Vox Romanica
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Francke Verlag Tübingen
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2000
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Kristol De StefaniNadine Henrard, Le Théâtre religieux médiéval en langue d’oc, Liège (Genève, Diffusion Librairie Droz) 1998, 640 p. (Bibliothèque de la Faculté de Philosophie et Lettres de l’Université de Liège 273)
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2000
Paola Allegretti
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ca. Pur indicando le varianti manoscritte su cui si basa il testo nella parte antologica, Jensen precisa che: «I have chosen a base manuscript, but I have not been bound to the base when other readings seemed superior or afforded greater clarity» (50). Mancando uno stemma codicum, osservazioni come «this is the order in which the two nouns appear in the adikn group, while the v family proposes the opposite sequence, which is produced by Appel» 9 , rendono indispensabile il ricorso ad informazioni più precise sulla tradizione manoscritta. In generale, le note esplicative contengono informazioni che vanno dalla mera traduzione del testo (p.es. per quel che concerne il v. 39 «mos sos levatz» di Era’m platz, Giraut de Bornelh di Raimbaut d’Aurenga: my elevated tunes [502]) a spiegazioni più complesse p.es. di ordine sintattico. Così per il v. 24 «que’us me rendes», di Reis glorios, verais lums e clartatz di Guiraut de Bornelh: «Occitan syntax allows quite freely for the combination of two pronouns of the first and second person, one an accusative [‘us in this passage] and the other a dative [me here], this in spite of the ambiguity resulting from the fact that these pronouns display no formal case distinction . . . » (509). In complesso, il volume fornisce una panoramica introduttiva alla lirica occitanica medievale. L’antologia bilingue con le note esplicative permette sí di avvicinarsi ai testi ed alle problematiche che questi comportano, ma dal punto di vista storico-letterario manca un quadro esplicativo. Infine, la bibliografia piuttosto «indicativa» (Selected bibliography, 51-60), rende indispensabile il ricorso ad altre opere (o mezzi bibliografici più moderni) per colmare alcune lacune (cf. N7). Ute Limacher-Riebold H Nadine Henrard, Le Théâtre religieux médiéval en langue d’oc, Liège (Genève, Diffusion Librairie Droz) 1998, 640 p. (Bibliothèque de la Faculté de Philosophie et Lettres de l’Université de Liège 273) Una precisazione si impone prima di affrontare l’esame di questo importante lavoro e si oppone alle distinzioni operate dall’autrice nella sua prefazione. Sebbene profane e sussurrate, le farciture occitaniche senz’altro più note sono quelle della Pax delle venti messe che annodano Guillems a Flamenca: il dialogo (« Ai las! Que plains? Mor mi De que? . . . »), intessuto di citazioni da una canzone di Peire Rogier, Ges no posc en bo vers faillir (BdT 356,4), e la lingua dei bisillabi, a tutti gli effetti cantabili, introdotti surrettiziamente nella liturgia, rappresentano infatti i due parametri definitori del dramma religioso, preso in esame nel volume di cui qui si dà conto. Prima e dopo quest’apice parodico, rimangono ventisette testi teatrali in lingua d’oc, tra i quali si segnala, affine all’episodio di Flamenca, il solo Jeu de sainte Agnès, che esibisce contrafacta da modelli musicali sacri e cortesi, secondo una stessa figura bifronte, presto scomparsa 1 . L’esame di questa produzione come insieme complessivo è già stato ben impostato da A. Jeanroy, «Observations sur le théâtre méridional du xv e siècle», R 23 (1894): 525-60, nella tarda prospettiva di due grandi cicli: la raccolta nota come Mystères rouergats (da un manoscritto del xv secolo, che comprende da solo dodici 353 Besprechungen - Comptes rendus 9 Cfr. v. 9-11 di Tant ai mo cor ple de joya (490). 1 Non pari a quelle sacre le competenze dell’autrice in àmbito lirico: si segnalano le sviste «Guillaume ix (BdT 181,2)» e «Pos vezem de novel florir (BdT 181,11)» (19) per il corretto BdT 183. A 499 (cf. anche 618) poi si legge «une autre pièce de la même veine d’inspiration, Per la frej’aura qu’es venguda de lay, de Bernard de Ventadorn»: il verso citato non è un incipit e non è di Bernart de Ventadorn, ma è il v. 17 dell’alba anonima En un vergier sotz fuella d’albespi (BdT 461,113) ed è per di più attestato dall’unico manoscritto nella forma «Per la doss’aura qu’es venguda de lay», cf. B. Spaggiari, «Il tema ‹west-östlicher› dell’aura», SM 26 (1985): 185-290, 256. drammi, circa 9000 v.) e i cinque testi, scaglionati tra il 1503 e il 1512, designati insieme come Mystères alpins, con indicazione geografica che è anche di marginalità ed inaccessibilità. Il presente volume propone ora descrizione e revisione puntuale di tali drammi religiosi, con l’ambizione, conseguita e dichiarata, «de rassembler une somme importante de données sur des