letterario e sfata l’illusione di potersi dare a funambolici voli interpretativi su un terreno che si conosce solo a porzioni o in superficie. Perché la conoscenza, questo Tellini sembra costantemente invitarci a non dimenticare, è prima di tutto memoria. Marco Menicacci Nota 1 Lanfranco Caretti, [Autoritratto], in: AA.VV., Ritratti su misura di scrittori italiani, a cura di E.F. Accrocca, Venezia: Sodalizio del Libro 1960, pp. 118 - 119, p. 118. 2_IH_Italienisch_69.indd 138 2_IH_Italienisch_69.indd 138 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 139 Kurzrezensionen Aldemaro Toni: Notizbuch der fünften Liebe. Prosastücke 1972 - 2002 / Taccuino del quinto amore. Racconti 1972 - 2002 , italienisch-deutsch, ausgewählt, übersetzt u. mit einem Vorwort versehen von Christoph Ferber, Zürich: editionmevinapuorger 2011, 136 Seiten, € 12,- Christoph Ferber macht mit seinen Übersetzungen dem deutschen Publikum weitgehend unbekannte, aber nicht uninteressante Autoren wie Aldemaro Toni oder Attilio Lolini zugänglich. Seine Übertragungen sind stilsicher; zudem bietet die vorliegende zweisprachige Ausgabe zu Aldemaro Toni dem Italienischkundigen jederzeit erhellende Vergleiche. Man könnte eine lange Reihe von Autoren anführen, um die Prosa des toskanischen Autors und Herausgebers der Kulturzeitschrift Erba d’Arno Aldemaro Toni, geb. 1935 in Fucecchio, in die Tradition einzureihen. Auch der Hinweis auf Boccaccio wäre nicht verfehlt, mit dem die Geschichte der europäischen Kurzprosa überhaupt ihren Anfang nimmt. Der Übersetzer Christoph Ferber erinnert in seinem Vorwort seinerseits an das Stilraffinement Flauberts, um Tonis Racconti zu charakterisieren, wobei dessen Frauenfiguren der früheren Erzählungen mehr noch als an Emma Bovary an die Félicité aus «Un cœur simple» denken lassen. Anders als bei Flaubert allerdings, der sich immerhin rund 30 Jahre lang mit seinem «Conte» befasste, erscheinen Tonis Momentaufnahmen totaler Insignifikanz selbst als Gelegenheitsprodukte. Ihnen eignet eine stilistische Unbefangenheit, die so reizvoll wie gelegentlich auch unbedeutend sein kann. Dabei ist unter den insgesamt zwölf hier versammelten Stücken eine deutliche Entwicklung thematischer und stilistischer Art auszumachen, die von den bestechend nüchternen Frauenportraits der siebziger Jahre bis zu den tagebuchartigen, introspektiven Fragmenten eines männlichen Diskurses des Altern reicht, die um die Jahrtausendwende entstanden sind. Beispielhaft für diese beiden Pole stehen die beiden Erzählungen «Franca» und «Die kleine Baracke/ La baracchina». Die Protagonistin des ersten Stücks lebt ein ereignisloses Leben in der Provinz, in dem einzig ein paar heimlich gerauchte Zigaretten eine gleichsam erotische Erregung bereithalten. Erst als der Vater erkrankt, ermöglichen die regelmäßigen Besuche im Florentiner Krankenhaus Franca ein gewisse Emanzipation, die in einem vagen Blickwechsel im Omnibus kulminiert. Doch diese Zusammenfassung geht selbstverständlich am Wesentlichen vorbei: Toni gelingt es hier auf engstem Raum, das kaum mehr darstellbare Sich-Abzeichnen einer Fluchtlinie zu evozieren, ähnlich wie dies etwa - unter völlig anderen literaturhistorischen Vorzeichen freilich - in Henry James’ Erzählung «In the Cage» der Fall ist. 2_IH_Italienisch_69.indd 139 2_IH_Italienisch_69.indd 139 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 14 0 Kurzrezensionen «Die kleine Baracke» hingegen beschreibt den Rückzugsort eines Ich, das offenbar nur noch über das Papier kommuniziert. Es bleibt unklar, ob es mit seinem explizit erwähnten Schreiben auf den vorliegenden Text verweist oder auf einen anderen, eigentlichen. Literarische Selbstreflexion, Naturbetrachtung und Idylle gehen hier eine nicht unbedingt originelle Verbindung ein. Eindrucksvoll bleibt jedoch die scheinbare Hermetik des mikroskopischen Blicks. Aus der gewählten Einsamkeit scheint keine Rückkehr möglich, sondern nur die wiederholte Isolation bei wechselnden Jahreszeiten. Aldemaro Tonis Miniaturen arbeiten das Singuläre, das Unscheinbare in schlichter Sprache heraus. Sie sind ein Beitrag zur zeitgenössischen italienischen Kurzprosa, der zwar nicht immer durch stilistische Brillanz besticht; gleichwohl ergänzt die Lektüre sinnvoll das Bild von der vielgestaltigen literarischen Produktion des Landes. Sven Thorsten Kilian Nicolai Lilin: Storie sulla pelle . Torino: Einaudi 2012, 240 Seiten, € 19,- Ende 2012 ist Storie sulla pelle, der vierte Roman von Nicolai Lilin, erschienen. Lilin ist ein Abkömmling der Urki, einer sibirischen Verbrechergemeinschaft, deren kriminelle Aktivitäten sich hauptsächlich auf Raubüberfälle erstrecken. Nach der Vertreibung aus ihrer Heimat Sibirien haben sich die Urki in Transnistrien, einer Region Moldawiens, angesiedelt. Dort wird Lilin 1980 in der Stadt Bender geboren und wächst unter den sibirischen Kriminellen auf, die ihm nicht nur die Gesetze der Verbrechergemeinschaft, sondern auch die sibirische Kunst der Tätowierungen nahebringen. Diese kulturelle Praxis begeistert ihn so sehr, dass er selbst zu tätowieren beginnt. Nach der Adoleszenz führt Lilins Lebensweg zunächst von Transnistrien in den Tschetschenien-Krieg, ehe er für eine israelische Sicherheitsfirma als Personenschützer arbeitet. 2004 emigriert Lilin schließlich nach Italien, wo er heute in Mailand lebt. Mit der Migration nach Italien beginnt für Lilin ein neues Leben als Schriftsteller. Lilin schreibt seine Werke eigenständig auf Italienisch, ohne mit Co-Autoren zusammenzuarbeiten, wie dies andere transkulturelle Schriftsteller tun, man denke etwa an den Senegalesen Pap Khouma. Sein künstlerisches 2_IH_Italienisch_69.indd 140 2_IH_Italienisch_69.indd 140 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 141 Kurzrezensionen Anliegen, den italienischen Lesern die Gepflogenheiten seiner Heimat zu vermitteln, nähert Lilins literarische Konzeption dem Werk anderer transkultureller Autoren, wie der somalisch-stämmigen Römerin Igiaba Scego oder der in Albanien geborenen Anilda Ibrahimi, an. Lilins Prosa oszilliert zwischen faktischer testimonianza und fiktivem racconto, ein charakteristisches Merkmal für die Texte transkultureller Autoren. Stilistisch sind Lilins Werke von einem mündlichen Erzählstil geprägt und von russischen Worten, Redewendungen, Märchen und Liedern durchzogen, die den Romanen ein authentisches Lokalkolorit verleihen. Nicht zuletzt weil Lilin den Rezipienten in die fremde Welt der Kriminellen eintauchen lässt, in der die Verbrecher das Gute und die Polizisten als Exekutive eines als korrupt und grausam skizzierten Staates das Böse repräsentieren, begeistern und polarisieren seine Romane das literarische Publikum. Über sein schriftstellerisches Engagement hinaus schreibt Lilin für die Zeitung La Repubblica und für L’Espresso. 