eJournals Vox Romanica 58/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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1999
581 Kristol De Stefani

Marco Bischofsberger, Sguardi lessicali. Ricerche di semantica storica su postmoderno e fine della storia, Bologna (CLUEB) 1997, 248p.

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1999
G.  Berruto
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passando da una compagnia all’altra, siano poi giunte fino a Molière e ad altri autori francesi. Concluderemo aggiungendo che Johannes Gerber non ha mancato di corredare il suo libro di un’utile bibliografia selettiva, utile proprio perché selettiva e di dimensioni non mostruose; non cercheremo quindi di arricchirla, ma vorremmo almeno aggiungere un titolo, perché dimostra che i pochi chilometri che separano l’una dall’altra le università svizzere diventano talvolta steccati quasi impenetrabili all’informazione: si tratta infatti della tesi di dottorato di Vito Mariano Cancelliere, sostenuta presso l’università di Neuchâtel (sotto la direzione di Remo Fasani) e stampata a Berna 10 ; fra l’altro vi si leggono (p. 37-49) considerazioni sulla mnemotecnica, che è un altro tema toccato da Gerber nella sua postfazione. A. Stäuble H Marco Bischofsberger, Sguardi lessicali. Ricerche di semantica storica su postmoderno e fine della storia, Bologna (CLUEB) 1997, 248 p. La semantica storica non è certo fra i campi più praticati nelle attuali scienze del linguaggio: per ciò stesso è quindi assai benvenuta questa monografia, tratta da una bella dissertazione di dottorato all’Università di Basilea. Il lavoro si compone di una premessa, un’introduzione, tre parti dedicate rispettivamente alla discussione dei preliminari teorici e all’analisi dei valori di postmoderno e di fine della storia, e una conclusione, sempre incentrata sul postmoderno. Seguono bibliografia e utili indici dei nomi e tematico. Nell’introduzione l’autore motiva il concentrarsi dell’interesse su postmoderno con la grande latitudine di impieghi e la pervasività che il termine e il concetto hanno mostrato nell’ultimo ventennio. In «Oltre il ‹sapere linguistico›: aspetti teorici e di metodo» (17-76), si prende posizione su diversi aspetti della semantica odierna per approdare a una concezione che, ponendosi all’incirca a metà fra una prospettiva prototipica (J. R. Taylor, Linguistic categorization, Oxford 1995, è un autore molto citato da Bischofsberger) e una prospettiva cognitivo-discorsiva alla Busse, vede una semantica storica (e non «diacronica») come unico vero grimaldello per lo studio e la reale comprensione del significato delle parole e delle sue vicende. Un tale approccio implica evidentemente, come esplicita B., che si abbattano le barriere fra il sapere linguistico e il sapere extralinguistico, fra una «semantica a dizionario» e una «semantica a enciclopedia», e che «la descrizione semantica di un dato lessema altro non può essere che un’adeguata ricostruzione di quel sapere che esso presuppone ed evoca appena affiora in un determinato contesto enunciativo» (75). È proprio questa parte di fondazione teorica che, nonostante sia argomentata con molto charme e con chiarezza di pensiero e appoggiata a ottime letture, e per quanto l’assunto centrale di B. venga qua e là mitigato da sensate affermazioni cautelative («Va detto però che il rimando all’enciclopedia non supera lo statuto di un postulato euristico», p. 75), apre problemi e suscita più di una perplessità. La frettolosa liquidazione della semantica strutturale e componenziale, forse frutto di carenti conoscenze e insufficiente approfondimento, che B. compie in favore di una semantica storica dai contorni tutto sommato molto indeterminati risulta tutt’altro che convincente. A parte questioni più propriamente di metodo (quali sono i procedimenti di analisi che qualificherebbero tale semantica storica? quali la natura e la definizione del suo oggetto stesso? quali i criteri di valutazione della sua er- 252 Besprechungen - Comptes rendus 10 Cancelliere, V. M. 1988: Un pedante viene battuto. Analisi del discorso bruniano nel Candelaio e nella Cena de le ceneri, Berna. meneutica? ), il grosso problema sta nel senso