textes trop souvent ignorés; d’approfondir les recherches entreprises par tant d’illustres prédécesseurs en actualisant des dossiers ouverts dans des temps parfois très lointains; de faire découvrir les pièces les moins étudiées» (582). La chiave del libro è la disposizione cronologica, su quattro secoli, con un’asistematicità onestamente riconosciuta («Dans quelle mesure est-il d’ailleurs possible de réaliser la synthèse des caractéristiques d’une production aussi disparate? », 577), e l’articolazione è in due parti, che sono poi i due piani di analisi dei testi: Sources et influence du theâtre d’oc e Aspects stylistiques et dramaturgiques. Quattro sono i capitoli di ciascuna parte: i. Le Sponsus (15-28), ii. L’essor du drame au XIIIe et au XIVe siècle (29-82), iii. Le cycle de la Passion aux XVe et XVIe siècles (83-232), iv. La matière hagiographique aux XVe et XVIe siècles. Mystères alpins et textes satellites (233-396), per la prima parte, in cui si raccolgono le descrizioni codicologiche dei testimoni di ogni testo, se ne riassumono contenuto, storia e fortuna, e si propongono raffronti con fonti presumibili e drammi affini (soprattutto dal dominio oitanico). Nella seconda parte, dopo un regesto comparativo dell’elemento metatestuale che caratterizza tutti i drammi, «Les didascalies» (409-36), si affronta il loro esame metrico, «La versification» (437- 40), nei capitoli i. Dès origines au XIVe siècle (441-510), ii. Les essais de polymétrie chez les fatistes des campagnes (511-30), iii. L’influence française dans deux mystères alpins (531-60), iv. L’anisosyllabisme des textes du cycle de la Passion (561-76). Attraverso le due parti vanno quindi rintracciate le coordinate dei singoli testi drammatici: Sponsus (15-28 e 441-60), Fragments de Périgueux (29-33 e 461-62), Esposalizi de Nostre Dona sancta Maria Verges e de Jozep (34-41 e 463-64), Passion Didot (42-61 e 465-73), Jeu de sainte Agnès (62-82 e 474-510), Mystères rouergats (85-208 e 561-66), Lou Mysteri des Rampans (209-32 e 567-76), Historia sancti Anthonii (234-63 e 511-13), Moralitas sancti Heustacii (264-76 e 514-18), Istoria Petri et Pauli (277-88 e 534-47), Istorio de sanct Poncz (289-303 e 548-60), Ystoria sancti Andree (304-27 e 519-24), Ludus sancti Jacobi (328-41 e 525), Istoria translationis sancti [Martini] (342-78 e 526-28), Mystère de saint Barthélemy (379-96 e 529-30). Il materiale meritoriamente vagliato per ognuno di essi rappresenta la migliore messa a punto bibliografica disponibile e, proprio per l’impostazione scolastica, una sorta di base di partenza per ulteriori ricerche, con la precauzione però di una revisione diretta dei dati più perentori e di un allargamento almeno della bibliografia di lingua italiana. La recensione di un’opera tanto minuta ed effusa, ed insieme in qualche modo ricapitolativa di cose già note, richiede il parametro del dettaglio, anche se non sarà il caso di proporre una sorta di glossa continua, ma di soffermarsi sulle parti del lavoro critico più nuove ed inedite, proprio già nella prospettiva delle riflessioni supplementari che hanno suggerito. Il nucleo è costituito dai capitoli iii. Le cycle de la Passion aux XVe et XVIe siècles (83-232) e iv. La matière hagiographique aux XVe et XVIe siècles. Mystères alpins et textes satellites (233- 396), e, corrispondentemente ii. Les essais de polymétrie chez les fatistes des campagnes (511- 30), iii. L’influence française dans deux mystères alpins (531-60) e iv. L’anisosyllabisme des textes du cycle de la Passion (561-76). La materia è complessa, il lavoro di spoglio dei testi esauriente e soprattutto stimolante. I cosiddetti Mystères rouergats (85-208 e 561-66) sono trasmessi da un unico codice 2 scoperto nel 1888, e sono stati pubblicati da A. Jeanroy e H. Teulié, Mystères provençaux du 354 Besprechungen - Comptes rendus 2 A proposito delle peripezie di questo codice cartaceo non sembra comprovabile la prima tappa della sua storia «partie très vraisemblablement de Villefranche-de-Rouergue, [la copie] a cheminé vers le Sud-Ouest: elle passa notamment par Cordes dans le Tarn» (86), fatta coincidere con quinzième siècle, publiés pour la première fois avec une introduction et un glossaire,Toulouse 1893, e «L’Ascension. Mystère provençal du xv e siècle, publié pour la première fois», Revue de philologie française et provençale 9 (1895): 81-115, ad esclusione dell’ultimo testo del ciclo, edito solo molto più tardi Le Jugement dernier (Lo Jutgamen General). Drame provençal du xv e siècle, éd. par M. Lazar, Paris 1971. Il manoscritto trasmette i seguenti drammi: La creatio de Adam he de Eva (cc. 2r°-5v°), La Samaritana (cc. 5v°-7v°), La resurectio dels mortz (c. 8, 46 versi), Lo jutgamen de Jhesus de Nazaret (cc. 9r°-19r°), La sucitatio del Laze (cc. 20r°-28v°), La resucitatio del Laze (cc. 31r°-31v°, 46 versi, cancellati), Lo covit de Simon Lebros (cc. 31v°-35r°), La Resurect[i]o (cc. 36r°-42v°), Lo viatge