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2018
4079 Fesenmeier Föcking Krefeld Ott

Le sezioni pastorali e la codifica del ‘doppio amore’ nel canzoniere di Benedetto Varchi

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2018
Selene Maria Vatteroni
Gegenstand des vorliegenden Beitrags sind die zwei in die Sonetti. Parte prima Benedetto Varchis eingegliederten pastoralen Sektionen. Vor dem Hintergrund der zunächst geschilderten Liebesideologie Varchis, formuliert nach Platon und Ficino, wird die thematisch-strukturelle Integration der Sektionen in die Liedersammlung untersucht und die These herausgearbeitet, dass sie eine von der petrarkischen abweichende poetische Liebesauffassung vorschlagen.
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12 S E L E N E M A R I A VATT E R O N I Le sezioni pastorali e la codifica del ‘doppio amore’ nel canzoniere di Benedetto Varchi* Il presente intervento si propone di mettere in luce l’importanza, sul piano sia della tenuta strutturale della raccolta sia dell’enunciazione dell’ideologia poetico-amorosa ad essa sottesa, delle due sezioni pastorali all’interno del canzoniere varchiano per Lorenzo Lenzi, i Sonetti. Parte prima pubblicati a Firenze nel 1555 . 1 Si cercherà di mostrare come queste sezioni, mentre partecipano appieno al racconto del canzoniere - a dispetto della patente di autonomia che i rispettivi titoli e l’esplicita segmentazione tipografica (entrambe sono precedute da uno stacco bianco) a prima vista conferiscono loro -, si configurino come una sorta di zona franca in cui collocare la proposta di una nuova ideologia poetico-amorosa alternativa a quella petrarchesca, cioè la proposta del ‘doppio amore’ . 2 I Sonetti, Parte prima di un organismo poetico senza precedenti, 3 sono una raccolta architettonicamente complessa, che si presenta divisa in * Queste pagine sono il frutto della rielaborazione del mio intervento «La poesia pastorale nel canzoniere di Benedetto Varchi» al XX congresso ADI «La letteratura italiana e le arti» (Napoli, Università degli Studi Federico II, 7-10 settembre 2016) 1 De sonetti di m. Benedetto Varchi . Parte prima, in Fiorenza apresso m . Lorenzo Torrentino, MDLV, con dedica di Varchi a Francesco de’ Medici . è noto che la raccolta, con l’aggiunta finale di tre ecloghe, esce quasi contemporaneamente anche a Venezia (I sonetti di m. Benedetto Varchi, novellamente messi in luce, in Venetia per Plinio Pietrasanta, MDLV) con dedica di Giorgio Benzone (che vanta l’autorizzazione dell’autore) a Giovanni della Casa . Su significato e implicazioni di questa vicenda editoriale si vedano le diverse conclusioni di Chiodo 2007, p . 164 n . e Andreoni 2012, pp . 25-29 2 La definizione è dello stesso Varchi, in 471,11: «doppio sempre m’avvampa e strugge amore» 3 Alla Parte prima segue, due anni dopo, la Parte seconda (De sonetti di m. Benedetto Varchi colle proposte, e risposte di diversi. Parte seconda, in Fiorenza appresso Lorenzo Torrentino, MDLVII), che raccoglie solo sonetti di corrispondenza: come ha dimostrato Tanturli 2004, le due raccolte scaturiscono da un progetto originariamente unitario, e anzi la seconda (t57) costituisce quasi un ‘parto’ della prima (t55), nato «dall’impossibilità oltre un certo limite di far convivere la forma canzoniere, su cui con ogni evidenza [Varchi] vuol modellare t55, col debordante carattere epistolare di tanti sonetti e lunghe serie di sonetti, che, seppure rime di corrispondenza sono raccolte in ogni canzoniere, in questo caso minacciavano di sformarlo e snaturarlo» (p 55) . Postumi sono invece i Sonetti spirituali, stampati nel 1573 (Sonetti spirituali di m. Selene Maria Vatteroni Le sezioni pastorali e la codifica del ‘doppio amore’ 13 quattro parti Dopo il sonetto proemiale all’intero canzoniere (1), la prima sezione (2-351) ruota intorno al vero e proprio nucleo del racconto dell’amore per Lorenzo Lenzi (2-69), e raccoglie poi numerosi altri nuclei tematici . 4 La seconda sezione, intitolata Sonetti pastorali (353-420) e dotata di un suo proemio (352, al Caro), è a sua volta bipartita in una serie di sonetti di genere effettivamente pastorale (Fillidi: 353-376) sugli amori di Damone (nome pastorale di Varchi) e Fillide, ma anche di Iola e Licori e sull’amore di Damone per Iola, e in una di sonetti non pastorali indirizzati a (o riguardanti) Giulio della Stufa (379-420), separata dalla precedente da due sonetti-epitalamio (377-378) La terza sezione, intitolata Pastorali e anch’essa dotata di proemio (421) e dedica A messer Giovanvettorio Soderini, ospita la seconda serie pastorale (Carini: 422-447) 5 sull’amore di Carino (nome pastorale di Giulio) e Nape e quello di Damone per Carino Infine la quarta e ultima sezione, che come recita il titolo raccoglie Alcuni sonetti del medesimo autore, parte ritrovati nello stampare, e parte aggiunti di nuovo, si configura piuttosto come una «dichiarata e non ordinata appendice» 6 prima del sonetto 534, conclusivo dell’intero