Vox Romanica
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0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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Kristol De StefaniWolfgang Schweickard, Deonomasticon Italicum, Dizionario storico dei derivati da nomi geografici e da nomi di persona; Volume 1: Derivati da nomi geografici. Fascicolo 5°: Ciociaria – Damasco. Tübingen (Niemeyer) 2001
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A. Lupis
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retino della seconda metà del XIV secolo, senza però riuscire a imporsi e diffondersi» (410). C. pensa quindi al risultato (modesto) di un influsso proveniente da aree rafforzanti, come quella fiorentina: e le date relativamente tarde delle attestazioni non ostano a tale interpretazione. A questo proposito, però, si ricordi anche la diversa proposta ricostruttiva avanzata di recente da Loporcaro che, valorizzando la presenza nell’area di alcuni casi fossili di raddoppiamento provocato da a e che (normalmente non raddoppianti) fissati entro locuzioni idiomatiche, tende a interpretare gli esempi medievali come reliquie di una fase antica in cui il raddoppiamento fonosintattico lessicalmente ristretto avrebbe interessato anche la Toscana orientale e l’Umbria settentrionale 20 . In conclusione, il volume di C., della cui inesauribile ricchezza e varietà le riflessioni precedenti non sono che debili postille, è un esempio luminoso di cosa significhi fare storia della lingua, un modello di metodo e di moralità scientifica per chiunque, in qualunque prospettiva, si occupi di italiano antico. Non resta quindi che ripetere la nostra gratitudine a chi ha scritto quest’opera che onora la filologia e la linguistica italiane. V. Formentin H Wolfgang Schweickard, Deonomasticon Italicum, Dizionario storico dei derivati da nomi geografici e da nomi di persona; Volume 1: Derivati da nomi geografici. Fascicolo 5°: Ciociaria - Damasco. Tübingen (Niemeyer) 2001 Al pari dei precedenti fascicoli, anche quest’ultimo si legge d’un fiato, come il bel capitolo di un romanzo a puntate. È una sensazione ben nota ai lessicografi - e condivisa con quanti amano i dizionari storici - quella di poter padroneggiare geografia e diacronie, attraverso la lettura delle voci di un lessico. E più ancora nel caso del DI, giacché ogni fascicolo, per sua stessa natura, si lascia godere come un libro di avventure di terra e di mare, diffuse nel tempo e nello spazio, attraverso percorsi di oggettiva interculturalità, quella delle cose, cioè, dei prodotti, delle merci, delle scoperte, ma anche delle astrazioni colte e dei recuperi mitologici e dotti. Un solo caso significativo: se si vorrà, per esempio, avere la pazienza di collazionare l’intera serie dei sintagmi esposti sotto l’articolo Cipro, si leggeranno, accanto alla storia delle fortune e della decadenza dell’isola, fondamentale ponte tra le sponde d’Oriente e l’Europa fino alla conquista turca del 1571, anche le molteplici rotte dei prodotti commerciati e la differenziazione merceologica e cronologica delle propensioni dei differenti mercati: apprendiamo così che, per mani veneziane, solo il Trecento dei mercanti toscani traffica bocorare, bucherami, boccaccini, filati, lana, seta di Cipro, ma anche che i medesimi mercanti condividevano con altri importatori il traffico di merci quali il vino, lo zucchero, lo zibibbo, l’indaco, e soprattutto la polvere di Cipri, quella ‘cipria’ oggi dimenticata, ma che fu alla base della cosmesi non solo femminile fino agli anni Cinquanta. Dopo la conquista turca, Cipro scompare come mercato, ci dicono le attestazioni del DI, e l’isola occorre solo come denominatore sporadico di tecnicismi quali gatto di Cipro ‘varietà del gatto domestico’ (1892, Garollo), pietra di Cipro ‘minerale fibroso’ (1848, EncPop), trementina di Cipro, ecc. Non soltanto: possiamo congetturare, infatti, come alcuni di questi sintagmi ci riconducano a stratificazioni più remote e d’altri antichi mercati, come è per la cera cipria, ma anche, l’olio e il rame di Cipro, ed altri ancora, che riappaiono solo nei volgarizzamenti pliniani e dioscoridei. 