eJournals Italienisch 37/73

Italienisch
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Narr Verlag Tübingen
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2015
3773 Fesenmeier Föcking Krefeld Ott

Fra 40 anni, l’Italia che verrà

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2015
Massimo Vedovelli
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78 M AS S I M O V E D OV E L L I Fra 40 anni, l’Italia che verrà Lo spazio linguistico e culturale italiano fra lingue immigrate, andamento demografico, ripresa economica 1. premessa Le presenti note non rispondono pienamente ai parametri della corretta esposizione dei risultati dell’attività scientifica: non vi rientrano in quanto non presentano gli esiti di analisi e interpretazioni di dati empirici a validazione/ falsificazione di ipotesi Soprattutto, però, non vi rientrano perché si concentrano sulla forma e sul contenuto di una domanda che, epistemologicamente, non può essere posta entro i paradigmi attuali della ricerca scientifica di linguistica: quale sarà l’Italia linguistica del futuro, dei prossimi venti, trenta, quaranta anni? È dal 1994 che non ci si azzarda a entrare nei territori della linguistica prognostica per l’italiano (Holtus/ Radtke, 1994): il volume appariva nell’anno in cui Berruto (1994), in occasione della presentazione del LIP - Lessico di Frequenza dell’Italiano Parlato (De Mauro et al ., 1993), poneva proprio la questione di come si sarebbe parlato domani, attirando l’attenzione sull’italiano e sui dialetti . 1 Interrogarsi sul futuro linguistico di una società appare attualmente, entro il paradigma della ricerca scientifica di linguistica, un’attività prossima più alla stregonesca preveggenza che al territorio dove la certezza della conoscenza si costruisce sulla nuda esperienza del rigore epistemico Siamo anche consapevoli, però, della necessità di assumere una responsabilità intellettuale, che è quella di porre un problema che comincia a delinearsi in maniera sempre più netta, se solo si pone attenzione ai possibili legami fra fenomeni di tipo economico, demografico e generalmente sociali Da tali legami sembra generarsi un quadro al quale non sarà estranea la dimensione linguistica che definirà l’identità della società, gli usi in essa diffusi, i rapporti gerarchici di tipo sociale e i correlati in termini di prestigio fra i codici simbolici, fra le lingue e i linguaggi I fattori e i processi che sembrano attualmente delinearsi come in grado di condizionare le linee evolutive degli assetti linguistici della società italiana sono principalmente di tipo macrosociale: gli spostamenti di popolazioni entro il mondo globale, con i correlati processi di contatto linguistico e culturale; il ruolo dell’immigrazione straniera in Italia e le sue dinamiche evolutive in termini demografici; gli assetti demografici che assumerà l’Italia nei 2_IH_Italienisch_73.indd 78 19.05.15 11: 40 79 Massimo Vedovelli Fra 40 anni, l’Italia che verrà prossimi decenni; lo stato dell’economia, attualmente stretta nella morsa di una crisi che per gravità ricorda quella della seconda metà degli anni Settanta del Novecento, ma che si carica di nuovi e più profondi elementi di criticità; le vie che potrebbe assumere una eventuale, ipotetica ripresa del nostro sistema economico La questione che vorremmo proporre non ci vede collocati davanti a una palla di vetro, ma solo attenti ai cambiamenti che gli studiosi di discipline non linguistiche danno ormai per scontati entro gli assetti sociali italiani, e che perciò ci inducono a dover pensare alle loro conseguenze di tipo linguistico Non abbiamo dati empirici frutto di nostre specifiche ricerche da portare a conforto di eventuali ipotesi che dovessimo delineare, né siamo in grado di produrre asserzioni che riguardino la struttura linguistica, il piano della ‹forma› degli idiomi che sono oggetto delle nostre considerazioni Queste non concernono, infatti, il piano della ‹forma linguistica›, ma solo il quadro delle condizioni extralinguistiche le cui possibili differenti configurazioni possono dare luogo a corrispondenti scenari di tipo linguistico La politica linguistica e la linguistica educativa, proprio a causa dei loro correlati applicativi a livello di gestione dello sviluppo linguistico sulla dimensione macrosociale o sul sistema formativo, hanno la necessità di non fermarsi alla sola analisi e interpretazione della situazione attuale - in cui il rapporto della scienza si definisce in una corrispondenza con l’essere -, ma devono anche sviluppare un quadro di asserzioni e indicazioni sullo sviluppo richiesto e necessario della società - nel qual caso il farsi della scienza si matura quasi nella definizione di un dover essere linguistico Operazione rischiosa e delicata, questa, che a maggior ragione richiede l’assunzione di una responsabilità intellettuale critica, ma anche capace di suggerire nuove questioni alla ricerca scientifica 2. tesi e ipotesi Siamo consapevoli che ogni uso linguistico, ogni lingua e varietà linguistica, ogni idioma nel senso più ampio di questo termine colloca la propria vita entro specifiche condizioni sociali; ugualmente, crediamo che queste non esercitino un condizionamento di tipo meccanicistico e deterministico Eppure, proprio a fronte della domanda circa l’evoluzione della situazione linguistica italiana contemporanea non ci sembra possibile fare a meno di guardare alle dinamiche sociali, trovando in esse i solchi lungo i quali difficilmente potranno evitare di incanalarsi i flussi degli usi linguistici, le loro regole condivise collettivamente, le norme che saranno i punti di riferimento e i paradigmi degli usi dei futuri italiani, della futura Italia e del suo spazio linguistico 2_IH_Italienisch_73.indd 79 19.05.15 11: 40 8 0 Fra 40 anni, l’Italia che verrà Massimo Vedovelli Avremo, fra quaranta-sessanta anni, ancora uno spazio linguistico italiano pluridimensionale? E quali saranno tali dimensioni, e quale la loro gerarchia (di prestigio sociale, di funzionalità espressiva)? O avremo una pluralità di spazi linguistici interrelati in funzione delle dinamiche sociali dei loro utenti? L’ipotesi che vorremmo proporre è che l’Italia linguistica si vedrà notevolmente diversa fra qualche decennio a causa dei processi sociali che la stanno mutando profondamente: si tratta innanzitutto di processi demografici, le cui conseguenze si faranno sentire anche a livello del mercato del lavoro, del sistema produttivo, della struttura relazionale dei gruppi sociali L’evoluzione verso questi nuovi assetti risente innanzitutto di due fattori: le conseguenze della grave crisi strutturale che il Paese sta vivendo dal 2008 e il ruolo dell’immigrazione straniera 3. L’evoluzione del sistema economico-produttivo italiano 3.1 Fra 63 anni la fine della crisi Un rapporto dell’organizzazione sindacale CGIL afferma che «il livello del PIL pre-crisi verrebbe recuperato nel 2026 (in 13 anni dal 2013), quello dell’occupazione nel 2076 (in 63 anni dal 2013)» (CGIL, 2013: p 3) In altri termini, l’Italia ritroverà un suo assetto forte a livello produttivo fra diversi decenni Non si tratta di una prospettiva molto felice, soprattutto per le giovani generazioni attuali, né per coloro che oggi in Italia vivono la crisi in prima persona nel mondo del lavoro Non vorremmo essere comunque pessimisti, ma riteniamo il rapporto della CGIL uno dei pochissimi documenti che segnalano esplicitamente il fatto che oggi il Paese vive un reale processo di decadenza, non una crisi economica normalmente ciclica: una decadenza che ha tempi lunghi sia nelle sue cause, sia nei suoi esiti Come può, però, il Paese uscire da tale decadenza fra sessanta anni? Per tentare una risposta, difficilmente si può evitare di considerare il ruolo dell’immigrazione straniera entro tali processi; così, facciamo riferimento a tre fra i più recenti lavori sul rapporto fra questa e l’andamento del mercato del lavoro 3.2 Immigrazione straniera e mercato italiano del lavoro Diversi studi italiani si sono soffermati negli ultimi anni sull’evoluzione sociale determinata dall’immigrazione straniera 2 I nostri punti di partenza e oggetti primari di discussione in questa sede sono i due studi L’immigrazione per lavoro in Italia: evoluzione e prospettive - 2011 (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2011) e il Secondo Rapporto annuale sul mercato del lavoro degli immigrati - 2012 (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2012) 2_IH_Italienisch_73.indd 80 19.05.15 11: 40 81 Massimo Vedovelli Fra 40 anni, l’Italia che verrà Noi pensiamo che, sulla base della mole tanto grande di dati presentati dai due rapporti, sia possibile anche poter fondare analisi sulle implicazioni linguistiche dei fenomeni Le discrepanze circa i dati che i vari rapporti manifestano qua e là non sembrano inficiare i tratti che delineano generalmente la questione Esaminando i due Rapporti 2011 e 2012 del Ministero del Lavoro, la nostra attenzione si focalizza su alcuni dati che sottolineano il ruolo ormai non marginale dell’immigrazione dall’estero entro gli assetti socioproduttivi italiani, e addirittura la sua centralità anche e soprattutto in prospettiva futura Tale dato è messo in evidenza anche da un rapporto della Banca d’Italia (D’Amuri, Peri, 2012) Quello che colpisce è l’incremento della presenza immigratoria prodottosi dalla metà degli anni 2000 e la necessità del sistema economico-produttivo di avere ulteriore forza lavoro nei prossimi decenni «Le Nazioni Unite stimavano nel 2010 la presenza di oltre 200 milioni di migranti nel mondo, pari a circa il 3% della popolazione totale L’Europa è la destinazione principale verso cui si orienta circa un terzo dei migranti (32,6%), mentre il 28,7% interessa l’Asia ed il 23,4% l’America settentrionale Il fenomeno delle migrazioni ha assunto negli ultimi 20 anni una dimensione crescente ed è destinato ad aumentare anche con l’acuirsi della crisi economica internazionale A partire dagli anni duemila, infatti, la pressione migratoria ha progressivamente assunto un connotato ‹sociale› legato all’aggravarsi delle condizioni di vita nei Paesi di origine dei flussi migratori .» (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2012, p 1) Tale cifra è salita nel 2013 a 232 milioni di migranti nel mondo (UNAR, 