canzoniere Sulla forza centrifuga apparentemente esercitata dalla segmentazione interna prevale però il modello strutturale del Canzoniere petrarchesco in quanto sistema organico Benedetto Varchi. Con alcune Risposte, & Proposte di diversi Eccellentissimi ingegni. Nuovamente stampati, in Fiorenza nella Stamperia de’ Giunti, 1573), e i Componimenti pastorali, del 1576 (Componimenti pastorali di m. Benedetto Varchi. Nuovamente in quel modo stampati, che da lui medesimo furono poco anzi il fine della sua vita corretti […], in Bologna, a instanza de Gio . Battista & Cesare Salvietti, MDLXXVI) . L’unica edizione moderna della produzione poetica varchiana è nel II volume delle Opere di Benedetto Varchi, ora per la prima volta raccolte con un discorso di A . Racheli intorno alla filologia del secolo XVI e alla vita e agli scritti dell’autore, aggiuntevi le lettere di Gio . Battista Busini sopra l’assedio di Firenze, Trieste, dalla Sezione letterario-artistica del Lloyd austriaco, 1858-1859 4 Individuati e descritti in Tanturli 2004, p . 51-53 attraverso il confronto con la «tavola delle materie» conservata nelle carte varchiane delle Filze Rinuccini della BNCF (filza 14, inserto 78, cc . 357r-358r), che è probabile si riferisca a un (mai realizzato) progetto di ristampa del canzoniere 5 Fillidi e Carini sono i titoli che lo stesso Varchi assegnerà a queste due serie pastorali, numerandole rispettivamente come prima e seconda, «dopo il 1555, quando cioè inizierà a progettare nuove e diversamente strutturate edizioni delle sue rime» . Esse sono raccolte, insieme ad altre due serie (Tirinti e Cherinti) e tutte con i rispettivi titoli, nel ms . BMLF, Ashburnham 1039, non autografo ma recante correzioni e note di mano di Varchi (cfr . da ultimo Siekiera 2009, p . 339 e Ferroni 2013, pp . 57-58), cui si aggiungono i mss . BNCF, Palatino 231 e BRF, ms . 2828 recanti i Cirilli, quinta e ultima serie (cfr . Ferroni 2017, pp . 224-225, da cui è tratta la citazione); Fillidi, Carini e Tirinti sono raccolti nella cit . edizione Salvietti dei Componimenti pastorali 6 Tanturli 2004, p . 54 Le sezioni pastorali e la codifica del ‘doppio amore’ Selene Maria Vatteroni 14 di interrelazioni tematiche e lessicali, l’unico capace di garantire unità e coesione a una raccolta così ampia e variegata per origine e datazione dei testi: a delimitarla e definirla come vero e proprio canzoniere stanno infatti i sonetti 1 e 534, 7 che corrispondendosi in una fitta rete di rimandi rimicolessicali la aprono e chiudono nel nome dell’amore per Lorenzo, il lauro (senhal scopertamente petrarchesco) che è «presenza effettiva e unificante del libro»: 8 1 534 Quel ch’Amor mi dettò casto e sincero Da voi felice e senza alcuno affanno d’un lauro verde, ne’ miei più freschi anni, hebbe principio il mio cantare, ed hora cantai, colmo di gioia e senza inganni, felice e lieto in voi fornisce ancora, se non leggiadro, almen felice e vero arbor del sole, al ventottesimo anno Febo, che puoi sol dar condegno e ’ntero Ma le sante radici, che mi stanno pregio e ristoro alle fatiche e ai danni e stetter dentro al cor sì dolci, ognhora di quell’alme innocenti che coi vanni in mezzo l’alma (o viva il corpo o mora) volano al ciel, del loro ingegno altero, fibre maggiori e più profonde havranno ch’io viva no, ma ben ti prego humile, Per voi della comune schiera fuore se mai per te soffersi o freddi o fami, uscii, pianta del ciel, per voi mi volsi che non del tutto mi disfaccia morte: all’erta, e la seguii, strada d’honore e quei più d’altri mai ben colti rami Altro che voi non chiesi mai né volsi, della tua pianta e mia con nuova sorte né voglio o cheggio infino all’ultime hore, fioriscan sempre in rozzo e secco stile che bel fin fa chi bene amando muore L’opzione varchiana per un amore omoerotico si spiega, al di là dell’omosessualità del Varchi uomo, 9 tenendo presente il suo universo culturale di poeta, un universo dominato dall’idea della dimensione e funzione sociale della poesia (basti pensare ai moltissimi sonetti epistolari sparsi nel canzoniere) e insieme dalla concezione platonico-ficiniana della superiorità morale dell’‘amore tra maschi’, in un nesso strettissimo tra «sapere e culto dell’amicizia» 10 L’esperienza d’amore raccontata nei Sonetti non può quindi che essere lontanissima da quella dei Rerum vulgarium fragmenta . 11 Dal punto di vista ficiniano l’amore petrarchesco rappresenta infatti un amore-passione che, 7 Tutti i sonetti si citano dall’edizione Torrentino limitandosi a ricondurre all’uso moderno le maiuscole, l’uso di u/ v e di & (sempre davanti a vocale, sciolta con ed), i diacritici e la punteggiatura 8 Tanturli 2004, p . 52 9 Su questo punto cfr . almeno Lo Re 2010 10 Su questo punto cfr . specialmente Huss 2001, p . 142 e la bibliografia lì citata alla n . 23; e Ferroni 2017, pp . 220-221 (la citazione è tratta da p . 216) 11 Sulla radicale alterità di ideologia amorosa petrarchesca e ideologia amorosa platonico-ficiniana cfr . Huss 2007, pp . 