2011 gründet der Autor in Mailand die kulturelle Vereinigung Kolima Contemporary Culture, die Kunstausstellungen und Lesungen organisiert. In einer ersten Ausstellung wurden dem Publikum Bilder und Skizzen von Tätowierungen Lilins unter dem Titel «Il tatuaggio siberiano / Ritorno alle origini» zugänglich gemacht. Lilins Werke sind keine autobiographischen, sondern autofiktionale Romane, die auf biographischen Erlebnissen des Autors basieren und diese im fiktiven Lebensweg der Hauptfigur spiegeln, die der Autor provokanterweise Nicolai nennt: Sein literarisches Debüt Educazione siberiana (2009), in der Regie von Gabriele Salvatores verfilmt, erläutert die Regeln der kriminellen Gemeinschaft, berichtet von ihrer ständigen Rebellion gegen den als feindlich empfundenen Staat und erzählt von brutalen Gewalttaten, deren Grausamkeit gerade durch ihre Schilderung als alltägliche Ereignisse betont wird. Zur authentischen Verdeutlichung dieser Lebensumstände hat Lilin seinem ersten Roman das folgende Motto der Urki als Epigraph vorangestellt: «C’è chi si gode la vita, c’è chi la soffre, invece noi la combattiamo.» Nachdem Lilins zweiter Roman Caduta libera (2010) den Romanhelden als Scharfschützen in den Tschetschenien-Krieg begleitet und das dritte Buch Il respiro del buio (2011) von der schwierigen Rückkehr des Protagonisten in die Zivilgesellschaft handelt, wendet sich Storie sulla pelle wieder der Jugend Nicolais zu und knüpft direkt an Educazione siberiana an. Als Fortsetzung des ersten Romans, der sich im Kapitel Quando la pelle parla mit dem Sujet des Tätowierens befasst, vertieft Storie sulla pelle die Darstellung der sibirischen Körperkunst und erhellt deren vielfältige Funktionen in der Gemeinschaft der Urki. Die Tätowierungen, welche die Körper der Sibirer bedecken, fungieren als identitätsstiftende Zeichen: In geheimnisvoller Symbolik verrätselt, berichten die Bilder vom Leben ihrer Träger. Die 2_IH_Italienisch_69.indd 141 2_IH_Italienisch_69.indd 141 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 142 Kurzrezensionen Geheimhaltung ihrer Bedeutungen, die auch der Autor meist aufrecht erhält, gewährleistet eine Abgrenzung gegenüber Außenstehenden. Wächter dieser alten Tradition sind die Tätowierer, kol`šik genannt, die in der kriminellen Gemeinschaft als Priester verehrt werden. Ihre Aufgabe ist es, die Biographien der Kunden in storie sulla pelle zu verwandeln. Lilins neuestes Werk zeichnet als postmoderner Bildungsroman die Ausbildung des Protagonisten zum Tätowierer nach. Das Buch erzählt von den ersten unbeholfenen Versuchen des Romanhelden, seinen Freunden mit einem Stift Bilder auf die Haut zu malen (Kapitel «Il marchio dei criminali onesti») und von seinen erfolglosen Bemühungen, zu erfahren, welche Ereignisse sich hinter den tätowierten Symbolen der Autoritäten verbergen («Il labirinto dei simboli»). Den Beruf des professionellen Tätowierers erlernt Nicolai schließlich bei dem renommierten Lëša, dessen Wohnung für den Protagonisten zum Ort der kreativen Selbstfindung wird: «La casa di nonno Lëša era il tempio del tatuaggio. Andavo da lui regolarmente, e ogni volta mi bastava metterci piede per sentirmi dentro un vortice di energia creativa che mi trasmetteva una voglia irrefrenabile di disegnare, di produrre, di avventurarmi nella tradizione.» (S. 67) In diesem Raum der Kunst vermittelt Lëša dem jungen Nicolai durch strenge Disziplin die Technik des Tätowierens, die Symbolik der Zeichen sowie eine komplexe Lebens- und Kunstphilosophie, die in der demütigen Einsicht in die Vergänglichkeit der Körperbilder kulminiert («Niente è per sempre»). Diese Haltung vertritt Lëša seinem Schüler gegenüber vehement: «Tieni sempre in mente una cosa: la materia e il tempo non hanno nessuna importanza, sono solo circostanze naturali della nostra esistenza. Quello che conta è la nostra vita, le nostre idee, che dobbiamo sparpagliare come i seminatori nei campi.» (S. 95) Nachdem der Roman zunächst diese ersten Etappen auf dem Weg Nicolais zum Tätowierer darstellt, werden im weiteren Verlauf exemplarische Lebensgeschichten und ihre bedeutungsvollen Zusammenhänge mit Tätowierungen fokussiert: Erzählt wird von Styopka, der seine Liebe zu einem Mann, die er aufgrund der Homophobie der Gesellschaft nicht leben kann, in einem Tattoo verewigen lässt, ehe er sich das Leben nimmt («La storia impossibile»), und von Pelmen, der als Strafe für eine regelwidrige Tätowierung grausam ermordet wird («Quello che non dovrebbe succedere»). Im Zentrum des letzten Kapitels, «Il marchio del demonio», steht der Ich-Erzähler selbst: Nicolai 2_IH_Italienisch_69.indd 142 2_IH_Italienisch_69.indd 142 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 14 3 Kurzrezensionen rächt sich für eine erlittene Demütigung heimtückisch am Anführer einer feindlichen Jugendbande und verletzt seinen Gegner so schwer, dass dieser zeitlebens im Rollstuhl sitzen muss. Nach dieser Tat tätowiert ihm Lëša eine schwarze Schlange als Zeichen des Bösen, das jedem Menschen innewohnt. Die unfreiwillige Tätowierung fungiert als Strafe und soll Nicolai fortan als Mahnung dienen, wie Lëša ihm eröffnet: «Questo serpente è il demonio che vive dentro di te… D’ora in poi, ogni volta che ti porterà sulla strada sbagliata, ti basterà guardarlo per ricordarti chi sei e da dove vieni, e per chiederti dove stai andando.» (S. 224) Ergänzt wird der Romantext von Tätowierungen aus Lilins Feder. Während bereits in Educazione siberiana einzelne Details von Tattoos abgedruckt sind, präsentiert Storie sulla pelle großflächigere Skizzen von Körperbildern, die jeweils eine Buchseite umfassen. Die intermediale Dimension, die aus der Kombination von Text und Bild entsteht, eröffnet einen spannungsvollen Assoziationsraum und ermöglicht dem Rezipienten eine visuelle Annäherung an die fremdartige Welt der sibirischen Tätowierungen. Abbildung aus dem besprochenen Band, S. 45. © Stefano Fusaro Diese Skizze einer Tätowierung findet sich im Kapitel «Il labirinto dei simboli». Auf den vorhergehenden Seiten wird von dem Entwurf einer Tätowierung für den Kriminellen Cigno erzählt, der eine orthodoxe Kirche mit neun Kuppeln zeigt (S. 43). Der Erzähler dekodiert das Bild folgendermaßen: Die Kirche steht symbolisch für das Gefängnis, während die Anzahl der Kirchtürme mit der Länge der Gefängnisstrafe, nämlich neun Jahren, korrespondiert (S. 44). 2_IH_Italienisch_69.indd 143 2_IH_Italienisch_69.indd 143 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 14 4 Kurzrezensionen Neben der intermedialen Komponente, welche die künstlerische Vielseitigkeit des Autors hervorhebt, besticht Storie sulla pelle durch Lilins ausschweifend-assoziativen Erzählduktus und durch die in wenigen Worten umrissenen Lebensläufe der brutalen, tragischen, leidenden, aber auch komischen, sympathischen und überaus menschlichen Antihelden. Im Laufe der Lektüre ergeben die biographischen Fragmente, wie die winzigen Details der sibirischen Tätowierungen, ein großes Ganzes - eine Hommage an die archaische Lebenswelt der Urki und an ihre symbolreiche Körperkunst, um die Lilins Roman-Kosmos kreist. Viktoria Adam Bibliographie Primärliteratur Nicolai Lilin: Educazione siberiana. Torino: Einaudi 2009. Nicolai Lilin: Caduta libera. Torino: Einaudi 2010. Nicolai Lilin: Il respiro del buio. Torino: Einaudi 2011. Nicolai Lilin: Storie sulla pelle. Torino: Einaudi 2012. Übersetzungen ins Deutsche Nicolai Lilin: Sibirische Erziehung. Aus dem Italienischen von Peter Klöss. Frankfurt: Suhrkamp 2010. Nicolai Lilin: Freier Fall. Aus dem Italienischen von Peter Klöss. Frankfurt: Suhrkamp 2011. Sekundärliteratur Martha Kleinhans (Hrsg.): Transkulturelle italophone Literatur - Letteratura italofona transculturale. Würzburg: Könishausen & Neumann 2013 (erscheint im 2. Halbjahr 2013). Verwiesen sei auch auf die Homepage des Autors: http: / / www.nicolaililin.com 2_IH_Italienisch_69.indd 144 2_IH_Italienisch_69.indd 