eJournals Italienisch 39/78

Italienisch
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Narr Verlag Tübingen
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2017
3978 Fesenmeier Föcking Krefeld Ott

Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche

121
2017
Patrizia Piredda
ita39780031
31 PAT R I Z I A P I R E D DA Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche Dopo il ruolo fondamentale attribuitogli da Aristotele nel procedimento conoscitivo, la metafora ha subito una degradazione a semplice figura di abbellimento retorico fino ai primi del Novecento con il neopositivismo logico di Frege e Carnap Solo successivamente la metafora è stata rivalutata come parte fondamentale del linguaggio e le è stato riconosciuto un valore cognitivo Basti pensare alla teoria di Hilary Putnam, secondo il quale «la metafora può essere usata per costituire teorie» (Putnam 1987, p 39), ed anche alle teorie di Max Black, secondo il quale l’uso della metafora ci permette di acquisire nuove conoscenze (Black 1954-1955, pp 273-294); e di Richard Boyd, per il quale la metafora «è uno dei molti mezzi disponibili alla comunità scientifica per assolvere il compito dell’accomodamento del linguaggio alla struttura causale del mondo» (Boyd 1983, p 22), per cui è utile a descrivere le nuove scoperte che ancora non sono state battezzate con alcun nome; e ancora di George Lakoff, il quale parte dall’assunto ‘nietzschiano’ secondo il quale «i concetti e il linguaggio umano non sono causali o arbitrari; essi sono profondamente strutturati e circoscritti, per via dei limiti e della struttura del cervello, del corpo e del mondo» (Lakoff 2005, p 23) Vi sono, tuttavia, due fondamentali pensatori nell’Ottocento che, in anticipo sui tempi, hanno messo in luce la funzione creatrice e cognitiva della metafora dalla quale si sviluppano le teorie novecentesche: Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche La metafora e Leopardi La riflessione sulla metafora è elaborata da Giacomo Leopardi nello Zibaldone con frammenti e aforismi che si trovano concentrati nel guazzabuglio dei pensieri soprattutto dal 1821 al 1823 . 1 Contrariamente a coloro che credono che sia soltanto una figura di discorso atta ad abbellire le composizioni poetiche, per Leopardi la metafora è importante perché «la massima parte di qualunque linguaggio umano è composto di metafore», di poche metafore (Leopardi le chiama ‘radici’) originali dalle quali «il linguaggio si dilatò massimamente a forza di similitudini e di rapporti» (Leopardi, Zib 1702): la metafora si trova quindi alla base non solo del linguaggio poetico, ma anche del linguaggio tout-court Secondo questa concezione, è possibile immaginare la crescita del linguaggio come la crescita di una pianta: vi sono delle metafore originarie, le radici profonde, dalle quali nasce la pianta del Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche Patrizia Piredda 32 linguaggio (le cui radici sono già la pianta), con i suoi rami, alcuni dei quali vivono a lungo, altri si seccano, altri rifioriscono dopo qualche tempo, in un eterno movimento di crescita e morte che fa sì che la pianta, una volta giunta ad avere delle radici radicate e un tronco forte e stabile, continui sempre a mutare, cambiando continuamente la forma e la disposizione dei suoi rami: che continui a produrre, in altri termini, sempre nuove metafore e cambiamenti della lingua, dalla grammatica al lessico La gamma di possibilità di formare parole deriva dalla combinatoria delle pochissime ‘radici’ originarie, le quali dal loro primordiale stato metaforico si sublimano attraverso l’uso quotidiano in concetto Questo procedimento si basa sull’utilizzo reiterato del significato dominante della metafora, il quale nel tempo rende la metafora un’espressione abitudinale e comune Accade allora nella realtà, che «la massima parte di queste metafore, perduto il senso primitivo, son divenute così proprie, che la cosa ch’esprimono non può esprimersi, o meglio esprimersi diversamente» (Leopardi, Zib 1702) Con il tempo e con l’uso, dunque, la metafora perde il suo senso primitivo e si cristallizza in concetto: questo è il procedimento attraverso il quale secondo Leopardi «son cresciute tutte le lingue» (Leopardi, Zib 1702) Si può dire che vi sono due fasi di sviluppo del linguaggio: quella che si potrebbe definire del sistema rizomatico, nato dall’esperienza e caratterizzato dalla mobilità e dal dinamismo, e quella del sistema dei concetti, scaturito dall’uso sempre uguale delle metafore e caratterizzato dalla fissità e dalla stabilità Per Leopardi, i nomi delle cose in origine sono metafore e similitudini derivate «dalle cose affatto sensibili, i cui nomi hanno servito in qualunque modo, e con qualsivoglia modificazione di significato o di forma, ad esprimere le cose non sensibili» (Leopardi, Zib 1388) Tutto quel che si conosce e si può nominare nasce dalla percezione dei sensi e dalle cose sensibili senza le quali l’uomo non avrebbe potuto immaginare nulla di ciò che concerne il sovrasensibile Anche le idee nascono dai sensi, e le parole con le quali esse vengono espresse sono sempre in relazione alle cose sensibili, per cui scrive Leopardi che l’uomo «non ha mai potuto esprimere immediatamente nessuna di tali idee con una parola affatto sua propria, e il fondamento e il tipo del cui significato non fosse in una cosa sensibile» (Leopardi, Zib 1389) Grazie alle connessioni metaforiche è allora possibile conoscere per analogia anche ciò che non cade sotto i sensi, in quanto le metafore hanno la capacità di gettare luce su ciò che non è possibile conoscere direttamente e che richiede l’atto intuivo prodotto dall’immaginazione, la quale con un colpo d’occhio riesce a scorgere le più giuste e adeguate connessioni tra le cose . 2 Leopardi deriva la concezione dell’immaginazione come facoltà associativa di idee dalla tradizione empiristica e dal sensismo francese: da John Locke deriva l’idea dell’association of ideas con la quale il filosofo inglese Patrizia Piredda Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche 3 3 nega la presenza di idee innate nell’uomo e afferma che tutta la conoscenza non è innata (dato che i principi logici e morali e le verità matematiche non appartengono alla mente dei bambini, degli idioti e dei selvaggi), ma deriva dall’esperienza L’esperienza, formata dalle sensazioni provocate dalle cose esterne all’uomo e dalla loro riflessione, dà vita alle idee 3 Dal sensismo francese, e soprattutto da Condillac, Leopardi deriva la teoria delle sensazioni secondo la quale tutte le idee, comprese quelle concernenti l’attività dello spirito come la memoria, le emozioni, e via dicendo, sono delle sensazioni trasformate Condillac va, dunque, oltre Locke, in quanto nega che le idee nate dalla autoriflessione della mente sulle sue attività siano separate dalle sensazioni: il piacere o il dolore che ci provocano tali sensazioni, ci muovono a effettuare le comparazioni e le valutazioni nelle quali consiste l’attività