eJournals Vox Romanica 59/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2000
591 Kristol De Stefani

Le basi atr- ‚nero’ e alb- ‚bianco’ nella Romania cisalpina (e transalpina): radici latine o prelatine?

121
2000
Joachim  Grzega
vox5910108
Le basi atr- nero e alb- bianco nella Romania cisalpina (e transalpina): radici latine o prelatine? Lo sviluppo dei termini di colore dal latino agli idiomi romanzi moderni è stato studiato alcuni anni fa in un lavoro interessante ed esaustivo da Andres Kristol 1978. Le pagine 51ss. ci informano sulle espressioni per il colore bianco, le pagine 95ss. sono dedicate al nero . Il sistema linguistico dei colori in latino offre due termini distinti per lo spettro del bianco : candidus serve a designare il bianco splendido e albus era il termine generico, dunque non designava bianco pallido come molti credono; riguardo ai termini per nero , invece, questa distinzione fra pallido , ater, e splendido , niger, esisteva 1 . Quest’ultima parola, come sappiamo, ha continuato ad esistere come termine generico per nero in quasi tutta la Romania, tranne il sardo che conosce soltanto il derivato nieddu (< lat. nigellus), il ladino dolomitico ed il dalmatico le cui forme corrispondenti riconducono al lat. fuscus oscuro, nerastro ; inoltre, in portoghese si nota anche il tipo preto (d’origine incerta). Secondo il Kristol 1978: 97, le uniche tracce di ater si trovano nella letteratura italiana antica nella forma adro, ma secondo il LEI 3/ 2: 2004 si tratta qui d’una voce semidotta. Per il LEI, «il lat. ater continua popolarmente solo nella Francia merid. e nel Piemonte occ. (prov. o franco-prov.) col significato evoluto di mirtillo ». Parecchie sono le informazioni nel FEW 1: 166, nel REW 753 e nel Faré n° 753, secondo i quali è del tutto normale che il lat. ater sia stato preso al fine di creare espressioni per il mirtillo. Tuttavia, secondo me, possiamo dubitare che si tratti veramente della base latina. A causa della restrizione del tipo aternella Francia meridionale - qui col suffisso -illa - e nelle zone alpinolombarde, ticinesi e piemontesi (cf. anche l’AIS 613) - qui con un suffisso ono 2 - nonché la sua presenza nel tedesco alpino e prealpino dell’ovest 1 I significati dei termini di colore latini sono studiati da André 1949. 2 Sganzini 1934: 269ss. non crede ad un etimo *atriono per alcune forme cisalpine per cause fonetiche e morfologiche: «Come si spiegano allora le anomalie che presentano le altre voci dell’area rispetto alle voci ricondotte ad *atrjone, *atrjoni? Come si spiegano le forme senza la dentale dei territori dove il nesso -trnon si semplifica in -r? In che rapporto stanno le voci che hanno nella protonica o, ü con quelle che hanno a? Come si deve giudicare infine il lche talora sta all’inizio delle voci per mirtillo’ e talora manca? » (Sganzini 1934: 275). Per queste forme sganzini vuole proporre un etimo *lorrione. Sulla provenienza di quest’etimo invece tace. Però quando osserviamo che molte parole d’origine prelatina mostrano tanta variazione morfologica e fonetica nei dialetti romanzi, i problemi riguardanti l’attribuzione delle suddette forme all’atrceltico sembrano minimizzarsi. Potremmo partire dallo sviluppo seguente: *atri ono > *atrione (come lat. novella > pad.a. noella, lat. iuvenem > pad.a. zoène [cf. Rohlfs 1966-69/ 1: 293] > *arrione (come lat. patrem > pad.a. padre [cf. Rohlfs 1966-69/ 1: 370] > 109 Le basi atr- nero e alb- bianco nella Romania cisalpina (e transalpina) (cf. svevo aterbere mirtillo , svizz.dial. atereber mora; belladonna ) mi pare piú giusto, almeno per quanto concerne il cisalpino, partire da una base prelatina, piú precisamente celtica (cf. cimr. arddu nerissimo ecc.). Le forme italiane meridionali (Sicilia, Puglia), invece, che si riferiscono ad un tipo di prugnolo, sono probabilmente