Italienisch
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Narr Verlag Tübingen
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2013
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Fesenmeier Föcking Krefeld OttEmilio Salgari e l'epopea del popoli colonizzati: I "Pirati della Malesia"
121
2013
Antonio Catalfamo
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6 4 A N TO N I O C ATA L FA M O Emilio Salgari e l’epopea dei popoli colonizzati: I «Pirati della Malesia» Poco più di cento anni fa (precisamente il 25 aprile 1911) morì suicida, a Torino, Emilio Salgari, autorevole, quanto controverso, anche presso i suoi contemporanei, scrittore d’avventure. Egli ha voluto dare dimensione romanzesca anche alla sua morte, preparata accuratamente - come dimostra, ad esempio, il particolare del bastone da passeggio e della giacchetta ben ripiegata, riposti accanto al suo cadavere - , ricorrendo, seppur con mano tremante, ad una sorta di harakiri, che sarebbe stato degno di qualcuno dei personaggi usciti dalla sua penna. Nel prendere commiato dalla vita, ha lasciato due lettere: una indirizzata ai suoi editori, piena di improperi e recriminazioni per aver sfruttato commercialmente il suo successo, costringendolo, per converso, a vivere in gravi ristrettezze, assieme alla numerosa famiglia, e un’altra in cui fa appello a che i figli non vengano abbandonati a se stessi, privi di sostanze. Nella prima, riprodotta, insieme ad altre, dalla stampa dell’epoca, leggiamo: «Ai miei editori. A voi che vi siete arricchiti colla mia pelle mantenendo me e la famiglia mia in continua semi-miseria od anche più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che io vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna. Emilio Salgari.» 1 Basta richiamare qui, per il momento, alcuni dati biografici funzionali alla trattazione che segue. Emilio Salgari era nato il 21 agosto 1862 a Verona, da famiglia benestante. Aveva frequentato il Regio Istituto Nautico «Paolo Sarpi» di Venezia, ma, a causa dello scarso impegno nello studio, non aveva conseguito il diploma. Decise allora di dedicarsi all’attività giornalistica, divenendo redattore del quotidiano veronese , sul quale cominciò a pubblicare in appendice i suoi primi romanzi. Qui incontrò sulla sua strada come direttore un giornalista fantasioso dalle grandi trovate pubblicitarie, che contribuirono al successo degli scritti salgariani. Era Ruggero Giannelli. Uno di questi scoop servì a lanciare il primo grande successo di Salgari, La Tigre della Malesia: «La mattina del 15 ottobre 1883 Verona fu tappezzata di manifesti raffiguranti una tigre. Intanto metteva in guardia i cittadini annunciando che un’altra feroce tigre era fuggita da un serraglio. 2_IH_Italienisch_70.indd 64 30.10.13 09: 25 6 5 Antonio Catalfamo Emilio Salgari La vicenda è assai nota: nessuna belva minacciava la vita dei veronesi, l’unica Tigre che si apprestava a fare la sua comparsa era La Tigre della Malesia, la nuova appendice che il giovane Salgari aveva creato per il quotidiano.» 2 Successivamente Salgari passò all’altro quotidiano scaligero, continuò a scrivere in appendice i suoi romanzi, che ormai erano ospitati a puntate da tanti altri quotidiani. Il successo ottenuto lo spinse a intraprendere la strada dello scrittore professionista. Nel 1892 si sposò con Ida Peruzzi (subito da lui ribattezzata «Aida»), si trasferì a Torino e pubblicò le sue opere contemporaneamente con tre editori prestigiosi: Paravia di Torino, Treves di Milano e Donath di Genova. Nel 1898 la famiglia Salgari si trasferì a Sampierdarena. Agli editori precedentemente citati si aggiunse Bemporad di Firenze. Il lavoro dello scrittore diventò così frenetico, anche se non remunerato in maniera adeguata alle esigenze della famiglia, che intanto si era accresciuta con la nascita di quattro figli. Inseguito dai creditori, Salgari tornò a Torino, in un modesto alloggio di Corso Casale. Il fumo, l’alcol aggravarono le sue condizioni di salute. Una malattia agli occhi gli fece temere la cecità. Il disinteresse del mondo letterario piemontese minava ulteriormente il suo sistema nervoso. Le precarie condizioni mentali della moglie, che fu ricoverata in manicomio, rappresentarono la classica goccia che fa traboccare il vaso, anche perché egli non riusciva a garantirle un’assistenza decorosa, a causa delle ristrettezze economiche. Da qui al suicidio il passo fu breve. Il centenario della morte di Emilio Salgari, con gli studi che ne sono seguiti, è riuscito, almeno in parte, a sfatare alcuni miti, riguardanti perlopiù la sua biografia e alimentati - alcuni - dallo stesso scrittore (si pensi, ad esempio, al mito del «grande viaggiatore», visto ch’egli, nella realtà, viaggiò pochissimo), ma non a correggere il tiro della critica (quantomeno di quella ‹ufficiale›), che ha continuato, con qualche eccezione, a sottovalutare Salgari, sminuendo il valore letterario della sua opera, confinandola, al massimo, nella vasta area della ‹paraletteratura›. Ha ragione Sergio Campailla quando sostiene, nello studio introduttivo premesso all’edizione de I Pirati della Malesia 3 pubblicata appunto in occasione del centenario da Newton e Compton, che sono esistiti almeno due Salgari, uno appannaggio della critica ‹ufficiale›, che lo classificò e lo classifica come