intellettuale che produce la conoscenza (Condillac 1927) A tal fine, l’immaginazione è fondamentale: Leopardi la considera «la più feconda e meravigliosa ritrovatrice de’ rapporti e delle armonie le più nascoste […] è manifesto che colui che ignora una parte, o piuttosto una qualità una faccia della natura, legata con qualsivoglia cosa che possa formar soggetto di ragionamento, ignora un’infinità di rapporti e quindi non può non ragionar male, non veder falso, non iscuoprire imperfettamente, non lasciar di vedere le cose le più importanti .» (Zib 1836) Per Leopardi, l’immaginazione e la metafora sono fondamentali non solo per la poesia, ma anche per la filosofia della natura, la quale è «non è altro che scienza dei rapporti» (Leopardi, Zib. 1836): se da un lato la natura è ingabbiata entro teorie scientifiche che la riducono a formule e concetti razionali, dall’altro lato per Leopardi essa sfugge a tali schematismi in quanto ha in sé anche la contraddizione A ben guardare, si scopre che «nella realtà delle cose non vige il principio di non contraddizione […] nell’ordine del mondo vigono varietà, differenza, pluralità (cioè caos, incoerenza, contraddizione)» (D’Intino 2009, p 140) Per comprendere e interpretare la natura, le spiegazioni e le descrizioni razionali derivate dall’osservazione empirica e dalla verificazione dei dati sono necessarie ma non sufficienti: assieme a queste, c’è bisogno di un diverso approccio conoscitivo, come ad esempio l’intuizione del colpo d’occhio, il quale, «in quanto permette di superare in parte le contraddizioni naturali, è già una risposta alla inadeguatezza del principium contradictionis, è già una logica-superiore» (Campana 2008, p .157) Ciò significa che lo scienziato, come il poeta, deve possedere grande immaginazione e intuizione al fine di poter trovare le migliori e adeguate connessioni tra le cose: anzi, Leopardi arriva a scrivere che il filosofo (e lo scien- Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche Patrizia Piredda 3 4 ziato) deve addirittura tornare a vedere con gli occhi del fanciullo, che, con la sua vivace capacità immaginativa, vede somiglianze ardite e nascoste tra le cose, e «ingegnarsi di veder le cose come essi le vedono Giacché è certo che chi scopre grandi e lontani rapporti, scopre grandi e riposte verità e cagioni» (Leopardi, Zib 2020) Per Leopardi è essenziale che il vero filosofo o scienziato sia anche poeta, nel senso che solo grazie all’immaginazione può «esaminare da freddissimo ragionatore e calcolatore ciò che il solo ardentissimo poeta può conoscere» (Leopardi, Zib 1839): unione dei contrari, dunque, il vero filosofo-scienziato non potrebbe nulla con la sua ragione se non avesse l’immaginazione che trova le connessioni dando vita all’intuizione L’adeguatezza e il piacere della buona metafora Abbiamo detto che le parole nascono dal procedimento metaforico e, non avendo un solo significato, possono essere utilizzate in diversi modi Quando vengono usate per indicare sempre la stessa identica cosa, le parole inaridiscono la loro possibilità di significazione all’utilizzo di un solo significato e passano ad essere da espressioni aperte e mobili a espressioni chiuse e statiche, fisse, una sorta di regolarità dettata dal loro utilizzo sempre uguale: questo mutamento di stato ha il vantaggio di far perdere alle metafore il loro tratto di incertezza Utilizzandole sempre per rappresentare la stessa cosa, ci si assuefà a un solo loro significato, nel senso che le metafore divengono dei concetti immediatamente riconoscibili e comprensibili all’interno di un sistema Per Leopardi l’imparare «non è altro che assuefarsi» a utilizzare le parole sempre allo stesso modo, e quindi la memoria non è «altro che un’abitudine contratta o da contrarsi da organi ec Il bambino che non può aver contratto abitudine, non ha memoria, come non ha quasi intelletto, né ragione ec» (Leopardi, Zib 1255) È pericoloso tuttavia per Leopardi scordarsi che le parole sono delle convenzioni, perché se si perde di vista il fatto che in quanto create dall’uomo esse hanno una validità relativa e non universale, si rischia di formulare dei giudizi impropriamente Così, ad esempio, Leopardi scrive che non si deve condannare una letteratura solo perché non segue il canone classico Se le parole sono convenzioni relative, allora lo è anche la parola bella, quindi, non esistendo il bello universale, non ha senso attribuire al canone di bellezza classica un valore assoluto e di conseguenza giudicare lo spirito più vivace e fecondo della letteratura degli orientali, lontano dal canone classico, un difetto Lo stesso vale per la loro oscurità metaforica, la quale appare troppo eccessiva e «ampollosa» solo all’interno del sistema occidentale di convenienze ma non in quello orientale Quindi, per Leopardi, Patrizia Piredda Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche 35 «dipendendo dalle opinioni caratteri costumi ec il giudizio e il discernimento di quali cose convengano insieme, ne deriva che la letteratura e le arti, quantunque per motivo sopraddetto siano soggette a regole universali nella sostanza principale, tuttavia in molti particolari debbano cangiare infinitamente secondo non solamente le diverse nature, ma anche le diverse qualità mutabili, vale a dire opinioni, gusti, costumi ec degli uomini, che danno loro diverse idee della convenienza relativa .» (Leopardi, Zib 155) Perché la metafora Se si volesse dare una definizione, si potrebbe dire che le metafore sono delle costruzioni linguistiche nelle quali le parole non sono utilizzate in modo ordinario o proprio, quindi la loro essenza risiede nel loro essere straordinarie Le parole usate metaforicamente sono, rispetto al loro uso comune, pellegrine, termine con il quale Leopardi «traduce senza alcun dubbio lo ξενιχόν di Aristotele» (Gensini 2012, p 139) Le parole, infatti, aveva notato Aristotele, possono essere utilizzate essenzialmente in quattro modi: il proprio, l’ornamento, l’allotropo o metaforico e la glossa Proprio è il modo in cui si utilizza la parola abitualmente da parte di tutti; la glossa è una parola che essendo usata propriamente da alcuni, rimane di difficile comprensione ad altri; l’ornamento è semplicemente un uso estetico della parola, e infine la metafora è definita da Aristotele come qualcosa di straniero Adesso la parola è virtuosa, ossia eccelle nel suo scopo di comunicare qualcosa, quando è al contempo chiara e non sciatta: dunque la parola utilizzata in senso comune non è virtuosa perché è chiara ma sciatta (Aristotele 1998, 1458a 18…19, p 49), mentre la metafora è virtuosa, perché collegando con le parole ciò che logicamente non è possibile collegare dà vita paradossalmente a un enigma che produce chiarezza e conoscenza Infatti, nella Retorica Aristotele scrive che «se un oratore compone bene vi sarà un che di esotico nello stile, ma l’arte non sarà notata e vi sarà chiarezza» (Aristotele 1996, 2 1404b, p 301) Il fatto che nella metafora le parole non sono utilizzate secondo il loro