eJournals Italienisch 38/75

Italienisch
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Narr Verlag Tübingen
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2016
3875 Fesenmeier Föcking Krefeld Ott

«Non una sinfonia di Mahler, ma un’improvvisazione di Charlie Parker»: Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero

61
2016
Thomas Stauder
ita38750006
6 «Non una sinfonia di mahler, ma un’improvvisazione di Charlie Parker»: un colloquio con umberto eco intorno a Numero zero a cura di Thomas Stauder domanda: Se Lei è d’accordo, vorrei cominciare 1 con una domanda riguardante il motto del Suo nuovo romanzo, ossia l’«Only connect! » 2 ripreso da E.M. Forster. Questa citazione viene qui utilizzata col suo significato originale, che aveva nel contesto di Howards End, 3 o con un significato nuovo, che si riferisce alla confusione mentale di Braggadocio, che farnetica su un mondo di complotti? La seconda spiegazione mi sembra più probabile. Se il motto di Numero zero allude alla semiosi ermetica di Braggadocio, sarebbe allora una citazione ironica, un impiego di queste due parole assai lontano dalle intenzioni di Forster. umberto eco Certamente non ho seguito le intenzioni di Forster. È che nella traduzione inglese del Pendolo, per una mia espressione sulla capacità paranoica di mettere in contatto le cose, il traduttore, William Weaver, ha scritto: «Only connect! » È dunque lui che per primo ha fatto la citazione da Forster. Da quel momento, «Only connect! » è diventato per me un po’ come un proverbio, indipendente dal contesto del romanzo di Forster, e mi piaceva metterlo lì, all’inizio di Numero zero. d.: Allora si può dire che è più un’allusione al Pendolo di Foucault che a Howards End? eco Sì, mettiamola così. Infatti, molti hanno detto che Numero zero era una ripresa del Pendolo di Foucault. Sì, questo vale almeno per Braggadocio e la sua paranoia del complotto, che è un tema che mi ha sempre affascinato, e ho anche tenuto delle conferenze su questo tema, recentemente, per esempio, a Torino. 4 In questo libro, dove tutti i fatti narrati sono veri, gli unici falsi sono quelli costruiti dalla mente paranoica di Braggadocio. Mi piaceva inventare questa storia falsa su Mussolini e mostrare come, data una paranoia del complotto, tutti i fatti storici - anche quelli veri, menzionati nella trasmissione della BBC alla fine di Numero zero - possono essere messi insieme, «be connected», per arrivare a delle conclusioni sbagliate. Io ho sempre fatto una distinzione tra i complotti veri e i complotti paranoici. Dei complotti veri ce ne sono, ogni giorno. Può darsi che in questo momento ci sia qualcuno che sta facendo la scalata alle azioni della 2_IH_Italienisch_75.indd 6 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 7 Chrysler o di un’altra società, e non lo sa nessuno. Ma di solito i complotti vengono poi alla luce, sia che riescano - come nel caso dell’assassinio di Giulio Cesare -, sia che falliscano - come nel caso della congiura di Catilina, che viene immediatamente denunciata. Tutti i fatti veri che ci sono nel mio libro, se anche nascevano da complotti, sono stati poi portati alla luce: il tentativo di colpo di stato di Junio Valerio Borghese è venuto fuori due giorni dopo. 5 Invece i complotti inventati dalla paranoia non sono mai scoperti. Per esempio, quando c’erano le Brigate Rosse, si pensava che ci fosse «il Grande Vecchio». 6 d.: So che Lei è un bibliofilo; probabilmente ha collezionato molte prime edizioni sul tema dei complotti. eco La mia collezione di libri antichi si chiama «Bibliotheca semiologica curiosa, lunatica, magica et pneumatica», un termine che veniva usato nei cataloghi antiquari. Colleziono in genere solo libri che dicono cose false. Non ho Galileo; però ho Tolomeo, che si era sbagliato. Quindi, dai complotti rosacrociani e massonici sino ai testi sull’antisemitismo - che ho usato abbondantemente per Il cimitero di Praga -, ho una buona collezione di libri sui complotti. Ho pochissimi libri che non c’entrano con questa idea del falso. Sono libri che hanno contato per la mia vita e ho voluto averne le prime edizioni. Ho la prima edizione dei Promessi sposi, la prima edizione dell’Ulisse di Joyce, la prima edizione di À rebours di Huysmans, la prima edizione dei Tre moschettieri di Dumas. Sono però in uno scaffale a parte. d.: Probabilmente ha allora anche quella di Le confessioni d’un italiano di Ippolito Nievo, per via dei riferimenti presenti in Il cimitero di Praga? 7 eco No, quel romanzo, no. Quello che ho raccontato su Ippolito Nievo non riguarda Nievo come scrittore; riguarda tutto quello che si è detto dopo, sulle circostanze della sua morte. Ovviamente ho consultato tutta la bibliografia su questo argomento, e questo mi ha permesso in quel caso - quello del Cimitero di Praga - di inventare un falso complotto, più o meno compatibile con i fatti veri. d.: Come i Suoi romanzi precedenti, Numero zero si distingue per un gran numero di rimandi intertestuali e anche intermediali. In un brano alla fine del primo capitolo, che si potrebbe classificare come momento di autoriflessività o con André Gide come mise en abyme, 8 Colonna, che ha lavorato 2_IH_Italienisch_75.indd 7 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 8 come ghostwriter di gialli, parla del suo «vizio della citazione» (p. 19) e dice: «[…] mi sono accorto che per descrivere qualcuno o qualcosa rinviavo a situazioni letterarie: non ero capace di dire che un tale passeggiava in un pomeriggio terso e chiaro, ma dicevo che andava ‘sotto un cielo da Canaletto’. Mi sono poi reso conto che così faceva anche D’Annunzio: […] Andrea Sperelli ricordava il ritratto del gentiluomo incognito della Galleria Borghese. E così per leggere un romanzo si sarebbe dovuto andare a sfogliare le dispense di qualche storia dell’arte in vendita nelle edicole.» (Numero zero, pp. 18-19) So che bisogna tener conto delle differenze fra il personaggio e l’autore, ma ciononostante la domanda che s’impone è se qui, e in alcuni altri passaggi simili a questo, 9 non si tratti di una autocritica di Umberto Eco, 10 e se quell’autocritica sia poi solo scherzosa o forse anche un po’ seria. eco Io mi sono occupato due volte del modo dannunziano di vedere le cose attraverso opere d’arte («il cielo del Canaletto»). La prima volta era nel saggio su «L’uso pratico del personaggio» contenuto in Apocalittici e integrati. 11 Lì analizzavo non solo D’Annunzio, ma persino un brano di Françoise Sagan, tratto da Dans un moi dans un an. 12 E la seconda volta nel saggio sul Kitsch. 13 Io credo però che questo… - come possiamo chiamarlo? chiamiamolo ‘il vizio di Colonna’ 14 - …questa impossibilità di descrivere la realtà se non passando attraverso il richiamo all’opera d’arte, non ha niente a che fare col citazionismo (nel senso postmoderno del termine, dove la citazione può essere ironica). Non è lo stesso. ‘Il vizio di Colonna’ è l’incapacità di dire che c’è quella luce in quel momento; allora dice: «Come avrebbe detto…» Mentre il citazionismo è che io descrivo questa stanza mentre sto parlando con Lei, e ad un certo momento introduco: «Mehr Licht! » È un gioco ironico con una citazione letteraria, 15 ma non è perché io non sia capace di descrivere la luce. d.: Senza dubbio; si può dire che D’Annunzio col suo estetismo decadente prendeva quelle citazioni sul serio, mentre che Lei mostra sempre un atteggiamento postmoderno con una certa dose d’ironia. eco Per D’Annunzio l’arte è più importante della vita, atteggiamento, questo, che è tipico del decadentismo. 2_IH_Italienisch_75.indd 8 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 9 d.: Lei aveva parlato per la prima volta di scrittura postmoderna già nel 1983 nelle Postille al «Nome della rosa», riferendosi in quell’occasione al saggio «The Literature of Exhaustion» di John Barth. Come Leslie Fiedler e altri teorici del postmoderno hanno notato, la letteratura postmoderna si distingue per la mescolanza indifferenziata di ‘highbrow and lowbrow culture’; i lettori impliciti di un romanzo postmoderno possono appartenere sia a una élite intellettuale sia a un pubblico di massa. Esempi di rimandi alla ‘cultura alta’ in Numero zero sono le allusioni un po’ nascoste a George Sand (attraverso il convento di Valldemossa, p. 9), Herman Melville («chiamatemi Ismaele», p. 13, da Moby Dick) e Shakespeare («ci sono più cose in cielo e in terra», p.