un ‹minore›, e l’altro della ‹gente comune› (sarebbe eccessivo parlare oggi di ‹popolo›), che gli decretò un grande successo, che dura tuttora. Anche il considerare Salgari uno scrittore ‹popolare› può essere carico di insidie, perché si finisce per relegarlo nell’ambito della ‹paraletteratura›, escludendo le sue opere dall’area della letteratura vera e propria, la «letteratura colta», che richiede il raggiungimento di determinati canoni estetici. Già 2_IH_Italienisch_70.indd 65 30.10.13 09: 25 66 Emilio Salgari Antonio Catalfamo la critica ‹ufficiale› sua contemporanea considerò lo scrittore veronese come un autore che, essendo benevoli, poteva andar bene per l’infanzia, alla quale, grazie al suo linguaggio semplice, era in grado di trasmettere utili nozioni di geografia e di scienze naturali. Scrisse, infatti, Grazia Deledda, che, forse per addolcire la pillola amara del suo giudizio, intravedeva in Salgari il «Verne italiano»: «Il Salgari […] scrive spigliatamente, e coglie garbatamente ogni occasione per inserire nelle sue pagine nozioni geografiche, e di storia naturale. I suoi volumi si possono quindi leggere con un certo profitto dai giovinetti, ma per aver anche l’approvazione dei grandi bisognerebbe che il Salgari desse ai suoi personaggi un po’ più di verosimiglianza, un linguaggio meno violento, e infine un po’ più di garbo artistico. Ma il Salgari è ancor giovine: col tempo si perfezionerà, e siamo quasi certi di salutare un giorno in lui il Verne italiano.» 4 Giudizio analogo fu espresso dall’autorevole Nuova antologia, 5 che, all’epoca, contribuiva a dettare il canone estetico. Nei decenni successivi, fino all’età nostra contemporanea, il giudizio riduttivo su Salgari non è venuto meno, la sua esclusione dall’‹olimpo› della letteratura ‹colta› è perdurata senza ripensamenti. La sua opera viene considerata estranea alle suggestioni della storia reale, 6 sostituita da quella libresca, scarsamente originale, a causa della sua ‹serialità›, che impone di riproporre sempre gli stessi ‹tipi›. Rientrante, perciò, più nella ‹paraletteratura› che nella ‹letteratura›. Anzi, lo scrittore si pone in antitesi rispetto alla storia del suo tempo, caratterizzata dal progresso, dalle prime avvisaglie di sviluppo tecnologico, dall’affermarsi del sapere scientifico. E allora, nell’età del positivismo, egli vive dei sogni del passato, in un mondo onirico ormai superato. Anche nel centenario Salgari viene presentato - con qualche eccezione di rilevo, come dicevamo - come un uomo fuori dal suo tempo, perduto nei labirinti del fantastico, rapito da un mondo irreale, «risolto a salpare navigando nei mari dell’immaginazione». 7 Lo stesso Sergio Campailla, che pure esalta il Salgari «popolare», in antitesi a quello della «critica ufficiale», sottolinea che Salgari «scriveva non potendo permettersi il lusso di viaggiare». 8 Conseguentemente, «la scrittura per lui acquista un valore più forte di risarcimento ed evasione». 9 «Salgari ha una sua mitologia, autonoma, in cui rifugiarsi; una mitologia che nei momenti migliori gli suggerisce squarci ariosi e carichi di mistero». 10 Una mitologia che ha il suo aspetto «esotico», 11 persino «le sue formule magiche». 12 Di questa mitologia fa parte anche il linguaggio 2_IH_Italienisch_70.indd 66 30.10.13 09: 25 67 Antonio Catalfamo Emilio Salgari «marinaresco», tutto un mondo fatto di «tempeste», «arrembaggi», «naufragi», «che riconducono il racconto sul solco in cui lo scrittore dentro di sé si sentiva più autorizzato». 13 Stranamente Antonio Gramsci, che, nei Quaderni del carcere, studiò, per la prima volta in maniera organica, il romanzo d’appendice, il suo impatto sulle masse, le quali, nonostante il carattere scadente di questo genere, sia nostrano che d’importazione, lo preferivano alla letteratura ‹colta›, vista la dimensione non ‹nazional-popolare› di quest’ultima, non si occupa dell’opera salgariana. Menziona una sola volta, in una breve nota dei suddetti quaderni, Salgari, 14 coinvolto in una polemica, in cui era implicato il sindacato scrittori e nella quale il romanziere veronese veniva usato strumentalmente contro lo ‹straniero› Verne in nome dell’‹autarchia culturale›, che caratterizzava il regime fascista. Eppure il grande intellettuale sardo conosceva benissimo le opere di Salgari, anzi, in una lettera dal carcere inviata alla madre, datata 12 settembre 1932, ne parlava con entusiasmo e si mostrava orgoglioso ch’esse rientrassero tra le sue letture preferite dell’infanzia. Egli scriveva: «Ricordi quanta fosse la mia abilità nel riprodurre dalle illustrazioni i grandi vascelli a vela e come conoscessi tutto il linguaggio marinaresco? Parlavo sempre di brigantini, sciabecchi, tre alberi, schooners, di bastingaggi e di vele di pappafico, conoscevo tutte le fasi delle battaglie navali del Corsaro Nero e dei Tigrotti di Mompracem, ecc.» 15 E allora è da chiedersi perché non se ne sia occupato nei Quaderni, lui che, col suo acume critico, sapeva «cavar sangue anche da una rapa.» 16 A nostro avviso, la risposta più credibile a questo interrogativo è che Gramsci non comprendeva Salgari nell’ambito di quella che oggi chiamiamo «paraletteratura», vale a dire di quelle opere che, pur riscuotendo ampio successo di pubblico, non raggiungono quel livello di validità estetica che fa di esse delle opere letterarie nel vero senso della parola. La breve nota di Gramsci va richiamata, perché da essa possiamo desumere l’atteggiamento che la cultura fascista assunse nei confronti dell’opera di Salgari. Si trattò - come vedremo - di un atteggiamento non univoco, perché il fascismo, in ambito culturale, usava la tattica furbesca di dare libero sfogo alle varie anime esistenti. Ma, alla fine, quella che doveva prevalere rispondeva a quelli che erano gli orientamenti veri del regime. Gramsci, nella nota sopra citata, parla di una «quistione Salgari, che fu il ‹pezzo forte› del sindacato scrittori e che fece ridere mezzo mondo.» 