uso abituale, provoca uno scuotimento al senso di sicurezza e un misto di spaesamento e di meraviglia che muove ad andare al di là del senso letterale, al fine di cogliere il nuovo significato che abbraccia diagonalmente l’inusuale connessione di parole Cosa accade se per uso abituale si intende uso universale? Accade, ad esempio che, se si considera bello ciò che è conforme a un modello di bello universale, la metafora, utilizzando le parole in modo non conforme al loro ipotetico uso universale, produce il brutto e il confuso: e se ancora dall’esperienza del bello si prova piacere, dall’esperienza della Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche Patrizia Piredda 36 metafora si prova dispiacere Per Leopardi, invece, come lo è anche per Aristotele, la metafora, quando è ben formata, vale a dire quando è adeguata al suo scopo, produce piacere L’adeguatezza della metafora non vuol dire che essa sia conforme a un canone determinato: al contrario si tratta di una adeguatezza vaga, non fondata su alcuna regola stabilita L’adeguatezza vaga dipende sia da un equilibrio interno alla metafora stessa, secondo la quale la connessione non deve essere né troppo evidente, né troppo estranea, perché in entrambi i casi non produrrebbe alcuna meraviglia e soprattutto alcuna conoscenza; sia da un equilibrio esterno, nel senso che la metafora deve essere adeguata rispetto al sistema di riferimento nel quale è prodotta, per cui metafore che funzionano in una società non funzionano in altre Solo se la metafora è adeguata produce piacere Una volta colto il senso nuovo della connessione, infatti, si prova il piacere di avere acquisito una nuova conoscenza e di vedere più chiaramente le relazioni tra le cose Tali connessioni, tuttavia, all’interno di un sistema determinato da un canone del bello, rappresentano delle irregolarità spesso non percepite come elementi eleganti e piacevoli Leopardi concorda nell’affermare che tendenzialmente si giudica bello ciò che abitualmente riconosciamo essere conforme a un’idea canonizzata di bello, tanto che scrive che in alcuni autori non riconosciamo l’eleganza dell’irregolarità dello scarto, in quanto non sono autori «abbastanza accreditati ancorché sieno di vero merito, p .e se sono moderni, onde non possono avere l’autorità de’ secoli in loro favore» (Leopardi, Zib 1457) Così le stesse metafore che in autori abitualmente riconosciuti valevoli giudichiamo eleganti, «trovate in un autore non accreditato ci daranno sapor di rozzezza, d’ignoranza, di ardire irragionevole, di sproposito, di temerità ec se non ci ricorderemo che quelle hanno per se l’autorità di uno scrittore stimato» (Leopardi, Zib 1457) La stessa persona può giudicare elegante uno scrittore e modificare il suo giudizio quando si abitua al linguaggio di scrittori più eleganti: l’assuefazione è duplice perché con essa «(e non altro) si forma il gusto, il quale come ci rende capaci di molti piaceri, che per l’addietro malgrado la presenza degli [1435] stessi oggetti ec non provavamo, così anche ci spoglia di molti altri che provavamo, e generalmente, o almeno bene spesso, e sotto molti aspetti, ci rende più difficili al piacere» (Zib 1434-35) L’eleganza di una lingua scaturisce non tanto dall’adeguamento a un modello stabilito, ma dalla proliferazione della varietà e della differenza dell’uso delle parole: per esempio, scrive Leopardi, il poter usare un verbo in modo attivo, passivo e neutro, con uno o più nomi e in diverse situazioni, «non solamente giova alla varietà ed alla eleganza che nasce dalla novità ec e dall’inusitato, e in somma alla bellezza del discorso, [1334] ma anche sommamente all’utilità, moltiplicando infinitamente il capitale, e le forze Patrizia Piredda Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche 37 della lingua, servendo a distinguere le piccole differenze delle cose, e a circoscrivere la significazione, e modificarle» (Leopardi, Zib 1333-34) La metafora, lontana da essere una costruzione linguistica brutta e disarmonica, produce eleganza in quanto «raddoppia o moltiplica l’idea rappresentata dal vocabolo» (Leopardi, Zib 2469), e perché, quando si produce una deviazione o un qualcosa di non completamente conforme al canone, il bello non viene alterato o distrutto Tutt’altro Dalla irregolarità della metafora si producono l’eleganza e la grazia: la metafora è elegante perché è straordinaria e lo straordinario produce il piacere della sorpresa e del vedere che questo «non distrugge il conveniente e il regolare [ma] dà risalto a quella bellezza e convenienza» (Leopardi, Zib 1322) Scrive Leopardi: «Se osserviamo bene in che cosa consista l’eleganza delle scritture, l’eleganza di una parola, di un modo ec ., vedremo ch’ella sempre consiste in un piccolo irregolare, o in un piccolo straordinario o nuovo, che non distrugge punto il regolare e il conveniente dello stile o della lingua, anzi gli dà risalto e risalta esso stesso; e ci sorprende che risaltando, ed essendo non ordinario, o fuor della regola, non disconvenga; e questa sorpresa cagiona il piacere e il senso dell’eleganza e della grazia delle scritture… il pellegrino delle voci o dei modi, se è eccessivamente pellegrino, o eccessivo per frequenza ec distrugge l’ordine, la regola, la convenzione, ed è fonte di bruttezza… Nel caso contrario è fonte di eleganza (Leopardi, Zib 1323) .» Il pellegrino, come si è già visto, è l’elemento straniero, il non conforme che innesca nel conforme l’eleganza: nel caso in cui non abbia un equilibrio, tuttavia, sia per eccesso che per difetto produce lo stesso effetto del barbarismo, il quale «è distruttivo dell’eleganza, sì della prosa, e sì massimamente della poesia (alla quale più si richiede il pellegrino), non come pellegrino, né come semplicemente forestiero, e contrario alla purità (ch’è un nome astratto, e sempre variabile nella sua sostanza); ma per lo contrario, come distruttivo del pellegrino, e del nuovo, come volgare, come triviale, come quello che forma la parte più moderna, e quindi più corrente e ordinaria della favella (Leopardi, Zib 2520) .» L’eleganza, dunque, è il frutto dell’armonia scaturita dalla buona connessione e buon uso delle parole pellegrine: se, tuttavia, non ci fosse questo Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche Patrizia Piredda 3 8 bilanciamento, si avrebbe un eccesso che, invece di incrementare ed arricchire la convenzione, creerebbe una disarmonia, una ‘bruttezza’ In Leopardi si ha quindi «l’idea che l’eleganza derivi da un attento uso della metafora Quanto meno è scoperto il meccanismo di spostamento del significato, tanto più si raggiunge un risultato esteticamente valido In questo consiste la differenza tra metafora vicina e metafora lontana Questa artificiosa, e da evitare perché comporta uno sforzo di comprensione del collegamento ‘lontano’, cioè peregrino, fra i significati del comparato e del comparante Quella, più bella, perché nasconde la ricerca da cui deriva (Longo 2006, p 71) .» Ma nel momento in cui l’elemento irregolare che produce