Vox Romanica
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Francke Verlag Tübingen
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Kristol De StefaniMax Pfister, Lessico etimologico italiano (LEI), vol. 6, fasc. 56-61,Wiesbaden (Reichert) 1997-99
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O. Lurati
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Max Pfister, Lessico etimologico italiano (LEI), vol. 6, fasc. 56-61, Wiesbaden (Reichert) 1997-99 Sono alcuni aspetti di principio legati alla splendida opera di redazione del LEI che ci ripromettiamo di sottolineare in questo contributo. Sono: 1) fertilità del LEI, che si manifesta anche in altre letture, soprattutto metaforiche, 2) attenzione agli aspetti semantici, 3) varia. Questa ricerca dell’università di Saarbrücken ci ha abituato ad un fatto che ormai ci sembra normale: la grande serietà di compilazione, che è spesso eccellente, a momenti magistrale. Si vedano, ma non sono che esempi, casi come *blato con la storia della sostituzione sistemica e di coltivazione di frumentum (240ss.), come *blaukk rigonfiamento ecc. (256ss.) e come l’esauriente lettura di budello e di botta, botto. 1. Ma qui vorremmo richiamiare piuttosto la fecondità che comportano certi dei materiali che vengono sistematizzati nel LEI. In effetti, nel suo passare, il tempo toglie spesso a immagini e paragoni quei vivi umori che li sostanziavano e che li facevano sprigionarsi ad esempio da usi intrisi di polemica. Ora, sulla scia della documentazione del LEI, nel lettore nascono talora nuovi spunti anche per altre espressioni. Vorremmo esemplificare con un caso, quello di bullo. L’esame che si continua a farne in chiave di germanismo risulta in effetti molto precario. Ora, sulla scia delle pagine del LEI si può prospettare una nuova lettura. Molte le incertezze che durano tuttora quanto alla storia di fare il bullo fare il presuntuoso, darsi arie di superiorità è un bullone è un uomo poco raccomandabile, un insolente ; anche: fare una bullata, una bulleria una spacconata . Per questo tipo di giudizio si pensa tuttora a una base germanica. Ma le difficoltà sono molte, come vedremo. Va detto dapprima come esso sia radicato nel Veneto e in altre parlate dell’Italia settentrionale e giunga oggi - a livello di usi dialettali - alle Marche. Doveva filtrare anche nel repertorio espressivo di romani e umbri. In rapido riscontro vedi bulo nel Calmo, bul(l)e nel Caravia (1550). Inoltre: bulo nel 1547 in P. Nelli. Rigogliosa, poi, soprattutto in ambito veneto, la letteratura bulesca. E vedi pure la maschera del bullo un tempo assai nota in ambito bolognese. Si assodano del resto anche usi al femminile, come risulta da testi in lingua e come affiora dallo spoglio della documentazione dialettale: ad esempio, primierotto bula s.f. ragazza che si dà arie e prosperosa (Tissot 1976: 55), bolognese bulla s.f. donna del volgo, e con modi e coraggio maschile (Coronedi-Berti 1877/ 1: 218). Da ambiti settentrionali, la qualifica doveva lentamente passare anche a testi toscani e spingersi, nell’uso orale, pure più al sud, come nel romanesco, al punto che oggi certi veneti, interpellati in tema, ascrivono il motto al romanesco. Il Casti qualificava bullo di termine lombardo, mentre il Cardarelli parlerà dei bulli trasteverini. Da parte sua, Petrolini aveva lanciato la macchietta di Gigi er bullo (GDLI 2: 439). Dopo il 1950 verrà su forte il ricordo del titolo del musical americano Guys and Dolls, che verrà tradotto con bulli e pupe, titolo che, a cascata, doveva dar la stura a molte utilizzazioni, comprese le insegne di negozi di abbigliamento che mirano alla clientela giovanile. Infine, almeno una delle molte schedature da usi giornalistici, nel caso specifico dal Corriere della Sera del 25.9.1966: Faceva il «bullo», ammazzato. Vendetta di tre