17 In che cosa consistette la «quistione»? In realtà, Salgari fu tirato strumentalmente per i capelli in una polemica che opponeva il sindacato scrittori e gli 2_IH_Italienisch_70.indd 67 30.10.13 09: 25 6 8 Emilio Salgari Antonio Catalfamo editori per motivi di interessi economici. L’obiettivo della polemica era quello di mettere in discussione la cessione perpetua dei diritti d’autore da parte degli scrittori e di impedire che fossero gli editori i maggiori beneficiari del successo letterario di un’opera presso il grande pubblico. La vicenda di Salgari, suicidatosi proprio perché vittima di questo meccanismo perverso dell’editoria, si prestava benissimo ad un uso strumentale nell’ambito di questa disputa. 18 Uno dei bersagli preferiti dal sindacato scrittori e dal suo giornale di riferimento, Il Raduno, era l’editore Enrico Bemporad, il quale cercò di difendere al meglio i propri interessi, attivando tutte le sue conoscenze nell’ambito delle gerarchie del regime, cercando di propiziare un intervento diretto di Mussolini nella vicenda, nonché un’autorevole interrogazione alla Camera, che difatti fu presentata al Ministro dell’Istruzione Pubblica, per iniziativa del deputato Giuseppe Morelli, presidente del Sindacato di controllo della casa editrice fiorentina. Ne seguì, nel febbraio 1928, uno scarno dibattito parlamentare, 19 presente Mussolini, che si concluse con un ridimensionamento del caso. 20 Il Raduno, sconfitto, cessò di esistere di lì a poco, il 7 giugno 1928, anche se ufficialmente si parlò di sospensione delle pubblicazioni. Gli autori avevano perso la loro battaglia, gli editori erano risultati vincitori, probabilmente perché avevano maggiori appoggi all’interno del regime. Ma non si trattava di una vicenda dai risvolti esclusivamente economici. La «quistione Salgari» - per riprendere la definizione gramsciana - era ben più complessa. Aveva seri risvolti ideologici. Il regime fascista non poteva accettare il sistema di valori, l’‹assiologia›, che emergeva dalle opere salgariane, perché contrastava apertamente con quello di cui esso si faceva portavoce. Non si trattava di questioni secondarie. Si poteva consentire lo sfogo di alcuni intellettuali ‹filo-salgariani› d’occasione, ma non di più. Il regime doveva ufficialmente prendere posizione contro il romanziere veronese e le sue opere. E lo fece con estrema autorevolezza. Difatti, a mettere la parola «fine» alla spinosa «quistione» intervenne, sulle colonne del Popolo d’Italia, nel marzo del 1928, Margherita Sarfatti, scrittrice di regime molto vicina a Mussolini, alla quale Francesco Ciarlantini, che fu, fra l’altro, presidente della Federazione Nazionale Fascista dell’Industria Editoriale, aveva oculatamente suggerito a Bemporad di rivolgersi come persona che poteva avvicinare il «duce» per tutelare gli interessi dell’editore e mettere fine alla polemica più ampia innescata dal Raduno. 21 Scrive la Sarfatti: «Ma il lato artistico e letterario della cosa, fu posto in luce con definitiva chiarezza dal discorso dell’on. Morelli in Parlamento. I libri di Salgari non sono eroici: trasudano un basso erotismo, non 2_IH_Italienisch_70.indd 68 30.10.13 09: 25 69 Antonio Catalfamo Emilio Salgari di rado associato a una specie di pur basso e anche morboso compiacimento del crudele e del sanguinario. Ma soprattutto, ciò che non fece abbastanza notare l’on. Morelli, sono i libri di spirito profondamente antifascista per due ragioni fondamentali: 1) esaltano la rivolta, l’indisciplina e la disobbedienza alle autorità legalmente costituite della società e dello Stato; 2) sono libri anticoloniali, dei quali il protagonista è sempre un indigeno, oppure (ed è ancora più grave) un bianco capo di indigeni, pirati o banditi in rivolta contro i colonizzatori. Ora tutti oramai sanno che ogni dominazione coloniale è basata su questa convinzione, nel fatto e nello spirito: l’inevitabilità dell’uomo bianco e la necessità della sua vittoria. Spirito classico. Spirito romano per eccellenza, del quale oggi è erede ed interprete l’immenso e stupendo impero coloniale anglosassone. Lasciamo stare che Salgari scrive male, in illeggibile e impossibile italiano. È ancora il minore dei guai, per quanto non trascurabile. Il guaio è che ‹pensa› male; o per dire meglio non pensa affatto. Scrive sotto l’impulso di quello spirito di rivolta romantica, e di romantica, ipercritica, nichilista e distruttrice esaltazione della rivolta per la rivolta al quale in gran parte abbiamo dovuto, in Italia, le fazioni, le lotte di parte, il servaggio, il brigantaggio, la camorra e la mafia. Gli eroi del Salgari sono quel genere di gente i quali, se vedono un ladro fra due guardie, intanto e a buon conto, se appena possono in mezzo alla folla, gridano: molla, molla! E se il ladro scappa, lo favoreggiano, invece di dar man forte ai carabinieri e dicono: povero diavolo! e non: brave guardie. Questo tipo, del cittadino in rivolta, è il tipo antiitaliano e fazioso della vecchia Italia che il Fascismo rieduca, muta e rinnova.» 