eJournals Vox Romanica 60/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
Es handelt sich um einen Open-Access-Artikel, der unter den Bedingungen der Lizenz CC by 4.0 veröffentlicht wurde.http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/121
2001
601 Kristol De Stefani

La frase finale in italiano L2

121
2001
Ada  Valentini
vox6010069
La frase finale in italiano L2 1 1. Introduzione Questo lavoro, volto ad indagare una particolare struttura sintattica - la subordinata finale - nell’italiano di immigrati, è inserito in un contesto di più ampio respiro, il Progetto di Pavia, un progetto interuniversitario 2 dedicato allo studio dell’acquisizione spontanea (ovvero non guidata, non scolastica) dell’italiano come lingua seconda (L2) da parte di adulti. Il Progetto di Pavia, nato nel 1986 e tuttora in corso, si è dedicato negli anni a diversi aspetti dell’acquisizione dell’italiano (cf., per citare solo alcune miscellanee monografiche 3 , Bernini/ Giacalone Ramat 1990, Giacalone Ramat/ Vedovelli 1994, Giacalone Ramat/ Crocco Galèas 1995 e Dittmar/ Giacalone Ramat 1999) anche con l’intento di colmare la lacuna lasciata dalla importante ricerca europea sull’acquisizione di lingue seconde intitolata «Second Language Acquisition by Adult Immigrants»: in tale ricerca, nata sempre negli anni Ottanta e svolta sotto il patrocinio della European Science Foundation, l’italiano appariva solo come lingua di partenza degli immigrati e non come lingua target (cf. ad es. Klein/ Perdue 1992 e 1997 e Perdue 1993a e 1993b). Il Progetto di Pavia si è avvalso di dati prevalentemente longitudinali (ma in parte anche trasversali) organizzati in una banca dati (cf. Bernini 1994b): gli apprendenti di età comprese tra i nove e i settantaquattro anni risiedono prevalentemente nell’Italia settentrionale ed hanno lingue prime (L1) diverse, anche tipologicamente assai distanti dall’italiano (per es. il cinese o il tigrino, come negli apprendenti qui indagati): questa variabile è di fondamentale importanza poiché secondo lo spirito del Progetto il confronto tra apprendenti con lingue materne differenti consente l’individuazione di ciò che è presumibilmente universale nell’acquisizione e ciò che è invece dovuto alla specificità della L1 dei soggetti (cf. Giacalone Ramat 1990 per una presentazione del Progetto) 4 . 1 È qui esposta parte dei risultati ottenuti nell’ambito del progetto di ricerca cofinanziato (ex- 40%) «Linguistica acquisizionale: sintassi, discorso e percorsi di formazione dell’italiano lingua seconda», con sede centrale a Pavia, coordinato daAnna Giacalone Ramat e finanziato su fondi Murst 1998. Colgo qui l’occasione per ringraziare gli studiosi coinvolti nel Progetto, in particolare Gaetano Berruto, Daniela Calleri e Giuliano Bernini, per le opportune osservazioni relative ad una versione preliminare di questo lavoro; ovviamente, io sola sono responsabile degli errori rimasti. 2 Il Progetto ha come sede centrale l’Università di Pavia e ha visto o vede coinvolte le Università degli Studi di Bergamo, di Milano Bicocca, del Piemonte Orientale (Vercelli), Siena, Torino, Trento e Verona. 3 Alcuni tra i lavori citati qui di seguito sono in realtà il risultato di progetti diversi: ad es. Dittmar/ Giacalone Ramat 1999 è il frutto del programma di scambio tra le Università di Berlino e di Pavia nell’ambito del Programma Vigoni; tra gli autori tuttavia vi sono diversi membri del Progetto di Pavia. 4 È necessario anche un ulteriore confronto con dati relativi all’acquisizione di L2 tipologicamente diverse per individuare fenomeni imputabili alla specificità della lingua target: in Come detto poco sopra, nel corso degli anni i membri del Progetto di Pavia hanno svolto indagini su diversi fenomeni acquisizionali. Se ne può seguire sinteticamente il percorso osservando i titoli delle più importanti monografie sull’argomento: il volume La temporalità nell’acquisizione di lingue seconde curato da Bernini e Giacalone Ramat (Bernini/ Giacalone Ramat 1990) riunisce alcuni lavori sull’emergenza della morfologia verbale, lavori che permettono di individuare sequenze acquisizionali simili per tutti gli apprendenti, indipendentemente dalla L1: dopo una prima fase contraddistinta da assenza di morfologia funzionale, appare una prima distinzione morfologica di natura prevalentemente aspettuale che oppone una forma basica e polifunzionale di presente indicativo (generalmente alla terza persona singolare) usata con riferimento temporale al presente, futuro e passato (imperfettivo) ad una forma di participio passato con valore perfettivo. A ciò segue l’apparizione di imperfetti, comparsa molto lenta e graduale (ovvero diffusa su pochi tipi lessicali, come gli stativi essere e avere e i verbi modali e, all’inizio, in enunciati di sfondo; cf. soprattutto Bernini 1990b), mentre solo in apprendenti avanzati, con favorevoli condizioni sociali di immigrazione e preferibilmente con lingue materne romanze, al microsistema descritto si aggiunge il futuro con valore temporale (in alternativa al presente indicativo, come avviene del resto nell’italiano dei nativi) e, solo in una ulteriore fase, con valore epistemico. Da ultimi compaiono anche il condizionale e il congiuntivo (cf. per una sintesi delle sequenze acquisizionali soprattutto Berretta 1990b e per considerazioni generali sul trattamento della morfologia Berretta 1990c) 5 . Nel 1995, di nuovo in seguito a una vivace conferenza internazionale tenuta presso l’Università di Pavia sul tema (come già per Bernini/ Giacalone Ramat 1990) viene pubblicato il volume From Pragmatics to Syntax. Modality in Second Language Acquisition (Giacalone Ramat/ Crocco Galèas 1995): qui l’attenzione si sposta gradualmente all’espressione della modalità, con l’analisi della apparizione dei verbi modali. Giacalone Ramat 1995 individua nelle fasi iniziali dell’apprendimento l’ordine di comparsa dei verbi modali (volere > potere > dovere); inoltre potere e dovere vengono utilizzati in questo stadio elementare solo per la funzione deontica, mentre per l’espressione della modalità epistemica l’apprendente si affida ad avverbi modali (forse e magari) e a verbi di opinione. Solo in fasi successive i verbi modali vengono a coprire anche valori epistemici e questo processo di sviluppo è comparato al mutamento diacronico secondo la prospettiva della grammaticalizzazione (cf. anche Bernini 1995b proprio su due degli apprendenti qui indagati e Banfi 1995). Nello stesso volume va ricordato anche il contributo di Berretta 1995 sull’acquisizione dell’imperativo: qui la chiave di lettura dei dati è la teoria della marca- 70 Ada Valentini quest’ottica ricordo che le miscellanee di cui mi occupo in questo paragrafo ospitano sempre anche contributi di ricercatori esterni al progetto di Pavia su L2 diverse dall’italiano. 