Italienisch
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Narr Verlag Tübingen
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2017
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Fesenmeier Föcking Krefeld OttMichela Murgia in conversazione con Cinzia Sciuto
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2017
Cinzia Sciuto
Caroline Lüderssen
Marina Rotondo
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2 Michela Murgia in conversazione con Cinzia Sciuto A cura di Caroline Lüderssen e Marina Rotondo Il 30 settembre 2016, su invito della Deutsch-Italienische Vereinigung e .V . e di Italia- Altrove Francoforte e .V ., Michela Murgia è stata ospite nella sede della Vereinigung a Francoforte sul Meno . Durante l’incontro, si è creato un vivace dialogo tra la scrittrice, la moderatrice Cinzia Sciuto e il pubblico . Offriamo qui ai lettori la trascrizione di una parte del colloquio, mantenendo per lo più lo stile parlato e colloquiale . 1 Michela Murgia è nata nel 1972 a Cabras (Oristano) . Il suo romanzo Accabadora (Milano: Einaudi 2009) ha avuto un successo internazionale e ha vinto il Premio Campiello 2010 . Con Einaudi, oltre a Accabadora, l’autrice ha pubblicato fra l’altro: Ave Mary (2011), Futuro interiore (2016) e Chirù (2017) . Insieme a Francesco Abate, Alessandro De Roma, Marcello Fois, Salvatore Mannuzzu e Paola Soriga, ha contribuito all’antologia Sei per la Sardegna (Milano: Einaudi 2014) . Sono disponibili in traduzione tedesca Accabadora (Berlin: Wagenbach 2010) e Chirù (Berlin: Wagenbach 2017) Domanda Vorrei partire da una frase che mi ha molto incuriosito e che ho letto sul Suo profilo Facebook Sotto «informazioni personali», Lei scrive «il personale non esiste» A me questa frase ha fatto scattare un corto circuito con il popolare slogan «il privato e il politico» degli anni ’70, e vorrei capire se questo «mio corto circuito» è esatto e cosa intende con «il personale non esiste» Michela Murgia Esiste l’intimo, nel senso che esiste quello che ci riguarda nel profondo, ma non è detto che quello che ci riguarda nel profondo non riguardi anche gli altri Quindi l’idea che ci sia uno spazio privato non mi appartiene Privato vuol dire proprio di cui gli altri sono ‘privati’, di cui gli altri sono privi Qualcosa che io riservo esclusivamente a me Nella mia vita, in quello che penso, in quello che faccio, in quello che scrivo, questi due luoghi ideali, il privato e il pubblico, il personale e il collettivo sono sempre mischiati, non sono mai perfettamente definibili e credo che questo sia estremamente vero per la mia scrittura Io ho esordito raccontando una storia privatissima, un’esperienza di precariato in un call center, che certamente è una cosa personale, perché la vivevo io, sulla mia pelle, con le mie mensilità da duecentotrenta euro lordi, con i soprusi, con i diritti negati . 2 Ma chi potrebbe negare che quell’esperienza fosse collettiva? Prima tenevo un blog, era un blog anonimo, non pensavo assolutamente che dopo sarebbe diventato un 2_IH_Italienisch_77.indd 2 12.06.17 11: 15 Michela Murgia in conversazione con Cinzia Sciuto 3 libro, e infatti non l’ho mandato io all’editore Fu l’editore a scrivermi e a chiedermi se volessi pubblicarlo Io dissi di no: «non voglio pubblicarlo», pensavo: «il mio datore di lavoro mi denuncia» Io lavoravo per una multinazionale che vendeva un aspirapolvere demoniaco e aveva modi spietati di vendita Un’azienda così spietata, pensavo: «questa mi denuncia, mi porta davanti al tribunale e i miei bisnipoti pagheranno ancora i danni a un’azienda di aspirapolveri» Quindi per un mese dissi di no, alla fine però, dopo lunghe trattative relative alle coperture legali che loro erano in grado di offrirmi, ho accettato di