Vox Romanica
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Francke Verlag Tübingen
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Kristol De StefaniFrede Jensen, Troubadour Lyrics. A Bilingual Anthology, New York/Washington (Lang) 1998, 593 p.
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Ute Limacher-Riebold
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Bleibt noch das letzte Unterkapitel der Einleitung, das mit L’autre chanson überschrieben ist (49ss.) und sich vordringlich mit der Quellenfrage befaßt. Die Sainte Foi fußt auf einem lateinischen Prosatext (Passio Sanctorum Fidis et Caprisii), auf einem lateinischen Verstext (Passio metrica Sanctorum Fidis et Caprisii) 4 , sowie auf einem Text von Lactanz, De mortibus persecutorum - alle drei im benediktinischen Umfeld gut dokumentiert. Im Anschluß an Alfaric analysiert Lafont die Quellenverarbeitung durch den Autor der Sainte Foi gründlich und überzeugend. Damit aber nicht genug. Aufgrund einer Reihe von Anspielungen (bzw. als Anspielungen oder Verweise interpretierten Stellen im Text) schließt Lafont auf eine weitere Quelle: l’autre chanson, eine Art okzitanischer Ur-Roland. Und hier befinden wir uns wieder im Bereich der gewagten Spekulation. Der Text selbst (mit Übersetzung) umfaßt die Seiten 58-99. Sowohl Ausgabe wie Übersetzung überzeugen. Besonders auffällig ist, daß Lafont die von ihm behauptete Couplet- Struktur der Laissen (mit einem vers orphelin am Ende) auch vom Layout her durchhält. Es folgen dann die Notes (153-79), die v. a. auf den Vorarbeiten von Alfaric/ Hoepffner basieren, ein sehr umfangreiches und nützliches Glossar, sowie ein Namenindex.Alles in allem eine sehr schöne und anregende Ausgabe - auch wenn man nicht bereit ist, die allzu spekulativen Elemente in Lafonts Einleitung zu übernehmen: Anregend sind auf jeden Fall selbst diese! P. W. H Frede Jensen, Troubadour Lyrics. A Bilingual Anthology, New York/ Washington (Lang) 1998, 593 p. Dopo essersi dedicato alla poesia ispiratasi alla tradizione trovadorica in The Earliest Portoguese Lyrics (1978) e nelle antologie: The Poetry of the Sicilian School (1986), Medieval Galician-Portoguese Poetry (1992) e Tuscan Poetry of the Duecento (1994), F. Jensen ha pubblicato (nel 1998) una antologia sulla lirica dei trovatori occitanici stessi. La parte introduttiva del volume contiene una panoramica generale sulla produzione lirica occitanica ed una breve presentazione delle sue caratteristiche più importanti, tra cui gli aspetti della versificazione, i generi, il trobar leu ed il trobar clus (1-51). Nella parte antologica sono raccolti novanta componimenti con la loro traduzione inglese, di rispettivamente trenta tra i più importanti trovatori (62-439). I singoli componimenti elencati nell’indice dei capoversi (Index of first lines, 591-93), sono completati da note esplicative alla fine del volume (Textual notes, 441-589). Nel breve capitolo Language (1-2), oltre a dare una breve spiegazione del trobar e dei diversi termini usati nelle varie epoche per designare la lingua dei trovatori (cf. provençal, occitan ecc.), Jensen elenca tre tra le caratteristiche fonologiche più importanti, quali la n- «mobile» (barone > baron vs. baró), la palatalizzazione di [k] davanti ad [a] e gli esiti del nesso latino -ctin [jt] o [ts], senza però specificarne la diffusione geografica. Anche se l’intento di Jensen è di «[familiarize] the readers with a poetry that would otherwise remain inaccessible» (xiii), questa parte, a parer nostro, avrebbe dovuto essere sviluppata ulteriormente, o perlomeno essere completata con rimandi bibliografici. Per quel che riguarda la problematica della trasmissione della lirica occitanica in canzonieri (The Transmission Process, 3), Jensen rinvia alle loro descrizioni in M. de Riquer, C. di Girolamo e A. Pillet e 350 Besprechungen - Comptes rendus 4 Die Rolle von Caprisius ist in der Sainte Foi allerdings anulliert worden. H. Carstens 1 menzionando soltanto alcuni canzonieri musicali (cf. g, r, w e x) e cita gli studi di F. Gennrich, J. Beck e H. van der Werf 2 , ai quali ci permettiamo di aggiungere - rimanendo in ambito anglofono - quelli di