Vox Romanica
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Francke Verlag Tübingen
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Kristol De StefaniMarina Chini, Genere grammaticale e acquisizione. Aspetti della morfologia nominale in italiano L2, Milano (Franco Angeli) 1995, 340 p. (Materiali linguistici. Università di Pavia 14)
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St. Schmid
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effetti, sembrerebbe ricorrere / tS¿/ in tali sequenze: ['n¿n tS u ddi] non dirglielo (44). I materiali presentati incitano dunque ad ulteriori indagini. Molti altri sono gli spunti interessanti offerti dalle note linguistiche, dei quali non si può qui render conto compiutamente: per la sintassi, ricorderò soltanto i frequenti riferimenti alla selezione dell’ausiliare perfettivo (16 N2, 38 N18, 54 N11, 120 N7, 123 N26), che diverge rispetto al toscano come accade nella maggior parte del Meridione. Anche qui si tocca un ambito strutturale tale per sua natura da non poter essere efficacemente descritto in riferimento a testi, nei quali, forzatamente, si riflette solo in minima parte la virtualità combinatoria qualificante la struttura sintattica. In conclusione, l’opera recensita costituisce un valido contributo allo studio in vivo del repertorio verbale di alcune comunità del nostro Meridione. Presenta trascrizioni fonetiche accurate che garantiscono dell’affidabilità dei materiali raccolti e stimola nel lettore molte curiosità - di cui si è cercato di dare un saggio - circa la struttura dei dialetti sanniti. Questa interessante illustrazione, attraverso testi, della situazione sociolinguistica elabora materiali estratti da un più ampio corpus, oggetto di una tesi di dottorato presso l’università di Heidelberg (5). Al dialettologo sarà lecito auspicare che l’ottima prova data qui dall’autore preluda anche, nel quadro di tale progetto, ad una descrizione analitica della struttura dei dialetti in questione. Tanto più vale questo auspicio in quanto, come osserva nella prefazione E. Radtke (4), ci è stato offerto a sollecitare la curiosità «un documento del Sannio dialettale, area trascurata dalla dialettologia italiana». M. Loporcaro H Marina Chini, Genere grammaticale e acquisizione. Aspetti della morfologia nominale in italiano L2, Milano (Franco Angeli) 1995, 340 p. (Materiali linguistici. Università di Pavia 14) Nella seconda metà degli anni Ottanta e nella prima metà degli anni Novanta le ricerche sull’acquisizione dell’italiano come lingua seconda hanno goduto di un notevole interesse presso i linguisti italiani (cf. per esempio le due miscellanee L’italiano tra le altre lingue: strategie di acquisizione e L’acquisition de l’italien langue étrangère, curate ambedue da Anna Giacalone Ramat e recensite rispettivamente in VRom. 48: 290-92 e VRom. 56: 288-90). Molti lavori, e in particolare quelli che ruotano attorno al cosiddetto «progetto di Pavia», si sono concentrati sull’acquisizione spontanea dell’italiano come L2, seguendo sostanzialmente l’approccio funzionalistico-cognitivo dei grandi progetti di ricerca della European Science Foundation.Essendo l’italiano una lingua con una ricca morfologia flessionale e derivazionale, non stupisce che il livello di analisi maggiormente indagato sia proprio quello morfologico, soprattutto sul versante del sistema verbale e nelle dimensioni della temporalità e della modalità. Il libro di Marina Chini - che costituisce una versione rielaborata della sua tesi di dottorato presso l’Università di Pavia - si inserisce in questo filone di ricerca, integrando il quadro con l’analisi dell’acquisizione di una categoria nominale, il genere per l’appunto. Il lavoro si suddivide in due parti fondamentali: la prima, intitolata «La categoria del genere» (17-102), è dedicata ad una discussione generale di questa categoria grammaticale da un punto di vista teorico e tipologico, e contiene inoltre una descrizione sincronica del genere in italiano. Nella seconda parte, «l’acquisizione del genere» (105-09), l’autrice presenta invece la propria ricerca empirica sul genere in italiano L2, dopo aver passato in rassegna la letteratura sull’acquisizione del genere in altre lingue (sia L1 che L2). La prima parte del libro ha un carattere essenzialmente