Vox Romanica
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0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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Kristol De StefaniGerald Bernhard, Das Romanesco des ausgehenden 20. Jahrhunderts.Variationslinguistische Untersuchungen, Tübingen (Niemeyer) 1998, xvi + 356 p. (Beih. ZRPh. 291)
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G. Berruto
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L’insieme della prima pubblicazione qui considerata costituisce quindi un elemento utilissimo per completare la tuttora carente informazione sui dialetti lombardi e rappresenta come tale un importante strumento di lavoro per gli studiosi di dialettologia. La seconda, dedicata ai problemi dell’emigrazione, consente pure molti confronti con la situazione in altre valli alpine. Fondamentale è ad esempio ovunque la distizione fra l’emigrazione stagionale o temporanea verso destinazioni europee e quella di lunga durata o definitiva oltre mare e anzitutto verso la California, l’Australia e l’Argentina. Anche l’analisi delle conseguenze linguistiche dell’emigrazione, pure trattata da Remo Bracchi, considera separamente questi due tipi di emigrazione. La prima porta all’introduzione di serie complete di termini che gli emigranti stagionali imparavano o imparano tuttora nell’esercizio delle loro attività artigianali o nel contatto quotidiano con colleghi di lavoro. Dato che si tratta in questo caso di un afflusso continuo e sempre rinnovabile, i termini importati possono acquisire una certa stabilità all’interno di determinati ambienti e in alcuni casi infiltrarsi anche nel dialetto comune. Diversa è la situazione per l’emigrazione oltre oceano. Solo pochi sono i termini riportati in valle da emigranti rimpatriati dopo molti anni di assenza. Frequenti sono invece le interferenze linguistiche che si rilevano nelle lettere degli emigrati a parenti o amici rimasti in valle. Si tratta di tentativi coscienti o incoscienti di adattare termini stranieri al sistema grafico, fonetico e morfologico dell’italiano, di traduzioni letterali di sintagmi fissi, di calchi, di false corrispondenze non riconosciute e di fenomeni analoghi che si verificano con estrema facilità quando ci si trova in presenza di due codici linguistici diversi senza essere pienamente coscienti delle differenze formali e sostanziali che li distinguono. Per quanto concerne le voci straniere usate nelle lettere, Remo Bracchi tenta di individuare le motivazioni e di classificare le situazioni nelle quali lo scrivente vi ricorre. Colpisce il fatto che nell’epistolario Montagnola - San Pietroburgo 1 , di recente pubblicazione, gli elementi russi che affiorano nelle lettere degli emigranti della Collina d’Oro in Russia sembrano inserisi nelle stesse categorie. Remo Bracchi con questo studio ha indicato una via. Sarebbe auspicabile che lavori di ricerca analoghi venissero effettuati anche per altre delle ormai numerose e cospicue raccolte di lettere di emigranti 2 . F. Spiess H Gerald Bernhard, Das Romanesco des ausgehenden 20. Jahrhunderts. Variationslinguistische Untersuchungen, Tübingen (Niemeyer) 1998, xvi + 356 p. (Beih. ZRPh. 291) Nell’ultimo decennio, a partire dal volume curato da Tullio De Mauro sul Romanesco ieri e oggi (1989), si sono infittiti i lavori di sociolinguistica sulla situazione romana, con vari autori che si sono occupati delle varietà di romanesco e dei rapporti fra dialetto e lingua standard (P. D’Achille, C. Giovanardi, P. Trifone), della storia sociolinguistica di Roma (M. Mancini, U. Vignuzzi), di varietà marginali e gergali (M. Trifone), della valutazione sociale dell’accento regionale (R. Volkart-Rey), dell’integrazione dei giovani immigrati (M. Conti e G. Courtens), eccetera. L’interesse peculiare del caso romano sta nel fatto che, contrariamente alla gran parte delle altre situazioni italo-romanze, nelle quali vi è un con- 264 Besprechungen - Comptes rendus 1 A. Mario Redaelli/ Pia Todorovic Strähl (ed.), Montagnola - San Pietroburgo. Un epistolario della Collina d’Oro 1845-1854, Montagnola 1998. 