139-142, specialmente p . 140 e n . 445 Selene Maria Vatteroni Le sezioni pastorali e la codifica del ‘doppio amore’ 15 per l’errore - ovvero per il difetto della volontà - dell’amante, 12 non è completamente affrancato dalla dimensione corporea e risulta perciò incapace di innescare l’elevazione spirituale verso il divino, non potendo dunque che configurarsi come amore-dolore L’amore varchiano per il lauro si configura invece fin dall’inizio, in linea con l’ideologia platonico-ficiniana, come casto («casto e sincero» 1,1), nobilitante e salvifico anche in senso religioso (si veda l’immagine del volo dell’anima al cielo in 1,7-8, 13 e in chiusura, in 534,10, il lauro sarà di nuovo «pianta del ciel»), dunque come un’esperienza felice («cantai colmo di gioia e senza inganni» 1,3, cui risponde «felice e senza alcuno affanno / hebbe principio il mio cantare» 534,1-2, con identica parola-rima anni/ anno) e continua nel racconto del canzoniere - se all’augurio di 1,14 che i versi laurani «fioriscan sempre» risponde, anche a livello fonico, il consuntivo di 534,2-4 «il mio cantare […] / felice e lieto in voi fornisce ancora, / arbor del sole, al ventottesimo anno» (cioè nell’anno stesso della pubblicazione dei Sonetti, in cui ricorre il ventottesimo anniversario dell’innamoramento, avvenuto nel 1527) -, che non subisce la frattura petrarchesca del pentimento È significativo che, quando un accenno di pentimento in effetti c’è, nel son 177 a Luca Martini, sia determinato da un comportamento amoroso che si rivela moralmente (ficinianamente) non irreprensibile: 177 Luca, nel cui sincero petto luce di valor natural sì chiaro raggio che per questo mondan cieco viaggio uopo non v’è d’altro maestro e duce; ei sol lieto e sicuro vi conduce per dritta strada, ov’io men forte e saggio, dubbioso e tristo spesso incespo e caggio fuor del camin, dove ’l voler m’adduce Pur dianzi accorto, e n’era tempo omai, del mio fallire e del fuggir degl’anni, col cor mi volsi humilemente a Dio; e ’l prego ancor che dagl’eterni guai salvo mi scorga ne’ celesti scanni, non lungi al vostro buon Martino e mio 12 Sul difetto della volontà di Petrarca poeta-amante insiste lo stesso Varchi nella lezione su Rvf 132 [ed . Huss 2004], quando afferma che: «E l’effetto aspro e mortale non veniva dall’amore, ma da lui, che amare non sapeva, volendo che le bellezze terrene, che devono essere strumento e scala alle celesti, gli servissero come divine» (p . 55, corsivo mio) 13 Su cui cfr . ancora Huss 2001, pp . 144-145 Le sezioni pastorali e la codifica del ‘doppio amore’ Selene Maria Vatteroni 16 Qui infatti il voler di Varchi (v 8) si definisce per antitesi rispetto al «valor natural» di Luca, che prende su di sé gli aggettivi che nei sonetti liminali del libro definiscono l’amore platonico-ficiniano (sincero, lieto) e si rivela quindi capace di indirizzare l’amante sulla «dritta strada» dell’elevazione spirituale; 14 al contrario, quello di Varchi è un comportamento amoroso petrarchescamente connotato come errore (fallire), di per sé incapace dell’ascesa spirituale (incespo e caggio) e tale perciò da richiedere il pentimento di fronte a Dio (v 11) . 15 Che fallire segnali l’amore petrarchesco, ancora fermo alla dimensione terrena e quindi ‘zoppo’ nell’ascesa verso il divino, 16 trova conferma nell’occorrenza del son 352, al Caro, 17 proemiale alla prima sezione di Sonetti pastorali e, nello specifico, ai Fillidi: 352 Caro, che con illustri e alteri danni dispregiate egualmente argento ed oro, bramoso e ricco d’un più bel tesoro che non cura del mondo ire né ‘nganni: 14 Rilevato è anche il contrasto tra questa «dritta strada» verso il divino e il «mondan cieco viaggio» della vita mortale (v . 3), se si pensa che nei testi legati alla tradizione platonico-ficiniana l’aggettivo cieco segnala il coinvolgimento nella materialità e nel terrestre (su questo punto vd . i rimandi forniti da Huss 2007, pp . 186-187) 15 In questo contesto il richiamo al «fuggir degl’anni» (v . 10) potrà alludere alla polemica sulla sconvenienza dell’amore e della poesia d’amore in età avanzata, già negata tuttavia nella dedicatoria dell’ed . Torrentino, p . iiia, proprio in forza dell’esempio di Petrarca e Bembo (si sciolgono tacitamente le abbreviazioni e si modernizza la punteggiatura): «la sentenza e parere mio […] è che niuna età tanto matura si ritrovi, né alcuna professione così grave, alla quale il comporre sonetti, e conseguentemente lo stampargli, si disconvenga; […] la qual cosa (per tacere di Dante) […] si può non meno agevolmente che chiaramente coll’esempio dei due da me di sopra nominati provare» 16 Si noterà che la clausola del v . 7 «incespo e caggio» riprende quella petrarchesca di Rvf 227,8: «adombre e ’ncespe» che rimanda all’immagine del ‘bue zoppo’ di ascendenza arnaldiana (cfr . Santagata 2004, p . 953), incrociandola con quella del v . 10 «or mi sollievo or caggio» (: raggio : viaggio) 17 Già destinatario della terna di sonetti precedente il son . 