Italienisch
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Narr Verlag Tübingen
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2016
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Fesenmeier Föcking Krefeld OttL’Italiano in Sardegna
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Noemi Piredda
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85 Noe m i P ire dda L’italiano in Sardegna 1. introduzione Osservando la storia della Sardegna, si nota subito come questa sia sempre stata caratterizzata da un notevole pluralismo linguistico. Tanti sono stati i conquistatori conosciuti dal suolo sardo: i fenici, i punici, i romani, i bizantini, i saraceni, i pisani e i genovesi, a seguire gli aragonesi, gli spagnoli, i Savoia e, infine, gli italiani. Proprio con gli italiani, tramite l’Unità d’Italia, si sigilla il rapporto dei sardi con la lingua italiana (nazionale); rapporto che in qualche modo già esisteva da molti secoli, sebbene né con la stessa fisionomia, né con la stessa intensità e ufficialità. In effetti, l’uso del termine italiano per descrivere le varietà italoromanze (toscano, genovese) risulta in epoca preunitaria storicamente improprio, visto che tali varietà precedono di diversi secoli il concetto stesso di italiano e di lingua italiana (Cf. Krefeld 2013, 1-10). Le lingue dei vari conquistatori hanno sempre avuto in Sardegna una forte rilevanza, dato che l’uso del sardo era limitato a contesti sociali ben delineati (Bolognesi/ Heeringa 2005, 20) mentre per le funzioni più autorevoli venivano utilizzate, appunto, lingue esogene quali il catalano, lo spagnolo, l’italiano e così via. «Si può constatare che in territorio sardo il pluralismo linguistico di tipo verticale, transclassista, è una costante storica fin dall’antichità ed è dovuto alle vicissitudini politiche dell’isola che l’hanno collocata nei tempi storici in una situazione assimilabile a quella di una colonia esposta alle mire espansionistiche delle talassocrazie mediterranee.» (Lörinczi 1999, 386) Tra le lingue esogene che hanno avuto un ruolo importante in Sardegna, l’impatto delle varietà che, per quanto concerne il periodo preunitario, possiamo chiamare impropriamente e per comodità italiane, rimane senza precedenti. I primi contatti si hanno già nel medioevo, grazie alla presenza delle Repubbliche marinare di Pisa e Genova in Sardegna. Per un lungo periodo, sotto la dominazione del regno di Aragona, questo rapporto, con l’incalzare prima del catalano e poi, dopo la creazione del regno di Spagna, dello spagnolo, si inclina, sebbene non si deteriori del tutto. In seguito, sotto i Savoia, si dà inizio ad una seconda fase, in cui questa relazione si rivitalizza, portando poi nel Novecento all’italofonia diffusa. 2_IH_Italienisch_75.indd 85 30.06.16 17: 11 L’Italiano in Sardegna Noemi Piredda 86 2.Periodo preunitario 2.1. italianizzazione primaria Come sottolineato da Castellaccio (2009, 1), la Sardegna è sempre stata particolarmente ambita da coloro che avevano mire espansionistiche nel Mediterraneo, sia per la sua posizione geografica atta al commercio, sia per la sua ricchezza di prodotti derivanti dalle attività agro-pastorali e dalle risorse minerarie. 1 In questa prospettiva va inserito quindi l’avvento delle Repubbliche di Pisa e Genova sul suolo sardo. Chiamate a intervenire dalla Chiesa sotto insistente richiesta dei nativi contro l’emiro Mugâhid, stabilitosi in una non precisata area della Sardegna (Ortu 2011, 24), Pisa e Genova intravedettero subito i profitti economici che ne avrebbero potuto ricavare: «[…] al di là delle pressioni esercitate dal Papa e dall’imperatore e delle insistenti richieste di intervento da parte dei giudici sardi preoccupati per le incursioni arabe, gli storici non escludono che anche le mire di espansionismo commerciale possano aver avuto un ruolo, se non decisivo, per lo meno fondamentale.» (Loi Corvetto 1993, 14) Nel 1016 la flotta Araba viene sconfitta dalle due potenze marinare, che diedero così inizio ad una relazione particolarmente intensa con la Sardegna, tanto da poter parlare comunemente (sebbene l’espressione sia in realtà inadatta) di periodo genovese oppure di periodo pisano, con riferimento ad una o all’altra Repubblica a seconda di quale tra le due avesse il predominio nel territorio in quel momento (Castellaccio 2009, 3). Infatti, i conflitti tra Pisa e Genova per