eJournals Italienisch 35/70

Italienisch
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Narr Verlag Tübingen
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2013
3570 Fesenmeier Föcking Krefeld Ott

Franco Arminio: Terracarne. Viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia. Milano: Mondadori 2011, pp. 360, € 18,00

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Franco Sepe
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130 Kurzrezensionen Trebesch wendet mit eindrucksvollen, bis in die aktuelle Gegenwart (Houellebecq, Nicole Krauss) reichenden Bezügen die vermeintlichen Defizite des Autors ins Positive und stellt seine «poliedricità», sein nach allen Seiten offenes Literaturverständnis, als Schlüssel zum Verständnis seines Werks dar. Literatur ist demnach, wie bei dem von Tomasi bewunderten Stendhal, ein Teil der allgemeinen, vor allem der politischen Geschichte und der Gattopardo, als sein Hauptwerk, somit auf mehreren Ebenen: historisch, psychologisch, autobiographisch, philosophisch lesbar, die von Trebesch kenntnisreich aufgefächert werden. Die Erfüllung des jeweiligen Leseverständnisses muss jedoch, postmodern gesprochen, in der Interaktion mit dem Leser erfolgen und dient somit durchaus auch zur Entschlüsselung der Gegenwart. Insofern hat Trebesch literaturtheoretisch die Aktualität Tomasis eingefordert und - auch mit einem umfassenden bibliographischen Apparat - eine Fülle von Anregungen zur weiteren literaturwissenschaftlichen Beschäftigung mit dem sizilianischen Autor bereitgestellt. Dorothea Zeisel Anmerkungen 1 S. Christiane Liermann, «Kennst du das Land, wo vieles blüht? », Frankfurter Allgemeine Zeitung vom 22.4.2013. 2 Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Der Gattopardo, Neuübersetzung von Gio Waeckerlin Induni, München/ Zürich 2004. 3 S. Andrea Vitello, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Palermo 1987 (2. Aufl. 2008). 4 Bislang konnte die Biographie von David Gilmour, The last Leopard. A life of Giuseppe Tomasi di Lampedusa, London 1988 (ergänzte Ausgabe 2007), die größte Verbindlichkeit beanspruchen. Sie liegt nur in italienischer Übersetzung vor: L’ultimo gattopardo. Vita di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Mailand 2003. Franco Arminio: Terracarne. Viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia. Milano: Mondadori 2011, pp. 360, € 18,00 Al lettore che non abbia ancora mai sentito il nome dell’autore di cui stiamo per occuparci, va subito detto che Franco Arminio è un poeta e un paesologo. Mentre il primo dei due mestieri gode di fama millenaria, per l’altro, assai inedito, si richiede un primo approfondimento. Che cos’è la paesologia? Arminio, il creatore di questa scienza praticata finora soltanto da lui, non ce ne 2_IH_Italienisch_70.indd 130 30.10.13 09: 25 131 Kurzrezensionen fornisce una spiegazione in termini teorici o metodologici («Non ho idee generali da spacciare», p. 10), ma si limita a dichiarare che è «una via di mezzo tra l’etnologia e la poesia» (ibid.). In quanto esperienza antropologica, essa è vòlta tuttavia non tanto a ricomporre i significati inaccessibili di una cultura altra, o a far parlare i segni di una civiltà scomparsa, bensì ad affinare la percezione di ciò che l’occhio vede ma non ancora intende, nella presa d’atto di una agonia, di una sparizione in corso (di paesi, villaggi e piccoli centri del Mezzogiorno) che coinvolge fisicamente l’osservatore spingendolo ad aggirarsi «senza fine nelle proprie rovine e in quelle degli altri» (ibid.). La soggettività dello scrittore e il suo corpo risultano così essere parte in causa, e dunque anche gli umori, gli sfinimenti, i momenti di ipocondria vengono partecipati al lettore, insieme allo stato di salute dei luoghi frequentati (e somatizzati). Illuminante per la comprensione del titolo di quest’opera, che scavalca con disinvoltura generi e discipline, è una lunga citazione, da prendere come una vera e propria dichiarazione di poetica dell’autore: «La scrittura fa