22 Un regime razzista, colonialista, fondato sull’‹ordine›, come quello fascista, non poteva approvare l’opera di Salgari, indirizzata in direzione completamente opposta. Perciò tagliò corto e si affidò non casualmente, per esprimere la propria condanna decisa, alla penna tagliente di Margherita Sarfatti, i cui rapporti di intimità con Mussolini sono ben noti. Ciò conferiva ‹ufficialità› alla sua presa di posizione. Umberto Eco, partendo dagli studi gramsciani, dai quali non può prescindere chiunque voglia occuparsi dell’argomento, ha approfondito, in un proprio volume di saggi, 23 l’analisi del «romanzo popolare» e, segnatamente, del romanzo d’appendice, fornendoci alcune preziose indicazioni metodologiche. In merito ai propri saggi, egli scrive nelle pagine introduttive: 2_IH_Italienisch_70.indd 69 30.10.13 09: 25 70 Emilio Salgari Antonio Catalfamo «Ripresa ai giorni nostri l’ipotesi gramsciana si esercita in questi saggi attraverso metodi narratologici e semiotici: analisi di testi, confronto di artifici narrativi con sistemi esterni di condizionamento commerciale, con universi ideologici e con strategie stilistiche, cercando di porre in correlazione tutte queste ‹serie› attraverso modelli strutturali omologhi.» 24 E continua: «Questi studi si presentano così come contributi misti vuoi a una sociologia della narratività popolare, vuoi a uno studio delle ideologie espresso in forma di storia delle idee, vuoi talora come contributi esplorativi a una semiotica testuale non ossessionata dall’esigenza della formalizzazione (vera o presunta che sia) a tutti i costi. Senza per questo voler polemizzare contro le analisi testuali che oggi si fanno, meno conversevoli e più ‹computerizzate› di quelle che qui si presentano.» 25 L’autorevole semiologo ha voluto essere ‹antifrastico› e polemizzare, con tatto accademico, con l’‹estremismo strutturalista›, affermatosi nella critica italiana segnatamente a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, il quale ha dato vita a quella che Eco chiama «formalizzazione», consistente nel considerare l’opera letteraria come «autoreferenziale», «autosufficiente», slegata dalla realtà e dai «contesti», e nel ridurre l’analisi alla sua ‹forma›, alla combinazione degli elementi che la compongono. Eco propone un metodo analitico più completo, «in cui questioni ideologiche, logica delle strutture narrative e dialettica del mercato editoriale si compenetrano in un modo problematico non facile da dipanare.» 26 In altre parole, l’opera letteraria deve essere analizzata dal critico con tutti gli strumenti a sua disposizione per chiarirne il significato al lettore. Tale analisi deve riguardare certo la forma, lo stile usato dallo scrittore, le strutture narrative, ma anche il contenuto ideologico dell’opera, i «contesti» (storicopolitico, economico-sociale, culturale, letterario) nell’ambito dei quali essa è stata concepita, le «strategie comunicative» adoperate dallo scrittore nei confronti del «lettore ideale» da lui immaginato, nonché il «lettore reale» che, di fatto, egli si trova di fronte, e che è, a sua volta, il risultato di «strategie comunicative» poste in essere dal «mercato editoriale». A questo metodo d’analisi complessiva, che, in più d’una occasione, abbiamo definito «critica integrale» (insieme critica sociologica, critica stilistica, critica psicanalitica, critica semiotico-strutturalistica), vogliamo improntare anche il presente saggio, incentrato soprattutto sul ciclo de I Pirati della Malesia. 2_IH_Italienisch_70.indd 70 30.10.13 09: 25 71 Antonio Catalfamo Emilio Salgari Emilio Salgari vive ed opera nell’età umbertina (1870-1896) e nell’età giolittiana (1897-1918). La prima fu caratterizzata dal fallimento degli ideali risorgimentali, visto che l’Italia rimaneva economicamente divisa in due (un Centro-Nord progredito e un Sud sottosviluppato); dall’approvazione della legge Coppino sull’istruzione obbligatoria (1877); da un limitato, ma, comunque, significativo, allargamento del diritto elettorale (con una legge di riforma, varata nel 1882, si passò da 600.000 a 2.000.000 di elettori); da un rovesciamento del tradizionale sistema di alleanze, orientato, fino a quel momento, verso Francia e Inghilterra, e rivoluzionato, nel 1882, con la formazione della Triplice Alleanza con l’impero prussiano e la monarchia austro-ungarica; dalla disastrosa politica coloniale portata avanti da Francesco Crispi, che, con la disfatta di Adua (1896), mise fine all’età umbertina; dalla politica crispina di repressione del dissenso sociale, di fronte alle prime forme organizzative delle classi lavoratrici (nel 1895 nasce il Partito Socialista Italiano, sull’onda del Partito Operaio, nato nel 1880, e del Partito dei Lavoratori Italiani, nato nel 1891). La seconda fu contrassegnata dalla politica di sviluppo industriale, portata avanti da Giovanni Giolitti; dal progetto, perseguito da quest’ultimo, di coinvolgere il nascente movimento operaio organizzato