eJournals Italienisch 36/71

Italienisch
ita
0171-4996
2941-0800
Narr Verlag Tübingen
Es handelt sich um einen Open-Access-Artikel, der unter den Bedingungen der Lizenz CC by 4.0 veröffentlicht wurde.http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/61
2014
3671 Fesenmeier Föcking Krefeld Ott

Rapporti italo-tedeschi nella storia della linguistica italiana

61
2014
Alfredo Stussi
ita36710075
75 a L Fre D o ST u S S I rapporti italo-tedeschi nella storia della linguistica italiana Nella storia degli studi linguistici e filologici italiani, la fase più complessa e importante quanto ai rapporti italo-tedeschi è quella che va dalla metà dell’Otto all’inizio del Novecento Si tratta, in particolare, di un periodo decisivo per la fondazione e il futuro sviluppo in Italia della ricerca scientifica nel campo degli antichi volgari e delle moderne varietà dialettali, nonché in quello delle edizioni criticamente fondate sia di monumenti letterari, sia di testi di carattere pratico Viceversa, guardando all’età nostra, si potrebbe cavarsela in poche righe, cioè limitandosi a citare significativi testimoni di un debito vistoso, almeno quanto a opere di riferimento, nei confronti della scienza tedesca e svizzero-tedesca: la Grammatica storica di Gerhard Rohlfs, l’AIS di Karl Jaberg e Jakob Jud, il LEI di Max Pfister e Wolfgang Schweickard Tanto basta per confermare l’attualità di quanto Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907) scriveva nel Proemio al primo volume dell’Archivio glottologico italiano (1873): «s’invidia ai Tedeschi, non già un ingegno privilegiato, non già una dottrina che in ogni parte sodisfaccia, ma quel felicissimo complesso di condizioni, mercè il quale nessuna forza rimane inoperosa e nessuna va sprecata, perché tutti lavorano, e ognuno profitta del lavoro di tutti, e nessuno perde il tempo a rifar male ciò che è già fatto e fatto bene S’invidia la densità meravigliosa del sapere, per la quale è assicurato, a ogni funzione intellettuale e civile, un numeroso stuolo di abilissimi operaj» Questo è un punto che occorre sottolineare preliminarmente, cioè che il modello tedesco è per molti modello non solo di alti studi, ma anche di organizzazione razionale degli studi, ai quali ciascuno dovrebbe poter contribuire secondo le sue capacità e venendo utilizzato nel modo migliore Tale esigenza era ben presente, ad esempio, in quegli allievi di Alessandro D’Ancona, Adolfo Bartoli e Giosuè Carducci che iniziarono la pubblicazione dei due importanti periodici Giornale storico della letteratura italiana (marzo 1883) e Rivista critica della letteratura italiana (luglio 1884): nel Programma del primo si legge, significativamente, che «importa ricordare come oggimai il sapere cresca assai più pel lavoro paziente e minuto dei molti, che non per le larghe divinazioni dei pochi» (accluso alla dispensa del novembre-dicembre 1882 di Il Propugnatore e firmato da tutti gli originari fondatori, prima quindi dell’abbandono di Salomone Morpurgo e di Albino Zenatti che lasciarono la 2_IH_Italienisch_71.indd 75 14.05.14 18: 22 76 Rapporti italo-tedeschi nella storia della linguistica italiana Alfredo Stussi direzione ad Arturo Graf, Francesco Novati e Rodolfo Renier) Viene qui dunque sottolineata quella necessità d’una organizzazione del lavoro intellettuale capace di coinvolgere anche «un numeroso stuolo di abilissimi operaj», come aveva scritto circa dieci anni prima Ascoli additando il modello tedesco Quanto poi all’indispensabile presupposto, cioè l’efficiente e capillare scolarizzazione, si può ricordare che il Ministro della Pubblica Istruzione Ruggiero Bonghi, pur politicamente avverso alla Germania, con circolare del 20 novembre 1874 aveva prescritto che i Licei italiani iniziassero l’anno con una pubblicazione nella quale la cronaca dell’Istituto fosse preceduta da una dissertazione o da uno studio di argomento letterario o scientifico, storico o critico, grammaticale o estetico, come si faceva in Germania, in Austria e poi si sarebbe fatto in Inghilterra Sia sul fronte della ricerca sia su quello della scuola, le