- 187, da Hamlet), mentre sono nominati esplicitamente Stendhal (p. 81), Balzac (p. 85), Ariosto (p. 101), Beethoven (p. 191) e Böcklin (p. 206). La cultura popolare è spesso rappresentata dal cinema o dalla televisione, per esempio attraverso gli attori Erich von Stroheim e Telly Savalas (p. 35), la menzione di lungometraggi come I pirati della Tortuga (p. 167) e Il ponte sul fiume Kway (p. 171) e delle allusioni a film come L’eterna armonia (p. 193) e Via col vento (p. 218). Lei ha concepito questa mescolanza di differenti livelli culturali come contrasto intenzionale o semplicemente perché Lei è abituato (sia come semiologo - cioè nei Suoi studi della cultura di massa -, sia come romanziere postmoderno) ad avere la stessa dimestichezza con la cultura alta come con la cultura popolare? eco Io non so bene cosa sia il postmoderno. Ma quel poco che so, l’ho imparato leggendo John Barth e Leslie Fiedler. Quindi concordo con le loro analisi. Qualcuno ha scritto che col Nome della rosa rompevo la distinzione tra ‘high-brow and low-brow culture’, mescolando le due cose. Certamente: mi sono sempre interessato con uguale intensità sia di Dante Alighieri sia di Mickey Mouse, e quindi per me questo era naturale. Infine, tutta la discussione sul postmoderno, iniziata dai teorici americani e poi legata ai miei romanzi, è stata in verità sul problema del ‘double coding’. Ne ha parlato quella studiosa canadese, Linda… d.: Linda Hutcheon. 16 eco Sì. Nella mescolanza tra ‘alto’ e ‘basso’ si può realizzare quello che Hutcheon ha definito - ed io mi sono pienamente riconosciuto - ‘double coding’. Nel romanzo postmoderno è possibile una lettura ingenua come è possibile una 2_IH_Italienisch_75.indd 9 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 10 lettura più sofisticata. Nel ‘double coding’, un lettore ingenuo e incolto può anche riconoscere un rimando a Dante Alighieri. Cioè, anche un lettore di primo livello può riconoscere elementi ‘alti’. Talora può essere soltanto il lettore di secondo livello che riconosce l’allusione alla letteratura popolare. Faccio un esempio. Un mio amico dell’Università di Bologna, che ha scritto sempre sulla letteratura infantile e sulla letteratura popolare, 17 ha riconosciuto nel Pendolo delle allusioni sottilissime a Walt Disney, che il lettore ingenuo di primo livello non aveva trovato. d.: Sì, capisco che non c’è un nesso automatico fra livello di cultura del lettore e tipo di lettura. eco Quindi, c’è ‘alto e basso’ e c’è il ‘double coding’, che sono due cose diverse. Ci può essere una mescolanza dei due fenomeni, ma essi non sono strettamente legati. Facciamo un esempio di ‘double coding’ non voluto. Nel romanzo di Agatha Christie The Murder of Roger Ackroyd, il lettore di primo livello rimane sorpreso e affascinato dal fatto che si scopre che l’omicida è il narratore. È solo il lettore di secondo livello che si accorge come Agatha Christie aveva disseminato elementi di sospetto lungo tutto il romanzo. Quindi lui legge The Murder of Roger Ackroyd in modo metanarrativo, mentre il lettore ingenuo si gode il suo mistero e la sua soluzione. d.: Certo, un lettore più sofisticato vede delle cose che un lettore più ‘semplice’ non può notare. eco E questo è successo molto, evidentemente, col Nome della rosa, che ha avuto successo perché un mucchio di lettori si è accontentato del mistero. E quando poi ne hanno fatto un film, 18 tutto è stato ridotto fatalmente a quel mistero, e si sono persi gli altri significati del romanzo. d.: A questo proposito vorrei citare un brano dalla Sua opera Apocalittici e integrati, pubblicata per la prima volta nel 1964, dove scrisse, con ammirabile lungimiranza, molti anni prima dell’auge della narrativa postmoderna: «[…] tra il consumatore di poesia di Pound e il consumatore di un romanzo giallo, in linea di diritto, non esiste alcuna differenza di classe sociale o di livello intellettuale. Ciascuno di noi può essere l’uno e l’altro in diversi momenti della propria giornata […].» (loc. cit., ed. 1984, p. 55) 2_IH_Italienisch_75.indd 10 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 11 eco Salvo che nel caso del romanzo di Agatha Christie, ottanta milioni sono stati i lettori di primo livello e solo centomila i lettori di secondo livello. La doppia lettura può succedere nella stessa persona, ma non è detto che questa sia consentita a tutti. d.: Bene. Adesso, se Lei è d’accordo, vorrei ancora parlare di un altro aspetto. Alla fine del suo libro Semiotica e filosofia del linguaggio, apparso nel 1984, Lei sosteneva, commentando S/ Z di Roland Barthes, che la diffusione di una nuova nozione di intertestualità (secondo la concezione p.es. di Julia Kristeva) avrebbe condotto anche a un nuovo concetto di codice: «Il codice è una prospettiva di citazioni, un miraggio di strutture… sono altrettanti barbagli di quel qualcosa che è sempre stato già letto, visto, fatto, vissuto: il codice è il solco di questo già.» (loc. cit., p. 300) Secondo lei, il risultato di questo cambio di paradigma era il seguente: «La vita culturale non è più stata vista come creazione libera, prodotto e oggetto di intuizioni mistiche, luogo dell’ineffabile, pura emanazione di energia creatrice, teatro di rappresentazione dionisiaca retta da forze che la precedono e su cui l’analisi non ha presa. La vita della cultura è vita di testi retti da leggi intertestuali dove ogni ‹già detto› agisce come regola possibile. Il già detto costituisce il tesoro dell’enciclopedia.» (loc. cit.) Lei sarebbe d’accordo nell’applicare queste riflessioni teoriche ai Suoi romanzi e in particolare a Numero zero? eco Quel saggio lì sul codice si riferiva al fenomeno europeo dell’esplosione della sémiologie. Si tratta di un saggio, scritto inizialmente per l’Enciclopedia Einaudi, che voleva contribuire alla chiarificazione del concetto di ‘codice’. Fa vedere come il concetto si fosse poi frantumato in una serie di visioni diverse, per cui la mia conclusione che quello che molti chiamavano codice, era invece diventato una specie di enciclopedia. Quindi si può dire che quell’articolo è stato scritto per ‘ammazzare il codice’. Non è che io condividevo le varie opinioni lì citate; le mettevo solo in scena. Dicevo: «Siamo arrivati fino a questo punto.» 2_IH_Italienisch_75.indd 11 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 12 d.: Parlando ancora del postmoderno, che non è solo un problema letterario o artistico, ma anche filosofico, potremmo riferirci a Il pensiero debole di Gianni Vattimo (allievo come Lei di Luigi Pareyson all’Università di Torino 19 ), un volume per il quale Lei nel 1983 scrisse il saggio «L’Antiporfirio». Alla fine di quell’articolo, Lei diceva allora: «Quando si parla della crisi della ragione si pensa alla ragione globalizzante che voleva provvedere una immagine ‘fortemente’ definitiva dell’universo su cui si applicava (dato o posto che esso fosse). Il pensiero del labirinto, o dell’enciclopedia, è debole in quanto congetturale e contestuale, ma è ragionevole perché consente un controllo intersoggettivo, non sfocia né nella rinuncia né nel solipsismo.» (loc. cit., p.-79) eco È ragionevolezza contro ragione. d.: Sì. Quindi, se Colonna dice in Numero zero che «il piacere dell’erudizione è riservato ai perdenti» (p. 17) e cita la «cultura mostruosa» di Paolo Villaggio, 20 questo si riferisce alle vecchie forme del sapere, diventate obsolete nel mondo moderno? eco Questo va preso come un paradosso. Ho conosciuto molti correttori di bozze nelle case editrici che sapevano tutto, mentre un professore di sanscrito sa solo il sanscrito. [Ride.] È la differenza fra l’autodidatta e lo specializzato. L’invenzione di questo tipo di personaggio per il mio romanzo è più legata alle mie esperienze in casa editrice che al problema delle forme del sapere. Per le mie posizioni sul «pensiero debole», fa testo il capitolo che ho pubblicato in Dall’albero al labirinto, 21 dove regolo i conti con quel concetto. Quel saggio lì, che Lei cita, cioè «L’Antiporfirio», mi ha sempre dato imbarazzo. Uno dei miei allievi, che sta scrivendo molto su di me, dice: «È uno dei saggi più belli che hai scritto, ma è apparso nel libro sbagliato.» Perché Vattimo e Rovatti 22 erano stati molto onesti: «Visto che noi parliamo di pensiero debole, e c’è una discussione, chiediamo a vari autori di dire la loro.» Ma molti autori non si sono presentati, per cui il libro è stato fatto quasi solo da ‘debolisti’. L’unico che diceva una cosa diversa ero io. E, infatti, un recensore molto intelligente, che era il germanista Cesare Cases, ha detto: «In questo libro stona un poco il saggio di Umberto Eco, perché è più legato all’illuminismo che al pensiero debole.» Però per tutti era come se io condi- 2_IH_Italienisch_75.indd 12 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 13 videssi le idee di questo libro. Perciò volevo chiarire la mia posizione, e l’ho fatto in un contributo al volume in onore di Gianni Vattimo, 23 che è quello che appare poi anche in Dall’albero al labirinto. Un altro caso dove sono finito forse nel libro sbagliato è tutta quell’operazione di Maurizio Ferraris sul neorealismo, 24 che ovviamente lui ha fatto in lotta col suo maestro Vattimo e contro il pensiero debole. Vi ho partecipato anch’io con la mia idea di realismo ‘negativo’, che è venuto fuori da Kant e l’ornitorinco. 