eJournals Vox Romanica 62/1

Vox Romanica
vox
0042-899X
2941-0916
Francke Verlag Tübingen
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2003
621 Kristol De Stefani

Ottavio Lurati, Per modo di dire . . . Storia della lingua e antropologia nelle locuzioni italiane ed europee, Bologna, Cooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna (CLUEB), 2002, p. 394

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2003
M. Fantuzzi
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238 Besprechungen - Comptes rendus specifico vedi (30s.) Tirolo, frutto di una scrittura inversa, Alto Adige (già dal 1810), mentre Südtirol risale, secondo Carlo Alberto Mastrelli, al 1839. Per la «sintassi del nome proprio» si rinvia a p. 31. Numerosi sono, insomma, gli stimoli di riflessione anche metodologica e gli spunti di interesse in questi nuovi, coesi volumi che escono dalla penna di Max Pfister e dalla splendida officina che, attraverso gli anni, con costante impegno, è venuto a costituire. Un nuovo, grande arricchimento per i nostri studi. Una miscellanea importante non solo per gli italianisti, ma per l’intera romanistica. O. Lurati H Ottavio Lurati, Per modo di dire . . . Storia della lingua e antropologia nelle locuzioni italiane ed europee, Bologna, Cooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna (CLUEB), 2002, p. 394 In ogni lingua circola un cospicuo nucleo di parole ed espressioni che appaiono «normali» fintanto che ci si limiti a usarle nella routine del quotidiano, ma che, non appena si tenti di stringerle più da vicino cercando di analizzarle in prospettiva storica e logico-semantica, subito si dileguano: sono espressioni proteiformi, avare della loro storia, che si negano a chi cerchi di accostarne sostanza e valenza pragmatiche originarie. Ad esse, così come a vari aspetti di fondo delle locuzioni, è dedicato questo volume di Lurati sui modi di dire, in larga misura voluto e realizzato con un impianto teorico e generale che ha i suoi presupposti nel precedente e più corposo Dizionario dei modi di dire (Milano, Garzanti Grandi Opere, 2001), con cui lo studioso svizzero si era dedicato soprattutto a ricerche e interpretazioni nuove su aspetti locuzionali specifici. Qui viene invece proposto un inquadramento inedito per l’intero settore del cosiddetto discorso ripetuto, operando con materiali sia italiani sia francesi e spagnoli, sia tedeschi e di altre lingue. Le analisi condotte nella nuova ricerca sono articolate in modo tematico (commenti relativi al comportamento degli altri, comportamento degli altri idiomi europei, echi religiose nel parlar corrente, lingua e diritto; un settore quest’ultimo che è stato a lungo trascurato). Significativi appaiono ad esempio gli inquadramenti semantici con cui vengono date nuove interpretazioni storiche e culturali per motti come attacher un bidon à quelqu’un, ‘deluderlo, ingannarlo, non presentarsi a un appuntamento’, o far caraffa, dal francese gergale rester en carafe (‘ne pas obtenir ce qu’on attendait’), che nel gergo dei ferrovieri italiani significa che ‘il treno si ferma e non riparte’. Particolari e illuminanti attenzioni vengono poi dedicate a un’espressione come far fiasco, che in questa forma specifica (e semplificata) usiamo almeno dal 1803, ma che anticamente (già nel Trecento) suonava come appiccare il fiasco a qualcuno per sottoporlo a una pena ignominiosa, schernirlo. A questo riguardo, e sulla base di un’ampia documentazione desunta da statuti, leggi medievali italiane e tedesche così come da vari testi letterari, Lurati dimostra come si trattasse, in origine, della stilizzazione di un’antica pratica, che era quella della escissione del phallus che veniva imposta ad adulteri o a persone che si fossero abbandonate a violenza sessuale. Dal punto di vista geografico la prima sezione del libro spazia dall’Italia alla Francia, dalla Germania alla Svizzera alla Svezia, senza trascurare certe componenti di parlate dell’Ucraina: un esteso affresco che chiarisce e mette in relazione fra loro molti elementi sin qui trascurati nelle loro molteplici interconnessioni, per altro riscontrabili anche su più piani. Una seconda parte della ricerca si occupa di aspetti più