302 Besprechungen - Comptes rendus 20 Cf. M. Loporcaro, L’origine del raddoppiamento fonosintattico. Saggio di fonologia diacronica romanza, Basel/ Tübingen 1997: 90ss. Contemporaneamente, la medesima voce ci dà conferma delle predilezioni deonomastiche di D’Annunzio, in assoluta coerenza con l’impianto ideologico della sua scrittura: per cui, se presso di lui il nome dell’isola è Cipri sin dal 1899, l’agg. corrispondente cipriano dal 1902, cipriana è nel 1883 l’appellazione di Venere (e sarà il solo e ultimo letterato moderno a ricorrere a queste varianti), altrettanto rara e raffinata sarà la sua ricerca di livello sintagmatico: a fronte del balsamico (e isolato) olio di Cipro dei volgarizzamenti pliniani sarà creatore ed utente esclusivo del metonimico essenza di Cipro ‘id.’ (1935, D’AnnunzioOpereBianchetti 8,872, DI I,5,513b,49-50); ricorderà egli solo le profumatissime rose di Cipri (1892ca., ib. 1,673, DI I,5,514a,29-30); recupererà unico l’immagine boccacciana della coltre di bucherame cipriano (1935, ib. 8,665, entrambe in DI I,5,521a,9-14). Grazie alla voce nel DI, tra l’altro, prendiamo ulteriore atto del conflitto lessicale che spinse su posizioni estreme e ben distanti tra loro D’Annunzio e Carducci: quest’ultimo infatti, ricorre, tra i derivati, ai soli incipriato agg. ‘retrivo ottuso’ (1860, DI I,517b,33, sulla scorta dei precedenti, e tutti ottocenteschi, modelli di Foscolo, Tommaseo, Nievo) e incipriatura f. ‘atto dell’incipriarsi’ (1892, ib. 57-58), battuto di pochi anni dall’uso già metaforico che ne aveva fatto per primo D’Annunzio col valore di ‘patina, strato sottile’ (1889, D’AnnunzioAndreoli/ Lorenzini 1,242, ib. 53-54). Né è questa la sola voce che si presta ad analisi «trasversali» nel DI, sulle scelte deonomastiche carducciane e dannunziane, cfr. per esempio le voci Citera, Cnìdo, Cnosso, Còlchide, Colofone, Creta, ecc. Il come e il perché dell’assoluto interesse del DI sono del resto nella filosofia del dizionario, sin dalla sua origine inteso come serbatoio complessivo di ogni singola voce italiana in qualunque modo rinviabile all’onomastica o, per il primo volume, alla toponomastica. Un assunto a volte ingrato, dal momento che costringe il compilatore del DI a instaurare anche lemmi, per così dire, di puro contorno, e di apparentemente scarso interesse per la storia culturale e linguistica: si vedano, per esempio, in questo fascicolo le voci Ciriè, Cittadella, Cleve, Colórno, Copiapò, ecc., produttive d’un etnico soltanto o di un isolato termine mineralogico (ma apparentemente, s’è appena detto, giacché anche simili esili voci sono comunque irrobustite dalla completa serie cronologicamente disposta, attenta ad ogni minima variante grafica e formale, delle attestazioni toponimiche, e di un commento storico e geografico che rende conto delle trafile di coniazione e trasmissione delle forme attestate). E compito severo, poi; perché, in una simile opera varietà e continuità d’attestazione essendo presupposti essenziali, Schweickard ha dovuto allestire (e deve quotidianamente aggiornare) quella che è ad oggi