25 Anche lì è vero che non bisognerebbe mai apparire in certi libri, perché si viene poi identificati con certe posizioni radicali (in questo caso, quella di un realismo ‘totale’). d.: Senza dubbio. In Germania, il fatto che Lei abbia partecipato al volume Il pensiero debole è stato interpretato alcune volte erroneamente come un’adesione da parte Sua alle idee principali di quel libro. Se Lei è d’accordo, vorrei ancora approfondire un po’ il tema dell’intertestualità nel Suo nuovo romanzo e parlare di alcuni rimandi che mi sembrano particolarmente importanti. In Numero zero, come nella maggior parte dei Suoi romanzi precedenti, 26 si trovano molte allusioni al genere del giallo: qui gli autori di referimento sono Edgar Allan Poe (p. 10), Arthur Conan Doyle (ivi), Raymond Chandler (p. 18), Mickey Spillane (ivi) e Georges Simenon (p. 205). Questo è solo in parte la conseguenza del fatto che nel mondo fittizio del Suo romanzo, il protagonista Colonna ha scribacchiato alcuni gialli di dubbia qualità; più importante mi sembra la constatazione che le teorie cospirative di Braggadocio comportino la ricerca di un segreto e che lui si senta dunque come un detective o un investigatore. eco Sono due problemi diversi: l’uno riguarda il motivo del perché ho scelto il genere poliziesco, l’altro del perché ho fatto di Braggadocio un investigatore. Io ho sempre pensato che il romanzo poliziesco sia il romanzo nella sua quintessenza. Anche quando è scritto male, si attiene - senza saperlo - alle regole della poetica di Aristotele. Racconta sempre una storia metafisica, anche se solo al livello minimale: «Chi è colpevole? Chi ha fatto tutto questo? » Questa è la ragione per cui il romanzo poliziesco mi piace. Ma in Italia c’è stata per lungo tempo un’assenza del romanzo. Manzoni, Nievo, Verga… Poi, mentre nel mondo anglosassone, russo e tedesco trionfava il romanzo, da noi non c’era niente di comparabile. Perciò all’inizio non c’erano molti romanzi polizieschi in Italia. Solo più tardi ci si è accorti che già durante il ventennio fascista c’erano alcuni autori di gialli bravissimi, come De Angelis. 27 Ancora negli anni Quaranta i romanzi polizieschi non 2_IH_Italienisch_75.indd 13 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 14 godevano di grande stima in Italia; erano considerati ‘five dime novels’, romanzi di intrattenimento senza valore letterario. Questo era dovuto in parte al crocianesimo, all’identificazione della letteratura con la poesia. d.: Sì, la lunga ombra di Benedetto Croce. eco Ma a partire dalla metà del secolo scorso, anche gli autori italiani hanno finalmente scoperto e valorizzato la struttura del romanzo, ed adesso abbiamo dei romanzi in abbondanza. Alla base di tutto questo c’è il romanzo poliziesco, il modello minimo di narratività. La storia di Braggadocio è un’altra. Lui è un paranoico che costruisce complotti e agisce come un investigatore. Con una piccola differenza: l’investigatore agisce su un omicidio vero, mentre il paranoico fa un’investigazione in cui non c’è cadavere. [Ride.] O sta cercando cadaveri dappertutto, per farli rientrare nel suo quadro paranoico. d.: Bene. E poi ci sono anche le analogie fra la ricerca di indizi e di prove da parte del detective e l’interpretazione dei segni da parte del semiologo. eco Sì, ovviamente. d.: Su questo tema, Lei ha pubblicato nel 1981 l’articolo «Guessing: From Aristotle to Sherlock Holmes», 28 ristampato poi due anni più tardi nel libro The Sign of Three: Dupin, Holmes, Peirce, da Lei curato insieme a Thomas A. Sebeok. 29 Dall’altro lato, il genere poliziesco, grazie alla sua popolarità e diffusione, costituisce un’ottima base per la scrittura postmoderna: i rimandi a questo genere non saranno solo riconosciuti dall’élite culturale, ma anche dal ‘lettore modello comune’. Nel 1969, Lei scrisse nell’articolo «Le strutture narrative in Fleming» 30 : «In realtà […] tipico del romanzo giallo, sia di inchiesta che di azione, non è la variazione dei fatti, quanto piuttosto il ritorno di uno schema abituale nel quale il lettore possa riconoscere qualcosa di già visto cui si era affezionato. […] Il piacere del lettore consiste nel trovarsi immerso in un gioco di cui conosce i pezzi e le regole […].» (loc. cit., p. 146) 2_IH_Italienisch_75.indd 14 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 15 eco Certo, nel giallo c’è sempre uno schema invariabile. Prendiamo Rex Stout, col suo detective Nero Wolfe: il lettore ci vuole sempre ritrovare lo schema di base, con solo qualche piccola variazione (cambia il tipo di omicidio, ecc.). Io avevo osservato questo anche in Fleming 31 : c’erano delle invariabili, e poi c’era sempre qualche dettaglio nuovo. Ma Fleming aveva certe pretese letterarie, raggiungeva un livello più alto rispetto ad altri autori di gialli. d.: Un altro genere importante, non solo per Numero zero, ma per tutta la Sua narrativa, è il romanzo d’appendice dell’Ottocento. Durante il nostro colloquio del 2002, il cui tema era la Sua biografia, 32 Lei mi raccontò che uno dei Suoi nonni era stato tipografo e rilegatore, e che dopo la sua morte, quando Lei aveva dieci anni, scoprì in cantina una cassapanca con molti libri da lui lasciati, tra i quali c’erano dei romanzi storici di autori ottocenteschi come Alexandre Dumas. Secondo quello che Lei mi disse, le esperienze di lettura rese possibili da questo tesoro fecero nascere in Lei l’amore per la letteratura e hanno costituito la base per la Sua decisione, avvenuta molti anni più tardi, di scrivere anche Lei un romanzo. 33 eco È vero. d.: Tra le Sue opere, Numero zero non è certamente quella più strettamente correlata al romanzo d’appendice; ma ciononostante vi si trovano alcuni rimandi espliciti a questo genere. Per esempio, quando Braggadocio descrive a Colonna l’autopsia di Mussolini, il protagonista e narratore del romanzo commenta in questo modo la sua reazione: «Ero disgustato ma, non posso negarlo, affascinato, da lui e dal corpo martoriato su cui esultava, così come nei romanzi dell’Ottocento si era ipnotizzati dallo sguardo del serpente.» (p.-145) Questo fa pensare ai romanzi e racconti di Emilio Salgari, per esempio a testi come I misteri della giungla nera o Il serpente marino. Può dirmi qualcosa sull’importanza che il romanzo dell’Ottocento ha avuto per Lei in generale, e in particolare per Numero zero? eco Questo ha a che fare con la mia tendenza, della quale abbiamo già parlato oggi, a eliminare la distinzione tra ‘alto’ e ‘basso’. Quindi anche un romanzo che ha delle pretese letterarie deve attenersi a delle strutture che assomigliano a quelle del romanzo d’appendice. Tuttavia, non bisogna fare di ogni erba un fascio. Ci sono grandi differenze fra le opere di questo tipo di lette- 2_IH_Italienisch_75.indd 15 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 16 ratura: I tre moschettieri sono un capolavoro di stile e rapidità, mentre Il conte di Montecristo è scritto malissimo! 34 Però bisogna fare un’altra distinzione, tra narrativa e mitografia. Sulla narrativa dobbiamo dare un giudizio estetico sull’opera nel suo insieme. La mitografia può anche prendere la forma di un libro bruttissimo che, senza saperlo, crea un mito. Il conte di Montecristo è scritto male, ma è un mito. Edipo sarebbe stato un mito, anche se Sofocle non avesse scritto quella grande tragedia. Quindi, a livello della letteratura d’appendice, potremmo distinguere almeno tre casi: il primo, in cui essa diventa vera e propria arte: I tre moschettieri; il secondo, in cui è scritta male artisticamente, ma è ‘mitopoietica’: Il conte di Montecristo; il terzo, che si verifica nel momento in cui non mostra nessun valore artistico e non crea un mito, ma in un certo periodo diventa un successo di massa: I misteri di Parigi. 