2014, p 11) Nell’Unione Europea gli immigrati stranieri all’inizio del 2012 sono quasi 50 milioni, ovvero l’8% della popolazione residente; più di 34 milioni, ovvero il 6,8% della popolazione residente sono quelli con effettiva cittadinanza straniera; 20,7 milioni sono extracomunitari (UNAR, 2013, p 16) La Germania, con più di 9 .270mila immigrati, ovvero l’11,3% della popolazione (però, -2% in dieci anni), rimane il primo Paese europeo per numero di immigrati occupati Secondo la stima di UNAR (2014), in Italia gli immigrati stranieri sono complessivamente circa 5 .364 .000, pari all’8,8% della popolazione Con la svolta del millennio, gli assetti migratori europei sono cambiati rispetto al quadro tradizionale: hanno raggiunto una consistenza notevolissima, sono diventati elemento ormai strutturale dei processi sociali e produttivi, proseguiranno anche e soprattutto in questi momenti di 2_IH_Italienisch_73.indd 81 19.05.15 11: 40 82 Fra 40 anni, l’Italia che verrà Massimo Vedovelli crisi globale La condizione migratoria europea si è andata articolando in tre dimensioni: quella dei Paesi tradizionalmente forti per presenza straniera (Germania, Regno Unito, Francia), i Paesi detti ‹dell’allargamento› verso l’Europa Centro-Orientale, e infine Paesi come l’Italia o la Spagna che da tradizionali punti di partenza di flussi di emigrazione si sono trasformati in mete di consistenti arrivi di immigrati Si consideri che dal 1998 al 2008 la Spagna ha avuto un aumento di immigrati pari al +726% (D’Angelo, 2013, p 49), l’Italia lo ha avuto del +353% fra il 2000 e il 2011 Si tratta di un fenomeno che ha trascinato la dinamica demografica dei due Paesi, come pure avvenuto più in generale nell’Unione Europea L’aumento della popolazione straniera è continuato anche nei primi anni della crisi globale (2008-2009): +4,3%, rispetto al +0,4 totale In Italia e in Spagna la componente extracomunitaria è rispettivamente del 68% e del 73% dell’immigrazione straniera Secondo i dati presenti nei Rapporti del Ministero del Lavoro, per quanto riguarda la composizione per fasce d’età, l’immigrazione straniera vede la prevalenza delle coorti generazionali in età da lavoro (78,8%) e giovanissime (18,9%), frutto della vorticosa dinamica di arrivi negli anni recenti, che ha messo in secondo piano la condizione sociale e linguistica delle prime ondate migratorie degli anni Settanta del Novecento (solo il 2,3% ha un’età superiore ai 65 anni (ibid ., p 2) . 3 Il primo dato ‹sensibile› per l’analisi linguistica è di tipo puramente quantitativo: il Dossier UNAR certifica, a nostro avviso, che con ormai più di 5 milioni di immigrati stranieri presenti nel Paese si è raggiunta una massa critica strutturale alla dinamica demografica e al sistema sociale, che comporta conseguenze ormai non più considerabili marginali anche per quanto riguarda l’impatto sulle dinamiche linguistiche Le persone straniere o di origine straniera che fanno riferimento a una L1 non tradizionalmente presente nello spazio linguistico italiano sono ormai il doppio dei cittadini italiani appartenenti a una minoranza linguistica di antico insediamento Rispetto a queste, inoltre, il tasso di natalità e l’indice di ‹giovanilità› è molto superiore Di contro, se le ‹minoranze di antico insediamento› tutelate dalla legge italiana sono concentrate su specifici territori, l’immigrazione straniera si dissemina in modo esteso, tale fattore venendo così a bilanciare l’effetto della massa critica quantitativa complessiva Tuttavia, proprio questa disseminazione, anche se attenua l’effetto quantitativo, registra la presenza del fenomeno di nuove realtà di contatto linguistico-culturale praticamente in ogni area del Paese, pur con gradi diversi di concentrazione Delle questioni linguistiche e più generalmente culturali appare consapevole anche il rapporto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: 2_IH_Italienisch_73.indd 82 19.05.15 11: 40 8 3 Massimo Vedovelli Fra 40 anni, l’Italia che verrà «Ma il dato saliente che emerge dalla lettura delle serie storiche è la profonda trasformazione della composizione delle comunità Tra il 1981 ed il 2011 le trasformazioni sono state radicali: basti pensare che le undici oggi più numerose, nel 1981 rappresentavano circa il 6% del totale degli stranieri residenti, mentre oggi ne rappresentano il 66% Cambia, quindi, profondamente anche l’impatto culturale delle comunità straniere sul sistema sociale con l’affermazione di lingue, costumi ed attitudini diverse e nuove Decisamente rilevante, nell’ambito del processo di europeizzazione della popolazione straniera, l’aumento impetuoso delle comunità ucraina e moldava che crescono repentinamente soprattutto negli ultimi anni .» (Ibid ., p 2) L’immigrazione straniera raggiunge quindi una massa critica a livello demografico in un vorticoso processo di ristrutturazione della sua composizione interna: giovane e giovanissima, pronta a entrare nel mercato del lavoro (o potenziale coorte di disoccupati a alto tasso di conflittualità), presente in maniera massicciamente crescente nel sistema scolastico con i giovanissimi, modificata in modo forte negli anni recenti per quanto riguarda i Paesi di origine e le lingue che entrano in contatto con lo spazio linguistico italiano e fra di loro All’andamento costante delle comunità cinese e filippina (e dei loro idiomi) fa riscontro l’aumento del peso della comunità rumena, che, anche in conseguenza dell’entrata nell’UE, nel 2011 costituisce il 28% degli immigrati stranieri in Italia Aumenta la presenza dei marocchini (e della lingua araba, dunque), che superano il mezzo milione di unità, seguiti dagli albanesi con più di 465mila unità (fonte: UNAR, 2014, p 24) Il Rapporto del Ministero del Lavoro, anno 2012, mette in evidenza il processo di crescente femminilizzazione dell’immigrazione, che si concretizza nel fatto che nel 2002 si aveva un rapporto 105 uomini / 100 donne, mentre nel 2011 si è passati a un rapporto 93 uomini / 100 donne «[…] le donne prevalgono nei gruppi est-europei e nelle collettività latinoamericane, mentre gli uomini rappresentano la maggioranza nei gruppi del Nord Africa, dell’Africa Occidentale e dell’Asia centro-meridionale Nello specifico la componente maschile prevale significativamente nella comunità egiziana (228), in quella del Bangladesh (207) in quella tunisina (173) e indiana (154) Al contrario la componente femminile è nettamente preponderante nella comunità ucraina (25,4) in quella moldava (48) ed in quella polacca (40) Diversa sembra essere la composizione nella comunità rumena dove si contano 83 uomini per 100 donne 2_IH_Italienisch_73.indd 83 19.05.15 11: 40 8 4 Fra 40 anni, l’Italia che verrà Massimo Vedovelli Le trasformazioni di genere più evidenti tra il 2002 ed il 2011 si rilevano nella comunità marocchina, che passa da un indice di 154 a 129, mentre la composizione più stabile si rileva per la comunità cinese il cui tasso di femminilizzazione appare costante (105 uomini per 100 donne) .» (Ibid ., p 3) Gli studi sull’emigrazione italiana nel mondo (qui ci permettiamo di rimandare al fondamentale Krefeld, 2004 e alla sintesi di Vedovelli, 2011) hanno messo in evidenza come la donna rappresenti il soggetto che gestisce le scelte linguistiche della famiglia emigrata, anche e soprattutto a livello di quelle linguistico-educative (Tempesta, 1978) Tornando alle condizioni sociali generali, la prospettiva interpretativa del Rapporto 2012 mette costantemente in evidenza il processo di crescente stabilità delle comunità straniere «Ormai quasi la metà dei cittadini non comunitari regolarmente presenti in Italia ha un permesso a tempo indeterminato Si tratta di circa 1 milione e 600mila persone, il 46% del totale dei non comunitari regolarmente soggiornanti Nel caso di coloro che dispongono di permessi di soggiorno di lungo periodo, la quota di permessi riservati a minori sul totale è di 10 punti più elevata rispetto a quella rilevata tra i soggiornanti aventi un permesso con scadenza .» (Ibid ., p 3) Quando sottolineiamo la stabilità del fenomeno ci riferiamo a questo dato di fatto: per molti immigrati stranieri la permanenza in Italia è intesa come un progetto a lungo termine, a meno che, come vedremo, non intervengano fattori di destabilizzazione, come è da considerare l’attuale crisi Sono le dinamiche del mondo del lavoro ad avere avuto la funzione di attrattori di immigrazione, al punto che «nel caso sia degli uomini che delle donne, la quota che si è ridotta maggiormente in realtà è stata quella dei permessi per ‹altri› motivi, ossia per studio, residenza elettiva, motivi religiosi, e di asilo» (ibid ., p 3) L’occupazione complessiva è aumentata in Italia dal 2003 al 2008, in coincidenza con il raddoppio del numero di immigrati stranieri La prima crisi economica globale interrompe questa tendenza, ma mentre la diminuzione complessiva di manodopera in Europa è del 2,4%, quella della sola componente immigrata è dello 0,8% La crisi del 2009 colpisce l’Italia e la composizione del suo mercato del lavoro: nel 2009 gli italiani occupati calano di 863 .000 unità, aumentano fra gli italiani i disoccupati (+281 .000), aumentano gli inattivi (+519 .000) Anche 2_IH_Italienisch_73.indd 84 19.05.15 11: 40 85 Massimo Vedovelli Fra 40 anni, l’Italia che verrà fra gli immigrati stranieri aumentavano gli inattivi (+213 .000) e i disoccupati (+104 .000), ma anche gli occupati (+309 .000): gli italiani hanno perso l’occupazione (-863 .000), gli immigrati l’hanno aumentata (+309 .000) Questa è stata la risposta dell’immigrazione considerata come forza lavoro alla prima grande crisi del 2008-2009, ovvero una risposta che ne ha messo in luce l’importanza per il nostro sistema produttivo Ma ora? Il Rapporto 2012 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali presenta lo scenario forse più aggiornato e attendibile «Se è vero che gli andamenti registrati negli ultimi tre anni, a partire dal 2009, consentono di definire un quadro empirico che vede la forza lavoro straniera godere di una rilevante crescita del numero degli occupati, in decisa controtendenza rispetto alla dinamica che ha segnato la componente italiana, è anche vero che la crescita della popolazione attiva, dovuta all’aumento dei ricongiungimenti familiari e all’ingresso nel mercato del lavoro