5 Parallelamente vengono svolte indagini sullo sviluppo della morfologia nominale di genere e numero (cf. Valentini 1990, ma soprattutto Chini 1995). tezza che permette di spiegare il ritardo con cui emerge la forma dell’imperativo di seconda persona singolare per i verbi in -are rispetto alle stesse forme dei verbi delle altre classi flessive (nel caso specifico si tratta di marcatezza formale). Negli studi apparsi più di recente (Dittmar/ Giacalone Ramat 1999), infine, l’interesse dei ricercatori si è spostato ad un ambito sintattico 6 , in particolare al tema della connessione interfrasale (cf. Giacalone Ramat 1999a e 1999b e Berruto in stampa), sul fenomeno della negazione (cf. Bernini 1998 e 1999) e del riferimento anaforico (Chini 1998b e 1999): qui, soprattutto, si può constatare l’importanza dell’apporto della tipologia alla linguistica acquisizionale ed è in questa prospettiva che si inserisce anche il presente lavoro; per quanto riguarda il tema specifico della subordinazione rimandiamo al paragrafo che segue. 2. La rilevanza dell’acquisizione della frase finale In alcuni recenti contributi relativi allo sviluppo della subordinazione in italiano lingua seconda è emersa la rilevanza di un tipo specifico di subordinata implicita, la frase finale introdotta da per 7 : da una parte è stata constatata la precoce apparizione delle finali implicite in apprendenti in fase iniziale (Valentini 1998: 133s. e Ferraris 1999: 100ss.) e dall’altra se ne è notata la consistenza quantitativa in corpora di apprendenti già avanzati (cf. Chini 1998a: 140 e Giacalone Ramat 1999a: 41ss.; cf. anche Berruto in stampa, soprattutto il par. 6, che conferma il dato sia in termini di frequenza che di precoce apparizione) 8 . In conseguenza di questa constatazione empirica ci siamo prefissi lo scopo di approfondire l’argomento: la rilevanza della questione risiede nel fatto che è opinione accettata che la subordinazione esplicita si sviluppi anteriormente alla subordinazione implicita e, pur aderendo alla validità di tale principio, riteniamo importante precisare meglio il percorso di sviluppo relativo alla subordinazione. In altre parole, come è stato messo in luce da Giacalone Ramat 1999a e 1999b, il tema dell’apprendimento delle subordinate finali rappresenta un ambito in cui è possibile la verifica di previsioni opposte, ottenute tanto in base a strategie acquisizionali già individuate precedentemente, secondo le quali - come già detto - l’apprendente tende a scegliere forme esplicite in luogo di quelle implicite, quanto in base a considerazioni tipologiche: da un lato, la proposizione finale, che secon- 71 La frase finale in italiano L2 6 Già alcuni contributi precedenti, come ad es., Banfi 1998, Bernini 1994a o Valentini 1992 e 1994, erano rivolti al livello sintattico. 7 Per uno studio relativo alla frase finale in inglese L2, in un’ottica diversa da quella qui adottata, cf. Finney 1997. 8 Ulteriori conferme di questo dato sono offerte nell’ambito dell’apprendimento dell’italiano come L1 da Cipriani 1993 e da Ferraris 1999: 77; cf. inoltre Kinder 1994: 356, che - studiando il recupero dell’italiano in immigrati di seconda generazione in Australia - nota «la sorprendente frequenza della preposizione per + infinito nei due parlanti nel mezzo del continuum . . . », facendo cenno al fatto che «per sembra eliminare il problema di scegliere tra le altre preposizioni». do i parametri individuati da Noonan 1985 presenta eventi tra loro fortemente integrati, è tipicamente espressa da una forma verbale ridotta in quanto a categorie morfologiche espresse e dovrebbe apparire precocemente come tale nei dati sull’acquisizione (cf. Givón 1990); d’altro canto, invece, . . . ci aspettiamo che quelle proposizioni la cui relazione di dipendenza è segnalata da una congiunzione subordinante (ad es. ital. che), mentre il verbo finito codifica la persona del soggetto, il tempo e l’aspetto, siano preferite dagli apprendenti alle costruzioni con l’infinito, semplice o preposizionale, in cui il soggetto dell’infinito è cancellato e in cui le distinzioni di tempo e aspetto sono ridotte. (Giacalone Ramat 1999a: 21) I risultati dell’indagine di Giacalone Ramat 1999a, che - a differenza del caso qui esaminato - tiene conto di apprendenti avanzati, mostrano che il conflitto si risolve a favore di principi tipologici: le frasi finali in forma implicita emergono senza porre particolari problemi in tutti gli apprendenti e la loro epoca di comparsa è immediatamente successiva alle prime avverbiali (causali e temporali) esplicite introdotte da perché e quando. Anche Calleri 1997 nel suo studio sull’acquisizione della frase infinitiva (finale inclusa) nell’italiano come lingua prima riflette sullo statuto dubbio del modo verbale dell’infinito 9 e sulla scarsa o elevata apprendibilità che ne consegue: per quanto riguarda lo statuto di frase, l’infinitiva può essere giudicata frase semplificata, e come tale facilmente apprendibile, poiché manca del soggetto e della morfologia di persona sul verbo, nonché parzialmente di tempo; tuttavia, a queste considerazioni possiamo aggiungere che «è anche possibile capovolgere il giudizio di semplicità (naturalezza? ) attribuito alla frase infinitiva a causa ad esempio delle restrizioni che ne regolano l’impiego» (Calleri 1997: 42): si ricordi ad es. per la finale la necessaria identità dei soggetti di principale e subordinata o i problemi di rapporti temporali tra le due frasi (cf. il par. seguente) 10 . Altra conferma della rilevanza dell’infinito viene dallo studio di Berruto (in stampa) che in un’utile panoramica sull’emergenza della connessione interproposizionale nell’italiano L2 riconosce il ruolo cruciale della marcatura 0 + inf come «modo spesso sovraesteso e semplificato di esprimere/ manifestare la connessione interproposizionale» (Berruto in stampa: par. 7). Il fenomeno dell’alta frequenza di proposizioni finali e della loro precoce comparsa, riscontrato nell’italiano L2, può essere certamente spiegato anche in termini di frequenza di questo tipo di subordinata nell’input: nel corpus di italiano parlato analizzato da Voghera 1992 (ci riferiamo in particolare al testo denominato caffé, costituito da un’interazione spontanea faccia a faccia) è stato rilevato che, tra le subordinate implicite, quelle introdotte da preposizioni (di, a e per) con il 72 Ada Valentini 9 Cf. per considerazioni diacroniche oltre che tipologiche sullo statuto più o meno marcato dell’infinito Haspelmath 1989. 