la più attenta ed in ogni senso migliore bibliografia primaria di supporto ad un dizionario storico italiano mai concepita. Un dato già immediatamente percepibile dal lettore, ma che sarà ben più chiaramente avvertito quando sarà apparsa la nuova bibliografia a stampa. Ove, sono certo, si potrà misurare come in pratica nessuna fonte «specialistica» sia stata trascurata (diari, opere di viaggio, scoperte, storia dell’economia, alimentazione, medicina, tradizioni popolari, ecc.), ma come, insieme, Schweickard operi per quanto possibile la colmatura di alcuni tradizionali «buchi neri» nella documentazione della lessicografia italiana, tra i quali, come ha già osservato Luca Serianni in una recente recensione al DI, «spiccano la storiografia e la trattatistica politica cinque-secentesca, un settore spesso trascurato dai lessicografi (L. Assarino, G. Botero, L. Della Chiesa, O. Lando, L. Martorelli, F. M. Ottieri)». 1 Alla bontà del metodo di base del DI ed alla vastità e qualità dei suoi spogli si affiancano da qualche tempo i materiali del LEI di Max Pfister, che corredano rigogliosamente (sia pur soltanto in nota) i singoli articoli, e che a tratti sono la chiave di volta di una voce o almeno di una sua parte. E vediamone un paio di casi: se si vuole ricostruire la storia delle dalmade, i caratteristici zoccoli di legno dei contadini del Nord-Est, per esempio, non si potrà 303 Besprechungen - Comptes rendus 1 Luca Serianni, «Recensione al DI di Wolfgang Schweickard», SLI 25 (1999): 139 prescindere dalla fondamentale nota 2 all’articolo Dalmazia, che da sola occupa le pp. 626 e 627, mostrando anche l’estrema produttività della base, in relazione inoltre ad altri significati. Così come senza il prezioso apporto degli spogli offerti a Schweickard da Max Pfister per il Deonomasticon non sarebbe possibile vedere chiaramente sotto la voce Còrdova (una delle migliori del fascicolo, a mio avviso) il conflitto geografico e culturale tra i due tipi corradicali e concorrenti corvisiere e cordovaniere ‘artigiano conciatore o venditore di cordovano; calzolaio’. Il secondo dei quali, per vie affatto mercantesche, sembra voce complessivamente e originariamente diffusa dalla Toscana (si badi alla prima attestazione per chordovaniere del 1263, DareAvereUgolini, ProsaOriginiCastellani 1,347; ma anche alle forme lat.med., tutte tali da configurare un ben preciso areale tosco-emiliano, a partire dal corduanerius del 1131, già raccolto nel basilare saggio di Aebischer,ASNPisa II.10,5 e ripreso da Varvaro, FSPfister 161). A fronte il primo tipo appare chiaramente apporto angioino al lessico meridionale, come si desume da tutte le attestazioni «italiane» 2 , dal siciliano curviseri del Senisio agli odierni dialettali salent. curveserio o trapan. curviseri. Le attestazioni del lat.med. sono praticamente altrettanto antiche che per l’altro tipo, ma anch’esse distribuite nella ben definita area della dominazione angioina. Tanto che non mi sentirei affatto di sostenere con Caratù,LSPuglia 3,94 (ampiamente citato in nota all’articolo) che «una distinzione di significato doveva pur esserci tra le due parole, almeno relativamente agli ambienti che le riportano contemporaneamente (Troia, Bari, Barletta) e al periodo nel quale è testimoniabile». In realtà mi pare chiaro, come il DI documenta ineccepibilmente, che siamo in presenza di uno dei tanti doppioni, perfettamente sinonimi, della storia linguistica italiana legati a stratificazioni culturali o ad egemonie amministrative successive, e per un certo periodo conviventi, sulla base di individuali atteggiamenti linguistici, sino