ottenere l’egemonia sul Mediterraneo si evidenziarono chiaramente anche nel caso della Sardegna. All’inizio la contesa tra le due riguardava principalmente il controllo delle rotte mercantili e dello sfruttamento delle risorse dell’isola, fino a giungere poi al tentativo di predominio nei diversi giudicati, condizionandone la politica, a tal punto da sobbarcarsene, in alcuni casi, la guida costituzionale. È interessante notare come Genova, nonostante il possedimento di beni di vario genere, che a vario titolo finirono nelle mani di potenti famiglie liguri, di fatto, non possedesse in Sardegna nessun terreno (Castellaccio 2009, 2). La presenza genovese nell’isola era improntata soprattutto su di una rete sociale di rapporti creatisi con il ceto dirigente giudicale, grazie ad un’astuta politica diplomatica e matrimoniale, che gli permise, gradualmente, di avere una forte influenza sui giudicati e di ottenere così privilegi commerciali di vario tipo (Artizzu 1985, 37-49). Già verso la fine del XII secolo i Giudicati di Logudoro, Gallura e Cagliari erano sotto il controllo di Pisa e Genova 2 ; due secoli più tardi essi 2_IH_Italienisch_75.indd 86 30.06.16 17: 11 Noemi Piredda L’Italiano in Sardegna 87 caddero completamente e si ebbe così la totale supremazia delle due Repubbliche, che durò fino all’avvento degli aragonesi. 3 Durante questi tre secoli, quindi, la presenza pisana e genovese si manifesta anche linguisticamente, permettendo al toscano (pisano) e, in minor misura, anche al ligure (genovese) (Lörinczi 1999, 397) di diffondersi. Un ruolo preminente in tutto ciò va riconosciuto alla Chiesa e alle diverse comunità religiose che furono create (grazie alle donazioni e alle concessioni dei giudici in favore dello Stato Pontificio). I monaci appartenenti a queste comunità avevano il compito di supportare la latinizzazione della Chiesa sarda. 4 Allo stesso tempo, però, il loro apporto linguistico fu rilevante anche per la diffusione del volgare non sardo. Mentre a livello grafico l’influsso delle varietà italiane risulta evidente tramite l’utilizzo della ‘gotica documentaria’ di tipo italiano (Casula 1978, 41, 83), tale influsso non è invece così chiaro sul piano prettamente linguistico. Alcuni autori 5 sostengono che l’impatto linguistico del toscano sia stato tale da comportare una chiara differenziazione diatopica della lingua sarda, quindi un influsso linguistico particolarmente forte; il che però fa presupporre che la presenza del toscano in Sardegna sia stata massiccia e che abbia riguardato quindi tutti i ceti sociali. Altri autori, 6 invece, dubitano fortemente sul ruolo cardine attribuito al toscano, visto semplicemente come lingua di superstrato, il cui utilizzo era esclusivamente elitario. Sabatini (1980, 14, 15) descrive il toscano usato in Sardegna soprattutto come lingua colta dei conquistatori, che ben si confaceva all’uso scritto; tuttavia, sempre lo stesso autore non vuole con ciò sminuire la portata del fenomeno sottolineando come la toscanizzazione avvenuta in Sardegna nel medioevo sia un fatto unico nel suo genere (Sabatini 1980, 15). Una prova indelebile della presenza e del forte impatto linguistico che le due Repubbliche ebbero in Sardegna ci viene fornita, invece, nella zona nord occidentale, dal sassarese, una varietà nata appunto dal contatto tra genovese, pisano, corso e logudorese, il cui scopo principale in origine era quello di permettere la comunicazione appunto tra sardi, pisani e genovesi così da agevolarne gli scambi commerciali 7 (Sanna 1957, 210). In seguito ad uno spopolamento, dovuto a pestilenze ed incendi, si deve invece la nascita nella zona nord orientale dell’isola della varietà gallurese, 8 nata dal contatto tra i corsi meridionali che ripopolarono quelle zone e che, portando con sé la loro lingua, la affermarono là dove in precedenza si parlava il sardo logudorese (Wagner 1951, 394). Proprio per la loro origine storica, tali varietà sono state ritenute da vari autori come appartenenti a pieno titolo al repertorio dialettale italiano. 9 La zona nord della Sardegna è così segnata da una forte toscanità, che ancora oggi la caratterizza. Le testimonianze scritte giunte fino a noi che risalgono a questo periodo (tra il secolo XI e il XII) mostrano una notevole variazione linguistica. 