10 Sull’acquisizione di forme finite e non finite nell’italiano L1 cf. anche, per una prospettiva diversa da quella qui adottata, Guasti 1993s. verbo al modo infinito raggiungono il 70% del totale 11 (cf. Voghera 1992: 233). Tuttavia, come ben sappiamo dagli studi sull’apprendimento, l’alta frequenza di un certo fenomeno linguistico non ne garantisce l’apprendibilità. Pensiamo infatti che un insieme di fattori abbia contribuito a far emergere questo dato empirico, in particolare fattori tipologici, quindi esterni al sistema in via di sviluppo, ma anche fattori sistemici, interni al sistema dell’interlingua (= IL). Prima di presentare i dati, è opportuno descrivere con qualche nota come può essere realizzata nella lingua target la frase finale. 3. La frase finale nella lingua target Da un punto di vista semantico la subordinata finale esprime «lo scopo per il conseguimento del quale un’azione principale è progettata e eseguita» (Prandi 1996: 70). Proprio per questa caratterizzazione semantica, il soggetto della principale deve essere in grado di «esercitare un controllo sull’evento espresso nella finale» (Bertuccelli Papi 1991: 818) 12 , come ad es. in ho aperto la finestra per rinfrescare la stanza. Da un punto di vista strutturale la subordinata finale viene marcata sia da un connettivo (per es. perché o per) sia da un modo verbale (finito o non finito) secondo le modalità descritte di seguito: la finale può essere di forma implicita, con l’infinito semplice (cf. l’es. sopra), o esplicita, col congiuntivo presente o imperfetto (l’ho invitato qui perché anche lui sia al corrente, Bertuccelli Papi 1991: 818 o l’avevo invitato perché anche lui fosse al corrente). La forma più frequente è però quella implicita (anche in varietà scritte; cf. Vagni 1974: 332), che appare di regola quando il soggetto della finale è coreferenziale a quello della principale attiva; proprio per il valore semantico che la finale esprime, del resto, la coreferenzialità dei soggetti è favorita 13 . Rispetto alla principale, la finale non ha una posizione obbligatoria, sebbene si prediliga rispetto all’anteposizione, pressoché riservata al costrutto implicito la posposizione (Serianni 1989: 490 e Givón 1990: 836s.) 14 . 73 La frase finale in italiano L2 11 Purtroppo non sono disponibili in Voghera 1992 dati riferiti solo alle implicite finali. Dal LIP (Lessico di frequenza dell’italiano parlato, cf. De Mauro 1993: 437), che non fornisce dati relativi alla subordinazione, risulta comunque che per ha rango 14, che ha rango 10, perché ha rango 21 e quando ha rango 59. Si veda però Chini 1998a: 137. 12 Cf. Prandi (1996: 72) per casi limite, con la principale che esprime uno stato, anziché un’azione, o con il soggetto della principale non animato. 13 Cf.: « . . . spesso, nella lingua parlata, il costrutto esplicito viene trasformato in implicito mediante un verbo causativo . . . te lo dico perché tu ci vada → te lo dico per fartici andare » (Serianni 1989: 490). 14 Per altre differenze sintattiche non rilevanti al nostro scopo, per es. tra circostanziali e avverbiali di frase (o finali di tipo testuale, come per dirla in due parole, è un millantatore), cf. Bertuccelli Papi 1991: 820ss. Le finali esplicite con congiuntivo possono essere introdotte da perché, affinché, acciocché o a (fare sì) che, ma è solo il primo connettivo, perché, ad apparire nel parlato (compatibilmente con la rarità del costrutto esplicito).Ad introdurre le implicite, invece, troviamo per, al fine/ allo scopo di, a, di, da e onde. Escludendo onde, che non appare certamente nel parlato, restano, oltre a per e al fine/ allo scopo di chiaramente finali, le preposizioni da, a e di in frasi come il mio capo mi ha dato da correggere le bozze, vado a vedere cosa è successo e mi pregò di rimanere (Bertuccelli Papi 1991: 824; per osservazioni simili cf. anche Serianni 1989: 491s.). Tuttavia, non tutti concordano su questo punto: Prandi (1996: 85-94) considera infatti i casi come quelli degli ultimi due esempi, con verbi di movimento e direttivi nella frase principale (andare e pregare), proposizioni completive, e non avverbiali, con contenuto finale. Da un punto di vista tipologico, le finali sono, tra le avverbiali, il tipo di subordinata maggiormente soggetto a deranking: infatti le finali sono caratterizzate da un alto grado di integrazione semantica con l’evento della proposizione indipendente. Tale integrazione è misurata da alcuni parametri, come il controllo e il coinvolgimento del soggetto della principale nella realizzazione dell’evento subordinato 15 , l’identità dei partecipanti tra i due eventi 16 , la predeterminazione dello stato di attualità dell’evento dipendente 17 e la predeterminazione del rapporto temporale tra gli eventi 18 . Seguendo il principio iconico di Givón (1990: 516 e 826), laddove un certo numero di parametri è predeterminato e quindi ricavabile dal contesto, è possibile evitarne l’espressione esplicita: in altre parole, tanto più l’evento della subordinata è integrato semanticamente con l’evento della principale, tanto maggiori sono le probabilità di utilizzare una forma verbale ridotta, o meglio deranked (cf. Cristofaro 1998, soprattutto p. 22-26). Nelle lingue materne degli apprendenti, ovvero - lo anticipiamo - due diverse varietà di cinese (un dialetto del gruppo yuè, il cantonese, e un dialetto del gruppo wú) 19 e il tigrino 20 , la frase finale è realizzata nei modi seguenti: in cantonese e 74 Ada Valentini 15 «Una frase finale non è accettabile se il soggetto del predicato principale non è in grado di esercitare un controllo sull’evento espresso nella finale. Così non è ammissibile una frase finale se il soggetto della principale è strutturalmente inesistente, come nel caso dei verbi meteorologici: *Piove per avere raccolti abbondanti» (Bertuccelli Papi 1991: 818). 16 Tipicamente, come già osservato, le finali condividono lo stesso soggetto della principale. 17 L’evento della finale è presentato come non-fattuale; si vedano esempi come non ho mangiato per dimagrire, ma non ho perso nemmeno un etto. 18 L’evento della subordinata deve essere temporalmente posteriore a quello della principale: cf. «I tempi dell’anteriorità sono esclusi dal carattere prospettivo della relazione finale» (Prandi 1996: 68). 19 Per il cantonese disponiamo di una grammatica esauriente (Matthews/ Yip 1994), mentre per il gruppo wú (di cui fa parte ad es. la varietà parlata a Shanghai) disponiamo purtroppo di informazioni assai meno dettagliate (in particolare, Ramsey 1987: 88-95, Chao 1967 e Norman 1988: 199-204). Secondo Chao (1967: 98) le differenze maggiori tra i dialetti wú e la varietà mandarina riguardano il livello fonologico, e non quello sintattico: «In matters of grammar, there is less difference among the Chinese dialects than in any other respect». 