all’entropizzazione verso il tipo di maggior adattabilità o prestigio: per tutti mi limito a citare il ben noto doppione chauffeur vs. autista, sinonimi perfetti di due differenti momenti culturali, il successo del secondo dei quali potè stabilirsi solo grazie alle leggi fasciste sulla purezza della lingua, e forse in parte alla mediazione di quel dannunziano autiere, per altro troppo militaresco per porsi alla guida della berlina di una signora dell’alta borghesia di quegli anni. È imponente, s’è detto, la raccolta di materiali del DI, e tutta di prima mano: tutto merito di Schweickard, poi, se i materiali non «italiani», risalenti agli spogli del LEI, non solo non aggravano gli articoli e non modificano l’assetto iniziale del dizionario, ma li rendono anzi meglio fruibili anche ai fini di valutazioni metao extralinguistiche. Poche altre considerazioni su questo quinto fascicolo, anch’esse a conforto della assoluta qualità del metodo di lavoro di Schweickard e della sua squadra. La prima d’esse è sull’impeccabile assetto filologico del DI: ogni forma è esibita nella sua grafia originale (una delle ragioni alla base della scelta di acquisizione di spogli diretti di ogni singola fonte, visto che anche i più moderni dizionari storici tendono a normalizzare e semplificare le grafie), e la datazione è regolata sulla base esclusiva di date certe; in assenza, a volte, neppure su quella di morte dell’autore, ma direttamente su quella di stampa dell’opera. Un’altra è sulla quan- 304 Besprechungen - Comptes rendus 2 Che scrivo tra virgolette, perché in realtà si tratta di forme dei volgari antichi, tutte perfettamente riconducibili ad una precisa localizzazione (sic.a., nap.a., salent.a., pugl.a.): ecco, se un dubbio mi è lecito avanzare a Schweickard, mi domando se non sarebbe meglio, sul modello del LEI, localizzare nel DI al meglio le scriptae, considerata la difficoltà, a volte anche per l’esperto lettore, di dedurne la tipologia sulla sola scorta dell’attestazione. Se non nel testo, per non appesantire eccessivamente i fascicoli, almeno nella credo imminente nuova bibliografia a stampa; ma meglio nel corpo degli articoli: si eviterebbe tra l’altro l’accorpamento di due diverse e lontane tradizioni scrittorie rispetto alla medesima attestazione, come se fossero l’una soltanto cronologicamente precedente l’altra, e non invece a volte testimonianze conflittuali di ben distinte trafile grafofonetiche e culturali. tità della documentazione allegata: l’evidente tendenza del DI è quella di fornire, per ogni attestazione, l’intero pacchetto della documentazione raggiunta, indipendentemente dal suo affollarsi in limiti temporali circoscritti. Di norma, infatti, un dizionario storico limita l’esibizione dei suoi materiali attraverso una scelta che sia in qualche modo rappresentativa: per esempio il Grande Dizionario della UTET addensa i suoi materiali anche sulla base della qualità «letteraria» del testo onde si trae l’esempio e della sua importanza; il LEI determina le sue citazioni sulla continuità documentaria di almeno un esempio per secolo. Criteri che giustamente il DI non assume come parametri, perché un deonomastico si fonda non solo sulla continuità della documentazione, ma anche e con eguale intensità, sui coefficenti di penetrazione sincronica delle singole voci e derivati. Tanto che uno storico o un economista potrebbero utilmente giovarsi del DI per i propri studi, visto che troverebbero negli articoli anche precisi indicatori statistici dell’espansione delle singole forme. E, di conseguenza, altro basilare assunto metodologico del DI è la migliore databilità delle