2_IH_Italienisch_75.indd 87 30.06.16 17: 11 L’Italiano in Sardegna Noemi Piredda 8 8 Sono stati rinvenuti documenti scritti in latino, in volgare sardo e toscano in una quantità sorprendente, benché lo stupore non riguardi tanto la produzione in toscano, considerato il fatto che quest’ultima non fu particolarmente cospicua 10 (Lörinczi 1999, 401). Il periodo pisano-genovese costituisce il primo rilevante contatto della Sardegna con la lingua italiana, gettando le basi per la costruzione di un rapporto linguistico che sfocerà, poi, nel Novecento, nella piena diffusione dell’italiano come lingua nazionale. A tal proposito, Loi Corvetto (1993, 14) parla in questa fase di italianizzazione primaria. Questo periodo si conclude nel 1297 con la nascita del Regnum Sardiniae et Corsicae per mano di Papa Bonifacio VIII, che, operando nel tentativo di far cessare i conflitti in Sicilia e diminuire i motivi di scontro tra le due Repubbliche marinare, infeudò il suddetto regno a Giacomo II d’Aragona, in cambio di una sua rinuncia al trono di Sicilia. Di fatto, il passaggio della Sardegna dalle mani dei pisani e dei liguri agli aragonesi non fu semplice; il regno di Sardegna fu concretamente e completamente (compreso il Giudicato di Arborea) conquistato dalla Corona d’Aragona nel 1421, data che segna inoltre la convocazione del secondo Parlamento del regno a Castell de Càller 11 . I nuovi conquistatori portano con se la loro lingua imponendola sul suolo sardo. Sulla base della documentazione scritta giunta fino a noi, il nuovo assetto linguistico isolano può essere riassunto in breve: tra il sardo e il catalano si instaura un rapporto di diglossia senza bilinguismo o con bilinguismo passivo 12 . A questo punto ci si chiede quale sia stato quindi, in questo contesto, il ruolo dell’italiano. Come testimoniato dal Wagner, l’influenza italiana fu scarsa, ma non cessò mai completamente (Wagner 1951, 245). Esistono ben poche testimonianze della sua presenza durante il dominio aragonese e spagnolo. 13 Ciò probabilmente si deve alla forte repressione linguistica esercitata dagli aragonesi e poi dagli spagnoli, a discapito, appunto, del toscano. 14 Proprio questa politica linguistica antitoscana, però, testimonia come questo idioma debba aver avuto all’epoca un ruolo di rilievo. Una testimonianza diretta di ciò ci viene fornita inoltre dalla corrispondenza dei collegi gesuiti in Sardegna con le autorità spagnole. Tra i vari problemi affrontati dai Gesuiti in queste lettere, una delle principali questioni da risolvere era proprio quella inerente alla lingua; ossia la scelta dell’idioma più adatto per predicare, per confessare, per interagire al meglio con i nativi, vista l’eterogeneità linguistica che caratterizzava l’isola. Da questa corrispondenza si evince come, al di là del sardo, del catalano e del corso, anche il toscano fosse lingua parlata in Sardegna, in particolare nella città di Sassari (Turtas 1981, 61-63). Un’ulteriore prova, secondo Loi Corvetto, non solo della presenza ma anche del prestigio del toscano in Sardegna viene fornita dalla preferenza dei sardi a frequentare le università italiane al 2_IH_Italienisch_75.indd 88 30.06.16 17: 11 Noemi Piredda L’Italiano in Sardegna 8 9 posto di quelle spagnole: «[…]; una vasta zona della Sardegna conobbe quindi l’insediamento pisano e la cultura italiana penetrò ovviamente in buona parte del territorio, influenzando la cultura sarda anche quando il potere politico era prerogativa degli spagnoli; un’influenza non imposta ma ricercata tanto da spingere i sardi a frequentare le università italiane nonostante i divieti dei re spagnoli, divieti che ci fanno capire che il fenomeno aveva ormai assunto dimensioni tanto macroscopiche da destare preoccupazioni presso i regnanti.» (Loi Corvetto 1983, 17) Una preferenza, quindi, che palesa come l’apporto culturale e linguistico delle due Repubbliche fosse ancora vigente in Sardegna anche sotto l’egemonia spagnola. 15 In tutto ciò, alle varietà d’italiano si ritrova accomunato il sardo nel ruolo di lingua subordinata alle lingue dominanti, ovvero lo spagnolo quale lingua ‘politica’e il latino quale lingua di cultura. 