20 Per il tigrino cf. Conti Rossini 1940, Bender/ Fulass/ Cowley 1976, Mason 1996 e Kogan 1997. in mandarino è possibile una resa senza marche di alcun tipo, attraverso la costruzione a verbi seriali, come nell’esempio in [1]: [1] wo 3 men kai 1 -hui 4 jie 3 jue 2 wen 4 ti 2 noi tenere-incontro risolvere problema teniamo un incontro per risolvere il problema (Tai 1985: 52) 21 In alternativa, un connettivo specifico può essere usato per introdurre finali: ad es. in [2] il connettivo del cantonese waihjo 21 per, allo scopo di precede la frase avverbiale che si trova tra il soggetto/ topic di frase e il predicato della principale: [2] yáuh yàhn waihjó jaahn chín ma-tyéh do-u háng jouh c’è gente per guadagnare denaro cosa tutto volere fare alcune persone sono/ ci sono persone disposte a fare qualsiasi cosa per guadagnare denaro (Matthews/ Yip 1994: 299) La maggiore differenza con la lingua target è rappresentata quindi nelle varietà di cinese dall’assenza di un modo specifico che segnali la dipendenza, fatto ovvio se consideriamo il tipo morfologico del cinese, notoriamente quasi isolante e dalla posizione della subordinata che segue il soggetto/ topic di frase. Anche in tigrino la subordinata precede la principale (o almeno ne precede il SV), coerentemente con l’ordine (piuttosto rigido) dei costituenti maggiori di frase SOV (Ferguson 1976: 70). La finale, che necessita di un verbo imperfettivo, può essere introdotta dalla congiunzione mø-’ønti ke˘ allo scopo di , come in [3]: [3] Møh. ørät kødawønta mø-’ønti ke˘ te˘ -h. atsøb nabti ruba wäräde Meheret vestiti allo scopo di cong-3FS-lava: impf verso fiume scese Meheret scese al fiume per lavare i suoi vestiti (Mason 1996: 99) 22 Anche in tigrino, come nell’esempio cinese, la finale può essere marcata dal solo subordinatore meno specifico, k- (o kè-, cf. Conti Rossini 1940: 58; cf. anche Bernini 1995a: 38), prefisso alla forma verbale imperfettiva, come in [49]: [4] nab Adwa ne˘ - ’abbo-y ke˘ -rekke˘ b neqile verso Adua ogg-padre-1S cong-trova: impf partì partì per Adua per visitare mio padre (Conti Rossini 1940: 61) 75 La frase finale in italiano L2 21 Negli esempi come [1], nella varietà mandarina o pu 3 tong 1 hua 4 lingua comune , basata sulla pronuncia della città di Pechino, il numero sovrascritto indica il tono secondo le modalità seguenti: 1 = tono alto continuo, 2 = tono ascendente, 3 = tono discendente-ascendente e 4 = tono discendente. 22 L’esempio, originariamente in alfabeto etiopico, è stato traslitterato secondo le corrispondenze fornite dallo stesso Mason 1996: 2-5. In conclusione, la maggiore differenza con la lingua target è rappresentata dalla posizione della subordinata, che precede almeno il verbo della principale. 4. Gli apprendenti Per questo lavoro abbiamo osservato l’IL di tre soggetti, denominati Peter, Chu e Markos e seguiti longitudinalmente all’interno del Progetto di Pavia per periodi di lunghezza variabile (sette mesi per Peter, otto per Markos e un anno e quattro mesi per Chu). I tre apprendenti sono stati precedentemente oggetto di studio per quanto riguarda lo sviluppo sintattico della subordinazione, soprattutto esplicita 23 . Due dei soggetti, Peter e Chu, hanno come lingua materna due diverse varietà di cinese (gruppi yuè e wú; uno dei due apprendenti, Peter, venticinquenne, conosce anche il malese e ha come altra L2 l’inglese). L’altro apprendente, Markos, un giovane eritreo di venti anni, è di lingua materna tigrina e ha conoscenze scolastiche di inglese (è inoltre venuto a contatto con l’arabo sudanese durante l’esperienza dell’emigrazione) 24 . Gli apprendenti sono stati scelti, tra quelli disponibili nella banca dati raccolta all’interno del progetto pavese, perché all’epoca della prima rilevazione si trovavano in una fase iniziale di contatto con la L2: il periodo di soggiorno in Italia non supera per Markos e Peter (nonché per Hagos) i trenta giorni, mentre Chu è stato contattato per la prima volta a undici mesi dall’arrivo; tuttavia lo sviluppo della sua il è così lento che si può comparare a quello degli altri due soggetti 25 . Inoltre, per questi apprendenti disponiamo già di analisi relative allo sviluppo della morfologia verbale che si sono rilevate utili per l’interpretazione di alcuni dati sul fenomeno qui indagato (in particolare Berretta/ Crotta 1991 per Peter, Bernini 1990a per Markos e Valentini 1992 per Chu). 76 Ada Valentini 23 Per Markos cf. Giacalone Ramat 1994 su relative e completive e Bernini 1994a sulle ipotetiche, mentre per Peter e Chu cf. Valentini 1998, con riferimenti bibliografici di cui alla N13; inoltre si vedano anche Giacalone Ramat 1995 e Bernini 1995b sulla modalità e Bernini 1998 sugli indefiniti negativi. 24 Nella fase di analisi dei dati abbiamo osservato anche l’il di un quarto apprendente in fase iniziale, un giovane soggetto quindicenne denominato Hagos, anch’egli eritreo, per il quale cf. soprattutto Bernini 1995a. Tuttavia il permanere del soggetto in uno stadio prebasico di varietà di apprendimento durante il periodo in cui è stato seguito (sei mesi circa) non ci ha permesso di verificare l’ipotesi di partenza: infatti solo verso la fine del periodo di rilevazione sono attestate frasi subordinate: nella settima e ultima registrazione ad es. sono state computate quattro subordinate, tutte esplicite e con valore causale. Ciò confermerebbe comunque l’ipotesi sostenuta in Bernini 1994a, secondo cui le causali sono il primo tipo di subordinate marcate con connettivo conforme alla lingua target ad apparire nell’IL (cf. anche Valentini 1998). 25 Le varietà di apprendimento di Chu e Markos registrate all’inizio delle rilevazioni sono state infatti classificate come postbasica basica, mentre quelle di Peter e Hagos (per il quale cf. la nota precedente) sono state classificate come prebasiche (cf. Bernini 1998: 68). 5. I dati Proprio per la lentezza con cui Chu procede nell’apprendimento, presentiamo i dati a nostra disposizione iniziando con questo soggetto, del quale intendiamo ripercorrere brevemente il percorso di apprendimento relativo alla subordinazione esplicita (per maggiori dettagli rimandiamo a Valentini 1998). Dopo una prima fase in cui non emergono subordinate di alcun tipo e le frasi vengono solamente giustapposte, iniziano ad apparire le prime tracce esplicite di subordinazione: ciò avviene intorno al diciassettesimo mese di soggiorno in Italia (ovvero nella nona registrazione, ad un anno, quattro mesi e quindici giorni dall’arrivo), quando sono attestati casi di secondarie con vari punti di attacco (completive e avverbiali, tra cui temporali e ipotetiche) introdotte da una marca di subordinazione semanticamente aspecifica, il connettivo come. Dopo breve tempo (ad un anno, cinque mesi e quattro giorni di permanenza) appare il primo subordinatore conforme alla lingua target, il causale perché, che resta fino alla penultima rilevazione l’unico altro connettivo subordinante presente nell’il del soggetto. Solo nell’ultima registrazione (la diciannovesima, effettuata