eJournals Vox Romanica 61/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
Es handelt sich um einen Open-Access-Artikel, der unter den Bedingungen der Lizenz CC by 4.0 veröffentlicht wurde.http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/121
2002
611 Kristol De Stefani

NORBERT DITTMAR/ANNA GIACALONE RAMAT (ed.), Grammatik und Diskurs / Grammatica e discorso. Studi sull’acquisizione dell’italiano e del tedesco / Studien zum Erwerb des Deutschen und des Italienischen, Tübingen (Stauffenburg) 1999, 298 p.

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2002
G.  Berruto
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xetypen wird jedoch verwirrenderweise auf die, nicht ganz passenden und auch nur im Korpus (Anhang) nachzulesenden Beispiele 140 und 598 verwiesen. Ähnlich störend der Verweis auf ein falsches Beispiel in einer Tabelle bei der Beschreibung der Grundwortstellungstypen im Deutschen und Italienischen (51: Ib anstatt Ic). Angesichts dieser und anderer Ungenauigkeiten muss man sich fragen, ob das Manuskript sorgfältig genug überarbeitet worden ist. Insgesamt vermittelt die durchaus begrüßenswerte, äußerst anregende Studie formal und inhaltlich denselben Eindruck: Es fehlt der letzte Schliff, das letzte integrale Durchwirken, ganz, als handele es sich, wenigstens zum Teil, um ein work in progress. Daher scheinen auch manche Aussagen geradezu zu Präzisierung und Verifizierung aufzufordern. M. Nicklaus H N ORBERT D ITTMAR / A NNA G IACALONE R AMAT (ed.), Grammatik und Diskurs / Grammatica e discorso. Studi sull’acquisizione dell’italiano e del tedesco / Studien zum Erwerb des Deutschen und des Italienischen, Tübingen (Stauffenburg) 1999, 298 p. Nato al margine delle ricerche di glottodidattica e sull’apprendimento/ insegnamento delle lingue, lo studio dell’acquisizione delle lingue seconde ha presto compiuto passi da gigante, ha acquisito una sua larga autonomia e rappresenta oggi uno dei settori di maggior rilievo e interesse delle scienze linguistiche (a segnalarne la rilevanza, è entrato ora in uso in Italia anche il termine specifico di «linguistica acquisizionale»). Il volume che qui recensiamo, e che presenta sotto un opportuno titolo bilingue i risultati della collaborazione di studiosi italiani (partecipanti al «Progetto di Pavia», che da più di un quindicennio si occupa del settore della L2) e tedeschi all’interno del cosiddetto «Programma Vigoni» sui temi incrociati dell’acquisizione dell’italiano da parte di germanofoni e dell’acquisizione del tedesco da parte di italofoni, è una lampante conferma dello stato di maturità raggiunto dalle ricerche sull’acquisizione di L2, uno dei punti di forza delle quali è certamente, come spicca bene anche dalla presente raccolta di contributi, il necessario e continuo rimando fra dati empirici autentici e molto varii e riflessione teorica. I saggi raccolti nel volume, preceduti da una premessa bilingue dei due curatori rispettivi e da considerazioni introduttive di Alberto M. Mioni e coronati da conclusioni ad opera di Wolfgang Klein, sono riuniti in tre parti. Ogni autore italiano scrive in italiano e ogni autore tedesco in tedesco. La prima parte è dedicata alla sintassi, e vede i contributi di Anna Giacalone Ramat sulle strategie di collegamento fra proposizioni nell’italiano di germanofoni e di Marina Crespi Günther sulla subordinazione nel tedesco di apprendenti italiani. Anna Giacalone Ramat argomenta in chiave di tipologia funzionale con un approccio che integra criteri formali e criteri semantici (con una prevalenza, nei casi critici, dei secondi) e, sulla base fondamentalmente dei dati statistici relativi alla distribuzione dei diversi tipi di proposizioni in tre soggetti, giunge alle conclusioni che gli apprendenti per quanto riguarda la connessione interproposizionale adottano «strategie di elaborazione dell’input e di produzione che si conformano ai principi individuati dagli studi tipologici» (48), mostrando in tal modo la rilevanza del potere esplicativo di questi ultimi. Le tendenze riscontrate dall’analisi tipologica riflettono in buona misura quello che sembra succedere nei percorsi di acquisizione, e d’altra parte questi ultimi suggeriscono ulteriori approfondimenti dei principi tipologici: si veda per es. la discussione dell’autrice circa il rapporto fra predicati balanced e deranked nelle