177 (174-176), terna in cui già Varchi omaggiava l’amico nominandolo, con consueto topos modestiae, affidatario della propria poesia laurana (cfr . 175,3-5: «voi, c’havete più d’altri al bel lavoro / più conforme il saper, più degna l’arte, / fate in mille palese e mille carte […]» e vv . 12-14: «A me quanto conviensi humile e pio, / poi che penne non ho da sì gran volo, / basti sempre adorarlo e tacer sempre» e 352,12-14: «Voi, c’havete al voler pari l’ingegno, / con più dolce cantate e chiaro suono / quel già d’Apollo, hor mio diletto legno») . Sulla scorta di questi legami (identità del destinatario e affidamento a lui della poesia laurana) Paolino 2004 ipotizza che in un «progetto originario del libro» si passasse dal son . 177 al son . 352 (p . 285) Selene Maria Vatteroni Le sezioni pastorali e la codifica del ‘doppio amore’ 17 questi miei rozzi pastorali affanni, d’oscuro e basso stil giovin lavoro, dono io a voi, che dar potete loro solo, e vorrete, onde non teman d’anni E se fuor del camin né dritto al segno che sol deve seguirsi andato io sono, fallir forse non fia di scusa indegno Voi, c’havete al voler pari l’ingegno, con più dolce cantate e chiaro suono quel già d’Apollo, hor mio diletto legno In effetti, ciò che va in scena nei Fillidi è una ronda di «amori sfasati» 18 (quello di Damone e Filli, che poi gli diventa ostile, corteggiata anche da Mosso e Coridone; quello di Iola e Licori, che però sono lontani, e a cui si intreccia l’amore di Damone per Iola), che nel caso di Damone e Filli ha una conclusione non positiva (la resa di lui e il rifiuto dell’amore in 364,12-14), e che quindi può davvero costituire un pericolo di sviamento dalla «dritta strada» dell’amore platonico-ficiniano: in questo contesto e sulla scia di una esplicita rete di legami lessicali con la prima terzina di 177 (fuor del camin/ fuor del camin, fallire/ fallir, «dritta strada»/ «dritto al segno», «chiaro raggio»/ «chiaro suono»), fallir assurge a vero e proprio senhal di un comportamento amoroso (e della relativa poesia) petrarchescamente connotato come affanni (v 5), cioè come amore-passione e dunque amore-dolore . 19 Non sarà un caso che proprio la parola-rima affanni sia quella per cui la rima A di 352 differisce dalla rima B di 1: obliterato il ficiniano vanni del proemio generale, qui viene ricomposta la serie rimica A di Rvf 60 (anni : affanni : inganni : danni), sonetto in cui l’esperienza d’amore è esplicitamente negativa Tanto esplicita la connessione rimico-lessicale tra i due proemi (1 e 352), altrettanto vistosa la continuità tra l’augurio che i versi laurani «fiori- 18 Bruscagli 1985, p . 286 19 La poesia d’amore dei Fillidi, ficinianamente erronea, trova qui una parziale giustificazione nel fatto che risale (o viene fatta risalire) agli anni giovanili di Varchi (v . 6), riprendendo e rielaborando Rvf 39,11: «fallir forse non fu di scusa indegno» e Rvf 207,13: «ché ’n giovenil fallir è men vergogna», verso in cui culmina il tema della sconvenienza dell’amore senile: la giovinezza sarebbe qui l’età dei petrarcheschi affanni amorosi, di contro alla saggezza platonico-ficiniana della maturità, acquisita in 177 (cfr . supra n 15) - ma si tenga presente che in sede proemiale tutta la poesia del canzoniere è collocata negli anni giovanili: «Quel ch’Amor mi dettò […] ne’ miei più freschi anni» 1,1-2, e che l’esperienza d’amore narrata oltrepassa immutata i confini della giovinezza, per cui non c’è disallineamento tra «giovin pensiero» e «non giovine cor» (cfr . infra 421,11) Le sezioni pastorali e la codifica del ‘doppio amore’ Selene Maria Vatteroni 18 scan sempre in rozzo e secco stile» (1,14) e l’offerta al Caro dei «rozzi pastorali affanni» (352,5), 20 che quell’augurio sembrerebbero quindi realizzare Sembrerebbe cioè che il son 352, mentre provvede all’integrazione dei Sonetti pastorali nella macrostruttura del canzoniere in forza di rilevati rimandi rimico-lessicali, segni l’avvio della nuova proposta poetico-ideologica varchiana, con la definizione della pastorale come forma possibile, se non addirittura come rilancio, della poesia laurana In effetti l’ideologia platonico-ficiniana e quella pastorale hanno in comune un punto fondamentale che le allontana dall’amore-dolore petrarchesco, cioè professano entrambe un amore corrisposto e felice; e se il genere pastorale «si connota - almeno in origine - per le sue disinvolte concessioni alla voluptas e le sue modeste preoccupazioni per la virtus», 21 la poesia pastorale varchiana, parte integrante di un canzoniere platonico-ficiniano, non può che professare un amore casto, ficinianamente soddisfatto della sola contemplazione del proprio oggetto 22 e che, al limite, non si spinge più in là di un bacio in fronte (354,11) . 23 Questa continuità ideologica platonico-ficiniano-pastorale 24 è evidente non solo nella «catechesi» pastorale di 375, che enuncia la legge 20 Sulle implicazioni poetologiche di questo esplicito legame cfr . Huss 2001, pp . 