quattro mesi dopo la fine del periodo di registrazioni regolari a cadenza quindicinale) emerge anche il primo subordinatore con significato temporale, quando (Valentini 1998: 123-34). Tuttavia, quasi contemporaneamente alla comparsa di perché fa la sua apparizione anche un’altra marca di subordinazione, per, che introduce appunto secondarie con valore finale. Si veda l’esempio seguente 26 , con la prima occorrenza di per finale: [5] lui detto posso entrare a casa tua per s/ per +++ leggo libro? lui ha chiesto «posso entrare a casa tua per leggere? » (Chu x reg., 1a: 4mm: 24gg) Si noti che nell’esempio è riportato un caso di discorso diretto, una richiesta di permesso, con un infinito retto da un verbo modale (posso entrare). Al contrario, nella finale la forma verbale leggo retta da per non porta morfologia di infinito, come richiesto nella lingua target in base alla coreferenzialità dei soggetti; leggo parreb- 77 La frase finale in italiano L2 26 Negli esempi le trascrizioni seguono le seguenti norme: tra gli asterischi si indicano parole in lingua straniera; per le pause, a seconda della lunghezza, si usano i simboli +, ++, +++; il trattino indica allungamento del fono che precede; tra due segni di punto esclamativo si trascrivono parole pronunciate con enfasi; tra parentesi tonde sono riportati foni poco udibili; un segno di x tra parentesi tonde indica una sillaba non identificata e tra due segni di % si riportano parole pronunciate a volume di voce basso. Il segno di = indica la produzione di due (o più) enunciati in sovrapposizione. L’andata a capo con rientro segnala un nuovo contorno intonativo. Il segno di / indica un’interruzione o un cambiamento di programma. Tra parentesi quadrate e in lettere maiuscole sono riportate indicazioni sulla comunicazione non verbale. Ogni esempio è seguito dall’indicazione tra parentesi dell’apprendente, cui segue il numero successivo delle interviste longitudinali (per es.: x registrazione) e il periodo di soggiorno in Italia, espresso in anni, mesi e giorni (1a: 4mm: 24gg = un anno, quattro mesi e ventiquattro giorni di permanenza in Italia). be forma «correttamente» flessa alla prima persona singolare dell’indicativo presente (l’agente del verbo leggere è appunto la prima persona singolare) 27 . Il caso ricorda quello già riscontrato anche presso altri apprendenti - in particolare anglofoni caratterizzati da «un comportamento fortemente elaborativo in morfologia» (Berretta 1990a: 66) - di verbi retti, dove il verbo dipendente non porta morfologia di infinito, bensì si presenta in una forma flessa 28 : tra gli esempi riportati da Berretta (1990a: 65s.) troviamo io (ho) dovuto andare + ehm stazione per torno casa ho dovuto andare alla stazione per tornare a casa e posso leggio però capire no posso leggere però capire no . Ma nel nostro apprendente potrebbe rammentare anche un’altra strategia diversa, seppure talvolta con lo stesso esito formale 29 , ovvero una sovraestensione della forma base 30 (cf. alcuni esempi come sono impara parla italiano ehm *on* domenica imparo a parlare/ studio italiano la domenica o io spero tu ricordi scrive un cartolino rilevati in Peter da Berretta/ Crotta 1991: 304): si tratterebbe qui di un comportamento tipico di apprendenti sinofoni, o meglio, più in generale di apprendenti poco inclini allo sviluppo morfologico, al quale Chu sembra aderire. In questa fase (e fino alla penultima registrazione), infatti, l’apprendente alterna per i verbi retti da modali la morfologia dell’infinito con la forma base (per es. due solo due uomini non puoi passa a questa campagna due uomini da soli non possono andare sulla montagna vs. vuole passare questo campagna vuole andare sulla montagna , dalla dodicesima rilevazione) ed è solo nell’ultima registrazione (ben distanziata temporalmente dalla precedente) che la morfologia di infinito appare regolarmente nei nessi coi modali. Su questo punto torneremo tra breve. Con la stessa gradualità, anche se con un lieve ritardo 31 , la morfologia di infinito appare sempre più consistentemente anche nelle finali introdotte da per, come appare negli esempi che seguono: 78 Ada Valentini 27 In questa fase dell’apprendimento le forme correttamente flesse per persona e numero ammontano solo al 55,6% dei casi e questo dato percentuale può indurre a dubitare che si tratti effettivamente di una forma flessa (cf. Valentini 1992: 133). Si deve però ammettere che la prima persona è più raramente sovraestesa rispetto alle altre due e ciò farebbe propendere in questo esempio specifico per un’interpretazione di forma flessa piuttosto che di forma (base) sovraestesa (cf. poco più avanti). 28 Un altro esempio individuato nell’italiano appreso in contesto guidato di un soggetto tedescofono è posso clicco posso cliccare (l’esempio proviene dai materiali di Canevisio 1999). 29 Nel caso di un soggetto di terza (o seconda) persona singolare, come lui vuole torna a casa, è indecidibile se si tratti di una forma flessa o di una forma base sovraestesa. 30 Casi simili, come devo apre io devo aprire io ’, sono peraltro riportati anche nella bibliografia sull’acquisizione dell’italiano come L1 (cf. Guasti 1993s.: 8); si dovrebbe trattare però di errori sporadici dovuti a problemi di performance, di esecuzione. 31 La prima occorrenza - isolata - di modale + infinito risale alla settima registrazione (io volio entlare, ad un anno, tre mesi e sedici giorni dall’arrivo), ma solo a partire dalla decima rilevazione vi è alternanza tra le due forme, mentre la prima occorrenza di finale introdotta da per con verbo all’infinito risale alla tredicesima rilevazione (per mangiare, ad un anno, sei mesi e dieci giorni di permanenza). Nell’ultima registrazione tutti i casi rilevati di secondarie introdotti da per (quattro occorrenze) presentano l’infinito. [6] adesso c-era un po’ + solo: + quelo: + libro per studiare adesso in casa mia [in Cina] ci sono solo un po’ di libri per studiare (Chu xvii reg., 1a: 10mm: 13gg) [7] ha venduto non per sposare per: eh lavorare l’ha venduta [la = la figlia] non per farla sposare, ma per farla lavorare/ non perché [lui] la sposi, ma perché lei lavori (Chu xix reg., 2aa: 3mm: 1g) Va detto che nel corpus di Chu le finali, pur essendo «precoci», non sono molto frequenti: le occorrenze di questo tipo di subordinata ammontano a poco più di una decina di casi e sono tutte posposte alla principale (come avviene anche nelle occorrenze degli altri due apprendenti); circa la metà di esse presenta coreferenzialità del soggetto con quello della principale e richiede quindi morfologia di infinito; vi sono però dei casi, come quelli riportati in [7] e nei due esempi seguenti, dove non vi è coreferenzialità di soggetto: [8] e: apre porta per poliziotti entra=a casa e apre la porta perché i