de Emaus (cc. 42v°- 46v°), Joseph d’Arimathie (anepigrafo e con titolo degli editori, cc. 47r°-68v°), La Assentio de Nostre Senhor Jhesu Crist (cc. 69r°-78v°), Lo Jutgamen general (cc. 79r°-106v°). Anche se «l’actuel montage des feuillets sur onglets empêche malheureusement l’étude de la constitution primitive des cahiers» (89), mi pare che sia rintracciabile una struttura di ternioni, che la consecuzione immediata tra alcuni testi evidenzia nei seguenti blocchi: cc. 2-7, cc. 8- 19, cc. 20-30 (di solo 11 carte, in cui la c. 20 è «comme usée par un frottement ou détériorée par l’humidité» [90], dettaglio che si spiega bene per la prima carta di un fascicolo e che rende poco plausibile l’ipotesi che «les ff. 23 à 30 ont peut-être formé un quaternion écrit en un second temps» [N98], perché in questo caso la struttura 20-22 rimarrebbe dispari), cc. 31-68 (sono fogli volanti inseriti nell’attuale rilegatura le cc. 40 e 44), cc. 69-106 (la c. 76 è foglio volante). Questa supposizione codicologica trova conferma nella stratigrafia «derrière l’unité superficielle de la copie» (205), che viene fuori dall’ampio esame delle fonti dei singoli drammi (205-08). La studiosa ricostruisce infatti delle sequenze progettuali successive sulla base delle diverse fonti adoperate, principalmente la Passion Didot, Evangelium secundum Iohannem e Évangile de Gamaliel (citato anche nella traduzione provenzale dal manoscritto di Paris, B.N. f.fr. 24945), e sulla base dei due elenchi differenti contenuti alle cc. 29r°-30v° e c. 35r° (93-94 e 104-7). Questi ultimi non sono indici del manoscritto, ma appunto progetti autonomi rispetto al codice esistente, come dimostrato dalla loro collocazione atipica rispetto alla consecuzione delle parti, in «feuillets restés blancs entre un morceau et l’autre» (A. Jeanroy/ H. Teulié 1893: vi), e soprattutto dalla non congruenza con il contenuto del volume: non soltanto per quello che non viene trasmesso dal suo assetto attuale (accidentalità che non prova nulla), ma per quello che il volume contiene e non figura nei due elenchi. Dove, d’altra parte, per testi la cui consecuzione è fissata dalla copia sulla stessa facciata di una carta, si ritrova anche inversione nell’ordine di successione (Intrada e Covit), o interruzione per la frapposizione di almeno due drammi (come tra Creatio e Samaritana). In nessuno degli elenchi poi è possibile reperire con sicurezza il titolo del dramma delle cc. 47r°-68v°, restato anepigrafo (100-03 e 105s.). Uno dei punti di forza dello studio che qui si esamina è il rilievo sistematico delle fonti: la presenza certa, sullo sfondo, del vasto patrimonio evangelico, apocrifo, agiografico e omiletico rende più invitante la ricerca delle fonti dirette. Per alcuni di questi drammi la 355 Besprechungen - Comptes rendus la patria della pergamena utilizzata, posteriormente ad una prima fase, come copertura del volume («Le premier folio et le dernier [ex-104 devenu 107] servaient originairement de couverture, puis le volume fut protégé par une charte de parchemin, formant l’actuel f. 108. Cette charte, établie à Villefranche-de-Rouergue dans la première moitié du xv e siècle, contient l’authentification par notaire d’un contrat de mariage en provençal. Dans le marge du document, un possesseur a apposé l’exlibris suivant: Lo presen libre se apperté a Moss. Peyre Guisso capella[n] de Cordas de Albiges», 86). L’ipotesi, che ha tutta l’apparenza di un’inferenza, non è pertinente con il problema proprio negli stessi termini in cui è posta: la copertina è stata aggiunta in un secondo tempo, forse anche a Cordes, dal momento che lo scadimento di un atto notarile a materiale reimpiegabile può essersi verificato ovunque, con minore plausibilità però nel luogo in cui poteva avere ancora valore documentario. fonte è identificabile con grande sicurezza. È il caso della Moralitas sancti Heustacii, «répertoire d’un ancien théâtre paroissial» (264) in dialetto briançonnais rappresentato nel 1504, per il quale si conosce il nome dell’adattatore e copista sottoscrittore «Ber. Chancelli, cap(ella)nus Podii Sancti Andree». Di fronte ad una copia autografa, identificabile con uno di quegli originali tanto vanamente inseguiti per altre opere ed altre altezze cronologiche, la prospettiva etiologica si orienta sui precedenti postulabili. Sarebbe interessante soffermarsi sulla portata dei parametri che hanno diversamente orientato, nella ricerca delle fonti, gli studiosi che hanno esaminato questo pezzo teatrale. Lo scopritore, P. Guillaume, Le mystère de Saint Eustache, Gap/ Paris 1883: 6, postula un testo di partenza strettamente provenzale per la menzione di toponimi «Passo per Aychs o per Marselho» (v. 1716), e per quella di una «grant maniero de Franso» (v. 544) che collocherebbe il pezzo originario antecedentemente al 1481 (una sorta di attestazione prepostera di «lei francesca»). A. Jeanroy 1894: 537 ipotizza invece un antecedente, perduto, in