la spola tra i mali veri e presunti del mio corpo e tra i mali veri e presunti della mia terra. Terra e carne quasi si confondono e il corpo si fa paesaggio e il paesaggio prende corpo. La paesologia non è altro che il passare del mio corpo nel paesaggio e il passare del paesaggio nel mio corpo» (p. 11). Se il discorso poetico, che traluce dalla calma e ordinata scrittura di Arminio, se il suo stile aforistico e la messa in gioco del proprio io rimandano al saggismo felicemente inaugurato secoli prima da Montaigne, non meno che ai versi del primo Magrelli, 1 per quanto concerne la passione meridionalista da cui muove l’autore (nato e tutt’oggi residente a Bisaccia, in provincia di Avellino), è necessaria una precisazione, riprendendo le sue stesse parole, per sgombrare il campo da qualsivoglia opzione folkloristica: «La paesologia non è la paesanologia, non è idolatria della cultura locale» (ibid.). Questa critica, squisitamente politica, è rivolta al municipalismo vecchia maniera, a coloro che si sono fatti e si fanno promotori di uno sviluppo velleitario e di una modernizzazione dagli esiti fatali («Nei circoli, nelle Pro Loco, in certe associazioni pseudo culturali alligna la lobby dei paesanologi, quelli che vogliono cambiare la vita dei paesi senza cambiare i vecchi padroni che li hanno rovinati», p. 131). E la memoria qui non può non andare alle riflessioni sulla Lucania, tutt’ora illuminanti, fatte da Carlo Levi e da Rocco Scotellaro, che valgono per l’intero Sud. Ad Aliano, il luogo di confino dell’autore di Cristo si è fermato a Eboli, e a Tricarico, patria del sindaco-poeta «morto a trent’anni perché si è fatto passare nelle vene tutto il dolore e la rabbia di un popolo» (p. 21), Arminio dedica infatti due interi capitoli. Andando poi 2_IH_Italienisch_70.indd 131 30.10.13 09: 25 132 Kurzrezensionen ancora più a ritroso nella letteratura civile dedicata al Mezzogiorno, l’autore irpino trova un appiglio teorico alle sue visioni itineranti negli scritti, ormai centenari, di un altro grande intellettuale del Sud, Gaetano Salvemini (si veda il capitolo «Rileggendo Salvemini»), il quale condannava la piccola borghesia intellettuale meridionale affermando che essa «è nella vita morale quel che è nella vita fisica del paese la malaria» (p. 129). E qui Arminio può aggiornare il discorso sul mancato rinnovamento di quella classe - rinnovamento a suo tempo fermamente auspicato dal Salvemini - estendendolo al costume politico dell’intera nazione, poiché questa classe oggi «è diventata abile ad apparire una cosa e il suo contrario. Non c’è più un popolo oppresso, solo singole persone indifferenti alle pratiche disoneste» (p. 132). Stando così le cose, per il nostro paesologo di un Sud che «non è da radiografare con grafici e tabelle» (p. 129), né con «una panoramica ordinata» (p. 117) e tantomeno con «il lavoro di uno scrittore che porta avanti il feticcio del suo stile e della sua poetica» (p. 9), bensì adottando, in questa sorta di randagio girovagare, «il punto di vista del cane» (ibid.), si tratta allora di mostrare come i segni apparentemente più periferici di una devastazione municipale siano riconducibili a una generale patologia ambientale, che è poi quella della modernità fallita («la rottamazione della civiltà contadina ha fatto posto a una modernità posticcia», p. 164), delle ibridazioni architettoniche («l’adiacenza delle case antiche con le palazzine sgraziate», p. 135) e urbanistiche («il centro antico strozzato da una periferia nuova», p. 136; «l’anello commerciale intorno ai luoghi di culto», p. 137); fenomeni questi che secondo l’autore danno vita a «un urbanesimo al contrario» (p. 13). Quello di Arminio è certamente un libro di denuncia. Tuttavia nella sua denuncia è assente la veemenza tipica dei media, interessati a spolpare realtà già ridotte all’osso dall’incuria delle amministrazioni politiche, per farne oggetto di cronaca. E, tantomeno, la scomparsa di una civiltà contadina millenaria, la sua estinzione paesaggistica e