intenzioni erano dunque ottime, ma non sarebbe stato facile realizzarle in tempi brevi avendo a che fare, come scrisse nel 1866 Pasquale Villari, con una popolazione «di 17 milioni di analfabeti e di 5 milioni di arcadi» * * * Verso la metà dell’Ottocento nel centro dell’Europa gli studi linguistici e filologici occupano una posizione d’avanguardia: avendo sullo sfondo le riflessioni intorno al linguaggio di Wilhelm von Humboldt e di Friedrich Schlegel, a partire dal 1816 si succedono in parallelo da un lato i lavori filologici (nella fattispecie critico-testuali) di Karl Lachmann (1793-1851) su testi latini, germanici e neotestamentari, dall’altro quelli linguistici di Franz Bopp (1791- 1851), di Jacob Grimm (1785-1863) e del danese Rasmus Rask (1782-1832); lavori caratterizzati da procedure di scoperta esplicite, ben codificate, ripetibili e falsificabili, volte a definire rapporti costanti, o tra lingue (la vergleichende Grammatik), o tra vari codici portatori d’uno stesso testo (la recensio), in entrambi i casi allo scopo di risalire, con metodo comparativo, a uno stadio originario non più attestato Si trattava insomma del settore, primo tra quelli umanistici, dove la ricerca poteva aspirare alla qualifica di ‹scientifica›: una vera e propria rivoluzione copernicana Gli studiosi sopra nominati si occupavano di lingue come il latino, il greco, le antiche varietà germaniche e il sanscrito, nonché di testi scritti in tali lingue, ma il loro metodo trova presto più ampia applicazione in quanto la vergleichende Grammatik viene messa alla prova nel campo privilegiato delle lingue romanze Privilegiato perché qui sono documentate non solo le lingue figlie (quelle romanze appunto), ma anche la lingua madre (Latein o meglio Vulgärlatein): la prova è superata brillantemente, confermando nella sostanza la possibilità di identificare i meccanismi dell’evoluzione linguistica (Lautgesetze) Questa estensione alle lingue 2_IH_Italienisch_71.indd 76 14.05.14 18: 22 77 Alfredo Stussi Rapporti italo-tedeschi nella storia della linguistica italiana romanze è realizzata da un altro tedesco, Friedrich Diez (1794-1876), autore della Grammatik der romanischen Sprachen, tre volumi pubblicati nel 1836- 1843, seguiti da più d’una ristampa riveduta e ampliata, nonché da una tempestiva traduzione in francese che favorisce la circolazione di quel testo anche in Italia Non è un dettaglio trascurabile che sia un tedesco a istruire studiosi francesi e italiani su come affrontare l’indagine storica intorno alle loro lingue: gli allievi non solo imparano presto e bene la lezione, ma sono anche stimolati a curarsi dell’intero patrimonio culturale, percependo il rischio d’un esproprio Per esempio il grande filologo Gaston Paris (1839-1903) nel 1864, in un articolo su La Philologie romane en Allemagne, nota con rammarico che «on n’aime pas à voir des étrangers s’occuper des cendres de nos pères et leur procurer des monuments dignes d’elles» Qualche anno prima Graziadio Isaia Ascoli aveva espresso concetto analogo lamentando che gli stranieri superassero gli italiani nello studio delle «cose idiomatiche nostrali» e dei «nostri vernacoli», parole pronunciate nella prolusione al corso tenuto a Milano nel 1861 presso l’Accademia scientifico-letteraria, dove da poco aveva iniziato a insegnare per volontà di Terenzio Mamiani, il primo Ministro della Pubblica Istruzione del neonato Regno d’Italia Questa di Ascoli era una delle varie nomine effettuate senza indugio per rinnovare e potenziare l’insegnamento universitario nel tentativo di sprovincializzarlo e di portarlo a livello europeo Per far ciò era necessario ricorrere molto spesso a studiosi italiani formatisi fuori dagli Stati preunitari e quindi a patrioti in esilio e a sudditi austriaci nel Lombardo-Veneto che avevano studiato a Vienna, a Graz o a Innsbruck (per esempio Emilio Teza, Vigilio Inama, Bartolomeo Malfatti e in séguito altri ancora, fino a Matteo Giulio Bartoli, Giuseppe Vidossich, Carlo Battisti); suddito austriaco è anche Ascoli, ma autodidatta, come amava definirsi, perché formatosi su libri tedeschi