eJournals Vox Romanica 59/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2000
591 Kristol De Stefani

Marco Fantuzzi, Per una storia della lingua della stampa automobilistica italiana. «Quattroruote» 1956-1996, Roma (Bulzoni) 1999, 201p.

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O.  Lurati
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schen sprechtechnischen Zügen festzustellen, die allgemein durch Reduzierung des artikulatorischen Drucks zu erklären ist» (263). Eterogeneità, a volte con apparenze contraddittorie, emerge altrettanto bene dalle autovalutazioni dei parlanti (un informatore con basso indice di dialettalità - 0,20 - afferma di parlare « . . . romanesco. Non esiste altro! », come nota gustosamente Bernhard a p. 259). L’opera è arricchita da una settantina di pagine di trascrizioni esemplificative, con traduzione italiana interlineare, di brani delle interviste con ogni informatore, cosa che ha fra l’altro il pregio di fornire un consistente corpus di romanesco odierno a pronta disposizione degli studiosi; da un’appendice con dettagliati grafici delle cooccorrenze di gruppi di variabili; e da microfiches con le tabelle per i calcoli statistici della frequenza delle varianti. Si tratta nel complesso, come sarà apparso chiaro anche dal nostro parziale e frammentario resoconto, di una ricerca di sociolinguistica urbana classica, fatta con encomiabile sistematicità e alto grado di approfondimento, con un riuscito triplice connubio fra impostazione generale di impianto coseriano, metodi della variazionistica quantitativa americana e dialettologia sociale europea, che porta a risultati senz’altro ottimi. Dispiace un po’ che si sia persa l’occasione di indagare anche la variazione diafasica (magari intervistando un numero inferiore di informatori, ma in situazioni comunicative significativamente diverse), talché la radiografia dello spazio varietistico romano odierno risultante dal lavoro rimane un po’ appiattita, per così dire, sulla sola dimensione diastratica. Le conoscenze sulla sociolinguistica del romanesco ne sono comunque molto incrementate, soprattutto quanto alla validazione inoppugnabile e rigorosa di fenomeni e tendenze note solo induttivamente o non più che per spunti di analisi. I fenomeni considerati coincidono in gran parte con quelli elencati in D’Achille/ Giovanardi 1995 (citato sopra), eccetto tratti marginali quali per es. nella morfologia la forma ava per aveva (tenuto presente da D’Achille/ Giovanardi ma non da Bernhard) o la forma utto al posto di tutto in posizione interna alla frase (presente in Bernhard, p. 168, ma non in D’Achille/ Giovanardi); e le conclusioni sono altresì pienamente congruenti: anche per D’Achille/ Giovanardi, «la situazione linguistica di Roma appare tutt’altro che stabilmente definita, e comunque mostra caratteristiche diverse dal tradizionale, invocato ‹disfacimento› della parlata locale . . . italiano e romano sono, oggi come ieri, a un passo dalla congiunzione, ma la distanza, pur breve, sembra destinata a non colmarsi mai, o meglio a riproporsi continuamente, con riferimento a fenomeni diversi» (p. 407). Situazione che non sembra avere riscontri nel panorama linguistico italo-romanzo: Roma è, insomma, un unicum anche in questa particolare prospettiva. G. Berruto H Marco Fantuzzi, Per una storia della lingua della stampa automobilistica italiana. «Quattroruote» 1956-1996, Roma (Bulzoni) 1999, 201p. L’anno del centenario della più importante industria automobilistica italiana è coinciso con iniziative editoriali di diversa rilevanza e impostazione che, al di là dell’occasione che le hanno suscitate, hanno visto concretizzarsi anche progetti che pur essendo nati al di fuori del suo stretto dominio di pertinenza, hanno avuto come punto di mira aspetti che interessano pure la dimensione culturale generale, in particolare quella linguistica, del fenomeno automobilistico. Fra questi, si segnala l’originale volume di Marco Fantuzzi dedicato alla storia del linguaggio usato dalla stampa automobilistica italiana nel quarantennio compreso fra l’anno 1956 e il 1996: i primi quarant’anni di vita della più popolare e nota rivista italiana del ramo, Quattroruote, che è servita da base per la costituzione del corpus documentale su cui l’autore ha operato. Una scelta non certo arbitraria, che nasce da