in tale politica, attraverso una partecipazione limitata ai benefici economici che ne derivavano; dall’ulteriore allargamento della base elettorale (nel 1913, con l’introduzione del suffragio universale maschile, si passò da 3.000.000 a 8.000.000 di elettori); dalla prosecuzione della politica coloniale con l’impresa di Libia (1911). Salgari non è solo uno scrittore per l’infanzia. Si rivolge a quel nuovo pubblico che si accosta alla lettura grazie agli effetti benefici della legge Coppino sull’istruzione obbligatoria (che Collodi, nonostante le sue umili origini familiari, contestava), al processo di emancipazione non solo economica, ma anche culturale, del proletariato che consegue allo sviluppo industriale della società italiana e agli effetti collaterali di tale sviluppo su ceti non direttamente coinvolti nel mondo dell’industria, ma che beneficiano anch’essi del maggiore dinamismo socio-economico impresso al Paese. Un pubblico formato, dunque, da adolescenti, studenti, avanguardie operaie, artigiani, ceti medi cittadini e rurali. A differenza di Collodi, di De Amicis, degli altri scrittori per l’infanzia che operano verso la fine dell’Ottocento, Salgari non trasmette a questo pubblico, attraverso il sapere gnomico popolare, i valori della borghesia, delusa nei suoi ideali risorgimentali, e regredita verso altri ‹principi› più pragmatici: la laboriosità, come strumento che garantisce il benessere collettivo (in realtà è la borghesia stessa a trarne i maggiori profitti); l’obbedienza e il rispetto delle rigide gerarchie sociali; il rifiuto di ogni trasgressività (in Collodi tutti i personaggi ‹eslegi› finiscono male: Il Gatto e la Volpe, Lucignolo, ecc.). 2_IH_Italienisch_70.indd 71 30.10.13 09: 25 72 Emilio Salgari Antonio Catalfamo C’è nelle opere di Salgari quel fine consolatorio per le masse già individuato da Gramsci come caratteristico di tutta la letteratura d’appendice. 27 C’è un ‹superuomo› - da qui l’origine popolaresca del ‹superomismo› nicciano, secondo Gramsci 28 - che, ad un certo punto, interviene e realizza i sogni di giustizia e di uguaglianza del popolo, confinando, però, questa realizzazione al solo livello letterario, mentre nella realtà storica tutto rimane come prima. Ma, accanto all’«eroe», nei romanzi salgariani, c’è tutto un pullulare di personaggi, di indigeni, di ribelli, che lottano concretamente per valori che sono contrapposti a quelli dei potenti, dei colonizzatori, e che sono presentati come valori autentici, genuini. Il sistema dei valori positivi (l’‹assiologia›) prospettato da Salgari è chiaro, è completamente diverso da quello di un Kipling, che considerava la colonizzazione dei popoli inferiori «il fardello dell’uomo bianco» («white man’s burden»), una missione da espletare per motivi di progresso e di civiltà. Per Salgari, invece, la civiltà di questi popoli non è per nulla inferiore a quella dei colonizzatori, viene descritta nei minimi particolari con ammirazione. Trovano alimento, dunque, quei sentimenti anticoloniali, antirazzisti, ribellistici, che Margherita Sarfatti temeva e, con lei, il regime fascista, del quale era «intellettuale organica». Nella nostra analisi delle opere salgariane, quanto alla successione cronologica, terremo conto della datazione delle opere pubblicate, non di quella dell’uscita a puntate in appendice ai giornali. Altrimenti ci addentreremmo in un ‹ginepraio›, che non è utile ai fini della nostra trattazione. Salgari, per esigenze pratiche (consegnare continuamente pagine su pagine per riscuotere qualche soldo e impinguare le sue esigue finanze), dovette ricorrere a tutta una serie di espedienti narrativi: interrompere narrazioni, riprenderle riesumando personaggi in contesti diversi e giustificando in vario modo la loro riapparizione, rimediare a contraddizioni di trama, aggiungere poi capitoli di connessione tra un libro e l’altro, al momento della pubblicazione in volume dei romanzi, per evitare vuoti e conseguenti ‹voli pindarici› al lettore, ecc. Per questo aspetto rimandiamo a studi già esaustivi. 29 I misteri della Jungla Nera 30 presenta temi e personaggi, come Tremal- Naik, che ritroviamo, in diversa prospettiva, nel ciclo de I Pirati della Malesia (anche se va precisato che cronologicamente, seguendo l’ordine della pubblicazione in appendice su riviste, Le tigri di Mompracem è anteriore, risalendo al 1883 - ’84). Nel romanzo sopra citato la vicenda si svolge nello splendido e misterioso scenario della giungla nera e dell’isola di Rajmangal, in quella vasta regione nella quale le acque del Gange sfociano nel Golfo del Bengala. Il tema centrale della narrazione è l’amore di Tremal-Naik, «il cacciatore di serpenti», per la «Vergine della Pagoda», che è vittima della brama di sangue che anima Suyodhana, il terribile capo dei Thugs, che ha deciso di sacrificare 2_IH_Italienisch_70.indd 72 30.10.13 09: 25 73 Antonio Catalfamo Emilio Salgari la fanciulla alla crudele dea Kalì. Aiutato dal fedele Kammamuri, Tremal-Naik decide di salvare la ragazza. Il romanzo non si chiude con una soluzione definitiva all’enigma s’egli riuscirà vincitore o sconfitto nello scontro con Suyodhana, lasciando aperto il discorso narrativo ad ulteriori sviluppi e a possibili agganci con romanzi successivi. La «Vergine della Pagoda» viene liberata provvisoriamente dall’irrompere del padre capitano assieme ai suoi soldati e si ritrova tra le braccia di Tremal-Naik. Ma le ultime parole pronunciate da Suyodhana in ritirata, all’indirizzo dei suoi uomini, sono: «Andate! ... Ci rivedremo nella jungla». 