Margaret L. Switten 3 , S.N. Rosenberg et al. 4 ed Elisabeth Aubrey 5 . Nel capitolo Troubadours and Jongleurs (4-6), Jensen da una breve spiegazione etimologica dei due termini, per poi passare ad illustrare il ruolo che i troubadours e jongleurs rivestivano nella società medievale francese. I pochi dati storico-biografici sono traditi da alcune vidas e razos (Vidas and Razos, 6s.) di cui Jensen sottolinea la «greatest importance as the earliest specimens of Provençal prose» (7), il cui valore documentario è però legato alla generale problematica della attendibilità di dati raccolti da biografi (cita come esempio lo studio su Folquet de Marseille di S. Stronski 6 ). Con la grammatica piuttosto prescrittiva delle Razós de trobar, Ramon Vidal de Besalù diede l’inizio ad una corrente che ebbe le sue continuazioni con il Donatz proensals di Uc Faidit (1243) e Las leys d’amors di Guilhem Molinier, da cui si possono tutt’ora ricavare informazioni sulla grammatica, la retorica e la versificazione trovadorica (Grammatical and Poetic Treatises, 7). Segue, nel capitolo Versification (7-9), una introduzione alla terminologia fondamentale (cf. da coblas singulars, alternadas, unissonans, doblas ecc. a rims equivocs, rimas retrogradadas, rima cara), in cui viene specificato tra l’altro che all’uso del termine «verso» è preferibile, sin dalle Leys d’amors, il termine di bordó, vers designando in effetti il genere della cansó (cf. nella vida di Marcabru: «et en aqel temps non appellava hom cansson, mas tot qant hom cantava eron vers»). Nella parte dedicata ai generi lirici (Genres, 9-15), divisi in due gruppi distinti secondo il loro contenuto (cansós, sirventes, planhs, alba ecc.) e secondo la loro forma (balada, dansa ecc.), si trovano menzionati anche generi «minori» quali la retroencha e la estampida (14), tra cui mancano però l’escondich e l’enueg, anche se fanno parte dei testi compresi nella parte antologica del volume (Ieu m’escondisc, domna, que mal no mier di Bertran de Born [cf. 260 e 528]; e Be m’enueia, s’o auzes dire di Lo Monge de Montaudó [cf. 338 e 554]). L’inquadramento dei generi lirici rimane ad un livello superficiale, prettamente descrittivo, in cui manca qualsiasi riferimento storico che p.es. verso la fine del xiii e secolo sarebbe stato importante sottolineare soprattutto per quel che concerne il genere del sirventese. Il breve accenno all’abilità tecnica dei trovatori (Technical Skills, 15) termina con l’asserzione generale che «it is not clear where and how the troubadours acquired their technical skills» (15). Illustrando i vari stili dei trovatori, riconducibili ai ornatus facilis e ornatus difficilis (Trobar leu and Trobar clus, 15s.), Jensen cita p.es. Ebles ii de Ventadorn come maggior esponente del trobar leu, predecessore di Bernart de Ventadorn, Jaufre Rudel ecc. (14), Marcabru come rappresentante del trobar clus e Arnaut Daniel del trobar ric (15). Fin’amor, veraia amor o bona amor (Fin’ amor, 17-19) in quanto «sublimated love addressed to a lady who is absent in the poem», ovvero «a refined love which the fins amanz 351 Besprechungen - Comptes rendus 1 M. de Riquer, Los trovadores, Barcelona 1979: 12-14; C. di Girolamo, I trovatori, Torino 1989: 6- 8; A. Pillet/ H. Carstens, Bibliographie der Troubadours, Halle 1933: vii-xliv; nel testo, Jensen cita soltanto i nomi e le pagine (senza data, titolo ecc.). 2 F. Gennrich, Der musikalische Nachlass der Troubadours, 3 vol., Darmstadt 1958-65; J. Beck, La musique des troubadours, Paris 1910; H. van der Werf, The Extant Troubadour Melodies, New York 1984. 3 Margaret L. Switten, Music and Poetry in the Middle Ages: A Guide to Research on French and Occitan Song, 1100-1400, New York 1995. 4 S.N. Rosenberg/ Margaret L. Switten/ G. Le Vot, Songs of the Troubadours and Trouvères: An Anthology of Poems and Melodies, New York/ London 1998; accompagnato da compact-disc. 5 Elisabeth Aubrey, The Music of the Troubadours, Bloomington/ Indianapolis 1996. 