e frequentando intellettuali ebrei d’altissimo livello presenti nella sua Gorizia Diventato professore a Milano, insegna e studia prevalentemente quella che oggi chiameremmo linguistica indoeuropea (con attenzione anche alle lingue semitiche), ma non si fa attendere molto il suo ingresso in forze nel campo della linguistica italiana, col primo già ricordato volume dell’Archivio glottologico italiano (1873), significativamente dedicato «A Federico Diez, il glorioso fondatore della scienza dei linguaggi neo-latini» Nel Proemio Ascoli rinnova l’ormai stantia «questione della lingua» mostrandone il nesso col complessivo sviluppo culturale dell’intera società italiana e nel far questo dedica un breve e icastico profilo alla vicenda tedesca («Il genio di Lutero, signoreggiato un idioma aulico, greggio ed instabile, ne plasmò quella miracolosa versione della Bibbia, che ruppe l’unità della fede e creò l’unità della nazione [ . . .] Quindi è affatto moderna la salda unità intellettuale e civile della Germania; eppure è così profondamente salda 2_IH_Italienisch_71.indd 77 14.05.14 18: 22 78 Rapporti italo-tedeschi nella storia della linguistica italiana Alfredo Stussi l’unità della sua lingua» Nelle successive 556 pagine, tutte di suo pugno, con i Saggi ladini fonda la moderna dialettologia Questa svolta decisa, e decisiva per la sorte degli studi linguistici in Italia, molto deve sul piano scientifico al modello tedesco, ma a determinare il momento in cui si verifica hanno contato verosimilmente anche le armate prussiane vincitrici a Sedan In Italia infatti qualche ripercussione sul piano culturale non poteva mancare, sia pure senza la drammaticità che, per la Francia, viene testimoniata ancora una volta da Gaston Paris: «nous avons la ferme conviction que la rupture trop brusque et trop radicale de la France avec son passé, l’ignorance de nos véritables traditions, l’indifférence générale de notre pays pour son histoire intellectuelle et morale, doivent être comptées parmi les causes qui ont amené nos désastres» Sono parole del Prospectus che annuncia la fondazione di Romania, rivista che inizia le pubblicazioni nel 1872 con una forte carica di rivendicazione dell’identità romanza, e francese in particolare, ma con un titolo modellato su quello della tedeschissima Germania In questo stesso 1872 quelle parole di Paris sono citate da Ernesto Monaci (1844-1918) nel Proemio alla neonata Rivista di filologia romanza, notando contestualmente il divario tra gli studi delle «nostre cose letterarie» condotti in Italia e quelli condotti all’estero Ed estero per Monaci vuol dire anzitutto Germania, tant’è vero che Edmund Stengel (1845-1935), professore a Marburg, viene cooptato a dirigere la rivista accanto al nume indigete Luigi Manzoni di Lugo Stampata a Imola, la Rivista di filologia romanza rappresenta, proprio nella terra di Romagna, ospitale alla filologia, lo sforzo di andar oltre la sterminata ma farraginosa erudizione (si pensi a Francesco Zambrini e alla prima serie del periodico bimestrale Il Propugnatore) Monaci, ventottenne autodidatta, transfuga dagli studi e dall’esercizio della giurisprudenza, cercava così la sua strada senza poter contare sull’appoggio delle ancor fragili istituzioni universitarie italiane: tanto è vero che viene fatto il suo nome per l’Università di Graz, prima che tra il dicembre del 1875 e il gennaio del 1876 vada in porto la nomina a Roma . Innegabile è dunque la deferenza nei confronti del modello tedesco da parte di chi sùbito dopo l’Unità s’era impegnato a migliorare la qualità degli studi linguistici e filologici d’argomento italiano Solo col passare degli anni emergono riserve e segni di insofferenza che vanno visti nel contesto di una situazione politica la quale diventerà sempre più complessa, fino a sfociare nel primo conflitto mondiale Importa ben presto il fatto che è l’Austria, non la Germania, a occupare territori rivendicati dall’Italia, e quindi viene praticata 2_IH_Italienisch_71.indd 78 14.05.14 18: 22 79 Alfredo Stussi Rapporti italo-tedeschi nella storia della linguistica italiana