eJournals Vox Romanica 58/1

Vox Romanica
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2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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1999
581 Kristol De Stefani

Giordano Bruno, Candelaio. Kerzen, Gold und Sprachgelichter, Komödie in fünf Akten, aus dem Italienischen übersetzt und mit einem Nachwort versehen von Johannes Gerber, Basel (Theaterkultur) 1995, 180 p. (Materialien des Instituts für Theaterwissenschaft der Universität Bern 4)

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1999
A.  Stäuble
vox5810248
Giordano Bruno, Candelaio. Kerzen, Gold und Sprachgelichter, Komödie in fünf Akten, aus dem Italienischen übersetzt und mit einem Nachwort versehen von Johannes Gerber, Basel (Theaterkultur) 1995, 180 p. (Materialien des Instituts für Theaterwissenschaft der Universität Bern 4) Diversi anni fa Johannes Gerber pubblicò una libera riduzione del Candelaio di Giordano Bruno destinata alla scena 1 . Ora ci offre la traduzione tedesca del testo originale, documentando così una volta di più il rinnovato interesse che negli ultimi anni ha suscitato questa commedia 2 . Una delle ragioni di tale interesse, oltre alla complessa e sempre controversa personalità del Bruno, risiede, crediamo, nel fatto che il Candelaio si colloca alla fine di un’epoca, negli ultimi bagliori del Rinascimento, della cui cultura e dei cui valori esprime quella che potremmo chiamare una contestazione dall’interno: contestazione che si risolve, per riprendere le parole di Giorgio Padoan, in un «giudizio amaro e disincantato sulla vita e sugli uomini» 3 . Più particolarmente per quel che riguarda la storia del teatro, il Candelaio si situa - non soltanto per la data - nella parabola discendente della commedia cinquecentesca, di cui riprende, esasperandoli e annullandoli per eccesso di ridondanza, i principali motivi e personaggi. Ciò vale per la struttura (amplificazione dei tradizionali prologo e argomento, diluiti in sei testi diversi: sonetto, lettera dedicatoria, argomento e ordine della commedia, antiprologo, proprologo e un testo pronunciato da un «bidello»), per i procedimenti (travestimenti e sostituzione di persona per convegni amorosi), per i personaggi (soprattutto i tre protagonisti, Bonifacio che incarna il falso amore, Bartolomeo la falsa scienza e Mamfurio 4 la falsa cultura). Ma è soprattutto l’esasperazione del linguaggio a sottolineare la posizione storica del Candelaio: un linguaggio ricco di invenzioni, di esagerazioni e ridondanze, di latinismi e regionalismi, di neologismi accanto ad arcaismi, di allusioni ambigue, di doppi sensi nascosti. Ed è proprio il linguaggio a costituire la maggiore difficoltà, non solo per lettori o spettatori, ma soprattutto per chi si è voluto cimentare nella titanica impresa della traduzione. Dobbiamo quindi salutare con ammirazione il coraggio e la determinazione di Johannes Gerber che ha affrontato ed ha condotto a termine, con valido risultato, quest’impresa. Il problema maggiore consisteva ovviamente nel trovare un compromesso tra le caratteristiche proprie del testo e l’accessibilità da parte dei lettori moderni di lingua tedesca, che, in gran parte, non sono specialisti del teatro rinascimentale italiano. In certi casi il traduttore ha opportunamente ridotto la lunghezza di alcuni interminabili monologhi (specie quelli del pedante Mamfurio) e pensiamo che un regista che volesse mettere in scena il testo potrebbe (dovrebbe) praticare anche ulteriori tagli. Altrove ha introdotto nel testo stesso spiegazioni di espressioni particolarmente difficili o di citazioni da testi classici più familiari al lettore cinquecentesco che a quello di oggi: ad esempio alla citazione virgiliana «Urget praesentia Turni», il Mamfurio di Gerber aggiunge la spiegazione-interpretazione: «Mein Dasein ist von dringender Notwendigkeit» (iii, 13). Altrove la frase «Chi ha perso Cipri, chi l’ha perso? », viene corredata da indicazioni storiche fra parentesi quadre: «Wer hat [im März 1573] Zypern [an die Türken] verloren, wer hat es verloren? » (iv, 5). Ancora: la frase pronuciata da Mochione (v, 4) «Come un autem genuit tira l’altro» è un richiamo al brano 248 Besprechungen - Comptes rendus 1 Gerber, J. 1989: Ketzerkomödie. Die italienische Komödie Candelaio des Ketzers Giordano Bruno, Bern/ München. 