delle seconde generazioni, incide negativamente sui tassi di occupazione della popolazione straniera […] Da un lato, la spinta migratoria e demografica è così rilevante da determinare una forte crescita della popolazione in età da lavoro; dall’altro, tale espansione sembra procedere più rapidamente della capacità del sistema economico produttivo di assorbire manodopera straniera, ingenerando, così, uno sbilanciamento del delicato equilibrio socio occupazionale di cui i dati descrivono puntualmente la dinamica Infatti negli ultimi tre anni (2009-2011), il numero di occupati, a livello generale, ha conosciuto, nel caso degli italiani, un decremento costante pari a -1,6 punti nel 2010 e a -0,4 punti percentuali nel 2011 Nettamente difforme la variazione tendenziale osservata nel caso dei cittadini stranieri Per la componente UE si registrano un +16,3% nel 2010 e un +6,1% nel 2011; nel caso degli extracomunitari l’andamento è ugualmente positivo ma con dinamica crescente, passando da +6,6% del 2010 a +9,2% del 2011 Nell’ultimo anno gli occupati italiani sono, dunque, calati di circa 75 mila unità, mentre gli occupati comunitari ed extracomunitari, nonostante il peso della ben nota crisi economica sul mercato del lavoro, hanno conosciuto un incremento in termini assoluti equivalente, rispettivamente, a +42 .780 e a +127 .419 di individui .» (Ibid ., p 4) Allo scrivente sembra che questo dato mostri come il sistema produttivo italiano abbia necessità di avere immigrati, nonostante la crisi e l’aumento della 2_IH_Italienisch_73.indd 85 19.05.15 11: 40 86 Fra 40 anni, l’Italia che verrà Massimo Vedovelli disoccupazione fra gli italiani Gli effetti della crisi si spalmano sì su tutte le categorie del mercato del lavoro (occupati, disoccupati, inoccupati), ma per gli immigrati rimangono più ampi spazi di occupabilità, ed è questa la loro forza sociale, visto che la distanza fra il tasso di attività degli italiani e degli immigrati stranieri «pur caratterizzata da una tendenza alla riduzione, tra il 2009 e il 2011 si è consolidata mediamente tra gli oltre 14 punti percentuali nel primo caso e gli 8 nel secondo Il che fa pensare che il potenziale di offerta di lavoro garantito dalle comunità straniere è ancora molto significativo» (ibid ., p 5) La tendenza viene confermata dal rapporto fra contratti di lavoro a tempo determinato e a tempo indeterminato, che risulta ‹significativamente maggiore› fra i cittadini stranieri rispetto agli italiani (ibid ., p 4), e al loro interno il peso è maggiore per la componente femminile (ibid ., p 6) In definitiva, l’immigrazione è stabile e ha raggiunto una dimensione quantitativa che la rende strutturale alle dinamiche demografiche e del mercato del lavoro: di conseguenza, è entro questo quadro che occorre definire gli oggetti e i modelli dell’analisi linguistica a livello sociolinguistico (o di sociologia del linguaggio), di linguistica acquisizionale e di linguistica educativa Le dinamiche occupazionali mostrano che gli immigrati creano il loro sistema di vita intorno al lavoro e alle sue strutture, anche comunicative Il quadro, però, non appare coeso e omogeneo quanto a tendenze A fronte del potenziale di occupabilità preferenziale che il mercato del lavoro mostra verso gli immigrati stranieri, le conseguenze della crisi in termini di disoccupazione si fanno sentire in modo forte proprio su questa categoria: il tasso di disoccupazione «dei lavoratori stranieri è di circa 4 punti percentuali superiore a quello degli italiani, il dato assoluto evidenzia una situazione di forte disagio delle comunità straniere La crescita significativa della platea dei lavoratori stranieri in cerca di lavoro, nelle dimensioni registrate negli ultimi due anni, mette in evidenza l’esigenza di garantire prioritariamente il riassorbimento di tale platea di lavoratori da parte della domanda di lavoro, con la consapevolezza che tali lavoratori permanendo nella condizione di disoccupazione per più di sei mesi rischierebbero di lasciare il paese secondo le normative vigenti» (ibid ., p 5) In altri termini, la situazione attuale, caratterizzata dalla crisi strutturale dell’economia italiana, dalla crisi del debito sovrano del nostro Paese, determina scenari contraddittori, tali da sollecitare fortemente la condizione occupazionale e sociale degli italiani e degli emigrati La disoccupazione colpisce fortemente questi ultimi, affondando una parte di loro nelle sacche della 2_IH_Italienisch_73.indd 86 19.05.15 11: 40 87 Massimo Vedovelli Fra 40 anni, l’Italia che verrà marginalità, con i rischi di conflitto sociale che ne derivano, o spingendoli al rientro nei Paesi di origine; 4 contemporaneamente, proprio l’immigrazione straniera gioca un ruolo positivo a livello generale del sistema economicoproduttivo: «[…] va ricordato innanzitutto come la componente straniera sia stata fondamentale nel contenere la contrazione dell’occupazione complessiva: fra il secondo trimestre 2008, momento di più elevato numero di addetti in Italia, ed il primo trimestre 2012, il numero degli occupati stranieri è aumentato di 528 mila unità, che hanno compensato parte della contrazione del numero degli occupati italiani (1 .316 mila in meno nello stesso periodo)» (ibid ., p 16) Indubbiamente, la disoccupazione tocca fortemente gli immigrati, ma ‹disoccupazione› significa anche maggiore tempo libero a disposizione da dedicare, ad esempio, alla formazione «La quota più alta di cessazioni è nel Nord laddove su complessivamente 4,1 milioni circa di cessazioni ben il 25,3% (9,6% UE e 15,7% Extra UE) ha riguardato cittadini non italiani Tale valore appare sensibilmente più basso nelle ripartizioni centrale e meridionale, attestandosi, rispettivamente, su 18,5 e 10,2% .» (Ibid ., p 7) Proprio nell’Italia del Nord, peraltro, è più fitta la rete delle offerte di formazione linguistica e professionale Lo sviluppo di un’offerta correlata di formazione professionale e linguistica dovrebbe essere uno degli oggetti di una politica dell’occupazione elaborata in rapporto a scenari di medio termine: a questi hanno lavorato i due Rapporti 2011 e 2012 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che hanno scelto di operare sulla distanza dei prossimi dieci anni Il Rapporto 2011 fonda la definizione dei suoi scenari su una constatazione: negli ultimi decenni l’invecchiamento generale della popolazione italiana e l’aumento del grado di scolarizzazione delle giovani generazioni (che le fa entrare più tardi nel mondo del lavoro) hanno creato spazi vuoti entro la forza lavoro Così, nel 2008, la differenza fra entrati e usciti rispetto al mondo del lavoro vede un saldo negativo: -988 .000 soggetti, il che significa per il nostro Paese il prefigurarsi di un problema di forza lavoro minimale per mantenere e sviluppare la sua capacità produttiva e la sua ricchezza Sono proprio questi spazi a costituire le aree di attrazione per l’immigrazione straniera: spazi capaci di assorbire le quote slittate nella condizione di disoccupazione e di attrarre nuove coorti dall’estero Tra i vari scenari previsionali ipotizzati, il Rapporto 2011 ne sceglie uno intermedio avente i seguenti tratti principali: tra il 2010 e il 2020 la popolazione in età attiva scenderà di quote variabili fra il 5,5% e il 7,9%; le 2_IH_Italienisch_73.indd 87 19.05.15 11: 40 8 8 Fra 40 anni, l’Italia che verrà Massimo Vedovelli ipotesi di fabbisogno sono di 100 .000 unità all’anno fra il 2011 e il 2015, e di 260 .000 unità all’anno fra il 2016 e il 2020 Ciò significa che non solo si è raggiunta la massa critica migratoria a livello sociale, ma che l’immigrazione dovrà aumentare, se il nostro sistema produttivo vorrà mantenere una posizione capace di garantire la ricchezza e lo sviluppo del Paese, ovvero: se vorrà far uscire il Paese dalla crisi Il Rapporto 2012 conferma sostanzialmente tali ipotesi, pur precisando lo scenario possibile in rapporto alla più chiara consapevolezza dell’impatto dell’attuale crisi: «La principale evidenza empirica suggerita dal Modello 2011 era che la crisi economica e la conseguente caduta dell’occupazione interna, per la prima volta, dopo quasi vent’anni, stabilizzavano i fabbisogni occupazionali del nostro sistema economico Tranne che in alcuni ambiti specifici, come nel caso delle attività di cura, la domanda di lavoro interna che si sarebbe espressa nel corso dell’anno non aveva bisogno di ulteriori nuovi ingressi Di qui l’indicazione che non erano necessari ulteriori provvedimenti per fabbisogni aggiuntivi e che, semmai, gli sforzi andavano concentrati nel migliorare i sistemi informativi sulle opportunità di lavoro a livello territoriale e settoriale, così da evitare inefficienza allocative La seconda evidenza empirica, basata sull’impatto delle previsioni economiche all’epoca disponibili, era che per almeno 3-4 anni il mercato del lavoro italiano non avrebbe avuto necessità di ulteriori apporti di immigrati Solo dopo il 2015, se lo scenario economico non fosse peggiorato, vi sarebbe una ripresa della domanda di lavoro immigrato, indispensabile per compensare il nuovo ‹buco› tra il numero delle giovani forze di lavoro in entrata e il numero di uscite dal mercato del lavoro a causa dell’anzianità .» (Ibid ., p 15) Ci sembrano importanti diversi punti dei dati e dell’analisi proposte dalle indagini del Ministero del Lavoro: il non meccanico legame fra la disoccupazione e i rientri nei Paesi di origine (anch’essi colpiti dalla crisi); il rapporto fra la stagnazione economica e la tendenza alla stabilizzazione della presenza degli immigrati; una rete informativa che richiede da un lato una specifica politica e dall’altro - dalla parte degli immigrati - competenze linguisticocomunicative effettivamente adeguate sia a intercettare l’offerta di formazione, sia a sostenere processi di ristrutturazione dei profili professionali per rispondere alle effettive richieste del mercato del lavoro 2_IH_Italienisch_73.indd 88 19.05.15 11: 40 8 9 Massimo Vedovelli Fra 40 anni, l’Italia che verrà 3.3 Condizioni socioculturali e mercato del lavoro nell’immigrazione straniera La ricerca della Fondazione King Baudouin e del Migration Policy Group (Huddleston/ Dag Tjaden, 2012) esamina la condizione dell’immigrazione straniera in 15 città di sette Paesi della UE, tra cui l’Italia con