manualistico e si configura infatti come una specie di monografia sul genere grammaticale. Benché considerata da talu- 257 Besprechungen - Comptes rendus ni come un «lusso linguistico» (Bailly), questa categoria serve come mezzo di classificazione nominale in molte lingue flessionali, mentre sono meno diffuse lingue con classi nominali vere e proprie o con classificatori numerali. A differenza del numero, al quale si abbina spesso in morfemi sincretici, il genere è quindi una categoria lessicale, cioè inerente al lessema nominale. Rispetto al numero il genere è tipologicamente marcato, in quanto comunicativamente meno basilare, mentre si distingue dalle classi di declinazione per la sua parziale motivazione semantica. Tuttavia, come sottolinea la Chini, il sesso dei referenti animati è solo uno dei criteri utilizzati dalle lingue per assegnare il genere ai nomi: sono altrettanto importanti criteri formali come la struttura morfologica e fonologica della parola. A parte questa funzione di classificazione nominale, il genere ha inoltre dei risvolti nella (micro-)sintassi, attraverso il meccanismo dell’accordo all’interno del sintagma nominale e tra soggetto e predicato; com’è noto, le lingue si differenziano tra di loro per il grado con cui ricorrono a questo espediente, il quale - pur essendo in fondo ridondante - contribuisce ad aumentare la coesione dell’enunciato. Nella seconda parte del libro vengono presentati i risultati di una ricerca empirica sull’acquisizione del genere in italiano L2. I dati sono stati raccolti nel Canton Ticino, secondo una metodologia in parte euristico-induttiva (tipica dell’approccio costruttivista nell’acquisizionismo), in parte analitica; il focus su una singola categoria grammaticale ha infatti permesso di condurre un’analisi quantitativa di tutte le occorrenze dei morfemi che vanno specificati per il genere. Un vantaggio metodologico di questa ricerca risiede senz’altro nel suo taglio longitudinale: dagli stessi informanti sono stati raccolti a più riprese sia registrazioni di interviste semi-guidate che testi scritti vertenti su determinati aspetti grammaticali, al fine di poter osservare - in base a materiale il più possibile paragonabile - eventuali sequenze di acquisizione. Un altro punto di forza del lavoro deriva dal fatto che il campione è composto da apprendenti di quattro lingue native che si differenziano tra di loro per il modo in cui codificano la categoria del genere; ciò permette di verificare l’eventuale incidenza della distanza tipologica della L1 sul percorso di acquisizione. Si tratta infatti di otto persianofoni, tre anglofoni, quattro tedescofone e tre francofoni. Ora, se il persiano o farsi è assolutamente privo della nozione di genere e l’inglese prevede distinzioni soltanto nei pronomi della terza persona singolare, il tedesco marca il genere al singolare anche nei determinanti e negli elementi attributivi. Il francese è ovviamente la lingua più simile all’italiano, anche se non distingue tra maschile e femminile nel plurale dei determinanti. Dai risultati emersi dall’analisi esaustiva della Chini si evince in linea di massima un percorso potenzialmente «universale» per l’acquisizione del genere in italiano L2, benché - come vedremo in seguito - la distanza tipologica tra L1 e L2 incida significativamente sulla velocità dell’acquisizione. In una prima fase le desinenze nominali non vengono ancora riconosciute dagli apprendenti come tali, ma sembrano piuttosto venir adoperate in base ad un requisito di buona formazione fonologica della parola (che in italiano termina preferibilmente in vocale). L’acquisizione del genere inizia con una seconda fase denominata «(proto)morfologica», in cui gli apprendenti danno prova di applicare quella che Chini chiama la «regola di base per l’assegnazione del genere», secondo cui un nome terminante in -o è di genere maschile così come un nome con finale in -a è di genere femminile. Solo più tardi emergono nelle interlingue anche criteri semantici (il sesso dei referenti) e meccanismi derivazionali, per esempio l’impiego di suffissi per i nomi di agenti. Anche i percorsi di acquisizione per l’italiano L2 confermano dunque per il genere la precedenza dei criteri formali su quelli semantici (e, tutto sommato, la scarsa rilevanza