francese, del quale ricostruisce non meno di cinque versi: «Car tu as miel visage de layre / Que non as d’un bon prodome» (v. 1096s.) avrebbero trasposto degli originali «Car tu as mieus vis de larron / Que n’as celui d’un bon preudon» 3 , mentre «Et mantenent me fauc servir! / Lo veray Diou de Paradis / Me aleouge mas dolors ! / En avant, dux princes et barons» (v. 1400-03), i versi « . . . servir / Nostre sire me laist issir / De ces dolours. / Avant, dus, princes et seignours». Fu A. Monteverdi, «I testi della leggenda di S. Eustachio», SM 3 (1908-11): 392-488, 445-48, a individuare una fonte latina nella cosiddetta traduzione letterale del testo greco della leggenda, pubblicata negli Acta Sanctorum. Anche la Henrard afferma, dopo un supplemento di indagine, che «c’est donc bien en priorité à la version latine littérale que l’auteur du mystère se réfère» (274). Piace qui proporre un nuovo raffronto, reperibile nei brani allegati a dimostrazione della dipendenza, perentorio per l’erroneità, che collima con i giudizi di mediocrità sul versificatore espressi da chi si è occupato del testo. Il traduttore rende il passaggio dagli A.A. S.S. sept. VI «Ecce tui gratia veni, in animali isto ut appaream tibi» con il distico «Per la gracio que yes en tu, / A tu me soy aperegu» (v. 221s.), secondo una competenza latina che va di pari passo con equivoci, forse paleografici, nella trasposizione dei passi narrativi come didascalie «Magister militum cecidit iterum in terram», ripreso nella forma «Cadat interim Placidus» (273): considerazioni che vanno affiancate al rilievo, troppo cursivo, «on voit que même les didascalies sont dictées par le texte latin» (274). Nel caso del Ludus sancti Jacobi la perdita del manoscritto aggrava la questione delle fonti, proposta da A. Jeanroy 1894: 542 più nei termini di un modello che di un originale, immaginando che tutti i testi drammatici, anche italiani e catalani, della leggenda dei Pèlerins de Saint-Jacques, ben nota pure attraverso l’iconografia, potessero dipendere da un ascendente comune proprio per la messa in scena della vicenda, e che quest’ultimo non potesse non essere oitanico. L’autrice identifica la questione con quella della fonte del dramma occitanico, diretta ma non pervenutaci, che sarebbe dimostrata dal fatto che «certaines rimes fausses du texte occitan peuvent en effet être rétablies si l’on remplace les termes qui posent problème par leurs équivalent français» (335), che è la posizione di Jeanroy per il Mystère alpin di S. Eustachio. Purtroppo però per i v. 116-18 «que elle fosse vengada / car el l’avia refueso / Et del demon fonc tentea» la soluzione proposta «vengée : refusée : 356 Besprechungen - Comptes rendus 3 Alla ricostruzione viene affiancata una lunga nota per giustificare, nei versi ipotetici, che l’impiego del «cas sujet au lieu du cas régime n’a rien qui puisse étonner dans un texte de cette époque» (N537); si noti che proprio questo è il caso del v. 1096 nel testo che la ritraduzione vuole emendare ripristinando una rima, invece di un tollerabile *«layron»/ «prodome». Per il luogo del secondo intervento dello Jeanroy si potrebbe ricordare il refrain di mottetto riportato al n. 90 del repertorio di N. van den Boogaard «Alegiés moi mes grans dolours», che attesta, se ce ne fosse bisogno, la possibilità di un sintagma ben più stretto al verso provenzale di quello postulato come originario. tentée» non è certo preferibile all’ovvio «vengada : refusada : tentada» 4 , ed in una versificazione in distici riconosciuta come piena di anomalie («rimes croisées, rimes embrassées, vers isolés . . . Dans les trois quarts des cas, les répliques sont enchaînées par la rime» [525]), non mette certo conto proporre per i v. 694s., «[la chanbriera] . . . que me cremo to[ta]s las mas . / [l’oste] Aysi [es] bon pant et bon vin », una ripresa (è già problematico che un distico inizi ad un verso pari) tra i due parlanti sulla base della rima che esisterebbe tra «mains» e «vin» (335). La ricostruzione è di quelle che si chiamano paleontologiche e la brisure du couplet è, forse preterintenzionalmente, ribadita come maniera francese per eccellenza. Càpita, in tanta mole di materiale discusso e vagliato, che qualche problematica non sia del tutto pertinente. È il caso di un intero capitoletto, intitolato appunto Les Fragments de Périgueux et le problème de la brisure du couplet (461s.), in cui i 22 versi trasmessi da un «rolet d’acteur» presumibilmente del xiii sec., ma ormai non più rintracciabile, dànno luogo ad una discussione sulla concatenazione rimatica tra le battute di due personaggi. L’espediente (mnemonico) che attribuisce a ciascuno un verso del distico sarebbe (ipoteticamente, piace aggiungere, considerata la frammentarietà del reperto) assente dal dramma cui risale il ruolo di «Morena», tutto di distici e in sequenze di numero pari di versi. Tale tecnica versificatoria ha assunto nel dibattito