a ragione attribuite all’equivalente latino 3 . Occupiamoci adesso dell’altra coppia di termini di colore latini. Già nel periodo latino candidus perde progressivamente il tratto semantico splendido e diventa così quasi sinonimo di albus. Perciò oggi non si trovano quasi piú continuatori ereditari dell’etimo candidus. Secondo il FEW le sole eccezioni si sono conservate in alcuni dialetti occitani ed anche in qualche varietà italiana settentrionale, cioè il piem. candi bianco , il canav. cand id. , il lomb.a. candeo id. . Ma qui non si deve essere totalmente convinto che si tratti di forme ereditarie perché nessuna tra loro mostra un segno di palatalizzazione della k davanti all’a come è o era comune almeno in alcuni dialetti cisalpini (cf. Rohlfs 1966-69/ 1: 199). Altrimenti forme risalenti a candidus si conoscono nella Romania soltanto come voci (semi)dotte. Anche quando studiamo la storia della parola albus, dobbiamo constatare che nemmeno il suo destino è stato così fortunato. Una delle cause, secondo il Kristol 1978: 52, è che albus era probabilmente troppo polisemico, perché racchiudeva, in una certa fase storica, una serie di sfumature secondarie (ad es. giallastro , grigiastro ). Così la parola che i Romani hanno appreso dalle tribù germaniche, *blank, si è assai rapidamente e facilmente diffusa in quasi tutta la Romania: cf. ad es. esp. blanco, fr. blanc, lad.dol. blanch, it. bianco. Kristol 1978: 52 formula l’ipotesi che l’it. bianco non è prestito diretto dal superstrato germanico, ma è preso dal francese o dall’occitano. La ragione di questa ipotesi è l’assenza completa del tipo *blanknei Grigioni. Però, non vedo perché lo sviluppo di bl- > bie l’ampia distribuzione attraverso la penisola appenninica non possano confermare una trasmissione diretta dal germanico all’italiano. Che *blanknon esista nel grigionese non mi sembra un argomento sufficiente a sostenere la tesi dell’adstrato. In ogni caso: continuatori ereditari di albus si ritrovano oggi soltanto nel rumeno, nel retoromanzo grigionese, in dialetti locali della penisola iberica (dove *blank, secondo i documenti, è penetrato un po’ piú tardi che altrove 4 ), in alcune varietà della Francia ed anche in alcune parlate italiane 5 . Per questo è stupefacente che i dizionari etimologici presentino lunghe liste enumeranti derivazioni di albus, che sono sicuramente formazioni già latine. *larrione/ *lorrione? (con agglutinazione dell’articolo definito; lo sviluppo a > o [> ü? ] è infatti raro, ma riscontrabile sporadicamente in alcuni dialetti, però italiani cispadani). 3 Teoricamente la geografia permetterebbe d’ipotizzare un prestito dalle regioni galloromanze, ma sarebbe difficile spiegare il passaggio semantico dal mirtillo al prugnolo. 4 Secondo il Kristol 1978: 53, le forme iberoromanze di tipo blanco vengono tutte sia dal catalano, sia dall’occitano, sia dal francese. 5 Ad es. port. alvo bianco , rum. alb id. , vegl. yualb id. , surs. alf id. , gen. arbu candido’, ma anche sic.a. albu bianco , sard.a. albu id. . 110 Joachim Grzega Se guardiamo le colonne nel LEI, abbiamo l’impressione che sia possibile, a causa della distribuzione, della morfologia e della semantica, che alcune forme non provengano veramente dalla base latina, ma da una radice diversa. Soprattutto quando un tipo lessicale non mostra un suffisso (cioè quando si tratta della parola semplice) e quando è ristretto al territorio italiano settentrionale e svizzero pare possibile che la fonte di questo tipo sia la radice celtica piú o meno omosemica ed omofonica *alb-, anche se appare solo raramente (ma vedi cimr. elfydd mondo, terra [< *albíio-; IEW: 30] oppure i numerosi toponimi dati dall’ACS 1: 78ss. e 3: 549ss. nonché l’etimo *albento bianco splendido 6 ). Si possono ugualmente aggiungere due altri appellativi: *albena pernice