31 L’«ideologia» che domina questo romanzo è fondata sull’esaltazione della libertà. Libertà della natura selvaggia, che è connotativa del vitalismo di tutto un mondo, della preziosa naturalezza dei sentimenti e della psicologia dei popoli primitivi rappresentati, dei loro atteggiamenti, della stessa vigoria e della cinetica scattante dei corpi di personaggi come Tremal-Naik. Salgari contrappone la naturalità, la genuinità, la fantasia sempre rinnovata del variegato mondo etnico dei primitivi alla piattezza, alla mancanza di virtù civili che ormai dominano il mondo borghese e l’Italia tradita nei suoi sentimenti risorgimentali. La forza impetuosa della natura si dispiega in tutta la sua potenza in una tempesta: «L’uragano allora raddoppiava di violenza […]. Il vento ruggiva tremendamente nella jungla, curvando con mille gemiti e mille scricchiolii i giganteschi vegetali e torcendo in mille guise i cento tronchi dei banian, i rami dei palmizi tara, dei latania, dei pipal e dei giacchieri, e fra le nubi scrosciava incessantemente la folgore che veniva giù, descrivendo abbaglianti zigzag.» 32 Anche il mondo animale partecipa di questa vitalità brutale. Si pensi - solo per fare un esempio - al modo in cui Salgari rappresenta lo scontro tra la tigre di Tremal-Naik e un rinoceronte. Notiamo l’influenza della scapigliatura nel carattere cruento di questa, come di tante altre descrizioni: «Il corno del rinoceronte le fracassò il petto lanciandola poi in aria per più di venti metri. Ricadde, cercò di risollevarsi mugolando di dolore e di rabbia e tornò a volare ancor più in alto perdendo torrenti di sangue. Il rinoceronte non attese nemmeno che ricadesse. Con un terzo colpo della sua terribile arma la sventrò, poi rivoltandola contro terra la schiacciò coi suoi larghi piedi riducendola in un ammasso di carni sanguinolenti e di ossa infrante.» 33 2_IH_Italienisch_70.indd 73 30.10.13 09: 25 74 Emilio Salgari Antonio Catalfamo Così viene descritto Tremal-Naik nella forza scattante del suo corpo: «Un indiano d’atletica statura, le cui membra sviluppatissime e muscolose denotavano una forza non comune ed un’agilità di quadrumane. Era un bel tipo di bengalese, sui trent’anni, di tinta giallastra ed estremamente lucida, unta di recente con olio di cocco; aveva bei lineamenti, labbra piene senz’essere grosse e che lasciavano intravedere un’ammirabile dentatura; naso ben tornito, fronte alta screziata di linee di cenere, segno particolare dei settari di Siva. Tutto l’insieme esprimeva una energia rara ed un coraggio straordinario.» 34 Quest’uomo gareggia in forza con gli animali e con la natura: «Con un terribile colpo di coltello tagliò in due il pitone, il quale sibilava rabbiosamente, coprendo di bava sanguigna la vittima.» 35 Così ci appare, nella sua vigorosa bellezza, la tigre di Tremal-Naik, Darma: «Una superba tigre reale, di alta statura, di forme vigorose, col mantello aranciato e screziato di nero, uscì dalla capanna e fissò il padrone con due occhi che mandavano terribili lampi. […] La tigre si raccolse su sé stessa, emise un sordo brontolio e con un salto di quindici piedi venne a cadere ai piedi del padrone.» 36 Ne I Pirati della Malesia, 37 il protagonista è Sandokan, mentre Tremal-Naik gli fa da spalla. La Tigre della Malesia, nel suo ruolo tradizionale di vendicatore degli oppressi, decide di liberare proprio «il cacciatore di serpenti», che ama Ada ed è rimasto prigioniero di Lord James Brooke, il despota inglese nemico giurato dei pirati malesi. La lotta fra Sandokan e il «rajah bianco» è il motivo dominante del romanzo, che, come le altre opere salgariane, nell’explicit lascia intravedere nuove avventure, per accattivare il pubblico dei lettori. Tremal-Naik, Ada e Kammamuri salpano per l’India, mentre Sandokan e il fedele compagno Yanez tornano a Mompracem. Ma già si prefigura una nuova avventura: lo scontro tra la Tigre della Malesia e Suyodhana, la Tigre dell’India, oggetto di un altro romanzo. Contrariamente a quanto hanno sostenuto critici come Bruno Traversetti, 38 Salgari non guarda al mondo primitivo oggetto delle sue narrazioni dall’angolo visuale del borghese pantofolaio eurocentrico, ma dall’interno di quel mondo stesso, del suo dinamismo, nonostante l’immobilità apparente, della sua ‹ideologia›, caratterizzata dalla lotta contro l’oppressione. E da quell’angolo visuale trova e fornisce al lettore, tra le righe, la chiave di lettura 2_IH_Italienisch_70.indd 74 30.10.13 09: 25 75 Antonio Catalfamo Emilio Salgari dello scontro, che avviene tra nazioni imperialiste e popoli colonizzati. Questa visione degli avvenimenti emerge dal racconto e, come ha osservato Engels a proposito di Balzac, poco importa ch’egli non sia un rivoluzionario, ma un liberale moderato nella vita di tutti i giorni. La rappresentazione dei fatti ch’egli ci dà parla da sé, dà al lettore elementi di giudizio per poter valutare e prendere partito. Salgari non è partecipe della «nevrosi di classe», che colpisce a fine secolo la borghesia italiana, che si sente spodestata, defraudata, dall’ascesa economica, ma