bellezza diventa regolare, allora, scrive Leopardi, non produce più il senso di grazia ed eleganza perché «perduto il senso dello straordinario si perde quello del grazioso» (Leopardi, Zib 1326) Questo passaggio equivale alla sublimazione della metafora in concetto Dalla metafora al concetto Per Leopardi la metafora è una figura bella, altamente poetica, e piacevole, «perché rappresenta più idee in un tempo stesso (al contrario dei termini)» (Leopardi, Zib 2468) È fondamentale creare sempre nuove metafore perché con il passare del tempo queste perdono la loro bellezza, la loro novità; mantengono in vita un solo senso metaforizzato come, per esempio, il verbo «accendere», il quale ha una «forza sua propria Ma s’io dico accender l’animo, l’ira ec, che sono metafore, l’idea che risvegliano è una, cioè la metaforica, perché il lungo uso ha fatto che in queste tali metafore non si senta più il significato proprio di accendere, ma solo il traslato E così queste tali voci vengono ad aver più significazioni quasi al tutto separate l’una dall’altra, quasi affatto semplici, e che tutte si possono ormai chiamare ugualmente proprie (Leopardi, Zib 2469) .» Ciò non accade con le nuove metafore, perché hanno vivo il ventaglio di possibili significazioni ancora non irrigidito in una sola di esse dall’assuefazione, a seguito della quale diventano, si può dire, dei concetti nel senso che Patrizia Piredda Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche 39 «perduto il primitivo senso, son divenute così proprie, che la cosa ch’esprimono non può esprimersi, o meglio esprimersi diversamente» (Leopardi, Zib 1702) L’innovazione del linguaggio avviene attraverso il processo di assuefazione ai concetti e alla creazione di nuove metafore che vadano a sostituire ed integrare quelle che, ormai divenute di uso quotidiano, perdono l’elemento di diversità e si immobilizzano nel rappresentare sempre un identico significato, mentre «la metafora nuova, cioè la metafora ardita, al contrario, porta la mente del lettore o dell’ascoltatore a fare un lavoro per cercare ‘l’affinità e la corrispondenza d’esse idee, e in questo sforzo, precisa Leopardi, ‘consiste il piacere della loro molteplicità’» (Longo 2006, p 72) La metafora e Nietzsche Cinquant’anni dopo le riflessioni di Leopardi, Friedrich Nietzsche parla della metafora in termini molto simili a quelli del poeta di Recanati negli appuntiframmenti di quello che avrebbe dovuto divenire il Philosophenbuch (Libro del filosofo) e in due brevi saggi, Sul pathos della verità del 1872 e Su Verità e Menzogna in senso extramorale del 1873 . 4 Nietzsche conosceva Leopardi in traduzione tedesca, benché possedesse le prose in modo parziale; dal suo carteggio risulta che «nei confronti del poeta italiano, accostato soprattutto a Schopenhauer, Nietzsche non assume altro atteggiamento che quello di un filosofo che tende a distinguere il suo virile pessimismo, che affonda le radici in una sofferenza esistenziale non sufficiente tuttavia a consumare ogni sua gioia di vivere, da un pessimismo che a questa stessa gioia sbarrerebbe la strada» (Negri 1994, p 15) Nietzsche conosce e apprezza inizialmente Leopardi in quanto filologo non erudito come gli accademici tedeschi, ma, come Goethe, filologo-poeta tanto da definirlo «l’ideale moderno di filologo» (Nietzsche 1992, fr 3 [23] marzo 1875, p 93): successivamente conosce Leopardi in quanto prosatore, del quale apprezza talmente lo stile semplice da scrivere «tener presente Leopardi, che è forse il più grande stilista del nostro secolo» (Nietzsche 1992, fr 3 [71] marzo 1875, p 105) e, infine, lo conosce come il filosofo delle Operette morali . 5 Generalmente si possono individuare due momenti dell’interesse di Nietzsche verso Leopardi, «Il primo è quello caratterizzato dalla produzione del ‘giovane Nietzsche’, ovvero della produzione che comprende La nascita della tragedia e le Quattro Inattuali […] in Leopardi Nietzsche scorge la negazione delle sicurezze ontologiche e psicologiche che avevano accompagnato l’uomo occidentale attraverso il tempo e, al contempo, l’esaltazione romantica del genio solitario Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche Patrizia Piredda 4 0 che attraverso la costruzione linguistica costruisce un edificio volto ad eternare la propria individuale grandezza Wagner e Schopenhauer, dunque, s’incontrano, per Nietzsche in Leopardi (Sabatini 1998, p 181) .» La seconda fase invece si ha con Umano troppo umano (1876), quando agli occhi del filosofo tedesco «il disincanto leopardiano non poteva che risultare una pericolosa discesa verso i luoghi aridi e desolati del nichilismo» (Sabatini 1998, p 181) In Nietzsche, la questione della metafora è connessa ai problemi della verità, dell’aderenza ontologica tra le parole e le cose, della divisione soggetto e oggetto, della condanna del corpo e dei sensi, della conoscenza e della credenza La polemica che attraversa tutta la sua opera è volta contro il dominio della logica e della scienza del suo tempo, secondo le quali la realtà poteva essere descritta dalla ragione in modo esatto, privo di ambiguità, in modo tale da conoscere oggettivamente ogni aspetto della vita Per Nietzsche, invece, non esiste la conoscenza oggettiva poiché ciò che si chiama conoscenza in verità è un’interpretazione dei fatti del mondo filtrata dalla costituzione tipica dell’essere umano, il suo corpo, i suoi sensi, la sua struttura mentale: anche la logica e la metafisica, dunque, sono creazioni dell’essere umano, il quale, tuttavia, obliando la loro origine, le considera oggettive, credendo di conseguenza che alcuni concetti, quali la sostanza, il soggetto, l’identità, siano innati in noi ed esistano in sé Obliare la fondamentale presenza dei sensi e del corpo a favore di una concezione ontologica e metafisica della conoscenza, conduceva inoltre a considerare il soggetto separato dall’oggetto e ad ammettere solo un linguaggio univoco fondato sulla corrispondenza tra cosa e parola e sul principio logico di non contraddizione Da questa prospettiva, la metafora, non rimandando ad alcun oggetto della realtà, è considerata una forma ingannevole e falsa del discorso retorico, quindi è accettata solo in quanto abbellimento del discorso letterario Nietzsche non nega il fatto che le parole possono essere usate in modo da rappresentare le cose, ma mette in questione la validità di quei sistemi che mirano a stabilire la verità, per cui dall’essere mera espressione convenzionale della cosa, la parola passa ad avere un rapporto di identità con la cosa, e ad avere un solo significato Secondo Nietzsche è completamente inappropriato e falso credere che ci sia un tale rapporto tra gli oggetti della realtà e le parole, in quanto per poter affermare qualcosa di vero sulla realtà la parola deve essere espressione ontologica della cosa: il soggetto, dunque, deve avere una relazione ontologica con l’oggetto e occupare la posizione predominante, dalla quale può osservare l’oggetto nella sua interezza e coglierne la