eJournals Italienisch 35/69

Italienisch
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Narr Verlag Tübingen
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2013
3569 Fesenmeier Föcking Krefeld Ott

La morte del dio

61
2013
Andrea Mirabile
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18 A N D R E A M I R A B I L E La morte del dio Mito e soggettività in Gabriele D’Annunzio Tutti i miei pensieri sembran vibrare di penne luminose: alti serafini dalle molte ali disposte intorno a un volto senza corpo, intorno a un’estasi senza cuore. Dianzi, nel Cenacolo delle Reliquie, fra i Santi e gli Idoli, fra le imagini di tutte le credenze, fra gli aspetti di tutto il Divino, ero quasi sopraffatto dall’émpito lirico della mia sintesi religiosa. (D’Annunzio, Libro segreto, p. 71) Nell’affollato pantheon dannunziano, frutto di un instancabile sincretismo in grado di abbracciare le confessioni e i miti più disparati, due figure spiccano per l’interesse che il poeta dimostra, dalla giovinezza fino alla morte, nei loro confronti. Si tratta di Adone e di San Sebastiano. D’Annunzio, a più riprese e volutamente, confonde i due personaggi: entrambi giovani dalla bellezza abbagliante, allegorie della continuità della vita oltre la morte, il dio pagano e il martire cristiano si sovrappongono in un ibrido con complessi risvolti autobiografici. 1 Questi ultimi appaiono evidenti nel sonetto «La morte del dio», dall’edizione del 1894 di Intermezzo. Il riferimento ad Adone è esplicito, dato che ai versi viene anteposto un emistichio di Bione: «Άπώλετο παγòς Άδωνις» ‹È morto il bello Adonide›. Quanto segue stabilisce una fusione fra il passato del mito e il presente del soggetto lirico, in bilico fra la consapevolezza della dimensione onirica di tale identificazione (si noti la ripetizione della parola «Sogno»), il divertimento iperletterario che alterna calco e citazione (l’«Arte»), e il misticismo dell’auspicio («rendere divine / le mie membra») fra automitografico e tanatologico: ‹Spargono del più dolce olio aromale élleno e di lor pianto le supine membra del dio. Per ogni effuso crine armoniosamente il dolor sale.› O antico Sogno di deliziale Morte, io ti prego che t’avveri al fine, 2_IH_Italienisch_69.indd 18 2_IH_Italienisch_69.indd 18 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 19 Andrea Mirabile La morte del dio se può la morte rendere divine le mie membra su’l letto funerale! ‹Al ciel vermiglio, ove il dolor si spande solo, tendon le braccia e ne l’ebrezza lùgubre chiamano a gran voce Astarte.› Così moriva il Giovine, in un grande mistero di dolore e di bellezza quale già finsero il mio Sogno e l’Arte. (Tutti i romanzi, novelle, poesie, teatro 2144, corsivi miei) Che il netto profilo di Adone si debba scorgere sotto questo generico «Giovine» (verso 12) pare confermato anche dall’invocazione ad Astarte (verso 11), dea lunare d’ascendenza siro-fenicia, molto probabilmente assimilabile ad Afrodite. Peraltro, Annamaria Andreoli e Niva Lorenzini ampliano il retroterra mitologico del testo segnalando - nell’epistolario dannunziano, come in molte pagine del Fuoco e nel testo di «Invocazione», sempre dall’Intermezzo, e immediatamente dopo «La morte del dio» - il medesimo accostamento fra morte «deliziale» (da Magalotti), sogno, divinizzazione, voluttà, e arte (si vedano le note delle due studiose in Versi d’amore e di gloria, pp. 926-927, e in particolare l’introduzione della Lorenzini a Intermezzo, pp. 909-917). Infine l’ambivalenza di Adone, in cui vita e morte, declino e rinnovamento coesistono, sembra racchiusa nell’ossimorica «ebrezza / lùgubre» (versi 10-11). È forse superfluo notare che la figura di Adone, da Teocrito a Marino e oltre, è una delle più amate dai poeti di tutti i tempi, e tale orizzonte intertestuale va senz’altro considerato durante la lettura di questi versi dannunziani. È proprio l’ampiezza di tale sfondo, tuttavia, a sollecitare più capillari analisi testuali. Lorenzini e Andreoli, opportunamente, ricordano l’esempio di Mario Guabello, il quale scorge nel sonetto citato l’influenza de «Le Réveil d’un Dieu» dai Trophées di José-Maria de Heredia. 2 Potrebbe essere utile, aggiungerei, considerare un ulteriore elemento da accostare all’ascendenza francese in cui Guabello situa il sonetto. È infatti piuttosto singolare che D’Annunzio usi qui la parola «mistero», visto che - a distanza di circa vent’anni dall’Intermezzo - frammenti de «La morte del dio» e lo stesso Adone riappariranno appunto nel «mystère» del Martyre de Saint Sébastien, ‹opera d’arte totale› scritta direttamente in francese da D’Annunzio, con musica di Claude Debussy, costumi di Léon Bakst, coreografie di Michel Fokine, e la partecipazione di Ida Rubinstein, vedette e androgina icona dei Balletti Russi, nel ruolo del santo. 3 2_IH_Italienisch_69.indd 19 2_IH_Italienisch_69.indd 19 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 20 La morte del dio Andrea Mirabile Siamo nel 1911, fra la Parigi della Belle Époque e la più tranquilla regione atlantica delle Landes, dove lo scrittore italiano si è rifugiato per sfuggire ai troppi creditori, abbandonati - almeno per qualche tempo - al di là delle alpi. Grazie alla fervente amicizia dell’aristocratico dandy Robert de Montesquiou Fezensac (pronipote di D’Artagnan, al quale Proust si ispira per il suo Charlus) e della facoltosa pittrice americana Romaine Brooks (la «Cinerina» del Notturno con cui, benché la donna sia una nota esponente della comunità lesbica parigina, il poeta vive un breve ma appassionato idillio amoroso, poi trasformatosi in amicizia) 4 D’Annunzio ha modo di frequentare i migliori salotti letterari della capitale francese, allora centro della vita culturale europea. La leggenda del bellissimo arciere della guardia imperiale, messo a morte per aver rivelato pubblicamente la sua fede cristiana, diventa per D’Annunzio l’occasione di sintetizzare alcuni dei topoi dell’estetica decadente - per esempio l’ambigua commistione di violenza, erotismo, e religiosità o il carattere superomistico del santo, essere d’eccezione in grado di sublimare estaticamente la sofferenza - e le nuove suggestioni avanguardiste e moderniste. Sappiamo di visite alla Bibliothèque Nationale in compagnia dello studioso e storico del teatro Gustave Cohen: D’Annunzio consulta manoscritti di sacre rappresentazioni e misteri, come sempre da ghiotto linguista-antiquario, o scrupoloso artista-filologo. 