amici nel Torinese: «Ci minacciava e derubava». Era il bullo del paese, rissoso, arrogante e prepotente, anche con anziani e bambini. Da questi ultimi si faceva consegnare con minacce piccole somme di denaro. I giovani, che erano stati vittime, si sono trasformati in giustizieri e vendicatori e hanno deciso di eliminarlo: «Non se ne poteva più, aveva creato un clima di terrore», si sono giustificati quando i carabinieri li hanno arrestati. La vicenda ha avuto come sfondo i paesi della Bassa Valle di Susa. Di regola, sulla scia di una interpretazione muratoriana, è un bullo, sono dei bulloni, abbandonarsi a bulerie, viene ricondotto all’alto tedesco medio bule amico intimo . Contro 256 Besprechungen - Comptes rendus questa lettura stanno però diversi fatti. La derivazione dal tedesco si affida, occorre dirlo, a mere consonanze fonetiche, a affinità esterne: non vi è congruenza di sostanza tra la presunta base (il tedesco bule amante ) e il motto di aree it., che si cristallizzava (e cristallizza) attorno al nucleo semantico di fare lo spaccone , darsi arie di forza, di primato , fare lo spaccamontagne . Sull’argomento si hanno interventi e materiali in AIS 1: 46 e 6: 712; A. Prati, «Etimologie italiane», ID 13 (1937): 89s.; V. Cian, «Per la storia di bulo», LN 10 (1949): 41-43; DEI 1: 633; DELI 1: 175s.; Plomteux 1975/ 1: 255; VDSI 2: 1176-78, dove tra l’altro Lurà reca un’ampia rassegna di spogli di vocabolari dialettali e costruisce l’area di diffusione. Ma non una soluzione. Da parte nostra, abbiamo spesso pensato, in questi ultimi anni, a una pista che andasse nella direzione di sei un budellone, sei uno scomposto, un prepotente. Ora la lettura del LEI induce a rassodare questo spunto. Da tempo appariva verisimile una pertinenza con a. it. budellin persona turpe, prepotente, vorace ecc. , che si accerta dal 1494, gli stessi anni in cui si riscontra in modo diffuso anche il tipo essere un bullo. Questa affinità ci ha sempre colpiti. Ora, essa si fa più concreta anche attraverso la rilettura di LEI 6: 1284, dove viene confermata la parentela con il lat. botellus, it. budello. La nostra proposta è, dunque, quella di riconoscere in è un bullo un falso primitivo di è un bullone è un tipo arrogante , un esito regionale (tendenzialmente veneto ecc.) di è un budellone è un tipaccio, è un vorace, è un burbanzoso . Si vedano, citati da LEI 6: 1284 a.v. botellus budello (con interferenze di buzzero/ bulgarus) usi come giovanaccci budelloni parassiti, crapuloni (1536, Aretino), genovese bëlon uomo dappoco , sarzanese budelon mascalzone , cremonese budelon buggerone , veronese buelon omaccione di corporatura pesante e flaccida , usato in senso spreg. anche moralmente, it. budellone chi si riempie troppo il ventre, mangiatore ingordo, insaziabile , bustocco büelon (idem). Esistono anche usi al femminile, come è una budellona è una donna di cattivi costumi, una sgualdrina (LEI 6: 1285), con la variante trentina buelona; aggiungi, come semplice, venez. buéa puttana , perugino budella puttana ecc. (LEI 6: 1275). Si aveva, secondo noi, la successione: essere un budellone > (con caduta della d) essere un buellone, da cui, con caduta della e non accentata) > essere un bullone. Di qui si estraeva essere un bullo, nel senso di essere un insaziabile, essere un mascalzone, un buggerone . Una nota fonetica: per ricordare la frequenza del venir meno della vocale atona: da preite si passava a prete, da catena si passava a cadena, poi a caena e infine a kena, ecc.; vedi anche fratello divenire fradello e, poi, fraello, per concludere con frello fratello , che è l’esito pavano (Ruzzante): cf. Rohlfs, ItGr.: §201. Come spiegare, poi, la u turbata del lombardo? Essa si chiarisce dal fatto che la qualifica veneta è un bulo veniva assunta da parlanti lombardi e piemontesi, che, giusta le loro