poliziotti entrino/ per far entrare i poliziotti (Chu xvi reg., 1a: 10mm) [9] e poi talia per noi cucire e poi tagliano [la stoffa] perché noi possiamo cucirla (Chu xviii reg., 1aa: 10mm: 27 gg) Come si può osservare negli ultimi esempi 32 , l’assenza di coreferenzialità dei soggetti non sembra avere effetti sull’alternanza tra forme di infinito (sposare, passare e lavorare) e forma base (entra per un soggetto di numero plurale). Al più, si può riflettere se la comparsa più tarda (a distanza di poco più di cinque mesi) di finali dove non vi è coreferenzialità sia significativa o solo casuale. Sono assenti implicite con altri modi non finiti (gerundi o participi) o altri infinitivi introdotti da preposizioni, eccetto occorrenze veramente sporadiche di a + infinito, attestate quasi solo nell’ultima rilevazione (per es. vuole litona quelo città a uccidere quelle pesone vuole ritornare in città ad uccidere quelle persone ) 33 . Nel- 79 La frase finale in italiano L2 32 Un altro caso tratto dalla tredicesima registrazione (ad un anno, sei mesi e dieci giorni di permanenza in Italia) simile, ma con polarità negativa, è riportato qui sotto: 32 (i) A: prova a immaginare tu sei con un tuo amico in campagna e un serpente ti morsica + tu cosa fai? I: come c-era eh qua un giro di qua [cnv: fa il gesto di fasciarsi] A: mh_ ti fasci I: sì eh senza sangue senza passare (mi fascio) per non far passare il sangue/ perché il sangue non passi . 33 Riportiamo di seguito qualche altra occorrenza di verbi retti con morfologia di infinito, riscontrata nell’ultima rilevazione: va uccidere, viene uccidere, vai (a) giocare, sa camminare bene e sa cucire bene, oltre naturalmente agli altri - numerosi - esempi di nessi con modali. Aggiungiamo un caso dubbio, studiare cinese deve leggere di più scrivere di più, dove studiare cinese pole precedenti sono frequenti occorrenze come bisogna prende, bisogna vado, bisogna torna, va a olio cerca va a cercare la benzina , viene chiama, piace abita mi piacerebbe abitare lì vs. ha pensa fare così ha pensato di fare così , fino studiare finito di studiare . In conclusione, nei dati di Chu è evidente che la prima forma di subordinazione implicita ad emergere è rappresentata dalle frasi finali introdotte da per: questa forma di subordinazione implicita è preceduta dall’occorrenza di morfologia di infinito nei verbi retti da modali. La presenza precoce di finali introdotte da per è confermata anche dagli altri due apprendenti esaminati per questo lavoro: nel corpus di Markos la prima attestazione di subordinata finale risale alla terza registrazione, a meno di due mesi di soggiorno in Italia, e in quello di Peter all’ottava registrazione, a circa tre mesi di permanenza; si tratta delle occorrenze riportate qui di seguito: [10] I: e come mai sei andato / perché sei andato in queste città? M: eh? per girare = sì I: =mh mh M: io +++ con miei amici studenti = + per + passaggio = I: =mh mh =ah ah M: per passaggio +++ noi an/ andate %sì? %= %no%, noi andiamo I: =mh mh M: andiamo, noi andiamo Massaua e (xx) (Markos iii reg., 1m: 22gg) [11] il venerdì S. è è arrivato in Milano Cen/ in Milano per visi/ mh mh visitare io (Peter vii reg., 2mm: 28gg) Come si osserva negli esempi, in queste prime attestazioni le finali per girare e per visitare io, oltre a essere introdotte da per, sono anche marcate, diversamente da quanto avviene nelle prime occorrenze di Chu, dal modo infinito. È vero che alla prima emergenza di finale subordinata nell’esempio di Markos segue un’ulteriore occorrenza di per seguito da un elemento, passaggio, dallo statuto incerto (si tratta di una forma verbale o di un nome? ), il cui contesto fa supporre che si tratti nuovamente di una finale sinonimica alla precedente, ma l’interpretazione resta dubbia. Nonostante il caso segnalato, va detto tuttavia che le finali sono quasi costantemente marcate dalla strategia di deranking, eccetto rarissimi casi 34 . 80 Ada Valentini trebbe essere un caso di finale anteposta alla principale con ellissi del connettivo per (l’interpretazione alternativa è che si tratti di un topic di frase). 34 Per Peter si tratta di due soli casi, per studio la lingua italiana per studiare l’italiano e per mangiare/ mangiato gelato, entrambi riscontrati nella quattordicesima rilevazione, che segna l’inizio di una terza fase nella morfologia del sistema verbale, caratterizzata da un’involuzione (cf. ad es. i dati riportati in Berretta/ Crotta 1991: 312 e 316). Per Markos fanno eccezione due altre occorrenze (oltre a quella in corsivo nell’esempio [10], commentata sopra), l’una con una forma di participio passato (per capito la lingua italiana, dalla quarta rilevazione) e l’altra con una forma base (per trova grammatica per imparare la grammatica/ per cercare una grammatica , dalla quinta rilevazione). Per la regolarità con cui le forme d’infinito compaiono nelle finali riteniamo di poter escludere che si tratti di una forma base sovraestesa (cf. sull’argomento Banfi 1990 e Berretta 1990a). Si confrontino, a conferma di ciò, i dati riferiti alle sovraestensioni di infinito in Peter e agli usi che ne vengono fatti da Peter in Berretta/ Crotta (1991: 312, 316 e 323ss.) e da Markos in Bernini (1990a: 85-91): l’infinito in Peter è presente soprattutto in contesti di modalità (non attuale) e appare sovraesteso con una percentuale inferiore al 7% in contesti di presente e di passato prossimo; si tratta dunque di un valore ben diverso da quello che possiamo ottenere per le finali, nelle quali l’infinito compare con una percentuale superiore all’80% (tredici occorrenze su quindici). Prima di avanzare ipotesi esplicative sulla precocità morfologica di questo specifico settore della flessione verbale, è opportuno inserire le nostre considerazioni all’interno del quadro di sviluppo relativo alla subordinazione. Il quadro è sostanzialmente comune - e ciò è rassicurante - ad entrambi gli apprendenti: anteriormente all’emergenza di subordinazione implicita via secondarie finali sono già apparse nei corpora subordinate esplicite con valore causale, introdotte da perché, mentre quando con funzione temporale è solo lievemente distanziato, con leggero anticipo o ritardo rispetto a per finale: in Peter la prima secondaria temporale risale alla sesta rilevazione (mentre per finale compare in quella successiva) e in Markos quando emerge nella quarta rilevazione (per era apparso nella terza). Posteriormente alle prime occorrenze di finali, emergono regolarmente altri tipi di avverbiali, come le ipotetiche introdotte da se, e completive e relative; qui però l’ordine interno tra i tre tipi varia: in Markos le relative (tre occorrenze marcate con che/ chi, tutte costruite sul soggetto) compaiono a partire dalla quinta registrazione (a due mesi e ventidue giorni