5 Del resto ulteriori e molteplici echi, letterari e pittorici, risuonano in questa occasione nell’officina dannunziana: la Bibbia, i vangeli apocrifi, Apuleio, Polibio, la Legenda aurea, gli Acta Sanctorum, Veronica Gambara, Teresa d’Avila, lo Chateaubriand de Les Martyrs, Baudelaire, gli studi sulle persecuzioni religiose di Paul Allard, quelli sulle religioni orientali all’interno del mondo romano di Franz Cumont, Flaubert, Leconte de Lisle, Swinburne, Pater, il Wilde della Salomé, gli scritti sull’arte medievale di Émile Mâle, ma anche la statuaria classica, Botticelli, i Preraffaelliti, Puvis de Chavannes, oltre che gli esperimenti scenografici dell’amico ‹pittore-elettricista› Mariano Fortuny, e le conversazioni con il fedele seguace e pioniere della cinematografia Ricciotto Canudo (assai vicino alle voci più rivoluzionarie del tempo, da Apollinaire a Léger). 6 Per molti il mistero dannunziano è un poema adatto alla lettura, e possibilmente col sostegno di una biblioteca ben fornita, piuttosto che un’opera per il teatro. Troppi i dettagli da centellinare in absentia, rispetto al tanto che pur avviene in scena, dove poesia, drammaturgia, danza, scultura, pittura, e linguaggio filmico - oltre che Decadenza e Avanguardie - si congiungono nei quasi cinquemila versi del testo originale, e nelle cinque ore della première, dal fasto insolito persino per la navigata platea parigina. 7 Ci troviamo di fronte, insomma, ad una sorta di emulazione del, ma anche di sfida al, Gesamtkunstwerk wagneriano, tanto che, pur accolto tiepidamente da pubblico e critica - affaticati dalla messe di raffinatezze libresche, dalla lunghezza della rappresentazione, e dal pesante 2_IH_Italienisch_69.indd 20 2_IH_Italienisch_69.indd 20 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 21 Andrea Mirabile La morte del dio accento russo della Rubinstein - il Martyre viene salutato come il Parsifal francese, e spettatori d’eccezione quali Jean Cocteau e T.S. Eliot ne traggono duratura, anche se un po’ sotterranea, ispirazione. 8 Il riferimento all’eroe di Wagner, tuttavia, è fuorviante, perchè il Sebastiano di D’Annunzio è piuttosto la reincarnazione, cristiana, dell’Adone pagano. Gli esempi sono fin troppo abbondanti. Secondo i suoi compagni arcieri Sebastiano racchiude nelle mani gli anemoni del Libano e le lacrime di Afrodite, come Adone: «Tu es beau / comme Adonis», gli ripetono infatti, implorandolo di sottrarsi al martirio (Tragedie 407-408). Una veggente predice la morte del santo, disteso tuttavia su un letto d’ebano, ferito ad una coscia, dal cui sangue nascono rose, come avviene per Adone (471). L’Imperatore stesso, circondato da una massa di sacerdoti, oggetti di culto, immagini sacre rappresentanti la moltitudine di culti presenti nell’Impero - fra cui spiccano i devoti di Adone o Adoniasti - dichiara più volte la somiglianza fra il suo favorito e il giovane dio (535, 539, 566). Il medesimo verso di Bione citato all’inizio de «La morte del dio» è ripetuto a più riprese da cori di donne, affrante mentre San Sebastiano soffre e spira: alla sua morte, le stesse donne preparano dei ‹giardini d’Adone›, ovvero elaborate composizioni floreali in onore della divinità defunta, da esporre al sole per circa una settimana e poi da gettare in un fiume o nel mare, secondo la più antica tradizione (554, 566, 582). Infine, in molti dei passi citati il nome di Sebastiano viene collegato all’anemone o al giacinto, due dei fiori sacri ad Adone. 9 Non sorprende insomma che molti dei più stretti collaboratori del poeta, fra cui lo stesso Debussy, fossero particolarmente colpiti dall’esplicita, capillare sovrapposizione fra Gesù, Adone, e San Sebastiano nel testo di D’Annunzio. La commistione fra l’antico dio pagano, le cui origini arcaiche si perdono nei millenni che precedono l’era cristiana, e il martire del terzo secolo dopo Cristo, non è l’unica occasione in cui D’Annunzio tende a confondere più piani temporali, depistando qualsivoglia ancoraggio cronotopico da parte dei lettori o degli spettatori. All’inizio del prologo al Martyre de Saint Sébastien, ad esempio, si dichiara che «l’ystoire de Monseigneur Sainct Sebastien» viene rappresentata nel villaggio di Lanlevillar nel maggio del 1567 (p. 388). Tuttavia, un «nuncius» prende immediatamente la parola e descrive i due autori dell’opera in procinto di cominciare: uno, di cui non si rivela il nome, è un «Florentin en exil, / qui s’illustre en langue d’oïl», come Brunetto Latini che l’ha preceduto; l’altro è Claude Debussy (p. 390). Ovviamente, sia gli spettatori che i lettori, soprattutto nella Parigi dei primi anni del Novecento, sanno che Debussy è un compositore contemporaneo, e possono facilmente indovinare l’identità del ‹fiorentino in esilio›: la finzione storica che fa risalire la rappresentazione al sedicesimo secolo, pertanto, è smentita dall’identità dei due artisti, novecenteschi. Questi ultimi, infine, nella generale atmosfera 2_IH_Italienisch_69.indd 21 2_IH_Italienisch_69.indd 21 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 22 La morte del dio Andrea Mirabile acronica, fra il fiabesco e l’onirico, del dramma dannunziano, sembrano a loro volta perdere i propri specifici connotati biografici. Sia Debussy che D’Annunzio, in altre parole, finiscono per partecipare alla medesima prospettiva mitica in cui viene immersa la vicenda di Sebastiano: come il martire, sono soprattutto nomi, o meglio figure, da incastonare («dans la résille de plomb / au bas du vitrail rouge et bleu» ‹nel piombo