spesso una precisa distinzione come quella ben espressa dal goriziano Ascoli già nella prolusione milanese del 1861: «Nato e cresciuto in quell’estremo lembo del bel Paese, dove Italia e Slavia si confondono, e un governo pseudotedesco viene a inceppare le natie favelle e la civiltà con esse [ . . . .]» Sono parole di un uomo sempre lontano da atteggiamenti estremistici, anzi critico verso gli eccessi dell’irredentismo e schieratosi a favore di soluzioni politiche; tuttavia, venate come sono di disprezzo, quelle parole paiono sintomatiche anche del fatto che l’Austria godeva nel campo degli studi d’un prestigio assai inferiore a quello della Germania Non senza valide ragioni, anche se occorre ricordare la fondamentale influenza esercitata sugli studi filologici e linguistici italiani da Adolfo Mussafia (1835-1905), dalmata di sicuri sentimenti italiani il quale muore a Firenze, ma senza aver mai lasciato la cattedra di Vienna Da lì, con le sue pubblicazioni e intrattenendo fitti carteggi con vari studiosi italiani, Mussafia insegna come si debbano pubblicare e studiare linguisticamente i testi antichi; ai letterati toscanocentrici fa scoprire una letteratura diversa, soccombente, ma ben viva nel Due e Trecento: da Bonvesin da Riva a Giacomino da Verona, alla narrativa franco-veneta Mai gli è fatta pesare la rinuncia a insegnare in Italia, anche perché dopo la seconda guerra d’indipendenza, vinta grazie all’alleanza con la Prussia, sempre più si impongono chiare distinzioni cui dà voce per esempio l’indoeuropeista Domenico Pezzi nel 1872 invitando a non confondere la cultura tedesca «col cessato dominio austriaco in Italia» E per rendersi conto di come collaborazione e influsso culturale tedesco si esercitassero su vasta scala basterà ricordare che proprio Domenico Pezzi nel 1872 fonda col moravo Giuseppe Müller la Rivista di filologia e di istruzione classica stampata da Hermann Loescher, pronipote di Benedictus Gotthelf Teubner, che aveva iniziato la sua attività di libraio a Torino dal 1861 e di editore dal 1867 fornendo, fra l’altro, le traduzioni della grammatica latina di Ferdinand Schultz e greca di Georg Curtius Quanto a traduzioni, a far conoscere la nuova scienza linguistica di matrice tedesca contribuisce utilmente già nei primi anni dopo l’Unità il pistoiese Gherardo Nerucci (1828-1906), traducendo due raccolte di saggi scritti con intenti divulgativi da Max Müller (1823-1900), un valido sanscritista, allievo di Franz Bopp e di Eugène Burnouf (Letture sopra la scienza del linguaggio, Milano: Daelli 1864 e Nuove letture sopra la scienza del linguaggio, Milano: Treves 1870-1871, 2 voll ) Merita d’essere citato, per il richiamo all’insegnamento scolastico, un passo dell’Avvertenza di Nerucci al primo di questi libri: «Ho fede, che pure in Italia queste Letture incontrino il favore pubblico e servano all’incremento degli studi di filologia comparata, studi che presso noi possono per adesso chiamarsi quasi nuovi, e che troppo vengono trascurati, nelle scuole elementari, 2_IH_Italienisch_71.indd 79 14.05.14 18: 22 8 0 Rapporti italo-tedeschi nella storia della linguistica italiana Alfredo Stussi dove da ora in là si dovrebbe apprendere, che siano lingua e grammatica, con un po’ meno di pedantismo e di errori, e con un po’ più di solida e ragionata dottrina» Fondamentale si deve ritenere il contributo alla modernizzazione degli studi fornito dalle traduzioni di libri tedeschi, altrimenti inaccessibili essendo scarsa la conoscenza di quella lingua fuori del Lombardo-Veneto Significativa in tal senso è la testimonianza che Emilio Teza (1831-1912), appena arrivato a Firenze, fornisce in una lettera ad Ascoli del luglio 1860: scrive infatti che, tranne poche eccezioni tra cui Michele Amari, «né l’orientalismo, né la classicità né la modernità hanno filologi di grido […] quasi nessuno sa di tedesco, chiave a tanti studi: e del grande moto che agitò e sovversò la antica dottrina molti non hanno nemmeno il sospetto» Del «grande moto» Teza era invece a giorno, perché, trascurando gli studi di giurisprudenza cui era stato spinto dal