35 Lei non saprà citarmi nessuna figura da I misteri di Parigi che sia rimasta come modello di vita. Per quanto riguarda il romanzo d’appendice dell’Ottocento, prima era socialista e libertario per diventare poi, nell’ultima parte di quel secolo, reazionario. d.: In questo contesto non vorrei tacere che ho visitato pochi mesi fa la casa di Maurice Leblanc, il creatore del ‘ladro gentiluomo’ Arsène Lupin. Questa casa - oggi un museo - si trova a Étretat, sulla costa della Normandia, vicino alla formazione rocciosa chiamata «L’Aiguille creuse», 36 che riveste un ruolo importante anche nel Suo romanzo Il pendolo di Foucault. eco Ah sì, «L’Aiguille creuse»! Mi hanno invitato ad andarci. Ma da dove era partita la Sua domanda? Numero zero, bene. Vorrei dire una cosa: io ho sempre sostenuto che, mentre la narrativa segue il modello di Catone «rem tene, verba sequentur», per la poesia vale «verba tene, res sequentur». La narrativa parla di un mondo, e lo stile deve adeguarsi a quel mondo. Il nome della rosa è scritto nello stile del cronista medievale. L’isola del giorno prima è scritta nello stile del poeta barocco. Numero zero doveva avere la secchezza e il linguaggio comune del giornale. Tutti i miei romanzi precedenti erano una sinfonia di Mahler, mentre questo è un brano di Charlie Parker. Ma ciò è dovuto proprio al ritmo della notizia giornalistica. Nello stile di Numero zero c’entra anche il modello del romanzo d’appendice, ma mi sembra secondario. d.: Comunque, ho trovato alcuni passaggi del Suo nuovo romanzo che si riferiscono a quel modello. Per esempio, quando Colonna parla delle storie del suo collega: «Non capivo se Braggadocio fosse un portentoso narratore d’appendice, che mi dosava il suo romanzo a puntate, con la dovuta sus- 2_IH_Italienisch_75.indd 16 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 17 pense a ogni ‘continua’, o se davvero stesse ancora ricostruendo la sua trama pezzo per pezzo.» (p.- 161) eco Luigi Pareyson 37 diceva che molto importante nell’opera d’arte è la «zeppa». Una zeppa è una roba che metto qui sotto, se il tavolo o l’armadio balla. 38 Dunque non bisogna dire: «Questa cosa non c’entra niente con l’opera d’arte.» Perché se non l’aiuta a tenere su, tutta la struttura non funziona. Io avevo la preoccupazione strutturale di dare le rivelazioni di Braggadocio non tutte di seguito in un solo capitolo, ma distribuite nel romanzo. Per giustificare questa distribuzione, ecco la «zeppa» di Colonna, che dice: «Mi sembri un narratore d’appendice.» d.: Un altro brano che mi piacerebbe ancora citare a questo proposito si trova verso la fine del Suo romanzo, dove viene detto dei membri dell’organizzazione secreta Gladio (chiamati ironicamente «gladiatori») che «potevano andare a prelevare quello di cui avevano bisogno esibendo (storia da romanzo d’appendice) la metà di un biglietto da mille lire come segno di riconoscimento.» (p. 212) eco È un dettaglio storico; è veramente stato detto che avevano questo segno di riconoscimento. Dunque, anche i servizi segreti imitano i romanzi d’appendice. [Ride.] d.: «La vita imita l’arte più di quanto l’arte non imiti la vita.» 39 [Risata condivisa.] eco I casi di questo tipo sono infiniti. Proprio ieri sera in televisione, rievocavano la tragedia del Titanic, che è del 1912, ma già nel 1898 un signore aveva scritto un romanzo, in cui un transatlantico chiamato Titan naufragava contro un iceberg. 40 Aveva raccontato la vera storia del Titanic quindici anni prima. L’arte può anticipare sia le cose belle che le cose brutte. Allora la domanda potrebbe essere: se uno commette adulterio oggi, è perché ha letto Madame Bovary? No. L’adulterio è una costante dell’animo umano. Per quanto riguarda la metà di un biglietto come segno di riconoscimento, si deve ricondurre questo modo di procedere al concetto del simbolo. Da dove nasce il simbolo? È l’idea di una moneta spezzata; una metà la tiene Lei, l’altra metà la tengo io, e quindi ci riconosciamo. È una vecchia idea che esisteva prima dei romanzi d’appendice, dai quali veniva usata, come 2_IH_Italienisch_75.indd 17 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 18 veniva poi usata dai servizi segreti reali. È il σύμβολον degli antichi greci, il mettere insieme delle cose separate. Vada a vedere il capitolo sul simbolo nel mio libro Semiotica e filosofia del linguaggio, dove racconto tutto questo dettagliatamente. 41 d.: Bene. Mi piacerebbe parlare anche un po’ della gothic novel, perché credo che certi ambienti tetri di Numero zero ricordino l’atmosfera tenebrosa di questo genere di romanzo. Soprattutto via Bagnera, «la strada più stretta di Milano», della quale Braggadocio dice: «Se fossi una donna, di qui non passerei, specie quando è buio. Ti potrebbero accoltellare come niente.» (p. 36) E l’assassino seriale dell’Ottocento Antonio Boggia, personaggio storico che trovò le sue vittime in quella strada, è paragonato esplicitamente a Jack the Ripper (p. 37). Quando più tardi Braggadocio racconta a Colonna come, secondo lui, è stato trafugato il cadavere del Duce dal cimitero di Musocco, lo fa appunto in via Bagnera, «come se la cupezza del luogo si confacesse alla natura mortuaria del suo racconto.» (p. 156) 42 eco Via Bagnera esiste. L’assassinio seriale c’è stato. Però cosa è successo? Prima di iniziare questo romanzo, siccome volevo parlare della redazione di un giornale, ho cercato di situarla. E mi sono chiesto se ci sia una Milano misteriosa. Mi sono comprato tre o quattro guide; prima conoscevo solo una parte dei luoghi dove poi si sarebbe svolta l’azione del romanzo. 43 Mi sono dunque ricostruito questa Milano poca nota, e se Lei vuole chiamarla gothic, mi va benissimo. Mi divertiva andare a trovare in una città moderna le rimanenze di un Castello di Otranto di Walpole. 44 d.: Anche già nel Suo primo romanzo, Il nome della rosa, si trovavano delle citazioni della gothic novel, fra l’altro nella descrizione di certi personaggi. 45 eco Sì, era una gothic novel che era andata a rivisitare il Medioevo. [Ride.] Nella prima edizione del Nome della rosa c’era una descrizione di uno dei monaci che era una citazione da Lewis .46 Nella nuova edizione corretta di questo romanzo, che è uscita trent’anni dopo la prima 47 - tutti hanno detto che ho riscritto Il nome della rosa per i bambini, ma non è vero: sono stati fatti piccoli aggiustamenti stilistici, sono state usate alcune abbreviazioni di citazioni latine troppo lunghe, insomma sono state modificate poche cose - ho tolto quella descrizione del monaco di Lewis. 2_IH_Italienisch_75.indd 18 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 19 d.: Perché? Non Le piaceva più? eco Faceva troppo citazione. Così come, se avessi potuto - ma ormai non era più possibile - avrei cambiato il nome di Guglielmo da Baskerville. d.: Pensava che fosse troppo ovvio? 48 eco Sì. Vabbè, siccome sono partito così, pazienza. d.: Vorrei ancora menzionare che della gothic novel Lei aveva già parlato nell’Almanacco Bompiani 1972 intitolato Il ritorno dell’intreccio. Questo volume non conteneva solo il Suo articolo «L’industria aristotelica» e un bel saggio di Renato Barilli, «La narrativa alla seconda», ma anche - fra l’altro - brani da romanzi di Matthew Lewis, Ann Radcliffe, Charles Maturin e Bram Stoker. eco Era molto prima che si parlasse di postmoderno. d.: Con questo almanacco, Lei prefigurava la svolta verso il nuovo paradigma letterario del postmoderno e lo faceva con un’antologia di brani del romanzo d’appendice 49 e del romanzo gotico. eco Era la sensazione che mentre l’avanguardia era arrivata ormai alla pagina bianca, al quadro bianco, al silenzio di John Cage, non si poteva andare più in là. E Barilli aveva una buona intuizione; già nel 1965 aveva detto durante un incontro del Gruppo 63 50 che era necessario un ritorno a forme più tradizionali della narrativa. Non parlavamo esplicitamente di postmoderno, ma si trattava di rivisitare tutto quel materiale che si trovava nei miei scaffali. L’Almanacco Bompiani 1972 è stato fatto fotocopiando tutti quei vecchi romanzi nei miei scaffali! Sì, ritengo che quell’antologia lì abbia anticipato gran parte della successiva discussione intorno al postmoderno, ma oggi nessuno tranne Lei se ne ricorda. d.: Continuando ancora con l’intertestualità, vorrei gettare uno sguardo sui personaggi del Suo romanzo. Davanti a Simei, il direttore del nuovo (e mai realizzato) giornale, Colonna dice: «entrambi siamo uomini senza qualità» (p. 27). Questa è senza dubbio un’allusione al famoso romanzo di Robert 2_IH_Italienisch_75.indd 19 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 20 Musil Der Mann ohne Eigenschaften, la cui prima frase Lei aveva già citato nel Pendolo di Foucault: «Sull’Atlantico un minimo barometrico avanzava in direzione orientale incontro a un massimo incombente sulla Russia.» 