145- 146 21 Romei 2010, p . 256 22 Cfr . ad es . infra 373,5-8: «Qui, sol mirando i santi lumi ardenti / del bellissimo Iola […] hebbe tutti Damone i suoi contenti» e 422,12-14: «Anch’io per te tutto ardo, e sol vorrei / mirarti, oh Nape, e non men che tu brami / bramo io pensier seguir leggiadri e casti» . L’amore platonico-ficiniano, che si definisce come desiderio della bellezza spirituale, passa infatti attraverso i sensi che appartengono allo spirito, vista udito e pensiero (cfr . Ficino, El libro dell’amore [ed . Niccoli 1987], V 2, ma anche Varchi, lezione su Rvf 132: «E perché la bellezza si truova in tre cose, ne’ corpi, nelle voci e ne gl’animi, quinci è, che queste tre cose quando insieme, e quando si per sé s’amano […] e perché la bellezza è cosa incorporea, quinci è che non si può veramente godere, se non con l’animo» [p . 54]) 23 Varrà la pena accennare al fatto che nella letteratura religiosa il bacio sulla bocca tra l’anima e Dio rappresenta il culmine della loro unione, e che questa immagine passa anche in testi dell’ambiente degli Spirituali, ambiente col quale è ben nota la familiarità di Varchi (su questo punto si veda almeno Firpo 1997, pp . 218 ss .): di questo tenore andrà considerato ad es . il bacio descritto in 72,1-4: «Almo spirto divin sì dolce ch’io / (ambrosia e nettar non invidio a Giove) / da rose e perle mai non viste altrove / sussi con casto e sì caldo disio» . Nelle sezioni pastorali ci sono comunque sporadiche concessioni alla voluptas del genere, ad es . in 424,5-8: «Nape, di rose ornata e di viole, / gli si fa incontra: e me, no ’l gregge, sferza / (dice) tua verga; e poi lo ’nfiora, e scherza / gaiamente con lui, ch’altro non vuole» 24 Continuità che risulta anche storicamente fondata, se si pensa ad es . a un’opera «pastoral-filosofica» come il De summo bono di Lorenzo de’ Medici (la definizione è di Orvieto 1992, vol . ii p . 915) Selene Maria Vatteroni Le sezioni pastorali e la codifica del ‘doppio amore’ 19 naturale dell’«ama chi t’ama», 25 ma soprattutto in 373, altro sonetto pastorale in cui l’amore-dolore petrarchesco, chiaramente alluso al v 2, viene respinto in favore di quello ficinianamente «felice» e «casto», tale da provocare il miracolo della morte e resurrezione dell’amante: 26 373 Pastor, se per rea sorte o nulla senti d’amor, o, pure amando, ami infelice, fermati, non varcar, ch’entrar non lice né profani il bell’antro né scontenti Qui, sol mirando i santi lumi ardenti del bellissimo Iola, e poco dice, più ch’altro mai pastor lieto e felice hebbe tutti Damone i suoi contenti Amor se ’l vide, e sallo il ver, se mai arse più casto cor più bel desire e più gradito di tutti altri assai Volle ben sì, volle Damon morire e più volte morì, ma i dolci rai vivo il tornar, né sa ben come dire Se nei Fillidi l’elemento centrale degli affanni ancora osta alla conciliazione platonico-ficiniano-pastorale, questa si realizza invece nella proposta ideologico-poetica del ‘doppio amore’, avanzata all’interno del ciclo non pastorale 25 Con tessere lessicali che significativamente richiamano da vicino, a rimarcare il distanziamento ideologico, l’ipotesto di Rvf 105,27-31: «Alcun è che risponde a chi nol chiama; / altri, chi ’l prega, si delegua e fugge; / altri al ghiaccio si strugge; / altri dì e notte la sua morte brama . / Proverbio ‘ama chi t’ama’ è fatto antico» (cfr . 375,5-7: «Ninfa crudel, crudel ninfa, ch’a vile / tanto hai e fuggi ognhor così superba / il Tirsi tuo», vv . 9-11: «Tirsi, che sola te notte e dì chiama, / […] / e per te sola finalmente muore», e vv . 12-14: «Ninfa, deh, ninfa bella, ama chi t’ama, / cogli hor le rose e l’april tuo dispensa, / ch’altro non è beltà ch’un breve fiore») . A parlare di «catechesi» pastorale è Gigliucci 2005, p . 120 26 Cfr . anche infra 447,7-8: «voi, per cui a ddoppio e vivo e pero, / Carin» . Il tema dell’amore ricambiato e quello del «fulmineo trascorrere degli amanti dall’uno all’altro polo psicologico», morte e vita (Baldacci 1957, p . 92), sono legati in Ficino, El libro dell’amore, II 8: «Ma dove l’amato nello amore risponde, l’amatore almen che sia nello amato vive . Qui cosa maravigliosa adviene quando due insieme s’amano: […] Una solamente è la morte nell’amore reciproco, le resurrectioni sono due; perché chi ama muore una volta in sé quando si lascia, risuscita subito nello amato quando l’amato lo riceve con ardente pensiero, risuscita ancora quando lui nello amato finalmente si riconosce e non dubita sé essere amato . O felice morte alla quale seguitano due vite! » Le sezioni pastorali e la codifica del ‘doppio amore’ Selene Maria Vatteroni 20 per Giulio della Stufa (387) e poi messa in forma pastorale alla fine della sezione dei Carini, che da lui prende il nome (443): 387 443 Se non pur l’aria di quel dolce viso Oh, se per mia ventura alto destino, che già ventisette anni entro ’l cor porto, ch’a’ miei casti desir spesso compiacque, ma la bontate e l’honestate ho scorto tra questi molli