2.2 italianizzazione secondaria Un secondo processo di italianizzazione ha inizio con l’annessione della Sardegna allo stato sabaudo. Dopo i quattro secoli di dominazione spagnola, la scomparsa senza eredi diretti di Carlo II nel 1700 scatena l’inizio della guerra di Successione spagnola, durante la quale la Sardegna cade in più mani; in un primo momento, con il trattato di Utrecht nel 1713, passa sotto la sovranità austriaca, che si conclude ben presto, nel 1717, quando una flotta spagnola si insedia di nuovo nel capoluogo. Un anno dopo, con il trattato di Londra, la Sardegna viene assegnata ai Savoia in cambio della Sicilia. L’annessione della Sardegna al Piemonte comporta forti mutamenti sia economici che linguistici. All’arrivo dei Savoia il quadro linguistico che caratterizza l’isola è particolarmente eterogeneo: «Is dominaduras a primu de sa sabauda fiant stètias diferentis s’una de s’atra e donniuna iat fatu mudai sa lìngua. Cust’ereu linguìstigu si fiat cumbinau de medas maneras finsas a nasci, a su tempus de s’arribu de is Savoyas, unu cuadru mudonju meda, ki una lìngua binciat s’atra segundu su logu, sa crassi sotziali e s’ocasioni.» (Cardia 2006, 3) In questo quadro di plurilinguismo non è semplice comprendere la relazione esistente tra i vari idiomi, considerando la complessità derivante dal contatto linguistico allora vigente e dalla forte variazione diatopica, diastratica e 2_IH_Italienisch_75.indd 89 30.06.16 17: 11 L’Italiano in Sardegna Noemi Piredda 9 0 diafasica dei singoli idiomi e del sistema linguistico che risulta proprio da questo contatto. 16 Nel tentativo di ristabilire un ordine linguistico, i Savoia applicarono una politica di unificazione 17 che mirava alla diffusione dell’italiano nell’isola. In un primo momento questi propositi rimasero molto blandi. Le ragioni furono essenzialmente due: la prima per via dei patti di cessione che prevedevano il mantenimento degli ordini vigenti e la seconda a causa della volontà iniziale dei Savoia di utilizzare la Sardegna come merce di scambio per cercare di riavere indietro la Sicilia (Cardia 2006, 87; Loi Corvetto 1993, 59). In questa prima fase, che va dal 1720 al 1758, per esplicito volere dei regnanti sabaudi, non avvengono appunto grandi modifiche al sistema amministrativo spagnolo precedentemente vigente, tanto che il mutamento politico viene avvertito in maniera marginale dalla popolazione sarda (Cf. Blasco Ferrer 2009, 104). Lo stesso atteggiamento viene mantenuto dai Savoia anche a livello linguistico; infatti, nei primi sei anni del dominio sabaudo in Sardegna, il sovrano Vittorio Amedeo II si dimostra contrario a qualsiasi imposizione effettiva dell’italiano. Fatto che in parte muta nel 1726, quando si evidenzia la necessità di introdurre una lingua accessibile soprattutto ai funzionari provenienti dal Piemonte. Così al viceré viene dato l’ordine di studiare un piano, insieme al gesuita Falletti, per la divulgazione dell’italiano. Con ciò si voleva, come detto, agevolare la presenza dei funzionari piemontesi nell’isola e allo stesso tempo, però, cercare di spezzare gradualmente il forte legame con la nazione spagnola (Cardia 2006, 85). Al principio, quindi, il sardo e lo spagnolo vengono strategicamente e momentaneamente tollerati, così da diffondere l’italiano nel modo meno invasivo possibile (Sole 1984, 45). Quando, nel 1759, grazie al ministro Bogino, l’uso della lingua italiana diventa obbligatorio negli uffici pubblici e nella scuola, la situazione muta a discapito soprattutto dello spagnolo, 18 lingua ormai ufficialmente indesiderata. 19 Risulta così evidente la rilevanza che l’italiano va assumendo sotto lo stato sabaudo; rilevanza che si evince inoltre dalla diffusione, nella seconda metà del Settecento, di opere bilingui italianosardo. 20 Questo ‘bilinguismo didascalico’, così come lo definisce Cardia, mostra chiaramente l’avanzare dell’italiano e, allo stesso tempo, conferma ulteriormente l’atteggiamento di tolleranza nei confronti del sardo, visto come codice linguistico minore: «Dunque non stupisce la transigenza del governo sabaudo, che sapeva bene che il sardo a quelle condizioni, con quel lessico e con quella grafia, sebbene scritto, era ben lungi dal rappresentare un pericolo per l’autorità dell’italiano, ma anzi lo rafforzava, 2_IH_Italienisch_75.indd 90 30.06.16 17: 11 Noemi Piredda L’Italiano in Sardegna 91 offrendo la sua candidatura a dialetto dell’italiano.» (Cardia 2006, 97) La strategia linguistica sabauda non riguardava direttamente le masse popolari, ma si rivolgeva soprattutto alla classe dirigente. Lo scopo era proprio quello di formare in loco un gruppo amministrativo italofono, che eseguisse le direttive governative. Fu