Italienisch
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Narr Verlag Tübingen
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2015
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Fesenmeier Föcking Krefeld OttFranco Sepe: La cornetta del postiglione, Bagheria: Plumelia 2014, introduzione di Aldo Gerbino, pp. 66, € 4,50
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2015
Alessandro Baldacci
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152 Kurzrezensionen Franco Sepe: La cornetta del postiglione, Bagheria: Plumelia 2014, introduzione di Aldo gerbino, pp. 66, € 4,50 La Cornetta del postiglione, terzo libro di poesia pubblicato da Franco Sepe, dopo Elegiette berlinesi (Firenze Libri 1987) ed Elegia planetaria (Manni 2007), pone in primo piano figure e voci tese a interrogare l’esperienza del tempo e dello spazio Per questo l’allegoria del viaggio, prossimo alla sua conclusione, e la dialettica fra paesaggio interiore e paesaggio naturale sono i fuochi della raccolta Conferma di queste dinamiche l’abbiamo nella stessa struttura del libro, diviso in due parti: nella prima, che dà il proprio titolo all’intera raccolta, abbiamo una sorta di micro-romanzo biografico, dedicato alla figura di un anziano vetturino ormai prossimo a congedarsi dalla vita, mentre la seconda sezione, dal titolo Fogliettini da Exilles, sviluppa il tema della solitudine e della prigionia, oscillando fra un «universo di cemento» e una strenua ricerca di libertà cui la natura offre vie di fuga, scampoli di speranza Il nuovo libro di poesia di Sepe inizia dunque con un racconto in versi in cui un anziano, dalla ambigua soglia del suo cammino pressoché concluso, scorre alcune tappe della sua esistenza In apertura il vecchio vetturino ci appare dentro una diapositiva che è già una radiografia della sua anima: Ha una barba da santo, il postiglione, e siede a cassetta Lo sorprendono certi pensieri che fanno la vita più grama, più lieve il trasporto I componimenti si susseguono con modalità che ricordano, in parte, le caratteristiche della narrazione in versi proprie della poesia di Franco Buffoni (penso soprattutto a Suora carmelitana e altri racconti in versi o Il profilo del Rosa) Guidato dagli «svolazzi della stilografica» l’autore penetra, indugia, quasi cinicamente, o meglio con cinica pietà, nelle ferite che si producono fra tempo e memoria, fra i palpiti del cuore e il gelo della mente Attratto verso i ‹luoghi non giuridiszionali› propri dello stile tardo di Giorgio Caproni, La cornetta del postiglione scava nella solitudine del pensiero e dell’esperienza, in un passato condannato a farsi cumulo di fantasmi, musica remota e quasi interdetta, riverbero di parole scavate nel silenzio Come ha acutamente rilevato Aldo Gerbino, introducendo la raccolta, nella Cornetta del postiglione «è il ciclo della vita, inesorabilmente concluso, a mostrare l’usura per pena, per ansia di morte; a sostituire il grido della cornetta con un’eco, un tremor di fiato» Quasi quale propagazione o virtuale prosecuzione delle prosopopee caproniane, dove l’inoltrarsi nell’«orrido della vecchiaia» scorre di pari passo 2_IH_Italienisch_74.indd 152 16.11.15 07: 55 153 Kurzrezensionen con un’estrema sfida del (e nel) moderno, Sepe in questa sua raccolta dà forma ad un racconto in versi che spazia dal frammento di romanzo alla ballata, dall’aforisma alla cronaca interiore Il sofferto rimuginare di un mondo passato («I tempi non sono più quelli, mio caro, / quando d’inverno…») fa da leva per una polemica che chiama indirettamente in causa un presente sempre più spaesante, colonizzato da vuote mitologie, ombre allarmanti Dallo sfondo di questa implicita polemica svetta l’accigliata malinconia di un vecchio postale, «ospite della vita», che diviene ‹strumento› allegorico