Milano e Napoli Gli indicatori sono il lavoro, la partecipazione politica e civile, la condizione familiare, la permanenza a lungo termine, la cittadinanza e le lingue Prima di prendere in considerazione i risultati dell’indagine su quest’ultimo tema, è opportuno esaminare i dati degli altri indicatori che appaiano ‹sensibili› per le questioni che ci poniamo I dati finora discussi delineano condizioni di strutturalità dell’immigrazione straniera, e di conseguenza, se si prende in esame il tratto ‹plurilinguismo migratorio›, siamo costretti a constatare che almeno per un decennio tale plurilinguismo, la diversità delle lingue al seguito degli immigrati, continuerà a caratterizzare le nostre dinamiche linguistiche, continuerà ad incrementare il tasso di neoplurilinguismo del nostro spazio idiomatico Se questo è un effetto determinato dalle dinamiche del mondo del lavoro, l’indagine sposta l’attenzione sulle intenzioni degli immigrati, sull’Italia vista dagli immigrati . Huddleston/ Dag Tjaden (2012, p 7) sintetizzano in questi termini i risultati della loro indagine sulle intenzioni di permanenza degli immigrati nei Paesi di arrivo: «80 - 95% of immigrants are or want to become long-term residents Most temporary migrants in new countries of immigration also want to become long-term residents The average person applies not long after the minimum period of residence Documents and powers of authorities cited as major problems for applicants in certain countries Long-term residence helps most immigrants get better jobs and feel more settled .» In generale, gli immigrati hanno progetti di permanenza a lungo termine, cui si aggiungono gli effetti delle riunioni familiari: «Family reunion helps immigrants improve family life, sense of belonging and sometimes other integration outcomes .» (ivi) Non è ipotizzabile, dunque, se non un processo di lunga durata, frutto delle dinamiche ‹oggettive, sovraindividuali› del mercato del lavoro e delle intenzionalità soggettive dei migranti Sempre sul piano delle intenzioni, delle attese e delle motivazioni, ovvero dal punto di vista dell’immigrato che guarda all’Italia dove vive, si collocano i risultati relativi all’idea di cittadinanza Sempre per Huddleston, Dag Tjaden (2012, p 7) «Around 3 out of 4 immigrants are or want to become citizens The few uninterested in citizenship often either do not see the difference with their current status or face 2_IH_Italienisch_73.indd 89 19.05.15 11: 40 9 0 Fra 40 anni, l’Italia che verrà Massimo Vedovelli specific policy obstacles […] Citizenship helps immigrants feel more settled, get better jobs, and even get more educated and involved .» Il mercato del lavoro continuerà a chiedere manodopera e a trovare manodopera straniera disponibile; i progetti di permanenza in Italia sono a lungo termine; la maggior parte degli immigrati stranieri vuole prendere la cittadinanza italiana: tutto indirizza verso una prospettiva strutturale degli effetti delle dinamiche linguistiche coinvolgenti gli immigrati Qual è, però, il punto di vista con cui guardano a tali dinamiche? Huddleston/ Dag Tjaden (2012, p 6) sintetizzano in questi termini gli elementi di tali dinamiche e di tale punto di vista: «Immigrants generally speak more languages than the average person in their country of residence For immigrants - like for most people - time is the major problem for learning a new language Getting information on learning opportunities may be more difficult for immigrants than general public Wide range of immigrants participated in language or integration courses Participants highly value courses for learning language and often for socio-economic integration .» La ricerca (ibid ., pp 36-37) ha messo in luce che in Italia si manifestano le maggiori difficoltà per apprendere la lingua da parte di un immigrato straniero Più della metà degli informanti in Italia dichiara che il primo ostacolo è la mancanza di tempo Tra le altre ragioni la ‹mancanza di motivazione› che, sia pure presente in misura inferiore alla precedente causa, divide un gruppo di Paesi fra i quali il nostro, da un altro dove tale problema si manifesta in modo meno consistente: «Between a quarter and a third of non-native speakers said that they were not motivated enough to learn Hungarian (27%), Italian (32%), or Portuguese (28%) Fewer immigrants experienced these types of problems in German cities in particular than in Budapest, French, Italian and Portuguese cities .» (ivi) È plausibile ipotizzare che entro il fattore ‹motivazione› l’immigrato faccia rientrare il risultato dello scarto fra le proprie esigenze e attese di formazione da un lato, la scarsità di offerta, di rete di opportunità formative e di valorizzazione sul posto di lavoro delle competenze formate Un immigrato su tre a Milano e uno su cinque a Napoli (fra gli informanti) dichiara di avere completato un corso di formazione linguistica: l’Italia, anche dal punto di vista delle opportunità formative, non è uguale territorialmente, e nativi italiani e immigrati scontano ritardi, carenze, arretratezze 2_IH_Italienisch_73.indd 90 19.05.15 11: 40 91 Massimo Vedovelli Fra 40 anni, l’Italia che verrà 4. Sviluppi demografici della società italiana: il ruolo dell’immigrazione straniera Ai fini della nostra riflessione, i parametri relativi all’andamento del mercato economico e delle vicende del sistema produttivo devono essere necessariamente integrati da alcuni di altro tipo, ad esempio di natura socio-demografica: non possiamo pensare a come sarà il Paese fra qualche decennio, quando auspicabilmente sarà uscito dalla sua attuale crisi profonda, solo in termini di PIL o di posti di lavoro, ma anche della sua composizione sociale Da ormai diversi anni i demografi sono impegnati nel delineare gli scenari futuri della composizione della popolazione italiana in rapporto alla presenza degli immigrati stranieri: compito non facile, in quanto non basta a tal fine mettere in relazione le sole variabili ‹invecchiamento› e ‹basso indice di natalità› della popolazione autoctona da un lato, e dall’altro ‹età giovane› e ‹alto indice di natalità› di quella immigrata Intervengono altri fattori a rendere complessa l’operazione: tra questi l’adeguamento degli immigrati agli stili di vita dei Paesi di arrivo, l’andamento del mercato del lavoro e specificamente della crisi economica, le politiche di gestione degli arrivi ecc Quale che sia l’approccio adottato, tutte le analisi demografiche portano a un unico risultato: fra quaranta-sessanta anni il Paese vedrà una componente di origine immigrata molto più ampia dell’attuale e comunque strutturalmente determinante nella complessiva identità della società italiana Già negli anni Novanta l’ISTAT e alcuni ricercatori, che pubblicarono i loro lavori sulla benemerita rivista Studi Emigrazione dei Padri Scalabriniani, avevano provato a fare simulazioni della struttura demografica italiana nei decenni successivi, basate su due forze principali: «Negli ultimi 30 anni la maggior parte dei Paesi industrializzati, europei e non, è stata caratterizzata da una marcata riduzione nei tassi di fecondità in grado di innescare, nel lungo periodo, un processo di declino e di invecchiamento Al tempo stesso però questi Paesi sono stati sottoposti a flussi immigratori crescenti provenienti essenzialmente dalle zone più povere del mondo, a forte pressione demografica .» (Valentini, 1999, p 63) Secondo i dati di The Economist, l’Italia ha (anno 2010) 60,1 mln di abitanti, e la previsione al 2015 li fa aumentare solo di 1 mln ., facendo scendere il Paese di una posizione a livello mondiale (dalla 23esima oggi alla 24esima) . 5 L’Italia negli anni 2010-15 è al nono posto nel mondo per il più basso tasso di natalità Nel 2011 l’Italia è al terzo posto nel mondo per la più alta età media (43,2 anni): nel 2000 era al secondo posto; ora è stata sorpassata dalla Germania Nel 2009 la popolazione italiana oltre i 60 anni era il 26,4%, 2_IH_Italienisch_73.indd 91 19.05.15 11: 40 92 Fra 40 anni, l’Italia che verrà Massimo Vedovelli ponendo il Paese al secondo posto nel mondo, posizione tenuta anche per la quota di popolazione oltre gli 80 anni (5,8%) Nel 2050 l’Italia non entrerà fra i primi dieci Paesi con età media più alta, a causa del rapporto fra il processo di mortalità e quello di natalità che sostituisce le coorti di popolazione scomparse Al contrario, i Paesi con gli indici più alti di natalità e con l’età media più bassa sono proprio quelli di origine delle comunità di immigrati stranieri in Italia I dati demografici, dunque, ci presentano un Paese con una popolazione vecchia o che declina verso l’invecchiamento: un Paese che entro pochi decenni vedrà sostituita una parte consistente della popolazione originaria da una di origine immigrata, che ne costituirà l’ossatura portante a livello sociale e produttivo Il lavoro di Valentini (1999) è basato su dati che segnalavano la rilevanza del fenomeno immigratorio in Italia quando ancora non aveva assunto i tratti strutturali e quantitativamente rilevanti che si sono prodotti con la svolta del Millennio e che abbiamo ricordato Eppure, anche fondando il disegno di ‹ragionevoli› scenari demografici su una dimensione dell’immigrazione che si aggirava sul milione di persone, ne derivavano indicazioni il cui valore possiamo pienamente comprendere solo oggi L’Autore disegna tre scenari in rapporto alla consistenza quantitativa di tre possibili flussi in ingresso, sottolineando che «non sarebbe razionale una politica di chiusura delle frontiere, in quanto aggraverebbe il già spinoso problema del declino» demografico della popolazione autoctona (ibid, p 70) Il risultato previsionale è il seguente: «La percentuale di non nativi sulla popolazione complessiva nel 2046 si assesterà al livello del 20% nella variante Alta [massima presenza], del 15% in quella Intermedia e dell’11% in questa Bassa [minima presenza], a fronte di una percentuale dell’1,5% nel 1996 .» (ibid ., p 75) Per mantenere comunque invariata la popolazione complessiva del Paese occorrerebbe gestire gli ingressi in modo da aumentare la consistenza delle quote, considerate dall’Autore su base quinquennale: ma proprio questo è accaduto spontaneamente, e gli attuali più di cinque milioni di immigrati stranieri ci spingono a dover considerare una