144 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 14 5 Italienische Themen an den Hochschulen Deutschlands, Österreichs und der Schweiz im Sommersemester 2013 Diese Aufstellung, die seit 1982 regelmäßig in der Zeitschrift Italienisch erschienen ist, wird ab dem Mai-Heft 2012 aus Kostengründen nurmehr online vorliegen. Auf der Homepage des Italianistenverbandes: www.italianistenverband.de wird sie in der Rubrik «Zeitschrift Italienisch» als pdf zum Download zur Verfügung gestellt. Es werden alle Lehrveranstaltungen gelistet, die von den Instituten für Romanistik (Italianistik) in den Fächern Italienische Sprach-, Literatur- und Kulturwissenschaft sowie Fachdidaktik angeboten werden. Sprachpraktische (auch fachsprachliche) Veranstaltungen werden nicht aufgeführt. Die Redaktion dankt allen denjenigen, die durch Zusendung von Kopien, Verzeichnissen oder Dateien die Recherche erleichtert haben. Sie bittet weiterhin darum, die entsprechenden Informationen zu schicken an: Redaktion Italienisch, Arndtstraße 12, D-60325 Frankfurt am Main, E-Mail: italienisch@div-web.de, Fax: +49/ (0)69/ 7411453. Sicher auch wegen des 700. Geburtstags von Giovanni Boccaccio in diesem Jahr sind Veranstaltungen im Sommersemester zu diesem Autor zahlreicher als sonst. Erwähnt sei davon speziell «Boccaccio. Ringvorlesung zum 700. Geburtstag» (Universität München). Im Bereich des 20. Jahrhunderts sind Pavese und sein Kreis sowie Montale im Fokus: «Cesare Pavese - la discorsività del neorealismo», «Elio Vittorini und Cesare Pavese», «Mito della resistenza - resistenza del mito. Pavese - Vittorini - Fenoglio», «Der Lyriker Eugenio Montale», «Eugenio Montale, Ossi di seppia», «Eugenio Montale: Poesie», «La poesia di Eugenio Montale». Zum 150. Geburtstag Gabriele D’Annunzios gibt es nur eine Veranstaltung: «Decadentismo, Dilettantismo, D’Annunzio e Il Piacere». Ein großer Schwerpunkt in Literatur- und Kulturwissenschaft liegt auf dem Film, den intermedialen Beziehungen und Verfilmungen: «Medienwechsel: Literatur-Film-Theater», «Personaggi femminili nel cinema italiano (1943-2013)», «Letteratura e Cinema. Dal testo al film: limiti e potenzialità della trasposizione cinematografica del testo letterario», «Introduzione alla Commedia all’italiana nel cinema italiano degli anni ’60 e ’70», «Vom Decamerone bis zum Gattopardo - italienische ‹Literaturklassiker› und ihre Verfilmungen», «Cinema e letteratura», «Italienische Literaturverfilmungen», «Umgang mit einem Film im Italienischunterricht am Beispiel von Terraferma», «‹Sguardi multipli›. Cinema e letteratura in Italia dal Dopoguerra a oggi», «Il cinema di Roberto Rossellini», «Cinema e storia», «La storia d’Italia attraverso la letteratura e il cinema», «La commedia all’italiana», «Letteratura, film e altri media (Die literarischen Experimente der Scapigliatura)», «L’immagine della Mafia nel cinema e nella letteratura. Film, romanzi e adattamenti cinematografici», «Romanzo e film. Niccolò Ammaniti, Io e te» Bei den Sprachwissenschaftlern sind Themen der Migrationslinguistik verstärkt zu registrieren: «Variationen im Italienischen des Ruhrgebiets», «Migrationslinguistik», «Romanische Migrationslinguistik», «Italienische Migrationssprachen», «Die außereuropäische Romania - Entstehung, Erscheinungen und Probleme: ‹Französisch und Italienisch in Afrika›», «Außereuropäische Sprachvarietäten: Verwendung, Beschreibung, Analyse: ‹Italienisch in Australien, Argentinien und Kanada›», «L’italiano fuori l’Italia», «Sprachkontakt: l’italiano a contatto con altre lingue». Erwähnt seien außerdem folgende aktuelle Themen: «Darstellung der Macht in der italienischen Literatur der Gegenwart: Primo Levi, Leonardo Sciascia, Roberto Saviano», «Deutsche Romantik - Romanticismo italiano», «Pirandello intermedial und interkulturell», «Ästhetisierung von Ökokritik bei Andrea De Carlo», «L’Italia e il mare», «La letteratura nell’età digitale». Caroline Lüderssen 2_IH_Italienisch_69.indd 145 2_IH_Italienisch_69.indd 145 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 14 6 Mitteilungen In Erinnerung an Prof.Dr. Hartmut Köhler (1940 - 2012) Wir haben eines Kollegen zu gedenken, der als hoch geehrter Wissenschaftler das Fach Romanistik in den Jahren seiner Tätigkeit an der Universität Trier entscheidend geprägt hat. Hartmut Köhler hat selbst in den rauen Zeiten der Struktur- und Reformdebatten unbeirrt an seinen Vorstellungen von einer humanen und kulturgeleiteten Werteordnung festgehalten und damit der Fächergruppe Romanistik ein überzeugendes bildungspolitisches Profil verliehen. Er war von seiner vielseitigen sprachlichen und kulturellen Kompetenz her wie geschaffen dafür, ein so grenzüberschreitendes Fach wie die Romanistik in seiner vollen Breite wissenschaftlich zu vertreten. Natürlich hat er die Kernfächer Französisch, Italienisch, Spanisch kontinuierlich und im wahren Sinne bis zu seinem plötzlichen Tod gelehrt. Mit einem bewundernswerten Gespür für kulturelle Höhenkämme und mit noch bewundernswerterer Energie auch für sperrige und mitunter voluminöse Werke der romanischen Literatur setzte er wahrlich unvergessene Akzente innerhalb der akademischen Lehre und Forschung. Was wäre die Romanistik ohne die symbolträchtige Welterschließung des mittelalterlichen Denkers Dante, was wäre sie ohne Petrarcas wirkungsmächtige idealistische Liebeslyrik, wie könnte sie ohne die barocke Lebensphilosophie der spanischen Größen Gracián, Góngora oder Cervantes glänzen und wie könnte schließlich der Französist etwa ohne die klassischen Komödiendichter Corneille und Molière oder den scharfsinnigen Denker Valéry auskommen? Aber fast noch wichtiger als der Bekanntheitsgrad der Autoren ist für Hartmut Köhler die Wertigkeit ihrer literarischen Botschaft. Hartmut Köhlers offener Blick auf kulturelle Vielfalt und Wertigkeit wird vor allem in einem Sonderbereich seiner kulturellen Anlagen produktiv. Er hat einen gewichtigen Teil seiner wissenschaftlichen Tätigkeiten dem Übersetzen gewidmet. Einmal mehr werden hier die engeren Sprachgrenzen innerhalb der Romania leichtfüßig oder soll ich sagen leichtzüngig überschritten. Hartmut Köhler übersetzt französische Literatur und Literaturtheorie genau so werktreu und leserfreundlich, wie er italienische Autoren und spanische Literaturwerke dem deutschen Leser nahebringt. Der 1990 zuerkannte Paul- Celan-Preis für Übersetzung und der 2008 verliehene Johann-Friedrich-von- Cotta-Übersetzerpreis zollen Hartmut Köhlers Beitrag zur interkulturellen Verständigung die gebührende Hochachtung. Bewunderung verdient die Wortgewandtheit und Kulturkompetenz des Übersetzers etwa vor allem dann, 2_IH_Italienisch_69.indd 146 2_IH_Italienisch_69.indd 146 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 147 Mitteilungen wenn Sprachspiele und gedankliche Verdichtungen und Pointen den Text strukturieren und zudem noch über die barocke Bildsprache unserem prosaischen Vorstellungsvermögen entrücken. Eben dieser Schwierigkeit hat sich Hartmut Köhler in seiner über 1000 Seiten umfassenden Übersetzung des Criticòn von Baltasar Gracián gegenüber gesehen. Die nationale und internationale Kritik hat einhellig seine philologische und sprachschöpferische Leistung in höchsten Tönen gelobt. Nicht anders erging es mit der Aufnahme seitens der Fachkritiker und vor allem auch seitens der Kollegen der Dante- Gesellschaft für Köhlers dreibändige kommentierte und übersetzte Ausgabe von Dantes Divina Commedia.