dall’arrivo; cf. Giacalone Ramat 1994) e nella sesta rilevazione emergono le prime ipotetiche introdotte da se 35 . In Peter, invece, solo dopo che le finali implicite appaiono regolarmente nel corpus, si assiste all’emergenza o alla consistente comparsa di ipotetiche introdotte da se e di completive introdotte da che (a partire dalla tredicesima rilevazione, a cinque mesi e quattro giorni di permanenza); in seguito, occorrono relative introdotte nuovamente da che (la loro comparsa, che risale alla sedicesima registrazione, resta tuttavia solo occasionale; cf. Valentini 1998: 138 e anche Valentini 1997). A ciò si aggiunga un’ulteriore osservazione empirica: nel corpus di Peter appaiono frequentemente e assai precocemente (a partire dalla seconda rilevazione) anche subordinate temporali introdotte da dopo; questo connettivo, che nella lingua target ammette sia la forma implicita sia quella esplicita (cf. Giusti 1991: 726s.), è quasi costantemente accompagnato da forme di participio passato 36 81 La frase finale in italiano L2 35 Nella seconda registrazione è attestata anche un’unica occorrenza relativa, anch’essa però di dubbia interpretazione: un uomo che la fischia così, mentre le completive introdotte da che sono pressoché assenti (ve n’è un’unica occorrenza nella nona registrazione). 36 In Markos le occorrenze di dopo in funzione di subordinatore sono solo sporadiche; una delle prime attestazioni, tuttavia, è seguita dal participio passato (dopo io entrato in Italia dopo che ero entrato in Italia/ dopo essere entrato in Italia , dalla quarta rilevazione). (dieci occorrenze di dopo + participio passato, contro due casi di dopo + infinito ed altri tre casi, due dei quali, però, dubbi anche per lo statuto categoriale dell’elemento posposto 37 , in cui la forma che segue potrebbe essere forma flessa o forma base): [12] perciò dopo finito shopping in Milano Centrale noi siamo andato a L. in treno dopo aver finito lo shopping a Milano Centrale . . . [13] dopo fini/ *after we finished* dopo finito visitato . . . noi siamo andati a la casa G. in L. dopo aver finito la nostra escursione, siamo andati a casa di G. a L. (per entrambi gli ess. Peter viii reg., 2mm: 28gg) [14] io ricordo arrivato quattro persone dopo cominciato feste compleanno G. ricordo che sono arrivate (altre) quattro persone dopo che era cominciata la festa di compleanno di G. (Peter vii reg., 2mm: 16gg) Si osservi che nei primi due esempi la temporale è preposta alla principale, come avviene più comunemente nel corpus, ovvero in tredici occorrenze su un totale di quindici casi, rispecchiando il principio dell’ordo naturalis; in [14], invece, abbiamo riportato il caso - meno frequente - in cui la principale è anteposta alla secondaria: per queste subordinate che esprimono un rapporto di anteriorità rispetto alla principale emerge nell’IL una spiccata preferenza per il participio passato e il dato va certamente spiegato con il fatto che il connettivo dopo viene naturalmente associato per il suo significato a forme verbali di aspetto perfettivo (ancora, coerentemente, sono ben cinque le repliche del tipo lessicale finire); inoltre - ma a questo faremo cenno di nuovo poco oltre - il participio passato è forma già disponibile nell’IL 38 . Ma torniamo ora all’infinito: tenendo come punto di riferimento l’emergenza della finale implicita, si può osservare che in Peter l’infinito è apparso già quasi regolarmente con perifrasi aspettuali (per es. noi cominciamo sci(v)are quasi *twelve o’clock* abbiamo cominciato a sciare quasi alle dodici ), in argomentali con valore di soggetto (per es. mi ti-piace sci(v)are mi piace sciare ) e con perifrasi modali (possibile/ non possibile + infinito; per es. amica mio non possibile scivare la mia amica non poteva/ riusciva a sciare o io non possibile visitato/ no non possibile visitare tutte per/ tutti amico mio non ho potuto andare a trovare tutti i miei amici ) 39 . Al contrario, con la forma bisogna/ bisogno, che fa la sua apparizione solo a partire dalla tredicesima rilevazione, contemporaneamente a dovere, l’infinito è in 82 Ada Valentini 37 Si tratta delle occorrenze dopo lavoro e dopo pranzo in cui pranzo e lavoro potrebbero essere sia nome sia verbo. 38 Pur partendo da uno stadio prebasico e nonostante la fase finale di marcata involuzione, Peter sviluppa nel periodo delle rilevazioni un sistema dove la forma base del presente indicativo si oppone alla forma del participio passato in base a differenze temporali/ aspettuali, raggiungendo così lo stadio postbasico. 39 Cf. Bernini 1995b per lo sviluppo dei verbi modali sia in Peter che in Markos. alternanza con una forma apparentemente flessa (per es. se io bisogno andare *into East Germany* bisogna per me prendo *the permission*). Anche in Markos l’infinito retto compare con altrettanta regolarità e quasi contemporaneamente alle finali implicite nei nessi con verbi modali (e nei casi rari di perifrasi aspettuali): per es. nella quinta registrazione si hanno cinque repliche di volere + infinito contro un unico caso di modale seguito da un’apparente forma base (tutti li uomini vogliono vieni fuori da nostra cità tutti vogliono uscire dalla città , insieme a io ce l’ho la programma di vado/ viengo qua io avevo già l’intenzione di venire qua e non c’è la strada di vieni qua non c’è il modo per/ di venire qua ) o, ancora, nella sesta rilevazione abbiamo rilevato un caso di io non volio vado agli altri città contro undici occorrenze di volere + infinito (cf. anche Bernini 1995b) 40 . 6. Conclusioni Prima di passare ad alcune osservazioni finali, vorrei far cenno al fatto che la nostra analisi si è basata - è vero - su poche occorrenze; è opportuno tuttavia a questo proposito osservare che il problema è inerente allo studio di fenomeni sintattici: infatti, a differenza di quanto avviene in ambito morfologico, l’oggetto di indagine non occorre obbligatoriamente, le frasi subordinate possono essere sostituite da frasi coordinate senza violare una norma grammaticale (diverso è ad esempio il caso di un morfema di plurale, la cui assenza provoca devianza dalla norma della lingua target). Cionondimeno, le conclusioni che se ne possono trarre dovrebbero avere una validità generale poiché si tratta di dati longitudinali da apprendenti di due lingue materne diverse; inoltre, come è già stato osservato altrove (Valentini 1998: 196), la lentezza con cui taluni soggetti procedono nell’apprendimento consente di osservare come in moviola lo sviluppo dell’IL. È innegabile, tuttavia, che sarebbe auspicabile avere ulteriori conferme da altri apprendenti e, possibilmente, da corpora con generi testuali diversi. I dati riportati nel paragrafo precedente indicano con chiarezza che la prima forma di subordinazione implicita rappresentata dalla frase