2 Si vedano ad esempio i due studi di G IORGIO C HEDA : L’emigrazione ticinese in Australia, 2 vol., Locarno 1976; L’emigrazione ticinese in California, 2 vol., Locarno 1981. fine netto fra l’italiano e il dialetto e il repertorio risulta quindi chiaramente bipolare, a Roma è molto difficile, se non impossibile, stabilire in termini di tratti linguistici una linea di demarcazione fra il dialetto e l’italiano regionale, talché si ha un tipico continuum e il repertorio risulta distribuito diffusamente su varietà intermedie fra i due poli dell’italiano standard e del dialetto locale marcato. Viene quindi a puntino applicare al caso romano modelli di analisi, anche quantitativi, ispirati ai noti paradigmi laboviani, in cui i valori delle variabili linguistiche coprono l’intero arco di uno spazio di variazione unitario. La solida e ferrata monografia di G. Bernhard viene ad arricchire sostanziosamente la serie dei lavori romaneschi proprio in questa direzione. Si tratta infatti di un’ampia analisi, condotta con ammirevole sistematicità, della presenza nel parlato conversazionale dei romani di tratti più o meno tipicamente dialettali: l’obiettivo della ricerca - pienamente raggiunto - è una «empirische(n), detaillierte(n) Beschreibung der heutigen, komplexen Situation des römischen Varietätenraumes zwischen Romanesco ( varietà bassa ) und ‹Standarditalienisch› ( varietà alta )» (23), e in particolare si vuole verificare la diffusione dei caratteri fonetici e morfologici che contrassegnano il «romanesco di seconda fase» (quello rappresentato nell’opera del Belli) e di caratteri dialettali innovativi («romanesco di terza fase») nell’attuale comportamento linguistico di un campione significativo di parlanti romani. L’impostazione del lavoro è dunque molto simile a quella dell’indagine di P. D’Achille/ C. Giovanardi, «Romanesco, neoromanesco o romanaccio? La lingua di Roma alle soglie del Duemila», in: M. T. Romanello/ I. Tempesta (ed.), Dialetti e lingue nazionali, Roma 1995: 397-412, con la differenza che la prospettiva di questi ultimi è piuttosto di individuare punti di riferimento nel continuum partendo dall’italiano in relazione alla diversa marcatezza dei tratti, e si basa su un corpus di parlato radiotelevisivo: sarà quindi particolarmente interessante confrontarne le conclusioni. Il lavoro è articolato in quattro parti, dedicate rispettivamente ad una introduzione generale e metodologica, alla variazione fonetica, alla variazione morfologica e alle considerazioni conclusive. La parte introduttiva comprende un primo capitolo di inquadramento teorico (potrebbero sembrare qua superflue, in un lavoro del genere, che presuppone necessariamente nel lettore una certa familiarità con la sociolinguistica, le parti sulla variabilità linguistica e sui rapporti fra sociolinguistica e dialettologia; a p. 6, se nella nota 12 ci si sofferma sul riconoscimento della mescolanza linguistica come risultato del contatto fra lingue nella linguistica di fine Ottocento, poteva valer la pena di dire che alla Sprachmischung è dedicata una parte non secondaria dell’opera di Hermann Paul), un secondo di rassegna dei lavori sul romanesco, e un terzo di presentazione dell’apparato concettuale e descrittivo dell’indagine (anche qui possono apparire un po’ ridondanti le considerazioni sui concetti di variabilità, variabile, varianti, ecc., che noi avremmo dati come assodati). Col quarto capitolo della prima parte, su Erhebungsmethoden und Auswertungsverfahren, si entra finalmente nel cuore del lavoro. Bernhard si basa su un corpus di ben quasi 42 ore di registrazione, costituite da interviste con 84 informatori residenti nei rioni Monti, Ponte, Garbatella/ Testaccio e in alcune zone semicentrali della città; per ogni variabile indagata viene formulato sulla base delle frequenze delle occorrenze nel corpus un indice compreso fra il valore 0 (presenza esclusiva di varianti standard) e il valore 1 (presenza esclusiva di varianti marcatamente dialettali), talché per es. un valore 0,50 per una variabile a due valori significa che nel corpus si hanno per metà realizzazioni standard e per metà realizzazioni dialettali e per una variabile a tre valori può significare o che sono attestate la realizzazione standard e quella più dialettale in proporzione equivalente o che è attestata solo la variante intermedia, eccetera. Nella parte sulla fonetica, vengono dapprima elencati i tratti suscettibili di variazione, suddivisi in tratti dialettali (del «romanesco di seconda fase») e tratti innovativi. Si passa poi all’esame dei dati relativi alle sedici