sostanza Ciò è impossibile per Nietzsche: Patrizia Piredda Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche 41 «I postulati logico-metafisici, la credenza in sostanza, accidente, attributo, ecc, trovano la loro forza di persuasione nell’abitudine di considerare tutto ciò che facciamo come conseguenza della nostra volontà - così che l’io, in quanto sostanza, non scompare nella molteplicità dei mutamenti Ma non esiste una volontà Noi non possediamo categorie per cui ci sarebbe lecito separare un ‘mondo in sé’ da un mondo come apparenza Tutte le nostre categorie razionali hanno origine nei sensi: sono dedotte dal mondo empirico (Nietzsche 1992, fr 488, p 274) .» Per Nietzsche, dunque, non esiste alcun legame ontologico tra il soggetto e l’oggetto e tra la parola e la cosa che giustifichi la verità secondo la quale possedere il nome significa possedere la cosa, perché questa verità non è altro che una invenzione linguistica creata dal soggetto Tutto nasce dal corpo, dai sensi; nessun concetto è innato in noi: la sostanza, quindi, come tutte le altre categorie, non è altro che un’invenzione nata dal nostro modo di sentire, di interpretare e di scorgere le connessioni, le somiglianze e le dissomiglianze tra le cose Le metafore ovvero come nascono le parole Per Nietzsche le parole nascono da scelte arbitrarie, frutto dell’accostamento di oggetti differenti in cui si riconoscono delle somiglianze I concetti sono l’affiorare alla luce di quelle connessioni, dal groviglio delle infinite connessioni possibili, che originariamente hanno unito in metafora cose aventi delle somiglianze Da questa premessa, si comprende come per Nietzsche, a fondamento della conoscenza, non si trovano i principi logici bensì la relazione analogica, che unisce elementi diversi in base a una loro famigliarità: le cose non sono più considerate, quindi, come oggetti da osservare in sé, ma come oggetti, così come lo sono i soggetti, sempre immersi in una o più relazioni Scrive Nietzsche: «simile che si ricorda del simile e vi si confronta: questo è il conoscere, la rapida sussunzione dell’analogo Solo il simile percepisce il simile: è un processo fisiologico Ciò che è memoria è contemporaneamente anche percezione del nuovo Non pensiero di pensiero» (Nietzsche 2007, p 52) Non riconoscimento dell’identico, del pensiero di pensiero che caratterizza il motore immobile che non pensa nulla all’infuori di se stesso (Aristotele 2006, 1074 b 15-35, pp 575-7), ma riconoscimento del non identico Proprio perché «tutte le conoscenze che ci fanno compiere progressi non sono altro che identificazioni del non identico, del simile, sono cioè sostanzialmente illogiche» (Nietzsche 2007, p 59) Dal punto di vista della logica, tale identificazione, non concernendo due cose identiche, è una contraddi- Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche Patrizia Piredda 42 zione perché afferma che A è -A, ossia che A è qualcosa di uguale a A ma anche di diverso da A; dal punto di vista di Nietzsche, invece, tale affermazione è un paradosso, prima di tutto perché il principio di non contraddizione non esiste in natura, e secondo perché se non può affermare e al contempo a negare la stessa cosa, ciò non è a causa di una necessità universale, ma di un’incapacità Infatti, il principio di non contraddizione, considerato il più certo tra i principi, presuppone che ci sia già stato dato il concetto di reale secondo il quale «ci risulta impossibile attribuirgli opposti O quel principio vuol dire: al reale, all’esistente non si debbono attribuire predicati opposti, in tal caso la logica sarebbe un imperativo che comanda non di procedere verso la conoscenza del vero, ma di stabilire e ordinare un mondo che per noi deve chiamarsi vero» (Nietzsche 1992, fr 516, p 284-5) Conseguentemente, i principi della logica per Nietzsche non sono validi a priori, ma solo relativamente alle nostre necessità, nel senso che sono i «criteri e mezzi onde creare anzitutto per noi il reale [e] la logica è il tentativo di comprendere il mondo vero secondo uno schema dell’essere posto da noi, o, più esattamente, di renderlo da noi formulabile e calcolabile» (Nietzsche 1992, fr 516, p 284-5) Il fatto che per poter conoscere bisogna credere nella logica e nei suoi principi e categorie dimostra solo che senza di queste sarebbe impossibile conoscere: dimostra, in altre parole, «la loro utilità, provata dall’esperienza, per la vita: non la loro ‘verità’» (Nietzsche 1992, fr 507, p 280) È un’illusione pensare di poter comprendere la cosa in sé, di possedere la sua essenza: «noi crediamo di saper qualcosa delle cose stesse, quando parliamo di alberi, colori, neve e fiori e tuttavia non possediamo che metafore delle cose, che non corrispondono per niente alle essenzialità originarie» (Nietzsche 2006, p 91) Tutto quel che sappiamo delle cose allora non è altro che metafore e residui di metafore, e mai conoscenze epistemologiche, le quali per Nietzsche sono anch’esse interpretazioni Come per Leopardi, anche per Nietzsche le parole nascono da un procedimento metaforico, il quale, formata la parola, è successivamente obliato: «ogni parola diventa subito concetto per il fatto che essa precisamente non deve servire all’incirca come rammemorazione per l’esperienza originariamente vissuta, unica e del tutto individualizzata, cui deve il suo sorgere, bensì deve necessariamente andar bene a un tempo per casi innumerevoli, più o meno simili, cioè Patrizia Piredda Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche 4 3 in senso rigoroso | mai uguali, dunque semplicemente disuguali Ogni concetto sorge dall’uguagliare il non-uguale (Nietzsche 2006, p 91) .» Il concetto viene usato per rappresentare una determinata famiglia di cose, non la singola cosa, perciò ogni volta che questa viene nominata perde le proprie caratteristiche: in altre parole, l’uomo costruisce il concetto scartando tutte le caratteristiche proprie degli oggetti, per cui, scrive Nietzsche, «l’omissione dell’individuale ci dà il concetto, e così ha inizio la conoscenza: col catalogare, con l’istruzione dei generi A questo non corrisponde però l’essenza delle cose: è un processo conoscitivo che non coglie l’essenza delle cose» (Nietzsche 2007, p 59) Anche parlare di essenza è problematico in Nietzsche; come tutti gli altri, anche questo concetto è stato creato dall’uomo, quindi non esiste nella realtà una sostanza immutabile che si trova all’origine di tutte le cose Esiste invece la necessità, per il soggetto, di creare i concetti per conoscere: è «solo attraverso l’oblio di quel primitivo mondo metaforico, solo attraverso l’indurirsi e irrigidirsi d’un’originaria massa d’immagini sgorgante fuori con impetuoso flusso dalla facoltà originaria dell’umana fantasia, solo attraverso la fede invincibile che questo sole, questa finestra, questo tavolo sia una verità in sé, in breve solo attraverso il fatto che l’uomo oblia sé come soggetto e precisamente come soggetto artisticamente creatore, egli vive in concorde tranquillità sicurezza