per una riflessione sul cieco gioco dell’esistenza, sulla solitudine, sulle promesse e le delusioni, le attese e gli addii, che intessono il destino umano Il postiglione ci appare come figura ormai curvata, oltre che sul proprio sedile, sulla soglia ultima di un congedo che sembra annunciarsi ad ogni svolta del cammino, ad ogni pausa del viaggio, producendo un iterato tu per tu con la morte, un ininterrotto memento mori («Tra i contorni di un’alba bruciata / vide se stesso nel vetro della finestra / come in un’ultima giornata terrena / […] il petto meschino aveva del vecchio / franato nelle membra / spogliato del suo nome») Recluso nel suo ‹tempo perduto›, colto al declinare della sua vita e del suo mondo, il vetturale raffigurato in questi versi è una creatura ottocentesca smarrita nelle frenesie e nelle follie del Novecento; è un testimone doloroso del dramma dell’inattualità, dell’esilio di fronte «a un tempo nuovo» che lo respinge indietro, che lo mura in un passato remoto in cui l’anziano non trova però, in definitiva, lo stigma della sconfitta: per converso, quasi statuario, nella sua fragilità, nella sua crescente familiarizzazione con la soglia ultima, del non ritorno, pare identificarsi con il masso che osserva stagliarsi contro il cielo distante, nel ripetersi dei suoi viaggi di consegna Lo cogliamo così in una posa di donchisciottesco corpo a corpo contro il tempo, carico, quasi fiero, della propria mortalità, mentre beffa, come di soppiatto, per un fugace istante, le annichilenti leggi della caducità Altrove sembra addirittura vestirsi di un paradossale e antisublime titanismo: «Fermo come un ritratto, sostava contro / quel nulla che chiamiamo cielo, / / senza una parola / / Nel volto immemore di un dio» La falce del tempo travolge ricordi e costringe un intero mondo a cedere il passo Voci, immagini e memorie sono come «sospese dal loro essere», quasi già postume, smarrite e fotografate per l’ultima volta dentro «un accordo che nasce e svanisce / in sordina di voce…» Frammenti di vita e di pena, registrati nelle lettere, rappresentano il dono o la condanna che egli inconsapevolmente, per mestiere, consegna, finendo per essere anche lui, con le scaglie della sua confessione, parte di una unica, polifonica trama Fra echi di guerra e trasformazioni tecnologiche che avanzano, inarrestabili come una frana, il postiglione, sin dal suo entrare in scena, appare immediatamente fuori gioco, al margine, in esilio dal presente Nella tensione rigida e straniane di «gesti senza peso che imbalsamano l’aria», egli 2_IH_Italienisch_74.indd 153 16.11.15 07: 55 15 4 Kurzrezensionen compie il suo viaggio listato a nero, bordeggiando campi o villaggi che appaiono abitati da echi di vita, riflessi, voci lontane, rumori, in dialogo con fantasmi più che persone in carne ed ossa; nel violare l’ultimo sigillo egli indugia, dilatando le fitte della propria malinconia, «nell’attesa larga e uguale, / nella posta di vedere in faccia / la propria morte» Nelle lettere che porta con sé sul carro la vita si conserva per schegge, per grumi, per labili indizi, prossimi a disperdersi Eppure, paradossalmente, sono proprio le parole scritte, «segni rappresi / di stille ancora mormoranti», i soli strumenti in grado di conservare il passato, di risvegliare il corpo inerte del vissuto Il postiglione siede a cassetta sulla sua carrozza, guidando i suoi cavalli lungo strade polverose, come spiato dietro una serratura dall’autore che ne sottolinea i pensieri, magnetizzati dalla fine imminente, a conferma dell’amara sentenza senechiana, posta da Sepe in esergo al suo libro, secondo la quale «senectus enim insanabilis morbus est» Ricordi giovanili, atti mancati, accadimenti scelti o subiti entrano nel concerto dei frammenti di una vita offesa dal