propriamente linguistici, analizzando in particolare la tipologia dei modi di dire e indagandone a fondo la valenza funzionale e semantica. L’approccio discorsivo e pragmalinguistico viene applicato all’analisi de- 239 Besprechungen - Comptes rendus gli atteggiamenti mentali (allusione, ma anche attenuazione ed eufemismo) che spingono ad attingere al repertorio disponibile nella langue di modi di dire, piuttosto che a ricorrere a scontate perifrasi o a formulazioni proprie di singoli idioletti. Né le locuzioni sono qualcosa di meramente ancorato al passato: lo provano, tra l’altro, la copiosa documentazione che in queste pagine viene addotta quanto all’uso di frequenti modalità locuzionali rilevato tra i mass media. Nuova, in questa seconda articolazione, la parte dedicata all’accertamento degli apporti delle varie regioni da cui italiani e italiane hanno desunto parecchi dei motti di cui si servono quotidianamente. Nel parlare corrente vi sono così tracce di locuzioni originarie della Lombardia (mettere alla berlina, far lana, avere una vertenza), del Veneto (essere uno spilorcio), della Liguria (essere smilzo, a sua volta desunto dal francese mince), della Toscana (essere uno sciocco, un tanghero), dell’Italia Meridionale (fare camorra, avere le paturnie) e, ovviamente, dell’area romana (essere un buzzurro, portare jella, è una racchia), che diventa un importante centro di irradiazione di modelli linguistici a partire soprattutto dall’Unità. Lurati scandaglia anche espressioni quanto mai concrete e legate al mondo degli affetti e degli stati d’animo, che tanto incidono sul nostro vissuto quotidiano. L’interesse scientifico per i modi di dire si legittima così anche come uno dei contributi che la linguistica può recare all’analisi dell’immaginario e della storia delle mentalità condivise. Talvolta, ad esempio per commenti quali sei un discolo, ci si trova confrontati ad espressioni che hanno percorso una strada soprattutto fonetica; in questo caso con il passaggio da sei un diavolo, da cui attenuativamente venne sviluppato sei un diascolo, a sei un discolo, presente pure in vaste aree spagnole (cf. maitino che dà mattino, preite che si riduce a prete ecc.). Le riflessioni che vengono svolte sull’analisi fonetica e, quanto più preme, culturale, dei modi di dire insistono sul fatto che troppo a lungo (persino nel lavoro di Rohlfs) si è fatta della grammatica storica su singole parole, ma mai sulla fonetica di intere locuzioni e di concrete utilizzazioni nella catena del discorso. Avere aperto questa prospettiva, costituisce a nostro avviso uno dei tratti più innovativi e probabilmente, in proiezione futura, più fecondi del lavoro di Lurati. Dall’analisi sui modi di dire affiorano, su un altro versante, anche i pregiudizi cui erano esposte le donne (come, è zitella, è una ragazza madre, donna al volante pericolo costante, ecc.). Di non poche designazioni del genere si dà una nuova interpretazione storica (con la donna pensata o come sposata o come non sposata, ma comunque sempre in un rapporto di subordinazione rispetto all’uomo). In quasi tutte le culture europee si possono infatti cogliere gli echi dei pregiudizi che circolavano sulla debolezza della donna, presentata ora come sesso debole (in uso almeno dal 1699, e rimasto radicato a lungo), ora come angelo del focolare e angelo di bontà, secondo talune idealizzazioni mistificatorie in auge nell’Ottocento, ma non solo. Questi elementi discorsivi ottocenteschi introducono alla problematica (gravida di riflessi anche sociali) del ricorso all’«ideologema», sia in forme (già predarwiniane) quali lotta per la vita, sia in formulazioni novecentesche come primo, secondo, terzo mondo, cui verrà poi aggiunto un quarto mondo, per distinguere, fra i meno sviluppati, i paesi che, oltre alle tante difficoltà comuni anche ad altri, non dispongano nemmeno di risorse naturali importanti. E questi non sono che singoli esempi di numerosi casi analoghi la cui natura profonda e originaria è ora accertabile anche attraverso l’ampio indice che arricchisce il volume. La ricerca porta dunque da antichi usi linguistici medievali a utilizzazioni moderne (compreso il linguaggio del femminismo) e al discorso