comunicativa della stessa categoria). Per quanto riguarda l’accordo del genere, la Chini riesce a stabilire una sequenza implicazionale che prevede il seguente ordine di acquisizione: anaforico di 3a sg. articolo determinativo articolo indeterminativo aggettivo attributivo aggettivo predicativo 258 Besprechungen - Comptes rendus participio passato. In particolare gli ultimi due tipi di accordo si rivelano i più difficili da padroneggiare dagli apprendenti. Questi dati acquisizionali coincidono con implicazioni tipologiche e trovano una motivazione psicolinguistica nella difficoltà di processare la regola dell’accordo man mano che aumenta la distanza sintattica dell’elemento controllato dal suo controllore. I risultati di questa ricerca riconfermano anche l’importanza della L1 nell’acquisizione di una seconda lingua. Le difficoltà nell’acquisizione della categoria del genere vanno infatti di pari passo con la distanza tipologica tra lingua materna e lingua obiettivo, per cui la Chini propone la seguente scala di difficoltà acquisizionale per i quattro gruppi di apprendenti: francofoni tedescofoni anglofoni persianofoni. La prima lingua entra quindi soprattutto in gioco come una struttura cognitiva che può facilitare l’acquisizione - nel caso di vicinanza tipologica tra le due lingue - attraverso il meccanismo del transfer positivo, anche se non mancano esempi di transfer negativo, nella fattispecie di ipotesi sull’assegnazione del genere basate sui corrispondenti lessemi della L1 (del tipo una fiore per apprendenti francofoni e tedescofoni). Per ovvi motivi di spazio è possibile riferire solo una parte degli interessanti risultati emersi da questo lavoro. Ciononostante è doveroso aggiungere qualche osservazione critica a proposito della trattazione di singoli punti; si tratta più che altro di questioni terminologiche che sono in parte anche soggette a preferenze personali. Ad esempio, per chi scrive suona ardua l’affermazione che «il nome casa . . . è dotato di tre morfemi (di G f., di numero sg., di 3a persona sg.)» (50), quando nello stesso capoverso l’autrice si riferisce a tali valori con il termine «tratto», soluzione terminologica che lascerebbe libera l’etichetta «morfema» per designare il suffisso -a come unità dotata di un significato sincretico; notiamo, tra parentesi, che questo è l’uso che si fa del concetto di «morfema» in altre parti del libro (77, 93), per cui si tratta più che altro di un problema di coerenza terminologica. Sempre a proposito di questioni di analisi morfologica, per il plurale della quarta classe di declinazione (re, città) sembra preferibile assumere un morfema zero piuttosto che l’indicazione poco chiara «[varia]» (80). Le «ipercaratterizzazioni» come moglia e bicchiero (199, 303) occorrono anche in varietà «native», ma diastraticamente marcate, di italiano - come del resto anche i plurali del tipo le stagione (219) - e trovano una spiegazione, oltre che nella naturalezza di un rapporto biunivoco tra significante e significato giustamente invocata dall’autrice (300s.), in un altro principio proposto dalla morfologia naturale, e cioè nella «condizione strutturale del paradigma dominante» per cui i nomi delle declinazioni meno numerose tendono a passare a quelle più forti. Per restare nell’ambito di dettagli terminologici, non è sempre molto felice la scelta delle etichette che si riferiscono alle varie fasi del processo di acquisizione e ai criteri usati dagli apprendenti per l’assegnazione del genere. Le tre tappe del percorso acquisizionale - «fonologica», «protomorfologica», «morfosintattica» (283) - potrebbero far pensare ad un ordinamento gerarchico di questi livelli di analisi; inoltre alcuni dei fenomeni trattati come «fonologici» e «morfonologici» sono invece di natura essenzialmente morfologica, come l’identificazione di una determinata vocale finale con il maschile o il femminile (125, 211, 220 e passim). Allo stesso modo ci si può chiedere se nella formazione di articoli determinativi come le cane e lo gatto (209) intervenga solo un meccanismo di surface rhyming, o se non siamo piuttosto di fronte ad un tentativo di costruzione morfologica da parte dell’apprendente che scompone queste parole funzionali in due morfemi, l’uno per segnalare il valore di determativo (l-), e