ipotesi che nel 1999 l’Autore delineava, ma senza attribuirle una reale possibilità di attuazione: «una crescita esponenziale del numero di ingressi per anno (da 180 .000 a quasi 600 .000 secondo la Variante Intermedia) avrebbe come effetto l’immediato incremento dello stock di immigrati rispetto alla popolazione complessiva dall’1,5% ad oltre il 20% nel 2046» (ibid ., p 77) La prima ipotesi ci sembra praticamente ormai già attuata dai fatti (gli immigrati oggi sono a poca distanza dall’11%); più realisticamente dobbiamo far oscillare la proiezione previsionale delle presenze fra il 20% e il 40% Di contro, agisce fortemente la crisi, che di fatto frena l’impetuosità finora manifestata dagli ingressi: 2_IH_Italienisch_73.indd 92 19.05.15 11: 40 93 Massimo Vedovelli Fra 40 anni, l’Italia che verrà «Immigration to Italy seems set to mark time after years of frantic growth The latest data on the arrivals of third country nationals during 2011 show a decline of about 40% compared to previous year (Istat [Italian National Institute of Statistics], 2012) This marked decline is especially evident in the case of arrivals for employment reasons (-65%) and is likely caused by the recent economic and employment difficulties; however, it is substantial also in the case of family-related immigration (-21%) .» (Blangiardo/ Cesareo, 2013, p 11) Quale che sia lo scenario prevedibile, ovvero di un assestamento dell’impetuosità dei flussi o di una loro ripresa forte, il quadro generale non sembra cambiare: «In this regard, the latest official sources estimate (adequately revised considering recent census data), at a national level, an increase of just over 6 million immigrants between 2012 and 2041; this would mean an incidence on the total of residents that would rise steadily from the current 7%, to the 16% In the next two decades we will assist to an increase of nearly 2 .5 million immigrants This is insufficient to fully compensate the strong decline of the Italian component of the population, which will go down by as much as 4 .4 million between 2041 and 2061 .» (Ibid ., p 15) Si tratta solo di definire lo spazio di oscillazione entro il quale si collocherà l’ampiezza della componente di origine straniera; le diverse analisi sembrano comunque certificare un profondo e ineluttabile cambiamento demografico: «L’incidenza della popolazione straniera sul totale passerebbe dal 9,7% del 2009 al 18% nell’hp bassa, al 19,7% nella centrale ed al 22,7% nella alta al 2028, in assenza di modifiche alle attuali leggi di acquisizione della cittadinanza italiana .» (Mazzocchetti/ Valentini, 2010) Ci può essere anche un’altra ipotesi: «Quanto alle previsioni per i prossimi anni, l’Istat prevede una crescita annua della popolazione straniera residente compresa nell’intervallo 10,3%-11,1% nel breve termine Le stime a medio termine per l’anno 2031 invece prevedono di raggiungere una cifra di stranieri nel Paese compresa tra i 7,3 e i 9,1 milioni, mostrando una continua crescita anche nel lungo termine, anche se ad un tasso del 1,3%, più contenuto rispetto a quello previsto per i prossimi vent’anni (che è di circa 3,5% l’anno), portando ad un ammontare di circa 11 milioni di unità In termini relativi invece, il numero di cittadini stranieri sul totale della popolazione 2_IH_Italienisch_73.indd 93 19.05.15 11: 40 9 4 Fra 40 anni, l’Italia che verrà Massimo Vedovelli è previsto tra il 12,5% e il 14% nel 2031 e circa il 17% nel 2051, in linea con gli altri Paesi europei .» (Soddu, 2011) L’Italia ne sarà comunque profondamente cambiata 5. Il combinato disposto di economia e demografia Giunti a questo punto della nostra presentazione di dati e collocandoci entro un quadro non di tipo sociolinguistico, ma - richiamando il titolo dell’ormai lontano lavoro di Hager/ Haberland/ Paris (1973) - in cui vanno in parallelo la sociologia e la linguistica, possiamo esplicitare le nostre ipotesi di lavoro La citata indagine della CGIL (v § 3 .1) afferma, nella sua ipotesi più pessimistica, che la quantità di posti di lavoro che in Italia si aveva prima del 2008 si potrà riavere solo fra 63 anni, ovvero: dalla crisi l’Italia uscirà fra 63 anni! Visione davvero pessimistica, alla quale ne contrapponiamo una più ottimistica, affermando che, invece, basteranno solo venti - trenta anni Con ciò vogliamo dire che occorre anche considerare le analisi previsionali di tipo demografico per individuare il vero motore che consentirà di uscire dalla crisi, ovvero l’immigrazione straniera Fra alcuni decenni, infatti, l’immigrazione straniera, a detta dei demografi, costituirà una quota determinante della composizione della società italiana: non meno del 20%, forse anche molto di più Dai citati rapporti del Ministero del Lavoro e della Banca d’Italia emerge chiaramente il ruolo trainante dell’immigrazione straniera entro il mercato del lavoro italiano: certo, la crisi colpisce duro sia gli italiani, sia gli immigrati; questi, di conseguenza, escono dal mercato del lavoro e non infrequentemente ritornano nei loro Paesi o migrano verso altri Certamente, però, gli immigrati stranieri rientrano più facilmente nel mercato del lavoro rispetto agli italiani; inoltre, le imprese appartenenti a immigrati stranieri sono in notevole e costante aumento: i dati dei rapporti annuali delle Camere di Commercio analizzati da IDOS (2014) in 497 .080 le imprese di immigrati in Italia, nel totale di 6 .061 .960, pari all’8,2%; quelli dell’indagine CNEL le danno addirittura all’11% (CNEL, 2011) In definitiva, se si combinano gli indici demografici e quelli sulle tendenze del mercato del lavoro, si comprende facilmente come sarà l’Italia fra qualche decennio: dalla crisi uscirà perché gli immigrati saranno tanti, avranno lavorato, si saranno conquistati posizioni anche dirigenziali entro gli assetti sociali, avranno creato valore e ricchezza Si tratta, allora, di uno scenario che segnala un cambiamento demografico, economico, produttivo, generalmente sociale del nostro Paese E aggiungiamo: anche culturale e linguistico Vediamo quali conseguenze si potrebbero avere su questa dimensione 2_IH_Italienisch_73.indd 94 19.05.15 11: 40 95 Massimo Vedovelli Fra 40 anni, l’Italia che verrà 6. Scenari della futura Italia linguistica e ipotesi di politica linguistica per il suo sviluppo 6.1 Globale e locale, unitario e locale nello spazio linguistico italiano Le nostre considerazioni, che rinnoviamo al dibattito scientifico, 6 si fondano sull’assunto che l’Italia stia vivendo un processo di modifica dei propri assetti idiomatici, che si colloca a ridosso della stabilizzazione raggiunta con la creazione e diffusione generalizzata di moduli condivisi di lingua di uso comune A nostro avviso, il fattore che più fortemente incide sull’attuale processo è costituito dalle lingue degli immigrati stranieri, che si sono inserite nello spazio linguistico nazionale venendone a costituire una specie di ‹quarto asse›, appunto quello delle lingue immigrate, che si pone accanto a quelli dell’italiano, dei dialetti, delle lingue delle minoranze di antico insediamento: un nuovo asse dove si collocano gli idiomi che complessivamente appaiono generatori di neo-plurilinguismo Affermare che questa nuova configurazione dello spazio linguisticoculturale nazionale rappresenti una vera e propria rivoluzione può sembrare azzardato, almeno allo stato attuale delle cose, ma meno azzardato ci sembra se consideriamo i futuri esiti, che molto probabilmente si staglieranno nettamente nei prossimi decenni, ma i cui prodromi ci sembrano già ora visibili L’attuale situazione linguistica italiana vede ormai mettersi in moto alcune dinamiche sotto le pressioni di modalità di contatto fra idiomi e culture che alcuni inquadrano entro i nuovi termini del supercontatto linguistico e culturale che si è prodotto con il mondo globale e post-globale: 7 riteniamo che i flussi di popolazioni immigrate dall’estero siano causa primaria di queste pressioni e dei relativi cambiamenti Entro lo scenario del mondo globale e post-globale l’Italia linguistica si presenta con un assetto non omogeneamente unitario, anche solo riferendoci ai tradizionali attori idiomatici delle nostre vicende, ovvero l’italiano, i dialetti, le lingue delle minoranze storiche La diffusione di moduli linguistici unitari vede comunque al suo fianco la presenza viva e vitale di moduli che hanno le proprie radici negli idiomi locali, sentiti come il luogo del calore della relazione sociale familiare e dell’espressività spontanea Tullio De Mauro ricorda il percorso compiuto almeno da una parte della società italiana «contro l’aulicità, la tromboneria, la polverosità accademica degli usi scolastici, solenni, della nostra lingua» (Camilleri/ De Mauro, 2013, p 42), e di rincalzo Andrea Camilleri sottolinea il carattere ‹terrorizzante› del linguaggio del potere, in italiano (ibid ., p 110) Ancora De Mauro ricorda come questo percorso avesse il fine di allontanarsi da «un uso forzatamente inamidato, povero di spontaneità, povero della capacità di parlare della ‹qualunque› (come si dice in Sicilia), dalle cose più private e concrete e trite a quelle più pubbliche, astratte e magari anche solenni ma senza retorica» (ibid ., p 122) . 8 2_IH_Italienisch_73.indd 95 19.05.15 11: 40 9 6 Fra 40 anni, l’Italia che verrà Massimo Vedovelli Lo storico plurilinguismo della Penisola si mantiene entro il mondo globale, e si ridefinisce continuamente nella tensione fra una lingua comune e condivisa dalla stragrande maggioranza della popolazione, ma sentita ancora come poco familiare, cioè come poco dotata di calore espressivo, e gli idiomi locali, cui attingere le forme dell’espressività calda, forte, incisiva Su questo storico assetto plurilinguistico, che potrebbe anche essere considerato il modello paradigmatico della cittadinanza linguistica europea, almeno per come questa è delineata dai principali documenti di politica linguistica comunitaria: Consiglio d’Europa (2002) e Commissione Europea (2008); ebbene, su questo storico assetto plurilinguistico agiscono poi le forze di natura planetaria: la diffusione di una lingua-pivot globale, la creazione di un mercato globale delle lingue fortemente competitivo, l’inserimento di centinaia di nuovi idiomi entro i panorami dell’uso linguistico quotidiano per la presenza dei moltissimi gruppi di immigrati stranieri Questo storico plurilinguismo viene sollecitato, dunque, dall’interno e dall’esterno in una dialettica fra spinte generalmente omogeneizzanti, rinnovate resistenze idiomatiche e nuove presenze di diversità linguistica Soprattutto i nuovi idiomi presenti rialimentano il tradizionale plurilinguismo storico, accentuando il carattere intrinsecamente plurimo degli assetti idiomatici nazionali Occorre tenere sempre presente che l’Italia è il primo Paese dell’Unione Europea per indice di diversità linguistica, e al 13° posto nel mondo in base al rapporto fra l’indice di diversità di Greenberg (0,58) e il numero di idiomi parlati . 