ontani e lucide acque in voi, bel Giulio, e quel celeste riso, hoggi menasse il mio dolce Carino, e tante altre eccellenze, che conquiso ben porria dire il bel monte vicino, havriano un tigre, ed ad amare scorto, dove la vita mia quasi rinacque oltra ’l nome gentil, ch’ancor sì scorto quando l’arbor del sol tanto mi piacque: là mi suona, onde mai non fia diviso; ‘Al ciel per doppio honor men vo vicino’ se quei sì casti e sì felici ardori Ed io l’antica e sì profonda piaga geminan tutti ov’io vi miro o odo, ch’Amor mi fé per non saldarla mai come fia ch’io non v’ami e sempre honori? di mio proprio voler doppiar vedrei; Né trae già chiodo a questa volta chiodo, anzi doppiò quel dì ch’altera e vaga anzi ’l raddoppia, e per novelli amori schiera di larve (oh, felici occhi miei! ) crescon gl’antichi in disusato modo con non saggio vestir saggia mirai Il ‘doppio amore’ di Varchi, distribuito contemporaneamente e senza conflitti (felici 387,9 e 443,13) tra Lorenzo e Giulio, nel momento in cui ‘risolve’ gli amori sfasati dei Fillidi, si configura come alternativa radicale all’universo lirico-ideologico di Petrarca, dominato da un unico amore-dolore che subordina a sé e limita nella durata qualunque tentativo di ‘amore secondario’ - al punto che non può trovarvi posto nemmeno la ballata Donna mi vene spesso nella mente, in cui pure il poeta oppone una resistenza irata e sdegnosa alla possibilità di amare «a doppio» (v 7), 27 che nei Fragmenta verrà sostituita dal madrigale 121, consueta protesta contro il rifiuto di Laura è significativo che in 387, a differenza che negli episodi di ‘amore secondario’ della tradizione lirica, dalla Mandetta di Cavalcanti alla ‘donna gentile’ della Vita nova, il fattore scatenante dell’amore per Giulio sia non tanto la somiglianza fisica con Lorenzo (vv 1-2) quanto piuttosto quella morale (vv 3-5), o meglio il ficiniano «composto» di bellezza e virtù; 28 e non c’è dubbio che 27 Ammesso naturalmente che le due donne di cui si parla siano donne reali e non allegorie di stampo dantesco, come tende a pensare Bettarini 2005, pp . 564-565 28 Cfr . Ficino, El libro dell’amore, V 3 . Lo stesso ‘amore secondario’ di Varchi sembrerebbe sviluppare premesse ficiniane, se è vero che in VI 10 Ficino afferma l’immortalità dell’amore sulla base del fatto che «la figura amata per la prima volta resta sempre oggetto dell’amore, anche se muta l’oggetto particolare del desiderio» (Vasoli 1988, p . 108): «Dicesi ancora immortale per questa cagione, che la figura che una volta è amata sempre s’ama, imperò che quanto tempo una medesima figura persevera in uno medesimo huomo, tanto tempo s’ama in quello medesimo; e quando da·llui è partita, […] èvi questa differentia, che prima tu vedevi quella figura antiqua in altri, e hora Selene Maria Vatteroni Le sezioni pastorali e la codifica del ‘doppio amore’ 21 l’avverbio di 447,8: «Carin, da me secondamente amato», ben lungi dal «ribadire risolutamente l’inferiorità» dell’amore per Giulio, si riferisca semplicemente al fatto che l’incontro con quest’ultimo (e il conseguente innamoramento) è avvenuto dopo quello con Lorenzo . 29 «A questa volta» (387,12), cioè, siamo di fronte non al ‘chiodo scaccia chiodo’ palliativo alla «malitia» (cioè ‘malattia’) dell’amore infelice di Assuero nel Triumphus Cupidinis, 30 bensì a un «celeste amore» (421,4) che nella nuova pastorale platonicoficiniana dei Carini esplica la sua funzione salvifica «per doppio honor» (443,8) L’elemento di novità rispetto alla tradizione, e insieme di continuità ideologico-strutturale all’interno del libro, è sottolineato dalla corrispondenza con l’immagine platonico-ficiniana dell’elevazione dell’anima al cielo nel proemio generale (cfr 1,8: «volano al ciel» e 443,8: «al ciel […] men vo vicino»), 31 corrispondenza per altro già instaurata dal proemio dei Carini (421) con la ripresa, quasi a chiasmo, nel verso finale dell’incipit di 1 Quel ch’Amor mi dettò casto e sincero (con identica parola-rima vero): 421 A voi, che l’alto nome e gran valore del saggio avolo vostro a noi tornate, Giovanvettorio mio, né dispregiate le sante forze del celeste amore, mando io quel che cantò Damon pastore per colli e boschi nell’andata state, mentre del bel Carin seguía l’amate orme tra riso e duol, speme e timore E se la gente vil, che lungi al vero la vedi in te medesimo, e questa medesima sempre fissa nella memoria ami sempre, e quante volte si rappresenta all’occhio dell’animo tante volte t’accende ad amare» - alla luce della seconda parte del passo si potrà leggere la fronte di 386, in cui l’immagine reale di Giulio ridesta quella memoriale del lauro 29 Il ciclo per Giulio è collocato nel 1554, in concomitanza col ventisettesimo anniversario dell’innamoramento laurano (cfr . 