2 Nel 1993 uscì a Parigi, presso Les Belles Lettres un’edizione bilingue del Candelaio (G. Bruno, Œuvres complètes, vol. 1), testo allestito da G. Aquilecchia, prefazione e note di G. Barberi Squarotti e con traduzione francese di Y. Hersant. 3 Padoan, G. 1996: L’avventura della commedia rinascimentale, Padova: 176. 4 L’edizione Aquilecchia citata nella nota 2 ha ripristinato la grafia dell’editio princeps: «Mamfurio» al posto di «Manfurio» (forma che si legge nella maggior parte delle altre edizioni moderne). sulla genealogia di Cristo nel primo capitolo dell’Evangelo di Matteo; Gerber rinuncia alla traduzione letterale ed esplicita più apertamente: «Abraham zeugte Isaak; Isaak zeugte Jakob; Jakob zeugte Josef und seine Brüder.» Vi è qualche attualizzazione: la bestemmia (rimasta a metà) di Barra («Al sangue di . . .», iii, 10) è resa con «Beim blutigen Wunder von Neapel», esplicita allusione a San Gennaro. Anche altrove Gerber introduce espliciti (ma forse superflui) riferimenti alla città in cui si svolge l’azione: quando Mamfurio, derubato, si lamenta con termini latineggianti incomprensibili ai suoi interlocutori, uno di questi ultimi gli domanda: «Perché non cridavate: Al ladro? » (iii, 12); Gerber traduce: «Warum habt ihr nicht gerufen: Al ladro? Schliesslich sind wir hier in Neapel.» Vuole semplicemente sottolineare che a Napoli si parla italiano e non latino o è uno strizzar l’occhio al lettore ricordandogli un vieto pregiudizio sui napoletani? Spero vivamente che la prima ipotesi sia la buona (ancorché esprima una cosa ovvia), perché la seconda (oltre che sgradevole per il mio gusto personale) suonerebbe assai offensiva per una città che nella cultura italiana ha avuto tanta parte e quindi sarebbe del tutto fuori posto in un libro serio. Talvolta le spiegazioni inserite nel testo sono state rese necessarie dal fatto che Gerber ha rinunciato (contrariamente ai vari editori italiani del Candelaio) a corredare la sua edizione di un commento esplicativo (in compenso vi è alle p. 174-79 un utile schematico riassunto del contenuto di ogni scena: «Szenenübersicht»). Si può naturalmente discutere l’opportunità di questa scelta, tanto più che la maggior parte delle frasi e parole latine non sono tradotte (e nemmeno alcune battute italiane inserite tali e quali nel testo tedesco). A parte considerazioni pratiche (un commento adeguato avrebbe considerevolmente aumentato la mole e il prezzo del libro), si possono anche vedere nelle espressioni latine e italiane incorporate in un testo tedesco un’espressione di quello che è stato talvolta chiamato «comico del significante», cioè una comicità che risiede nello sfruttamento delle possibilità foniche, degli effetti sonori (cui un’accorta recitazione può dare adeguato rilievo), indipendentemente dal significato letterale (che forse sfuggiva in parte anche ai contemporanei del Bruno). Proprio il comico del significante è una delle principali caratteristiche del linguaggio pedantesco: un linguaggio fatto non soltanto di italiano e latino, ma soprattutto di italiano latineggiante e di latino italianeggiante, ibrido e artificiale, che spesso dà luogo ad equivoci e malintesi nel dialogo tra il pedante ed i suoi interlocutori. Ci si consentirà di scegliere in questo linguaggio la maggior parte degli esempi che seguiranno, non solo per deformazione professionale nostra (ai pedanti nelle commedie cinquecentesche abbiamo dedicato un saggio anni fa 5 ), ma anche perché esso costituisce la maggiore difficoltà che un traduttore può incontrare e quindi offre un valido criterio di giudizio sul lavoro di quest’ultimo. Diciamo quindi subito che Johannes Gerber ha superato brillantemente la maggior parte di questi ostacoli ed è riuscito a caratterizzare efficacemente il linguaggio del pedante distinguendolo da quello degli altri personaggi (cosa che invece il traduttore francese citato nella nota 2 non ha tentato di fare); ecco ad esempio le prime righe di una lettera d’amore che Mamfurio ha scritto per incarico di Bonifacio (ii, 6): Quando il rutilante Febo scuote dall’oriente il radiante capo, non sí bello in questo superno emisfero appare, come alla mia concupiscibile il tuo exilarante volto, tra tutte l’altre belle pulcherrima signora Vittoria . . . Wenn der funkelnde Phöbus mit strahlendem Haupt in der allerhöchsten Hemisphäre blinzelt, dann ist er nicht so schön, wie meiner begehrlichen Seele Euer erfreuliches Angesicht erscheint, oh Signora Vittoria, schönste unter den Schönen . . . 