eJournals Italienisch 38/75

Italienisch
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Narr Verlag Tübingen
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2016
3875 Fesenmeier Föcking Krefeld Ott

Cecilia Gibellini: Giovan Battista Casti tra Boccaccio e Voltaire. Lettura intertestuale delle «Novelle galanti». Lanciano: Carabba 2015, pp. 300, € 18,–

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2016
Alessandro Scarsella
ita38750159
Kurzrezensionen 159 Kurzrezensionen Cecilia Gibellini: Giovan Battista Casti tra Boccaccio e Voltaire. Lettura intertestuale delle «Novelle galanti». Lanciano: Carabba 2015, pp. 300, € 18,- Le Novelle galanti dell’abate libertino Giovan Battista Casti (1724-1803), pubblicate parzialmente a partire dal 1790 (spesso in raccolte arbitrarie con pezzi apocrifi) e poi, nella forma voluta dall’autore, a Parigi nel 1804, subito messe all’Indice e proibite dalle censure dei vari stati, furono però premiate da un’enorme fortuna editoriale, che ne fece un best-seller per tutto l’Ottocento. Dei quarantotto racconti in ottave, ammirati da Goethe, Byron, Stendhal e Apollinaire, manca peraltro un’edizione integrale da quasi cinquant’anni (cioè dal testo sobriamente annotato da Edo Bellingeri nel 1967); un vuoto colmato solo parzialmente dall’antologia curata in anni più recenti (2001) da Lucia Rodler. Per trovare uno studio monografico su Casti occorre altresì arretrare agli anni Settanta, con le monografie, di Gabriele Muresu (Le occasioni di un libertino, 1973) e di Antonino Fallico (Giovanni Battista Casti e l’utopia di una intellettualità non subalterna, 1978); indirizzate a indagare soprattutto sul versante ideologico dell’autore, e nei decenni da allora trascorsi anche i contributi in riviste o volumi miscellanei si contano sulle dita. A ragione, dunque, Raffaella Bertazzoli ha già segnalato l’originalità di questo libro: «Nel panorama degli studi castiani, il lavoro di Cecilia Gibellini sulle Novelle galanti si impone per un’impostazione largamente innovativa. Il percorso critico adottato dalla studiosa si snoda in un’ampia prospettiva diacronica e sovranazionale, toccando la vicenda culturale e la valutazione critica, l’analisi intertestuale e la storia delle idee, fino alla metamorfosi dei generi e all’analisi dei temi. La Gibellini si è avvalsa con sicura padronanza del fecondo intreccio di discipline e metodi che mettono a frutto gli strumenti della comparatistica e della traduttologia, della stilistica e della variantistica.» Il saggio si apre con una Introduzione metodologica, che traccia un profilo storico e critico del passaggio dalla ottocentesca ricerca delle fonti alla nozione novecentesca di intertestualità. Tracciato poi un profilo dell’abate Casti, «libertino d’Europa» passato dalla Vienna asburgica alla Parigi napoleonica, dopo aver soggiornato alla corte della zarina Caterina II da lui 2_IH_Italienisch_75.indd 159 30.06.16 17: 11 Buchbesprechungen 16 0 satireggiata nel Poema tartaro, Cecilia Gibellini ricorda i pochi e scarni cenni alle fonti delle Galanti presenti negli studi precedenti, accingendosi ad aggiungerne molte altre e a una rilettura del loro complesso nell’ambito di un’«ermeneutica intertestuale». Nelle sue Novelle, indirizzate al pubblico femminile dei salotti, primo destinatario e anteriore alla loro stampa, Casti nomina i suoi modelli con estrema parsimonia, dichiarando di aver attinto a due novelle di Boccaccio (dal quale ne ricava ben sette); una terza presso un autore non identificato (ma che risulta poi essere Masuccio Salernitano); altre da un fantasioso «Gianfico» che però, come rivela più avanti la Gibellini, scopre una fonte autentica, oltre a inesistenti manoscritti antichissimi. «Peraltro - osserva l’autrice - nel confessare i suoi debiti, Casti respinge preventivamente l’accusa di scarsa originalità […] garantita se non altro dall’aver voltato in versi novelle nate in prosa, e inoltre dal fatto che ogni storia è in fondo ricreazione di storie più antiche, la cui ricerca lascia agli illusi e noiosi eruditi di cui si prende gioco». Nei capitoli seguenti si individuano le fonti di ben 22 novelle, quasi metà della raccolta, esaminandone le modalità di riscrittura con occhio attento sia al plot narrativo che ai dettagli microtestuali. La trattazione non ordina le novelle in base alla successione che esse hanno nell’edizione, da I a XLVIII, bensì secondo i quattro grandi bacini cui attingono: quello del Decameron, dei novellieri del Quattro e del Cinquecento, dei libertini francesi del Seicento e infine quello di Voltaire. Il capitolo 2, Boccaccio e dintorni, prende in esame sette novelle attinte al Decameron, per due delle quali si valuta però anche la possibile incidenza aggiuntiva di Masuccio e di Bandello; per altre tre, che avevano dato spunto ad altrettanti concisi e deliziosi contes en vers di La Fontaine, citato da Casti come autore «purgatissimo», la Gibellini mostra che la suggestione agisce nella scelta del soggetto e nell’esempio di trascrizione in versi di originali in prosa, ma che l’ipotesto di riferimento resta il Decameron: nei confronti del quale, nota la studiosa, la differenza essenziale è d’ordine linguistico, poiché alla sintassi ciceroniana del Certaldese, Casti oppone un parlato fluido, non ostacolato dal metro, corrispondente alla lingua conversevole cara al Settecento e che, aggiungiamo, Gianfranco Folena aveva a suo