in basso alla vetrata rossa e blu›, p. 390) in una delle cinque vetrate a cui vengono paragonati i cinque atti ovvero, secondo D’Annunzio, le cinque ‹mansions›, quasi a sottolinearne la natura insieme verbale e visiva del dramma. Anche nella Contemplazione della morte che vede la luce nel 1912, un anno dopo la prima dell’opera sul martire cristiano, D’Annunzio elabora una sofisticata strategia di mescolamento fra concreti elementi biografici, ben noti soprattutto ai contemporanei, e digressioni fantastiche, fra realtà e finzione. Si tratta infatti di una sorta di diario pubblico, attraverso il quale i lettori in Italia, sempre affamati di aneddoti dannunziani, vengono aggiornati sia sulle vicende del compatriota ‹in esilio› sia sui processi di elaborazione del Martyre. Grazie al sostegno della Brooks, il poeta risiede per lunghi periodi nei dintorni di Arcachon, appartata cittadina affacciata sull’Atlantico, nella regione delle Landes. Se prestiamo fede alle parole dell’autore, i giorni trascorrono in solitudine, secondo i ritmi di una rigida disciplina ascetica. Frequenti le lunghe escursioni nelle immense pinete lungo la costa, le visite all’amico, cattolico in odore di santità, e comprensivo padrone di casa Adolphe Bermond, e infine le notti di insonne meditazione fra la musica di Bach e le centinaia di riproduzioni fotografiche di famosi quadri raffiguranti il santo trafitto, spedite da Parigi grazie al fedele segretario Tom Antongini. Questo solitario e introspettivo D’Annunzio è, assai probabilmente, confinato alla finzione della scrittura semi-autobiografica della Contemplazione, piuttosto che ad una effettiva conversione, spirituale o igienista, dopo la débauche parigina - lo stesso Antongini, biografo oltre che factotum, è come di consueto prodigo di divertenti, per quanto non sempre verificabili, osservazioni in merito (138, 284 - 294, 309, 439 - 452). Inoltre, i ricordi della «Landa d’esilio», ovvero dei pini e delle dune dell’«Estremo Occidente», ritorneranno in tante memorabili pagine del Notturno, in cui eventi e paesaggi già descritti nella Contemplazione assumeranno tuttavia un segno spesso negativo, per cui più che calmo angolo di mondo adatto al raccoglimento e alla contemplazione mistica, la regione francese sarà soprattutto la «terra lontana» che ha trattenuto il poeta nei «cinque anni perduti» prima dell’eroica partecipazione alla Grande Guerra (si vedano, del Notturno, le pp. 13, 61, 62, 82, 140-143). Ad ogni modo è durante una delle consuete perlustrazioni nei boschi della zona, leggiamo nella Contemplazione, che il narratore osserva il lavoro di alcuni raccoglitori di resina, e viene colto dall’ispirazione per una delle scene più 2_IH_Italienisch_69.indd 22 2_IH_Italienisch_69.indd 22 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 23 Andrea Mirabile La morte del dio intense del mystère quando, nella quarta ‹mansion› (Tragedie, p. 584), le frecce scagliate contro il martire rimangono conficcate sulla corteccia di un lauro, indenne il corpo sublime del giovane. Ancora una volta il legame fra Sebastiano e Adone, entrambi testimoni della rinascita al di là dell’annientamento della carne, e l’equivalenza fra io narrante e autore reale vengono sottolineati: «Ciascun albero aveva il suo martirio, quasi che in ciascuno abitasse uno spirito avido di soffrire e di sanguinare come l’eroe divino da me eletto. E in quella sera feci l’invenzione del Lauro ferito. Il corpo di Sebastiano si distaccava lasciando tutte le frecce nel tronco del lauro d’Apollo. Le asticciuole scomparivano nella carne miracolosa come un vanire di raggi. ‹Rivivrai, rivivrai! Ritornerai! › gridavano gli Adoniasti.» (Prose 237) La congiunzione di pagano e cristiano, sotto il segno del diverso ma comune anelito verso la rigenerazione vitale oltre la morte, naturalmente non è esclusiva di D’Annunzio, e presto vengono alla memoria almeno le ultime pagine della precedente Tentation de Saint Antoine di Flaubert, la cui impronta appariva già marcata nella seconda edizione (1894) dell’Intermezzo, e forse il modello più frequentato dal poeta alle prese con l’‹Atleta di Cristo›. Non particolarmente originale, inoltre, questa sorta di cattolicesimo paganeggiante, tanto estatico quanto erotico, che soprattutto nella Francia fra Otto e Novecento, sebbene in circoli quasi esclusivamente intellettuali, raccoglie molti proseliti, quasi che la graduale crisi delle forme consuete di religiosità dia l’avvio a ricerche spirituali al di fuori delle istituzioni più tradizionali: quando le gerarchie ecclesiastiche d’oltralpe condannano apertamente il dramma su San Sebastiano, ad ogni modo, lo fanno soprattutto per il grande pubblico che l’autore italiano riesce, o potrebbe riuscire, a richiamare. Anche il mitologema di San Sebastiano, con o senza l’antico gemello Adone, non è esclusiva di D’Annunzio. Come ha dimostrato Harvey Gross nel suo studio su «The Figure of Saint Sebastian», lo si può ritrovare un po’ in tutto il Novecento, da Mann a Mishima (ma la lista potrebbe estendersi, giudizi di qualità e campi disciplinari a parte, fino a Jarman) spesso come simbolo dell’orgogliosa ‹diversità› o del ‹martirio› - variamente sociali, sessuali, o stilistici - dell’artista. Più decisamente dannunziana appare invece l’estensione dei confini del mito verso gli spazi della biografia, e la messa in questione delle barriere fra gli uni e gli altri. Come nel caso del confronto fra «La morte del dio» e il Martyre, l’interesse del poeta per Adone-Sebastiano è diacronico, ovvero riappare in testi, anche molto diversi fra loro, in fasi anche molto lontante della vita del poeta. E quanto avviene con Le Livre secret de Gabriele D’Annunzio 2_IH_Italienisch_69.indd 23 2_IH_Italienisch_69.indd 23 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 24 La morte del dio Andrea Mirabile et de Donatella Cross (pubblicato nel 1947 a cura di Pierre Pascal) e di Cento e cento e cento e cento pagine del Libro segreto di Gabriele