così che nel ceto borghese la conoscenza dell’italiano si diffuse notevolmente, mentre nel basso clero rimase scarsa (Cardia 2006, 93; Wagner 1951, 260). La Sardegna presenta, almeno nella prima metà del Settecento «un crogiolo di culture e lingue», in cui le lingue iberiche sono ancora vitali. Nella seconda metà del secolo si avverte però una sempre più massiccia presenza dell’italiano che sostituisce lentamente il castigliano (Blasco Ferrer 2009, 107, 109). Il plurilinguismo, che caratterizzava l’isola da secoli, permane anche nel Settecento. Un’ulteriore fatto storico particolarmente rilevante per l’italianizzazione dell’isola fu la colonizzazione di Carloforte (1738) e, in seguito, di Calasetta (1770) da parte di famiglie di origine ligure che provenivano dall’isola di Tabarka (Tunisia) e che portarono con sé la loro lingua e cultura. È a questo punto importante notare come la politica linguistica sabauda applicata alla Sardegna venisse, quasi contemporaneamente, applicata anche in Piemonte. Infatti, in Piemonte la classe dirigente utilizzava il francese come varietà alta, mentre l’uso dell’italiano era relativamente scarso (Cardia 2006, 86). «La Sardegna partecipa in questo modo a un avanzato e consapevole processo di diffusione dell’italiano comune, processo che caratterizza, ancor prima della Sardegna, il Piemonte.» (Lörinczi 1999, 397) Ciò ci conduce a riflettere sul tipo di italiano che si andava diffondendo in Sardegna. Alcuni autori parlano di toscana favella, sebbene, come sottolineato da Lörinczi (1999, 397) essa era ben lontana dall’essere esclusivamente toscana, poiché in essa fluivano diversi elementi del piemontese parlato; 21 inoltre questo italiano era da intendersi come italiano scritto per l’insegnamento nelle scuole. 3. Periodo postunitario Con l’Unità d’Italia nel 1861, la lingua italiana diviene lingua ufficiale dello stato, tra le cui priorità c’è proprio quella di creare un’unità linguistica in tutto il territorio italiano, isole comprese. In un primo momento, però, questa nuova prospettiva politico-linguistica imposta dallo stato si avverte ben 2_IH_Italienisch_75.indd 91 30.06.16 17: 11 L’Italiano in Sardegna Noemi Piredda 92 poco in Sardegna. Nei primi dieci anni dell’unione nazionale, il quadro linguistico della Sardegna non mostra segni di acceleramento nel processo di espansione dell’italofonia. Infatti la maggioranza dei sardi mostrava all’epoca una conoscenza abbastanza limitata della lingua nazionale (Loi Corvetto 1993, 83). In questa prima fase la lingua italiana in Sardegna rimane chiaramente subordinata al sardo. L’italiano rimane almeno inizialmente prerogativa di pochi, mentre le varietà sarde sono accessibili alla maggioranza dei sardi. Con l’obbligo dell’istruzione primaria 22 la situazione si modifica a favore della diffusione dell’italiano, sebbene con i dovuti limiti. Infatti la frequenza scolastica, spesso saltuaria e discontinua non permetteva un buon apprendimento della lingua italiana e, inoltre, le condizioni di insegnamento non erano ottimali, a partire dalla poca competenza in italiano degli stessi maestri (Blasco Ferrer 1984, 172; Koch/ Oesterreicher 2007, 329). Dalla seconda metà dell’Ottocento si assiste a un incremento massiccio dell’uso dell’italiano, che comportò la sua affermazione in diversi ambiti comunicativi. L’italiano diviene lingua degli atti amministrativi e della letteratura, inoltre nella prassi scrittoria il suo uso non è più limitato, come in precedenza, solamente a coloro che avevano un alto livello d’istruzione, bensì viene utilizzato anche dai«semicolti» (Loi Corvetto 1993, 85). Il fenomeno diviene poi nel Novecento di grande portata in tutta Italia, soprattutto grazie ai mezzi di comunicazione di massa. 