attestazioni, a partire dalla prima, determinante come l’ultima per delineare esattamente i limiti cronologici di un derivato. La lettura dei fascicoli del DI non dà direttamente ed immediatamente conto di questo contributo, lasciando agli utilizzatori del dizionario la cura dei confronti. Ma un controllo a tappeto della lessicografia storica oggi disponibile fornirebbe numeri di grosso rilievo a favore del DI: hapax, prime attestazioni, postdatazioni, integrazioni (e sempre fondati su schedature originali) si incontrano continuamente nel DI, tanto da meritare forse una recensione ed un’attenzione a parte. È proprio per questo che Wolfgang Schweickard vorrà consentirmi due retrodatazioni al DI, che scelgo perché indicative sia del lavorio intorno alle cronologie relative, sia delle indicazioni extralinguistiche che dalla miglior databilità di una forma si possono dedurre, sia infine della databilità delle forme a partire da dati extralinguistici. La prima che scelgo è it. cravatta f. ‘accessorio dell’abbigliamento; fascia di stoffa annodata al collo a scopo ornamentale’, nel DI rintracciabile tra i derivati di Croazia (607,41- 63). Tra i più recenti dizionari, B (= GDLI per il Deonomasticon) attribuisce la prima attestazione a Monti (si tratta di una lettera del 1797); il DELI, successivamente, distinguendo tra le varie forme, assegna la prima attestazione di cravatta al 1707, Veneroni (e dubita di un’altra del 1705, della quale l’Altieri Biagi non dà la forma), mentre giudica croatta anteriore alla morte del Magalotti (1712). Il DI migliora le due datazioni, datando crovatta del 1675 (Magalotti, Dardi,SLeI 2,231), portando cravatta al 1700,Veneroni, croatta al 1710, Magalotti, e corvata al 1772, D’AlbVill. Ma da ultimo il DELIN in volume unico sposta croatta al 1673, F. Nazari, recupera la datazione del 1675, Magalotti, per crovatta, data del 1706 corvatta, Esercitazioni Militari, e conferma del 1707, Veneroni, il più usuale tipo cravatta. Si può fare meglio, però, perché io trovo crovatta al v. 220 di una canzone carnascialesca del perugino Cesare Caporali (1531-1601), raccolta nel ms. 1072 della Bibl. Universit. di Bologna e già edita da Lodovico Frati, 3 sotto il titolo «Cesare Caporali in Parnaso così cantò l’ultima sera di Carnevale alla presenza d’Apollo». I versi che cito sono da 217 a 220: Fatte in grazia della moda le fascette al collo adatta cento volte, e la crovatta rimisura e il manichetto. Direi che non soltanto la datazione potrebbe scendere ancora, non dovendosi la composizione necessariamente datare con l’anno di morte del Caporali, ma che il contesto è tanto chiaro da lasciar pensare ad una diffusione dell’ornamento, e quindi del suo nome, ben più 305 Besprechungen - Comptes rendus 3 Rime inedite del Cinquecento, a cura di Lodovico Frati, Bologna (Romagnoli-Dall’Acqua) 1918, pp. 75-87. vasta di quanto oggi non dicano le attestazioni superstiti. Il DI ha in bibliografia la bella edizione del Frati, che cita solo poche pagine prima sotto la voce Cnido, attestando dalle rime di Diomede Borghesi (1598ca.) la variante Gnido. Ma non sempre si riesce a vedere tutto, a schedare tutto. Basti pensare che il Grande Dizionario della UTET non vede dalla medesima composizione di Caporali, a p. 76, i versi 27-28 «Al giochetto delle carte / siasi d’Ombre o Cocconetto», per cui non accoglie affatto sotto la voce ombra il significato ‘sorta di gioco di carte’ (come invece TB, che l’assegna al Forteguerri e al Fagiuoli, e già, decontestualizzata, alle lettere familiari di Redi), e data ante 1673, B. Corsini, l’altro gioco del cocconetto; né vede il GDLI dal