bianca (vedi piú basso) e *albuka terra bianca, marnosa 7 . Quindi prendiamo in considerazione i lessemi raccolti sotto il lemma albus nel LEI (confrontandoli alle attestazioni nel FEW) e discutiamo la possibilità, o probabilità, della loro provenienza prelatina. Possiamo senza dubbio dire che i tipi seguenti sono certamente non d’origine prelatina, ma rappresentano genuine parole latine oppure latinismi. Oltre ai significanti per bianco sotto I.1., anche le forme sotto 2., «prima luce del giorno» (cf. FEW 24: 305ss.), sono probabilmente tutte prese dal latino, sia come parole ereditarie sia, piú spesso, come voci dotte, riguardanti il contesto letterario della semantica. Le forme col significato albagia, alterigia (3.) sembrano troppo astratte per risalire al celtico, anche se sono limitate alle zone alpine e prealpine. I derivati che denominano bonaccia, calma (4.) esistono solo in dialetti meridionali e non rappresentano significati tipici del sostrato celtico. Allo stesso modo i lessemi che appartengono alla terminologia ecclesiastica (5.; cf. anche FEW 24: 307) sono sicuramente di derivazione latina. La sezione 7. elenca voci per diversi animali, cioè (a) pesci (cf. anche FEW 24: 308) e (b) uccelli. Qui si trovano, in fondo, solo parole dell’Italia meridionale ed è dunque improbabile trovare un influsso celtico. Il paragrafo 9. ( monete ; cf. anche FEW 24: 308) comprende soltanto una singola parola mantovana alba (numerale) quattro che, con alta probabilità, risale al latino. Poiché la viticoltura non è, secondo l’istoriografia, un ambito di dominio gallico, anche le forme sotto 6.a. α . («viti») sembrano provenire dal latino. Sotto le parti ii e iii sono enumerati latinismi (cf. FEW 24: 309) e prestiti piú recenti (dal galloromanzo transalpino e dall’iberoromanzo); queste dunque non sono parole di origine celtica. Molto meno probabile mi pare l’ipotesi di una etimologia latina per quanto concerne i lessemi e tipi lessicali seguenti. È evidente che nella sezione 6. del LEI, «legno e piante», la distribuzione delle espressioni per designare alburno ci porta fuori dalle vecchie regioni celtizzate (si riscontrano non solo nelle regioni settentrionali, ma anche a Pisa e Lucca). Anche le parole usate per designare diversi tipi di pioppi non sono probabilmente d’origine celtica, poiché l’equivalente galli- 6 L’etimo albento, invece, non è probabilmente d’origine celtica, ma rappresenta una forma di comparazione tipica dei dialetti settentrionali (cf. Rohlfs 1966-69/ 2: 87). 7 Cf. FEW 24: 301; REW 325; Bolelli 1941: 137ss.; Baldinger 1988: n° 132, 160. 111 Le basi atr- nero e alb- bianco nella Romania cisalpina (e transalpina) co è la radice *bet - 8 ed esse sono riscontrabili anche nel centro e nel sud della penisola italiana. Questo vale anche per gli equivalenti transalpini. Le voci cisalpine coi significati crataegus oxycantha L., biancospino (tip.alp.centr. albaa) ed altre erbe biancastre, invece, possono facilmente essere di provenienza celtica. Varie piante alpine e cisalpine devono il loro nome ai popoli preromani, ovvero a termini prelatini relativi a colori: la parola *alousa rossastro? , per esempio, serviva a formare denominazioni per Alkirsche 9 , dal gall. *glast- bluverde vengono forme per il mirtillo 10 , con prerom. *mag- rosso? si formavano voci per i lamponi, le fragole ed i mirtilli (rossi) 11 , gall. *bugion- blu? è all’origine di nomi per salvia selvatica 12 . In base a queste considerazioni possiamo menzionare il romagn. alvén m.pl. lupini con i suoi parallelismi in HGar. aoubin e Montauban ooubin (FEW 24: 308) come parole forse di origine celtica. Se continuiamo ad esaminare i dati nel FEW, ci imbattiamo, nei numeri 3.b. θ . e 3.b. ι ., nelle forme aubesson champignon; prataiolo , aube tipo di erba , aubortie (solo nella Manche) stachys