e coerenza (Nietzsche 2006, p 101) .» Non c’è un rapporto di causalità per cui il soggetto sa esattamente cosa un oggetto sia, perché tra i due ci può essere «tutt’al più un rapporto estetico», ossia «una trasposizione allusiva, una traduzione balbettata in una lingua del tutto straniera», che ha bisogno «d’una sfera di mezzo e forza intermedia liberamente poetante e inventiva» (Nietzsche 2006, p 103) Si può dire così che «ogni spiegare e conoscere è davvero soltanto un etichettare» (Nietzsche 2007, p 55), per cercare di dare un ordine al caos Il linguaggio e la conoscenza, dunque, non nascono dall’ordine e dalla logica, definita al contrario come «la schiavitù nelle catene del linguaggio» (Nietzsche 2007, p 90), piuttosto, se vedessimo come si è iniziato a filosofare e come è nato il linguaggio, noteremmo che ciò è avvenuto «illogicamente .» Tutto parte dai sensi e si sviluppa attraverso due passaggi analogici: «uno stimolo nervoso anzitutto tradotto in un’immagine! Prima metafora L’immagine nuovamente riprodotta in un suono! Seconda metafora E ogni Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche Patrizia Piredda 4 4 volta completo saltar oltre di sfera, nel bel mezzo di una del tutto altra e nuova» (Nietzsche 2006, p 89) Il primo passaggio avviene dalla percezione sensoriale all’immagine, il secondo da quest’ultima alla parola Questo procedimento doppio, chiamato da Nietzsche metaforico, involve diverse capacità, dal riconoscimento estetico delle forme alla memoria, e precisamente consiste nell’«identificare il simile con il simile» (Nietzsche 2007, p 56): lo «scoprire qualche somiglianza tra una cosa e l’altra è il processo originario La memoria vive di queste attività e vi si esercita continuamente Lo scambiare una cosa per un’altra è il fenomeno originario Tutto questo presuppone il vedere per forme» (Nietzsche 2007, p 56) Qualsiasi concetto, ma anche qualsiasi idea, nasce nella mente del filosofo o dell’artista (e dello scienziato) grazie a un’originaria intuizione e grazie all’immaginazione che Nietzsche definisce «la rapida percezione delle somiglianze» (Nietzsche 2007, p 30), alla quale succede la riflessione dell’intelletto che valuta l’accostamento analogico al fine di sostituire la somiglianza con la causalità, ossia al fine di trasformare l’intuizione originaria in conoscenza e l’immagine primitiva in concetto L’intuizione è la capacità di vedere e valutare le possibilità in un batter d’occhio e saper cogliere, benché non ci siano prove che ne dimostrino la validità, le migliori connessioni Queste sono definite da Nietzsche i pensieri originali, i quali, a loro volta, sono delle imitazioni: si imita per appropriarsi «di un’impressione estranea per mezzo di metafore» (Nietzsche 2007, p 58) Senza imitazione, connessioni e metafore non potrebbe esistere alcuna conoscenza L’imitazione e il conoscere sono separati solo se si intende quest’ultimo solo come ciò che «non vuol far valere alcuna trasposizione e vuole invece fissare le impressioni senza metafore e senza conseguenze» (Nietzsche 2007, p 58): per Nietzsche, invece, non esiste alcuna conoscenza in sé che non abbia al suo fondamento una metafora e un’intuizione Se la conoscenza si fonda sull’assuefazione ad alcune metafore che nell’abitudine diventano concetti, allora «le metafore più consuete, quelle uguali, valgono ora come verità e misura per quelle più rare Regna qui in sé soltanto la differenza tra abitudine e novità, frequenza e rarità» (Nietzsche 2007, p 59) In base a ciò Nietzsche arriva ad affermare, così, che il «conoscere è semplicemente lavorare sulle metafore preferite» (Nietzsche 2007, p 59), e quindi, come per Leopardi, conoscere è una questione di assuefazione e di abitudine all’utilizzare alcune metafore in un loro significato L’originaria impressione data dai sensi, una volta raggiunta la dimensione linguistica, «viene pietrificata: imprigionata e coniata in concetti Poi uccisa, scuoiata, mummificata e conservata sotto forma di concetto» (Nietzsche 2007, p 56) Tutto ciò che noi sappiamo delle cose sono delle metafore che hanno perduto il loro libero movimento originario La verità, dunque, è una illusione linguistica, Patrizia Piredda Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche 4 5 «obliata in quanto illusione, che sta all’origine convenzionale… convenzioni linguistiche che stabiliscano universalmente, almeno limitatamente al gruppo sociale, le corrispondenze tra parole e cose in relazione all’utilità sociale e subordinatamente individuale, nonché le violazioni socialmente dannose, effettuabili da chi quindi verrebbe escluso come mentitore, di tali convenzioni divenute, poi, attraverso l’assuefazione dell’abitudine, tradizionali consuetudini, verità e menzogna nascono non solo intrecciate assieme, ma come i due volti della medesima realtà illusoria (Tomatis 2006, p 20) .» Per Nietzsche, il concetto di verità non è un qualcosa che esiste a priori, ma è creato a posteriori, per cui il processo originario della conoscenza non è quello della identificazione tra un dato concetto e le cose, ma è la libera intuizione che crea connessioni tra le cose per vagliarne le possibilità Così scrive Nietzsche: «Le differenti lingue poste l’un l’altra accanto mostrano che con le parole non si giunge né alla verità, né ad un’espressione adeguata: perché altrimenti non ci sarebbero così tante lingue La ‘cosa in sé’ (questa sarebbe proprio la pura verità senza conseguenze) è anche per colui che forma un linguaggio del tutto incoglibile e per niente degna d’aspirazione Egli designa soltanto le relazioni delle cose rispetto agli uomini, prendendo per le espressioni delle quali le più ardite metafore in ausilio (Nietzsche 2006, p 89) .» Ancora una volta, così, la verità non è altro che un residuo di una metafora originaria: «Che cos’è dunque la verità? Un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di umane relazioni che, elevate poeticamente e retoricamente, tradotte, vennero adornate, e che dopo lunga consuetudine parvero a un popolo fisse, canoniche, vincolanti: le verità | sono illusioni, delle quali si è dimenticato che siano tali, metafore, che sono divenute consunte e sensibilmente prive di forza (Nietzsche 2006, p 95) .» Come per Leopardi, anche per Nietzsche dal libero procedimento di accostamento metaforico si passa alla rigidità delle immagini codificate, le quali, come il sogno, sono delle illusioni che si credono essere portatrici di una Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche Patrizia Piredda 4 6 verità: così, scrive Tomatis, «la credenza o auto ingannevole fede fondamentale dell’uomo riguarda principalmente l’identificazione fra cosa e cosa in sé, o, più precisamente, fra metafora e cosa (in sé), fra cosa determinata (metaforicamente) e sua (presunta) verità in sé universale» (Tomatis 2006, p 21) È nella fase successiva, quando la metafora si cristallizza nella forma fissa del concetto, che le differenze, vale a dire le reali caratteristiche degli oggetti, vengono obliate in favore