* Wiederum ein Lebenswerk, das einzig der unerschütterlichen Arbeitsdisziplin, dem kulturellen Energieschub und dem unstillbaren Wissensdurst unseres Kollegen geschuldet ist. Hartmut Köhler hat wahrlich Großes hinterlassen. Wer ihn kannte und wer seine Werke gelesen hat, weiß, dass sich seine Gelehrsamkeit nie besserwisserisch in Szene gesetzt hat. Ja die Fabulierkunst des Übersetzers und Kommentators hinterlässt Spuren in seiner Physiognomie. In ihr zeichnen sich durchaus Schmunzelfalten einer in sich ruhenden Persönlichkeit ab. Man hat die ironische Mimik förmlich vor Augen, wenn man liest, wie Hartmut Köhler behutsam etwa seine Übersetzungs-Leistung des Gracián von der seines Vorgängers abhebt. Hanns Studniczka hat bis zu seinem Tod 1975 das Typoskript einer nahezu vollständigen Übersetzung des Kritikon hinterlassen. Hartmut Köhler konnte sich mit der freien Übersetzung der Vorlage nicht zufrieden geben. Er sah sich - getreu seinem philologischen Ansatz und dem Respekt vor dem Original - genötigt, eine neue ausgangssprachlich orientierte Übertragung des Gracián-Textes vorzunehmen. Seine Kritik aber an Studniczka mündet nicht in eine vernichtende Absage an seinen Vorgänger. Im Gegenteil. Mit dem Topos von der vita eterna des Dichters und mit dem bei Gracián hierauf gründenden Motiv von der Insel der Glückseligen nimmt die Beziehung von Erst- und Zweitübersetzung eine ganz andere Wende: «Es musste selbst gewagt werden, und über das Ergebnis herrscht bei mir alles andere als Gewissheit. Doch war mir das Beispiel Hanns Studniczkas, sein immenser Mut und seine Beharrlichkeit all die Jahre über Ansporn. Ohne ihn wäre dieser neue Versuch niemals zustande gekommen, und ich kann nur hoffen, er wird mich eines Tages dort drüben nicht allzu rau empfangen. Sollte es eine Insel der Unsterblichkeit geben und sie von Tinte umflossen sein, wie unser Autor es sich so kühn-verschroben vorstellt, so gebührt ohnehin nur ihm dort ein Plätzchen. Er hat mit Tinte geschrieben, ich natürlich mit dem Computer.» 2_IH_Italienisch_69.indd 147 2_IH_Italienisch_69.indd 147 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 14 8 Mitteilungen Der selbstironische Blick auf den Wert der Eigenleistung ist sicherlich ein Persönlichkeits-Merkmal, das unsere Erinnerung an den Kollegen und Freund Hartmut Köhler nachhaltig begleiten wird. Wir greifen daher gerne seine eigenen Worte auf und geben unserer Überzeugung Ausdruck, dass auch Hartmut Köhler nunmehr seinen Platz auf der Insel der Glückseligen gefunden hat. Vielleicht ist es kein Zufall, dass gerade Dantes Commedia sein Lebenswerk beschließt. Hartmut Köhler hat seinen akademischen und persönlichen Weg eben mit Dante und dem Aufstieg in die Himmelssphären hin zur Rose der Seligen beendet, und wir dürfen davon ausgehen, dass der in der Commedia formulierte hohe ethische Anspruch, das Leben in Übereinstimmung mit der göttlichen Weltordnung zu führen, sinngemäß auch für seinen Übersetzer galt. Karl Hölz * Im Mai 2012 sprach Hartmut Köhler in der Deutsch-Italienischen Vereinigung e.V. über seine Übersetzung der Commedia. Das Gespräch ist in Italienisch 68, November 2012, S. 2 - 18, veröffentlicht. Dante-Tagung 2012 in Konstanz: «Geist und Geld» Vom 12. bis 14. Oktober 2012 fand im Ratssaal der Stadt Konstanz die 89. Jahrestagung der Deutschen Dante-Gesellschaft (DDG) statt, die am Freitag- Nachmittag mit einer Vernissage im BildungsTURM der Stadt Konstanz begann, wo die Ausstellung Dante & das irdische Jenseits - die Göttliche Komödie in malerischen Interpretationen mit Werken von Monika Beisner eröffnet wurde. Die eigentliche Jahrestagung wurde dann am Samstag-Morgen durch den Präsidenten der DDG, Winfried Wehle, feierlich eröffnet. Nach Grußworten von Oberbürgermeister Uli Burchardt, Magnifizenz Ulrich Rüdiger und dem italienischen Konsul aus Freiburg, Dott. Filippo Romano, sprach Frank-Rutger Hausmann (Freiburg) über: «Die Deutsche Dante-Gesellschaft im geteilten Deutschland». Darin zeichnete der Vortragende die Entstehungsgeschichte seines im April 2012 erschienenen gleichnamigen Buches nach und hob vier Aspekte hervor: Die Forschungslage, eine kurze Geschichte der DDG bis zum Zweiten Weltkrieg, ihr Schicksal im geteilten Deutschland und die Quellenlage zu seinem Buch samt den damit verbundenen Problemen. Danach sprach Thomas S. Hoffmann (Hagen) über «‹Il maladetto fiore›. Philosophie und Psychologie des Geldes bei Dante». Dante interessiere vor allem, was das Geld moralisch mit den Menschen mache, weshalb es bei ihm auch keine ökonomischen Vorstellungen vom Geld gebe. Diesen Grundgedanken verfolgte der Vortrag über eine Reihe von Dante-Passagen hinweg, 2_IH_Italienisch_69.indd 148 2_IH_Italienisch_69.indd 148 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 14 9 Mitteilungen zeichne Dante doch die Habgierigen als ohne Individualität, den Zinsgewinn der Wucherer als Verstoß gegen die Ordnung der Natur, die Selbstzerstörung der Vergeuder als widernatürlich, und die Simonisten und Falschmünzer als Potenzierung der Habgier. Die gleiche Wirtschaftsfeindlichkeit zeige Dante auch in den anderen Jenseitsbereichen, wenn er etwa den fiorino d’oro, den Stolz von Florenz, als negativ einstufe, weil er die Lage des Volkes eher verschlechtere. Erst im 15. Jahrhundert (Bruni, Manetti) werde Reichtum positiv eingestuft, und vom ökonomischen Fortschritt spreche man erst im 18. Jahrhundert. Dantes Fortuna verteile Reichtum zufällig und undurchschaubar. So stehe das freiwillige Betteln, die franziskanische Tugend der Selbstdemütigung, Dante näher als heutige ökonomische Prinzipien. Am Nachmittag sprach Michael Schwarze (Konstanz) über: «‹Faccianli onore, ed esser può lor caro›. Zu einem merkantilen Argumentationsmuster der Commedia». Mit letzterem meinte Schwarze eine Analogie zum Geldtausch, nämlich den Austausch von Wissen, das den Ruf bzw. den «Marktwert» der Sprecher erhöhe. Gemeint seien Situationen, in denen Dante mit den Verstorbenen in der Commedia aushandle, ob und unter welchen Bedingungen sie Dante an ihrem Wissen teilhaben lassen. Dante wolle dabei die Identität eines Toten und den Grund für seine Bestrafung gerade dort wissen und biete im Gegenzug die Aufnahme in das Who is who? der Commedia, wodurch der Nachruf des Toten garantiert sei. Im Purgatorio werde daraus oft ein Tausch Information gegen positive Erwähnung mit bußverkürzender Wirkung, während er im Paradiso keine Rolle mehr spiele, da dort die Seelen schon alles besäßen. Nun tadle Dante zwar im Convivio Eigenlob, das ein solcher Handel natürlich impliziere, doch Dantes Wunsch nach Wissen ziele ja auf die Erkenntnis des göttlichen Strafsystems, und da sei Selbstdarstellung legitim. Aber mehr noch: Zum Teil spontan, d.h. als Vorausleistung für den erhofften Nutzen, zum Teil von Vergil mit dem Hinweis auf den zu erwartenden Lohn dazu aufgefordert (Purg. V, 36 - Teil des Vortragstitels), brächten die Seelen dem Dichter große Ehrerbietung und Vertrauen entgegen. Damit aber stilisiere sich Dante indirekt zu einer auctoritas, ohne es direkt für sich in Anspruch zu nehmen, denn eigentlich könne ja nur die spätere Rezeption einen Autor dazu erheben. Die aber gebe Dantes hier verstecktem Anspruch seit Boccaccio Recht. Im Anschluss sprach Cornelia Klettke (Potsdam) über: «Ökonomische