384,9-11; 387,1-2; 410,5-8) . Analogamente, hanno valore temporale e non elettivo gli avverbi prima e dopo in contesti come 396,8: «Quantunche volte i dolci e santi rai / vostri, Giulio, contemplo, […] cui soli desio / dopo i miei sacri e ben fioriti mai» o 413,5: «E quel lauro gentil, che quivi [sc . nella mente del poeta] prima / suo seggio pose» . La citazione è tratta da Paolino 2004, 305 30 Significativo, ancora una volta, il preciso richiamo tra 387,12: «Né trae già chiodo a questa volta chiodo» (: modo) e Tr. Cup . iii 64-66: «Vedi Assuero il suo amor in qual modo / va mendicando, a ciò che ’n pace il porte: / da l’un si scioglie, e lega a l’altro nodo; / cotal à questa malitia rimedio / come d’asse si trae chiodo con chiodo» 31 Il «doppio honor» di 443,8 richiama inoltre anche la «strada d’honore» aperta dal lauro «pianta del ciel» in 534,10-11 Le sezioni pastorali e la codifica del ‘doppio amore’ Selene Maria Vatteroni 22 dietro l’ombre sen va, biasma e riprende in non giovine cor giovin pensiero, ditele che chi ben conosce e ’ntende non ha più certo e più corto sentiero al ciel ch’Amor seguir casto e sincero Dopo l’accenno di pentimento di 177 e l’esitazione di fronte agli amori sfasati dei Fillidi (forse 352,11), il ‘doppio amore’ platonico-ficiniano-pastorale dei Carini rappresenta la nuova risposta di Varchi al biasimo della «gente vil», una ri-legittimazione della poesia d’amore, e nello specifico della poesia d’amore in forma pastorale, su base platonico-ficiniana, con la conseguente riaffermazione della volontà di amare («di mio proprio voler» 443,11) dopo lo sbandamento del voler in direzione petrarchesca in 177 . 32 Intorno alla vicenda di uno sbandamento morale cui segue una rinnovata affermazione dell’amore ruota tutto il ciclo non pastorale per Giulio della Stufa che precede immediatamente i Carini (399-413): un (temporaneo) traviamento di Giulio mette in discussione la sua somiglianza col lauro e minaccia così la possibilità stessa del ‘doppio amore’ proclamato in 387: 406 415 Qual forza, quale inganno, o qual destino Come in cantar di voi dal vero manco repente sì dal dritto lato (e forse e mio dever, ch’esser non può soverchio, casto amor troppo chiede) al manco torse così tutti altri in ben pensar soverchio il già sì caro a me dolce Carino? né d’honorarvi mai saziomi o stanco Perché mio cor, l’usato suo camino E s’alle crepe della fronte e al bianco non volendo lasciar, come s’accorse dei crin, che male omai celo e coverchio, del mutato sentier, subito corse fornito ho quasi di mia vita il cerchio, al poggio ove di noi regna il divino, non però fui d’amar lassato unquanco; e quivi scritto in adamante lesse anzi, come ’nfin qui non tutto o leve come ad alma gentil più tosto ch’una arso m’havesse Amor, che dai primi anni volta fallar, perir mille convene: (Dio ne ringrazio e voi) soggetto m’hebbe, ond’ei, che ben sapea quanto fortuna l’altr’hier di mio voler, per far più breve s’opponga a pio voler, l’altro suo bene il volo e raddoppiare al cielo i vanni, di suo proprio voler perdere elesse con nuova fiamma il foco antico crebbe I rilevati riscontri lessicali con 177 (dritta strada/ dritto lato, camin/ camino, accorto/ s’accorse, fallire/ fallar) non lasciano dubbi sul fatto che il traviamento di Giulio consiste nell’opzione per un amore-passione a connotazione petrarchesca, che va nella direzione contraria a quella del «casto amor» platonico-ficiniano («dal dritto lato […] al manco») e si configura quindi 32 Le terzine di 421, contro il biasimo per l’amore senile, potranno allora avvalorare l’ipotesi che in 177,10 sia adombrato proprio questo tema (cfr . supra n . 15) Selene Maria Vatteroni Le sezioni pastorali e la codifica del ‘doppio amore’ 23 come un errore (fallar) contrario alla ragione (il «poggio ove di noi regna il divino»), 33 di fronte al quale il «pio voler» di Varchi-amante non può che scegliere di tirarsi indietro Se quindi in 406 il traviamento di Giulio (apostrofato col nome pastorale di Carino) determina l’affermazione della nonvolontà di accogliere l’amore per lui («di suo proprio voler perdere elesse» v 14), in 415 (al Lenzi), dopo il ravvedimento di Giulio (413), Varchi non solo può riaffermare la volontà del ‘doppio amore’ («di mio voler» v 12) ma, sviluppando le premesse di 387 e prima della codifica pastorale di 443, può affermarne il potere salvifico - qui come poi in 421 garanzia della legittimità dell’amore anche in età avanzata -, saldandosi così ancora una volta al sonetto proemiale (cfr 415,12-13: «per far più breve / il volo e raddoppiare al cielo i vanni» e 1,7-8: «quell’alme innocenti che coi vanni / volano al ciel») Quasi senza soluzione di continuità narrativa col ciclo non pastorale per Giulio, nei Carini non si verifica più alcuno sbandamento morale dell’amato, eppure l’ombra di quell’episodio sembra allungarsi fin su questa sezione: in 443,14 Damone definisce il proprio comportamento amoroso «non saggio» come già Varchi l’aveva definito «folle» (cioè contrario alla ragione che in 406,8 consigliava al cuore di respingere il ‘doppio amore’) in 420, sorta di consuntivo epistolare (ad Angelo Roscio) della vicenda dello sbandamento di Giulio; e l’oscillazione emotiva