D’Annunzio tentato di morire, che risale al 1935. Nel caso del Livre secret, si tratta della raccolta di lettere, per la maggior parte in francese, fra D’Annunzio e la contessa Nathalie de Goloubeff (ribattezzata Donatella Cross), burrascosa amante en titre negli anni dell’esilio oltralpe. Nel caso del Libro segreto, si tratta di una delle ultime opere pubblicate in vita dall’autore - per molti versi una sorta di testamento spirituale. Nel Livre come nel Libro, la figura di San Sebastiano è spesso al centro dell’attenzione, il più delle volte come ‹doppio› mitico-ideale, di D’Annunzio come della donna (donne) amata (amate). Anche senza arrischiarsi in ipotesi interpretative di tipo psicanalitico, date le eventuali implicazioni narcisistiche, sadomasochistiche, e omoerotiche dell’identificazione dell’amata (variabile a seconda delle vicende biografiche del poeta) con l’amato martire - verso cui D’Annunzio dimostra una devozione, o forse meglio passione, stabile a partire dalla tarda adolescenza - i dati testuali sono sotto gli occhi: nel Livre, ad esempio, Nathalie-Donatella è San Sebastiano (XCI, 16, 19, 20, 22, 30, 31); lo stesso avviene nel Libro, per Ida Rubinstein, «mio Sebastiano invitto» (264 - 266). La mima, danzatrice e attrice russa, infatti, nella corrispondenza privata con D’Annunzio si firma variamente come il Santo o Sebastiano, e qualcosa di simile si nota anche con Romaine Brooks, la quale poi, forse imitando le figure androgine dei suoi quadri o forse inconsciamente, usa sia il maschile ‹Sébastien› che il femminile ‹Sébastienne›: 10 D’Annunzio insomma ‹trasforma› più di una donna nel martire trafitto, e le prescelte sembrano cambiare identità o genere a seconda dei rituali di un intricato e perverso gioco dei sensi. Si ha la sensazione di asistere ad una sorta di tableau vivant esistenziale, in cui a individui in carne e ossa vengono assegnati ruoli ispirati al mito, gli uni e gli altri, tuttavia, cristallizati solo momentaneamente. La mitografia, l’iconografia, e l’iconologia dell’‹Atleta di Cristo› sono infatti elementi, per così dire, mobili o circolari, funzioni dal valore ogni volta diverso, dalle tante stanze del Vittoriale dominate da sculture o quadri raffiguranti il santo - per esempio la quattrocentesca statua lignea di Antonio Rizzo da Verona nella ‹Stanza del Lebbroso›, anche perché Sebastiano è, fra l’altro, protettore contro la peste e le malattie veneree (Mazza e Bortolotti 201; Re 40) - fino all’altalenante identificazione sia del poeta che dell’amata di turno con il martire. È quanto si nota a partire da una giovanile avventura romana con la giornalista Olga Ossani (ribattezzata «Febea»), i cui insaziabili baci feriscono il corpo del futuro Vate come le frecce feriscono Sebastiano, fino alla più tarda e decisiva apparizione di Ida Rubinstein nei camerini dei teatri di Parigi, come ricorda D’Annunzio (con qualche contraddizione, forse dovuta al passare degli anni) in più punti delle note postume raccolte in Di me a me stesso. Fatto non raro per il pescarese, 2_IH_Italienisch_69.indd 24 2_IH_Italienisch_69.indd 24 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 25 Andrea Mirabile La morte del dio alcuni episodi già narrati in testi precedenti (in questo caso, le origini del quarto atto del Martyre, con la miracolosa scomparsa delle frecce) vengono ripresi, lievemente modificati o meglio ricalibrati alla luce del presente: «S. Sebastiano. La prima apparizione - a ventun anno - […]. Il mio corpo maculato dai baci violenti, dai morsi di vampiro. Una notte di giugno torno a casa con la pelle più maculosa che quella della pantèra. La sera seguente - il convegno nel bosco alto della Villa Medici. Ella non sa fino a qual punto il suo ardore mi abbia piagato. Subitanea fantasia. La luna entra fra i lecci. Mi nascondo. Tolgo rapido il leggero abito estivo. La chiamo, addossato a un oleandro, atteggiandomi come se vi fossi legato. La luna bagna il mio corpo nudo, e tutte le lividure appaiono. ‹San Sebastiano›! ella grida. Quando s’avvicina e m’attira a sé, ho - per la prima volta, in un fremito lirico - la sensazione (e l’invenzione) che le saette vaniscano nelle mie piaghe e rimangano infisse nell’oleandro (Le laurier blessé). A Parigi, dopo 27 anni! , la sera del ballo russo Cleopatra. La visita nel camerino della Diva, condotto da Montesquiou. C’è Barrès, c’è Rostand, ci sono altri letterati franciosi, imbarazzati, agghindati. Con la solita temerità, vedendo da vicino le meravigliose gambe nude, mi getto a terra - senza sentire su me l’abito ‹a coda di rondine› - e bacio i piedi, salgo su pel fasolo alle ginocchia, e su per la coscia fino all’inguine, con il labbro agile e fuggevole dell’aulete che scorre il doppio flauto. Tableau! Scandalo! Alzo gli occhi. Vedo il volto di Cleopatra, sotto la grande capellatura azzurra, chino verso di me sorridere con una bocca abbagliante. Mi rialzo, in un silenzio ottuso, e mormoro, come trasognato: Saint Sébastien? » (218 - 221). L’attrazione per San Sebastiano è, insomma, una specie di persistente leitmotiv, che inoltre non pare limitato, come sottolinea Woodhouse, ad una «literary obsession» (56), se non altro per il fatto che il poeta condensa, nel suo interesse per il martire, il verbale ma anche il visuale. Nell’elegante dedica a Maurice Barrès che precede il Martyre de Saint Sébastien, D’Annunzio stesso cita Francesco Francia, Michelangelo, il Laurana, il Giambologna, e rivela di aver composto il dramma tenendo sotto gli occhi una «plaquette d’Antonio del Pollaiolo,» rappresentante il santo circondato da un gruppo di arcieri. Va notato che all’interno del piccolo esercito si staglia un centauro, simbolo della commistione di spirituale e animale, cristiano e pagano, come per una specie di vue en abyme, da un lato della particolare rappresentazione - ora diafana ora quasi grottescamente violenta - che verrà offerta dell’efebico 2_IH_Italienisch_69.indd 25 2_IH_Italienisch_69.indd 25 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 26 La morte del dio Andrea Mirabile martire, dall’altro dello stile del Barrès (385). 