23 Infatti, i giornali e in particolare la radio, il cinema e la televisione permisero una diffusione capillare di un codice comune a tutta l’Italia, che permetteva di frantumare le barriere locali e regionali. Per quanto riguarda i giornali, il loro ruolo come strumento di diffusione linguistica fu rilevante, ma in misura minore rispetto agli altri mezzi di comunicazione di massa. I confini della stampa erano segnati dall’alto tasso di analfabetismo 24 , che caratterizzava tutta la nazione ed era particolarmente alto nel sud. Più che strumenti di diffusione della lingua, i giornali divennero mezzi per veicolare e manipolare le masse popolari. Mentre inizialmente le tematiche trattate dai periodici erano prevalentemente di tipo scientifico o letterario e avevano spesso finalità pedagogiche, col passare del tempo assunsero un forte carattere politico 25 (Loi Corvetto 1993, 84). Nel caso della radio, del cinema e soprattutto della televisione, il loro supporto fu determinante per l’ingresso dell’italiano in ambiti comunicativi che gli erano stati precedentemente preclusi: «Riuscendo a rendere normale e quasi quotidiana la presenza di modelli linguistici italiani in ambienti regionali e sociali in cui il dialetto aveva prima dominato senza contrasti» (De Mauro 1963, 119) 2_IH_Italienisch_75.indd 92 30.06.16 17: 11 Noemi Piredda L’Italiano in Sardegna 93 Oltre ai mezzi di comunicazione di massa, altri fattori contribuirono all’assimilazione dell’italiano, quali la mobilità derivante dalle migrazioni esterne e interne e dal servizio militare. Infatti, l’evoluzione economica e industriale comportò forti cambiamenti nell’assetto sociale della Sardegna che dovette confrontarsi con il resto dell’Italia. La mancanza di mano d’opera specializzata nelle industrie 26 in loco provocò l’arrivo dalla penisola di tecnici specializzati; allo stesso tempo, le scarse possibilità di lavoro a disposizione dei nativi, li indussero a migrare verso l’estero. Questa forte mobilità aiutò a ridurre notevolmente l’isolamento socio-economico della Sardegna e favorì ulteriormente la diffusione dell’italiano. 27 Allo stesso modo, anche il servizio militare ebbe un grande valore per l’aggregazione linguistica; già durante la prima guerra mondiale si creò un contatto tra soldati italiani provenienti da diverse regioni, che, comunicando tra di loro, diedero origine a quell’italiano comunemente noto come popolare 28 (De Mauro 1970, 50-52). Basandosi sullo stesso principio, il servizio di leva creava le condizioni ottimali per uno scambio linguistico, visto che le reclute provenienti da due regioni formavano un reggimento, che veniva poi stanziato in una terza regione (Mengaldo 1994, 87). Anche le migrazioni interne all’isola dovute all’urbanesimo riscossero lo stesso effetto. 29 All’affermazione dell’italiano corrisponde un indebolimento dei dialetti sardi. Riassumendo, il periodo postunitario fu contrassegnato dalla totale scomparsa dello spagnolo e dall’affermazione dell’italiano scritto e poi parlato, a discapito delle parlate sarde (Blasco Ferrer 2009, 141). La lingua nazionale acquisì sempre più un forte prestigio e iniziò a essere percepita sia come unica lingua di cultura che come codice linguistico adatto all’uso in ambito tecnico, lavorativo o semplicemente nella conversazione quotidiana. In Sardegna si passò, così, da una situazione di plurilinguismo ad un rapporto tra sardo e italiano di bilinguismo con diglossia 30 , in cui la lingua italiana ha assunto un ruolo cardine nello spazio comunicativo sardo, divenendo sia lingua della distanza che dell’immediatezza comunicativa. 31 abstract. Das Verhältnis der Sarden zur italienischen Sprache ist alt, es reicht bis viele Jahrhunderte vor der Einigung Italiens zurück und weist einige Besonderheiten auf. Ziel dieses Beitrags ist es, die historischen Ereignisse aufzuzeigen, die in irgendeiner Weise auf die Entwicklung dieses Verhältnisses und damit auf die Etablierung des Italienischen in Sardinien eingewirkt haben. Es werden deshalb alle Phasen dieser Beziehung berücksichtigt, auch die Zeit, bevor man von einer Nationalsprache oder auch von italienischen Varietäten sprechen konnte. Schon im Mittelalter nämlich kennzeichneten dank der Seerepubliken Pisa und Genua die Kontakte zu den 2_IH_Italienisch_75.indd 93 30.06.16 17: 11 L’Italiano in Sardegna Noemi Piredda 9 4 Pisaner und Genueser Varietäten die sardische Sprachlandschaft, auch wenn deren Einfluss auf die Entwicklung des Italienischen in der Folge weniger klar und nur in einigen Gebieten der Insel hervortritt. Mit der Annektierung Sardiniens an Savoyen gewinnt das Italienische (das während der Aragonesischen Herrschaft fast vollständig verschwunden war) zunehmend an Bedeutung, vor allem dank einer von den Savoyern forcierten Politik der sprachlichen Einheit Italiens. Mit der vollzogenen staatlichen Einheit Italiens verbreitet sich das als Nationalsprache offiziell anerkannte Italienische auch auf sardischem Boden, wenn auch nur zögerlich. Erst später, als