di una generalizzazione astratta: il necessario bisogno dell’essere umano di credere che vi sia qualcosa di fisso e di vero, universalmente si risolve con l’essere una menzogna necessaria Non esistono, infatti, concetti a priori, perché tutto quel che diciamo con il linguaggio è stato prodotto da noi per noi «con quella necessità con cui il ragno tesse la tela […] tutta la regolarità, che tanto c’impressiona nel corso degli astri e nel processo chimico, coincide in fondo con quelle proprietà che noi stessi introduciamo nelle cose, cosicché siamo noi che impressioniamo noi stessi» (Nietzsche 2006, p 107) Bisogna allora scardinare la tendenza a credere che «le metafore più consuete, quelle uguali, valgono ora come verità e misura per quelle più rare» (Nietzsche 2007, p 59), e iniziare a concepire la conoscenza non più come qualcosa di totalmente stabile, ma come qualcosa in movimento che vive grazie alla moltiplicazione delle prospettive: quando si utilizza il concetto non solo secondo il medesimo significato, ma in una connessione metaforica con un altro concetto, si produce un nuovo modo di vedere le cose e si apre la possibilità di vedere «il ‘mondo’ con il maggior numero possibile di ‘occhi’» (Kofman 1976, p 152) La metafora, dunque, pone sotto gli occhi dell’uomo i suoi limiti e gli svela la sua più grande illusione: credere di trovarsi in una posizione privilegiata dalla quale può vedere interamente, conoscere, possedere e dominare gli oggetti della realtà Questi, in quanto tali, non sono afferrabili nella loro totalità: l’uomo può solo conoscerli parzialmente a seconda della prospettiva dalla quale li osserva e attraverso il filtro dei sensi: non esiste una regolarità oggettiva in natura che l’uomo sia in grado di cogliere e «anche se noi avessimo una sensazione di diversa specie ciascuno per sé, se noi potessimo solamente percepire ora come uccello, ora come verme, ora come pianta, oppure se uno di noi vedesse lo stesso stimolo come rosso, l’altro come blu, un terzo lo sentisse persino come suono, allora nessuno parlerebbe d’una siffatta regolarità della natura, ma la concepirebbe soltanto come una creazione altamente soggettiva (Nietzsche 2006, p 105) .» Patrizia Piredda Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche 47 Ciò significa che è solo una mera illusione, una costruzione della mente umana, il porsi al centro del mondo per riuscire a credere di poterlo conoscere oggettivamente: se infatti, scrive Nietzsche, «noi potessimo intenderci con la zanzara, allora apprenderemo che anch’essa con questo pathos nuota nell’aria e in sé sente il centro volante di questo mondo» (Nietzsche 2006, p 81) L’uomo e qualsiasi altro animale percepisce il mondo alla sua propria maniera e, benché si illuda che la sua visione sia quella vera e universale, non c’è alcuna ragione di credere che ci sia una scala obiettiva di valori, perché anche tale scala nasce dalla dal procedimento metaforico della mente umana In ultima analisi, il vero problema, dunque, non è la validità o meno delle conoscenze e l’aderenza dei concetti alla realtà, ma il bisogno tutto umano di credere che le illusioni da lui create siano delle verità oggettive e universali Entrambi pensatori antidogmatici credono che la conoscenza non abbia alcun carattere metafisico e che non esista la cosa in sé; benché Nietzsche non derivi la sua concezione da Leopardi, abbiamo visto che i due autori qui considerati concepiscono la metafora in termini molto simili La metafora non è un mero abbellimento del testo letterario, ma è utile e fondamentale alla conoscenza stessa: fare metafore, quindi, non significa usare il linguaggio in modo confuso, estetizzante, superficiale e logicamente insensato bensì in modo altamente significativo La metafora, inoltre, è un modo del pensiero che si potrebbe definire della rivoluzione, del cambiamento, dell’apertura che caratterizza l’uomo in quanto individuo che accetta il dolore dell’esistenza, come l’uomo titanico di Leopardi e lo Übermensch di Nietzsche Nel Bruto minore, la funzione educatrice della scrittura è tragica: l’eroe è isolato, riconosce l’illusione, «si ribella al destino: non potendo più fare altro si uccide, e con ciò diventa vincitore nell’atto stesso d’esser vinto» (Bosco 1980, p 16) Poi, con le Operette morali v’è la rinuncia alla lotta titanica, ma «resta lo sprezzo per i vili che non osano fissare gli occhi nella spaventosa realtà» (ivi, p 17) Il pastore errante, così, abbandona la lotta ma non si adegua alla posizione di ignoranza della maggior parte degli uomini, titanica è la sua non-rinuncia a continuare a domandare, ponendo quesiti terrificanti, sapendo che non si può dar loro risposta In Leopardi, scartata l’ipotesi del suicidio per sfuggire al dolore, rimane così solo il coraggio di guardare in faccia la realtà e di accettare la propria condizione con l’eroismo di chi attende la propria fine con dignità e con lo spirito titanico di resistenza alla necessità della natura, all’insegna della solidarietà con chi si trova nella medesima situazione: solidarietà tra gli uomini che metaforicamente è rappresentata dalla ginestra Nietzsche va oltre Alla semplice accettazione e alla resistenza consapevole del dolore, Nietzsche contrappone la libera volontà dell’uomo di conoscere in profondità se stesso: ciò è possi- Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche Patrizia Piredda 4 8 bile quando impara ad accettare e a gioire anche del dolore della vita, passando dall’essere l’uomo-cammello, ossia colui che si sobbarca tutti i doveri che la società e la tradizione gli impone, rimanendone schiacciato, al leone, il quale, pur essendo capace di «crearsi la libertà per una nuova creazione» (Nietzsche 1978, p 24), è in grado di liberarsi dall’oppressione antivitale delle imposizioni sociali della tradizione, ma non di creare nuovi valori: per vivere consapevolmente e in accordo con la sua natura, l’uomo deve trasformarsi in un fanciullo, la cui crudele innocenza, intrisa di oblio e di volontà giocosa, lo rende una «ruota ruotane da sola» (Nietzsche 1978, p 25) L’Übermensch è colui che, partendo da una tradizione e da un sapere esistente, va oltre per conoscere e vivere secondo la sua propria forma di vita, e nel far ciò utilizza un nuovo linguaggio, il linguaggio metaforico del filosofo-poeta: contrariamente al sistema di valori determinato dalla scienza ottocentesca, si può dire che per entrambi gli autori i metaforici sono gli uomini forti, mentre dogmatici sono gli uomini deboli Nel pensiero metaforico, profondità e superficialità, contenuto e forma, pensiero e materia, devono essere pensati assieme, vale a dire che il senso delle cose non si trova al di là della materialità, nella dimensione della profondità, perché questa e la superficie sono unite inscindibilmente, quindi nell’ultima è già la profondità del senso Abstract Die Autorin analysiert die Begriffe der Metapher in der Gedankenwelt von Giacomo Leopardi und Friedrich Nietzsche Beide sind antidogmatische Denker, überzeugt davon, dass die Erkenntnis keinerlei metaphysischen Charakter hat, und sie begreifen die Metapher in ähnlicher Weise: sie ist keine reine Verschönerung der Sorache, sondern eine Basis des Erkennens selbst Alle unsere Sprachkonzepte entstehen, in der Tat, als Metaphern, und mit der Zeit verlieren sie ihre Fähigkeit, verschiedene Dinge zu repräsentieren und sie etablieren sich In dem Moment in dem sie nur ein Bild repräsentieren, oder indem sie immer dasselbe darstellen, werden sie zu Konzepten Das, was wir für stabile Erkenntnis halten, ist also nichts als die Frucht der Gewöhnung, die Metaphern in nur einer Bedeutung zu benutzen Note 1 Il primo pensiero sul tema si trova nello Zibaldone è datato 6 luglio 1820; l’ultimo 4 . Dic . 