pubblicarlo Mai nella vita avrei creduto che quel libro potesse diventare qualcosa di più di una cosa da scambiare fra i miei parenti Quando Virzì ne acquistò i diritti cinematografici e Teresa Saponangelo quelli teatrali, mi resi conto di quante persone fossero coinvolte in quella storia apparentemente personale che stavo raccontando Quindi, se avessi ancora qualche dubbio sul fatto che il personale non esistesse, quella esperienza me lo ha dimostrato E tutte le cose che ho scritto dopo nascono sempre da un’urgenza individuale ma, se le pubblichi, significa che in quella esperienza individuale c’è uno spessore, una tridimensionalità che può riguardare se non tutti, una gran parte di persone Mi viene in mente un esempio molto più chiaro, e certamente molto più alto: la Metamorfosi di Kafka è la storia di una famiglia patogena, disfunzionale, la storia di un uomo completamente incongruente col suo contesto, trasposto in senso simbolico e metaforico, niente di più personale, eppure lo consideriamo un capolavoro per tutti Oggi forse qualcuno consiglierebbe a Kafka di andare da uno psicanalista anziché da un editore; però molte persone, molto probabilmente, hanno evitato gli psicanalisti leggendo Kafka D.: Proprio con questa chiave di lettura, il corto circuito tra personale e collettivo, fra privato e politico, ho letto la Sua raccolta di tre saggi Futuro interiore Uno dei temi che più mi ha interessato di questo libro è quello dell’identità Lei lavora molto nel primo saggio di questo libro sul tema dell’identità, che però, mi pare di capire, non è un concetto che Le piace Murgia Per nulla D.: Al concetto di identità preferisce quello di appartenenza Vorrei capire perché, quali sono gli elementi di questo concetto di identità che ritiene forse anche pericolosi per la nostra società Murgia È molto bello che Lei mi ponga questa domanda e che sia presente anche 2_IH_Italienisch_77.indd 3 12.06.17 11: 15 Michela Murgia in conversazione con Cinzia Sciuto 4 Salvatore A Sanna . 3 Perché credo che la risposta migliore l’abbia in parte data lui stesso anche con la sua esperienza, in questo luogo L’identità è una cosa sempre mescolata, dove si incontrano più elementi, alcuni dei quali in contraddizione fra loro Lo sforzo umano di più alta qualità che possiamo fare è trovare un equilibrio costante, consapevoli che questo equilibrio è temporaneo, che cambia di continuo, e sempre ci chiederà aggiustamenti In Italia, negli ultimi vent’anni, più o meno da quando la Lega ha cominciato a prendere molti voti ed è passata da fenomeno locale a forza politica nazionale, il tema dell’identità ha cominciato a imporsi nel discorso pubblico senza dibattito, come se fosse un dato di fatto: dobbiamo proteggere e valorizzare la nostra identità, le nostre eccellenze identitarie contro l’identità altrui Ogni volta che si parla di identità, in Italia negli ultimi vent’anni se n’è parlato sempre dentro una guerra La nostra identità contro quella di qualcun altro È evidente che questo non solo è falso come premessa, ma decine di filosofi hanno dimostrato come l’identità sia una condizione fallace, l’identità non esiste La radice della parola identità è la stessa della parola identico: vuol dire che ha la mia stessa identità chi è uguale a me Ma chi è uguale a me? Se io dovessi prendere, non dico la Sardegna intera, che è come un continente con differenze abissali da una parte all’altra, ma il mio solo paese: a Cabras, che ha dieci mila abitanti, ma chi è uguale a me? Nel mio paese, ci sono persone infinitamente più intelligenti di me, ma anche persone infinitamente più stupide Persone che farebbero cose che io non farei mai Ci sono mille differenze, davvero Eppure, a ciascuna di quelle persone, dalla più intelligente, come