Italienisch in der Grundschule obligatorisch wird, und vor allem im 20. Jahrhundert, mit Hilfe der Massenmedien, wird die Verbreitung des Italienischen verzweigter und verändert die sprachliche Ordnung in Sardinien in entscheidender Funktion für den sardischen Kommunikationsraum. Note 1 L’isola, infatti, vantava ricche miniere d’argento, fiorenti saline, una ricca produzione di cereali, pellami, formaggi, carni, olio e così via. Ciò significò un dinamismo commerciale che fu fortemente supportato dai pisani e dai liguri che sì, furono colonialisti, ma allo stesso tempo diedero un grande contributo per lo sviluppo dell’isola non solo a livello economico ma anche a livello architettonico e culturale. Tale prosperità finì purtroppo durante il Trecento. Cf. Artizzu 1985, 21, 22; Schena/ Tognetti 2011, 52, 84-93, 101. 2 In particolare la zona sud e nord orientale dell’isola si trovava sotto l’egemonia dei pisani, mentre la zona nord-occidentale sotto quella dei genovesi. Cf. Loi Corvetto 1983, 13. 3 Un caso a parte rappresenta il giudicato di Arborea; esso infatti rimane politicamente e linguisticamente indipendente dai pisani e sopravvive anche in seguito, sotto la dominazione aragonese fino al 1409. Cf. Blasco Ferrer 1984, 132; Lörinczi 1999, 401. 4 Ciò rientrava nel progetto di Papa Gregorio VII a favore di una latinizzazione della Chiesa sarda di culto orientale, in seguito alla divisione avvenuta appunto tra Chiesa orientale e occidentale nel secolo XI. La maggior parte dei monaci che giunsero nei monasteri sardi erano benedettini e vittorini. Cf. Artizzu 1985, 27-35; Blasco Ferrer 1984, 130. 5 Quali Wagner (1951, 251-257), Loi Corvetto (1983, 13, 17) e Blasco Ferrer (1984, 132-139). 6 Per una più approfondita disamina sul ruolo da attribuire all’italiano pisano nel medioevo in Sardegna cf. Lörinczi (1999, 402-405); Bolognesi 2001, 20. 7 Infatti il comune di Sassari rappresenta nel tardo medioevo il più popolato centro urbano della Sardegna con un numero di abitanti che si aggirava tra i quindici e i sedici mila. Cf. Schena/ Tognetti 2011, 91. 8 Sui dialetti sardo-corsi e sulla loro collocazione temporale si rimanda a Maxia 2005, 523. 2_IH_Italienisch_75.indd 94 30.06.16 17: 11 Noemi Piredda L’Italiano in Sardegna 95 9 Wagner, in particolare, sostiene come le affinità tra il sassarese, il gallurese e il sardo non siano sufficienti, se confrontate alle differenze morfologiche esistenti tra i due sistemi, per definirle come varietà sarde. Cf. Wagner 1943, 243-267. 10 Per un’analisi delle testimonianze scritte in italiano rinvenute in Sardegna si rimanda a Loi Corvetto 1993, 113-237. 11 Per un dettagliato riassunto cronologico dei fatti storici che hanno caratterizzato la Sardegna dal 500 fino al 1421 si veda Schena/ Tognetti 2011, 147-151. 12 Così viene sintetizzato da Blasco Ferrer il rapporto tra i due idiomi, secondo cui i parlanti del sardo avevano una competenza esclusivamente passiva del catalano; erano, quindi, in grado di comprenderlo ma non di utilizzarlo attivamente. Cf. Blasco Ferrer 1984, 147. 13 Come osservato da Ambrosch-Baroua nel suo lavoro sul plurilinguismo nell’Italia spagnola, in Sardegna furono stampate durante la dominazione spagnola solo due opere in toscano: un libretto intitolato il Catechismo o Summa della religion christiana, una traduzione dallo spagnolo stampata nel 1569 a Cagliari e la raccolta di poesie di Pietro Delitala Rime diverse (1595, Cagliari). Sulla base delle stampe rinvenute si può sostenere che la lingua italiana fosse da considerarsi, almeno in proporzione alla produzione a stampa negli altri idiomi presenti nell’isola, e rispetto al suo uso in registri linguistici alti, come una sorta di Fremdsprache. Cf. Ambrosch-Baroua in stampa, 112, 113; 122, Anatra 1982, 237, 242. 14 Lo Stamento militare del 1565, infatti, prevedeva la traduzione in catalano degli statuti comunali delle città di Iglesias e Bosa, originariamente scritti in pisano e imponeva inoltre il divieto dell’uso della lingua italiana. Cf. Loi Corvetto 1983, 16. Oltre a ciò furono tradotti in catalano anche diversi atti e cronache antiche. Cf. Sanna 1957, 197. 15 A tal proposito, Loi Corvetto parla di un periodo di mistilinguismo, in cui l’uso del toscano in Sardegna perdura nonostante il forte impatto ibero-romanzo; un esempio di ciò viene fornito dal Condaghe di Santa Chiara di Oristano in cui si evidenziano diverse forme derivanti appunto dall’interferenza con il toscano. Cf. Loi Corvetto 1993, 136-138. 