padre, s’era dedicato al sanscrito e tra il 1853 e il 1856, come suddito vene-ziano dell’Impero asburgico, aveva potuto godere d’un soggiorno di studio a Vienna per perfezionarsi in orientalistica Impiegatosi poi alla Biblioteca Marciana e cacciatone per le sue idee liberali, era andato a ingrossare la schiera degli intellettuali fuorusciti; nell’estate del 1860 era stato assunto come coadiutore alla Biblioteca Medicea Laurenziana; qui, dopo pochi mesi, lo aveva raggiunto la nomina, fatta da Terenzio Mamiani su suggerimento di Alessandro D’Ancona, a professore di «Lingue e letterature comparate» all’Università di Bologna, donde passò nel 1866 alla cattedra pisana di sanscrito Anche in questo caso la scelta cadeva felicemente su un uomo nuovo formatosi a Vienna, tuttavia non destinato a produrre una scuola paragonabile a quelle di altri professori della nuova Italia: Teza infatti era incapace di dominare la dispersiva curiosità intellettuale cui egli stesso faceva pertinente riferimento affiggendo sulla porta del suo studio l’insegna labore et inconstantia Quanto al ritardo fiorentino, certamente contribuiva l’inerzia indotta dalla presunzione del privilegio della lingua, ma dovunque in Italia, guardando agli studi filologici nei primi decenni dopo l’Unità, il progresso è lento, perché lento è quello della disciplina trainante: la filologia classica è infatti danneggiata dall’invadente successo della linguistica indoeuropea, col risultato che al greco e al latino ci si rivolge per esercizi di grammatica comparata più che di filologia testuale, fenomeno che ben si percepisce anche solo scorrendo gli indici delle prime annate della Rivista di filologia e di istruzione classica, dove abbondano articoli d’argomento glottologico Tuttavia nel generale ri-stagno degli studi di filologia greca e latina spicca già negli anni Cinquanta la straordinaria personalità di Domenico Comparetti (1835-1927); laureatosi a Roma in scienze naturali, e pur lavorando nella farmacia d’uno zio, arriva ad acquisire una preparazione così seria che i suoi primi lavori 2_IH_Italienisch_71.indd 80 14.05.14 18: 22 81 Alfredo Stussi Rapporti italo-tedeschi nella storia della linguistica italiana sono ospitati nel prestigioso Rheinisches Museum Comparetti riesce dunque a sfruttare quel poco di non provinciale che offriva il misero ambiente culturale romano e di quel poco parte importantissima è la presenza (dal 1829) di un’istituzione tedesca, l’Istituto di Corrispondenza Archeologica (poi: Deutsches Archäologisches Institut) con la sua biblioteca frequentata da studiosi stranieri in visita alla città eterna Ventiquattrenne, ma già famoso, viene così chiamato nel 1859 a insegnare letteratura greca a Pisa, da dove passa a Firenze in quello stesso 1872 quando esce a Livorno il suo capolavoro, Virgilio nel medio evo, che fu - sono parole di Giorgio Pasquali - «il primo e rimase il solo libro italiano di filologia classica per tutto il secolo XIX» Che l’avversione verso l’Austria non degenerasse in atteggiamenti antitedeschi era una legittima preoccupazione; un’altra e forse più grave preoccupazione era dovuta al fatto che la scienza tedesca era guardata con ostilità da buona parte della Chiesa cattolica Basterà ricordare un paio di episodi: a rinnovare l’Università si cominciò, già alcuni mesi prima che fosse proclamato il Regno d’Italia, nelle province dell’Emilia appena liberate e rette dal «dittatore» Carlo Farini il quale, chiamando Giacomo Lignana (1829-1891), formatosi a Bonn, dovette sfidare l’opposizione dei clericali che ritenevano l’insegnamento di linguistica indoeuropea pericoloso per la fede e per i costumi; analogamente nella Roma ancora per poco governata da Pio IX, pochi mesi prima che il 20 settembre del 1870 vi entrassero le truppe italiane, a Ernesto Monaci la censura aveva bloccato la copia della traduzione francese della grammatica delle lingue romanze di Diez (Introduction à la grammaire des langues romanes, Paris-Leipzig: Franck 1863) che s’era fatta spedire da Parigi Tuttavia, in progresso di tempo, man mano che gli studi filologici e