primo verso della composizione, «Questo mondo è un bordeletto / così succido e sì brutto» (p. 75), che bordeletto ‘piccola cosa, cosa senza importanza’, è prima attestazione, di quasi 50 anni precedente quella invece offerta (ante 1646, BuonarrotiGiovane); né considera, a p. 254 della stessa edizione, tratto dal primo verso di un sonetto di Latino Latini, il sostantivo Semiviterbese ‘residente, ma non nativo di Viterbo’, che certamente non sarà invece sfuggito agli spogli del DI. La seconda è una proposta di miglior datazione del sintagma vendetta corsa ‘omicidio giurato per ragioni di vendetta, ed eseguito . . . quasi sciogliendo un voto’, che il DI assegna al 1942, Panzini. A leggere il DI parrebbe quasi di dover pensare a un qualche francesismo nell’italiano, anche in considerazione del fatto che, per esempio, una vendetta corsa è magistralmente descritta da Merimée nel romanzo Colomba. Ma non è così: intanto il sintagma appare sin dalle primissime edizioni del Panzini, che in quella del 1908 specifica: «I francesi hanno accolta la parola italiana vendetta. Ciò per la storia del vocabolo» (e già nel 1905: «per la filosofia delle parole, vendetta è voce accolta in francese»); e poi, in realtà, questo prototipo esemplare di presunto delitto d’onore ha, come tante faide, una storia, ahimé! , tutta italiana. Il sintagma rimonta addirittura al secolo XVIII, quando iniziò la sanguinosa rivalità tra le famiglie Cirnachesi e Biancolacci, e di seguito, nel sartanese, tra il 1830 e il 1840, quando ad affrontarsi furono i «bianchi» delle famiglie Roccaserra e Durazzo, avversarie dei «rossi» che vedevano unite le famiglie degli Ortoli e dei Susini. Né l’occupazione genovese, e neppure gli interdetti del patriota Pasquale Paoli valsero a fermare la sanguinosa tradizione. E tanto si diffuse l’usanza, che addirittura un lungo appuntito coltello contadino, destinato a compiere la rusticana giustizia, prese il nome di vendetta, o vendetta corsa (forse perché era costume far incidere sulla lama l’ammonimento «vendetta corsa, morte al nemico»). Simili coltelli, già della fine del ‘700, si trovano in mostra presso case antiquarie, ma ancor oggi sono prodotti, in copie fedeli, sui modelli d’epoca, da coltellinai specializzati. Vorrei anche aggiungere che il 1912, nel teatro Adriano di Roma, il tenore Carlo Broccardi (1886- 1953) cantò nel melodramma «La vendetta corsa», musicato da Armand Marsick, su libretto di Ferdinand Beissier. 4 E infine che l’asso dell’aviazione francese Jean-Hyacinte Casale, un corso nativo di Olmeta di Tunda, coraggioso quanto agressivo pilota della prima guerra europea, ricevendo il 23 novembre 1917 una nuova squadriglia di velivoli Spad XIII, adottò per il suo aereo da combattimento il nome di «vendetta corsa», probabilmente da porre in relazione all’arma bianca, piuttosto che alle azioni belliche future. Sono solo riflessioni, queste, che intendono aggiungere valore al DI, e non sottrarne; ogni aggiunta, ogni miglioramento a un dizionario è sempre possibile, come tutti sappiamo: ma quando la qualità dell’impianto è quella del Deonomasticon di Schweickard, sarà sempre un contributo, per quanto proficuo, assolutamente sporadico ed eccezionale. E infatti da oggi resto in attesa ansiosa del prossimo fascicolo del DI, di un nuovo capitolo, cioè, del li- 306 Besprechungen - Comptes rendus 4 Il libretto, tradotto da Paola Sampieri Marsick, si trova conservato per esempio anche nella Biblioteca della Fondazione Giorgio Cini a Venezia. Marsick musicherà altri libretti del Beissier, tra i quali il dramma lirico La Jane, Paris (Offre musicale) 1920. bro di