propensioni, transformavano quell’ü veneto in ü donde il tipo l’è un bülu è un tipo tracotante , ma poi anche è un tipo molto bravo nel suo lavoro , è un tipo molto esperto . Non sorprenda l’apparente enantiosemia con cui l’espressione si presenta in certi usi. Essa è solo apparente: risulta, qui come altrove, nient’altro che dalla prospetticità legata a tutte le cose e a ogni giudizio umano. Per certi gruppi sociali, un determinato tipo di comportamento era disdicevole, per altri (che ne erano coinvolti), era segno di astuzia, segno di intelligenza tale da suscitare ammirazione; cfr. il caso di è un gaglioffo, ora usato (cf. O. Lurati, Modi di dire. Nuovi percorsi interpretativi, Lugano 1998) per è un tipo in gamba , ora per dire è un tipo di cui non ci si può fidare . Questa ambivalenza si manifesta in parecchi altri giudizi sulle persone. Cf. casi quali: 257 Besprechungen - Comptes rendus La fenomenologia del trickster, dell’imbroglione così come la ricezione della controfigura comica dell’eroe è in molti casi una miscela di «alto» e di «basso». Il briccone è ora malvisto, ora ammirato; in tema, vedi anche le osservazioni di Massimo Bonafin, «La figura dell’antieroe», Quaderni di Semantica 17 (1996): 62ss. Indicati i tratti più significativi, si può ora anche accennare al fatto che bullo venne «tecnicizzato» in certi usi del linguaggio dei pescatori. Cf., nel Boerio 1856: 106s., formulazioni quali buli col granzo, t. de’ pescatori. Granchio romito, detto anche il povero o il ramingo. Termine collettivo di tre differenti specie di granchi a coda lunga e nuda, bulo de mar, t. de’ pesc., e complessivo di due differenti specie di conchiglie marine univalvi, del genere de’ murici, distinte col nome di bulo maschio, bulo femena, cioè il murex trunculus e il murex brandaris. Tra veneziani era inoltre corrente parlare di far una bulada ‘minacciare, bravare’, di far una bulada in credenza minacciare senza nuocere , star sul bulezzo fare il bravo, fare il Giorgio, il Mangia da Siena , la ga un certo bulezzo ha una cert’aria franca, disinvolta ; di certe giovani che si distinguevano nel portamento e nelle grazie della persona (Boerio 1856: 106). Riassumendo, è un bullo è un’espressione regionale che doveva poi penetrare anche in usi di lingua: cf. bulesco proprio dei bulli , grossolano e violento (Aretino, cit. in GDLI 2: 438); del resto, allontanandosi dalle zone di partenza, l’espressione doveva giungere anche al romanesco: vedi il tipo romanesco di Gigi il bullo. Questi burbanzosi dominavano spesso le piazze (cf. Cian 42) facendo i prepotenti e esibendo tracotanza. In ciò raggiungevano il comportamento e il modo di vestirsi e esibirsi dei bravi di manzoniana memoria. Interessante anche il riscontro che dobbiamo al Garzoni, con gli spadaccini e battitori di piazza che fanno di tutto per imporsi e far colpo sulla gente: De’ bulli o bravazzi o spadaccini o sgerri (sic) di piazza (Garzoni, cit. in GDLI 2: 435). Anche il Nievo usava bullo per bravaccio , sgherro . Che la gente si riferisse alla burbanza (e al modo di presentarsi, di vestirsi, di esibire cappelli vistosi ecc.) risulta da non pochi 258 Besprechungen - Comptes rendus è tagliato è prepotente, è un tipo valido arrogante, burbanzoso è un tipo in gamba è (un) bravo è un prepotente è valido, capace nel suo lavoro ecc. è furbo è prepotente è valido è balosso è un prepotente, è valido, intelligente, è un truffatore astuto arabo habib amico ligure Novi Ligure gabibu gabilu uomo scaltro sciocco documenti, così come da motti come portare il cappello da bulo portarlo in modo appariscente, a sghimbescio, portarlo sulle ventitrè ; cf. bolognese: mess alla bulla vestito a quella foggia, che usa certa specie di bassa gente (Coronedi-Berti 1877/ 1: 218). Insomma, la nostra proposta, è di ascrivere anche questo fascio di usi al tipo