alla più stupida, io sento di appartenere Quindi la mia appartenenza si fonda sulla base di un’identità in quel senso Il termine identità è lo stesso di integro ‘Intero’ Sono tutti termini che appartengono alla stessa famiglia Integro vuol dire ‘intero’, no? Senza una crepa, senza dei pezzi Tutte le volte che si chiede a qualcuno di integrarsi, gli si sta dicendo: io sono intero e tu sei il pezzo Quindi io sono, diciamo, perfetto, e tu sei in frantumi Quindi accetta di far parte del mio ‘io intero’ e anche tu sarai perfetto L’integrazione concepita in questi termini è la matrice dell’integralismo Il culto dell’interezza è l’integralismo Non ce l’hanno solo gli altri, ce l’abbiamo pure noi Tutte le volte che mettiamo la cultura in gerarchia riteniamo che, se voi venite qui, dovete diventare parte del nostro intero Stai dicendo a qualcun altro di lasciare sulla soglia della tua casa, fuori, tutto quello che per lui è ‘intero’, tutto quello che è la sua cultura, la sua connotazione Questo inevitabilmente genera situazioni di conflitto, perché una persona che deve entrare in casa tua ‘nuda’, lasciando tutto quello che fino a quel momento lo ha vestito culturalmente, ti si rivolterà contro in un tempo molto breve Per quanto tu lo rivesta coi tuoi vestiti, per quanto 2_IH_Italienisch_77.indd 4 12.06.17 11: 15 Michela Murgia in conversazione con Cinzia Sciuto 5 tu gli insegni la tua lingua, per quanto tu pensi di omologarlo - perché in realtà per integrazione si intende un processo di assimilazione, cioè diventare simili Questo porterà l’Europa alla catastrofe, non è questa la via Mi rendo conto di trattare un argomento assolutamente esplosivo Allo stesso tempo però mi guardo anche intorno nel mondo e vedo che cosa è stato fatto in paesi dove non si è perseguita la strada dell’integrazione, ma si è invece costruita la via dell’appartenenza Non lo ius soli, non lo ius sanguinis, ma uno ius voluntatis, che non chiedesse a nessuno di subordinare la propria cultura a quella di arrivo In questo senso, l’esempio più forte è quello del Canada Un territorio che partiva con le peggiori premesse possibili, devastato e poi colonizzato da due superpotenze coloniali, la Francia e l’Inghilterra Queste due compresenze lì, dopo aver sterminato i nativi e averne lasciati solo il 3 %, hanno avuto l’intelligenza di capire che quella strada portava alla guerra civile E hanno cominciato a ragionare in un altro modo sullo stare insieme Partono con un vantaggio: sono una terra giovane dal punto di vista dell’organizzazione civile e democratica Non hanno alle spalle tutta la storia che abbiamo noi e che ci sta sopra come la chiocciola di cemento di una lumaca che se la deve trascinare Capisco che noi siamo molto meno scattanti nell’immaginare soluzioni allo stare insieme che siano realmente fattibili nel nostro contesto D.: A proposito di identità una frase dello scrittore uruguaiano Eduardo Galeano credo sintetizzi un po’ questa idea Scrive così: «L’identità non è un pezzo da museo, caldo e tranquillo nella teca di vetro, ma la stupenda sintesi che ogni giorno si compie delle nostre contraddizioni» Dunque una sintesi continuamente in divenire Secondo me l’errore, il pericolo sta nel momento in cui vogliamo chiudere l’identità di qualcuno dentro un’identità ipostatizzata, precostituita Michela Murgia è sarda, e a questo essere sarda associamo una serie di caratteristiche Però essere sarda può significare tutto e nulla E secondo me l’errore che si compie costantemente è usare la parola identità per indicare delle categorie Quindi anche quando si dice «accogliere l’altro, riconoscere l’altro», di quale altro stiamo parlando? Dell’altro come categoria o dell’altro come persona che si porta appresso la sua