Ethik. Die Abwägung irdischer und himmlischer Güter in Dantes Commedia». Nach einer Einleitung über das ethische Fundament der Commedia - die seit Thomas von Aquin mit den antiken Kardinaltugenden vereinten christlichen Tugenden fides, caritas und spes sowie die sieben Todsünden - leuchtete Frau Klettke den häufigen Gebrauch von «oro» und den selteneren von «danaro» / «denaro» und «moneta» in der Commedia aus. In allen Fällen zeigte sie eine 2_IH_Italienisch_69.indd 149 2_IH_Italienisch_69.indd 149 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 150 Mitteilungen Vielzahl von Bedeutungsnuancen auf, die je nach Kontext positiv oder negativ sein konnten. Auf der kurz skizzierten mittelalterlichen Rechtsbasis für die Verurteilung von Zinsnahme («Wucher») als Verstoß gegen die göttliche Ordnung analysierte Frau Klettke dann Dantes Kritik an den Münzfälschern (die für ihn im übertragenen Sinne auch König Philipp den Schönen von Frankreich einschlossen: Par. XIX, 119), an den Simonisten, die kopfüber in einem Loch wie in einer «borsa» steckten, und an den Wucherern im eigentlichen Sinne, die mit ihrer «borsa» anonym und zugleich lächerlich wirkten wie die in Giottos Darstellungen in der Capella degli Scrovegni in Padua. Am Sonntagmorgen sprach Karin Westerwelle (Münster) über: «Kunst und Ethik. San Francesco und Dante». Nach einigen Bemerkungen zum Verhältnis zwischen Kunst und Ethik im Mittelalter zeigte die Vortragende anhand von Franziskus’ Testament und seiner Ordensregel zwei Dinge: Das von Gott selbst inspirierte Ideal höchster Armut, die im Jenseits zu den höchsten geistigen Gütern führe, und den von Gott eingegebenen «sermo humilis», der Franziskus’ Misstrauen gegenüber den gelehrten Interpretationen der Scholastik illustriere. Probleme seien in der Folgezeit bei der Auslegung der Ordensregel entstanden - sowohl was die von Franziskus abgelehnte Unterbringung der Mönche in Klöstern als auch was die ja nicht vorhandene Armut der Kirche betreffe, letzteres verstärkt ab 1320. Nach einer Kurzvita des 1228 heilig gesprochenen Franziskus schilderte Frau Westerwelle seine Rezeption: zwei Viten von Thomas von Celano (1228 / 9 und 1247) und als dritte die 1263 vom Generalkapitel angenommene Legenda maior des Bonaventura, die freudige Armut und Wissensfeindlichkeit als Hauptzüge des Heiligen zeichnete, sowie Giottos Fresko aus der Unterkirche von Assisi, wo Franziskus wie bei Dante (Par. XI, 74) die Armut heiratete. Es folgten einige Details von Dantes Franziskus-Porträt: eine an Persius (Sat. I, 1) orientierte Ablehnung allen Strebens nach weltlichen Dingen und die Zurückweisung von Wissen als Verfall, dem Dantes Aufstieg mit Beatrice als Folge der Loslösung von irdischen Dingen positiv gegenüberstehe. Beatrice sei daher neben der Armut und neben Maria ein drittes Ausstiegsmodell, das eine Spiritualität der Literatur meine, welche jedoch nicht der Armut des göttlichen Jenseits entspreche. In dieser Differenzierung trenne sich die religiöse Ethik von der Kunstanschauung Dantes. Nach der Lektüre von Paradiso XI durch Hartmut Köhler formulierte die Lectura Dantis dieses Gesangs durch Kai Nonnenmacher (Regensburg) eher bestimmte allgemeine Gedanken wie Dantes Rezeption in Musils Roman Der Mann ohne Eigenschaften (1940 - 43), Franziskus’ Schweigen in Par. XI als Bewertung im Armutsstreit der Zeit, den Aufbau des Paradiso, Dantes Aufnahme in den Reigen der Seligen, Thomas’ scholastische Argumentationsmuster und die Vagheit der Sprache als Ausdruck des Versagens der Kunst vor 2_IH_Italienisch_69.indd 150 2_IH_Italienisch_69.indd 150 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 151 Mitteilungen Gott. Zum Abschluss rezitierte Valentina Pennacino aus Genua Paradiso XI in italienischer Sprache. Mit einem musikalischen Rahmenprogramm - Janine Firges (Gesang) und Sophie Nawara (Cembalo) trugen Arie antiche vor - und einem Stehempfang endete diese Jahrestagung, deren nächste vom 11. bis 13. Oktober 2013 in Krefeld stattfinden wird. Joachim Leeker Tagungsbericht: «Il Convivio - Der Florentiner Dante verbannt an den Höfen Italiens» In welchen sozial- und literarhistorischen Zusammenhängen entstand Dantes Convivio und wie färbten diese auf dieses erste im Exil entstandenes Traktat ab, das sind die Fragen, mit denen sich die Teilnehmer - Historiker, Philologen und Philosophiehistoriker - der vom 5. bis 7. Dezember 2012 in Göttingen abgehaltenen und vom DAAD finanzierten Tagung «Il Convivio - Der Florentiner Dante verbannt an den Höfen Italiens» auseinandersetzten. Die Tagung eröffnete ein Gespräch, das die Gastgeberin Franziska Meier (Göttingen) mit Marco Santagata (Pisa) über seine neuesten Veröffentlichungen (einerseits die literaturwissenschaftlich ausgerichtete Studie: L’io e il mondo, andererseits die im September erschienene Biographie: Dante. Il romanzo della sua vita) zu Dante führte. Darin stützt Santagata seine Deutung des Werks Dantes jeweils auf eine, soweit möglich, akribisch genaue Rekonstruktion der biographischen Stationen und Umfelder. Im Gespräch erläuterte er, dass die historischen Quellen sehr spärlich seien und man nach wie vor in vielen Fällen auf hypothetische Konstruktionen angewiesen sei. Auf den Spuren seines Kollegen Umberto Carpi plädierte er dafür, den Mut zu Hypothesen aufzubringen und sich auf diese Weise die konkreten Entstehungsbedingungen vorzustellen. Santagata verteidigte zudem sein Konzept einer für Dante spezifischen Schreibweise, die auf die jeweilige aktuelle Situation ausgerichtet sei. Sie präge auch die Commedia. Im einzelnen ging er noch auf die Gründe ein, die ihm eine Epilepsie plausibel erscheinen ließen; sie könnte auch Dantes ausgeprägtem Gefühl der Einzigartigkeit und des Erwähltseins zugrunde gelegen haben. Mit besonderer Freude, wie Santagata bekannte, habe er sich Dantes Frau Gemma angenommen, weil sie seit Boccaccio stets vernachlässigt worden sei. Allerdings seien auch hier die Rekonstruktionen natürlich spekulativ. An den zwei darauffolgenden Tagen ging es zuerst um die Rekonstruktion des sozialhistorischen Zusammenhangs und danach um den eher poetischen Kontext, in dem das Convivio entstand. Franziska Meier (Göttingen) 2_IH_Italienisch_69.indd 151 2_IH_Italienisch_69.indd 151 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 152 Mitteilungen begann die Tagung mit einem Referat zu «Dante oder die Begründung der ‹auctoritas› des Dichters. Zur Rolle des Experten im Convivio». Darin suchte sie in einem ersten Durchlauf die gleichzeitig entstandenen Traktate Convivio und De Vulgari Eloquentia als parallele Antworten auf dieselben sozialhistorischen Herausforderungen zu lesen, auf die Dante im Exil eine Antwort finden musste. In einem zweiten Durchlauf analysierte sie die rhetorischen Strategien der Selbstdarstellung, mit denen sich Dante in den Traktaten inszenierte und über die er sich textuell als Exilanten soziale Anerkennung und Autorität zu gewinnen trachtete. In beiden Werken sieht Meier eine Art Dynamik am Werk, die schließlich zu einer Um- oder Neuorientierung führte und wohl auch zum Abbruch beider Werke. Gianmaria Varanini (Verona) trug unter dem Titel «Der Hof der Scaliger zur Dante-Zeit» die Ergebnisse seiner historiographischen Recherchen vor. Er warnte davor, weiterhin die Begriffe corte, ‹Mäzenatentum›, ‹Luxus› und ‹Ritualität› unreflektiert auf die Zeit um 1300 