anche culturale, del proletariato. Non partecipa al fervore patriottico, all’esaltazione della politica coloniale. Anzi, da quest’avventura, avviata da Crispi e proseguita da Giolitti, sembra trarre la conclusione opposta: la lotta è alla base della vita e in questa lotta i suoi personaggi stanno dalla parte dei popoli colonizzati, non dei colonizzatori. È vero, ci sono alcuni stereotipi che ritornano nella narrazione, passando da un romanzo all’altro, ma Salgari ha la capacità di riproporli sempre in forme nuove, evitando di stancare con la ripetitività il lettore. Anche ne I Pirati della Malesia il vitalismo della natura è sintomatico di un mondo in eterno, anche impercettibile, movimento, in tutte le sue componenti: naturali, appunto, sociali, antropologiche. E queste descrizioni della natura acquistano spesso un loro fascino poetico: «Il mare, quasiché volesse gareggiare con quei tuoni, s’alzò enormemente. Non erano più onde, ma montagne d’acqua scintillanti sotto la vivida luce dei lampi, che si slanciavano furiosamente su verso il cielo, come se attratte da una forza soprannaturale e che s’accavallavano le une sulle altre, cangiando forma e dimensione. Il vento entrava talora a far parte di quella spaventevole gara, ruggendo furiosamente, cacciando innanzi a sé nembi di pioggia tiepida.» 39 Potrebbero sembrare stereotipate la spavalderia, l’insolenza, la sfrontatezza di un personaggio come Yanez, ma Salgari riesce a rendercelo simpatico, originale, non una fotocopia stinta di tanti altri ‹tipi› del genere presenti nei romanzi d’avventura. L’ ὕβƍις è controbilanciata dall’humour, dalla grande umanità che emerge dalle sue azioni a favore dei deboli, dei valorosi, contrapposta alla ferocia nei confronti dei potenti e dei prepotenti, dei codardi, che si nascondono sotto le ali protettive delle potenze coloniali. Neanche la figura di Sandokan è stereotipata. È un «eroe», un «superuomo», ma, a differenza di quel che accade nei romanzi d’appendice dozzinali irrisi da Gramsci, non è il ‹giustiziere solitario›, proveniente dalle classi ‹alte›, che, appunto, fa giustizia per il popolo inerte fidando esclusivamente sul proprio coraggio e sul proprio senso di giustizia. Intorno a lui c’è tutto un popolo di malesi, costretti 2_IH_Italienisch_70.indd 75 30.10.13 09: 25 76 Emilio Salgari Antonio Catalfamo a fare i pirati per sopravvivere, per ottenere l’indipendenza politica ed economica dalle potenze coloniali, che li soffocano sempre più. Neanche costoro sono stereotipati, pur nella loro semplicità, hanno una fisionomia individuale inconfondibile, uno spessore morale: Sambigliong, Kotta, Hirundo, il più giovane dei tigrotti, ecc. In Le tigri di Mompracem, 40 Sandokan si innamora di «un’incantevole creatura», Marianna, la «Perla di Labuan», nipote di lord Guillonk, un autorevole rappresentante dei colonialisti inglesi. Riesce a farla innamorare di sé, fugge con lei e la sposa. Catturati entrambi, dopo varie peripezie, ritornano insieme, anche se hanno perduto tutto, tranne il prao che li trasporta. Il romanzo si conclude con le parole sconfortate di Sandokan: «La Tigre è morta per sempre! …». 41 Ma esse, più che un epilogo, una dichiarazione di resa, costituiscono il prologo per nuove avventure. Nel testo pubblicato in appendice Sandokan viene ancora rappresentato in quella dimensione truce che rimanda alla scapigliatura: «Un uomo che più d’una volta era stato visto bere sangue umano, e, orribile a dirsi, succhiare le cervella dei moribondi. Un uomo che amava le battaglie le più tremende, che si precipitava come un pazzo nelle mischie più ostinate dove più grande era la strage e più fischiava la mitraglia; un uomo che, novello Attila, sul suo passaggio non lasciava che fumanti rovine e distese di cadaveri […]. Nel passare, il pirata mise i piedi su di un teschio umano, che s’infranse crocchiando. Maledetto! esclamò la Tigre.» Nella versione in volume notiamo un affrancamento dal retaggio scapigliato: Sandokan è tenero amante, sereno, anche se irremovibile, giustiziere a favore dei deboli e contro i potenti. Da questa analisi dettagliata emerge, a nostro avviso, che Emilio Salgari non può essere collocato nell’area della ‹paraletteratura›. Egli è riuscito a realizzare quell’unità di ‹forma› e ‹contenuto› che, secondo De Sanctis e Gramsci, contraddistingue la migliore letteratura. Ha narrato l’epopea dei popoli colonizzati e ha fatto lievitare il racconto attraverso l’avventura, anzi il succedersi di avventure infinite, adeguando il ritmo e lo stile a questo raccontare incalzante. Abstract . Der Autor stellt in diesem Beitrag das Werk von Emilio Salgari (1863-1911) vor und versucht, die Gemeinplätze zu widerlegen, die zum 100. Todestag von der Kritik veröffentlicht wurden. Salgari ist kein Trivialautor, der der ‹Paraliteratur› zuzuordnen ist, noch nur ein Jugendautor, und auch kein weltfremder Künstler, sondern er wendet sich an ein neues Publikum, 2_IH_Italienisch_70.indd 76 30.10.13 09: 25 77 Antonio Catalfamo Emilio Salgari das sich nach Einführung der legge Coppino zur Schulpflicht dem Lesen widmet und macht sich zum Sprachrohr eines ‹volkstümlichen antikolonialistischen Erzählens› und der Botschaft der Gleichheit unter allen Völkern. Er ebnet der modernen Erzählliteratur den Weg, indem er Handlung und Bildsprache intensiviert und dadurch die Stereotypen der Serienliteratur vermeidet. Note 1 Claudio Gallo/ Giuseppe Bonomi, Emilio Salgari. La macchina dei sogni, Milano: BUR Rizzoli 2011, p. 357. 