critico una notevole importanza: la sua presenza o assenza importerebbe, proprio nei testi più antichi, come parametro di autoctonia o di dipendenza. G. Paris e A. Jeanroy vedevano infatti nell’assenza della «brisure du couplet» in questo frammento e nei due drammi che usano come metro preponderante «octosyllabes à rimes plates», Jeu de Sainte Agnès e Passion Didot, una caratteristica originale dei drammi occitanici rispetto a quelli oitanici, dal momento che «l’enchaînement des répliques par la rime est au contraire de règle dans toutes les œuvres du Nord, y compris les plus anciennes» (A. Jeanroy 1894: 526). L’autrice vuole moderare questo giudizio di eccezionalità, asserendo che la concatenazione rimatica tra i personaggi sarebbe in buona misura assente dai testi oitanici più antichi, che si rivelerebbero perciò, e proprio al contrario, affini ai tre drammi meridionali, infatti: «Paul Meyer notait avec raison que dans les plus anciens drames du Nord, tels le Jeu d’Adam et la Résurrection anglo-normande, la fin des phrases correspondait régulièrement à la fin des couplets» (461), e ancora «L’utilisation de la brisure du couplet, nous venons de le dire, ne se rencontre ni dans le Jeu d’Adam, ni dans le fragment de la Résurrection» (462). Il rimando è ad un articolo, apparso nello stesso fascicolo della monografia sul teatro occitanico di Jeanroy, di P. Meyer, «Le couplet de deux vers», R 23 (1894): 1-35, e ad una battuta fulmineamente inserita, nel paragrafo «v. Le couplet dans les pièces dramatiques», in un contesto che definisce le modalità della concatenazione rimatica («la règle») in modo veramente poco perspicuo: «Nous avons vu plus haut que, dans le Mystère d’Adam et dans celui de la Résurrection, la fin des phrases correspond régulièrement à la fin des couplets. L’application de cette règle comporte, en ce qui concerne la distribution des vers entre les interlocuteurs, plusieurs cas qui, en somme, peuvent se ramener à trois: 1° Chaque interlocuteur prononce un ou plusieurs couplets. 2° Chaque interlocuteur prononce un vers et les deux vers forment le couplet. 3° Un des interlocuteurs arrête son discours au premier vers d’un couplet et l’autre répond par un vers qui complète le couplet. Telle est la règle pour les plus anciens drames» (26). A questo riguardo mi pare però di dover avanzare alcune obiezioni. Nella prosa del Meyer non si vede 357 Besprechungen - Comptes rendus 4 Non sono condivisibili neppure l’intervento dichiarato sul v. 71, pubblicato nella Chrestomathie provençale (Elberfeld 1875: 406) da K. Bartsch come «E venes y tos, nous desplassa», che viene mutato in «no v.s desplassa» (329), travisando il pronome provenzale di seconda plurale in posizione enclitica («no.us»), e quello sul v. 501 dell’edizione di C. Arnaud, Ludus sancti Jacobi. Fragment d’un mystère provençal, Marseille 1858, in cui l’eufemismo «Per lou sanc biou» viene corretto in «Per lou sanc Diou». la differenza tra le caratteristiche numerate 2° e 3° e, quasi per una volontà di astratta deduzione che coinvolge più elementi alla volta («Je montrerai que, selon ce que j’ai avancé plus haut, l’arrêt du sens a toujours lieu, dans les plus anciens de ces poèmes, après le deuxième vers d’un couplet, et que jamais on ne voit une phrase commencer après le premier, à moins que cette phrase soit complète en un vers. En somme, il n’y a pas d’enjambement d’un couplet à l’autre» [7]), sembrano soprattutto misconosciuti i passaggi nei due drammi citati in cui i personaggi si dividono un distico. Tale caratteristica è poi realizzata nel Mystère d’Adam secondo una figura ancora più complessa (i locutori parlano in entrambi i versi, riservandosi ciascuno l’emistichio di rima, con la realizzazione di un enjambement), fin dai primi due versi: «[figura] Adam! [Qui respondeat adam] Sire! [figura] Fourmé te ai / De limo terre. [adam] Ben le sai! » (v. 1s. e ancora, per una casistica differente in tutto dalla descrizione di Meyer, cf. ad esempio i v. 119-30, Le Mystère d’Adam (Ordo representacionis Ade), éd. par P. Aebischer, Genève/ Paris 1964: 28 e 38). Parimenti non rispondente al teorema è il caso del dramma anglo-normanno, cf. v. 81s.: «pilatus Est il dunc transi de vie? / joseph Oil, bel sire, n’en dotez mie » (e ancora i v. 83s., 93s., 120s., 127s., ed altrove: reticente al proposito anche il rilievo che del fenomeno dà l’editore «Dans notre pièce, comme dans les autres pièces les plus anciennes, le poète n’assure pas la liaison des répliques par les rimes; il n’y a que peu de cas où cette liaison se produise (v. 81-84, v. 133- 36, etc.)», cf. La Résurrection du Saveur, fragment de jeu, éd. par J. G. Wright, Paris 1931: xiii; per «l’enjambement d’un couplet à l’autre» cf., come primi alla lettura tra i numerosi casi, che sono però determinati da scelte editoriali, i v. 22-24 nel Jeu d’Adam, e i v. 175- 78 nella Résurrection). Merita che si sottolinei con una conferma una bella