cultura? Io sono siciliana, la mia cultura siciliana, che esiste, le mie radici siciliane che esistono, me le porto con un lavoro di costante metamorfosi che non necessariamente condivido con tutti i miei altri conterranei; con alcuni sì, con alcuni mi incrocerò Quindi nel momento in cui qualcun altro mi dovesse riconoscere in quanto siciliana, io mi arrabbierei parecchio perché mi si deve riconoscere in quanto me, che sono un puzzle, in cui c’è anche la tessera della mia sicilianità, che ha un suo peso, e anche notevole, ma non si può 2_IH_Italienisch_77.indd 5 12.06.17 11: 15 Michela Murgia in conversazione con Cinzia Sciuto 6 ridurre a quello Secondo me l’errore è quando si vuole ridurre la complessità dell’individuo a una categoria Murgia A una categoria con precisi marcatori identitari L’essere sarda per esempio vuol dire nascere già dentro una cartolina Esistono molte persone non sarde, che hanno un’idea della sardità molto precisa, a cui tu in qualche modo ti devi adeguare Io sono figlia di ristoratori, e forse il cibo è il luogo che genera le maggiori aspettative «del tipico», di identitario Per cui spesso vengono dei clienti nel ristorante di mia madre con delle strane richieste Le chiedono: «Signora, vorremmo mangiare il maialetto, il porceddu [noi abbiamo un ristorante sul mare], ma preparato come lo fate voi, cucinato sotto terra» E tu ti rendi conto che esiste tutto un mondo che davvero pensa che le casalinghe sarde a mezzodì scavino delle buche in giardino per il porceddu per cuocerlo così per un mero gusto identitario della preparazione complicata Vai a spiegargli che la questione del maialetto cotto sotto terra derivava dal fatto che lo cuocevano degli uomini in campagna che non avevano gli strumenti per cuocerlo diversamente, oppure che spesso era un maialetto rubato, per cui dovevi cucinarlo sotto il fuoco, in modo che non si vedesse il corpo del reato, diciamo, nel vero senso della parola Altri chiedono «Signora, ci potrebbe fare l’aragosta, ma alla catalana, come la fate voi» E tu dici: «alla catalana fa riferimento agli algheresi, no? … è una delle nostre minoranze linguistiche in Sardegna e sono i catalani algheresi .» Il cliente vuole visitare quello stereotipo, è convinto, mangiando quello stereotipo, di mangiare un pezzo di me, della mia identità sarda Mentre invece sta mangiando di fatto una mistificazione La cosa più tipica che c’è nel mio paese è la bottarga, «sa buttariga» La parola bottarga deriva dall’arabo bottarik, che vuol dire ‘uova di pesce essiccate’ È chiaro? La cosa che si pensa più tipica ce l’ha insegnata un altro popolo È chiaro che il pesto genovese è fatto con il basilico ligure e con il pecorino sardo? Vorrà dire qualcosa il fatto che i sardi per tanto tempo siano stati dominati da quel popolo Abbiamo tutta una costa che deve qualcosa ai genovesi E dallo scambio è nato un tipico, diverso, che però incrocia due produzioni di terre che si sono volute anche abbastanza male Io penso che sia molto bello che il più antico simbolo dell’unità nazionale sarda sia un albero deradicato Il nostro simbolo, come dire, il simbolo anche degli indipendentisti, non a caso, è un albero con le radici fuori dalla terra Per cui: «dove sono le mie radici? Le mie radici sono in aria Le mie radici si nutrono di vento, e il vento va dove vuole» Nessuno, in realtà, fa pace con l’idea che l’identità cambi, e che i tuoi marcatori identitari cambino Penso al mirto Voi sarete tutti convinti che il liquore tipico sardo sia 2_IH_Italienisch_77.indd 6 12.06.17 11: 15 Michela Murgia in conversazione con Cinzia Sciuto 7 il mirto? Ma mio nonno avrebbe riso di questa cosa Se qualcuno gli avesse offerto il mirto a fine pasto, avrebbe detto «no, grazie, sto bene di stomaco» Perché