variabili sottoposte ad analisi quantitativa: per cias- 265 Besprechungen - Comptes rendus cuna in un apposito capitolo vengono fornite dettagliate informazioni sullo sviluppo storico, sulle realizzazioni nel romanesco odierno, sulla consapevolezza e i giudizi dei parlanti in proposito, e sulle modalità dell’analisi rispettiva, e nel capitolo successivo sono commentati e analizzati i valori statistici in relazione ai fondamentali fattori sociodemografici dei parlanti (età, sesso, grado d’istruzione, quartiere di abitazione, mobilità socio-economica - intesa qui come quantità delle interazioni verbali del parlante con estranei, e quindi come, in un certo senso, una componente del tipo di rete sociale). Queste parti del lavoro, così minutamente analitiche, ricchissime di dati, e non prive di qualche ripetitività, risultano indubbiamente noiose da leggere, anche se sono qua e là punteggiate da aneddoti, osservazioni dei parlanti, esempi autentici; ma consentono di vedere per così dire dall’interno il formarsi progressivo di una tomografia accuratissima della variazione linguistica a Roma. L’interpretazione generale dei risultati è peraltro opportunamente favorita da un capitolo riassuntivo con tabelle e grafici (146-59), da cui risulta fra l’altro che lo scempiamento di / rr/ è il più vitale fra i tratti dialettali (indice medio di dialettalità 0,68) e l’inserzione di una occlusiva di accompagnamento nel nesso / ns/ è il più vitale fra i tratti innovativi (ben 0,97, quindi / ns/ → / nts/ quasi categoricamente! ), e che la dialettalità e rispettivamente la presenza di tratti innovativi correlano in maniera opposta con le variabili socio-demografiche: il grado di dialettalità aumenta e quello di innovatività diminuisce con il crescere dell’età e con il diminuire dell’istruzione scolastica e della mobilità socio-economica, le donne sono meno dialettali e meno innovative degli uomini, i quartieri centrali (in particolare, Rione Ponti e Garbatella/ Testaccio) sono più dialettali e meno innovativi. Nel complesso, viene totalmente confermato, attraverso un’analisi qualitativamente inappuntabile e statisticamente molto più ricca e sofisticata di quanto si possa dar conto in questa recensione (e che fornisce fra l’altro anche valutazioni quantitative delle correlazioni fra variabili), il quadro che c’è tipicamente da aspettarsi in una situazione urbana italiana: risulta per sommi capi che «der Gebrauch des Romanesco im lautlichen Bereich in erster Linie an Sprecher höheren Lebensalters mit niedrigem Bildungsgrad und geringer sozioökonomischer Mobilität gekoppelt ist» (158); «Dies führt jedoch nicht zu einer umfassenden Standardisierung, sondern vielmehr zu einer neuerlichen Entfernung von den Standardrealisationen im ‹normfreien› Bereich» (159). Si deve peraltro notare che dal punto di vista metodologico l’autore non innova in nulla l’impianto correlazionale classico, limitandosi alle consuete variabili sociodemografiche altamente convenzionali; inoltre, manca qualunque attenzione specifica alla variabilità diafasica, riguardando la raccolta del materiale e la conseguente analisi esclusivamente il parlato conversazionale, da intervista. Analogo discorso è da fare per la parte sulla morfologia. Le variabili morfologiche rilevanti vengono trattate con la stessa partizione e secondo le stesse modalità sopra esposte per quelle fonetiche, fatta salva la differenza circa l’innovatività, dato che «im Bereich der Morphologie, im Unterschied zum lautlichen Bereich, keine innovative Standardferne als ‹Ausgleich› für geringere Dialektalität auftritt» (239). Sono analizzate quantitativamente nove variabili, fra le quali (globalmente più tendenti alla dialettalità che non le variabili fonetiche) il massimo indice di dialettalità (0,74) si ha per l’elisione del clitico di terza persona ad inizio assoluto e per la realizzazione so’ per sono. Anche qui, la dialettalità aumenta in correlazione al crescere dell’età, al sesso maschile, ai quartieri centrali ed è inversamente proporzionale al grado di istruzione e alla mobilità socioeconomica. Un ricco capitolo di considerazioni conclusive corona la trattazione. La situazione generale appare, com’era presumibilmente da aspettarsi, molto variegata: le differenti marche di dialettalità presentano una vitalità notevolmente diversa le une dalle altre, l’analisi