51 eco Ecco un caso di ‘double coding’; non me ne importa se il lettore capisce quell’allusione, ma Lei evidentemente la capisce. d.: Infatti ci sono molte analogie fra il carattere di Colonna, il protagonista di Numero zero, e il carattere di Ulrich, il protagonista dell’Uomo senza qualità. Colonna descrive se stesso ripetutamente come «fallito» (p. 18) e «perdente» (p. 84); anche l’Ulrich di Musil non sa far fronte al mondo moderno, fallisce con i suoi tentativi di scegliere una professione che darebbe un senso alla sua vita e rimane da allora in poi in una strana passività, mero osservatore del mondo e della sua propria esistenza, che è incapace di gestire. Lei è d’accordo con questo parallelo? eco Non ci ho pensato quando ho scritto il romanzo; la mia lettura di Musil è di cinquant’anni fa. d.: Tenendo conto di tutti i fallimenti di Colonna in Numero zero - non solo nella sua vita professionale, ma anche nelle sue relazioni amorose -, lo si potrebbe paragonare ad alcuni famosi inetti della letteratura italiana, cioè ai protagonisti dei romanzi di Italo Svevo. 52 Lei aveva presente il modello degli antieroi sveviani quando ha pensato al carattere di Colonna? eco No. Ma ci sono dei perdenti nella vita reale, e non c’è da meravigliarsi che ci siano ugualmente dei perdenti nella letteratura: per esempio Lucien de Rubempré nelle Illusioni perdute di Balzac, o Julien Sorel in Il rosso e il nero di Stendhal. I romanzi parlano spesso di perdenti - anche Dostoevskij lo fa, per citare ancora un altro autore -, e solo l’epica parla di vincitori. Quindi si può dire che è un topos della letteratura mondiale. Se avessi voluto alludere a Svevo, avrei potuto scrivere che Colonna aveva sposato la sorella sbagliata. 53 [Ride.] d.: Certo. Accanto a Colonna, il secondo personaggio più importante di Numero zero è Braggadocio, il cui nome 54 sembra celare un’allusione intertestuale. Nel romanzo, questo personaggio dice a proposito del suo nome: «Pare che in inglese abbia un brutto significato, ma per fortuna nelle altre 2_IH_Italienisch_75.indd 20 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 21 lingue no.» (p. 32) Consultando il dizionario Merriam-Webster, si apprende infatti che oggi in inglese «braggadocio» è sinonimo di «boasting», cioè di vanteria o iattanza. Ma l’origine di questa designazione si trova nell’epopea The Fairy Queen di Edmund Spenser, composta alla fine del Cinquecento, dove un personaggio chiamato «Braggadocchio» (con la doppia c e una acca) è l’incarnazione allegorica della vanagloria. 55 Cioè, il nome di Braggadocio in Numero zero avrebbe la funzione di ridicolizzare le teorie cospirative sviluppate da chi ne porta il nome. Lei è d’accordo? eco Sa come sono stati scelti i nomi dei personaggi di Numero zero? Dai fonts - cioè dai caratteri tipografici - del programma Word. Quando Lei va a cercare su Word l’assortimento di caratteri proposto in questo programma, troverà accanto a caratteri molto noti come Times, Cambria e Palatino anche altri meno spesso usati come Colonna, Costanza, Freesia, Lucida, Maya, Simhei, ecc. 56 E c’era - nella versione attuale del programma non c’è più - un carattere chiamato appunto Braggadocio. Così ho scelto il nome per il personaggio del mio romanzo, semplicemente perché mi piaceva. Poi mi sono informato sull’origine di questo nome e ho appreso tutte le cose che Lei mi ha detto; per me andava benissimo, ma il significato del nome è stato casuale. d.: Capisco. I personaggi che portano questi nomi nel Suo romanzo sono tutti dei giornalisti, pertanto Le doveva sembrare opportuno battezzarli con nomi tipografici. Si era permesso un gioco di questo tipo già nel Pendolo di Foucault, dove c’era un Signor Garamond, proprietario di due case editrici. eco Quando avevo pubblicato Il nome della rosa, qualcuno mi ha detto che il nome di Guglielmo da Baskerville non contiene solo un’allusione a Sherlock Holmes, ma è anche quello di un carattere tipografico. Allora nel mio secondo romanzo, Il pendolo di Foucault, ci ho messo il Signor Garamond, che si chiama così anche perché è un editore. E in La misteriosa fiamma delle regina Loana c’è un personaggio chiamato Bodoni. Tutti dei caratteri tipografici! [Ride.] Sono delle strizzate d’occhio al lettore, ma non è necessario accorgersene. d.: Uno dei due temi centrali di Numero zero è senza dubbio la paranoia di vedere delle cospirazioni ovunque, accanto a quello del cattivo giornalismo, su cui mi vorrei soffermare più tardi. La ricerca ossessiva di presunti segreti è un tema che Lei ha già esaminato in varie occasioni come semiologo, p.es. 2_IH_Italienisch_75.indd 21 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 22 nel 1990 nel Suo libro I- limiti dell’interpretazione, oppure nelle Sue Tanner Lectures, pubblicate nel 1992 con il titolo Interpretation and Overinterpretation. La semiosi ermetica è anche un argomento ricorrente dei Suoi romanzi, soprattutto nel Pendolo di Foucault, ma anche in Baudolino e nel Cimitero di Praga. eco Sì, è un tema che mi ha sempre affascinato. Ma non è solo un passatempo come un altro, c’è una radice più profonda. Sono un filosofo. La cosa di cui un filosofo non può non interessarsi è il problema della verità. Siccome è un problema enormemente complesso, io ho sempre pensato di doverci arrivare attraverso la scoperta del falso. È più facile scoprire che qualcosa è falso che dire che qualcosa è vero. Il tema del complotto potrebbe essere chiamato un capitolo di quel libro sul falso che io continuo a scrivere. Se Lei va su internet, vedrà che ci si trovano molte pagine con delle teorie cospiratorie, è un fatto socialmente rilevante. d.: La visione del mondo di Braggadocio potrebbe essere riassunta con alcune delle sue frasi: «Avevo perduto ogni certezza, salvo la sicurezza che c’è sempre qualcuno alle nostre spalle che ci inganna.» (p. 12) «Sospettare, sospettare sempre, così trovi la verità.» (p. 47) «Vedi come tutto si lega? » (p. 48) «Tutto c’entra sempre con tutto […].» (p. 152) La reazione di Colonna alle farneticazioni di Braggadocio - «cercavo di riportarlo al senso comune» (p. 47) - mi sembra paragonabile all’attitudine di Lia davanti a Casaubon nel Pendolo di Foucault, quando gli dimostra che il presunto messaggio dei Templari è in verità solo una nota della lavandaia. Lia dice che «le spiegazioni più semplici sono sempre le più vere» (p. 419) e questo principio - che corrisponde anche al famoso «rasoio di Ockham» 57 - potrebbe essere assimilato a quello che Lei come semiologo ha chiamato «l’economia dell’interpretazione». 58 eco Sì, ritorno ogni tanto alla donna come portatrice del senso comune. Questo vale per Lia nel Pendolo di Foucault, come vale per Maia in Numero zero. Anche Colonna è più ragionevole di Braggadocio. L’unico fatto vero su cui Braggadocio si basa è che quando Mussolini è andato a Como non ha voluto incontrare la famiglia. È un fatto abbastanza strano, ma insufficiente per spiegare tutto il complotto. L’economia dell’interpretazione vorrebbe che si cercasse di interpretare questo fatto in un altro modo: doveva incontrarsi con la sua amante, pensava di vedere la moglie più tardi, ecc. Solo violando il principio dell’economia dell’interpretazione, si può pensare che non era 2_IH_Italienisch_75.indd 22 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 23 lui, che era un sosia. È un enorme dispendio interpretativo per spiegare un fatto che probabilmente si poteva spiegare in modo più economico. d.: Qui si potrebbe menzionare che il motivo del sosia, di una certa importanza per le teorie cospiratorie di Numero zero, 59 aveva già assunto un ruolo non trascurabile nell’Isola del giorno prima, sebbene per altre ragioni. 60 Anche il protagonista del Cimitero di Praga, Simonini, aveva un sosia. 61 eco La storia della letteratura è piena di sosia, a partire dai Menecmi di Plauto. È vero che nell’estetica del barocco si insisteva sull’esistenza del sosia, e perciò l’ho messo nell’Isola del giorno prima, mentre nel Medioevo non se ne parlava, e perciò non c’è nessun sosia nel Nome della rosa. [Ride.] In Numero zero, il sosia era lo strumento più elementare per poter spiegare la sostituzione di Mussolini. d.: Per quanto riguarda Maia, la giovane giornalista che diventa l’amante di Colonna, ella si distingue per uno stato mentale assai particolare, che non è facile decifrare. Secondo Braggadocio, a Maia «manca la capacità di mettersi dal punto di vista dell’altro, pensa che tutti pensino quel che pensa lei» (p. 103). 