silvatica , auburon lactarius albus , aube mélique; lolla e aubaine (solo fr.mod.) esp. de blé . Proprio le tre ultime voci si accordano con l’esposizione del Wartburg 1934: 19 secondo il quale i termini esclusivamente specifici della vita del contadino sono spesso di provenienza celtica: Le paysan gallo-romain s’accoûtumait à se servir des termes latins pour désigner les produits qu’il vendait à la ville: il disait lac, mel, secale, avena, etc. Mais pour les choses dont le citadin n’a qu’une notion vague et qui ne sont familières qu’au paysan, il ne s’est pas laissé imposer de terme latin: il continuait à dire mesigum petit-lait , il ne cessait de dire brisca. Il n’acceptait pas le mot lt. sulcus, mais il se servait de son rica, de son broga, etc. Il Corr. aubo salix alba (FEW 24: 308) è un caso singolare ed è molto difficile verificarne la provenienza latina oppure celtica. Le forme del LEI nella sezione 6.c. . si riferiscono ad altri frutti o steli bianchi. Qui la forma modenese, albòn ovolo bianco , potrebbe risalire al gallico riguardo al campo lessicale, mentre il suffisso può derivare dal latino. Ma il suffisso può anche essere secondario. Il numero 8. presenta la forma interessante lad.ates. (fass.) èlba parete rocciosa , Penia elba id. . In Rossi 1999 la parola fass.basso àlba è glossata hohe überhängende Bergspitze, die sehr früh von der Sonne beschienen wird ed è ovviamente associata coll’etimo lat. albus bianco o alba prima luce del giorno . Però, condivido l’opinione del Kramer (EWD 1: 74) secondo cui la glossa è probabilmente influenzata dal pensiero (par)etimologico di Rossi e che si tratti allora di un’ 8 Il tipo be(d)ol(a) si ritrova in tutta la Cisalpina, nella Transalpina e nell’Iberoromania (cf. LEI 5: 1380ss.; EWD 1: 261; FEW 1: 345; REW 1067; REW 1069ss.). 9 Cf. ad es. LEI 1: 1464; Hubschmid 1950: 56s. 10 Cf. ad es. REW 3779b; FEW 4: 150; EWD 2: 64; Sganzini 1933s. 11 Cf. REW 5249a; FEW 6/ 1: 19ss. 12 Cf. REW 1375a; Faré, n° 1375a; Bolelli 1941: 170. 112 Joachim Grzega etimologia popolare 13 . Di conseguenza, non credo probabile che la denominazione latina per bianco si sia conservata in un campo lessicale che è, per la maggior parte, di origine gallica e pregallica 14 . Il LEI (in un’annotazione) ed il Kramer menzionano un articolo di Palabazzer 1972: 34, secondo il quale l’etimo giusto è la radice prelatina (forse iberica? 15 ) *alb- altura (cf. Alpe), ma sembrano vedere in questa ipotesi solo un’alternativa piú debole. Io tuttavia vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che la stessa radice può essere vista in denominazioni galloromanze per la pernice bianca. È dunque possibile che le tribú celtiche - vincendo i popoli cisalpini domiciliati - abbiano associato la radice pregallica con la base celtico-latina alb- bianco ; è esattamente questa base che il Wartburg (FEW 24: 300) vede in *albena pernice bianca . (Mi sembra che si possa perfino precisare che si tratta piuttosto della base celtica poiché il suffisso -ena indica un’origine [pre]celtica 16 , certamente prelatina, per questa formazione di parola.) Ritorniamo all’articolo nel LEI. Con la 10° sezione entriamo di nuovo in un ambito contadino, perché si tratta di denominazioni per le uova. È da notare che - ad eccezione di una forma laziale, la quale invece ha un significato piú specifico (cf. piú basso) - le forme si limitano tutte all’Italia settentrionale: tic.prealp. (Val Colla gerg.) álbes m. uovo , lomb.occ. (Val Cavargna gerg.) àlbes uova , berg.gerg. albüs/ albös/ olbüs [senza informazione né sull’accento né sul numero], AValcam.gerg. albüs uovo [senza informazione né sull’accento né sul numero], parm.gerg. orbís uovo’, ven.or. (Tesino gerg.) orbéze [senza informazione sul numero]. Al di là della documentazione del LEI si possono ricordare le forme