annunciata da Damone nel proemio (421,7-8: «mentre del bel Carin seguía l’amate / orme tra riso e duol, speme e timore») coincide nelle tessere lessicali con quella dichiarata da Varchi di fronte al «fallo» di Giulio in 405 (vv 13-14: «perch’io tra guerra e pace, / tra speranza e timor, mi biasmo e lodo») - con l’importante differenza, però, che stavolta a causarla è il biasimo della «gente vil» 34 che alla fine porterà effettivamente all’allontanamento del giovane Carino da Damone (444-447): 447 «Anzi non punto più fora io beato di quel ch’or son, se non è falso il vero, poscia che nulla temo e tutto spero, 33 Errore che forse, come in 352,11, è scusabile con la giovane età di Giulio (la «poca etate» ad es . di 404,3), che lo rende più vulnerabile all’influsso negativo dei costumi contemporanei (v . 1) o all’arbitrio della fortuna (v . 12) - ma in 410,1 è chiamato in causa anche il voler di Giulio, dunque ancora una volta un difetto della volontà, tale per cui il suo traviamento è esplicitamente definito «colpa» (v . 4) 34 Come vede già Ferroni 2017, p . 240, che sottolinea quindi la profonda differenza tra l’«oscillazione emotiva» di 421,8 e gli «affanni» di 352,5, per cui i Fillidi si potranno leggere in un certo senso come «antimodello» rispetto ai Carini (p . 237) Le sezioni pastorali e la codifica del ‘doppio amore’ Selene Maria Vatteroni 24 né hebbe huon mai del mio più dolce stato né havrà, penso, huom mai: di che lodato sia, dopo il ciel, quel verde tronco altero e voi, per cui addoppio e vivo e pero, Carin, da me secondamente amato .» Queste cose cantò mentre ch’all’ombra sedea Damon di quel sacrato alloro che l’Arno e ’l Tebro co’ suoi rami adombra Hor di cura maggior la mente ingombra e posto mano a più grave lavoro, il canto e ’l suon dal cor per sempre sgombra «Formalmente […] la raccolta finisce qui», con un ultimo bilancio positivo dell’esperienza del ‘doppio amore’ (v 3: «poscia che nulla temo e tutto spero») che pone la poesia platonico-pastorale per Carino «all’ombra» di quella laurana per poi congedarsi da entrambe in vista del «più grave lavoro» forse della Storia fiorentina, commissionato nel 1547; se non che «sul piano ideale e progettuale» 35 si rende necessaria la conclusione di 534 (al Lenzi), come abbiamo visto garanzia dell’unità e coesione strutturale del canzoniere attraverso un’esplicita saldatura tematico-lessicale al sonetto proemiale che ne chiude la ‘cornice’ Ed è proprio alla luce della funzione strutturale svolta da 534 che, a mio parere, si può provare a spiegare il ‘colpo di spugna’ inferto all’amore per Giulio nella terzina conclusiva dei Sonetti: «Altro che voi [sc il lauro] non chiesi mai né volsi, / né voglio o cheggio infino all’ultime hore, / che bel fin fa chi bene amando muore» (534,12-14) - con tessere lessicali e accenti che significativamente richiamano il sonettoanniversario del ‘doppio amore’, 471,12-14: «E ’l vedermi io vicino all’ultime hore / non raffredda l’incendio, anzi l’infiamma, / che felice amador beato muore» Lungi dal rinnegare la nuova proposta del ‘doppio amore’, cioè, Varchi la sacrifica però in extremis per non compromettere l’integrità della cornice strutturalmente petrarchesca dei Sonetti, imprescindibile per tenere insieme il libro e scongiurare un epilogo «ellittico» che ne avrebbe stravolto la fisionomia di canzoniere; 36 confermando così l’incompatibilità - a fronte della ribadita affinità strutturale - tra l’ideologia poetico-amorosa dei Fragmenta e quella platonico-ficiniana sottesa ai Sonetti, entro le cui coordinate la proposta del ‘doppio amore’ si è resa possibile, anche in forma pastorale 35 Entrambe le citazioni da Tanturli 2004, p . 54 36 La definizione è di Paolino 2004, p . 312, che invece valuta la conclusione dei Sonetti proprio come uno stravolgimento della «fisionomia originaria del libro» (p . 314) Selene Maria Vatteroni Le sezioni pastorali e la codifica del ‘doppio amore’ 25 Abstract Gegenstand des vorliegenden Beitrags sind die zwei in die Sonetti. Parte prima Benedetto Varchis eingegliederten pastoralen Sektionen Vor dem Hintergrund der zunächst geschilderten Liebesideologie Varchis, formuliert nach Platon und Ficino, wird die thematisch-strukturelle Integration der Sektionen in die Liedersammlung untersucht und die These herausgearbeitet, dass sie eine von der petrarkischen abweichende poetische Liebesauffassung vorschlagen Summary This essay analyses the integration of the two pastoral sections in Benedetto Varchi’s Sonetti. Parte prima with regard to their and the collection’s themes and structure Varchi’s love ideology inspired by Platon and Ficino is introduced and it is demonstrated how the pastoral sections propose a concept of love that diverges from the Petrarchan one Bibliografia Andreoni, Annalisa: La via della dottrina. Le lezioni accademiche di Benedetto Varchi Pisa: ETS 2012 Baldacci, Luigi: Il petrarchismo italiano nel Cinquecento. 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