frasi dipendenti. I dati della linguistica acquisizionale costituiscono dunque da un lato un consistente riscontro empirico di ipotesi teoriche formulate sulla base dei raffronti tipologici fra le strutture delle diverse lingue, e dall’altro una fonte 312 Besprechungen - Comptes rendus di suggerimenti e aggiustamenti per una più precisa formulazione delle stesse ipotesi. Marina Crespi Günther analizza a fondo i dati longitudinali di due apprendenti con diverso grado di elaborazione delle interlingue circa l’apprendimento delle strutture della subordinazione esplicita in tedesco L2, rintracciando un chiaro percorso di apprendimento in cui warum e wann (volentieri sovraestesi) precedono weil, wenn e daß, che a loro volta precedono le altre forme di connessione subordinante; il processo interagisce significativamente con la fissazione della struttura con verbo finale, che per es. viene appresa più tardi se concomitante con un connettore semanticamente vuoto come daß. La seconda parte del volume è intitolata alle Partikel, e conta quattro contributi. Giuliano Bernini analizza ampiamente e con la consueta incisività lo sviluppo delle particelle di negazione dal tedesco all’italiano e dall’italiano al tedesco, mostrando fra l’altro come l’apprendimento della negazione sia più rapido nell’italiano di germanofoni che nel tedesco di italofoni. Norbert Dittmar propone un case study: l’apprendimento delle particelle focalizzanti auch e nur in una parlante bolognese a Berlino. Entrambe le particelle vengono acquisite assai precocemente, ma con persistenti peculiarità, rispetto alla lingua obiettivo, per quanto riguarda la collocazione, che, soprattutto per auch, risulta chiaramente e a lungo influenzata dalla L1. Davide Ricca si concentra invece sulla situazione dei focalizzatori in italiano L1, ispirandosi alle classiche trattazioni di König e fornendo un’utilissima descrizione-pilota (non scevra di azzeccate osservazioni di dettaglio, come quelle sulla controversa scalarità di neanche) di un settore dell’italiano per il quale non esistevano sinora studi specifici. Ritorniamo all’apprendimento di particelle, stavolta le Modalpartikel nel tedesco L2 della stessa informante utilizzata da Dittmar nel saggio sopra citato in confronto con altri apprendenti, nel contributo di Martina Rost-Roth; si tratta com’è noto di un settore delicato, a cavallo tra sintassi del periodo e strutturazione pragmatica del discorso, in cui il tedesco con la sua ricca e sfumata gamma di particelle è per così dire sovradimensionato rispetto alle altre lingue: e infatti Rost-Roth mostra bene come, mentre alcune particelle siano acquisite molto presto, altre (come schon, eben, halt) rimangano a lungo fuori portata per gli apprendenti; in generale, anche per le particelle meglio apprese permangono poi evidenti incertezze quanto al loro uso pragmaticamente adeguato. Nella terza parte del volume, dedicata alle strutture del discorso, Marina Chini si intrattiene sulle forme e strategie di riferimento personale, confrontando testi narrativi di parlanti nativi di italiano e di apprendenti germanofoni (con interessanti osservazioni sull’accessibilità dei topics) e mostrando come in generale gli apprendenti preferiscano soluzioni il più possibile esplicite rispetto ai nativi; e Bernt Ahrenholz, in un saggio irto non solo di esempi testuali ma di molte cifre e percentuali, si concentra sull’espressione della modalità, confrontando il comportamento linguistico nel «fornire istruzioni» di apprendenti italiani del tedesco con quello di parlanti nativi di entrambe le lingue (anche qui gli apprendenti - almeno sino a fasi avanzate dell’acquisizione - mostrano una tendenza maggiore alla modalizzazione esplicita rispetto ai nativi). Mentre il percorso del volume, dai contributi iniziali di Giacalone Ramat e Bernini a questi ultimi, ha seguito fin qui una direzione fondamentale dal generale, e di ampia portata teorica, al locale, e descrittivamente molto specifico, con le argomentate osservazioni conclusive di Wolfgang Klein il cerchio si chiude in un ampio afflato teorico. Il contributo di Klein è infatti una sorta di plaidoyer della dignità, e verrebbe da dire superiorità, scientifica dello studio dell’acquisizione delle lingue (seconde) come campo privilegiato della linguistica, condotto con l’incisività e chiarezza di idee che sempre