finale introdotta da per è assai precoce nell’apprendimento dell’italiano come seconda lingua: essa infatti emerge poco dopo le prime attestazioni di dipendenti esplicite di tipo avverbiale (si tratta di frasi causali e temporali), mentre precede altri tipi di subordinazione 83 La frase finale in italiano L2 40 Facciamo cenno al fatto che nei dati soprattutto di Markos, ma anche di Peter, sono attestati alcuni rari casi in cui la struttura della finale è sovraestesa su altre subordinate: in Markos sono presenti casi di per con infinito in luogo di infinitive introdotte da di, come in e dici per venire a me e digli di venire da me (Markos x reg., 5mm: 19gg), mentre in Peter vi sono un paio di occorrenze di relative realizzate con per + infinito, come in ci sono due gruppi per partire da Milano a Singapore ci sono due gruppi che partono da Milano per Singapore (Peter xvii reg., 7mm: 21 gg). esplicita, come ad es. le ipotetiche o le completive e le relative. Si può concludere allora che l’apprendimento della subordinazione in italiano L2 non è guidato in primis da parametri grammaticali (tutte le subordinate contraddistinte dalla strategia di balancing prima di quelle caratterizzate dalla strategia di deranking), ma piuttosto dalla rilevanza semantica/ testuale dei diversi tipi di subordinate (da qui l’importanza di indagare diversi generi testuali). Resta tuttavia il fatto che all’interno della categoria delle implicite il primo tipo ad emergere è proprio quello che manifesta un alto grado di integrazione semantica con l’evento della frase principale (cf. sotto). A spiegare la «precocità» morfosintattica degli apprendenti in questo particolare settore riteniamo che abbiano contribuito almeno tre fattori: un fattore tipologico, un fattore sistemico-acquisizionale ed un fattore, per così dire, di interferenza - di lingue in contatto. Anzitutto, da un punto di vista tipologico le finali sono caratterizzate da un alto grado di integrazione semantica con l’evento della proposizione indipendente (cf. il paragrafo 3). Seguendo il principio iconico di Givón (1990: 516 e 826), tanto più l’evento della subordinata è integrato semanticamente con l’evento della principale, tanto maggiori sono le probabilità di utilizzare una forma verbale ridotta, o meglio deranked (cf. Cristofaro 1998, soprattutto 22-26): gli apprendenti mostrano di seguire «naturalmente» questo principio. La spiegazione ora avanzata si può applicare anche alla precoce comparsa di infinito in nessi con verbi modali: le previsioni derivabili da considerazioni tipologiche vedono, all’interno della categoria delle completive 41 , i verbi dipendenti da modali e da perifrasi aspettuali come più soggetti a deranking per le stesse motivazioni di alto grado di integrazione semantica tra i due eventi (cf. Givón 1990: 537- 55 e Cristofaro 1998: 17-22). Il secondo fattore di cui intendiamo tener conto è di tipo, per così dire, sistemico: pur se precedenti analisi hanno mostrato che anche negli apprendenti qui esaminati l’infinito non riveste il valore di forma base nel sistema dell’IL, è innegabile che si tratti di una forma certamente già disponibile nel microsistema verbale dei soggetti, dove copre quei valori modalizzati di non-attualità (cf. in particolare Berretta 1990a) ben individuati nella bibliografia relativa (cf. i già citati lavori di Bernini 1990a per Markos, Berretta/ Crotta 1991 per Peter e Valentini 1992 per Chu). Riteniamo che sia proprio la disponibilità dell’infinito come forma presente nel sistema con i precisi valori che copre a facilitarne la comparsa nelle finali; come è stato altrove notato, da un punto di vista formale l’infinito è marcato (nel senso di merkmalhaft) da morfemi salienti, che ovviamente ne favoriscono l’individuazione («-are, -ere, -ire tonici e -ere atono», Berretta 1990a: 52). A ciò si aggiunga che gli stessi apprendenti ne riconoscono l’importanza funzionale: esemplificativo al 84 Ada Valentini 41 Non tutti - come è noto - concordano con l’opinione secondo cui i verbi modali reggono una completiva. riguardo è il commento metalinguistico di Markos, che nell’ultima rilevazione - a proposito dell’infinito in contesti di imperativo negativo 42 - afferma: io uso tutti i giorni, no, «non andare non mangiare non fare» così perché è importante frase. Si tenga conto che l’infinito proprio per i valori di non attualità che copre di norma è, più di altre forme non finite (pensiamo al participio passato che riveste invece significato risultativo), «solidale» con il carattere prospettivo e non attuale della frase finale (cf. per la correlazione dell’infinito col significato finale Haspelmath 1989). Questo secondo fattore sistemico può essere applicato anche all’altra constatazione empirica del paragrafo precedente, ovvero alla presenza di forme di participio passato che seguono dopo. Da ultimo, vorrei tener conto di un terzo fattore, ancorché marginale rispetto ai primi due, ma meritevole almeno di un cenno: si tratta dell’influenza, soprattutto per Peter (ma anche in parte per Markos), della L2 d’appoggio dell’apprendente, l’inglese, che emerge frequentemente nelle interviste; in particolare, si assiste di sovente ad un utilizzo di verbi lessicalizzati in inglese con il morfema di infinito to, che anche da solo è sufficiente a veicolare il significato finale. Gli esempi che seguono ci hanno portati verso questa interpretazione: [15] io vado a Milano Centrale stazione di Milano Centrale per *to see you* (Peter xvii reg., 7mm: 21gg) [16] quando io arrivato in (Mont) in *artist’s corner* c’è un ragazza + chiede me per ++ *to to draw my picture for me* quando sono arrivato a Montmartre, nell’angolo degli artisti c’era una ragazza che mi ha chiesto il permesso di/ per ritrarmi (Peter xiv reg., 5mm: 26gg) Riteniamo che l’utilizzo dell’infinito per esprimere subordinate finali nella L2 d’appoggio di Peter possa aver facilitato il transfer in italiano di questo tratto. Concludiamo con l’osservazione che a un livello più generale l’emergenza di questo tipo di subordinazione dovrebbe essere collocata ad uno stadio postbasico di apprendimento, ovvero successivo alla varietà basica (cf.: «Strikingly absent from the B[asic]V[ariety] are . . . complex hierarchical structures, in particular subordination», Klein/ Perdue 1997: 332), poiché il particolare tipo di subordinazione richiede l’acquisizione della morfologia di infinito. Bergamo Ada Valentini 85 La frase finale in italiano L2 42 Rinviamo di nuovo, per la sequenza di acquisizione delle forme di imperativo, a Berretta 1995: anche qui l’imperativo negativo appare precocemente, insieme alle prime forme di imperativo corrette (la seconda persona singolare di verbi in -ere e -ire; Berretta 1995: 341). 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