intuizione espressa a proposito delle didascalie del Jeu de Sainte Agnès, di cui l’autrice descrive accuratamente il testimone unico (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi C. V. 151) e fornisce un utile Inventaire des intermèdes lyriques (484-505). Il rilievo tecnico «le latin des indications scéniques est de piètre qualité et il fait souvent songer à de l’occitan adapté» (414), è accompagnato da interrogativi sulla collocazione sociale e culturale dell’autore del dramma. Orbene, proprio uno dei sintagmi più anodini e ricorrenti nelle didascalie delle inserzioni liriche «et postea mater facit planctum in sonu albe Rei glorios verai lums e clardat» (didascalia al v. 363, che ricorre altre diciassette volte 5 ), trova corrispondenza con quanto l’amanuense del canzoniere provenzale R (Paris, B.N. f.fr. 22543) appone al termine della trascrizione dell’enueg del Monge de Montaudon, Mout m’enueja, si l’auzes dire (BdT 305,10): «el so de la rassa» (c. 40r°b), cioè l’indicazione esplicita (caso unico in un canzoniere provenzale) del contrafactum dal celebre Rassa tan creys e mont’e pueja di Bertran de Born (BdT 80,37). Se una certa curiosità positivista (del tipo di Louis Gauchat) che volesse ricostruire un canzoniere o un repertorio musicale strutturato a partire dalle indicazioni delle didascalie del dramma rimarrebbe facilmente frustrata, assume invece importanza proprio tale tipologia metatestuale per la coincidenza geografica tra codice Chigiano, «région de Béziers/ Montpellier» (72), e Chansonnier d’Urfé, che, si ricordi, è uno dei pochi canzonieri provenzali che trasmettano melodie. Bisognerà poi rilevare che i diciotto contrafacta del dramma provenzale si segnalano, contrastivamente col carattere disparato dei modelli, per una sostanziale omogeneità incipitaria: «Rei glorios, sener, per qu’hanc nasquiei? » (1, v. 363) «Rei poderos, q’as fas los elemenz» (2, v. 383), «Bell sener Dieux, qes en croz fust levaz» (4, v. 457) «Ai! fil de Dieu, qes en croz fus levaz» (10, v. 759) «Seyner Dieus, qu’en croz fust levast» (15, v. 1052) «Seyner, qu’el mont as creat» (16, v. 1059) (ed ancora si potrebbero raggruppare, per gli attacchi identici, i brani di un solo locutore 3, v. 393; 5, v. 469; 358 Besprechungen - Comptes rendus 5 Nel ben più tardo Istoria translationis sancti [Martini] l’analoga indicazione è fornita con la rubrica «in tono de Veni Redemptor gentium » (527). 11, v. 765; 17, v. 1073 o quelli per una situazione simile 8, v. 686; 9, v. 693; 10, v. 759). Accanto alla coincidenza determinata dalla stereotipia delle invocazioni religiose (le didascalie adoperano l’etichetta «facere planctum»), e dalla forza del modello di Guiraut de Bornelh (BdT 242,64) di cui riecheggia più volte l’uscita di rima «at(z)» obliterata dal contrafactum diretto, l’iterazione di moduli e di elementi, anche da un testo all’altro (e tra lingue diverse) si propone prepotentemente come uno dei tratti più persistenti e caratterizzanti del gruppo dei testi drammatici religiosi. Credo che, secondo questa tra le chiavi possibili, di cui si lamenta l’assenza nel lavoro della Henrard, la figura del mercante di unguenti (unguentarius, mercator, apoticarius, specionarius), consenta un esame congiunto di alcuni problemi trattati dall’autrice nell’esame dei singoli drammi. La comparazione dei testi su questo aspetto dell’intreccio drammatico si pone addirittura all’origine stessa della categoria letteraria che qui interessa, dal momento che la distinzione tra i liturgici Officia o Feiern e i Ludi o Spiele, religiosi ma oramai paraliturgici, corre proprio sulla presenza di questo personaggio nei lavori di W. Meyer (Gesammelte Abhandlungen zur mittellateinischen Rhythmik, Berlin 1905). Senza troppa univocità: con le parole di K. Young «At one moment, for example, Meyer places among the Spiele those versions of the Visitatio (Sepulchri) which include that ‹wordly› personage, the unguentarius, but at another time he can refer to these same plays as Feiern» (The Drama of the Medieval Church, vol. 1, Oxford 1962: 412). Nello Sponsus «apparaît le premier ‹épisode de marchands› de la tradition dramatique médiévale» (25), legato al problema testuale della strofe xiii (v. 63-66, cf. 444s. e 455s.), a quello del bilinguismo del dramma (perché alcuni studiosi vedono nelle inserzioni volgari un intervento secondario su testo latino preesistente, [24]), e a quello della fonte del motivo. Il punto di vista di d’A. S. Avalle, editore dell’opera che fa testo in materia (Sponsus. Dramma delle Vergini prudenti e delle Vergini stolte, Milano/ Napoli 1965), è riassunto in questi termini: «On a longtemps pensé que ces personnages avaient été introduits sous l’influence de la scène des Maries et de l’unguentarius, qui se rencontre dans plusieurs drames du cycle de Pâque. Si ce phénomène d’imitation a existé, c’est plus vraisemblablement au sens inverse qu’il a dû s’opérer. En effet, les