contraddistinguono lo studioso, e basato sulla formulazione di un breviario di cinque principi fondanti di quella che Klein chiama la Lernervarietäten-Perspektive. Riassumendo molto: i) nel processo di apprendimento il parlante sviluppa una serie di varietà basate su regole; ii) struttura interna e passaggio da una varietà di apprendimento alla successiva sono governati da tre fatto- 313 Besprechungen - Comptes rendus ri: proprietà immanenti della «capacità linguistica» (Sprachvermögen) degli esseri umani, proprietà specifiche dell’input a cui l’apprendente è esposto, «sapere linguistico» previo dell’apprendente; iii) in tutte le varietà di apprendimento vi sono un certo numero di principi strutturali che interagiscono fra di loro, portando a rielaborazioni progressive; iv) le varietà di apprendimento «sind nicht unvollkommene Nachahmungen einer ‹wirklichen Sprache› . . ., sondern selbständige Sprachsysteme» (284), e rappresentano addirittura il ‹caso normale› (mentre le cosiddette lingue standard sono il caso estremo, le varietà finali di un processo di normativizzazione); v) ne consegue che lo studio delle varietà di apprendimento, cioè di tutte le manifestazioni della capacità linguistica degli esseri umani nella loro interezza e non delle sole manifestazioni estreme, le «voll entwickelte Sprachen», dovrebbe costituire il campo centrale della linguistica. Klein formula anche la massima fondamentale che regola il comportamento linguistico di un apprendente, che suonerebbe all’incirca come segue (288): «esprimi esattamente (genau) quello che la tua controparte dovrebbe sapere e che secondo te non sa, a meno che tu non glielo dica! ». La posizione di Klein circa la primarietà dello studio delle varietà e dei processi di apprendimento delle lingue potrà sembrare venata da un certo radicalismo (come presso i rappresentanti di ogni ramo del sapere, anche presso i linguisti è diffusa la convinzione, comprensibilissima ma non per questo condivisibile, che la propria personale area di ricerca sia sempre quella più rilevante e significativa della disciplina . . .), ma ha indubbiamente il merito di porre le questioni in maniera molto chiara e ben fondata. Si presenta ad ogni modo il problema della natura delle varietà di apprendimento di una lingua seconda rispetto a quella delle varietà di apprendimento e sviluppo infantile della lingua materna: il concetto kleiniano di Lernervarietät annulla intenzionalmente ogni differenza, ma si potrebbero benissimo avanzare argomenti, ben noti a chi si occupa di linguistica acquisizionale, a favore di una essenziale diversità fra le une e le altre, pur se nelle une e nelle altre agiscono in buona misura gli stessi o analoghi principi. Nel complesso, dai contributi di questo volume (arricchito da un Sachregister finale), che sono caratterizzati fra l’altro da un’omogeneità nell’approccio e nell’impianto teorico di riferimento insolita in opere collettive, emergono non solo accurate descrizioni di aree di fenomeni sintattico-testuali delle interlingue, interpretati non in maniera «selvaggia» ma con costante appoggio alle ipotesi e ai modelli della teoria linguistica, ma anche generalizzazioni di primario rilievo sia per lo studio dell’acquisizione sia per la linguistica teorica e tipologica in generale; rappresentando quindi un esempio modello di buona linguistica empirica feconda di insegnamenti anche per la teoria. G. Berruto H Gerold Hilty, Gallus und die Sprachgeschichte der Nordostschweiz, St. Gallen (VSG Verlagsgemeinschaft St. Gallen) 2001, 238 p. Gerold Hilty verfolgt in seiner neuesten Publikation das Ziel, die sprachlichen Verhältnisse in der Nordostschweiz zur Zeit des hl. Gallus (7. Jh.) und in den folgenden Jahrhunderten (bis ca. 1200) zu erhellen (15). Es ist ein ganz besonderes Buch, das hier vorliegt. Ein Autor, der in der Fachwelt als strenger Linguist und als Spezialist des romanischen Mittelalters bekannt ist, wendet sich hier einem Thema zu, das einen engen Bezug zu seiner eigenen Biographie hat. Das Geleitwort beginnt mit den Sätzen: «Dieses Buch wurzelt in meiner Herkunft. Es enthält so etwas wie eine geistige Heimkehr» (11). Dieses erklärte Engagement verleiht dem Buch, das in Methode und Stil durchaus von wissenschaftlicher Nüchternheit und Distanz geprägt ist, eine ganz eigene Note. Eine wei- 314 Besprechungen - Comptes rendus