una duplice oppor- 267 Besprechungen - Comptes rendus tunità: da un lato quella di percorrere un vasto territorio piuttosto trascurato finora dagli specialisti, dall’altro quella di cogliere la disponibilità di accesso alla collezione della più importante e «vecchia» rivista italiana del ramo, che ha superato i quarant’anni di esistenza. Già questo dato suggeriva di compiere un’analisi in prospettiva diacronica su una lingua che presenta ad un tempo i tratti di un linguaggio moderatamente specialistico e quelli della lingua comune, dalla quale trae e a cui fornisce un’ampia riserva di espressioni figurate di larga circolazione. Preso atto da un lato della dimensione di massa del fenomeno automobilistico (30 milioni di auto circolanti in Italia, dove praticamente ogni cittadino adulto è e si sente automobilista) e dall’altro dello scarso rilievo avuto sin qui dalla dimensione linguistica ad esso connessa (nonostante la massiccia diffusione della stampa specializzata, con 103 periodici e quasi 20 milioni di copie di tiratura secondo dati del 1991), il volume analizza i rapporti fra il linguaggio settoriale dell’automobilismo e vari usi di lingua, mettendo in luce le espressioni più caratteristiche che passano dall’uno nell’altra. In particolare viene rilevato con una convincente serie di esempi colti sulla grande stampa italiana d’informazione come ai più diffusi idiotismi derivati tradizionalmente dal ciclo delle stagioni, dal lavoro dei campi e dalle attività artigianali di un tempo (si pensi a tirare la carretta, dare un colpo al cerchio e uno alla botte, mettere il carro davanti ai buoi, ecc.) si sovrapponga via via una sempre più ampia messe di locuzioni di origine automobilistica che tendono a fissarsi in espressioni idiomatiche di larga circolazione: ciò anche grazie all’effetto amplificatorio dei mass-media. Oltre ai casi già da più parti segnalati (in particolare da studiosi come Gian Luigi Beccaria, Maurizio Dardano e Angelo Fabi), come battere in testa, ingranare, essere su di giri, Fantuzzi registra esempi anche più sorprendenti e significativi, non infrequenti soprattutto nel discorso della politica e del giornalismo sportivo (da corsia di sorpasso a essere targato, da squadra a trazione anteriore a avere la spia della benzina accesa, con un isolato ma significativo manovra di punta e tacco, ove si intende che, similmente a quanto si faceva in passato per cambiare marcia, l’Italia ha bisogno di pigiare sull’acceleratore degli investimenti ma nel contempo debba agire sul pedale del freno della spesa pubblica). Quanto poi certi usi metaforici «spericolati» incidano sulle mode linguistiche del momento è confermato dal constatare come esse seguano persino l’evoluzione della tecnica automobilistica, la quale, da qualche anno, ha reso generale l’impiego di cambi di velocità a cinque marce; il fatto tecnico viene non di rado registrato da usi in cui alla tradizionale e collaudata espressione metaforica partire in quarta si sovrappone già qualche sporadico partire in quinta (30s.). Particolare rilievo accorda questo bel saggio all’analisi della terminologia specifica e delle direttrici lungo le quali se ne osserva l’evoluzione nel quarantennio considerato. Il collega Fantuzzi osserva come il lessico automobilistico, fissatosi da anni nei suoi costituenti di base e per sua natura poco innovativo, si rigeneri per vie interne mediante i meccanismi della composizione e della derivazione, oltre che grazie ai neologismi tecnici assunti da altri sottocodici o alla generalizzazione di termini inglesi e internazionali. L’automobile è, infatti, un prodotto industriale maturo che, in quanto tale, si è assestato da decenni sia dal punto di vista tecnico sia, per conseguenza, da quello della nomenclatura specifica, visto che, al di là dei perfezionamenti e delle poche reali innovazioni adottate nel corso degli anni, «un’automobile dei nostri giorni rimane dunque, nella sua struttura e nelle sue componenti fondamentali, molto simile a una di inizio secolo e ancor più a una di quaranta o di cinquant’anni or sono» (37). E oltre ad essere limitato (circa 4 mila componenti, cf. 38), il numero dei suoi componenti tende addirittura a diminuire (per la necessità di ridurre i costi). Da ciò deriva un lessico tecnico intrinsecamente poco innovativo (a parte quello mutuato da elettronica