tempo, si addensano in un rimuginare lieve ma secco e disilluso sull’esistenza, proprio di chi resta «con occhi ammutoliti / nel silenzio della ventura» Traghettatore del passato verso il mondo delle ombre il viaggio del postiglione si polarizza in direzione di una fine che quanto più è prossima tanto più pare allontanarsi, dilazionarsi, per poter essere descritta e vissuta con più precisione E così «da quel vecchio che è biascica l’inquietudine fra i denti sibila ai cavalli per domare lo zoccolo quando batte fermo […] Biascicando devozioni nelle assi schiodate di un’edicola, netta gli stivali contro un rudere di quercia, pensa a quel muscolo di cuore, - pensa a come impazziva di fronte alla Regina d’avorio Quel muscolo che adesso se compie il suo lavoro è solo per tempo residuo» Nella sua figura, come mostrano icasticamente i versi appena riportati, il pedale del patetico viene subito spezzato, spinto a ruotare in senso inverso da una ironia che cala come un sudario sui gesti del vetturale, da un gelo che pietrifica, quasi impaglia, i battiti del cuore, gela l’occhio commosso dell’elegia Portavoce del tempo perduto, il postiglione ci appare dunque come un esausto 2_IH_Italienisch_74.indd 154 16.11.15 07: 55 155 Kurzrezensionen doppio di Atlante, il quale, proprio mentre sprofonda sotto il peso del mondo di ricordi che porta sulle spalle si erge a epitaffio vivente di una memoria che cede, e lascia brandelli, scaglie, trafitture di «oscurità abbagliate» cui solo la pagina riesce a donare forma Un «destino di gelo» si estende dai suoi estremi palpiti, respiri e pensieri sino a coinvolgere la realtà circostante che appare fredda, invernale, nordica, con un demonismo che lavora in sordina La neve è già un sudario che ricopre ogni immagine o ricordo, e allo stesso tempo fantasma che si nasconde e confonde con il bianco della pagina Nella ‹trama ottocentesca› del postiglione Sepe evidenzia segni di un quadro allegorico, trasformando il protagonista di questi versi in un estremo testimone del dramma del tempo dove le esperienze sembrano farsi «cumuli di un camposanto», salme che il fiato del vecchio cerca utopicamente di ridestare, soffiando nella sua cornetta d’ottone, trasformato quasi in angelo del giudizio Il pensare è una delle azioni chiave di questi versi, segno di un ossessivo, strenuo e flebile filo mentale teso a guidare il proprio consuntivo verso la terribile perfezione della «forma liscia del silenzio» Il libro si chiude, come già accennato, con una seconda, più smilza sezione intitolata Foglietti da Exilles, all’interno della quale sono raccolti i testi composti in occasione di uno spettacolo multimediale andato in scena per la prima volta nel Forte di Exilles il 7 agosto 2010 Qui, in un alternarsi di componimenti in versi e in prosa torna nuovamente il tema della solitudine, dell’esilio dalla realtà, di una vita vissuta (o di un’altra vita possibile) che alimenta l’incubo di non vivere, all’interno di atmosfere che sembrano richiamarsi al Deserto dei Tartari di Dino Buzzati In Foglietti da Exilles alla voce del soldato, che come Giovanni Drogo ha il proprio demone nell’ «anima / sospesa fra le iridi / che suscita in mezzo a scuri / e feritoie / un nemico presunto / nel quale mai bisogna perdere la fede», si allaccia e si fonde il frustrato desiderio di fuga di un prigioniero che strazia la sua condizione di recluso, di condannato a vita, dentro un «universo di cemento», sognando e immaginando la libertà che gli è preclusa La cornetta del postiglione diviene così, in definitiva, una amara allegoria in due atti sul limite dell’esistenza e della scrittura, una indagine, portata avanti a fil di fiato, su «uno sgomento da forzare / la bocca al silenzio» Alessandro Baldacci 2_IH_Italienisch_74.indd 155 16.11.15 07: 55