valsoan.gerg. orberi, merg. moferr. (gerg.) urbanín, valses.gerg. arbanö uova , Locarno gerg. arbarél uovo , furb. arbisi uova , alberti uova (cf. Prati 1978: 19; Ferrero 1991: 8). Al contrario di quanto sostengono il LEI ed il Prati, credo che non sia possibile spiegare forme così diverse come derivati di albus o dell’it.a. albo. Le forme con orbe coll’accento sulla seconda sillaba (originariamente la penultima), cioè quelle del Veneto e di Parma, devono, secondo il mio parere, essere separate dalle forme con álb- (l’accento sulla base). Nutro dei dubbi in merito alla prima interpretazione del Prati che vede in arbisi, orbís ecc. derivazioni della variante alberto. La sua seconda interpretazione è piú convincente: «modellati sul venez. orbiSígolo (vic. orbicio) losco ». Le ragioni di tale trasformazione lessicale sem- 13 EWD 1: 74: « . . . der Hinweis auf den morgendlichen Sonnenschein dürfte von der von Rossi angenommenen Verbindung zu alba Morgendämmerung diktiert sein». 14 Cf. ad es. gli etimi seguenti: precelt. balma balma, grotta, caverna’ > it.sett. balma ecc. id. (LEI 1: 910ss.; FEW 1: 223s.; REW 912; AIS 424; AIS 424a), celt. *brikkos cima di un monte, una rocca ecc. > gen. bricco monte erto , trent. zbrik pendio ecc. (FEW 1: 525; REW 1300a; Faré, n° 1300a; Faré, n° 1297; AIS 421; AIS 422), celt. likka lastra > fass. lia lastra del forno (Hubschmid 1950: 62s.; FEW 5: 335), celt. caliom pietra > lomb. gayu η selce (FEW 2/ 1: 95ss.; REW 1519a), celt.? lastra lastra > canav. las id. ecc. (FEW 5: 196ss.; Hubschmid 1950: 32ss.; EWD 4: 173ss.). 15 Cf. FEW 24: 300 (lemma albena); DEI 106 (mediterraneo alba altura ); Bertoldi 1936: 184. 16 Il Bolelli 1941: 137 ricorda che il suffisso non è esclusivamente gallico. 113 Le basi atr- nero e alb- bianco nella Romania cisalpina (e transalpina) brano essere contenute in una metafora secondo la quale una persona losca (o cieca se si vuole partire dal ven. orb cieco ) barcolla come un uovo 17 . È senza dubbio corretto spiegare la variante alberto come foggiato sull’uguale nome proprio. Ma dobbiamo ritornare alle altre parole prealpine con alb-. Si può pensare ad una derivazione dell’it. albume (cf. Ferrero 1991 e Prati 1978). Ma come si spiegherebbe allora il suffisso -es/ -is/ -üs? Sarebbe piú plausibile pensare ad una derivazione del tipo dialettale orbis con influsso secondario della radice albancora presente fra i contadini e fra il popolo basso dell’Italia settentrionale. Questo albnon era proprio la parola latina dotta albus, ma piuttosto una parola bassa, rurale, usata dai contadini tra di loro, dunque prelatina. Anche se gli altri dialetti celtici si servono di una base diversa per designare l’uovo 18 , abbiamo già visto sopra che la radice doveva esistere nel gallico. Ritorniamo ancora alla forma laziale: Questa parola, álb¿r¿ pl. («Plurale merid. in -ora» [LEI 2: 13]), non significa uova in genere, ma uova non fecondate . Inoltre, è notabile che si tratta della sola parola di questo campo semantico che non appartenga al gergo. L’espressione deve ovviamente essere separata dalle altre espressioni analizzate. È un caso singolare per il quale è necessario cercare un’etimologia separata (forse un’etimologia popolare). Infatti non pare errato presupporre che il lat. albus abbia continuato a sopravvivere grazie all’influsso della parola apalus/ *apulus (> *ap’l- > *alp- [metatesi]? ) - che, in molte regioni, serve a designare l’uovo non fecondato 19 . Diamo ora un’occhiata ai toponimi. Il LEI 2: 16 ed il FEW 24: 309 richiamano l’attenzione ad albcome elemento in nomi di luogo - anche in regioni italiane meridionali -, ad es. lig.occ. Prealba, lomb. Prealba, lad.ates. Péra àlba, cal. Pietralba, piem. Qualba, cal. Coalva, umbro Montalbo. La provenienza latina è qui incontestabile. Prima di terminare vorrei commentare ancora alcune altre