il mirto era una specie di medicinale per i disagiati, appunto, di stomaco, il liquore tipico sardo è s’acquadrenti, l’acquavite Il mirto è una cosa che viene fuori dagli anni ’80, attraverso un’abile operazione di marketing della Zedda-Piras, che l’ha fatto diventare un liquore percepito come tipico, ma è un tipico falso Per la prossima generazione sarà certamente un tipico vero, perché tutti berranno mirto, convinti di bere un pezzo di Sardegna D.: Cambiamo argomento Una delle domande che, secondo me, viene sempre rispedita al mittente, è quella sulla presenza, ancora nelle nostre società, di una forte cultura maschilista È una domanda a cui viene sempre risposto: «Ma dove vivi? Ma vi siete emancipate, ma per carità, smettetela, adesso basta», ecc Su questo argomento, Michela Murgia ha scritto un articolo in risposta ad uno di Luigi Spagnol, che è un editore italiano, che ha scritto, in maniera anche molto interessante, molto critica, sul maschilismo nel panorama culturale e letterario italiano Michela ha risposto a sua volta elencando gli argomenti che di solito i maschilisti portano contro la tesi che il maschilismo sia ancora imperante, e dando delle risposte . 4 Vorrei ora fare un gioco: io interpreto la parte del maschilista e Lei ci dà le risposte Per esempio, sulla presenza femminile nei premi letterari, nella composizione delle giurie, oppure anche nei cataloghi delle case editrici… Murgia … ma anche nelle trasmissioni televisive, nei programmi dei festival letterari… D.: Esatto Dove la presenza femminile, questo è un dato di fatto, è nettamente inferiore a quella degli uomini Murgia In Italia è il 10% D.: Eppure il primo degli argomenti del maschilista è spesso «ma non è vero che ci sono poche donne» Come si risponde? Murgia Si risponde dicendo: «Prendi la brochure del programma e conta» Il maschio non se ne rende neanche conto che mancano le donne ed è indice che non sei un buon organizzatore culturale, perché alimenti stereotipi della società sulla quale invece vuoi influire Perché chi fa un festival culturale di solito ha 2_IH_Italienisch_77.indd 7 12.06.17 11: 15 Michela Murgia in conversazione con Cinzia Sciuto 8 un’ambizione di migliorare il livello del suo tessuto, del suo contesto Seconda cosa: se in un festival di cinquanta invitati ci sono cinque donne, scommettete serenamente, e vincerete, che tre di queste donne non sono ospiti, ma sono moderatrici Hanno un ruolo di spalla a un ospite più prestigioso, maschio, oppure sono coinvolte per parlare di qualcosa che si ritiene essere femminile Si parla di utero in affitto? Facciamo parlare le donne Se si parla di qualsiasi tema percepito come femminile, allora la donna può parlare, ma perché forse questo tema non riguarda anche il maschio? La sottovalutazione del pensiero femminile in Italia è costante Ed è la coda del maschilismo, nessuno dice più apertamente «tu vali di meno», questo sarebbe socialmente inaccettabile Allo stesso tempo però tutto quello che orienta le scelte continua a dirtelo Sommessamente E chi le fa queste scelte non si rende nemmeno più conto che in realtà esclude le donne dalle stesse D.: Però, se un editore e organizzatore maschio Le chiedesse: «Scusami, però converrai con me che non è il genere che conta, sono le idee, non importa se sono portate da uomini o donne Cosa vuoi, le categorie? Cosa facciamo allora, le quote rosa, e allora poi facciamo le quote per i gay, per i neri…? », cosa si risponde? Murgia Sì, è vero, sono le idee che contano Ma quando devi invitare dieci persone e nove sono maschi e una è una donna, mi costringi a pensare che secondo te le idee ce le hanno soprattutto i maschi, e questo è sessismo D’altronde, il fatto di associare le donne a una minoranza è segno di pregiudizio Le donne sono più della metà del genere umano Quindi non è una questione di proteggerle, è una questione di non negare l’esistenza e l’autorevolezza di metà del genere umano Non è come dire «le quote gay, le quote neri», non so come dire Anche perché molto spesso, tra gli omosessuali e i neri ci sono anche donne Diciamo che è molto più facile che un uomo nero diventi presidente degli Stati Uniti, che non una donna bianca D.: Lo vedremo tra alcuni giorni . 