mercatores sont déjà mentionnés par Matthieu dans la parabole des vierges folles (25,9), alors que les évangelistes ne leur réservent aucun rôle quand ils narrent la mise au tombeau» (25). Come si vede, anche qui la direzione dei movimenti di prestiti o di calchi è complicata dal duplice piano: quello delle fonti evangeliche e quello della tradizione drammatica medievale. Proprio in quest’ultima prospettiva, dà da pensare che i locutori volgari del dramma siano i mercanti e, oltre alle innominate della strofa adesposta xiii, l’arcangelo Gabriele, che ricorda alle donne la morte e la resurrezione di Cristo (con movenze da Quem queritis). Più interessante, e ancora non oggetto di rilevazione sistematica, sarà notare come il dialogo con l’unguentarius sia fuori posto anche nel Ludus de Passione dei Carmina Burana (cf. K. Young 1962/ 1: 534s.) e sia collegato alla farcitura volgare anche in altri due venerabili drammi bilingui: appunto quello latino-tedesco conosciuto come Ludus de Passione (v. 58-75 e 89-95, cf. K. Young 1962/ 1: 534s.), e quello latino-francese conosciuto come Ludus paschalis (v. 25-75, cf. E. de Coussemaker, Drames liturgiques du Moyen Age, Rennes 1860: 256-79, opera che stupisce non trovare menzionata, almeno per i suoi facsimili, nella Bibliographie [583-610], e K. Young 1962/ 1: 414). Se si repertoriano infatti le cosiddette eccezioni, possono venir fuori delle caratteristiche costruttive operanti nei drammi sacri al di là delle ricorrenze episodiche e dei vincoli delle fonti sacre. La connessione tematica tra Marie al Sepolcro (Ludus paschalis), Maddalena che compra l’unguento con il quale ungerà i piedi del Signore al momento della sua conversione (Ludus de Passione), e Vergini stolte in cerca d’olio per la lampada escatologica (Sponsus), offre la possibilità scenica di introdurre un personaggio «wordly», ma lo stesso 359 Besprechungen - Comptes rendus principio è, si rilevi, operante nel ciclo dei Mystères rouergats in cui, in modo del tutto asintomatico, la studiosa annota come originale «l’idée d’avoir introduit Joseph d’Arimathie, Nicodème et Centurio dans l’entourage de Lazare» (143). Oltre alla considerazione che «l’auteur s’est servi de personnages jouant dans d’autres drames du cycle . . . soit par économie de moyens, soit - plus vraisemblablement - pour donner une unité factice à sa compilation» (144), è soprattutto il tema di resurrectio minor intorno all’episodio di Lazaro, morto quatriduano, che implica la presenza dei protagonisti della Resurrezione. Analogamente, nel Covit de Simon lebros, in cui «la présence de Notre-Dame à cet endroit, on ne la doit ni au texte de Didot, ni à l’Évangile de saint Jean, mais elle n’est pas complètement inattendue. Chez Jean Michel aussi, la mère du Christ accompagne le groupe qui répond à l’invitation de Simon Lépreux» (147), credo si possa ipotizzare come operante il modello delle Nozze di Cana. Situazioni simili richiedono soluzioni rappresentative analoghe, scarto ridotto offerto all’innovazione individuale e, nel contempo, tributo al canone esegetico della Tipologia sacra. Così accade del lamento di Maria sotto la croce (50) e di quello delle Marie con i mercanti di unguenti (55s.) nella Passion Didot. L’autrice raccoglie in margine ai commenti di tali brani due elenchi distinti: quello del corpus dei lamenti mariani (467-70) che esordiscono con il versetto di Geremia «O vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus» (Lamentationes i, 12), e la lista dei passaggi, latini e romanzi, in cui le Marie si esprimono in «tercets monorimes de décasyllabes masculins» (470), con il refrain «Heu! quantus est dolor noster» (471). Tale refrain suona nella Passion Didot «Ay Dieus, ta grans son mas dolors» (v. 1815), e non va certo scisso dal versetto della geremiade del pianto mariano «Aujhat, baros que passat per la via / s’en hes dolor tan gran com es la mie» (v. 1495s.). Oltre ai testi ricordati dall’autrice nella sua lista (471), bisognerà però includere nel corpus anche le occorrenze di misura strofica e refrain presenti nel Ludus, immo Exemplum, Dominice Resurrectionis dei Carmina Burana (cf. K. Young 1962/ 1: 435s.), con il refrain «Heu, quantus est dolor noster» (v. 91, e poi in bocca all’Apotecarius «Vere quantus est dolor vester», v. 87, 99) e con la misura tristica della strofe (v. 84-99), e nel Ludus de Passione bilingue dello stesso codice, dove il v. 111 «Heu! quantus est noster dolor! » chiude anche in questo caso una strofe di tre versi 6 . Una tradizione così tematicamente orientata e solidale, che promuove a incipit di pianto mariano un versetto interno dalle Lamentationes di Geremia (i, 12), quale che sia la sua possibilità di riduzione a monogenesi (466-70), acquista rilievo nella prospettiva dell’altro àmbito romanzo in cui si possono indicare (non segnalate dalla filologia dantesca) altrettante occorrenze del motivo incipitario: l’opera di Dante Alighieri. Dalla