quantitativa dei dati mostra che «vor allem in den Rioni Ponte und Testaccio sowie in der Borgata Garbatella ‹sacche di sopravvivenza› des ‹romanesco di seconda fase› zu ermitteln sind» (255), e parallelamente alla scomparsa di tratti dialettali «ist die Tendenz zu innovatori- 266 Besprechungen - Comptes rendus schen sprechtechnischen Zügen festzustellen, die allgemein durch Reduzierung des artikulatorischen Drucks zu erklären ist» (263). Eterogeneità, a volte con apparenze contraddittorie, emerge altrettanto bene dalle autovalutazioni dei parlanti (un informatore con basso indice di dialettalità - 0,20 - afferma di parlare « . . . romanesco. Non esiste altro! », come nota gustosamente Bernhard a p. 259). L’opera è arricchita da una settantina di pagine di trascrizioni esemplificative, con traduzione italiana interlineare, di brani delle interviste con ogni informatore, cosa che ha fra l’altro il pregio di fornire un consistente corpus di romanesco odierno a pronta disposizione degli studiosi; da un’appendice con dettagliati grafici delle cooccorrenze di gruppi di variabili; e da microfiches con le tabelle per i calcoli statistici della frequenza delle varianti. Si tratta nel complesso, come sarà apparso chiaro anche dal nostro parziale e frammentario resoconto, di una ricerca di sociolinguistica urbana classica, fatta con encomiabile sistematicità e alto grado di approfondimento, con un riuscito triplice connubio fra impostazione generale di impianto coseriano, metodi della variazionistica quantitativa americana e dialettologia sociale europea, che porta a risultati senz’altro ottimi. Dispiace un po’ che si sia persa l’occasione di indagare anche la variazione diafasica (magari intervistando un numero inferiore di informatori, ma in situazioni comunicative significativamente diverse), talché la radiografia dello spazio varietistico romano odierno risultante dal lavoro rimane un po’ appiattita, per così dire, sulla sola dimensione diastratica. Le conoscenze sulla sociolinguistica del romanesco ne sono comunque molto incrementate, soprattutto quanto alla validazione inoppugnabile e rigorosa di fenomeni e tendenze note solo induttivamente o non più che per spunti di analisi. I fenomeni considerati coincidono in gran parte con quelli elencati in D’Achille/ Giovanardi 1995 (citato sopra), eccetto tratti marginali quali per es. nella morfologia la forma ava per aveva (tenuto presente da D’Achille/ Giovanardi ma non da Bernhard) o la forma utto al posto di tutto in posizione interna alla frase (presente in Bernhard, p. 168, ma non in D’Achille/ Giovanardi); e le conclusioni sono altresì pienamente congruenti: anche per D’Achille/ Giovanardi, «la situazione linguistica di Roma appare tutt’altro che stabilmente definita, e comunque mostra caratteristiche diverse dal tradizionale, invocato ‹disfacimento› della parlata locale . . . italiano e romano sono, oggi come ieri, a un passo dalla congiunzione, ma la distanza, pur breve, sembra destinata a non colmarsi mai, o meglio a riproporsi continuamente, con riferimento a fenomeni diversi» (p. 407). Situazione che non sembra avere riscontri nel panorama linguistico italo-romanzo: Roma è, insomma, un unicum anche in questa particolare prospettiva. G. Berruto H Marco Fantuzzi, Per una storia della lingua della stampa automobilistica italiana. «Quattroruote» 1956-1996, Roma (Bulzoni) 1999, 201p. L’anno del centenario della più importante industria automobilistica italiana è coinciso con iniziative editoriali di diversa rilevanza e impostazione che, al di là dell’occasione che le hanno suscitate, hanno visto concretizzarsi anche progetti che pur essendo nati al di fuori del suo stretto dominio di pertinenza, hanno avuto come punto di mira aspetti che interessano pure la dimensione culturale generale, in particolare quella linguistica, del fenomeno automobilistico. Fra questi, si segnala l’originale volume di Marco Fantuzzi dedicato alla storia del linguaggio usato dalla stampa automobilistica italiana nel quarantennio compreso fra l’anno 1956 e il 1996: i primi quarant’anni di vita della più popolare e nota rivista italiana del ramo, Quattroruote, che è servita da base per la costituzione del corpus documentale su cui l’autore ha operato. Una scelta non certo arbitraria, che nasce da una duplice oppor- 267 Besprechungen - Comptes rendus