anzuwenden. Am Fall des Malers Pisanellos habe er vor längerem schon das problematische Vorgehen der Kunstgeschichte deutlich gemacht. Dasselbe gelte auch für Dante, der sich während des Exils mehrfach in Verona aufhielt. Nach Varanini gebe es zwischen sogenannter Hofwelt und Comune keine klare Trennlinie. Am Beispiel der Veroneser cancelleria verfolgte er im Detail die fließenden Übergänge: die Scaliger bedienten sich selbstverständlich der Rhetorik der Comune, ebenso hielten die ihnen untergebenen Juristen an ihr fest. Erst im Laufe des zweiten Jahrzehnts, unter anderem in Folge der von den Scaliger geführten Kriege, bildete sich die Welt der Signorie außerhalb der Comune aus. Danach referierte Gianfranco Fioravanti (Pisa) zu «Dante und die neue Aufgabe der Philosophie: Dem Adel erklären, was Adel ist». Nach den ersten drei Traktaten des Convivio, in denen Dante die Form der commendationes philosophiae wählt und gleichsam seine Visitenkarte vorlege, stelle er sich, so Fioravanti, im vierten Teil im Stile der Scholastik eine questio. Da die Definition der nobilitas noch nicht von angesehenen Universitätslehrern behandelt worden sei, nenne sich Dante den ersten, der das Problem endlich angemessen angehe. Sein Publikum wähle er bewusst unter den «principi, baroni, cavalieri, e molt’altra nobile gente, non solamente maschi ma femmine, che sono molti e molte in questa lingua, volgari, e non letterati» (Cv. I ix 5). Ihnen wolle er das kulturelle Werkzeug vermitteln, damit sie das, wozu sie bestimmt waren, werden konnten: die Säulen einer harmonischen, politischen und sozialen Ordnung. Fioravanti betonte, dass Dante den Adel im Convivio wieder zu seinen tugendhaften Anfängen zurückführen wollte. Der Traktat habe restaurativen Charakter. Dantes Absicht sei es obendrein, seinen Adressaten klarzumachen, dass gerechte Ordnung nur durch die Kooperation zwischen politischer Macht und den Intellektuellen herzustellen sei. 2_IH_Italienisch_69.indd 152 2_IH_Italienisch_69.indd 152 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 153 Mitteilungen Enrica Zanin (Straßburg) betitelte ihr Referat «Zur Figur des Lesers im Convivio und in den Vernaculare-Traktaten der Dante-Zeit». Darin rekonstruierte sie die Rolle eines idealen Lesers, den die Kommentare gemeinhin annehmen. Aus dem Vergleich lässt sich nach Zanin erkennen, dass eine solche Leserrolle im Convivio destabilisiert wird. Denn einerseits wende sich Dante an ein breites Publikum, dem er Wissen und Philosophie weitervermitteln will, das heißt an passive, wenngleich wissensdurstige Leser. Andererseits setze er in der Wahl des Textkommentars einen aktiven Leser voraus, der in der Lage ist, den Text zu verstehen. An der Hand des Kommentators solle er, so Zanin, sogar eine eigene «Bekehrung» zur Philosophie erleben, allerdings werde die Aktivität des Lesers von Dante kontrolliert. Nach Zanin erweist sich der Pakt mit dem Leser im Convivio als paradox: Nicht nur sei der Leser aufgerufen, sich zum Denken Dantes zu bekehren, im Grunde werde von ihm auch verlangt, dass er sich längst zur Philosophie bekehrt habe, um die Kanzonen verstehen zu können. Insofern wecke das Convivio im Leser Erwartungen, die ständig enttäuscht würden. Darin spiegeln sich, so der Schluss Zanins, Dantes wachsende Bedenken wieder, wie sich seine Poesie im instabilen Kontext des Exils verstehen lasse. Der Beitrag von Serena Ferente (London) zum Thema «Die neue Sprache der Emotionen. Leidenschaften und Tugend in Dantes Convivio» stellte die Frage, inwiefern es auch im Convivio zu einer Aufwertung der Leidenschaften (passiones) im späten Mittelalter komme. Sie erinnerte zunächst an den Aufsatz von Erich Auerbach «Passio als Leidenschaft», der an Beispielen aus der Theologie und vor allem der Passionsmystik auf den engen Zusammenhang zwischen passio und Ekstase aufmerksam gemacht habe und daran eine positive Bewertung der passio belegte. Ferente ergänzte Auerbach um eine parallele Entwicklungslinie, die sie an der Aristoteles-Rezeption und insbesondere am Begriffsumgang von Thomas von Aquin nachzeichnete. Darin wird die passio als eine Bewegung der Seele aufgefasst. In dieser Linie, so Ferente, finde auch Dantes Convivio seinen Ort. Sie vermutet, dass Dantes Hauptquelle dafür Egidio Romanos Traktat De regimine principum und dessen volgarizzamenti waren. Denn auch da spiele die Rhetorik des Aristoteles, innerhalb der die Leidenschaften durchaus positiv verstanden werden, eine zentrale Rolle. Im Referat «Dante und die überlieferten Trobador-Handschriften: ein wichtiger Anknüpfungspunkt zwischen De Vulgari Eloquentia und Convivio» von Stefano Resconi (Mailand) ging es um die Frage, welche Quellen Dante zur Verfügung standen und inwiefern er im Exil noch andere kennenlernte. Resconi ließ sich einerseits von Dantes Hinweisen auf die Trobadore in De Vulgari Eloquentia und Convivio leiten, andererseits ging er von den uns heute bekannten Manuskripten aus der Toskana aus, deren Charakteristika er 2_IH_Italienisch_69.indd 153 2_IH_Italienisch_69.indd 153 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 15 4 Mitteilungen bestimmte. Demnach gelangte die Trobador-Lyrik über Monferrato und Genua sowie über die Signoria der Malaspina, der eine Schlüsselrolle zukomme, in die Toskana. Zu den Besonderheiten der toskanischen Handschriften zähle, dass sie ausschließlich die lyrischen Texte festhielten und die vidas und razos meist getrennt von den Gedichten ansiedelten. Von dieser toskanischen Fährte unterschied Resconi klar die Überlieferung in der Po- Ebene um 1300, etwa in Treviso, wo Dante noch Trobadore womöglich ihre Dichtung hatte singen hören. Zuletzt überlegte Resconi, wie sich die herausragende Stellung Arnaut Daniels in der Commedia erklärte, die sich weder in den uns erhaltenen toskanischen Manuskripten noch in den frühen Texten Dantes ankündigte. Er führte den Wandel auf das veränderte Selbstbewusstsein des Dichters zurück, der in Arnaut Daniel nun den von einer Elite anerkannten Dichter des trobar clus zitiert. Darüber hinaus sei der Einfluss venezianischer Überlieferungen möglich, die in Bologna damals nachgewiesen seien. Es folgte das Referat von Mirko Tavoni (Pisa), das sich mit «Zeiten, Orte und Umstände der Abfassung von Convivio und De Vulgari Eloquentia» befasste. In seinem Beitrag setzte sich Tavoni kritisch mit der gerade bei Salerno Editrice erschienenen Ausgabe von De Vulgari Eloquentia auseinander, die Enrico Fenzi betreut hat. Am Ende erklärte er anhand einer tabellarischen Auflistung seine neue, nun fast auf den Monat genaue Datierung der einzelnen Teile der beiden Traktate. Sie stützt sich auf die Häufigkeit von Textparallelen und auf die historischen Ereignisse, die jeweils erwähnt werden. Demnach ist das vierte Traktat des Convivio zwischen Februar und Oktober 1306 verfasst worden. Unter dem Titel «Vor dem Buch. Die Kanzonen des Convivio im Zusammenhang der Lyrik-Traditionen» fragte Marco Grimaldi (Montpellier) polemisch, ob die Canzonen des Convivio tatsächlich schon zum Zeitpunkt ihrer Entstehung, wie Dante andeutet, als Allegorien der Philosophie gedichtet wurden oder ob die allegorische Bedeutung nicht doch erst später, nämlich im Kommentar, hinzukam. Am Beispiel der beiden ersten Canzonen führte er eindrücklich vor, daß sich viele der für die Allegorie bezeichnenden Stellen in der zeitgenössischen