9 Ci preme sottolineare, in aggiunta a questa condizione plurilingue, la produttività del concetto di ‹neo-plurilinguismo› in vista di una analisi della condizione idiomatica nazionale che tenga conto sia delle novità che si manifestano nell’attuale momento, sia le radici storiche della sua identità Per neoplurilinguismo intendiamo quel fattore che entro lo spazio linguistico nazionale, come già detto, struttura un quarto asse costitutivo in aggiunta a quelli storicamente propri della Penisola: le almeno 120 nuove lingue straniere introdotte in Italia dagli immigrati stranieri radicati nelle comunità locali si collocano strutturalmente entro lo spazio idiomatico nazionale aggiungendovi un ulteriore fattore di pluralità di lingue (e di linguaggi e culture) . 10 A nostro avviso, si tratta di un neo-plurilinguismo e non della semplice aggiunta di un elemento a un quadro intrinsecamente e storicamente già plurilingue 6.2 primo elemento dell’ipotesi: il neo-plurilinguismo rappresenta una conferma e una frattura del tradizionale plurilinguismo italiano Per delineare un possibile modello di analisi delle dinamiche sociolinguistiche italiane conseguenti alla globalizzazione e all’immigrazione straniera e dei loro possibili esiti futuri ricorriamo ai concetti di ‹spazio linguistico›, di ‹lingua immigrata› e di ‹neo-plurilinguismo› 2_IH_Italienisch_73.indd 96 19.05.15 11: 40 97 Massimo Vedovelli Fra 40 anni, l’Italia che verrà Per spazio linguistico intendiamo, sulla scia di De Mauro (1980), un modello capace di definire i confini entro i quali si iscrivono le scelte degli appartenenti a una comunità linguistica (nel nostro caso, la società italiana), le loro possibilità di scelta in rapporto ai diversi livelli di competenza Usato in questo senso, il concetto di ‹spazio linguistico› si avvicina a quello di ‹repertorio linguistico› . 11 L’originale modello tridimensionale si amplia a uno spazio linguisticamente ‹non euclideo› almeno quadridimensionale, con l’aggiunta - per ciò che riguarda la situazione entro i confini nazionali - dell’asse delle lingue immigrate Per lingua immigrata intendiamo, sulla scia di Bagna/ Machetti/ Vedovelli (2003), una lingua appartenente a uno dei gruppi di immigrati stranieri in Italia che risponda ai parametri di bassa fluttuazione sociale, alto radicamento nei territori sociali locali, vitalità di uso intracomunitario, visibilità nei panorami linguistici (Hélot/ Barni/ Jansens/ Bagna, 2012) Evitiamo di sovrapporre il concetto di ‹lingua immigrata› a quello generico di ‹lingue degli immigrati›, ovvero degli idiomi che sono quelli di origine degli immigrati stranieri in Italia Se tali idiomi non accompagnano, però, l’opera di inserimento e integrazione negli specifici contesti socioculturali e linguistici locali, non crediamo che possano avere ‹peso linguistico› nella determinazione di effetti sulla generale condizione idiomatica nazionale . 12 Il primo elemento che deriva dalla loro applicazione è l’idea che il neoplurilinguismo costituisca un fattore dalla duplice portata: da un lato conferma il tradizionale carattere storico del plurilinguismo italiano e la capacità della Penisola di accettare nuove lingue, di assorbire ingressi di nuovi elementi idiomatici, di essere disponibile a ‹fare spazio› ai nuovi soggetti idiomatici rendendoli parte della propria identità Dall’altro lato, però, il neo-plurilinguismo delle lingue immigrate rappresenta una vera e propria frattura rispetto sia alla tradizione storica plurilingue, sia rispetto agli esiti delle recenti vicende linguistiche nazionali Il neo-plurilinguismo delle lingue immigrate va, al contrario, a rafforzare un movimento intrinseco alla condizione linguistica degli italiani, apportandovi ulteriore linfa idiomatica, come sembra auspicato dalle parole di A Camilleri: «La mia esperienza è che siccome la lingua è sempre in movimento, in una progressione lenta e costante, da questo meticciato di lingue degli extracomunitari e dei migranti tutti, il guscio vuoto, come dici tu, possa essere riempito da queste nuove parole che arrivano da fuori […] Ecco, io spero che il guscio che si sta svuotando possa essere colmato, arricchito e non sostituito, da parole nuove e diverse che diventeranno parole nostre Mi è capitato di leggere alcuni racconti scritti da extracomunitari e la forza e 2_IH_Italienisch_73.indd 97 19.05.15 11: 40 9 8 Fra 40 anni, l’Italia che verrà Massimo Vedovelli l’energia del loro italiano, nonostante la povertà linguistica, sono talmente dirompenti che l’italiano acquista un vigore nuovo, una nuova linfa che ringiovanisce la parola .» (Camilleri/ De Mauro, 2013, pp 125-126) 6.3 Secondo elemento dell’ipotesi: la limitata pressione della lingua italiana sulle lingue immigrate, la pressione disseminata dello spazio linguistico A una società italiana che praticamente nella sua generalità può usare una lingua condivisa ha anche corrisposto un forte aumento di ‹insicurezza› linguistica, che assume di volta in volta forme diverse e contraddittorie Può essere, allora, l’oscura lingua della burocrazia, delle leggi, della comunicazione sociale a dare forma a questa insicurezza, che appare funzione dello scontro fra gruppi sociali (e il potere linguistico viene ad assumere il ruolo di simbolo del potere sociale) e dello scontro fra visioni diverse della lingua e dei suoi usi Può essere, ancora, la perdita di efficacia comunicativa e di forza espressiva che spesso si rimprovera a chi oggi usa la lingua italiana (e oggetto dei lai possono essere i giovani o certi scrittori di moda, uniti dall’essere considerati lontani dai fasti della lingua di una volta) È un dato di fatto la persistente vitalità degli idiomi locali: e il successo letterario di Camilleri o degli altri scrittori che ricorrono agli idiomi locali, anche ricreandoli, non fa che confermare il fatto che per una parte ampia di italiani esiste ancora una distanza rispetto all’italiano: forse non rispetto a tutto l’italiano, ma sicuramente rispetto a una sua parte sì Né la scuola né la televisione né gli altri mezzi di comunicazione di massa / a tecnologia avanzata sembrano in grado oggi di ricucire questa distanza In due sensi parliamo di insicurezza linguistica a livello nazionale Innanzitutto, facendo riferimento ai recenti risultati delle indagini comparative internazionali sui livelli di capacità linguistiche della popolazione complessiva e di quella scolastica promosse dall’OCSE (OECD, 2013a, 2013b) La prima delle due indagini colloca la popolazione italiana dai 16 ai 65 anni all’ultimo posto fra i 24 paesi OCSE oggetto della rilevazione comparativa sulle capacità di lettura, scrittura, far di conto e lavorare al PC La seconda indagine mostra che i nostri studenti, pur migliorando di qualche punto rispetto alla precedente indagine del 2009, sono ancora sotto la media OCSE per quanto riguarda la matematica, la lettura, le scienze Da queste due recentissime indagini deriviamo una grave carenza linguistica nella L1 a livello dell’intera popolazione italiana: eufemisticamente, la chiamiamo insicurezza linguistica L’altro senso in cui usiamo tale espressione non fa riferimento agli effettivi livelli di competenza in italiano accertati, valutati, certificati, ma a un immaginario delle lingue spontaneamente diffuso che tende sempre di più per 2_IH_Italienisch_73.indd 98 19.05.15 11: 40 99 Massimo Vedovelli Fra 40 anni, l’Italia che verrà moltissimi italiani a considerare l’italiano distante, e a preferire gli idiomi locali e comunque a sentirli più vicini, intimi, familiari, propri, più capaci di dare forma espressiva ai contenuti In questo scenario, ne consegue che anche la lingua italiana, agli occhi degli immigrati, viene ad avere un ruolo non unico come punto di riferimento per l’apprendimento della lingua per la comunicazione: per la sopravvivenza quotidiana, per il posto di lavoro, ma anche per l’interazione negli uffici il ricorso all’italiano è indispensabile, ma agli immigrati appaiono chiari anche altri punti di riferimento Le parlate locali, anche negli uffici, anche nelle bocche dei pubblici ufficiali con i quali gli immigrati interagiscono nelle loro situazioni di più formale relazionalità, sono presenti in modo costante e intenso E allora, ecco che l’interlingua di apprendimento sviluppata dagli immigrati si viene a trovare al punto di incontro fra le varie componenti dello spazio linguistico italiano, non solo al punto di incontro fra l’italiano e le lingue di origine degli immigrati Queste, inoltre, vengono a subire una pressione inferiore rispetto a quanto avviene in altri Paesi proprio perché la forza della lingua del contesto è disseminata, in realtà, fra i vari idiomi presenti nel contesto: l’italiano e gli idiomi locali Le lingue immigrate trovano in questo fatto un potente fattore di resistenza per la loro vitalità e visibilità in Italia: o meglio, un fattore di resilienza 6.4 terzo elemento dell’ipotesi: la resilienza delle lingue immigrate La resilienza è la «capacità di un materiale di resistere a deformazioni o rotture dinamiche, rappresentata dal rapporto tra il lavoro occorrente per rompere un’asta di tale materiale e la sezione dell’asta stessa», o la «capacità di un filato o di un tessuto di riprendere la forma originale dopo una deformazione» (De Mauro, 2000) Usiamo qui tale concetto in modo metaforico, per opporlo a quello di ‹resistenza›, spesso usato per descrivere i rapporti di forza fra gli idiomi nei contesti di contatto migratorio: la resistenza delle lingue immigrate alla pressione dell’italiano e degli altri idiomi dello spazio linguistico italiano ci sembra prefigurare un destino