6 S. Stronski, Le troubadour Folquet de Marseille, Cracovie 1910 [reprint, Genève 1968]. adresses to a lady, dominates all genres with the exception of the satirical poetry» e costituisce «the principal and almost exclusive theme of the troubadour cansó» (17). A questa definizione segue una introduzione ai termini più correnti nella lirica trovadorico-amorosa, come amor de lonh, mercé, pretz, joy, senhal, drut, fenhedor, domna, lauzengiers, gilos, solatz, gazardó e mezura, largueza, joven e joi ecc. Le origini della fin’amor restando tuttavia oscure (Origins, 19s.), Jensen presenta le diverse teorie concernenti la lirica trovadorica: la storico-sociologica (20), la «Medieval Latin Theory» (20s.), la «Liturgical Theory» (21), la «Arabic Theory» (21s.) e la «Popular Poetry Theory» (22s.) 7 , per arrivare alla conclusione che «[it is impossible to seeking] the inception of troubadour lyrics in a single source. Troubadour poetry is a complex artistic phenomenon stemming from a convergence of varied forces, a synthesis of many cultural currents» (23) (A Synthetic Explanation, 23). Per quel che concerne le Internal Characteristics of Troubadour Lyrics (23), Jensen sottolinea la ripetizione tematica, la perfezione rimica e ritmica, «hallmark of troubadour lyrics» e sconsiglia interpretazioni personalizzate: «the poetic function is assumed by clichés and technical formulas; the themes are preestablished, and it would be vain for the modern critic to look for elements of sincerity or of personal confidence» (23). Nel breve accenno alle tappe della lirica occitanica, privo anch’esso di dati storico-politici, Jensen si accontenta di tracciarne lo sviluppo: nasce prima del 1100, giunge al suo apice tra il 1150 ed il 1200, per cominciare il suo declino verso il 1225, e terminare definitivamente verso il 1300 (Decline of Troubadour Lyrics, 24). Il suo declino è sí spiegato con la crociata albigense (dal 1208 al 1229), ma non vi è alcun accenno alla profonda mutazione sociale e politica, nonché linguistica che ha subìto l’Occitania verso la fine del xiii secolo. Lo spazio più ampio della parte introduttiva è dedicato ai trovatori (The Poets, 24-50). Seguendo la periodizzazione di Friedrich Diez, Jensen vi presenta Guilhem de Peitieu, Marcabru, Cercamon e Jaufre Rudel del primo periodo (fino alla fine 1140), Rigaut de Barbezilh, Peire d’Alvernhe, Bernart de Ventadorn, Raimbaut d’Aurenga, Guiraut de Bornelh, Folquet de Marselha, Arnaut Daniel, Arnaut de Maruelh, Bertran de Born, Gaucelm Faidit, Comtessa de Dia, Raimbaut de Vaqueiras, Peire Vidal della seconda epoca (1140-1250), e Perdigon, Aimeric de Perguilhan, Lo Monge de Montaudó, Gavaudan, Guilhem de Cabestanh, Peirol, Falquet de Romans, Guilhem Figueira, Bertran d’Alamanon, Guilhem de Montanhagol, Sordel, Peire Cardenal e Guiraut Riquier della terza epoca (1250-fine xiii secolo). Mancano invece Cerveri di Girona e Bartolome Zorzi, anche se citati nella parte introduttiva al volume (1). In questo capitolo vengono forniti i dati più importanti concernenti la biografia, la produzione poetica e le tematiche più caratteristiche dei singoli trovatori. I rinvî intratestuali sono purtroppo assai vaghi, come ad esempio l’accenno alla tematica epica in Bertran de Born: «this affinity with the epic is evident in the vocabolary; certain passages in Bertran’s poem Ar ve la coindeta sazos have an almost exact equivalent in the Chanson de Roland» (36). Segue poi la parte antologica (62-439), in cui i vari componimenti degli autori sopra citati sono ordinati secondo autore. Per quel che riguarda la loro traduzione inglese, l’intento di Jensen era di rimanere il più fedele possibile al testo originale a discapito della rima: «I have made no attempt to maintain the rhythm of the Occitan poetry, let alone the rhyme schemes . . . » (xiii). Le note esplicative che fanno seguito alla parte antologica sono precedute ogni volta da un rinvio alle edizioni contenenti il componimento in questione (indicate in bibliografia), la catalogazione di quest’ultimo (cf. BdT e Franck), l’elenco dei manoscritti 8 , un breve riassunto del contenuto e la struttura metri- 352 Besprechungen - Comptes rendus 7 Rinvia agli studi di Köhler, Hennig Brinkmann, Conrad Burdach, Julian Ribeira ecc., omettendo però i riferimenti in bibliografia. 