e informatica), e però ricco di neologismi ottenuti soprattutto per derivazione e composizione a partire da basi preesistenti. Il che si configura come una sorta di variazione continua su temi dati e facilmente riconoscibili. Vedi anche qui la produtti- 268 Besprechungen - Comptes rendus vità dei diminutivi in -ino (tegolino, calandrina, capotina, mascherina, cruscottino, ruotino, alberino, ecc.) e -etto (telaietto, grondaietta, candeletta, ecc.) con cui derivati occasionali tendono a essere lessicalizzati con significato autonomo e più qualificato in senso tecnico. Sul versante dei composti con prefissi e prefissoidi, di particolare rilievo sono anche qui le formazioni destinate a evocare elativamente la componente tecnologica del prodotto automobilistico, come quelle con i prefissoidi super- (da supergiardinetta a superturbo), iper- (ipermotorizzato), ultra- (ultrasportivo) e pluri- (pluriadattato, plurivalvole), oltre all’ormai inflazionato turbo-, che offre vaste possibilità d’impiego anche negli usi figurati (si pensi al recente turbocapitalismo). I composti con prefissoidi o radici verbali di verbi di movimento, poi, appaiono particolarmente adatti a sottolineare in modo descrittivo gli automatismi o i dispositivi protettivi di cui le automobili moderne sono ricche: auto- (autoavvolgente, autobloccante, autolivellante), anti- (antinebbia, antintrusione, antislittamento), servo- (servofreno, servosassistito), poggia- (poggiabraccia, poggiagomiti, poggiareni) e simili. L’internazionalizzazione delle terminologie tecnico-scientifiche è d’altra parte all’origine dell’alto tasso di anglicismi (sigle, calchi e prestiti) rilevati soprattutto nell’ultimo decennio. Si pensi a termini come restyling, crash-test, multipoint, abs e molti altri. Spesso pure qui si tende a sostituire il termine inglese all’equivalente italiano anche quando questo abbia una sua lunga e affermata circolazione: si pensi al classico giardinetta (o familiare) ormai quasi del tutto soppiantato in ogni occorrenza dall’inglese station-wagon, a conferma di una mai sopita propensione per gli esotismi suscettibili di nobilitare il prodotto o di qualificarlo maggiormente in senso tecnologico. Vedi pure il caso di airbag, rivelatosi vincente su un primitivo cuscino d’aria che pure era in uso ai tempi della prima affermazione di questo importante accessorio salvavita, verso il 1972. Incisivo l’impatto che viene fatto assumere a tecnicismi mutuati da altre discipline, soprattutto da aeronautica (portellone, abitacolo, ala, derapata) e architettura, da cui provengono termini come cupolino, modanatura, fregio, tegolino, padiglione, oltre ad arredamento, mobiletto, plafoniera che sembrano sottolineare anche quell’ormai raggiunta dimensione abitativa dell’automobile che già era stata rilevata da Roland Barthes. Sulle metafore antropomorfe e zoomorfe che accompagnano la storia dell’automobile, sottolineando gli stretti legami anche affettivi con essa da sempre intrattenuti, già si era soffermato Angelo Fabi. Oltre ai tratti fisici così evocati, faccia, baffi, palpebre, occhi (cioè i fari, che talvolta, nel caso delle automobili giapponesi, possono essere persino a mandorla), la ricerca di Fantuzzi fa emergere frequenti usi metaforici relativi alla genealogia (sorella, gemella, nonna) e alla famiglia (cioè la casa costruttrice) e anche aggettivi destinati a sottolineare determinate caratteristiche fisiche (tozzo, tracagnotto, muscoloso) e caratteriali (di temperamento) dei vari modelli (orientaleggiante, brioso, nervoso, ecc.), che sarebbero piuttosto proprie degli esseri umani. Dal punto di vista argomentativo e sintattico, emerge anche qui un progressivo abbandono di moduli ipotattici e di derivazione letteraria nonché l’affermarsi di uno stile più lineare e denotativo, in cui convivono tuttavia moduli della lingua comune, spezzoni di linguaggi settoriali tecnici e cultismi alla moda di derivazione politica e giornalistica, a conferma dell’esistenza di reciproci rapporti di scambio operanti in tutti i comparti e in tutte le modalità d’uso degli usi dell’italiano oggi. Si possono comunque individuare numerosi stereotipi specifici, in particolare collocazioni e sintagmi fissi generati dalla stampa automobilistica stessa. Si osserva una mescolanza di lingua comune e di tecnicismi su cui si innestano stilemi propri