62 Questo è infatti quello che si può osservare in varie scene del romanzo, ma non sono certo che la diagnosi di Braggadocio, che afferma che Maia è autistica (p. 102), sia adeguata. Che ne dice Lei? eco Conosco alcune persone con una mentalità paragonabile a quella di Maia; volevo disegnare il ritratto di questo tipo di carattere assai particolare, ma non ne posso elaborare una diagnosi completa, considerando anche che non ha una funzione specifica nella struttura del romanzo. d.: L’altro grande tema di Numero zero, accanto a quello della mania dei complotti, è la critica del cattivo giornalismo, quello che si lascia guidare dagli interessi personali del proprietario del giornale 63 e non rifugge da menzogne e ricatti. eco Sì, è quello che io chiamo «la macchina del fango» e che mi sembra una specificità del giornalismo italiano. Da noi, un certo tipo di stampa utilizza spesso delle insinuazioni calunniose per attaccare qualcuno che non si è reso colpevole di niente ma che, per delle ragioni politiche o personali, è considerato dal giornale in questione come un nemico, cioè come qualcuno la cui 2_IH_Italienisch_75.indd 23 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 24 reputazione si vuole distruggere. C’è nel mio romanzo il caso di quel magistrato di Rimini che conduce un’inchiesta che rischia di rivelare anche certi affari dell’editore del giornale. Si cerca dunque di delegittimare quel giudice agli occhi dell’opinione pubblica, rivelandone alcune abitudini private un po’ strane ma per niente censurabili. 64 Quell’episodio è basato su un caso reale, e anche a me è successo qualcosa di simile: un giornale di proprietà della famiglia di Berlusconi pubblicò una volta un articolo nel quale si poteva leggere che ero stato osservato in un ristorante cinese mentre mangiavo con le bacchette 65 in compagnia «di un ignoto» (che era un amico francese). Non c’è niente di più innocuo, ma probabilmente si voleva insinuare che frequentavo ambienti esotici e dunque - negli occhi di un lettore conservatore e piccolo borghese, che mangia solo piatti italiani - poco raccomandabili. Per me è diventato una specie di running gag: certi amici, ai quali ho raccontato quell’esperienza, da allora mi mettono sempre le bacchette fra le posate quando mi invitano a mangiare! [Ride.] d.: È una domanda un po’ ovvia, ma inevitabile: può dirmi quale grado di somiglianza c’è fra il commendator Vimercate nel Suo romanzo - che possiede non solo dei giornali e delle riviste, ma anche dei canali di televisione (p. 24) - e Silvio Berlusconi? So che Numero zero non è un romanzo a chiave e che esistono anche delle differenze fra le due personalità, ma la loro influenza sui media mi sembra paragonabile. eco Non ho voluto riferirmi solo a Berlusconi e perciò ho evitato che Vimercate gli rassomigliasse troppo; Lei avrà notato che ci sono molti dettagli che li distinguono. Ci sono dei casi analoghi di troppo potere mediatico concentrato in una sola mano anche in altri paesi, dei magnati come Rupert Murdoch o Donald Trump. Ma è vero che ho combattuto per molti anni il populismo mediatico di Berlusconi, 66 che mi sembrava un pericolo per la democrazia in Italia; per questo motivo sono stato anche uno dei fondatori del movimento Libertà e Giustizia, che oggi - grazie alla riduzione dell’influenza politica di Berlusconi - non è più tanto necessario come alcuni anni fa. d.: Per Lei era importante situare l’azione del romanzo nel 1992 e non nell’Italia di oggi? Cioè, la situazione dei media e del giornalismo è cambiata da allora o è sempre la stessa? eco Non è molto cambiata, ma c’è una grande differenza nei mezzi di diffusione 2_IH_Italienisch_75.indd 24 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 25 del giornalismo: in quell’epoca lì, internet era ancora agli esordi; solo alcuni anni più tardi sarebbe diventato un fenomeno di massa. Comunque, volevo situare la trama del mio romanzo all’epoca di Tangentopoli e Mani pulite, perché in quegli anni lì il giornalismo investigativo svolgeva un ruolo importante nella società italiana, scoprendo molti scandali dei politici. d.: Alla fine del romanzo, dopo l’uccisione di Braggadocio, Colonna e Maia parlano dello stato di cose in Italia e il loro giudizio è molto negativo, senza un barlume di speranza per il futuro: «avresti voglia di vivere ancora in questo paese, dove le cose continueranno ad andare come sono andate […]? » (p. 216) Stanno considerando di emigrare in America Latina, dove in certi paesi i criminali non agiscono in segreto come in Italia, ma apertamente. 67 Finalmente decidono che possono restare in Italia, perché la loro patria - come spiega Colonna a Maia con una forte dose di sarcasmo - sta diventando sempre più simile a un paese del terzo mondo. 68 Lei, che è abituato a commentare regolarmente lo stato della nazione, fra l’altro nelle Sue Bustine di Minerva, cosa ne pensa? eco Io penso che si può affermare che il Risorgimento è fallito, che non c’è una vera Unità d’Italia, malgrado le celebrazioni del 150° anniversario nel 2011. La prova ne è il razzismo profondamente radicato dei settentrionali verso i meridionali. In Numero zero c’è un brano che dimostra come questa spaccatura influenza anche il lavoro dei giornalisti, che tendono a rinforzare i pregiudizi dei loro lettori. 69 Cioè, se si tratta di cattivo giornalismo, com’è il caso di quel giornale nuovo, il cui numero zero stanno preparando nella redazione milanese. d.: Il paradiso terrestre, del quale sognano alla fine del romanzo Colonna e Maia, ha la forma di un’isola, più esattamente un’«isola dei mari del Sud.» (p. 217) Dato che Maia chiama Colonna due volte «Tusitala» (p. 128 e 217), è permesso pensare alle Isole Samoa, perché così fu chiamato il romanziere Robert Louis Stevenson (l’autore di Treasure Island) dagli aborigeni di quel luogo. Ma per Maia e Colonna è chiaro che la posizione geografica dell’isola non ha nessuna importanza, perché si tratta di un simbolo. Perciò il protagonista parla «dei mari del Sud, dovunque fossero. Anche solo a Loano». 70 (p. 137) Nel Suo terzo romanzo, L’isola del giorno prima, l’isola aveva un significato simbolico; 71 a questo tema Lei ha anche dedicato un saggio dal titolo «Perché l’isola non viene mai trovata» (in Costruire il nemico), dove definisce questo tipo d’isola immaginaria «un non-luogo, irraggiungibile» (loc. cit., p. 295), 72 un paese dell’Utopia. 73 Ho l’impressione che in Numero 2_IH_Italienisch_75.indd 25 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 26 zero non ci sia questa dimensione metafisica dell’isola; Colonna e Maia sembrano accontentarsi di una modesta felicità materiale. 74 Ho ragione? eco Senz’altro. Non c’è nessun segno di trascendenza in Numero zero, perché Colonna e Maia sono dei falliti, che non sanno liberarsi dalle condizioni materiali della loro esistenza. d.: Con ciò abbiamo trattato tutti i punti più importanti che volevo affrontare in questo colloquio. Lascio da parte un certo numero di dettagli minori, interessanti ma non indispensabili per la comprensione globale del Suo romanzo. Ho evitato deliberatamente di porLe una domanda riguardante gli elementi autobiografici 75 di Numero zero, perché non volevo seguire i consigli di Simei, che spiega a Maia come deve condurre le interviste: «non bisogna parlare troppo del libro ma far venire fuori lo scrittore o la scrittrice, magari anche con i suoi tic e le sue debolezze. […] se la storia è d’amore strappi all’autore o all’autrice una rievocazione del suo primo amore.» (p.- 69) eco E quali sarebbero stati questi elementi autobiografici che Lei ha trovato in Numero zero? d.: Soprattutto la descrizione meticolosa ed ironica dell’ambiente universitario intorno al professor Di Samis (p. 13 e seguenti). eco È vero, ho potuto osservare personalmente tutte quelle stravaganze della vita accademica che nel romanzo sono riferite da Colonna. [Ride.] d.: La ringrazio di aver dedicato un po’ di tempo a questo incontro, avvenuto pressoché trent’anni dopo il nostro primo colloquio. Il colloquio ha avuto luogo a Milano il 19 settembre 2015. 2_IH_Italienisch_75.indd 26 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 27 Note 1 Questo colloquio è la continuazione di una serie di interviste cominciata negli anni Ottanta e pubblicata in tedesco con il titolo Gespräche mit Umberto Eco aus drei Jahrzehnten (Münster [LIT Verlag] 2012). 2 Umberto Eco, Numero zero, Milano: Bompiani 2015, p. 7. 3 «Only connect! That was the whole of her sermon. Only connect the prose and the passion, and both will be exalted, and human love will be seen at its height. Live in fragments no longer. Only connect, and the beast and the monk, robbed of the isolation that is life to either, will die.» E.M. Forster, Howards End, New York: Random House 1991 (first edition London 1910), p. 195. 4 Eco si riferisce al convegno «The Meaning of Conspiracy - Plot and Mystery in Communication», che si è svolto all’Università di Torino dall’ 8 al 10 giugno 2015. 