16 Per un quadro esaustivo sugli usi linguistici nell’isola all’inizio del periodo sabaudo si rimanda a Cardia 2006, 80-84. 17 L’atteggiamento politico sabaudo nei confronti della Sardegna rientrava in un quadro politico più esteso. Infatti i duchi sabaudi, nel tentativo di costruire uno stato moderno, cercarono di supportare il più possibile nei loro possedimenti, in cui vigeva un forte plurilinguismo, un’unificazione linguistica che favorisse anche l’idea di un’unica nazione. Cf. Cardia 2006, 80. 18 A tal proposito Wagner (1951, 193) riporta alcune sostituzioni lessicali nel sardo, in cui la derivazione di origine spagnola viene appunto rimpiazzata dal corrispondente italianismo. L’influenza dell’italiano sul sardo non si limita all’ambito lessicale, ma sempre secondo Wagner, è evidente anche a livello sintattico. Jvi., 260. 19 Continua invece a essere tollerato il sardo, che assume il ruolo di lingua veicolare per l’apprendimento dell’italiano. Cf. Marazzini 1984, 184; Bolognesi 2005, 25. Cosicché nelle scuole gli insegnanti di italiano dovevano tener conto della realtà linguistica sarda. Cf. Sole 1984, 95. 20 Si trattava principalmente di opere religiose, di manuali sull’agricoltura o trattati di medicina. Cf. Cardia 2006, 94, 96. 21 Per quanto concerne l’influsso degli elementi piemontesi sul sardo, a riprova della loro presenza nell’italiano, si rimanda a Loi Corvetto 1993, 67. Si rimanda inoltre alla 2_IH_Italienisch_75.indd 95 30.06.16 17: 11 L’Italiano in Sardegna Noemi Piredda 9 6 stessa autrice per una breve sintesi delle particolarità dell’italiano nelle opere a stampa e nelle scritture del Settecento e del primo Ottocento. (Jvi., 73, 74) 22 Nel 1859 la legge Casati di Torino imponeva tre anni di scuola obbligatoria; nel 1877 con la legge Capino l’obbligo scolastico fu esteso a tutta l’Italia. 23 Per una rassegna esaustiva dei mezzi di comunicazione di massa e della loro importanza per l’unificazione linguistica italiana si veda De Mauro 1963. 24 La percentuale di analfabetismo all’Unità d’Italia era del 75%; nel 1911 si ridusse al 40%, mostrando però forti differenze tra il sud, in cui la percentuale era maggiore e il nord dove invece era particolarmente scarsa. Cf. Bonomi et al. 2003, 253. In Sardegna nel 1871 gli analfabeti rappresentano l’87% della popolazione totale. Cf. Loi Corvetto 1993, 89. 25 Questo diviene palese per tutti i mezzi di comunicazione di massa sotto il fascismo, in cui si assiste inoltre ad un assolutismo dell’italiano e ad una politica antidialettale molto marcata, in quanto i dialetti potevano rappresentare uno strumento per rivendicazioni autonomistiche Cf. Bonomi et al. 2003, 254. 26 Sull’importanza dell’industrializzazione e del miracolo economico sull’assetto linguistico si vedano Blasco Ferrer 1984, 173; Loi Corvetto 1993, 96. 27 Di fatto, questi flussi migratori provocavano uno scambio socio-linguistico molto forte e imponevano ancor più nettamente un codice linguistico unico per tutti gli italiani. Cf. De Mauro 1963, 27. 28 In riferimento alla situazione sarda, è interessante notare come, all’inizio di questa fase, per la popolazione dialettofona, l’uso dell’italiano, quando questo avveniva, si manifestava come un’italianizzazione delle varietà sarde, soprattutto in campo lessicale e sintattico. Cf. Loi Corvetto 1993, 88. 29 Sulle differenze di competenza dell’italiano tra centri urbani e piccoli centri nell’isola si rimanda a Loi Corvetto 1993, 88. 30 Tale rapporto di bilinguismo si caratterizza come ‘diglossico instabile e penalizzante’ a favore dell’italiano. Cf. Rindler Schjerve 1997, 1379. 31 Sul concetto di distanza e immediatezza comunicativa si rimanda a Koch/ Oesterreicher 2007, 20-42. Bibliografia Anatra, Bruno (1982): «Editoria e pubblico in Sardegna tra Cinquecento e Seicento», in: Cerina, Giovanna/ Lavinio, Cristina/ Mulas, Luisa (edd.), Oralità e scrittura nel sistema letterario. Atti del Convegno di Cagliari, 14-16 aprile 1980, 233-243. Ambrosch Baroua (in stampa): Mehrsprachigkeit im Spiegel des Buchdrucks: das «spanische Italien» (16./ 17. Jh.). Artizzu, Francesco (1985): La Sardegna pisana e genovese, Sassari: Chiarella. Blasco Ferrer, Eduardo (1984): Storia linguistica della Sardegna, Tübingen: Niemeyer. 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