5 A questo punto, il maschilista viene un po’ allo scoperto e dice: «Diciamoci la verità: su questo argomento donne autorevoli, che possono parlare, non ce ne sono Le ho cercate, ho fatto lo sforzo, ma non ce ne sono .» Allora dove guardano, è questo forse il problema? Murgia È bello che il maschilista dica «ho fatto uno sforzo», segno evidente che è naturale chiamare un maschio, per chiamare una donna invece ci vuole lo 2_IH_Italienisch_77.indd 8 12.06.17 11: 15 Michela Murgia in conversazione con Cinzia Sciuto 9 sforzo No, quando dicono «non ci sono voci altrettanto autorevoli tra le donne», ti fanno pensare che autorevoli si nasca Uno dalla culla ha già il prestigio per poter parlare Naturalmente l’autorevolezza si costruisce con la forza di un pensiero e con le possibilità che questo pensiero ha di essere diffuso e udito Quindi più volte lo fai parlare e più cresce la sua autorevolezza Meno volte lo fai parlare, meno è autorevole Quindi se le donne sono meno autorevoli non dipende dal fatto che il loro pensiero sia meno autorevole Dipende dal fatto che chi organizza gli spazi culturali, le invita molte meno volte Per cui i loro nomi non si affermano, il loro pensiero non si diffonde L’autorevolezza non è una scienza infusa Deriva moltissimo dalla visibilità e dalla quantità di persone che hai la possibilità di influenzare Io vivo in un contesto molto maschilista Perché l’editoria è un mondo novecentesco, diretto prevalentemente da maschi che hanno, nel migliore dei casi, sessant’anni, e nella norma anche settanta e passa Quindi sono anche uomini di un’altra generazione, se vogliamo Il mio editore, che mi adora e ha molta stima di me, tutte le volte che abbiamo un’interlocuzione pubblica, esordisce dicendo «e ora lascio la parola a Michela Murgia, uno dei nostri scrittori più affermati .» E io, mentre il pubblico rumoreggia, una volta gli ho detto: «scusa, ma sono una scrittrice, cos’ho che non va? Perché tu mi neghi costantemente il mio genere, la mia appartenenza di genere? » E lui una volta con un candore che mi ha disarmato, mi ha detto: «Sei troppo brava perché io ti chiami scrittrice» Capite cosa significa? Non giudicate il mio editore Giudicate Elsa Morante, che voleva essere chiamata scrittore perché percepiva che la notazione scrittrice comportasse una diminuzione della sua autorevolezza, della sua capacità di scrivere… Gli uomini scrivono per tutti, le donne fanno letteratura femminile, un sottogenere, appunto Per cui le donne che hanno autorevolezza devono pretendere la declinazione al femminile Quando la sindaca di Roma dice: «No, per me non importa, l’importante è il ruolo, non importa se mi chiamano sindaca o sindaco», io dico: «Sei cretina Anzi sei cretino! , visto che non ti importa» Non è vero che non fa differenza Ogni volta che la donna raggiunge un posto di prestigio deve associare il femminile al prestigio, perché altrimenti tutte le altre donne che vorrebbero fare carriera, che vorrebbero essere rispettate, anche nella loro femminilità, non ci riusciranno Nessuno ha problemi a declinare cameriera Perché devi avere problemi a declinare sindaca? Ogni volta che una donna accetta di essere declinata al maschile sta dicendo che sta occupando abusivamente il posto di un uomo Presto lo lascerà libero