5 Il colpo di stato di Junio Valerio Borghese fu avviato (e poi subito interrotto) nel dicembre 1970; in Numero zero questo complotto realmente accaduto viene raccontato da p. 173 a p. 179 (arricchito con alcuni dettagli inventati sul presunto ritorno di Mussolini). 6 Che fu identificato con Corrado Simioni, accusato negli anni Ottanta da Silvano Larini di «muovere i fili delle Brigate rosse». Si veda a questo proposito p.es. l’articolo di Ulderico Munzi, «Corrado Simioni: ‘Macché Grande Vecchio delle Br, io sono buddista’ (Intervista)», in Corriere della Sera, 16 marzo 1993, p.-3. 7 In questo romanzo, Nievo era stato uno dei molti personaggi storici coinvolti nella trama. Eco aveva utilizzato il mistero che circonda fino ad oggi la morte dello scrittore, fervente sostenitore di Garibaldi, avvenuta a bordo della nave Ercole nel marzo 1861, per costruire una connessione con le cospirazioni che sono al centro del Cimitero di Praga (si veda soprattutto il capitolo ottavo, da p. 167 a p. 188). 8 Il concetto della mise en abyme fu coniato da André Gide nel 1893 nel suo Journal; con questo termine, si riferiva a un certo tipo di rispecchiamento interno di un’opera d’arte (un testo letterario, ma anche un quadro, ecc.). Questo concetto fu poi sviluppato a livello teorico da Lucien Dällenbach in Le Récit spéculaire. Essai sur la mise en abyme, Paris: Seuil 1977. 9 Per esempio alla fine del romanzo: «altra citazione, lo so, ma ho rinunciato a parlare in prima persona e lascio parlare solo gli altri» (p. 218). 10 «Se D’Annunzio era un cattivo scrittore, non voleva dire che dovessi esserlo anch’io.» (Numero zero, p. 19) 11 In questa opera di Eco sulle teorie della cultura di massa, pubblicata per la prima volta nel 1964, c’è una sezione (interna al capitolo menzionato da Eco) intitolata «Ricorso al topico e sensibilità decadente»; lì Eco scrive fra l’altro di D’Annunzio: «Non c’è pagina de Il piacere dove l’esperienza dell’istante non sia rapportata da Andrea Sperelli al ‘luogo artistico’.» (Apocalittici e integrati, edizione Milano: Bompiani 1984, p. 213). 12 Nel romanzo della Sagan, uno dei personaggi viene caratterizzato attraverso un’allusione a Proust, come spiega Eco: «‘Se volete sapere cosa Bernard provasse udendo quella frase musicale - pare suggerirci - ricordatevi le emozioni e i pensieri di Swann all’udire la famosa frase della sonata di Vinteuil, come Proust ce li narra nel primo volume della Recherche.’ L’autrice ha dimostrato una mancanza di vitalità formativa, ha rinunciato a produrre una situazione e un carattere prendendo a prestito situazione e carattere da un’altra opera.» (loc. cit., p. 215) 13 Non è chiaro a quale saggio Eco qui si riferisca; ha scritto sul Kitsch (si usa in italiano l’espressione tedesca) varie volte, fra l’altro nella sezione «Kitsch, Kitsch, Kitsch: Urrah! » inclusa nel volume Il costume di casa, Milano: Bompiani 1973, pp. 197-221. 2_IH_Italienisch_75.indd 27 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 28 14 Colonna è il nome del protagonista di Numero zero. 15 Sono le famose (e leggendarie, cioè forse solo inventate) ultime parole di Goethe. (Si veda p.es.: Goethe - Leben und Welt in Briefen, zusammengestellt von Friedrich Kemp, München: dtv 1978, p.-798.) 16 Su questo tema, Hutcheon ha pubblicato fra l’altro A Poetics of Postmodernism (1988) e The Politics of Postmodernism (1989). 17 Eco si riferisce probabilmente ad Antonio Faeti, primo ordinario della cattedra di Letteratura per l’infanzia all’Università di Bologna e fondatore del Centro di Ricerca di Letteratura per l’infanzia. Fra le sue pubblicazioni: Letteratura per l’infanzia (1977); I tesori e le isole. Infanzia, immaginario, libri e altri media (1986); L’illustrazione nel romanzo popolare (1988); Pictures. Illustratori inglesi per bambini (1991); I diamanti in cantina. Come leggere la letteratura per ragazzi (1995). 18 Il film Il nome della rosa (1986), tratto dall’omonimo romanzo, fu diretto da Jean- Jacques Annaud. 19 Per il percorso biografico di Umberto Eco - in questo caso, i suoi anni di formazione all’università -, si veda il capitolo quinto del già citato libro Gespräche mit Umberto Eco aus drei Jahrzehnten (vedi nota 1). 20 Nel suo romanzo, Eco allude al libro umoristico Come farsi una cultura mostruosa, pubblicato nel 1972. 21 Si tratta di una collezione di saggi del 2007 dal sottotitolo Studi storici sul segno e l’interpretazione. 22 Pier Aldo Rovatti aveva curato insieme a Gianni Vattimo il summenzionato volume Il pensiero debole. 23 Interpretazione ed emancipazione. Studi in onore di Gianni Vattimo. A cura di Gianni Carchia e Maurizio Ferraris, Milano: Raffaello Cortina Editore 1996. 24 ‘Neorealismo’ è qui un concetto della storia della filosofia, non della storia della letteratura (dove il termine ha un altro significato). Maurizio Ferraris ha pubblicato nel 2012 prima la monografia Manifesto del nuovo realismo e poi curato (con Mario De Caro) il volume Bentornata realtà. Il nuovo realismo in discussione (nel quale c’è un contributo di Umberto Eco). 25 Così si chiama un volume di saggi semiotici pubblicato da Umberto Eco nel 1997. 26 Si veda: Thomas Stauder, «Arsène Lupin meets Sam Spade and Phil Marlowe: Citations from the Tradition of the Detective Novel in the Works of Umberto Eco», in: Mirna Ciccioni / Nicoletta Di Ciolla (eds.), Differences, Deceits and Desires. Murder and Mayhem in Italian Crime Fiction, Newark: University of Delaware Press 2008, pp. 27-48. 27 Augusto De Angelis (1888-1944) creò il commissario De Vincenzi, protagonista di molti romanzi polizieschi pubblicati negli anni Trenta. 28 Nella rivista Versus, n° 30, 1981, pp. 3-19. 29 Bloomington: Indiana University Press 1983. 30 In L’analisi del racconto, Milano: Bompiani 1969, pp. 123-162. 31 Ian Fleming è stato l’inventore della figura di James Bond - in romanzi come Casino Royale (1953), Live and Let Die (1954), Moonraker (1955), Diamonds Are Forever (1956), From Russia, with Love (1957) ecc. - resa poi popolare anche attraverso le versioni cinematografiche. 32 Si veda: Gespräche mit Umberto Eco aus drei Jahrzehnten (loc. cit.), pp. 153-202. 33 Delle sue prime esperienze di lettura quando era ragazzo e dell’importanza che il genere del romanzo d’appendice ebbe per lui, Eco ha parlato anche nell’articolo «Io sono Edmond Dantès! », pubblicato prima nel 2008 nell’Almanacco del bibliofilo e 2_IH_Italienisch_75.indd 28 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 29 poi ripubblicato nel 2011 nel volume Costruire il nemico e altri scritti occasionali (pp. 265-283). Ne cito un brano particolarmente significativo: «Eppure solo leggendo il romanzo d’appendice, e da piccoli, si imparano i meccanismi classici della narrativa - quali si manifestano allo stato puro, spesso svergognatamente, ma con una travolgente energia mitopoietica.» (loc. cit., Milano: Bompiani 2011, p. 266) 34 Ambedue sono romans de feuilleton (romanzi d’appendice) di Alexandre Dumas; il primo fu pubblicato nel 1844, il secondo tra il 1844 e il 1846. 35 Les Mystères de Paris è un romanzo d’appendice di Eugène Sue, pubblicato tra il 1842 e il 1843. Eco l’ha analizzato fra l’altro nel saggio «Eugène Sue: il socialismo e la consolazione», in: Il superuomo di massa. Studi sul romanzo popolare, Milano: Cooperativa Scrittori 1976, pp. 35-77. 36 L’Aiguille creuse è anche il titolo di uno dei migliori romanzi d’appendice di Maurice Leblanc (pubblicato tra il 1908 e il 1909), al quale lo scoglio omonimo deve oggi in gran parte la sua notorietà. Eco ne parla in un altro saggio del Superuomo di massa, dedicato appunto ad Arsène Lupin (loc. cit., pp. 118-124). 37 Il filosofo Luigi Pareyson fu uno dei maestri di Eco all’Università di Torino; Pareyson fu anche il supervisore della sua tesi di dottorato su Tommaso d’Aquino. (Si veda: Gespräche mit Umberto Eco aus drei Jahrzehnten, loc. cit., pp. 173-176.) 38 Ma qui da intendersi non nel senso concreto di un «pezzetto di legno per rincalzare mobili che non posano bene in piano o chiudere qualche fessura», ma piuttosto in senso figurato: «rimedio, espediente per correggere una cosa mal detta», «frase o parola che funge da riempitivo insignificante.» (Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana) 39 Da Oscar Wilde; la citazione originale in inglese si trova in The Decay of Lying (1889, versione riveduta 1891). 40 Futility, or The Wreck of the Titan, romanzo in inglese dello scrittore statunitense Morgan Robertson. 41 Il capitolo si chiama «Il modo simbolico» (loc. cit., Torino: Einaudi 1984, pp. 199-254). 42 Lo stesso vale per la chiesa San Bernardino alle Ossa (p. 166), i cui «scheletrucci puliti» vengono paragonati con irriverenza livellatrice (ed ironia tipicamente postmoderna) a «i denti che si vedono nelle pubblicità della Pasta del Capitano» (p. 168). 