parole che possiamo, secondo me, ricollegare ad un etimo celtico *alb-. Primo, possiamo menzionare il tipo *alb-usta étincelle; Funke; scintilla con sviluppo tipico dello -stceltico in Centre albouffe accanto a albouste. Le due forme sono raccolte nel FEW 14: 16 sotto «ulwo, -a (gall.) staub» (cf. anche Hubschmid 1950: 60). Anche altre parole citate sotto il lemma *ul odel FEW potrebbero almeno essere incrociate con la base alb-: Elle auves étincelles , mdauph. áwvo étincelle , lim. auva étincelle d’her- 17 Normalmente l’uovo serve spesso a creare espressioni indicanti difetti dell’intelletto o del carattere di una persona (cf. anche Gsell 1999). 18 L’irlandese antico conosce un tipo og, piú tardi ance obh, che è diffuso in varie forme fonetiche sulle isole britanniche (Wagner 1981/ 1: 45). Secondo il LEIA (O, vol. 13) è invece difficile riunire tutte le forme ad una singola variante. 19 Otto Gsell indica i continuatori del lat. apalus in un suo articolo (cf. Gsell 1999). Lo ringrazio per avermi dato l’occasione di leggerlo prima della sua pubblicazione. Siamo tutti e due d’accordo che la forma laziale può infatti rappresentare un incrocio fra il lat. albus ed il lat. apalus/ *apulus, anche se, secondo i suoi studi, i continuatori di apalus designano l’uovo non fecondato solo sporadicamente, mentre normalmente si riferiscono all’uovo senza guscio. Ci si può chiedere se anche le parole gergali per uova risalgono a dialetti dove il tipo arbu (di alb- X ap’l-) è diffuso. 114 Joachim Grzega bages secs, de paille brûlés; cendres des fourneaux , HAlpes àwvo balle d’avoine . Al contrario, alcune forme citate sotto albus nel FEW possono facilmente rappresentare incroci con *ul os: ad es. for. aubes étincelles , Ariège áu os étincelles qui retombent en cendre blanche e anche Ariège u os étincelle , Lavedon áubo id. , bearn. aube id. . In base a tutte queste osservazioni possiamo concludere con i commenti seguenti. Proprio nella Cisalpina si è conservata una serie di relitti lessicali omofonici ed omosemici: il lat. atraccanto al celt. *atrper nero e il lat. albaccanto al celt. *albper bianco . (Inoltre abbiamo ancora potuto dimostrare una terza radice, preceltica: *alb- monte, altura, pendio .) Né gli altri idiomi romanzi né gli idiomi celtici insulari sembrano conservare le radici nei significati in questione. Tuttavia non è facile decidere quale delle radici sia all’inizio di un certo tipo lessicale. Come possiamo spiegare questa conservazione lessicale nella Galloromania lato sensu (cioè Cisalpina e Transalpina)? Quando i Romani conquistarono queste regioni, si imbatterono in diversi popoli non-italici. Si trattava, per lo piú, di tribú celtiche. Celti e Romani parlavano, nonostante il legame linguistico storico, idiomi abbastanza differenti, cioè mutualmente inintellegibili. Identiche, o almeno simili, erano però certe parole/ radici come quelle trattate in questo contributo. Così - proprio nella Cisalpina, ma anche nella Transalpina - si potevano sviluppare, per certi oggetti - benché Celti e Romani abbiano forse usato originariamente altre denominazioni - nuove parole «di compromesso» celtolatine. Eichstätt Joachim Grzega Bibliografia ACS: A. Holder, Alt-celtischer Sprachschatz, 3 vol., Leipzig 1896-1907 AIS: K. Jaberg/ J. Jud, Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, Zofingen 1928-40 André, J. 1949: Étude sur les termes de couleur dans la langue latine, Paris Baldinger, K. 1988: Etymologien. Untersuchungen zu FEW 21-23, Tübingen Bertoldi, V. 1936: «Problemi d’etimologia», ZRPh. 56: 179-88 Bolelli, T. 1941: «Le voci di origine gallica del Romanisches Etymologisches Wörterbuch di W. Meyer-Lübke», ID 17: 133-94 DEI: C. Battisti/ G. Alessio, Dizionario etimologico italiano, 5 vol., Firenze 1950-57 EWD: J. 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