e tornerà il suo legittimo proprietario D.: D’altro canto, mentre siamo abituati ad avere direttrici di scuole, soprattutto se elementari, quando si diventa direttrici di giornali ci si fa chiamare, 2_IH_Italienisch_77.indd 9 12.06.17 11: 15 Michela Murgia in conversazione con Cinzia Sciuto 10 improvvisamente, direttori O quando, se siete segretarie in uno studio di avvocati va tutto bene, ma se si diventa segretaria della CGIL allora no, allora si diventa segretario La mia ultima osservazione è questa: la cultura maschilista è ancora così imperante e ha un’influenza sul fenomeno agghiacciante della violenza di genere e del femminicidio Perché, per esempio, dobbiamo insistere, ad usare questa parola femminicidio, che molti ci rinfacciano essere cacofonica, e non essere fondata perché uccidere è uccidere, uccidere un uomo è come uccidere una donna? Signora Murgia, è sempre il maschilista che parla, ci spieghi perché dobbiamo usare proprio femminicidio Murgia La storia della cacofonia mi fa sempre sorridere, perché anche otorinolaringoiatra non è che sia tutta questa meraviglia di melodia, eppure la diciamo perché quella è la sua funzione e quindi la pronunciamo, anche se sembra uno scioglilingua No, la questione del femminicidio è poco capita ancora I giornali la usano, ma la usano spesso erroneamente «Il femminicidio è quando una donna muore» Questa è una sciocchezza Una donna che viene uccisa durante una rapina in banca non è un femminicidio Il termine femminicidio non definisce il genere del morto o della morta Definisce la ragione per cui è stata uccisa È un femminicidio solamente quella morte di donna che si è generata in un contesto di potere, di dislivello di potere, di solito esercitato da una persona a lei cara Quindi un compagno, un ex compagno, un parente a vari livelli, molto raramente un estraneo Solo il 7% dei femminicidi in Italia è compiuto da stranieri Nella stragrande maggioranza si tratta di parenti che avevano una relazione con la donna Per cui ogni volta che la donna cerca di spostarsi dal ruolo di genere, la reazione maschile diventa violenta Quello è un femminicidio Non definisce solo la morte, il femminicidio, ma definisce anche le azioni di mortificazione Cioè tutto quello che tende a negarti la pari dignità dentro la relazione Tutte le volte che io mi presento a chiedere un lavoro a fianco a un uomo che ha le stesse competenze e a lui viene offerto il 18% in più di stipendio, quello è femminicidio, significa che io e lui non valiamo la stessa cosa E non sto parlando delle fabbriche, dove il contratto nazionale garantisce ancora il pari livello Sto parlando dei lavori cosiddetti prestigiosi: degli avvocati, delle professioni nelle case editrici Questo è un femminicidio Però non lo si può dire perché altrimenti si fa ‘terrorismo linguistico’, si drammatizza una situazione che non è poi così grave Di solito chi dice questo è qualcuno che non la vive La questione del maschilismo certamente è la radice del femminicidio Quello che chiediamo come centri antiviolenza, come casa delle donne, non è l’aumento delle pene Non ci interessa che 2_IH_Italienisch_77.indd 10 12.06.17 11: 15 Michela Murgia in conversazione con Cinzia Sciuto 11 l’omicida stia sette anni in più in carcere Ci interessa non arrivare a farla morire L’unica soluzione è agire nelle scuole con una educazione di genere, un’educazione contro gli stereotipi che non riusciamo a far passare in nessuna maniera, perché c’è una forte resistenza da parte delle famiglie Famiglie maschiliste a cui quei ruoli stanno benissimo Uomini e donne: non c’è mica bisogno di essere maschi per essere maschilisti! La persona più maschilista che io conosca è mia madre Ci sono associazioni di genitori che dicono «volete