43 Eco cominciò a vivere nel capoluogo lombardo negli anni Cinquanta, quando, dopo aver terminato i suoi studi all’Università di Torino, trovò un posto di lavoro alla RAI. (Si veda il capitolo «Stationen von Ecos Biographie» in: Gespräche mit Umberto Eco aus drei Jahrzehnten, loc. cit., pp. 153-202, qui p. 178.) 44 The Castle of Otranto, pubblicato nel 1764, è considerato il primo romanzo gotico. 45 Si potrebbe citare la descrizione della fisionomia di Malachia da Hildesheim (Il nome della rosa, Primo giorno, Dopo nona), che segue il modello della descrizione di Schedoni nel romanzo The Italian di Ann Radcliffe (1797). Per un confronto dei due brani si veda: Thomas Stauder, Umberto Ecos «Der Name der Rose»: Forschungsbericht und Interpretation, Erlangen: Palm & Enke 1988, p. 91. 46 Matthew Gregory Lewis, autore del romanzo gotico The Monk (1796). 47 La prima edizione del Nome della rosa è del 1980, la versione «corretta e riveduta» è uscita nel gennaio 2012. 48 The Hound of the Baskervilles (1902) è uno dei più noti romanzi di Arthur Conan Doyle intorno alla figura di Sherlock Holmes. Per le analogie fra il famoso detective inglese e il protagonista del Nome della rosa si veda: Stauder 2008 (loc. cit.), pp. 27-28. 49 In questo almanacco si trovano infatti tutti gli autori di romanzi d’appendice già menzionati nel corso di questo colloquio (e molti altri): Alexandre Dumas, Eugène Sue, Emilio Salgari, ecc. 2_IH_Italienisch_75.indd 29 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 30 50 Per la partecipazione di Umberto Eco (ed anche di Renato Barilli) al Gruppo 63 si veda: Gespräche mit Umberto Eco aus drei Jahrzehnten (loc. cit.), in particolare pp. 185-198. 51 Il pendolo di Foucault, Milano: Bompiani 1988, p. 327. Lo stesso brano nell’originale tedesco: «Über dem Atlantik befand sich ein barometrisches Minimum; es wanderte ostwärts, einem über Russland lagernden Maximum zu […].» Robert Musil, Der Mann ohne Eigenschaften, herausgegeben von Adolf Frisé, Reinbek bei Hamburg: Rowohl 1952, p. 9. 52 Lo stesso tipo di inetto appare in vari romanzi di Svevo, in La coscienza di Zeno, ma anche in Una vita o in Senilità. 53 Qui Eco si riferisce alla trama di La coscienza di Zeno (1923), dove il protagonista Zeno Cosini non sposa la bella Ada, di cui si è innamorato, ma la sorella di questa, la meno attraente Augusta. 54 In forma di nota marginale sia menzionato che i nomi di alcuni personaggi secondari di Numero zero corrispondono a diversi caratteri tipografici (Cambria, Palatino, ecc.), una scelta giustificata dalla relazione della loro professione (il giornalismo) con la scrittura. Eco aveva inserito una trovata simile già nel Pendolo di Foucault, dove il signor Garamond era un direttore editoriale. 55 Si veda per esempio l’inizio del terzo canto del secondo libro di The Fairy Queen: «Vaine Braggadocchio getting Guyons / horse is made the scorne / of knighthood trew […]» (Edmund Spenser, Poetical Works, Oxford: Oxford University Press 1983, p. 81) 56 Nel suo romanzo, Eco ha leggermente modificato alcuni di questi nomi per renderli più plausibili: Constanza > Costanza, Freesia > Fresia, Lucida > Lucidi, Maya > Maia, Simhei > Simei, ecc. 57 «Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem.» Il francescano William of Ockham (ca. 1287-1347), sommo rappresentante della filosofia nominalista del Medioevo, è uno dei ‘padri spirituali’ del personaggio di Guglielmo da Baskerville nel Nome della rosa. (Si veda: Gespräche mit Umberto Eco aus drei Jahrzehnten, loc. cit., pp. 41-42.) 58 Nella sezione «Criteri di economia» (p. 103 e seguenti) del libro I limiti dell’interpretazione (Milano: Bompiani 1990). 59 Qui sempre riferito a Mussolini: «Un dittatore dovrebbe avere un sosia» (p. 118). 60 Roberto, il protagonista dell’Isola del giorno prima, aveva un sosia chiamato Ferrante, una scelta, questa, spiegabile in gran parte con il fatto che il terzo romanzo di Eco era situato nel Seicento e imitava lo stile di quel periodo. (Si veda: Gespräche mit Umberto Eco aus drei Jahrzehnten, loc. cit., pp. 113-114.) 61 Nel caso di Simonini, l’invenzione di un sosia era dovuta da un lato al problema della ‘doppia personalità’, descritta da Charcot, e dall’altra parte al fatto che Simonini era un falsario. (Si veda: Gespräche mit Umberto Eco aus drei Jahrzehnten, loc. cit., pp. 273-275). 62 Quello che Colonna dice più tardi di Maia è molto simile: «Sentivo Maia indifesa, al punto da rifugiarsi in un proprio mondo interiore, senza voler vedere ciò che accadeva in quello degli altri, che forse l’aveva ferita.» (p. 127) Anche lui parla di autismo (p. 192). 63 «‘Lei dice che per ogni articolo dovremmo controllare se fa piacere al Commendatore? ’ aveva chiesto Cambria, come al solito specializzato in domande stupide. ‘Per forza,’ aveva risposto Simei, ‘è il nostro azionista di riferimento, come si suol dire.’» (p. 76) 64 «Tre giorni dopo Palatino era tornato con delle notizie assai ghiotte. Aveva fotografato il magistrato mentre, seduto sulla panchina di un giardinetto, fumava nervosamente una sigaretta dopo l’altra, con una decina di cicche ai suoi piedi. Palatino non 2_IH_Italienisch_75.indd 30 30.06.16 17: 10 Un colloquio con Umberto Eco intorno a Numero zero 31 sapeva se la cosa poteva essere interessante, ma Simei aveva detto di sì, un uomo da cui ci attendiamo ponderazione e obiettività dava l’impressione di essere un nevrotico, e oltretutto un ozioso che invece di sudare sui documenti se ne stava a perdere tempo per vialetti.» (Numero zero, p. 130) 65 Nel romanzo, anche questo ‘vizio’ è attribuito al giudice che si vuole discreditare. 66 A questo proposito, si vedano fra l’altro gli articoli di Eco riuniti nel volume A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico, Milano: Bompiani 2006. 67 «[…] tutto avviene alla luce del sole, la polizia pretende di essere corrotta per regolamento, governo e malavita coincidono per dettato costituzionale, le banche campano sul riciclo di denaro sporco […], si ammazzano ma solo l’uno con l’altro e lasciano in pace i turisti.» (Numero zero, p. 216) 68 «[…] ci stiamo abituando a perdere il senso della vergogna. […] Niente più chiaroscuri in barocco, cose da Controriforma, i traffici emergeranno en plein air […]: corruzione autorizzata, il mafioso ufficialmente in parlamento, l’evasore al governo, e in galera solo i ladri di pollame albanesi. […] Basta solo aspettare: una volta diventato definitivamente terzo mondo, il nostro paese sarà pienamente vivibile.» (Numero zero, p. 218 e seguente) 69 «Lo so che si è sdottorato sul fatto che i giornali scrivono sempre operaio calabrese assale il compagno di lavoro e mai operaio cuneese assale il compagno di lavoro, va bene, si tratta di razzismo, ma immaginate una pagina in cui si dicesse operaio cuneese eccetera eccetera, pensionato di Mestre uccide la moglie, edicolante di Bologna commette suicidio, muratore genovese firma un assegno a vuoto, che cosa gliene importa al lettore dove sono nati questi tizi? Mentre se stiamo parlando di un operaio calabrese, di un pensionato di Matera, di un edicolante di Foggia e di un muratore palermitano, allora si crea preoccupazione intorno alla malavita meridionale e questo fa notizia…» (Numero zero, pp. 58-59) 70 Loano è una città ligure sulla costa della Riviera delle Palme e viene chiamata anche «l’Isola del Ponente». 71 Per un approfondimento di questo tema si veda la mia introduzione a Thomas Stauder (Hrsg.), «Staunen über das Sein». Internationale Beiträge zu Umberto Ecos «Insel des vorigen Tages», Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft 1997, pp. 1-22. 72 Costruire il nemico e altri scritti occasionali, Milano: Bompiani 2011, pp. 295-325, qui p. 295. 73 Qui si potrebbe anche citare il volume Storia delle terre e dei luoghi leggendari, pubblicato da Umberto Eco nel 2013, il cui capitolo 11 si chiama «Le isole dell’Utopia» (pp. 304-325). 74 Colonna dice: «io mi rimetto a tradurre dal tedesco e tu torni alla tua rivista per coiffeurs pour dames e sale d’aspetto dei dentisti.» (Numero zero, p. 218) 75 Quando Braggadocio spiega l’origine del suo nome («Mio nonno era un trovatello e come sa il cognome in questi casi era inventato da un impiegato comunale», p. 32), questo dettaglio è ripreso dalla biografia dell’autore: «Il suo cognome è un acronimo. Eco sono le inziali di ‘ex caelis oblatus’, che in latino vuol dire ‘donato dai cieli’. Così, spiega lo scrittore, un colto funzionario pubblico chiamò suo nonno, un trovatello senza nome.» (Corriere della Sera, 29 novembre 1995, p. 33) 2_IH_Italienisch_75.indd 31 30.06.16 17: 10