2 Ivi, p. 64. 3 Sergio Campailla, «Il caso Salgari», in: Emilio Salgari, Sandokan. I Pirati della Malesia, Roma: Grandi Tascabili Economici Newton 2012, pp. 7 - 15. 4 Grazia Deledda, Recensione a «Naufragatori dell’Oregon», in: Roma Letteraria, n. 16, 25 agosto 1896; riprodotto in: Quaderni salgariani, n. 1, p. 70. 5 «Bollettino bibliografico - Romanzi e novelle», in: Nuova Antologia, fasc. XI, 1 giugno 1895. 6 Antonio Fabozzi/ Adolfo Fattori, «Fantascienza», in: Letteratura italiana, diretta da Alberto Asor Rosa, Storia e geografia. L’età contemporanea, vol. III, Torino: Einaudi 2001, pp. 1226-1227. 7 Campailla, cit., p. 10. 8 Ibidem. 9 Ibidem. 10 Ibidem. 11 Ivi, p. 11. 12 Ivi, p. 12. 13 Ivi, p. 11. 14 Antonio Gramsci, «L’accademia dei Dieci», in: Letteratura e vita nazionale, Torino: Einaudi 1954 (4ª edizione), p. 171. 15 Id., Lettere dal carcere, Torino: Einaudi 1947; ma si cita sin d’ora dall’edizione Einaudi 1975, p. 241. 16 Ivi, p. 100. 17 Gramsci, «L’accademia dei Dieci», cit., p. 171. 18 Gallo/ Bonomi, cit., pp. 280-281. 19 Atti parlamentari - Camera dei Deputati. Legislatura XXVII, 1ª sessione, discussioni, tornata del 27 febbraio 1928, pp. 8311 - 8313. 20 Gallo/ Bonomi, cit., pp. 281-283. 21 Ivi, p. 282. 22 Margherita Sarfatti, «Libri per ragazzi», in: Il Popolo d’Italia, 16 marzo 1928. 23 Umberto Eco, Il superuomo di massa. Retorica e ideologia nel romanzo popolare, Milano: Tascabili Bompiani 2005 (1ª edizione parziale: 1976). 24 Ivi, p. VII. 25 Ibidem. 26 Ivi, p. VI. 2_IH_Italienisch_70.indd 77 30.10.13 09: 25 78 Emilio Salgari Antonio Catalfamo 27 «Il romanzo d’appendice sostituisce (e favorisce nel tempo stesso) il fantasticare dell’uomo del popolo, è un vero sognare ad occhi aperti. Si può vedere ciò che sostengono Freud e i psicanalisti sul sognare ad occhi aperti. In questo caso si può dire che nel popolo il fantasticare è dipendente dal ‹complesso di inferiorità› (sociale) che determina lunghe fantasticherie sull’idea di vendetta, di punizione dei colpevoli dei mali sopportati, ecc.» (Antonio Gramsci, «Letteratura popolare», in: Letteratura e vita nazionale, cit., p. 108). 28 Antonio Gramsci, «Origine popolaresca del‹superuomo›, in: Letteratura e vita nazionale, cit., pp. 122-125. 29 Sergio Campailla, «Il ciclo di Sandokan», in: Sandokan. I Pirati della Malesia, cit., pp. 23 - 26. 30 Emilio Salgari, I misteri della Jungla Nera, Genova: Donath 1895; ma si cita sin d’ora dell’edizione Milano: Mursia 1973. Pure l’edizione rielaborata e accresciuta del romanzo, uscita nel 1903, fu pubblicata dall’editore Donath. 31 Ivi, p. 316. 32 Ivi, p. 119. 33 Ivi, p. 74. 34 Ivi, p. 14. 35 Ivi, p. 41. 36 Ivi, p. 20. 37 Emilio Salgari, I Pirati della Malesia, Genova: Donath 1896; ma si cita sin d’ora dall’edizione Roma: Grandi Tascabili Economici Newton 2012, già richiamata. 38 Bruno Traversetti, Introduzione a Salgari, Bari: Laterza 1989, pp. 26 e 29. 39 Emilio Salgari, I Pirati della Malesia, cit., p. 41. 40 Id., Le tigri di Mompracem, Genova: Donath 1900; ma si cita sin d’ora dall’edizione Milano: Fabbri 2000. 41 Ivi, p. 326. Bibliografia Salgari, Emilio: I Pirati della Malesia. Genova: Donath 1896 (Roma: Grandi Tascabili Economici Newton 2012). Id.: Le tigri di Mompracem. Genova: Donath 1900 (Milano: Fabbri 2000). Id.: I misteri della Jungla Nera. Genova: Donath 1895 (Milano: Mursia 1973). Atti parlamentari - Camera dei Deputati. Legislatura XXVII, 1ª sessione, discussioni, tornata del 27 febbraio 1928, pp. 8311 - 8313. «Bollettino bibliografico - Romanzi e novelle», in: Nuova Antologia, fasc. XI, 1 giugno 1895. Campailla, Sergio: «Il caso Salgari», in: Emilio Salgari: Sandokan. I pirati della Malesia, Roma: Grandi Tascabili Economici Newton 2012, pp. 7-15. Id.: «Il ciclo di Sandokan», in: Emilio Salgari: Sandokan. I pirati della Malesia, Roma: Grandi Tascabili Economici Newton 2012, pp. 23-26. Deledda, Grazia: Recensione a «Naufragatori dell’Oregon”, in: Roma Letteraria, n. 16, 25 agosto 1896; riprodotto in: Quaderni salgariani, n. 1, p. 70. Eco, Umberto: Il superuomo di massa. Retorica e ideologia nel romanzo popolare. Milano: Tascabili Bompiani 2005 (1ª edizione parziale: 1976). 2_IH_Italienisch_70.indd 78 30.10.13 09: 25 79 Antonio Catalfamo Emilio Salgari Fabozzi, Antonio/ Fattori, Adolfo: «Fantascienza», in: Letteratura italiana, diretta da Alberto Asor Rosa, Storia e geografia. L’età contemporanea, vol. III, Torino: Einaudi 2001, pp. 1226-1227. Gallo, Claudio/ Bonomi, Giuseppe: Emilio Salgari. La macchina dei sogni. Milano: BUR Rizzoli 2011. Gramsci, Antonio: «L’accademia dei Dieci», in: Letteratura e vita nazionale, Torino: Einaudi 1954 (4ª edizione), p. 171. Id.: «Letteratura popolare», in: Letteratura e vita nazionale, Torino: Einaudi 1954 (4ª edizione), pp. 103-142. Id.: «Origine popolaresca del‹superuomo›, in: Letteratura e vita nazionale, Torino: Einaudi 1954 (4ª edizione), pp. 122-125. Id.: Lettere dal carcere. Torino: Einaudi 1947 (1975). Sarfatti, Margherita: «Libri per ragazzi», in: Il Popolo d’Italia, 16 marzo 1928. Traversetti, Bruno: Introduzione a Salgari. Bari: Laterza 1989. 2_IH_Italienisch_70.indd 79 30.10.13 09: 25