Lyrik wiederfinden und keineswegs auf eine allegorische Schreibweise hinweisen. In dem Kommentar zu den Rime Dantes, den Marco Grimaldi für Salerno Editrice verfasst, wird er denn auch die Canzonen des Convivio in dieser doppelten Erscheinung wiedergeben, also als Canzoni, die ohne philosophischen Hintersinn entstanden, und als vom Dichter selbst gedeutete Gedichte. Im Vortrag «Techniken des Selbst: Das Convivio als Schreibarbeit zwischen ‹biografia storica› und ‹biografia fittizia›» wandte sich Matthias Roick (Wolfenbüttel) der Frage nach der Bedeutung der Ethik im Convivio und 2_IH_Italienisch_69.indd 154 2_IH_Italienisch_69.indd 154 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 155 Mitteilungen darüber hinaus ihrer Bedeutung für Dante als Kommentator zu. Die zentrale Bedeutung der Ethik sei, so Roick, längst in der Forschung wahrgenommen worden. Er erinnerte insbesondere an die Hochschätzung der Moralphilosophie im Traktat, die über alle anderen Wissenschaften gestellt werde, sowie an den Ehrgeiz Dantes, mit seinem Schreiben konkret in die Diskussionen einer sich stark verändernden, aus moralischer und politischer Sicht instabilen Gesellschaft einzugreifen, wenn nicht sogar sie zu lenken. Insofern sei das Convivio der Wissenschaft der Moralphilosophie und (vor allem im vierten Buch) der Sonderform der Ermahnung, des Protreptikos zuzuordnen. Roick stellte die These auf, dass es darüber hinaus noch eine bisher übersehene dritte Funktion von Ethik gebe. Skizzenhaft legte er dar, dass der Kommentar der Canzonen, die enzyklopädische Arbeit am philosophischen Wissen und schließlich die aktive Umsetzung philosophischer Verfahren bei der Definition von nobilitas auch als Schreibarbeit im Sinne von Foucaults Techniken des Selbst gelesen werden könnten. Den Abschluss bildete das Referat von Andrea Zorzi (Florenz) über «Dante und die Politik im Italien der Comunen und der Signorien um 1300». Ähnlich wie Varanini betonte Zorzi, dass die jüngeren historiographischen Forschungen die altbekannte Unterscheidung zwischen Comune und Signorie hinfällig gemacht hätten. Es sei falsch, von einer Krise der Comune um 1300 zu sprechen, vielmehr wirkten ganz unterschiedliche Formen und Kräfte bei der Suche nach einer stabilen und gerechten Regierungsform in Italien zusammen. Dantes politischer Biographie sei denn auch der Nimbus der Singularität abzusprechen. In Florenz habe er nichts anderes gemacht, als am politischen Leben teilzunehmen. Von einem impegno politico zu sprechen, hält Zorzi daher für abwegig. Darüber hinaus zeigten die juristischen Praktiken der Zeit, dass Dantes Verbannung ebenso wie seine Versuche, im Kreis der bianchi und später allein nach Florenz zurückzukehren, typisch seien. Einen besonderen Akzent legte Zorzi auf die bei Dante seit 1304 in Briefen und im Convivio anzutreffenden Überlegungen zum bene comune und der Notwendigkeit des Friedens. Er schloss mit einem Ausblick auf das, was er die mutazione signorile im Laufe des zweiten Jahrzehnts nannte. In Dantes politischen Schwankungen zwischen Comune und Signorie, zwischen Guelfen und Ghibellinen spiegele sich die tatsächliche schillernde Nähe von Positionen und Formen wider, die von der Geschichtsschreibung später fälsch polarisiert worden seien. Ximena Ordónez 2_IH_Italienisch_69.indd 155 2_IH_Italienisch_69.indd 155 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 156 Mitteilungen Metropolitalia va finalmente online: il gioco linguistico per chi ama la lingua italiana Dopo un processo di ricerca di un anno e mezzo la piattaforma Metropolitalia (http: / / www.metropolitalia.org/ ) va in rete. Il progetto viene portato avanti da un team di ricercatori della Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera, composto dai responsabili del progetto, i professori Thomas Krefeld (linguista romanista) e Stephan Lücke (informatico), e dai loro collaboratori soprattutto di madrelingua italiana. Metropolitalia non è solo un gioco ma si pone lo scopo di raccogliere dati autentici sull’italiano regionale e sui dialetti, tenendo conto anche di parametri quali il sesso, l’età e il livello d’istruzione. Tali informazioni risultano dal tagging effettuato durante il gioco da parte dei giocatori. La piattaforma è indirizzata principalmente agli italofoni sia in Italia che all’estero. La piattaforma è interattiva e ha varie funzionalità: Gli utenti giocano e cercano di accumulare più punti possibili, scommettendo sulla provenienza delle espressioni che gli verranno proposte. Inoltre, possono aggiungere parole o frasi che ritengono tipiche di un qualsiasi luogo. È disponibile anche una funzione di ricerca, con la quale gli utenti possono farsi indicare la provenienza di quell’espressione. Quindi, la piattaforma documenta il sapere linguistico dei parlanti italiano e getta le fondamenta di un osservatorio digitale - interattivo e dinamico della realtà linguistica dell’Italia. (Red.) Nuove prospettive per la didattica dell’italiano come LS: la certificazione DITALS presso l’Istituto di Filologia Italiana di Monaco Con il rilascio dei certificati ai candidati che hanno sostenuto le prove finali, si conclude nel semestre estivo 2013 il primo ciclo sperimentale del corso di preparazione all’esame Ditals presso l’Istituto di Filologia Italiana dell’Università LMU di Monaco. Il corso nasce da un accordo stipulato con l’Università per Stranieri di Siena, secondo un modello promosso anche in altre università. Istituita nel 2005 la certificazione Ditals è un titolo di studio riconosciuto oggi a livello internazionale. Il percorso di studi comprende sia lo studio della didattica delle lingue che della storia della lingua e della cultura italiana, nonché la valutazione e creazione di materiali didattici per i diversi profili di discenti. Le prove conclusive attestano le competenze teorico-pratiche di un insegnante di italiano a stranieri. 2_IH_Italienisch_69.indd 156 2_IH_Italienisch_69.indd 156 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 157 Mitteilungen Più che in altre città tedesche, su Monaco converge storicamente un rilevante interesse tanto per l’insegnamento quando per l’apprendimento della lingua italiana, che si traduce sia nell’offerta ordinaria delle scuole pubbliche e delle università, sia in una diffusa e variegata organizzazione di corsi per i bambini di origine italiana, gli asili bilingui, le scuole private, le università della terza età, le aziende ecc. Di pari passo la richiesta degli insegnanti esige un più altro livello di competenze specifiche, connesse in generale con la specializzazione sempre maggiore nell’insegnamento delle lingue straniere. In tal senso il corso di preparazione finalizzato dall’Esame di certificazione Ditals è aperto non solo ai futuri docenti di italiano nelle scuole tedesche, ma in generale a tutti coloro - italiani o non italiani - che in prospettiva vogliono dedicarsi all’insegnamento della lingua italiana. I corsi del primo ciclo hanno visto la partecipazione sia di studenti italiani che tedeschi, il che ha favorito certamente un positivo confronto sulle rispettive differenze e sulle tradizioni didattiche dei due Paesi. Per informazioni: http: / / ditals.unistrasi.it, errico@lrz.uni-muenchen.de Rosa Errico Eingegangene Bücher Bertsch, Christoph: Villa. Garten. Landschaft, Stadt und Land in der florentinischen Toskana. als ästhetischer