stesso della ricerca e dei suoi fondamenti e fini teorici. In altri termini: è fondata e giustificabile l’opposizione diretta della semantica storica alla semantica chiamiamola linguistica (o teorico-descrittiva convenzionale, o «formale», come dice l’autore) come due approcci alternativi, fra i quali il primo sarebbe fuor di discussione l’unico valido? Non occorrerebbe invece vederle, molto più correttamente, come due settori o direzioni di ricerca con senso, obiettivi, finalità, metodi ontologicamente diversi perché rispondono a domande diverse e si propongono di dar conto e spiegare aspetti e piani diversi della lingua e del lessico? E quindi non da porre in opposizione l’una all’altra, ma da accettare entrambe perché contribuiscono a gettar luce su cose ben differenti tra loro (la struttura del sistema linguistico da un lato, il suo impiego in determinate epoche e culture e le sue vicende storiche dall’altro). In breve: l’obiettivo di capire com’è fatta e come funziona la lingua e quello di capire la storia, e in particolare la storia delle idee, sono due fini distinti, che non vanno confusi né sovrapposti (piena genericità e tendenza alla «tuttologia» semiologica). Non ci pare molto produttivo contrabbandare l’una cosa per l’altra. Più puntualmente, si può osservare che le considerazioni a p. 44 su «combustibilità» come possibile tratto semantico di banconota ecc. mostrano incomprensione del metodo e della natura dell’analisi semica (del resto, a p. 43 leggiamo addirittura che «il concetto di tratto linguistico . . . si rivela sempre più un mostro teorico»), mentre l’affermazione (59) che «Sarà, comunque, questo modello della somiglianza di famiglia a guidarci nel nostro tentativo di descrivere la semantica di postmoderno» proietta l’analisi in un terreno in cui risulterà difficile sottrarsi alla vaghezza e alla possibilità di dire un po’ di tutto senza netti criteri discriminanti. Fatte queste riserve di principio, e una volta che ci si sia intesi sulla divisione dei compiti, non c’è dubbio che l’analisi di B. è svolta con impegno e molto Verständnis. «La migrazione interdiscorsiva di postmoderno» (77-117) e «Consonanze e contrasti» (110-202) sono due begli e ampi excerpta di percorso analitico nella storia e nell’uso dei concetti, che cercano di seguire in tutti i dettagli la molteplicità, a volte contraddittoria e con aspetti di paradosso, degli impieghi del termine e dei valori del concetto (che in qualche momento sembra assurgere quasi a un movimento di pensiero: si vedano le considerazioni su Vattimo, p. 112-17) nell’architettura, nella critica letteraria, nella filosofia, nel costume intellettuale e paraintellettuale. In «Consonanze e contrasti» l’attenzione si viene a spostare anche, per contiguità concettuale, su posthistoire e fine della storia, e il taglio della trattazione si muove sempre più verso la filosofia della storia, trascendendo di gran lunga quindi le competenze del recensore, e obbligando a riconoscere che nel complesso si tratta di un lavoro che pencola fra storia delle idee e filosofia della cultura, e che solo assai forzatamente si può definire di semantica lessicale, nonostante il titolo. Nelle conclusioni, «Il postmoderno dappertutto» (202-13), B. ritorna dapprima alle questioni più precisamente semantiche, per constatare che l’analisi condotta mostra inevitabilmente che la «struttura semantica di queste voci [postmoderno e fine della storia] è chiaramente pluricentrica e pluridiscorsiva. È il prodotto di intrecci e sovrapposizioni spesso imprevedibili e contingenti, che formano una specie di enciclopedia a forma di rizoma» (203), una rete con tanti nodi ugualmente rilevanti, destinata quindi a sfuggire ad ogni approccio strutturalista, e per ribadire quindi programmaticamente l’inaccettabilità sia della lessicologia storica meramente descrittiva, indifferente alla discussione teorica, sia della semantica strutturalista; e passa poi a esemplificare sviluppi e tendenze del postmoderno nelle apparizioni più recenti del termine e del concetto, anche di carattere giornalistico. Se ci è concesso a mo’ di conclusione di queste note, verrebbe da dire che la monografia di B. è essa stessa un’opera tipicamente postmoderna, che