omosessualizzare i maschi, volete renderli meno forti, più fragili» Cioè la forza del maschio che si costruisce sulla sottomissione delle ragazzine Il maschilismo genera anche una perdita economica enorme nel nostro Paese, ma non solo In tutte le scuole, comprese quelle italiane, le ragazze sono di più e sono più brave Abbiamo una percentuale di laureate molto superiore a quella dei laureati e spesso con voti superiori Non perché le donne siano più brave, non è per questo È perché nei primi cinque anni di vita, alla bambina viene insegnato ad essere docile, obbediente, assenziente, disciplinata, diligente Al maschio si tollerano delle infrazioni alle regole, perché l’indisciplina viene considerata espressione di carattere di forza Il ragazzino introietta l’idea che ci siano delle regole che possono essere infrante La ragazzina introietta l’idea che se vuole essere amata, complimentata e rispettata deve ubbidire Quindi quando arrivano a scuola, che è un sistema fortemente gerarchico, chi sa ubbidire meglio, va meglio Se dopo otto anni l’unica cosa che hai imparato a fare è ubbidire, mentre l’altro è più disobbediente, è più indipendente rispetto all’idea di disciplina, alla fine lui va peggio, si laurea meno e con voti peggiori Ma cinque anni dopo la laurea, non si sa perché, lui è il tuo capo e tu lavori per lui Che cosa succede nel frattempo? È chiaro, no? La leadership non si inventa a venticinque anni, la leadership si inventa a cinque anni e si fortifica lungo l’arco della vita Per cui se tu, per i primi cinque anni, hai insegnato a tua figlia ad essere docile, obbediente, a non fare il maschiaccio, e a tuo figlio a essere forte, dominante e a non fare la femminuccia, il risultato è che poi entra a scuola e si trova un percorso di educazione di genere dove la maestra dice: no, tu puoi essere forte, puoi essere tutto quello che vuoi, tu puoi piangere, non è un problema, piangi! È chiaro che se tu appartieni a quel sistema di valori non vuoi che ne vengano insegnati altri Peccato che tu non veda le conseguenze di quei primi cinque anni di vita E proprio lei avrà un lavoro meno remunerato nonostante abbia studiato di più e faticato di più e spesso non lo avrà nemmeno perché in tempi di crisi le donne vengono licenziate o non vengono proprio assunte, perché sono un rischio anche in maternità E soprattutto la metti a rischio dentro una relazione, perché se l’uomo ha imparato che l’unico modo per affermarsi nel mondo è dominare, nel 2_IH_Italienisch_77.indd 11 12.06.17 11: 15 Michela Murgia in conversazione con Cinzia Sciuto 12 momento in cui la creatura che ha sposato non si farà dominare, 150 donne all’anno muoiono per questa ragione Tutti gli altri omicidi diminuiscono, questo dato rimane costante D.: Ringrazio Michela Murgia per questo colloquio Note 1 Ringraziamo Barbara Pisanu per la trascrizione del testo 2 Si tratta del libro Il mondo deve sapere . Romanzo tragicomico di una telefonista precaria, uscito nel 2006 3 Nato ad Oristano nel 1934, e trasferitosi in Germania negli anni ’60, Salvatore A Sanna ha pubblicato la sua opera poetica completa con il titolo Fra le due sponde - Zwischen zwei Ufern presso la casa editrice Narr di Tubinga e in edizione italiana presso Il Maestrale (Nuoro) . La questione dell’identità europea è uno dei temi fondamentali della sua lirica 4 http: / / libreriamo .it/ libri/ maschilismo-e-letteratura-lanalisi-di-luigi-spagnol/ ; http: / / www .illibraio .it/ cultura-maschilista-festival-donne-398468/ 5 Si fa riferimento alla campagna elettorale per le presidenziali negli USA, dove si fronteggiavano Hillary Clinton e Donald Trump . Il dialogo si è svolto prima delle elezioni, dove alla fine ha prevalso Trump 2_IH_Italienisch_77.indd 12 12.06.17 11: 15