8 L’indicazione delle sole sigle dei manoscritti non permette ad un lettore non esperto di risalire alla collocazione esatta dei codici. È dunque indispensabile ricorrere all’aiuto di opere più esaustive. ca. Pur indicando le varianti manoscritte su cui si basa il testo nella parte antologica, Jensen precisa che: «I have chosen a base manuscript, but I have not been bound to the base when other readings seemed superior or afforded greater clarity» (50). Mancando uno stemma codicum, osservazioni come «this is the order in which the two nouns appear in the adikn group, while the v family proposes the opposite sequence, which is produced by Appel» 9 , rendono indispensabile il ricorso ad informazioni più precise sulla tradizione manoscritta. In generale, le note esplicative contengono informazioni che vanno dalla mera traduzione del testo (p.es. per quel che concerne il v. 39 «mos sos levatz» di Era’m platz, Giraut de Bornelh di Raimbaut d’Aurenga: my elevated tunes [502]) a spiegazioni più complesse p.es. di ordine sintattico. Così per il v. 24 «que’us me rendes», di Reis glorios, verais lums e clartatz di Guiraut de Bornelh: «Occitan syntax allows quite freely for the combination of two pronouns of the first and second person, one an accusative [‘us in this passage] and the other a dative [me here], this in spite of the ambiguity resulting from the fact that these pronouns display no formal case distinction . . . » (509). In complesso, il volume fornisce una panoramica introduttiva alla lirica occitanica medievale. L’antologia bilingue con le note esplicative permette sí di avvicinarsi ai testi ed alle problematiche che questi comportano, ma dal punto di vista storico-letterario manca un quadro esplicativo. Infine, la bibliografia piuttosto «indicativa» (Selected bibliography, 51-60), rende indispensabile il ricorso ad altre opere (o mezzi bibliografici più moderni) per colmare alcune lacune (cf. N7). Ute Limacher-Riebold H Nadine Henrard, Le Théâtre religieux médiéval en langue d’oc, Liège (Genève, Diffusion Librairie Droz) 1998, 640 p. (Bibliothèque de la Faculté de Philosophie et Lettres de l’Université de Liège 273) Una precisazione si impone prima di affrontare l’esame di questo importante lavoro e si oppone alle distinzioni operate dall’autrice nella sua prefazione. Sebbene profane e sussurrate, le farciture occitaniche senz’altro più note sono quelle della Pax delle venti messe che annodano Guillems a Flamenca: il dialogo (« Ai las! Que plains? Mor mi De que? . . . »), intessuto di citazioni da una canzone di Peire Rogier, Ges no posc en bo vers faillir (BdT 356,4), e la lingua dei bisillabi, a tutti gli effetti cantabili, introdotti surrettiziamente nella liturgia, rappresentano infatti i due parametri definitori del dramma religioso, preso in esame nel volume di cui qui si dà conto. Prima e dopo quest’apice parodico, rimangono ventisette testi teatrali in lingua d’oc, tra i quali si segnala, affine all’episodio di Flamenca, il solo Jeu de sainte Agnès, che esibisce contrafacta da modelli musicali sacri e cortesi, secondo una stessa figura bifronte, presto scomparsa 1 . L’esame di questa produzione come insieme complessivo è già stato ben impostato da A. Jeanroy, «Observations sur le théâtre méridional du xv e siècle», R 23 (1894): 525-60, nella tarda prospettiva di due grandi cicli: la raccolta nota come Mystères rouergats (da un manoscritto del xv secolo, che comprende da solo dodici 353 Besprechungen - Comptes rendus 9 Cfr. v. 9-11 di Tant ai mo cor ple de joya (490). 1 Non pari a quelle sacre le competenze dell’autrice in àmbito lirico: si segnalano le sviste «Guillaume ix (BdT 181,2)» e «Pos vezem de novel florir (BdT 181,11)» (19) per il corretto BdT 183. A 499 (cf. anche 618) poi si legge «une autre pièce de la même veine d’inspiration, Per la frej’aura qu’es venguda de lay, de Bernard de Ventadorn»: il verso citato non è un incipit e non è di Bernart de Ventadorn, ma è il v. 17 dell’alba anonima En un vergier sotz fuella d’albespi (BdT 461,113) ed è per di più attestato dall’unico manoscritto nella forma «Per la doss’aura qu’es venguda de lay», cf. B. Spaggiari, «Il tema ‹west-östlicher› dell’aura», SM 26 (1985): 185-290, 256.