11 Inoltre, a parte la testimonianza di Antongini, e al di là di quanto è possibile ammirare presso il Vittoriale, si presti attenzione a tante pagine dei Taccuini, in cui D’Annunzio annota le sue impressioni dopo aver contemplato alcune rappresentazioni pittoriche del santo ospitate da chiese e musei in Italia e in Europa. Emergono Francesco Francia, Madonna e Santi, nella chiesa di San Giacomo Maggiore a Bologna (Taccuini, 454); Giovanni Buonconsiglio, San Sebastiano con San Rocco e San Lorenzo, nella chiesa di San Giacomo dall’Orio a Venezia (Altri taccuini, 30); Fiorenzo di Lorenzo, Madonna con Bambino e i Santi Cristoforo e Sebastiano, Städel Museum, Francoforte (Altri taccuini, 139). In due articoli del 1886 apparsi su La Tribuna, il poeta segnala, con piglio da conoscitore, altri due quadri su San Sebastiano, di Pietro Perugino, al Louvre, e di Domenichino, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli a Roma (si veda Forcella, 237 e 147). Infine, ne La Leda senza cigno, dopo aver sottolineato l’analogia fra Adone e Cristo (1010) - analogia che, nel Martyre, viene più volte estesa al martire giovinetto (il quale rivive le tappe della Passione, se non che le lacrime di Maria per suo figlio si trasformano nel pianto di Afrodite per l’amato) - descrive una visita alla Ca’ d’Oro a Venezia, e una serie di inebrianti sensazioni sinestetiche suscitate da uno dei capolavori pittorici ivi conservati, il San Sebastiano di Mantegna (Poesie, 1030-1034). 12 E la tendenza verso la sinestesia è forse la chiave per approfondire un altro aspetto, più volte ricorrente, nella tenace inclinazione che il poeta dimostra verso Adone e Sebastiano. Entrambi i personaggi incarnano infatti, almeno agli occhi di D’Annunzio, l’esperienza della metamorfosi, in modo particolare della metamorfosi fra mondo animale e mondo vegetale. Si tratta certo di un tema ben noto ai lettori di D’Annunzio, ed è inutile ricordarne le tante epifanie, non solo in Maia. Meno scontato risulta probabilmente esplorarne le dinamiche in un’area apparentemente marginale del corpus dannunziano. Il santo, ad esempio, oltre che a Cristo o Adone è - di nuovo con caratteristica ambiguità sessuale - spesso paragonato a Dafne: «S. Sebastien à l’arbre», leggiamo nei Taccuini, quasi a riproporre tante scene del lontano Sogno d’un mattino di primavera, «une Daphné. L’unité des êtres - les limites entre les espèces abolie.» ‹San Sebastiano all’albero, una Dafne. L’unità degli esseri, i limiti fra le speci aboliti› (603). 13 Il più volte progettato, e mai portato a termine, adattamento filmico del Martyre riaffiora forse anche nello scritto «Del cinematografo considerato come strumento di liberazione e come arte di trasfigurazione», del 1914, quando Dafne e la sua metamorfosi ritornano e diventano per certi versi numi tutelari della nuova arte del film, le cui meraviglie tecniche si auspica possano rianimare gli antichi miti mediterranei. La metamorfosi sembra in questo senso non solo un anticipo di suggestioni modernistiche, uno dei topoi dell’estetica simbolista e decadente (si pensi a 2_IH_Italienisch_69.indd 26 2_IH_Italienisch_69.indd 26 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 27 Andrea Mirabile La morte del dio tante opere di Moreau), o un chiaro lascito da Ovidio - dichiarato maestro, fonte perenne per D’Annunzio 14 - ma anche, per dirla con Mauron, una specie di ‹mito personale›, con svariati riflessi biografici: come i tanti dei o semidei in grado di perdere e ricreare la propria identità nel flusso di continue trasformazioni fra i vari regni dell’essere, così il poeta è pronto a un continuo rimodellamento della propria identità insieme artistica e biografica: «È il privilegio del primigenio questo d’una verginità perpetua dello spirito insonne. ‹io nacqui ogni mattina› canta il poeta novo in una lauda della vita. nasco in quest’ora.» (Libro segreto, p. 235). L’«estasi senza cuore» e il «volto senza corpo» citati in apertura, sono forse le metafore di questa sorta di spazio vuoto, fluido, eterno presente - più che eterno ritorno - aperto all’andirivieni di mille presenze e più mutamenti, che pare il sigillo sia della religiosità di D’Annunzio, «mistico senza dio» (ancora Libro segreto, p. 51, ma già nel Trionfo della morte), che della dialettica fra io fittizio e io reale nella sua scrittura. Potente emblema di rinnovamento perpetuo, al di là di ogni limite temporale e biologico, il binomio Adone-Sebastiano pare sintetizzare, sotto la penna di D’Annunzio, sia la possibilità di frantumare le angustie della soggettività autoriale, elevando l’artista nella dimensione inscalfibile del mito, che l’anelito a congiungere antico e moderno, mondo pagano e mondo cristiano in una più ampia sintesi sincretistica. 15 Se poi è tuttora consuetudine, per i lettori di D’Annunzio, rintracciare la vita negli spazi del libro, altrettanto valido è il percorso inverso, per cui il libro (il quadro, la statua) plasmano o ispirano - almeno idealmente - le occasioni della vita. Nel caso di Sebastiano- Adone, per esempio, l’autore in quanto individuo storico, il soggetto lirico o narrativo, e l’immagine mitica del martire cristiano e pagano si confondono in fertili scambi - o, forse meglio, metamorfosi - fra l’erotico, l’esistenziale e il testuale. Ne scaturisce un’euforia, mai sopita, che viene tuttavia corretta dalla consapevolezza della natura momentanea, se non illusoria, di tali fusioni. Consapevolezza che si direbbe crescere più acuta, e dolorosa, col passare degli anni. «Forse l’estasi a Sebastiano impediva sentir le frecce, distinguere le parti della statura dove le punte s’infiggevano», scrive l’ormai anziano poeta in una malinconica pagina del Libro segreto, «ma come sento io, con quale esattezza, quest’ultima freccia nel mio costato! Con qual lucidità considero se mi sia possibile togliermela