tempo colto nella cifra goldoniana. Nel solco di Boccaccio è il titolo del capitolo 3, dove sono esaminate sei Galanti, e in cui sono convocati novellieri italiani da Masuccio ad Agnolo Firenzuola, passando per Sabadino degli Arienti e Matteo Bandello. Qui si accentua il problema, sfiorato già nel capitolo precedente, delle fonti mul- 2_IH_Italienisch_75.indd 160 30.06.16 17: 11 Kurzrezensionen 161 tiple e del relativo incrocio di echi: se taluni ipotesti non mostrano una forte incidenza (Sacchetti e Poggio Bracciolini trattano lo stesso tema delle Brache di san Griffone, che Casti attinge direttamente a Masuccio, da cui ricava pure la storia del Quinto Evangelista). Nell’Apoteosi, in cui Casti narra la vicenda della dissoluta Faustina divinizzata dopo la morte dal marito, l’imperatore Marco Aurelio, l’autore combina spunti di Boccaccio, Bandello e altri, aggiungendo però molto del suo, denunciando l’alleanza tra potere e religione a spese del popolo credulo. Nella Sposa cucita lo scrittore ricalca il racconto di Firenzuola combinandolo con quello di Pietro Fortini, mentre, a giudizio dell’autrice, le varianti narrative di altri novellieri non avrebbero giocato alcun ruolo. Con il capitolo successivo, Libertini e illuministi, si cambiano secolo, genere e territorio. Cinque novelle infatti conducono alle storie di scrittori francesi del Sei-Settecento (Vergier, Grécourt, Moncrif, il marchese d’Argens), mentre la sesta, Il berretto magico, contamina il romanzo licenzioso e satirico d’ambientazione orientale di Diderot (Les bijoux indiscrets) con una novelletta di Gasparo Gozzi. Ultima miniera per le reinvenzioni di Casti è Voltaire, a cui è dedicato il capitolo 5. Era già noto che La fata Urgella rimaneggiava i versi di Ce qui plaît aux dames (ma ne mancava una vera analisi comparativa tra i due testi). Il volume segnala che altre due novelle, Casti le derivò dall’illuminista francese: la rivisitazione maliziosa del mito di Prometeo e Pandora, che spiega i diversi caratteri umani in base ai facili amori della progenitrice, e la storia di Geltrude ed Isabella, la vicenda di una madre in apparenza bigotta che amoreggia con un frate e che, scoperta dalla figlia che intrattiene anch’essa un legame amoroso, decide di abbandonare la finzione e godersi la vita (ma per quest’ultima novella la Gibellini dimostra che il Casti ebbe presente anche l’analoga novella di Agnolo Firenzuola). Nel capitolo 6 (Digressioni e irraggiamenti), la studiosa integra l’esame delle varianti intertestuali delle singole novelle, con un’analisi sincronica e sistematica. Vengono così indagati alcuni motivi cruciali della mentalità e delle convinzioni dell’autore, considerandoli nel quadro complessivo delle quarantotto novelle, in modo che ogni singola tessera testuale concorra a tracciare un disegno nel mosaico complessivo. I dieci paragrafi in cui si articola il capitolo vertono sulla poetica del piacevole e del lieto fine, sugli appelli alle lettrici, sull’emancipazione femminile, sull’educazione sessuale e le vocazioni immature, sull’aldilà, sulla metafisica, sull’immaginazione, sull’irriverenza, sulla guerra e sulla pace, e, infine sull’imagologia. Nel loro complesso, valgono da soli a candidarsi come un aggiornato sondaggio critico dell’opera novellistica di Casti. Chiarendo il valore pregnante del titolo, Tra Boccaccio e Voltaire, infatti, l’autrice non indica solo gli estremi crono- 2_IH_Italienisch_75.indd 161 30.06.16 17: 11 Kurzrezensionen 162 logici del ventaglio di autori cui Casti si ispirò per le sue riscritture, ma anche i due poli entro cui si colloca la sua opera, oscillante tra ripresa di modelli licenziosi ma convenzionali e aggiornamento ideologico, tra edonismo e engagement illuministico, tra divertimento letterario e provocazione ideologica. Questo si ricava dalla Conclusione, detta «provvisoria» per la possibilità che anche altre novelle possano dipendere da ipotesti ancora da rintracciare: ma che difficilmente potrebbero mutare il quadro critico tracciato dal ricco e denso volume. Le osservazioni analitiche disseminate nei capitoli precedenti vengono interpretate, indicando le linee-guida delle rielaborazioni di Casti, più o meno vincolato al suo ipotesto in base alla variante autorevolezza degli auctores esemplati o dalla crescente maturità della sua perizia letteraria e autonomia intellettuale. Casti varia soprattutto dilatando, immaginando particolari omessi dalle fonti, dipingendo con gusto pittorico i protagonisti (come sottolinea l’autrice che ha al suo attivo molti studi sul rapporto arte-letteratura), indugiando sui momenti scabrosi senza mai usare un lessico volgare (a differenza di Giorgio Baffo, verso cui Casti lancia uno strale), introducendo note psicologiche tipicamente settecentesche, rendendo piano e scorrevole il dettato, inserendo tra le parti diegetiche riflessioni ironiche e taglienti. «Se il lettore concorderà che le Novelle galanti di Casti meritano un posto non indegno nella stagione che va dallo splendore al tramonto dei Lumi, accanto ai testi di Goldoni e Gozzi, di Casanova e Da Ponte, avremo raggiunto il nostro scopo». Questa persuasione di fondo della studiosa, così espressa nelle ultime righe, risulta del tutto condivisibile, confermando come le Novelle galanti siano l’opera più vitale del Casti e meritino questa più attenta riconsiderazione. Alessandro Scarsella 2_IH_Italienisch_75.indd 162 30.06.16 17: 11