Vita nova 2/ 14: 1- 3 «O voi che per la via d’Amor passate, / attendete e guardate / s’elli è dolore alcun, quanto ’l mio, grave» ad Inferno 28: 130-32 «Or vedi la pena molesta, / tu che, spirando, vai veggendo i morti: / vedi s’alcuna è grande come questa» e Inferno 30: 58-60 « O voi che sanz’alcuna pena siete, / e non so io perché, nel mondo gramo / diss’ elli a noi, guardate e attendete », e all’ Epistula 11/ 1: 1, indirizzata ai Cardinali. Oltre alla stabile funzione incipitaria, si segnala la volontà dichiarata di richiamarsi al solo precedente del profeta (cf. Vita nova 2/ 18 «intendo chiamare li fedeli d’Amore per quelle parole di Yeremia profeta, O vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus ») e l’impiego esclusivo per «lamentanza» (2/ 13) privatissima, oppure prestata addirittura a dannati (rispettivamente, Bertran de Born e Maestro Adamo). 360 Besprechungen - Comptes rendus 6 A 471 si integri poi che i Verses pascales de III Mariis, ricordati solo come prima occorrenza del refrain, contengono invece anche la struttura strofica di tre versi (v. 5-20, v. 30-34, cf. K. Young 1962/ 1: 678-81). Se un lavoro tanto minuto ha invitato a qualche esame puntuale non è però che manchino motivi di interesse più generale e, al limite, teorico. Ad esempio, in regime di codice unico, la casistica degli errori di copia, che si pongono per l’editore in prospettiva tutta particolare. Si pensi ai problemi legati ai pronomi possessivi, senz’altro emendabili (ed emendati) di fatto nella rappresentazione quando i locutori ripristineranno automaticamente, nella recita, i corretti deittici. La prospettiva globale, che questa recensione vuole suggerire, offre poi un gioco di specchi impressionantemente legato, del quale non vanno dimenticate le basi latine. Per restare al tessuto (diacronico) di Sponsus, Passion Didot e La Resurectio dei Mystères rouergats, si prenda la strofe xiii dello Sponsus v. 63-66: «(prudentes) De nostr’oli queret nos a doner? / No.n auret pont, alet en achapter / deus merchaans que lai veet ester. / Dolentas, chaitivas, trop i avem dormit! » (455). Tale testo viene così emendato da L.-P.Thomas, Le Sponsus. Mystère des Vierges sages et des Vierges folles, suivi de trois poèmes limousins et farcis, Paris 1951: 182, «[fatue ad Prudentes] De vostr’oleo queret nos a doner? / [prudentes] No n’auret pont, alet en achapter / deus merchaans que lai veét ester! » (444s. e 456). Nei Mystères rouergats si legge senz’altro, v. 2855s.: «digua la Magdalena . . . He de vos, senher comprar volem / Del nostre enguen en que lo hongesquem . Ora, il confronto che l’autrice propone con la fonte diretta, Passion Didot, v. 1853-55 «maria magdalena Puis que aysi et, senhor nos vos querem / De bon enguent, car luy onchar volem / Mostra lo mos, c’ades lo comparem » (565), e quello istituibile con il ben divulgato modello latino «Aromata precio querimus / Christi corpora ungere volumus / Holocausta sunt odorifera / Sepulture Christi memoria» (cf. K. Young 1962/ 1: 403, 405, 421, 435), dà in questo caso la portata dell’intervento individuale dell’adattatore, diffuso un po’ dappertutto (anche il Ludus paschalis v. 44s. mantiene i sintagmi in rima «le ii maries Gentius marchans, du millour bien nous vent, / tant que tu veus de l’argent, plus en prent / no grant Signour du ciel oindre en volons »). Se l’adattatore dei Mystères rouergats si è anche permesso di intervenire sul prezzo di questo balsamo «l’imitateur a modifié le prix de l’onguent (trois marcs d’argent et non plus trente, valeur du baume après la remise)» (173), mercanteggiando forse meglio, non a caso la sua singularis recita «comprar volem», ma dimenticando del tutto il biblico prezzo del Giusto, non bisognerà sobbalzare troppo di fronte a certe coincidenze che vengono da una periferia montana del xv secolo. Paola Allegretti H Gian Carlo Belletti (ed.), Rolando a Saragozza, Alessandria (Dell’Orso) 1998, 127 p. (Gli Orsatti 2) Die neue Reihe Gli Orsatti, herausgegeben von Massimo Bonafin, Nicolò Pasero und Luciano Rossi, trägt den Untertitel «Testi dell’Altro Medioevo». Damit wird dezidiert auf die Zielsetzung angespielt: Es geht hier einmal nicht darum, kanonisierte Texte der mittelalterlichen «Höhenkammliteratur» zu publizieren, sondern vielmehr randständige, «apokryphe» Texte, die aber für das literarische Leben der Epoche nicht weniger aussagekräftig, ja oft sogar weit relevanter sind als diejenigen, die (warum auch immer) zu den «Klassikern» zählen, zugänglich zu machen. Die Reihe ist sehr schön und gepflegt aufgemacht und der Preis von Lit. 16000 für ein derartiges Bändchen darf als mehr als angemessen gelten. Die hier zu besprechende Ausgabe ist Band 2 der Reihe 1 , und weitere Bände sind angekündigt bzw. bereits erschienen. 361 Besprechungen - Comptes rendus 1 Band 1: Massimo Bonafin (ed.), Il Romanzo di Renart la Volpe. Introduzione, traduzione e note a cura di M.B., Alessandria 1997.