senza troppo lacerarmi e troppo sanguinare! » (281) 16 Abstract. Die Figur des Heiligen Sebastian ist von den Jugendgedichten in Intermezzo bis zu den Fragmenten in Libro segreto im Werk Gabriele D’Annunzios präsent. Der Dichter widmete dem «Athleten von Christus» 2_IH_Italienisch_69.indd 27 2_IH_Italienisch_69.indd 27 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 28 La morte del dio Andrea Mirabile sogar eines seiner experimentellen Theaterstücke, Le Martyre de Saint Sébastien. Die Darstellung des Sebastian durch D’Annunzio geht freilich über die Grenzen des Hagiographischen hinaus: der christliche Mythos wird mit dem heidnischen Mythos überblendet, genauso wie die poetische oder dramatische Sprache mit dem biographischen oder halb-biographischen Bericht. In den Texten D’Annunzios ist der Heilige sowohl ein sinnlicher androgyner Jüngling - nach der Ikonographie, die die meisten Dichter und Maler der Renaissance bevorzugten -, aber auch Adonis, als ganz antike mythische Verkörperung der Wiedergeburt nach dem Vergehen des Körpers, und schließlich ist er der Dichter selbst, der bestrebt ist, Heidnisches und Christliches, Liebe und Tod, Leiden und Extase, Literatur, Bildende Kunst und Theater in einer Art idealisierenden und widersprüchlichen Selbststilisierung zum Mythos zusammenzubringen. Note 1 Sulla figura di Adone, amato da Afrodite e mutato in fiore, è tuttora consigliabile il classico The Golden Bough di James Frazer (in particolare pp. 390-418). Del culto di Adone, Frazer esplora i rituali, la variegata simbologia vegetale, e le lontane radici asiatiche, irradiatesi ed evolutesi in seguito nel bacino mediterraneo, dal mondo greco a quello cristiano: identiche, nonostante le differenze locali, le linee essenziali del mito, ovvero la morte e la resurrezione di un giovane dio, a specchio del declino e della fioritura periodiche della vegetazione. Lo studioso fa notare che: «The worship of Adonis was practised by the Semitic peoples of Babylonia and Syria, and the Greeks borrowed it from them as early as the seventh century before Christ. The true name of the deity was Tammuz: the appellation of Adonis is merely the Semitic Adon, ‹lord›, a title of honour by which his worshippers addressed him. But the Greeks through a misunderstanding converted the title of honour into a proper name.» ‹Il culto di Adone veniva praticato dalle popolazioni semitiche di Babilonia e Siria, e i greci lo assorbirono a partire dal settimo secolo prima di Cristo. Il vero nome del dio era Tammuz: Adone è semplicemente il semitico Adon, ‹Signore›, un titolo d’onore usato dai fedeli. I greci, fraintendendo, traformarono il titolo onorifico in un nome proprio.› (392, qui e in seguito tutte le traduzioni sono mie). Lo stesso D’Annunzio, nel Martyre de Saint Sébastien, sembra talvolta giocare sull’ambiguità fra le due accezioni: Adone come aggettivo - quindi non necessariamente legato a un contesto pagano - o nome proprio, pagano (Tragedie 454, 558). 2 «La chevelure éparse et la gorge meurtrie, / Irritant par les pleurs l’ivresse de leurs sens, / Les femmes de Byblos, en lugubres accents, / Mènent la funéraire et lente théorie. / Car sur le lit jonché d’anémone fleurie / Où la Mort avait clos ses longs yeux languissants, / Repose, parfumé d’aromate et d’encens, / Le jeune homme adoré des vierges de Syrie. / Jusqu’à l’aurore ainsi le choeur s’est lamenté, / Mais voici qu’il s’éveille à l’appel d’Astarté, / L’Epoux mystérieux que le cinname arrose. / Il est ressuscité, l’antique adolescent ! / Et le ciel tout en fleur semble une immense rose / Qu’un Adonis céleste a teinte de son sang» ‹Le chiome sciolte e le gole straziate, eccitando col pianto l’esaltazione dei sensi, le donne di Biblo, con voci lugubri, conducono il lento corteo funebre. Infatti sul letto cosparso d’anemoni in fiore dove la Morte aveva chiuso i suoi lunghi e languidi occhi, riposa, profumato di piante aromatiche e incenso, il giovane adorato dalle vergini di Siria. 2_IH_Italienisch_69.indd 28 2_IH_Italienisch_69.indd 28 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 29 Andrea Mirabile La morte del dio Fino all’aurora il coro si è lamentato, ma ecco che si risveglia all’appello di Astarte, lo Sposo misterioso, cosparso di cinnamomo. È risuscitato, l’antico adolescente! E il cielo in fiore sembra un’immensa rosa che un Adone celeste ha tinto col proprio sangue› (52). Sempre in ambito francese, e sempre nel medesimo clima culturale, si ricordino anche due poemi di Leconte de Lisle, «La Résurrection d’Adonis», dai Poèmes tragiques del 1884, e «Le Parfum d’Adonis», dai Derniers poèmes del 1895. Per le analogie fra i miti pagani sulla resurrezione e Cristo, tema assai ricorrente in epoca decadente e negli studi sulla mitologia a cavallo fra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, si veda anche «Le Christ aux Oliviers» da Odelettes (1832) di Nerval. 3 È curioso che, al di fuori dell’italianistica, D’Annunzio venga raramente preso in considerazione negli studi dedicati al concetto di opera d’arte totale. Nelle recenti antologie L’Oeuvre d’art totale (per cura di Galard e Zugazagoita) e The Aesthetics of the Total Artwork (Follett e Finger), ad esempio, il poeta pescarese non è mai citato. Eppure, i progetti per un faraonico «Théâtre de Fête», a cui D’Annunzio lavora in compagnia di Fortuny durante gli anni parigini, sono chiaramente ispirati da un tentativo di rivaleggiare con Wagner e Bayreuth, proponendone un’alternativa ‹latina›. L’opera d’arte totale, inoltre, presuppone l’inserimento (o annullamento) della vita stessa dell’autore all’interno dell’opera, e pochi come D’Annunzio possono vantare - nel bene come nel male - maggiore osservanza a tale principio. Sul francese dannunziano, si veda invece il severo giudizio espresso da Contini fin dal lontano 1937, ora negli Esercizi di lettura («Vita macaronica del francese dannunziano», pp. 274 -285). Il grande filologo sottolinea la «sostanziale estraneità del D’Annunzio alla struttura spirituale del francese» (p. 285) e la fa-scinazione del poeta per le periferie esotiche della lingua d’oltralpe: «Il francese arriva a lui per il lungo circuito bizantino e cipriota, attraverso la mediazione dell’Impero latino d’Oriente, fra la lussuria e le spezie che la nave (o la Nave) convogliano verso una Venezia barbarica e smaltata» (284). Assai più positiva la valutazione di Annette Bossut Ticchioni. 