avventure cui accennavo, o, se si vuole, del combustibile per il tappeto volante dei miei viaggi a tavolino nel tempo e nello spazio. Antonio Lupis H Ildikó Koch, Die Metataxe im deutsch-italienischen Sprachvergleich. Eine Studie der verbbedingten Abweichungen im Satzbau, Frankfurt a. M. (Lang) 2000, 424 p. (Studia Romanica et linguistica 29) Ein Gewinn ist die vorliegende Studie schon alleine durch die Tatsache, dass sie sich der bisher noch zu wenig beachteten deutsch-italienischen kontrastiven Grammatik annimmt. Zu diesem durch die Forschungslage bedingten Vorzug kommen auch Pluspunkte, die auf das Konto der Autorin gehen. Zunächst einmal formuliert sie die theoretischen Vorgaben für ihre Untersuchung im ersten Kapitel zum Teil so klar und prägnant, dass man sie bedenkenlos Studenten zur Einführung in die Tesnièresche Syntaxtheorie empfehlen könnte. Weiterhin liefert sie ein zu vertiefenden Überlegungen anregendes, immerhin 703 metataktische italienisch-deutsche und deutsch-italienische Satzpaare umfassendes Korpus, für das literarische Texte des 20. Jahrhunderts und deren Übersetzungen, sowie, zur Kontrolle, auch deutsche und italienische Übersetzungen drittsprachiger Originale ausgewertet wurden. Schließlich gelingt es Koch, nicht zuletzt durch wiederholte schematische und tabellarische Zusammenfassungen des Gesagten, auch bei der Darlegung ihres Vorgehens sowie bei der Analyse (ab 65) der Übersetzungsbelege relativ übersichtlich zu bleiben. Der dritte Vorzug ist deshalb erwähnenswert, weil Verf., um überhaupt übergreifende Aussagen machen zu können, für ihren Vergleich das Zusammenspiel einer kaum überschaubaren Zahl von Merkmalen berücksichtigen muss. Obwohl sie sich auf solche italienisch-deutsche und deutsch-italienische Satzpaare beschränkt, die lediglich den «Tausch oder die Verschiebung zweier syntaktischer Positionen bei gleichbleibender Aktantenzahl» (65) aufweisen, bedeutet dies nicht, dass auch die Umformungsmechanismen auf wenige Typen reduzierbar sind. Im Gegenteil, Koch benötigt ein besonders engmaschiges Raster um wirklich alle Aspekte der Umformungen erfassen zu können. Erst dann kann sie erklären, warum im Korpus z. B. wiederholt it. bastare mit dt. genug haben, also metataktisch umgeformt, anstatt mit genügen übersetzt wurde; d. h. erst dann kann sie ihr Ziel erreichen und «nicht nur die unvermeidlichen [strukturellen] Abweichungen, sondern . . . auch die metataktischen Präferenzen, also den bewussten Verzicht auf vorhandene Analogvarianten» (Hervorhebung der Verf., 67) in den Übersetzungen herausarbeiten und eventuell begründen. Die Belege werden mit dem von Peter Koch in den neunziger Jahren entwickelten 3-Ebenen-Modell 1 (19), einem nicht nur für die Metataxe im engeren - syntaktischen - Sinn, sondern auch für semantische Rollen und Informationsstrukturen sensiblen Modell analysiert; hinzu kommen weitere von Koch selbst ergänzte Kriterien, die z. B. die Verbsemantik, die Stilebene und die Richtung oder die kontextuelle Bedingtheit der Metataxe betreffen. Ausgehend von Beobachtungen auf der Ebene der parole sollen Aussagen auf der Ebene der langue gemacht werden, d. h. ausgehend von den Beobachtungen an den Korpusbelegen soll schließlich vorhergesagt werden können, in welchen semantischen Bereichen bestimmte Divergenzen, genauer: bestimmte metataktische Umformungen zu erwarten sind (66). Ob sie wirklich zu Unterschieden der langues der beiden betroffenen Sprachen 307 Besprechungen - Comptes rendus 1 Dargestellt z. B. in: P. Koch 1994: «Valenz und Informationsstruktur im Sprachvergleich Italienisch-Deutsch», Italienisch 32: 38-58.