persuasivo attuale, in cui siamo tutti immersi. Insomma, gettare lo scandaglio nelle pieghe del nostro discorso ripetuto, e spesso irriflesso, si tramuta qui in un sondare esperienze lontane e profonde che costituiscono il sostrato culturale condiviso da tante generazioni che, essendosi succedute entro realtà socia- 240 Besprechungen - Comptes rendus li e geografiche diverse, hanno contribuito ad arricchire la comune memoria storica della lingua. Mettere a fuoco le interconnessioni, i prestiti e gli apporti reciproci determinatisi in questa complessa realtà, costituisce un fascinoso percorso tra esperienze insospettate. Anche per noi parlanti del nuovo secolo che siamo spesso imprigionati nel presente senza potere agevolmente renderci conto di come molte delle nostre frasi fatte si radicassero in un mondo lontano ma vissuto in misura quanto mai intensa da chi ci ha preceduti. Avere contribuito a fornircene così illuminanti chiavi di lettura è senz’altro il merito principale da ascrivere al libro di Lurati che si raccomanda anche per la ricchissima bibliografia plurilingue. M. Fantuzzi H Maria Grazia Fiori, Dizionario Tiranese. Miscellanea - Segni del passato. Con prefazione Viaggio nelle memorie (introduzione all’etnografia tiranese) di Remo Bracchi, Villa di Tirano (Tipografia Poletti) 2000, 498 p. Non sembra dar segno di voler affievolirsi l’intensità con la quale i valtellinesi si dedicano negli ultimi anni allo studio dei dialetti della loro valle. Dopo il poderoso Dizionario Etimologico Grosino di G. Antonioli e R. Bracchi pubblicato nel 1995 dalla Biblioteca comunale e dal Museo del Costume di Grosio e dopo le due opere segnalate in VRom. 59: 262-64, ci troviamo ora di fronte a un nuovo Dizionario Tiranese di notevoli dimensioni. A prima vista l’elaborazione di un secondo dizionario tiranese dopo soli due anni dall’apparizione dell’analoga opera di A. Pola e D. Tozzi potrebbe sembrare un compito non prioritario. Un rapido confronto fra i due lavori dimostra però in modo lampante che la notevole diversità fra esse giustifica ampiamente anche la pubblicazione della seconda. Già la differenza fra le dimensioni della parte dedicata specificamente al dizionario vero e proprio nelle due opere salta agli occhi. Se in quella di Pola e Tozzi (P) essa occupa 157 p., in quella di Maria Grazia Fiori (F) ne comprende ben 379. Parecchie sono le cause di questa differenza. P si concentra anzitutto sulle peculiarità del lessico tiranese, mentre F registra, sempre considerandoli però nello specifico ambiente culturale tiranese, anche vocaboli che sono varianti fonetiche di voci italiane o che sono ampiamente diffusi nel territorio lombardo. Tiene inoltre conto di nomi propri, toponimi e dei cosiddetti scutüm, i soprannomi delle famiglie. Nomi propri, toponimi e anche molti altri termini non sono d’altronde semplicemente elencati, ma resi vivi da ampie spiegazioni enciclopediche. Del fiume Ada si menziona ad es. la grande rettifica del corso d’acqua avvenuta nel 1830 e se ne descrive il percorso precedente. Sotto il lemma Adalberto si accenna fra l’altro al fatto che a S. Adalberto era dedicata la prima chiesa di Tirano danneggiata a più riprese e indi travolta definitivamente da una frana. Sotto aqui sono citate le disposizioni degli antichi statuti concernenti l’uso delle acque.Alla voce bètula si ricorda che a Tirano nel Seicento esistevano due osterie e si citano le disposizioni del 1606 che regolavano la loro gestione. Oltre al termine generico büi ‘fontana’ si dedicano trattazioni particolari al büi vec’, al büi de la bona Lüisa e al büi de Barfíi di ognuno dei quali si descrive la collocazione e la storia. Nello stesso modo il generico cà è seguito dai lemmi specifici Cà bianca, Cà de Camp, Cà de la Gésa, Cà di Gatèi, che ne danno la localizzazione e contengono osservazioni storiche. A proposito di campanil si indicano la data della sua costruzione e elementi leggendari che si riferiscono ad essa. Nel lemma carne(v)àl si ricorda l’uso di bruciare il ‘carnoval vecchio’ la prima domenica di Quaresima. Il toponimo Castelàsc dà luogo fra l’altro a una descrizione delle fortificazioni che circondavano e difendevano Tirano. Nella trattazione di voca-