botellus di LEI 6: 1252ss.; cf. ivi, tra l’altro, motti del tipo: quello dà in budella quello dice sciocchezze ecc. 2. In rapporto alla richiesta di certi lettori di approfondire nel LEI certi aspetti semantici è interessante vedere da vicino quell’elemento del repertorio alpino che è bova canalone di montagna, zona in cui scorre l’acqua e in cui, in passato, venivano fatti scorrere i tronchi degli alberi abbattuti dai boscaioli . Si propone di sgombrare il campo dallo scialbo *bo-/ *budi LEI 6: 306ss. È un accostamento che sa un po’ di surrettizio e che si deve alla scuola zurighese di Jud ecc. Invece, secondo noi, ova va assegnata a un’altra logica linguistica e, soprattutto, a una diversa ambientazione culturale. Suggeriamo di muovere dall’esito del latino aqua, che dava ava > ova. La consonante interna veniva spesso, nell’oralità, ribaltata all’iniziale (cf. lat. amita > fr. ante > fr. tante), sì che nascevano forme come ova, vova, bova ecc. La base non è un ipotetico bo-/ buasteriscato. Siamo, e è una costatazione con una sua importanza anche culturale, dinnanzi all’esito orale del lat. aqua, per il resto mantenutosi come it. acqua a causa della veicolazione fattane nel discorso ecclesiastico (il clero parlava di acqua santa, di acqua benedetta e i fedeli riprendevano quel modello). Aqua ha almeno dato due filiere di esiti, una orale, l’altra «semicolta»; il tipo ovagna di parecchie parlate non muove da una base «mitica», non accertata, ma continua il tipo aquanea relativa all’acqua ; e molti altri sono gli esempi che potremmo addurre. Certo è che a p. 571 troppo rapidamente si scavalca il latino per andare ad aderire (senza prove) a una voce «decisamente prelatina *bova». Cautela semantica richiede - se non vediamo male - anche il tipo ribobolare fare arzigogoli con le parole ribòbolo giuoco di parola, arzigogolo . Questo tipo lessicale non si spiega (354ss.) da *bob corpo di forma tondeggiante . Costituisce invece l’esito di un tipo verbale proverbiolare discutere con proverbi, argomentare con gli altri partner della conversazione con proverbi e motti fissi : una pratica diffusa nell’interazione (in particolare nelle sfide di capacità di reazione e di competenza orale che si facevano un tempo con alta frequenza): da (p)roverbiolare si arrivava a ribibolare, idem, da cui poi si estraeva il ribobolo. Maggiori ragguagli nell’articolo degli studenti del seminario di linguistica italiana di Basilea: «Il lavoro etimologico. Metodologie e tecniche di approccio», in stampa nei Quaderni di Semantica 1999. 3. In un terzo punto si raccolgono note singole. Bella, e convincente, la parte che ora viene dedicata a burattino, come fu detto il fantoccio di legno che viene mosso dall’interno da un operatore che se lo infila sul braccio e sulla mano (non poche volte confuso con la marionetta, che è invece mossa mediante fili). Per la designazione ci si rifece a essere (come) un burattino ballonzolare qua e là, agitarsi di continuo ; cf. la riconduzione al tipo borr spingere, colpire , in LEI 6: 1183. Burattino venne detta la maschera teatrale che impressionava gli spettatori per i suoi movimenti tutti a scatti. Dall’agitarsi di queste figure molto usate (e per secoli) nelle esibizioni degli ambulanti delle piazze, gli spettatori ebbero a far scaturire motti del tipo è un burattino manca di parola, muta di continuo opinione . Nella chiave del parlar caricato, certi parlanti, poi, chiamarono per scherzo burattini i denari. Come i burattini sono mutevoli e mobili e ti schizzan via di mano, così facevano e fanno i denari. Accludi, dalla zona di Teramo: bburrattina s.f. parodía ; ci fice la cummèdia angà e la bburrattina ci fece commedia e perfino la pagliacciata (Giammarco). Ci si chiede poi se non si debba riconoscere una diversa parentela per l’elbano budellìo grande quantità, mescolanza