249 Besprechungen - Comptes rendus 5 Stäuble, A. 1991: Parlar per lettera, Roma: 9-130. Qualche volta però il traduttore ha dovuto accontentarsi del linguaggio corrente: quando Mamfurio, come spesso fanno i pedanti, accompagna una citazione da Cicerone col commento «marcitulliana eleganza in quasi tutte le sue familiari missorie servata» (i, 5), la traduzione è del tutto neutra: «eine elegante Wendung von Cicero, findet sich in fast allen persönlichen Briefen». In compenso poche righe appresso troviamo il delizioso « . . . wann wirst du endlich adoleszieren? » per rendere il neologismo mamfuriano «dispuerascere» ( uscire di puerizia ); nella riduzione del 1989 l’espressione era molto più banale e pesante: « . . . wann wirst du heraustreten aus deiner selbstverschuldeten Unmündigkeit? » (p. 31). I giochi di parole che determinano ambiguità non sono ovviamente trasferibili in un’ altra lingua; in alcuni casi il traduttore ha saputo sostituire un equivoco ad un altro (i, 5): Mamfurio: Come sei, Pollula, adiunto socio a questo bruto? Pollula: Brutto o bello, al servizio di vostra maestà. Mamfurio: Wie bist du, Pollula, an diesen rohen Menschen geraten? Pollula: Roh oder halb gekocht, jedenfalls immer zu Diensten Eurer Majestät. Oppure: quando Mamfurio si definisce «gymnasiarcha» (sostantivo di cui, in molte commedie, si servono i pedanti per indicare la loro condizione di insegnanti), Sanguino risponde: «Che vuol dir asinarca? » (iv, 16); nella traduzione «asinarca» è sostituito da un’espressione altrettanto insensata che però mantiene il carattere ingiurioso: «ein Esel in der Arche». Nella riduzione del 1989, in maniera meno colorita, la risposta era: «Aha, ein Anarchist» (p. 72). Non sempre, tuttavia, le modifiche possono mantenere lo stesso sale comico dell’originale; ad esempio la cervellotica ed ingiuriosa etimologia della parola «pedante» proposta da Gioan Bernardo (iii, 7): «Pe pecorone, - Dan, da nulla. Te - testa d’asino» diventa «Ped, pedes, Fussgänger - ant, ante portas, vor der Tür. Also ist das einer, der immer vor der Türe stehen bleibt; er wagt nicht einzutreten» 6 . Altrove (iii, 13) Mamfurio si lamenta che gli sono stati «involati» ( rubati ) dieci scudi e Sanguino ribatte: «Come diavolo han volato dieci scudi? »; nella traduzione il gioco di parole è impossibile e l’equivoco si perde giacché Sanguino si limita banalmente a rispondere «Wie zum Teufel konnte er zehn Scudi stehlen? ». Anche certi costrutti latineggianti si possono rendere più facilmente in italiano che in tedesco: per esempio l’accusativo con l’infinito: «per il che disse il prencipe di greci oratori Demostene, la precipua parte dell’oratore essere la pronunciazione » (iii, 6); traduzione: «Wie sagte doch Demostenes, der Fürst der griechischen Rhetoriker: Die Aussprache ist die Königin der Rede ». Sarebbe però ingiusto esigere dal traduttore di un testo così difficile una perfetta adesione all’originale in ogni battuta, tanto più che nella maggior parte dei casi il trasferimento da una lingua all’altra è perfettamente riuscito; così come rarissime sono le sviste (come l’«Ahi me lassa! » [me infelice] di Marta che diventa «Ahi! Lass mich sein! », i, 14). Ma nessuno dei lettori della traduzione tedesca si divertirà, come sta facendo il sottoscritto pedante (degno collega di Mamfurio? ), a fare confronti di questo tipo con l’originale. Diciamo dunque, con piena convinzione, che il risultato del lavoro di Gerber è eccellente ed offre al lettore germanofono l’accesso ad un testo di grande importanza. Anche la postfazione che segue il testo presenta motivi di interesse. Gerber è uno storico delle scienze ed è partendo da questa prospettiva che ha articolato la sua presentazione del Candelaio. Mette il Bruno in relazione con la svolta copernicana e quindi sottolinea che la commedia rispecchia i contrasti, le contraddizioni e le ambiguità della condizione umana, fin dal motto che si legge sul frontispizio della prima edizione parigina del 1582: «In tri- 250 Besprechungen - Comptes rendus 6 Più facile il compito del traduttore francese nell’edizione di 1993: «pé pour pécore ; dan pour dandin ; t pour tête d’âne ». stitia hilaris, in hilaritate tristis.» Da queste contraddizioni (che sono peraltro anche interne alla personalità del Bruno, «Achademico di nulla Achademia, detto il fastidito», come si definisce sul frontispizio della prima edizione) deriva la polisemia stessa della commedia con la triplice feroce satira che colpisce i tre protagonisti («Perversion der Liebe, Industrialisierung der Arbeit [qui c’è forse una piccola forzatura attualizzante], Korruption der Sprache», 156). Gerber sottolinea pure l’importanza della lingua (su cui del resto ci siamo già soffermati): «In dieser absonderlich verdrehten Welt der Komödie parodiert Bruno die Welt seiner Zeitgenossen, und als Humanist, der er letztendlich doch immer geblieben ist, sieht er den Anfang der Verderbtheit der Welt in der Verderbtheit der Sprache oder des Sprachgebrauchs» (167). Gerber ha dunque colto alcune caratteristiche fondamentali della commedia e le ha giustamente collocate in un contesto filosofico. Non ha invece situato il Candelaio al suo posto nella storia del teatro: infatti i riferimenti alla Commedia dell’arte sono generici ed anacronistici 7 ; sarà bene ricordare che la Commedia dell’arte è un fenomeno storicamente e strutturalmente ben definito e legato all’emergere del professionismo teatrale 8 , e non un’etichetta passe partout, applicabile a piacere (e abusivamente) a qualsiasi commedia italiana in cui appaiano scene buffonesche. Ciò non basta a collocare il Candelaio nel contesto della Commedia dell’arte, anche se nel secondo Cinquecento i comici italiani avevano cominciato a portare all’estero un certo tipo di recitazione e anche se nomi come Arlecchino e Pantalone avevano già fatto la loro apparizione. La demolizione di tre aspetti significativi della cultura rinascimentale, ormai degradati a caricatura, fa dell’opera del Bruno l’epilogo e l’annullamento della commedia rinascimentale (e si è talvolta parlato di manierismo); questo è il suo autentico significato storico-letterario. Nella sua postfazione Gerber fornisce interessanti indicazioni sulla fortuna del Candelaio in Italia e fuori, in particolare in Inghilterra, Germania e Francia (dove nel 1633 uscì una libera traduzione del Candelaio, intitolata Boniface et le pédant), con alcuni riferimenti puntuali; e se ne potrebbero aggiungere altri: per Molière ad esempio, si potrebbe ricordare, oltre alle commedie citate da Gerber, Le Bourgeois gentilhomme, perché, quando la frase di Jourdain «Belle Marquise, vos yeux me font mourir d’amour» viene riproposta in quattro altri ordini di parole che la rendono insensata (ii, 4), noi siamo indotti a pensare a un analogo «pasticcio» costruito su una massima dei Disticha Catonis («Contra verbosos, verbis contendere noli», Candelaio, iii, 7). Ma per tutti questi riferimenti si tenga presente che molte battute di Molière non sono riconducibili ad una sola precisa commedia, il Candelaio nel nostro caso, ma possono provenire da diverse fonti anche in maniera indiretta, magari oralmente attraverso gli spettacoli degli attori italiani installati a Parigi nel Seicento, con i quali Molière era stato, per un certo tempo, in diretto contatto; infatti la sua compagnia, nei suoi primi anni parigini, aveva utilizzato gli stessi teatri (il Petit-Bourbon e poi il Palais-Royal) in cui agivano i comici italiani. E abbastanza probabile che (come abbiamo ipotizzato altrove parlando di un’altra commedia di Molière, Le Dépit amoureux) 9 che molte battute di commedie rinascimentali siano entrate nel repertorio dei comici italiani e, 251 Besprechungen - Comptes rendus 7 Anche il termine «canovaccio» (Gerber usa alle p. 164s. la forma più rara «canavaccio») per indicare quello che Bruno chiama «Argumento ed ordine della comedia» è inappropriato; il suddetto «Argumento» non è un canovaccio dell’Arte, ma, conformemente allo stile della commedia, un esasperato ampliamento del classico «Argumentum» di derivazione plautina, parte abituale delle commedie cinquecentesche. 8 Nell’espressione «Commedia dell’arte» (usata per la prima volta soltanto nel Settecento, da Goldoni nella commedia Il teatro comico) «arte» significa «mestiere». 9 Stäuble, A. 1991: «Gli antenati italiani di un pedante di Molière», Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance 53: 422-27.