inevitabilmente votato alla scomparsa, al progressivo annullamento degli usi delle lingue immigrate La resistenza delle lingue immigrate all’italiano o allo spazio linguistico italiano definisce un quadro passivo, dove le lingue immigrate possono solo cercare di trincerarsi entro terreni di funzionalità e usi definiti, isolati, progressivamente sempre più poveri e marginali rispetto al restante universo dello scambio sociale Di fatto, questo è stato il destino di molte lingue dei gruppi di migranti, e da tale destino non sono stati esenti nemmeno gli idiomi portati all’estero dagli emigrati italiani nelle loro varie ondate postunitarie di spostamenti: i loro idiomi - i dialetti, essendo l’italiano puramente marginale soprat- 2_IH_Italienisch_73.indd 99 19.05.15 11: 40 10 0 Fra 40 anni, l’Italia che verrà Massimo Vedovelli tutto nelle prime ondate migratorie dopo l’unità nazionale - si sono mescolati fra di loro e con la lingua dei Paesi di arrivo, oppure sono rimasti in una condizione archeologica di conservatività marginale, oppure sono stati semplicemente soppiantati dalle lingue locali con il trascorrere delle generazioni, oppure, infine, sono scomparsi o stanno scomparendo sotto i colpi di maglio della globalizzazione linguistica e dei rapporti di potere fra gli idiomi come conseguenza dei nuovi ordini linguistici globali La situazione delle lingue immigrate ci sembra diversa, invece, nel caso italiano Qui, il loro radicamento nei territori sociolinguistici locali innesca dinamiche nelle quali l’idioma pressorio di riferimento, cioè l’idioma usato in modo generalizzato dalla comunità locale e nel quale questa trova le forme della propria identità, non è necessariamente solo l’italiano, ma il più delle volte è vario e vede un ruolo non secondario dell’idioma locale All’italiano rimane il valore della lingua dei contesti formali, istituzionali (la questura, la scuola, la televisione), e perciò necessariamente da apprendere, anche perché capace di dare al migrante la ‹sicurezza linguistica› che deriva dal possesso della lingua-pivot del sistema Rimane anche la lingua estesa nazionalmente e perciò utile in un progetto migratorio non definito o non cristallizzato in una unica localizzazione del migrante Italiano e idiomi locali assumono, nell’immaginario del migrante, valori e configurazioni funzionali diverse: da quelle di prestigio a quelle più strumentalmente necessarie per la sopravvivenza comunicativa quotidiana o per il lavoro Alle lingue immigrate si contrappone, allora, un fronte non lineare, non unitario, i cui soggetti idiomatici assumono diversa forza pressoria da realtà a realtà: un conto sono le grandi città e i loro quartieri multietnici, un conto sono i piccoli centri con il loro forte radicamento nella lingua-cultura locale Il migrante elabora una strategia ‹a geometria variabile› di rapporto con il multiplo panorama idiomatico del contesto sociale dove si è inserito: lui, la sua famiglia, la sua comunità, le altre comunità di immigrati In questo rapporto dinamico e non lineare fra le lingue immigrate e le componenti degli spazi linguistici locali, le lingue immigrate trovano le condizioni non per un processo lineare di resistenza - assimilazione, ma per quella che ci sembra costituire una resilienza, cioè una capacità di adattarsi alle pressioni mantenendo la propria vitalità e anzi contribuendo a ridefinire lo stato delle relazioni entro il sistema dei soggetti idiomatici Là dove la forza pressoria è disseminata, e dove le strutture sociali e quelle istituzionali spesso vivono lungo traiettorie differenti (come è il caso dell’Italia oggi), le lingue immigrate possono trovare spazi funzionali per continuare a essere usate nei contesti intracomunitari, ma anche per espandersi oltre tali confini Non solo resistono, dunque, ma vivono in stato di resilienza, continuando cioè a vivere, a essere vitali Gli immigrati, così, trovano per i loro idiomi di origine spazi 2_IH_Italienisch_73.indd 100 19.05.15 11: 40 101 Massimo Vedovelli Fra 40 anni, l’Italia che verrà di uso che inducono una forza di negoziazione simbolica di cui proprio gli idiomi sono oggetto e nello stesso tempo marchi simbolici La visibilità delle lingue immigrate nei panorami linguistici segnala tale dinamica di negoziazione: i gruppi immigrati si radicano nei contesti sociali, vi si collocano trovando un proprio spazio, vi assumono un ruolo anche a livello di sistema produttivo Vi trovano anche spazi le proprie lingue, che in Italia vengono sanzionate solo nelle ideologie trasversali dell’ignoranza linguistica e dell’arretratezza culturale . 13 Tutto ciò vale con esclusione delle situazioni che costituiscono lo spazio deprivato dell’uso linguistico ristretto degli immigrati che, per la loro condizione di marginalità sociale, non sono riusciti ad avere un contatto con lo spazio linguistico italiano tale da indurre livelli di elaborazione e di competenza capaci di far superare la soglia della pura sopravvivenza comunicativa quotidiana 7. Obiettivi di una possibile politica linguistica: le lingue immigrate servono all’Italia e alla sua economia Che la condizione delle lingue immigrate entro lo spazio linguistico italiano non sia quella di una resistenza ineluttabilmente destinata alla sconfitta e alla loro scomparsa può essere considerata anche dal punto di vista dei processi economici, cui abbiamo già fatto riferimento Se la componente demografica di origine immigrata andrà aumentando e se crescerà il suo ruolo entro il sistema economico, potrà solo convenire all’economia italiana che le lingue immigrate rimangano vive Le gravi carenze nella conoscenza delle lingue straniere che caratterizzano l’Italia a ogni livello si fanno sentire pesantemente anche sui processi di internazionalizzazione dell’economia Senza le lingue degli altri, soprattutto delle aree in forte sviluppo che costituiscono mercati sempre più vasti potenzialmente anche per le merci italiane; ebbene, senza le lingue degli altri il nostro sistema economicoproduttivo avrà ulteriori difficoltà a uscire dalla crisi: difficoltà create da una carenza di ordine linguistico-culturale Tale arretratezza italiana investe la scuola e le sue politiche linguistiche finora messe in atto, che hanno trascurato il riconoscimento della difficoltà sociale di avere chiari punti di riferimento e armonici modelli di convivenza fra idiomi diversi entro il plurilinguismo spontaneo italiano, ed è certificata dalle più recenti inchieste promosse a livello europeo . 14 Già in Baker/ Eversley (2000) viene segnalato quanto le lingue immigrate siano importanti per i sistemi produttivi, in riferimento a quello inglese: gli immigrati, con le loro lingue vive e vitali, possono rappresentare i veri mediatori fra i sistemi produttivi, cioè coloro che sono capaci di mettere in contatto il sistema produttivo nazionale con quello dei loro Paesi di origine 2_IH_Italienisch_73.indd 101 19.05.15 11: 40 102 Fra 40 anni, l’Italia che verrà Massimo Vedovelli Ciò che per gli Autori inglesi appare pragmaticamente utile e rilevante potrebbe esserlo anche per l’economia italiana, e il contrario ci appare difficilmente concepibile Esistono, certo, ancora forti resistenze a riconoscere il valore del plurilinguismo immigrato anche da parte degli stessi imprenditori, che ancora troppo frequentemente riconoscono nell’immigrazione straniera solo la forza lavoro a basso prezzo, e che ancora troppo frequentemente sono lontani dal valorizzare il tratto culturale percepito dagli stranieri nei prodotti italiani Eppure, segnali cominciano a giungere anche da tale componente circa un cambiamento di atteggiamento, di una maggiore apertura verso il ruolo delle lingue immigrate e dei loro locutori entro le imprese . 15 E ancora, se la componente demografico-produttiva immigrata andrà ad aumentare nel futuro, sarà difficile pensare che si indeboliranno i rapporti con i Paesi di origine Di conseguenza, ci sembra che possano esistere le condizioni per consentire la valorizzazione dell’uso delle lingue immigrate ai fini della ripresa economico-produttiva italiana Il futuro linguistico del Paese ci sembra possa delinearsi, perciò, come ancora nel solco della tradizione plurilingue, rinnovata e rialimentata dalle lingue immigrate, utilizzabili anche come produttore di valore non solo culturale, ma anche economico 8. Conclusioni: quale mondo verrà Non lo sappiamo e forse mai potremo saperlo Sappiamo, però, che fra Babele e la Pentecoste, fra la paura babelica delle lingue degli altri e la grazia delle lingue come un dono che gli umani hanno a disposizione, occorre scegliere questa seconda opzione E i bambini, i giovani sono coloro che possono appoggiarsi su una ricchezza plurilinguistica che tale è finché gli adulti, la scuola, le ideologie razziste non vengono a sporcarla, a depauperarla L’Italia che verrà fra sessanta anni avrà risolto la crisi - lo dice il rapporto CGIL - che noi abbiamo creato e che hanno creato coloro che hanno voluto impoverire le famiglie italiane e con ciò colpire i fondamenti democratici del nostro vivere civile, fondato sul lavoro e sulla partecipazione responsabile Impoverendo le famiglie, svuotando di valori la nostra Costituzione vissuta, hanno in realtà ucciso il Paese, impoverendo la cultura di tutti Si tratta di recuperare tale nostro patrimonio, fatto di opere d’arte, letterarie, musicali; di creatività, di gusto e di buon gusto; fatto anche di lingue: vecchie e nuove, che dovremo conquistare e riconquistare Lingue che coloro che ci saranno fra sessanta anni (ma anche solo fra venti anni) potranno possedere, se oggi noi porremo le condizioni affinché ciò avvenga: assumendoci la responsabilità dello sviluppo del plurilinguismo vecchio e nuovo, combattendo contro coloro che vogliono uccidere la democrazia linguistica e la 2_IH_Italienisch_73.indd 102 19.05.15 11: 40 103 Massimo Vedovelli Fra 40 anni, l’Italia che verrà libertà di espressione, muovendo le teorie della nostra linguistica educativa verso una politica linguistica che veda nelle lingue - nella pluralità delle lingue - un valore in sé Abstract. Der Beitrag gibt einen Überblick über eine Reihe von demografischen, sozialen und ökonomischen Phänomenen, die zur Zeit die Struktur der italienischen Gesellschaft verändern, und fragt, was daraus für den italienischen ‹Sprachraum› in den nächsten zehn Jahren folgen könnte Auch wenn es nicht möglich ist, Voraussagen für die Entwicklung der sprachlichen Situation Italiens in den nächsten - Jahrzehnten zu machen, so tritt die Rolle der Immigration von außen doch deutlich hervor angesichts ihrer nicht unerheblichen demografischen und wirtschaftlichen Bedeutung Die Untersuchung führt mithin das Konzept des ‹neoplurilinguismo› ein, um den zweifachen Prozess zu betonen, den die Immigranten mit sich gebracht haben: einerseits installieren sie die mitgebrachten Sprachen im italienischen Sprachraum und andererseits machen sie sich die italienische Sprache zu eigen Im Hinblick auf die Sprachausbildung - wird der Umgang mit der vielsprachigen Kompetenz der Immigranten zu einem hochrelevanten Thema der Sprachpolitik Note 1 Di recente, la denominazione di tale prospettiva di studi linguistici (appunto: linguistica prognostica, linea di studi prospettici) è stata menzionata da M . Arcangeli il quale l’ha riutilizzata, intervistato da La Repubblica in occasione di una edizione del dizionario Zingarelli: «Il nostro lavoro ha un che di visionario - racconta Arcangeli - è una questione di fiuto: bisogna intuire se una parola avrà fortuna, resterà nel tempo, anche se è nuova» . Già, perché «cloud computing» non è certo un’espressione di lunga data: «Si tratta in questo caso [di] ‹linguistica prognostica› . Sono convinto che quest’espressione è destinata a durare molto, vedo per lei un destino roseo . Può apparire rischioso ma è il bello del mestiere», racconta il linguista, in: «Intervista di Francesca Sironi a Massimo Arcangeli», La Repubblica, ed . on line, 12 ottobre 2011 2 Le analisi della condizione sociale dell’immigrazione straniera hanno fonti note: innanzitutto, l’annuale Dossier prima della Caritas e ora dell’UNAR - Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, che si basa anche su dati del Ministero dell’Interno e dell’ISTAT; a questo aggiungiamo i lavori prodotti da Eurobarometro, l’Istituto statistico europeo, nonché quelli della Banca d’Italia (D’Amuri/ Peri, 2012) . Diverse ricerche sono state realizzate dai Ministeri che trattano la materia immigrazione, quali, ad esempio, il Ministero dell’Interno, quello dell’Istruzione, quello del Lavoro e delle Politiche Sociali . Sempre nel 2012 il CNEL e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali hanno prodotto due rapporti congiunti sugli indici di integrazione degli immigrati stranieri in Italia e sul ruolo degli immigrati nel mercato del lavoro (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2012a, 2012b) . Il collegamento fra la condi- 2_IH_Italienisch_73.indd 103 19.05.15 11: 40 10 4 Fra 40 anni, l’Italia che verrà Massimo Vedovelli zione linguistica dell’immigrazione straniera in Europa e la condizione sociale e lavorativa è stato tematizzato dall’indagine comparativa di Huddleston/ Dag Tjaden, 2012 3 L’attuale stratificazione per fasce d’età fa emergere anche una serie di questioni legate alla vera ‹prima generazione di immigrati stranieri›, ugualmente costituita al momento del suo ingresso in Italia negli anni Settanta e Ottanta da giovani adulti che ora sono letteralmente scomparsi dall’attenzione sociale e anche degli studi linguistici: una generazione che va ormai verso l’età anziana; che forse sta uscendo dal mercato del lavoro; che forse è rientrata nei Paesi di origine . Che fine hanno fatto le loro competenze in italiano acquisite spontaneamente? Sono state reinvestite nei Paesi di ritorno? Sono andate disperse nelle storie migratorie individuali come ulteriore fattore di fallimento (come non infrequentemente accaduto ai nostri emigrati rientrati negli anni Settanta sotto la pressione della ‹crisi del petrolio›)? Oppure, la loro competenza in italiano L2 si è stabilizzata a livelli tali da garantire il pieno inserimento sociale? Qual è il grado di loro assimilazione linguistica all’italiano (se c’è stata) e di fedeltà alle lingue d’origine? Si tratta di domande che si aprono di fronte alla ricerca sociolinguistica 4 Anche il fenomeno dei rientri nei Paesi di origine ha interessanti correlati di tipo linguistico, dal momento che i migranti riportano con sé l’esperienza del contatto con lo spazio linguistico italiano, che perciò trova nuove vie popolari di presenza nel mondo . Una serie di rilevazioni messe in atto presso il Centro di Eccellenza della Ricerca Osservatorio Linguistico Permanente dell’Italiano diffuso fra stranieri e delle lingue immigrate in Italia dell’Università per Stranieri di Siena mostra anche come dai rientri derivino conseguenze di aumentata visibilità della lingua italiana nei panorami linguistici dei Paesi di origine: non rari, infatti, sono i casi di attività commerciali (ristoranti, pizzerie ecc .) dal nome Bella Napoli o Marechiaro o con altre denominazioni italiane 5 I dati che citiamo sono ripresi da The Economist (2000, 2010, 2013) 6 Abbiamo riproposto diverse delle considerazioni qui esposte al convegno organizzato dall’Accademia della Crusca sul tema Città d’Italia: ruolo e funzioni dei centri urbani nel processo postunitario di italianizzazione, Firenze, 18-19 aprile 2013: Vedovelli/ Barni (2014) 7 Sulle questioni della superdiversità v . Vertovec (2006, 2007, 2010); su quelle conseguenti del supercontatto linguistico v . Barni/ Vedovelli (2009, 2011) 8 Il volume dal quale abbiamo tratto le citazioni ha la forma di un dialogo fra il linguista e lo scrittore . Ci colpiscono, ai fini delle nostre considerazioni, le battute conclusive, dove De Mauro sottolinea, accanto alla ormai larghissima diffusione dell’italiano (ancorché non esclusiva per il 50% della popolazione) i punti di criticità strutturale che accompagnano questo processo: «Quanto all’italiano, penso che anche il suo buon uso avrebbe richiesto - e richiederebbe - un ordito di base solido, che a me sembra dovrebbe consistere in una larga adesione alla cultura intellettuale, artistica, scientifica, buona informazione, teatro, musica, cinema, libri, amore per il sapere critico, storico, scientifico . Ma è proprio qui che le note si fanno dolenti» (ibid ., pp . 124-125) . Ovvero: i livelli culturali di base sono bassissimi per la società italiana, e questo dato si intreccia con quello linguistico limitandone fortemente gli effetti possibili in termini di diffusione di usi autenticamente sentiti e fortemente espressivi dell’italiano . Sull’argomento v . anche De Mauro (2014) 9 http: / / www .ethnologue .com/ ethno_docs/ distribution .asp? by=country, elaborato da The Economist on line, 15 .02 .2012; La fonte individua in 33 il numero di idiomi parlati nel nostro Paese (ved . Tab . n . 1) 10 La prima ricognizione che mira a individuare quali e quante siano le lingue immigrate in Italia è Vedovelli/ Villarini (2001) 2_IH_Italienisch_73.indd 104 19.05.15 11: 40 105 Massimo Vedovelli Fra 40 anni, l’Italia che verrà 11 La possibilità di selezione di usi linguistici si struttura tradizionalmente in rapporto a tre assi, costitutivi dello spazio intrinsecamente - ovvero, storicamente - plurilingue: l’asse dei dialetti e delle loro varietà; l’asse dell’italiano e delle sue varietà; l’asse degli idiomi delle minoranze di antico insediamento entro i confini nazionali . L’originario modello di De Mauro determina più generalmente le modalità di uso linguistico in rapporto alla informalità - formalità - formalizzazione delle realizzazioni; alla dimensione idiolettale - pantolettale; alla diversità dei canali della comunicazione 12 Dopo la proposta di distinzione fra i concetti di ‹lingua immigrata› e di ‹lingua del migrante› fatta in Bagna/ Machetti/ Vedovelli (2003), anche gli studi italiani di sociolinguistica migratoria e di linguistica acquisizionale si sono confrontati con l’universo degli idiomi entrati nello spazio linguistico italiano al seguito degli immigrati stranieri . Rimandiamo, su tale materia, almeno a Dal Negro/ Molinelli (2002), Chini (2003, 2004, 2009), Massariello Merzagora (2004), D’Agostino (2005), Dal Negro/ Guerini (2007), Bernini/ Spreafico/ Valentini (2008), Bombi/ Fusco (2004), Vietti (2005, 2009), Berruto (2009), Valentini (2009) . Lüdi (2011), nel suo approccio generale alla questione parla di ‹lingue di immigrazione› 13 Ci riferiamo, ad esempio, a quelle ordinanze di diversi Comuni che hanno vietato le insegne dei negozi nelle lingue immigrate, o alle normative ministeriali che per anni si sono rifiutate anche solo di riconoscere l’esistenza delle lingue di origine degli alunni figli di immigrati stranieri 14 Ci riferiamo alla ricerca ‹Language Rich Europe›: Extra/ Ya ˇ gmur (2012), con il contributo italiano realizzato dall’Università per Stranieri di Siena e dal LEND - Lingua e Nuova Didattica (Barni, 2012) 15 La Regione Toscana ha promosso un progetto, realizzato dall’Università per Stranieri di Siena, per diffondere la conoscenza delle lingue straniere dei Paesi con cui le imprese toscane (nei loro distretti o ambiti produttivi) interagiscono: si tratta del progetto «Le lingue straniere come strumento per sostenere il sistema economico e produttivo della Regione Toscana: LSECON» (PAR FAS 2007-2013, Linea di azione 1 .1 .a .3, D .D . n 4508/ 2010) Bibliografia Bagna, C ./ Machetti, S ./ Vedovelli, M ., 2003, «Italiano e lingue immigrate: verso un plurilinguismo consapevole o verso varietà di contatto? », in: A . 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Badaloni, Roma: Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro-Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - DG dell’immigrazione e delle politiche di integrazione D’Agostino, M ., 2005, «Nuove condizioni linguistiche . Gli effetti dell’immigrazione», in: F . Lo Piparo/ G . Ruffino (a cura di), Gli italiani e la lingua, Palermo: Sellerio, pp . 70-92 D’Amuri, F ./ Peri, G ., 2012, Immigration, jobs and employment protection: evidence from Europe before and during the Great Recession (Immigrazione, struttura occupazionale e protezione dell’impiego: evidenze empiriche per l’Europa prima e durante la Grande Recessione), Banca d’Italia, Tema di discussione n . 886, ottobre 2012 D’Angelo, A ., 2013, «Immigrazione e presenza straniera nell’Unione Europea», in: UNAR, Immigrazione . Dossier Statistico 2013 . Rapporto UNAR . 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