di molte cose . Il LEI 6: 1278 lo mette sotto botellus, intendendo implicitamente trattarsi di un insieme di intestini e budella. Ma ci sembra più verisi- 259 Besprechungen - Comptes rendus mile leggerlo come una (voluta) deformazione di buggerìo grande quantità da buggerare abusare ; cf. Lurati 1998. In casi di dubbio, sulla fonetica deve prevalere la semantica. Nel caso concreto, sono molti gli usi metaforici in cui dal semantismo abuso si passava, nel linguaggio caricato, a indicare la cosa che era presente in quantità eccessiva, in una misura esorbitante. Cf. ce n’era una bischerata ce n’era una gran quantità (Arezzo 1999) che va letto come una forma eufemistizzata di sei un búggero sei uno stolto , è una buggerata è un abuso, è un chaos , a sua volta da buggerare sottoporre a sodomia e ingannare . Da quella base, che in ultima ragione si riconduce al latino bulgarus eretico che viene dalla Bulgaria , si spiega sia bischero sia anche fare una buzzera sottoporre a sfruttamento sessuale e, poi, anche fare un pasticcio, creare una gran confusione, ammonticchiare una quantità enorme di cose disparate . In parecchi odierni linguaggi giovanili si mozza volentieri la seconda parte delle voci d’insulto: burino, borino diviene sei un boro (Vicenza1980) ecc. Nella stessa chiave, molti giovani fanno oggi rientrare anche il sei un buzzurro di lingua, che, nel (ri)crearsi il loro linguaggio di gruppo, mozzano in sei un buzzo, idem. Il buzzo, persona goffa e ignorante, usato da tanti giovani oggi, non è primo, ma un estratto tardivo di buzzurro. L’osservazione per buzzurro vale anche per sei un burzugno sei un villano, uno zotico di LEI 6: 782, che andrà piuttosto con bulgarus e le voci esaminate in Lurati 1998: 183. Anche l’italiano bucherare imbrogliare, abbindolare (cf. 1863), messo da LEI 6: 505 sotto bokkè da bulgarus/ buggerare, esattamente come i parlanti avevano camuffato e camuffano buggerare tramutandolo in bischerare, da cui sei un bischero. Sempre su cose minute, vedi l’utilità di apportare qualche modifica a una voce come biga (LEI 5: 1535 [7s.]). I gergali bigonzi pantaloni non vanno con biga carro a due cavalli , bensì con l’idea di fondo delle bigoncie, come contenitori : i bigonci come contenitori , come elementi che tengono dentro d’uomo . Nel chiamarne uno sei un gonzo, poi, serpeggiava anche l’idea del panciuto, dello sformato, del tipo che era infilato in brutti e sformati pantaloni, del villano malvestito: sì che la nostra modesta proposta è di fondere LEI 5: 1484s.,1487 e LEI 5: 1536. Ancora: binare scappare non va sotto il tipo *binare (1643), bensì costituisce una variante di svignare, scappare (su cui Lurati 1998). Il locarnese ti set un antebiss, qualifica a un ragazzo troppo vivace, che non sta mai fermo, va solo remotamente con bestia (1298): si tratta di una variante (nata con accostamento secondario a biss biscia ), ma la base è abyssus. Il piem. desblè disfare messo da LEI 6: 1783 sotto *blato, biava, non sarà piuttosto da disballare, da disfare la balla? Il mil. bottüm cocci, rottame (s. bott, p. 1314) è da leggere come bitume, insieme di vari materiali impastati in una massa unitaria : nel bitume, come si sa, venivano e vengono versati materiali vari di rottura, breccia ecc. Il tipo bressana paretaio, roccolo non è da *bertium (1265, 1267), bensì da Brescia: era il tipo di paretaio per catturare gli uccelli quale era stato sviluppato a Brescia e dintorni; da questa zona doveva irradiarsi in molte subregioni lombarde. Sono, queste, osservazioni minime, e per di più statisticamente infime di fronte alla grande quantità di materiali che grazie al LEI ricevono ora soluzioni convincenti e definitive. Queste osservazioni vogliono solo provare l’attenzione con cui si fanno leggere questi fascicoli. O. Lurati H 260 Besprechungen - Comptes rendus