4 Si vedano le note di Gianni Turchetta nell’edizione mondadoriana del Notturno (in particolare pp. 241-242), la biografia della Brooks di Meryle Secrest, e il catalogo delle opere della pittrice a cura di Whitney Chadwick. Il carteggio fra D’Annunzio e la Brooks, in massima parte inedito, è conservato presso il Vittoriale: ringrazio il Dottor Alessandro Tonacci e la Dottoressa Roberta Valbusa, responsabili dell’archivio del Vittoriale, che mi hanno permesso di consultare questi preziosi documenti. Le lettere risalenti al periodo del Martyre confermano in modo inequivocabile la natura intensamente amorosa, almeno agli inizi, della relazione fra il poeta e l’artista statunitense, la quale fra l’altro dipinge (e descrive nel carteggio) un misterioso quadro - ora irreperibile. Il dipinto rappresenta una giovane donna dalle fattezze androgine, molto simili a quelle della Rubinstein, a sua volta amante della pittrice. La donna, completamente nuda, è legata ad un albero come San Sebastiano, e attende di essere trafitta da una sorta di arciere-nanerottolo, piuttosto grottesco, sotto la cui maschera molto probabilmente si nasconde D’Annunzio (si veda Secrest, p. 271, che riproduce una rara fotografia del dipinto). Nelle lettere, per lo più in francese, la Brooks si riferisce a Sebastiano usando alternativamente il maschile o il femminile, e non senza ironia si dichiara incerta se dipingere D’Annunzio nel ruolo del santo o dell’arciere. 5 La testimonianza di Cohen (si vedano in particolare le pagine 64 - 65, 80 - 81) è breve ma preziosa - oltre che per i gustosi dettagli sulla vita del poeta durante l’‹esilio› francese - soprattutto per chi voglia sondare le abitudini di D’Annunzio durante la fase di preparazione alla scrittura, spesa in questa come in tante altre occasioni nella paziente raccolta di dati, oltre che nell’approfondimento febbrile di molteplici campi disciplinari, gerghi specialistici, particolari eruditi. 2_IH_Italienisch_69.indd 29 2_IH_Italienisch_69.indd 29 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 30 La morte del dio Andrea Mirabile 6 Sulle relazioni fra D’Annunzio e Canudo, e la multiforme attività di quest’ultimo negli ambienti delle avanguardie, si legga il volume di Verdone su Drammaturgia e arte totale (soprattutto le pp. 135-146). 7 Per quanto riguarda la dialettica fra intreccio narrativo in absentia (che il lettore ricostruisce mentalmente) e in praesentia (l’ultimo prevalente nel teatro), rimando al Segre di Teatro e romanzo (pp. 15-26): gli appunti dello studioso sugli elementi non verbali, sulla coppia finito-infinito, e sui legami fra rito e forme teatrali sono preziosi per soppesare le consuete critiche a D’Annunzio drammaturgo, in primo luogo la scarsa sensibilità ad un presunto ‹specifico› teatrale. La fitta trama di collaborazioni creative, innovazioni tecnologiche, e discussioni sui limiti e sulle possibilità della scena, sempre vivace in D’Annunzio ma con punte di particolare rigo-glio durante il periodo del Martyre de Saint Sébastien e della Pisanelle (del 1913), è attentamente analizzata nel volume di Giovanni Isgrò, D’Annunzio e la ‹mise en scène›, di cui si vedano innanzitutto le pagine 151-193. L’aspetto più originale dello studio di Isgrò consiste nell’analisi delle sovrapposizioni, in questa fase della drammaturgia dannunziana, fra linguaggio teatrale e linguaggio filmico, e più in generale nell’utopica sintesi fra stasi ieratica e dinamismo cinetico, assai probabilmente influenzata dalle innovazioni della allora crescente industria cinematografica. Su questi argomenti, e sui drammi in francese di D’Annunzio, si vedano anche i saggi di Gullace, Santoli, e Fleischer (di quest’ultima in particolare pp. 19 - 92). 8 La presenza di Eliot (appassionato di danza, e a Parigi nel 1911) ad una delle rappresentazioni del Martyre sembra confermata dal misterioso poema «The Love Song of Saint Sebastian», risalente al 1914 (ora in: The Letters of T.S. Eliot, vol. 1, p. 47; si vedano anche le considerazioni di Fleischer, p. 42). Nel poema, dai toni fortemente sadomasochistici - Sebastiano, ad esempio, si autoinfligge il martirio - appare evidente sia l’influenza di D’Annunzio che quella di Wilde. Come il poeta italiano, inoltre, Eliot frequenta in quegli anni il salotto di Natalie Barney, grande mecenate, nonché amante di Romaine Brooks. Per quanto riguarda Cocteau, si vedano le belle pagine che lo scrittore francese dedica al dramma dannunziano, e soprattutto a Ida Rubinstein, in: L’art décoratif de Léon Bakst (35-37). Cocteau vi descrive la mima e danzatrice russa come una figura animata e scesa per miracolo da una vetrata gotica, pertanto non ancora del tutto padrona dei propri movimenti e delle proprie parole. 