linguistici italiani cominciano a diventare, da tributari, competitivi rispetto a quelli tedeschi, risuona frequente la rivendicazione di specificità e autonomia Sintomatico il percorso, ancora una volta, di Ascoli, il quale, dopo la metà degli anni Settanta, arriva a scrivere, con palese presa di distanze da un certo andazzo germanico, che «l’opera del pensiero non va poi ridotta ad una mera distillazione di schede» Lo spunto è offerto dai «libri colossali» di Wilhelm Corssen (1820-1875), «poderoso alemanno» cui Ascoli deferisce, non senza però segnare i limiti del suo modo di lavorare, che produce «le ricostruzioni più repugnanti a ogni ragione della storia Non va, nè sente il bisogno d’andar più oltre di quel che vadano le schede ch’egli può nel dato momento compulsare; e sente la storia della parola come sentirebbe l’odio e l’amore chi avesse bisogno di ricorrere a un registro per sapere a chi egli voglia bene e a chi no» Senza dubbio, anche per il fatto che certe sue opere vengono tradotte in tedesco, Ascoli è ormai interlocutore alla pari degli «alemanni», e quindi non si perita di manifestare vivaci dissensi sul piano scientifico, nonché generiche 2_IH_Italienisch_71.indd 81 14.05.14 18: 22 82 Rapporti italo-tedeschi nella storia della linguistica italiana Alfredo Stussi insofferenze, come quando nel 1877 scrive a Francesco D’Ovidio: «I Tedeschi, non c’è verso, pur carezzando, graffiano, come i gatti» Netta, e in chiave filofrancese, sarà poi la sua Dichiarazione pubblicata sotto forma di lettera al direttore su La Perseveranza del 27 gennaio 1894 allo scopo di smentire d’aver offerto la propria collaborazione alla Westöstliche Rundschau, un neonato periodico volto «zur Pflege der Interessen des Dreibundes» Arrivati così alla fine del secolo, sia sul fronte linguistico, sia su quello filologico nel rapporto italo-tedesco si è sostanzialmente passati al dialogo tra pari come mostra l’opera di parecchi studiosi italiani Tre almeno se ne possono citare perché emblematici della nuova stagione: la Textkritik fondata sul cosiddetto metodo del Lachmann fatica a imporsi, ma finalmente con Pio Rajna (1847-1930) e Michele Barbi (1867-1941) dà i suoi frutti anche in campo italiano, e sono frutti di prima qualità come nel 1896 il De vulgari eloquentia di Rajna e nel 1907 La Vita Nuova di Barbi Quanto alla linguistica, l’erede di Ascoli, Carlo Salvioni (1858-1920), è autore di una esplorazione dei dialetti italiani che è tuttora solido fondamento d’ogni ulteriore ricerca; la recente ristampa anastatica dei suoi Scritti linguistici ne offre splendida testimonianza abstract Die Zeit von ca 1870 bis 1920 ist für die Geschichte der deutschitalienischen Beziehungen im Bereich der Linguistik besonders einschlägig In dieser Zeit wurden in Italien entscheidende Studien zu den volgari und den modernen Dialekten begründet, die sich auf deutsche (und schweizerische) Modelle stützten Die Methoden der linguistischen Forschungen hatten sich in Deutschland im 19 Jahrhundert mit den Studien von Karl Lachmann, Franz Bopp, Jacob Grimm und denen des Dänen Rasmus Rask bedeutend entwikkelt Es entsteht zwischen deutschen und italienischen Wissenschaftlern ein reger Austausch, der sich auch auf Publikationsorgane, wie die Zeitschriften Romania und Rivista di filologia romanza (1872) erstreckt Die erste Nummer des 1873 gegründeten Archivio glottologico italiano ist Friedrich Diez gewidmet Aus diesem intensiven Dialog gehen auf italienischer Seite bedeutende Studien hervor, wie diejenigen von Pio Rajna und Michele Barbi Bibliografia essenziale Lucchini, Guido: Le origini della scuola storica . Storia letteraria e filologia in Italia (1866-1883) . Pisa: ETS 2008 Stussi, Alfredo: Tra filologia e storia . Studi e testimonianze . Firenze: Olschki 1999 Stussi, Alfredo: Filologia e linguistica dell’Italia unita . Bologna: il Mulino 2014 Timpanaro, Sebastiano: Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano . Pisa: Nistri- Lischi 1969 Timpanaro, Sebastiano: Sulla linguistica dell’Ottocento . Bologna: il Mulino 2005 2_IH_Italienisch_71.indd 82 14.05.14 18: 22