comincia come riflessione di semantica teorica e finisce nell’ermeneutica filosofica. Occorre peraltro aggiungere che si 253 Besprechungen - Comptes rendus tratta di una monografia scritta assai bene, in un italiano molto fluente, corretto, lessicalmente ricco. Che l’autore non sia italiano traspare da non più di un paio di spie minime (una ricetta assistenzialista che nel passato si è avverata fallace e disastrosa, in un exemplum fictum a p. 28; «il leone è sfuggito dallo zoo», p. 35 - se non è errore di stampa; il vestito posso anche buttare, non è più moderno, altro esempio a p. 79). Fa certamente torto alle competenze dell’autore il definire (213) postuna «particella». G. Berruto H Edgar Radtke, I dialetti della Campania, Roma (Calamo) 1997, 182 p. (Biblioteca di ricerche linguistiche e filologiche 44) Monografie regionali sui dialetti italiani non sono frequenti: e questa è particolarmente benvenuta sia per il nome dell’autore, certamente da annoverare oggi fra i massimi competenti in dialettologia napoletana e iniziatore dell’impresa dell’Atlante linguistico campano, sia perché - come osserva W. Belardi nella Presentazione al volume (6) - «si dispiega a trecentosessanta gradi», fornendoci una panoramica che non si limita alla mera descrizione dei tratti linguistici dell’area dialettale campana, ma si estende alla dimensione sociolinguistica, alla storia linguistica e ai rapporti fra dialetto, letteratura e antropologia culturale. Ampiamente corredato di cartine, illustrazioni e documenti, il volume si compone di tredici capitoli, per lo più di succosa brevitas. I primi tre capitoli tratteggiano lo stato delle ricerche, gli aspetti salienti della storia linguistica della regione e le fonti attuali per lo studio dei dialetti campani. Si passa poi (cap.iv) ai problemi della classificazione dialettale esterna e interna, notando opportunamente come siano molto incerti i confini delle parlate napoletane, soprattutto verso est e verso sud; alle manifestazioni del polimorfismo dialettale (cap. v), con osservazioni sull’alternanza del tipo aspetto/ aspecco, che si manifesta marcata sia per l’asse diatopico che per quelli diastratico e «diagenerazionale»; e (cap. vi) al progetto dell’Atlante linguistico della Campania (ALCam.), che prevede inchieste in 45 punti (pochi di più dei 37 dell’ALI, Atlante linguistico italiano, ora finalmente in corso di stampa, ma scelti con particolare attenzione alle dinamiche sociolinguistiche e quindi con un addensamento speciale nel Golfo di Napoli) intese a documentare sia il dialetto che l’italiano regionale. Nei capitoli dal vii al x si prendono in esame i livelli d’analisi, fornendo una descrizione delle caratteristiche del napoletano e delle altre sottovarietà campane che, secondo un approfondimento in chiave tradizionale, lascia ampio spazio alla fonetica e fonologia (ivi compresi i fatti soprasegmentali), soffermandosi con la dovuta attenzione sugli interessanti fenomeni di spostamento vocalico verso la centralizzazione che si hanno nell’area napoletana; con una certa estensione l’autore tratta anche la morfologia e il lessico, dedicando per converso alla sintassi due sole pagine (cap. ix): per un confronto di prospettive, si può notare che R. Sornicola nel capitolo sulla Campania del volume curato da M. Maiden/ M. Parry, The dialects of Italy, London/ New York 1977: 330-37, dedica alla sintassi ben quattro pagine sulle otto dell’intero contributo; l’osservazione sulla poca produttività della formazione avverbiale in -mente che troviamo a p. 92 avrebbe inoltre trovato miglior posto nella morfologia. Nel capitolo sul lessico ( X ) si sottolinea la «notevole omogeneità» del territorio campano quanto ai tipi lessicali correnti, osservando opportunamente che tale omogeneità deve certamente favorire l’identificazione che normalmente si compie fra napoletano e restanti parlate campane (93); e si fa anche riferimento ai gerghi (molto gustoso è l’accenno, p. 99, a fenomeni di italianizzazione lessicale - come nira per nera in inserzioni pubblicitarie - che coinvolgono incertezza nell’applicazione della tipica metafonia napoletana; fenomeno del resto in regressione, cf. p. 58). 254 Besprechungen - Comptes rendus