1832 2 Leopardi deriva la concezione della metafora come colpo d’occhio dal Trattato dello stile e del dialogo del 1646 di Pietro Sforza Pallavicino, il quale «si interroga ‘se a’ trattati scienziali convengano gli ornamenti dell’eloquenza’, quindi, più in generale, sulla relazione esistente fra metafora e discorso scientifico-dimostrativo [e] arriva a conclu- Patrizia Piredda Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche 4 9 dere che la metafora dev’essere usata anche dagli scienziati, sebbene con alcune cautele: la principale è che venga usata per indagare la verità e non per ‘lusso d’ingegno’,» e poi perché «risalta l’idea del potere conoscitivo delle associazioni metaforiche» la quale «per Pallavicino avviene attraverso una ‘cognizione comparativa’, che si avvicina anch’essa al coup d’oeil teorizzato dai francesi .» Andrea Campana, Leopardi e le metafore scientifiche, Bologna: Bononia University Press 2008, pp . 116-118 3 John Locke, Saggio sull’intelletto umano, Torino: Einaudi 1971 . Sulla metafora, tuttavia, Locke ha un’opinione diversa da quella di Leopardi . Locke, infatti, condanna la metafora in quanto costruzione linguistica ingannevole ed erronea se usata in tutti i contesti in cui si richiede precisione e conoscenza propria, ma la considera espressione fondamentale dell’arte ingegnosa, la quale ha come scopo il mero piacere estetico e non pretende di parlare delle cose così come esse sono . Nel campo scientifico «tutta l’arte della retorica, a prescindere dall’ordine e dalla chiarezza, tutte le applicazioni artificiali e figurative delle parole che l’eloquenza ha inventato, non servono ad altro che a insinuare idee sbagliate, a muovere le passioni e con ciò a fuorviare il giudizio» (p . 588) . Per Locke, dunque, le metafore «consistono per la maggior parte nel divertimento e nella piacevolezza dell’ingegno che colpisce così vivacemente l’immaginazione e si rende tanto accettabile alla gente, perché la sua bellezza si rivela a prima vista e non si richiede fatica del pensiero per esaminare quale verità o ragione ci sia in esso» (p . 193) 4 Che Nietzsche conoscesse Leopardi è noto: possedeva due traduzioni di Hamerling e di Heyse di Leopardi comprendenti i Canti e le Operette morali ma, stando agli studi di Galimberti non lo Zibaldone . Friedrich Nietzsche, Intorno a Leopardi, a cura di Cesare Galimberti, Genova: Il Melangolo 2000 5 Inoltre, sul rapporto tra Leopardi e Nietzsche rimando a: Andrea Rigoni, Saggi sul pensiero leopardiano, Napoli: Liguori 1985; Angelo Sabatini, «Nietzsche e Leopardi», in: Leopardi e il pensiero moderno, a cura di C . Ferrucci, Milano: Feltrinelli 1989, pp . 173-181; Franca Janowski, «Nietzsche e Leopardi . La seduzione del nichilismo», in: Nietzsche und Italien. Ein Weg vom Logos zum Mythos? Akten des deutsch-italienischen Nietzsche-Kolloquiums, 27-28 ottobre 1987, Tübingen: Stauffenburg 1990, pp . 59-72; Vincenzo Maria Amari, Vico, Leopardi, Nietzsche. A Comparative Study in Nihilism, Ann Arbor: University of Michigan Press 1979 6 Per uno studio sulle influenze filosofiche della teoria del linguaggio di Nietzsche rimando a Claudia Crawford, The Beginnings of Nietzsche’s Theory of Language, Berlin NY: Walter de Gruyter & Co 1988 Bibliografia Amari, Vincenzo Maria: Vico, Leopardi, Nietzsche. A Comparative Study in Nihilism Ann Arbor: University of Michigan Press 1979 Aristotele: Metafisica . Milano: Bompiani 2006 Aristotele: Poetica . Roma-Bari: Laterza 1998 Aristotele: Retorica . Milano: Mondadori 1996 Black, Max: «Metaphor», in: Proceedings of the Aristotelian Society, Vol . 55 (1954-1955), pp . 273-294 Boyd, Richard: «Metafora e mutamento delle teorie: la ‘metafora’ di che cosa è metafora? », in: Richard Boyd/ Thomas Kuhn, La metafora nella scienza, Milano: Feltrinelli 1983, pp . 21-32 Il ruolo della metafora in Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche Patrizia Piredda 50 Bosco, Umberto: Titanismo e pietà in Giacomo Leopardi . Roma: Bonacci editore 1980 Campana, Andrea: Leopardi e le metafore scientifiche. Bologna: Bononia University Press 2008 Condillac, Étienne Bonnot: Trattato sulle sensazioni . Bologna: Cappelli 1927 Crawford, Claudia: The Beginnings of Nietzsche’s Theory of Language . Berlin-NY, Walter de Gruyter & Co 1988 D’Intino, Franco: «Il rifugio dell’apparenza . Il paganesimo post-metafisico di Leopardi», in: Il paganesimo nella letteratura dell’Ottocento, a cura di Paolo Tortonese, Roma: Bulzoni 2009, pp . 115-166 Gensini, Stefano: «Il pellegrino e le metafore . Appunti di stilistica leopardiana», in: Blityri. Studi di storia delle idee sui segni e le lingue, I, 1, 2012, pp . 133-151 Janowski, Franca: «Nietzsche e Leopardi . La seduzione del nichilismo», in: Nietzsche und Italien. Ein Weg vom Logos zum Mythos? Akten des deutsch-italienischen Nietzsche-Kolloquiums, 27-28 ottobre 1987, Tübingen: Stauffenburg 1990, pp . 59-72 Kofman, Sarah: «La scrittura nietzschiana, gioco di gran stile», in: Il Verri, n . 39-40, pp . 147-164 Lakoff, George/ Nùñez, Rafael: Da dove viene la matematica. Come la mente embodied dà origine alla matematica . Torino: Bollati Boringhieri 2005 Leopardi, Giacomo: Zibaldone di pensieri. Torino: Einaudi; ed . di riferimento Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura . Firenze: Le Monnier 1921 Locke, John: Saggio sull’intelletto umano . Torino: Einaudi 1971 . Traduzione di Nicola Abbagnano Longo, Nicola: «Metafora e poesia: sondaggi leopardiani», AA . VV ., La metafora tra letteratura e scienza (Convegno di studi, Bari, 1-2 dicembre 2005), Bari: Servizio Editoriale Universitario 2006, pp . 69-84 Negri, Antimo: Interminati spazi ed eterno ritorno. Nietzsche e Leopardi . Firenze: Le lettere 1994 Nietzsche, Friedrich: Così parlò Zarathustra, vol . I . Milano: Adelphi 1978 Nietzsche, Friedrich: Frammenti postumi . Milano: Adelphi 1967, 3 [23] marzo 1975, vol . IV, tomo I Nietzsche, Friedrich: Intorno a Leopardi, a cura di Cesare Galimberti, Genova: Il Melangolo 2000 Nietzsche, Friedrich: Il libro del filosofo . Torino: Ananke 2007 Nietzsche, Friedrich: Su verità e menzogna . Milano: Bompiani 2006 Nietzsche, Friedrich: La volontà di potenza, frammenti postumi ordinati da Peter Gast e Elisabeth Föster-Nietzsche . 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