l’altro per il genere (-e, -o). Ma l’elenco di simili punti minori di disaccordo con l’autrice rischia di diventare eccessivamente lungo e di far torto ad un lavoro per molti versi esemplare per gli studi sull’italiano L2. Tra i meriti che contraddistinguono questo libro occorre menzionare, oltre alla copiosità dei dati presentati e alla solidità metodologica di cui abbiamo già detto, 259 Besprechungen - Comptes rendus l’impressionante vastità della prospettiva che non si limita alle ricerche sull’acquisizione di varie L1 e L2, ma spazia dalla linguistica teorica e descrittiva alla tipologia e alla psicolinguistica. Tale molteplicità dei punti di vista permette una discussione approfondita delle ipotesi esplicative, che in ultima analisi tendono comunque a convergere su spiegazioni di tipo funzionale. St. Schmid H Das altfranzösische Rolandslied nach der Oxforder Handschrift, ed. Alfons Hilka, 8. verbesserte Auflage besorgt von Max Pfister, Tübingen (Niemeyer) l997, 176 p. (Sammlung romanischer Übungstexte 3/ 4) Das altfranzösische Rolandslied de A. Hilka (= H. dans ce qui suit), publié pour la première fois en 1926 vient de voir sa huitième édition revue et corrigée par M. Pfister (= P. dans ce qui suit). L’ouvrage est assorti d’un apparat réduit (mais qui rend compte des leçons rejetées du ms. O et des variae lectiones tirées des autres mss, en premier lieu du ms. V 4 , de la Chanson de Roland), d’un index des noms propres et d’un glossaire. Basé en principe sur le ms. O, comme le titre l’indique, le texte de H. était fortement amendé lors de sa première parution, mais à partir de la deuxième édition (1942, troisième 1948, et P. fait bien d’en reproduire les préfaces), les leçons originaires du ms. O réclament de plus en plus leur ancien droit de marquer la teneur de l’épopée. Ce compte rendu où nous avons comparé la Chanson de Roland de H.-P. à la Chanson de Roland de G. Moignet (Paris 1980) aidera peut-être O à se revendiquer. - Ajoutons que nous nous servons des parenthèses pour marquer une addition et [ ] pour signaler une suppression. Évidemment, nombre de corrections apportées au texte de O restent nécessaires (v. 118, 137, etc., et notamment celles où O présente une lacune comme v. 1017) ou recommandables (v. 1693, p.ex.); d’autres encore peuvent être débattues à l’infini, telle la correction de v. 63 Balaguet, v. 200 -ed et v. 894 -ez en Balaguer: en fait, si on publie le ms. O, doit-on aussi ajouter à la culture du scribe? Certains vers testent notre maîtrise de la prononciation anglo-normande, plus exactement des possibilités plus ou moins souvent réalisées de la prononciation anglo-normande, car il serait naïf de prétendre qu’un scribe médiéval cherche toujours à produire une écriture phonétique. H.-P. écrivent le vers 400 «Charles meïsmes fait tut a sun talent» à l’aide du ms. vénitien qui porte «Li emperere fait tot a son comant». La leçon du ms. O «L’emperere meismes ad tut a sun talent», rejetée, est hypermétrique pour l’œil sans doute, mais doit-on prononcer, dans l’emperere, l’e non accentué avant la syllabe accentué re, étant donné que l’anglo-normand du douzième siècle peut donner fras, frat, frez en toutes lettres (cf. Pope §1134) et doit-on observer l’hiatus de meïsmes? Si on lit le vers «L’emprere mesm’a [ou avec diphtongue meism’a] tut a sun talent», il est décasyllabique. Comme il va mieux que la variante fait tut dans le contexte qui décrit la générosité de Roland, il est à préférer: l’empereur même obtient (de Roland) tout à sa guise . Le c.-s. sg. l’emperere est irrégulier, mais les erreurs de déclinaison ne sont pas rares dans l’épopée 1 . 260 Besprechungen - Comptes rendus 1 Cependant il n’est pas nécessaire d’en ajouter. Dans la description des désastres naturels, H.-P. ont v. 1430 «Nen ad recet dunt li murs ne cravent», où li murs, c.-s. sg. n’est ni un sujet convenable pour cravent, ni un objet «correct» pour les désastres naturels. Le ms. O donne «Nen ad recet dunt del mur ne cravent» et malgré la juxtaposition dunt del la phrase est claire dont un pan de mur ne se crève (Moignet) ou dont ils ne détruisent (quelque partie) du mur , l’emploi transitif du verbe crever étant bien attesté. La voyelle a transmise (cravent) pourrait être corrigée ou expliquée (par l’influence de r? ).