culturale, la resa all’omologazione di quelle località da lui passate in rassegna durante i suoi vagabondaggi paesologici, vengono affrontate con i toni elegiaci e il furor apocalittico di un Pasolini - il quale pure aveva a suo tempo ben colto i segni della mutazione antropologica in atto, profetizzando i mali che ne sarebbero derivati. Con i suoi modi tutt’altro che allarmistici, dimessi ma non per questo meno incisivi, Arminio descrive il consumismo dilagante che ha sfigurato i paesi condannandoli ad assumere una finta aria metropolitana, con le campagne circostanti ridotte a squallide periferie urbane costellate di capannoni e discariche, i terreni abbandonati su cui svettano gigantesche insegne pubblicitarie annuncianti discoteche e centri commerciali. I luoghi toccati (e spesso anche fotografati) dall’autore, nella loro entropia consumistica appaiono paradossalmente desolati, come le comunità stesse chiuse nel loro «autismo corale» (p. 2_IH_Italienisch_70.indd 132 30.10.13 09: 25 13 3 Kurzrezensionen 13), e prossimi all’estinzione - estinti, ma disposti ancora a far parola ai vivi dell’ultimo istante di luce e del modo del trapasso, sono anche i personaggi di Cartoline dai morti (Nottetempo 2010, Premio Dedalus), una delle raccolte poetiche più toccanti, per l’intensa pietas e per la sua efficacia minimalistica, di Franco Arminio. Questa dissipatio, questa sparizione della vita, ci dice lo scrittore, ha interessato tanto i «paesi invisibili», i piccoli villaggi sconosciuti di quella che Arminio ha denominato l’Irpinia d’Oriente (Candela, Rocchetta, Accadia, Alberona ecc.), che i «paesi giganti» di una «Campania bellissima, potente, violentata e sgraziata» (p. 179), paesoni come Giugliano («Sono nel paese più grande del mondo, quasi centoventimila abitanti», p. 184), o Casoria, ottantamila abitanti, la cui «piazza è una distesa di Suv con i vetri oscurati, parcheggiati in doppia e in tripla fila» (p. 189), e dove più in là, «davanti a un basso, due vecchi stanno in mezzo a una pila di confezioni di merendine e patatine. Non è un negozio, è il loro cibo. Non è un bancone di alimentari, è la loro credenza, senza battenti, esposta, come le loro vite» (ibid.). Luoghi e genti del cui stato e della cui condizione Roberto Saviano ci aveva già informati, parlandoci del deserto lasciato dietro di sé dalla camorra. Uno scrittore, Saviano, con il quale Arminio sembra condividere più di quanto si possa immaginare: perché così come la messa in luce degli obbrobri della camorra campana si è rivelata una via maestra per la comprensione e l’approfondimento del fenomeno mafioso in generale, inseguire il demone del cronista di un Sud italiano inesorabilmente condannato alla desolazione - desolazione che si è sostituita alla miseria di un tempo - costituisce per Arminio un’occasione per farsi latore di un messaggio capace di includere, nella sua critica, il «globale». E malgrado l’ apparente pessimismo («I libri spesso sono una sconfitta per chi li scrive», p. 332), a viaggio concluso Arminio rivolge al lettore un appello, col quale lo invita a unirsi idealmente a lui e a chi come lui non si è ancora del tutto arreso al dominio dei fatti: «Dopo aver indagato il mondo attraverso una sua piccola parte, adesso si tratta di dare sollievo al mondo, curando una sua piccola parte, dando attenzione a chi porta ancora disperatamente nel cuore la rivoluzione e l’utopia» (ibid.). Franco Sepe Nota 1 Si veda Ora serrata retinae (Feltrinelli 1980), la raccolta d’esordio di Valerio Magrelli, dove il rapporto tra poesia e corpo è centrale; la scoperta dei Saggi di Montaigne, secondo le dichia-razioni rilasciate dallo stesso autore, sono a monte di quella scrittura giovanile. Così come del resto non è casuale il sottotitolo dato da Arminio al suo libro Vento forte tra Lacedonia e Candela. Esercizi di paesologia (Laterza 2008), che di Magrelli riecheggia il titolo dato alla sua terza opera in versi Esercizi di tiptologia (Mondadori 1992). 2_IH_Italienisch_70.indd 133 30.10.13 09: 25