und politischer Raum. Mit einem Vorwort von Luigi Zangheri und Pflanzenfotografien aus dem Gartenarchiv von Lois Weinberger. Berlin: Gebr. Mann Verlag 2012. Braunfels, Wolfgang: Mittelalterliche Stadtbaukunst in der Toskana. Mit neuen Farbfotografien sowie mit einem Vor- und Nachwort versehen und herausgegeben von Stephan Braunfels. Berlin: Gebr. Mann 2012. Verlag Chollet, Roland/ Vachon, Stéphane: À l’écoute du jeune Balzac. L’écho des premières œuvres publiées (1822-1829). Saint-Denis: Presses Universitaires de Vincennes/ Lévesque éditeur 2012 (Réflexion). Colella, Anna: Die neue Power-Grammatik. Für Anfänger zum Üben & Nachschlagen. Ismaning: Hueber 2012. Composer, rassembler, penser les «œuvres complètes». Textes réunis et présentés par Béatrice Didier, Jacques Neefs et Stéphane Rolet. Saint-Denis: Presses Universitaires de Vincennes 2012. D’Angelo, Katia / Pedol, Diana / Mazzotta, Ciro: Parla con me. Corso do lingua e cultura italiana per ragazzi. Libro di classe. Eserciziario. CD audio. Firenze: Alma Edizioni 2012. Folengo in America. A cura di Massimo Scalabrini. Ravenna: Longo Editore 2012 (Memoria del tempo. Collana di testi e studi medievali e rinascimentali, 36). 2_IH_Italienisch_69.indd 157 2_IH_Italienisch_69.indd 157 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 15 8 Mitteilungen Giotti, Virgilio: Kleine Töne, meine Töne. Pice note, mie note. Gedichte - Poesie. Aus dem Triestiner Italienisch von Hans Raimund. Klagenfurt / Celovec: Drava 2013. Guastalla, Carlo / Naddeo, Ciro Massimo: Domani. Corso di lingua e cultura italiana. Con eserciziario e DVD. Firenze: Alma Edizioni 2010. Magnetti, Gigliola: Che fai tu, luna, in…Main? Dialogo con Giacomo Leopardi. Uno zibaldone di pensieri fra Bardonecchia e Francoforte. Torino: Associazione culturale Carta e Penna 2012. Mariani, Lucio: Der Neid der Götter. L’invidia degli dèi. Übersetzt und herausgegeben von Gio Batta Bucciol und Karlheinz Fingerhut. MIt Zeichnungen von Hans Joachim Madaus. Tübingen: Italienische Bibliothek Narr 2011 (Band 14). Mazzetti, Alberto / Falcinelli, Marina / Servadio, Bianca / Santeusanio, Nicoletta: Quiitalia.it. Corso di lingua italiana per stranieri. Livello intermedio (B 1). Libro digitale / File Audio Mp3. Guida per l’insegnante. Libro interattivo. Dvd. CD. Milano: Mondadori / Le Monnier 2012. Reutner, Ursula (Hrsg.): Von der digitalen zur interkulturellen Revolution. Baden-Baden: Nomos 2012. Salsano, Roberto: Michelstaedter tra D’Annunzio, Pirandello e il mondo della vita. Roma: Bulzoni Editore 2012 (Biblioteca di cultura / 733). Serkowska, Hanna: Dopo il romanzo storico. La storia nella letteratura italiana del ’900. Pesaro: Metauro Edizioni 2012 (Studi, 28). Stierle, Karlheinz: Petrarca-Studien. Heidelberg: Universitätsverlag Winter 2012 (Schriftenreihe der Philosophisch-historischen Klasse der Akademie der Wissenschaften, Band 48). Austauschzeitschriften Babylonia. Rivista per l’insegnamento e l’apprendimento delle lingue. Comano: Fondazione Lingue e Culture. 2 / 2012 («Culture et littérature dans l’enseignement des langues»). 3 / 2012 («Fremdsprachenunterricht für Lerner mit besonderem Förderbedarf»). Bibliographische Informationen zur neuesten Geschichte Italiens. Deutsches Historisches Institut in Rom / Arbeitsgemeinschaft für die neueste Geschichte Italiens. Nr. 137, November 2011. Bollettino del C.I.R.V.I. Moncalieri: Centro Interuniversitario di Ricerche sul «Viaggio in Italia». Luglio-Dicembre 2011, Anno XXXII, fascicolo II. Esperienze letterarie. Rivista trimestrale di ritica e di cultura. Pisa / Roma: Fabrizio Serra Editore. 3. XXXVII. 2012. Onde. Das italienische Kulturmagazin. Deutsch-italienische Studenteninitiative Onde e.V., 19. Jahrgang, Nr. 38. Studi Italici. Associazione di Studi Italiani in Giappone. Vol. LXII (2012). Zeitschrift für Romanische Sprachen und ihre Didaktik. Trier: Ibidem Verlag. 6,2 (2012). 2_IH_Italienisch_69.indd 158 2_IH_Italienisch_69.indd 158 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 159 Mitteilungen Autorinnen und Autoren dieser Nummer Viktoria Adam, Dr., Ruprecht-Karls-Universität Heidelberg, Romanisches Seminar Mauro Covacich, Trieste Nicola De Blasi, Prof.Dr., Università degli Studi di Napoli Federico II, Dipartimento di studi umanistici Rosa Errico, Dott.ssa., Universität München Karl Hölz, Prof.Dr., Universität Trier Sven Thorsten Kilian, Dr., Universität Potsdam, Institut für Romanistik Joachim Leeker, Prof.Dr., Technische Universität Dresden Caroline Lüderssen, PD Dr., Frankfurt am Main / Ruprecht-Karls-Universität Heidelberg, Romanisches Seminar Marco Menicacci, Dr., Rheinische Friedrich-Wilhelms-Universität Universität Bonn, Romanisches Seminar Andrea Mirabile, Prof.Dr., Vanderbilt University, Nashville, Tennessee, Department of French and Italian Erminio Morenghi, Dott., Parma Gunter Narr, Dr., Verleger, Tübingen Ximena Ordónez, Georg-August-Universität Göttingen, Institut für Romanische Philologie Patrizia Piredda, Dr., University of Oxford Edgar Radtke, Prof.Dr., Universität Heidelberg Mara Santi, Prof.Dr., Universität Gent Ludger Scherer, PD Dr., Universität zu Köln, Romanisches Seminar Kathrin Schmeißner, Dr., Technische Universität Chemnitz Richard Schwaderer, Prof.Dr., Universität Würzburg 2_IH_Italienisch_69.indd 159 2_IH_Italienisch_69.indd 159 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 Italianistik bei Stauffenburg ZIBALDONE Zeitschrift für italienische Kultur der Gegenwart Ein Forum für kritische Debatten mit Streifzügen ins Kulinarische, Historische und Künstlerische. Eine Zeitschrift, die Heft für Heft überraschende Perspektiven wagt. Geschrieben von Schriftstellern, Journalisten, Wissenschaftlern; fotografiert, gezeichnet und illustriert für alle, die nie genug haben können von ITALIEN. Aktuell: Heft 54 «Mailand» Herbst 2012, 160 Seiten ISBN 978-3-86057-857-5 12,- EUR Dem Weltcharakter Mailands wollen einzelne Artikel Rechnung tragen. Da gibt es viel zu erzählen! Mit Beiträgen u. a. zum Hl. Ambrosius, zu Mussolini und Kardinal Schuster, zur Mafia und zur Expo 15, zu Carlo Emilio Gadda, Franco Loi und dem Comic-Verleger Bonelli, sowie mit einem Thriller-Text von Stefano di Marino. Stauffenburg Verlag Brigitte Narr GmbH Postfach 25 25 D-72015 Tübingen www.stauffenburg.de Claudio Marazzini Kurze Geschichte der italienischen Sprache Aus dem Italienischen übersetzt von Hansbert Bertsch 2011, 266 Seiten, kart. ISBN 978-3-86057-296-2 19,80 EUR Das Buch zeichnet den historischen Weg des Italienischen von seinen Ursprüngen bis zum heutigen Tag präzise und auf dem neuesten Stand der Forschung nach, und dies zu einem Zeitpunkt, da man die Bande wiederentdecken muss, welche zwischen den verschiedenen Regionen Italiens bestanden, viel früher als die politische Einheit Italiens 1861 Wirklichkeit wurde. 2_IH_Italienisch_69.indd 160 2_IH_Italienisch_69.indd 160 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 Narr Francke Attempto Verlag GmbH+Co. KG • Dischingerweg 5 • D-72070 Tübingen Tel. +49 (07071) 9797-0 • Fax +49 (07071) 97 97-11 • info@narr.de • www.narr.de NEU JETZT BESTELLEN! Maximilian Gröne / Rotraud von Kulessa Frank Reiser Italienische Literaturwissenschaft bachelor wissen 2., aktualisierte Auflage 2012 X, 262 Seiten €[D] 16,99/ SFr 24,90 ISBN 978-3-8233-6699-7 Der mittlerweile in 2. 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