che ne rappresentano il tratto segnaletico forse più rilevante. Il linguaggio usato dalla stampa automobilistica è però percorso anche da non meno significative spinte e controspinte destabilizzanti, che si palesano in una sorta di dialettica della «semplificazione-complessificazione», ad illustrare la quale vale, meglio di ogni altro, l’esempio delle sorti conosciute nel quarantennio considerato da un termine chiave come 269 Besprechungen - Comptes rendus motore. L’autore registra una serie di esempi sintomatici della costante tendenza a passare da una soluzione semplice a una più complessa e viceversa. Nel caso di motore si assiste dapprima alla sua progressiva sostituzione in molte occorrenze con il sintagma complesso gruppo motopropulsore, che in un secondo tempo viene sdoppiato in propulsore da un lato, nel semplice gruppo dall’altro; entrambi sono così stati fatti diventare quasi sinonimi, più connotati in senso tecnico, di motore. Ma a loro volta possono poi essere soppiantati, secondo un analogo processo di complessificazione, dal sintagma unità motrice, poi soggetto a venir di nuovo semplificato nell’uso assoluto di unità, che è attualmente il termine più frequente per dire motore. Fenomeni analoghi sono riscontrabili a proposito dei fanali (diventati dapprima fari, poi proiettori e, infine, gruppi ottici o anche compresi nel collettivo astratto fanaleria) o dei freni (da cui impianto frenante o dispositivo di frenatura). L’abbondanza di termini ed espressioni figurate di origine automobilistica, riscontrabili nell’oralità corrente e anche sulla stampa quotidiana, conferma come non sia trascurabile l’impatto di questo mondo (con le connesse mentalità) al modificarsi dell’uso della cosiddetta lingua comune, favorito per altro dall’alto tasso di motorizzazione raggiunto in Italia e, parallelamente, dalla grande diffusione della stampa specializzata; significativa in proposito la notizia che «tra i mensili pubblicati in Italia, solo il Messaggero di Sant’Antonio ha una tiratura superiore» (32). Lo studio, che si impone per chiarezza di impostazione e per novità di accertamenti, consentendo tra l’altro di retrodatare numerosi termini automobilistici diventati di uso corrente, è completato da una bibliografia plurilingue e da un ricco (quasi ottocento entrate) indice analitico. Un libro che si consulta e legge con profitto, pure per le prospettive che apre sulle proiezioni di attese e di prestigio (suscitate anche da uno scaltrito discorso pubblicitario) che molti di noi continuano a fare sull’automobile. O. Lurati H Ricarda Liver, Rätoromanisch. Eine Einführung in das Bündnerromanische, Tübingen (Narr) 1999, 192 p. (Narr Studienbücher) Die meisten Studierenden der Romanistik werden wohl nur in selteneren Fällen in wirklich engen Kontakt mit dem Rätoromanischen treten oder gar eine seiner Varietäten tatsächlich erlernen, aber doch wird es für einige wenige immer wieder einen Anlass geben, sich grundlegende Informationen in gut aufgearbeiteter Form aus zuverlässiger Expertenhand zu wünschen. Diesem Wunsch, den man bislang nicht guten Gewissens mit der spontanen Angabe eines einzigen Einführungswerkes bibliographisch erfüllen konnte, sucht Ricarda Liver mit dem hier anzuzeigenden «Narr Studienbuch» gerecht zu werden - mit großem Erfolg, das sei gleich zu Anfang gesagt. So wird ein wohl von jedem, der je rätoromanische Themen im akademischen Unterricht behandelt hat, empfundenes Desiderat erfüllt, nämlich «eine Synthese» der «vielfältigen Forschungsbeiträge, die einem nicht spezialisierten Leser den Einstieg in die Rätoromanistik erleichtert» (13). Anders als normalerweise in der Romanistik nötig, ist zunächst eine genaue Klärung dessen, was unter dem Sprachnamen zu verstehen sei, absolut unerlässlich - und damit sind wir schon mitten in einem campo minato, nämlich mitten in der leidigen questione ladina, die seit nunmehr bald einem Jahrhundert Forschungskapazitäten, die relevanteren Fragen gewidmet werden könnten, bindet und die Atmosphäre zwischen «Ascolianern» und «Battistianern» vergiftet; die Erstgenannten glauben auf den Spuren von G. I. Ascoli an eine in Opposition zu norditalienischen Sprachformen stehende unità ladina vom Gotthard bis zur Adria, repräsentiert vom Bündnerromanischen, Dolomitenladinischen und Friaulischen, 270 Besprechungen - Comptes rendus