9 Si veda di nuovo Frazer, convinto dell’analogia fra Adone e Cristo: «When we reflect how often the Church has skillfully contrived to plant the seeds of the new faith on the old stock of paganism, we may surmise that the Easter celebration of the dead and risen Christ was grafted upon a similar celebration of the dead and risen Adonis.» ‹Se consideriamo quanto spesso la Chiesa abbia abilmente tentato di piantare i semi della nuova fede sul vecchio terreno del paganesimo, possiamo ipotizzare che la celebrazione della morte e resurrezione di Cristo durante la Pasqua fu ispirata da riti simili per la morte e la resurrezione di Adone› (416). È utile ricordare, del resto, anche le intuizioni del Nietzsche di Der Antichrist sullo stesso argomento: «Damit Liebe möglich ist, muss Gott Person sein; damit die untersten Instinkte mitreden können, muss Gott jung sein. Man hat für die Inbrunst der Weiber einen schönen Heiligen, für die der Männer eine Maria in den Vordergrund zu rücken. Dies unter der Voraussetzung, dass das Christenthum auf einem Boden Herr warden will, wo aphrodisische oder Adonis-Culte den Begriff des Cultus bereits bestimmt haben.» ‹Perché l’amore sia possibile, Dio dev’essere una persona; perchè gli istinti più bassi possano essere stimolati, dev’essere giovane. Per infiammare l’ardore delle donne, un bellissimo santo deve fare capolino, e per gli uomini, una Maria - se partiamo dall’ipotesi che il Cristianesimo voglia soppiantare antichi culti di Afrodite o di Adone, già in grado 2_IH_Italienisch_69.indd 30 2_IH_Italienisch_69.indd 30 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 31 Andrea Mirabile La morte del dio di stabilire l’idea generale di culto› (188). Com’è noto, anche la generazione di Pound ed Eliot mediterà a lungo su tali suggerimenti, tanto che si può dire che l’analisi delle convergenze fra mondo pagano e mondo cristiano rappresenti uno dei grandi paradigmi culturali fra fine Ottocento e primi decenni del Novecento, almeno fino al secondo conflitto mondiale - D’Annunzio è una delle voci più riconoscibili e influenti, anche se tuttora trascurate, di tale tendenza. Sui rapporti - ancora in gran parte inesplorati - fra Pound e D’Annunzio, si vedano il volume di Valesio (p. 114), e il recente saggio di Ernesto Livorni, «D’Annunzio, Marinetti, Pound e il mito di Venezia». 10 Canudo, da parte sua, talvolta firma «Sanaé» - ovvero l’amico prediletto di Sebastiano nel Martyre - le sue lettere a D’Annunzio. 11 La plaquette, originariamente nella collezione Dreyfus a Parigi, si trova ora presso la National Gallery di Washington. È possibile ammirarne una copia - la cosiddetta Maestade o Pace di San Sebastiano - anche presso il Museo di San Petronio a Bologna. L’attribuzione a Pollaiolo sembra ormai da escludere, mentre evidente (per il forte ‹espressionismo› figurativo) appare l’influenza di artisti di area settentrionale. Si vedano Pecci, 123, Pope-Hennessy 85, Mazzarotto 309, Fanti 60. Per quanto riguarda il rapporto di reciproca influenza fra D’Annunzio e Barrès, prestigioso interlocutore del poeta italiano durante gli anni parigini, cattolico nazionalista, ed esponente del più ristretto establishment letterario francese, si vedano le precisazioni di De Montera e Tosi nel loro dettagliato studio su D’Annunzio, Montesquiou, Matilde Serao, oltre che le osservazioni dello stesso Barrès nei suoi Cahiers (VIII, 192 - 193; si leggano inoltre, nella stessa raccolta, gli appunti sulla sensualità dei martiri - assai vicini alla sensibilità dannunziana - in II, 27). 12 A parte quest’ultimo caso, è piuttosto interessante notare che D’Annunzio pare attratto da rappresentazioni in cui il martire è accompagnato da altre figure, a partire da «La morte del dio» e quasi prefigurando una resa drammatica (basata sul contrasto fra massa e individuo d’eccezione) poi confluita ne Le Martyre de Saint Sébastien - oltre che in tante sequenze del cinema cosiddetto dannunziano. Questa impressione sembra confermata da Robert de Montesquiou, fra i primi a intuire le analogie fra il dramma religioso e il linguaggio del cinema, dopo aver osservato come il poeta italiano si sia rivolto ai San Sebastiano di Anthony Van Dyck (ad Anversa) e Hans Memling (Bruxelles) per l’atteggiamento degli arcieri, discepoli e insieme assassini del martire (Têtes 88 - 92). Nella primavera del 1911, Léon Blum - fra l’altro vicino a Canudo e ai suoi interessi cinematografici - invia a D’Annunzio due riproduzioni di quadri su Sebastiano, di Sodoma e di Fiorenzo di Lorenzo (Pecci 124). 13 Sulla «tematica metamorfica» del Sogno d’un mattino di primavera, e in genere sulla metamorfosi arborea nel teatro dannunziano, rinvio al saggio di Katia Lara Angioletti (77 - 87). 14 «L’analogia vera - quella veramente profonda - tra me e Ovidio (espressi dalla medesima razza) è nella celebrazione delle Metamorfosi, nella credenza istintiva o lirica alla virtù eccelsa delle Metamorfosi.» (Di me a me stesso 33) 15 Come osserva Niva Lorenzini a proposito di Intermezzo: «Trasformare la propria vicenda in mito significa per D’Annunzio ormai avviato, sulla traccia wagneriana e nietzschiana, verso i romanzi-poemi (Il Fuoco, Le vergini delle rocce) e verso le tragedie, ripercorrere letterariamente lo spazio della parola poetica, tracciare le coordinate di un’esperienza che vede l’autobiografia inscindibile dalla rielaborazione affabulata di essa.» (Versi d’amore e di gloria, 913) Anche Valesio approfondisce il medesimo tema con la nozione di «narrative continuity» (p. 114, 248). 16 Con lievi variazioni anche in Di me a me stesso, p. 219. 2_IH_Italienisch_69.indd 31 2_IH_Italienisch_69.indd 31 23.04.13 16: 05 23.04.13 16: 05 32 La morte del dio Andrea Mirabile Bibliografia Angioletti, Katia Lara: Il poeta a teatro. Gabriele D’Annunzio e la riforma della scena drammatica. Milano: Cuem 2010. Antongini, Tom: D’Annunzio. London: Heinemann 1938. Barrès, Maurice: Mes Cahiers. 14 volumi. Paris: La Palatine 1929-1938. Chadwick, Whitney: Amazons in the Drawing Room. The Art of Romaine Brooks. Chesterfield: Chameleon 2000. Cocteau, Jean e Alexandre Arsène: L’art décoratif de Léon Bakst. Paris: De Brunoff 1913. Cohen, Gustave: Ceux que j’ai connus. Montréal: L’Arbre 1946. D’Annunzio, Gabriele: «Del cinematografo considerato come strumento di liberazione e come arte di trasfigurazione» (1914). In: Giovanni Pastrone. Gli anni d’oro del cinema a Torino, a cura di Paolo Cherchi Usai, Torino: UTET 1986, pp. 115 -122. -: Notturno. 1916. A cura di Gianni Turchetta. Milano: Mondadori 1995. -: Cento e cento e cento e cento pagine del Libro segreto di Gabriele D’Annunzio tentato di morire. 1935. A cura di Piero Gibellini. Milano: Mondadori 1977. -: Tragedie, sogni e misteri. Volume II. 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